immagini del mediterraneo fra xvii e xviii secolo

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INCONTRI - ANNO I N.2 GEN/MAR 20132

SOMMARIO

Immagini del Mediterraneo fra XVII e XVIII secolo4di Paolo Militello

Profilo di accademici, proprietari terrieri, letterati ed eruditi impegnati in agricoltura

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di Domenico Ligresti

Sofonisba Anguissola dalla Sicilia alla corte dei Savoia

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di Alfio Nicotra

Recitiamo e cantiamo: ma di checosa parliamo?

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di Alfio Patti

Il ruolo della massoneria nella fondazione del liceo statale “Mario Cutelli” di Catania

16

di Mariella Bonasera

Un raro orologio da camino di inizio Settecento

19

a cura di Antonio Parisi

Gli altari della chiesa del SS. Salvatore a Noto22di Salvatore M. Calogero

Nuove prospettive per l’abitazione catanese di Giovan Battista Vaccarini

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di Miette Mineo

Rapisardi poeta della natura e del mistero31riadattato da Maria Valeria Sanfilippo

Una cava “grande”, un sentiero, una centrale...

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di Michele Nanzarelli - Emanuele Uccello

Azeglio Bemporad e la “Carta del cielo”35di Antonino Leonardi

Simona Lo Iacono fra diritto e letteratura37di Alfio Patti

Un nuovo teatro greco a Montagnadei Cavalli

38

di Stefano Vassallo

Rabbito. L’uomo pneumatico53di Mercedes Auteri

Museo del Costume e della ModaSiciliana di Mirto

58

di Francesca Paterniti

Gli ultimi sogni di Sebastiano Milluzzo41di Valentina Lucia Barbagallo

3 mesi di Incontri63a cura di Irenea Privitera

Abstract64traduzione a cura di Grazia Musumeci

Natale Schiavoni ritrattista di Bellini45di Carmelo Neri

L’Opera dei Pupi a Catania fra i rigori della “tradizione” e gli eventi innovativi

47

di Nino Amico

Nuovi dati sulla “strage di San Rocco”50di Alvise Spadaro

Le bombe vulcaniche dell’Etna55di Agatino Reitano - Daniele Russo

Tradizione e attualità e nelle fiabe di Capuana61di Maria Valeria Sanfilippo

STUDI E RICERCHE RUBRICHE

INCONTRI - ANNO I N.2 GEN/MAR 2013 3

Incontri - La Sicilia e l’altroveRivista trimestrale di cultura – fondata da E. Aldo Motta nel 1987 Nuova serie, anno I, numero 1 Ottobre-Dicembre 2012ROC n°22430 - 22 Maggio 2012ISSN 2281-5570 Incontri (Catania)

Direttore editorialeElio MiccichèComitato di DirezioneGiamina Croazzo, Elio Miccichè, Gino Sanfilippo Direttore responsabileAlfio PattiComitato ScientificoAldina Cutroni Tusa (Università degli Studi di Palermo: già docente di Numismatica antica); Claudia Guastella (Università degli Studi di Catania: Storia dell’arte medievale); Domenico Ligresti (Università degli Studi di Catania: Storia moderna); Paolo Militello (Università degli Studi di Catania: Storia urbana e Cartografia)RedazioneMariella Bonasera, Carmelo Neri, Maria Valeria Sanfilippo TestiNino Amico, Mercedes Auteri, Valentina L. Barbagallo, Mariella Bonasera, Salvatore M. Calogero, Antonino Leonardi, Domenico Ligresti, Paolo Militello, Miette Mineo, Michele Nanzarelli, Carmelo Neri, Antonio Parisi, Francesca Paterniti, Alfio Patti, Irenea Privitera, Agatino Reitano, Daniele Russo, Maria Valeria Sanfilippo, Alvise Spadaro, Emanuele Uccello, Stefano Vassallo

Progettazione graficaDavide MiccichéImpaginazioneLaura MaugeriStampaStabilimento Tipolitografico Priulla srl - Palermo

Associazione Culturale Incontri, Viale Tirreno, 6/O – 95123 CataniaContattiTel. 328 [email protected]@edizionincontri.it www.edizionincontri.it

Un numero: euro 6,50Numero arretrato: euro 6,50 più spese postali

Abbonamento annuo (quattro numeri):Ordinario: euro 25,00Sostenitore: euro 50,00Estero: euro 30,00C.c.p. n° 1006273229 (IBAN: IT05 O076 0116 9000 0100 6273 229)Intestato a Associazione Culturale Incontri Viale Tirreno, 6/O95123 – Catania

Rivista omaggio per gli associatiGli autori sono unici responsabili del contenuto degli articoli.

INCONTRO CON I LETTORI

Due altari, un progettista Gentile Direttore,nel primo numero di Incontri leggo un docu-mentato articolo di Angela Patanè sull’appa-rato decorativo di una cappella della chiesa di San Nicolò l’Arena di Catania. La lettura ha stimolato il mio interesse in quanto a Caltagi-rone, la mia città, nella chiesa del SS. Salvatore l’altare maggiore è simile a quello di San Bene-detto da Norcia di cui l’autrice parla. Potrebbe-ro i due altari essere opera dello stesso artista?Grato per l’attenzione che vorrà riservarmi. Francesco Iudica, Caltagirone

I due altari sono opera delle stesse maestranze, la famiglia dei marmorari Marino, già attiva nella seconda metà del Settecento in San Nicolò l’Arena e in molte altre chiese dell’Isola. Le fonti bibliografiche attribuiscono ai fratelli Giovanni, Ignazio e Carlo Marino, figli dello scultore Giovambattista, il disegno e la realizzazione dei tre altari in marmo nella chiesa del SS. Salvatore, ricostruita dopo il terremoto del 1693 e completata nell’interno nel 1794. L’altare maggiore, dedicato al Salvatore, presenta in effetti analogie con quello di San Benedetto a Catania sia nella “macchinetta” architettonica che nei marmi policromi utilizzati, mentre basamento e disegno del paliotto sono mutuati dall’altare di Sant’Agata della stessa chiesa di San. Nicolò, realizzato da G.B. Marino. Angela Patanè

Dove va la Sicilia? Caro Direttore,ho trovato la nuova rivista assai bella nella grafica e nell’impaginazione. In merito ai testi, ovviamente interessanti, mi sembra lodevole presentare personaggi del Novecento come Giuseppe Bonaviri o Graziosa Casella. Credo che sia egualmente stimolante interrogarsi sulla ricaduta che tematiche attuali quali la povertà, il crollo delle ideologie, l’invasività della tecnologia, hanno avuto sulla società e

sull’ambiente, forzandoci ad una weltanshau-ung, cioè a una diversa concezione del mon-do rispetto a quella di fine Novecento. Sarebbe allora interessante conoscere l’im-patto esercitato da questa nuova visione sull’architettura, sulla letteratura e sull’arte, nel mondo un po’ a sé della Sicilia, diversa dall’Ita-lia del nord dove vivo, ma egualmente attiva sul piano delle idee.

Francesco Cappellani, Varese

“Mi piaci ‘a libertà” Direttore carissimo,ho letto con interesse la Sua nota conclusiva all’articolo di Domenico Ligresti “Il monaco basi-liano Eutichio Ajello e il barone Francesco Anca” pubblicata nel primo numero di “Incontri”. Con interesse perché da quando lessi, una trentina di anni fa, che in Brasile un rilevante numero di automezzi pubblici vanno a sorgo, e che questo vegetale nella Sicilia occidentale è endemico, l’ho sempre accostato non solo al tarocco, al pistacchio di Bronte e alle man-dorle di Avola, ma anche al resto del nostro patrimonio, prevalentemente culturale, che in quanto tale non è considerato come risorsa economica e quindi occupazionale. Infatti bisognerebbe battere con più concre-tezza sul patrimonio dei beni culturali che non sono un “mero ornamento”, ma un monopo-lio sul quale dovrebbe fondarsi la nostra eco-nomia, se la nostra classe politica non fosse quell’”abisso di incultura” così egregiamente definita da Mario Farinella. A questo punto risuonano amaramente dolenti i versi conclusivi di “Mi piaci ‘a libertà” del compianto Bernardino Giuliana: “Avemu ‘u suli/ e addumamu cannili./ Avemu l’acqua/ e muremu di siti./ Avemu ‘a storia/ e nna fa-cemu ‘nsignare,/ Avemu l’ali/ e nun sape-mu vulari./ ‘A strata è longa/ e li trazzzeri su tanti/p’accuminciari seculi novi./E caminu/ccu l’occhi puntati/ di certuni ca ‘ncontru/ e mi ridinu./’A gnoranza/ ammazza ‘a libertà”. Cordialmente Alvise Spadaro

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n qualsiasi odierna enci-clopedia il Mediterraneo è definito come un baci-

no interno dell’Atlantico, oceano con il quale comunica, a occiden-te, attraverso lo stretto di Gibilter-ra. A oriente, invece, Dardanelli e Bosforo aprono l’accesso al mar Nero, mentre a Sud, dalla secon-da metà del XIX secolo, il canale artificiale di Suez consente il col-legamento con il mar Rosso.

Questo mare è inoltre divi-so naturalmente dalla penisola italiana e dalla soglia siculo-tuni-sina in due bacini, occidentale e orientale, comunicanti attraverso il Canale di Sicilia o di Tunisi e at-traverso lo stretto di Messina. Qui – per citare Braudel - la complici-tà della geografia e della storia ha creato una frontiera intermedia di coste e di isole che, da nord a sud (da Corfù e dal canale di Otranto fino alla Sicilia e alle coste dell’attuale Tunisia) divide questo grande bacino in due «universi marittimi», due mari che - nono-stante il legame dei traffici e degli scambi culturali - conservano la

loro autonomia, i loro circuiti. A est è l’Oriente, a ovest l’Occiden-te, nel senso pieno e classico di entrambi i termini. I due bacini sono, a loro volta, suddivisi in ul-teriori mari: da una parte quello algero-provenzale (una volta de-finito mare Balearico, detto talora anche Mare Esperico, compren-

dente, a Nord, il mare Ligure e il Tirreno) e dall’altra quello ionico e levantino (con il mare siculo o africano, il Mare Adriatico, il Mar Ionio e delle Sirti e, ad est, il Mare Egeo e il Mar di Levante).

Canali e stretti conferiscono allo spazio liquido la sua artico-lazione. Alla suddivisione in una serie di bacini corrisponde, come un’immagine rovesciata, la sud-divisione delle terre in continenti particolari: il complesso iberico, l’Italia, la penisola balcanica, l’Asia minore, l’Africa del nord.[1]

TRA PAROLA E SEGNO: I GEOGRAFI DEL XVII-XVIII SECOLOPer tornare indietro nel tempo e cercare di contestualizzare il nostro oggetto di indagine,

prendiamo in mano una cele-bre enciclopedia del tempo, un voluminoso repertorio al quale attinsero a piene mani anche i redattori dell’Encyclopedie: Le grand dictionnaire géographi-que et critique di Bruzen de La Martiniere, edito a L’Aja in dieci volumi dedicati al Re di Spagna e stampati dal 1726 al 1739. Qui, al VII tomo, diversi lemmi ci aiutano a ricostruire l’idea che i contemporanei avevano del Mediterraneo. In particola-re, nella Lista dei principali mari del mondo conosciuto, il Medi-terraneo, chiaramente, ha una voce a parte:«grande mare tra l’Europa, l’Asia e l’Africa. Il suo nome significa che si trova in mezzo a delle terre. È separato dall’Oceano dallo stretto di Gibilterra, dal Mar Rosso, dall’Istmo di Suez, e dalla Propontide dallo Stretto dei Dardanelli. Contiene al suo interno diversi Golfi. I principali sono il Golfo di Lione, il Golfo Adriatico, l’Arcipelago e il Golfo di Barbaria. Contiene tre grandi

IMMAGINI DEL MEDITERRANEO FRA XVII E XVIII SECOLO

Rifacendosi alle fonti romane per un nuovo disegno del mare, Delisle dimostra come le

misure riportate dagli “antichi” fossero più rispondenti rispetto a quelle dei geografi moderni

di PAOLO MILITELLO (Professore associato di Storia moderna – Università degli Studi di Catania)

IL CONTRIBUTO DI DELISLE

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penisole, vale a dire l’Italia, la Grecia e l’Anatolia. Le sue isole principali sono: Sicilia, Sarde-gna, Corsica, Maiorca, Minorca, Malta, Corfù, Cefalonia, Zante, Candia e quella moltitudine di isole che sono comprese nella parte di questo mare denomi-nata Arcipelago».

Il carattere della descrizione è prevalentemente geografico ed evidenzia un primo tenta-tivo di ripartizione: in Golfi, se-parati da penisole comunicanti, però, attraverso l’«antica via delle isole» (Maiorca e Minorca, Corsica, Sardegna, Sicilia, Malta e da qui, verso il Levante, Cor-fù, Cefalonia, Zante, Candia e l’Arcipelago). Quasi ogni bacino territorialmente e politicamen-te risulta identificato: è il caso del Mare di Spagna, di quello di Francia o, ancora, di quelli di Genova, di Toscana, di Ve-nezia (detto anche Adriatico) e di Grecia. Meno «politiche» risultano le definizioni di Mare d’Africa e di Mare Ionio, anche se quest’ultimo è poi diviso in Mar di Grecia, Mar di Sicilia, Mar di Calabria ecc.

Tornando alla nostra voce principale, questa rimanda, alla fine (e non a caso), alle più note rappresentazioni cartografiche. Come si è già sottolineato, la Geografia di quest’epoca tenta di «inventariare» il mondo e, nel far ciò, dispone di uno strumen-to che gli è proprio, la carta; è questa che apporta la dimen-sione spaziale a un quadro clas-sificatorio e logico.

Tutti questi elementi si espli-citano, ad esempio, nella carta di notevoli dimensioni che nel 1704 i Sanson fanno stampare presso Jaillot. I titoli sono già abbastanza eloquenti: il primo, in basso a sinistra, dentro un cartiglio, recita: «Il Mar Medi-terraneo diviso nelle sue parti, o Mari, principali»; il secondo, molto più dettagliato, «cele-bra» l’immagine consolidata:

«Il Mare Mediterraneo diviso in Mar di Levante e di Ponente, suddivisi nei loro principali mari dove sono evidenziati i princi-pali Golfi, Capi o Promontori, Porti di mare».[3]

DA DELISLE A BUACHE: UN NUOVO DISEGNODEL MEDITERRANEODal punto di vista cartografico, già nel Seicento del Mediterra-neo si aveva un’immagine ge-

ografica molto simile a quella attuale. Restava, però, un pro-blema: l’esatta determinazione delle coordinate di latitudine e, soprattutto, di longitudine. Era a causa di queste ultime che la maggior parte dei cartografi, se-guendo Tolomeo, attribuivano a questo mare 15 gradi in più da est ad ovest con il risultato di “allungare” la sua immagine.

In tale contesto seppe inse-rirsi una celebre famiglia di ge-ografi, i Delisle, i quali, tessendo legami con ministri, monarchi e studiosi, acquisivano nuovi e importanti canali di informazio-ne per la realizzazione delle loro carte. Figlio di Claude Delisle (celebre professore di geogra-fia e allievo di Nicolas Sanson), Guillaume, dopo aver studiato con Cassini I, produsse, a parti-re dal 1700, globi, mappamon-

di, carte di continenti ecc. Nel 1718 fu nominato «primo ge-ografo del re» con l’incarico di insegnare i rudimenti della ge-ografia al giovane Luigi XV.

Durante la sua attività Guil-laume descrisse minutamente il suo modo di procedere lascian-do numerosi scritti e un note-vole corpus di carte prepara-torie manoscritte. Esaminando

questo materiale, cercheremo di ricostruire il processo che diede avvio alla costruzione di una nuova immagine del Medi-terraneo.

Essendo un géographe de cabinet, Delisle disegnava adoperando innanzitutto le os-servazioni astronomiche e ba-sandosi, poi, sulla raccolta e sul vaglio critico delle informazioni più disparate (relazioni scientifi-che, relazioni di viaggio, opere storiche, indicazioni di misure fornite dalle fonti antiche e in-tegrate da storie locali, ecc.). In ogni caso il nostro geografo re-alizzava le sue carte senza aver visto di persona i territori dise-gnati.

Era, questo, un lavoro inter-pretativo di una certa difficoltà. In un suo Memoire del 1714 sulla Giustificazione delle misure de-gli antichi in materia di geografia Delisle dimostra come le misure dei vari Paesi riportate dagli «an-tichi» e opportunamente con-frontate con quelle derivate dal-le osservazioni dell’Accademia fossero «conformi alla verità», e quindi dovessero servire a cor-reggere le misure dei geografi moderni: «sembrerà senza dub-bio sorprendente che gli Antichi si siano così tanto avvicinati alla verità – esordisce Delisle -, e che i geografi moderni, al contrario, se ne siano tanto allontanati». Nel suo Memoire il geografo rie-sce a dimostrare come le distan-ze itinerarie indicate nelle fonti romane (come la «Tavola teodo-siana» o l’«Itinerario di Antoni-no») tra alcune città, delle quali si conosceva il nome moderno, fossero corrispondenti o, a vol-te, addirittura più esatte delle distanze «determinate in tese per mezzo della geometria più esatta». Da qui l’utilità di queste fonti nella costruzione delle car-te moderne.

Un esempio può farsi pren-dendo in esame «la situazione di Cartagine».

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«Gli autori moderni mettono 90 leghe da Lilibeo promontorio della Sicilia alla città di Cartagine, e 60 da Capo Mercurio in Africa a questo stesso promontorio. Ma io trovo nell’itinerario di Antoni-no che dall’isola denominata Ma-ritima presso Lilibeo fino a Capo Mercurio la distanza non è che di 700 stadi. Ora, questa distanza è più piccola di due terzi rispetto a quella che i moderni suppongo-no tra la Sicilia e l’Africa; ed essa è confermata in generale dalle os-servazioni dell’Accademia».

L’articolo ha, al suo interno, anche una carta esplicativa. È lo stesso Delisle a commentarla: «Per far vedere ad occhio la dif-ferenza che vi è fra gli antichi e i moderni riguardo quei paesi, io ne ho fatto qui una doppia rap-presentazione: in una, marcata con tratti leggeri, rappresento l’Italia seguendo l’opinione della maggior parte dei nostri moder-ni; nell’altra marcata con tratti più forti, io la rappresento secondo le misure degli antichi, conformi, come ho già detto, alle osserva-zioni astronomiche, e in partico-

lare a quelle dell’Academie».Ulteriori aggiornamenti, in-

fine, erano realizzati sulla base delle segnalazioni provenienti dalla fitta rete di corrispondenti sparsi per il mondo. Al contrario di molti suoi contemporanei – fra i quali i celebri eredi Sanson – De-lisle aggiornava costantemente le proprie rappresentazioni car-tografiche. I Delisle dipendevano da questa rete di informazione per l’avanzamento dei lavori; i loro contatti a corte e negli uffi-ci di governo permettevano loro una colletta sistematica e rapida di nuovi dati e l’utilizzo di ulteriori collaborazioni da parte di nume-rosi informatori.[2]

I risultati del lavoro di Delisle furono, per i contemporanei, spettacolari: nel 1700 sul Journal des Savants, a proposito del ca-polavoro che consacra Delisle, il suo globo terrestre del 1699, si legge: «il Mare Mediterraneo è accorciato di 15 gradi, vale a dire 300 leghe (circa 1.200 chi-lometri, ndr) ... attraverso que-sto è facile vedere come tutte la parti d’Europa in generale

devono essere cambiate». Qui il Mediterraneo, in rapporto alle enormi estensioni oceaniche, diventa veramente quella fendi-tura della crosta terrestre, quello stretto fuso che si allunga da Gi-bilterra all’istmo di Suez e al mar Rosso, quel piccolo universo a cui si accennava prima.[4]

Due carte di Delisle, però, sembrano di particolare interes-se. Una è la Carta della Barbaria, della Nigrizia e della Guinea, l’altra la Carta della Turchia, dell’Arabia e della Persia.[5, 6] Qui il Mediter-raneo, infatti, si apre ad aree a lui geograficamente lontane ma, dal punto di vista economico, molto vicine: nella prima, attraverso lo stretto di Gibilterra e i paesi del Maghreb, alle grandi vie oceani-che e all’Africa equatoriale; nella seconda, attraverso l’Islam, ai mercati dell’estremo oriente. È quel Mediterraneo più vasto cui accennavamo prima, che circon-da e avvolge il Mediterraneo in senso stretto; un mare che si pro-ietta verso i tre continenti, allar-gando smisuratamente il proprio spazio. Si delineano nuovi oriz-

zonti: da quelli culturali (è que-sto il secolo di Montesquieu, dei grandi viaggi in Oriente, ecc.) a quelli politico-economici (la sfida coloniale e imperiale francese nel Medio-Oriente e nel continente africano).

L’aspetto interessante, però, nella produzione complessiva di Delisle, è il fatto che, a differenza dei suoi predecessori, questi non realizzò mai una carta espressa-mente e interamente dedicata al Mediterraneo. Ciò viene ancor più dimostrato dal fatto che nel 1733 il suo successore, l’allievo e genero Philippe Buache, prepara-va ancora una Carta del Mediter-raneo ... per far conoscere l’utilità che ci sarebbe nel costruire una nuova carta di questo mare.

L’immagine del Mediterraneo desunta dalle “descrizioni” del XVII-XVIII secolo è, quindi, quella di un grande mare interno, arti-colato però in differenti aree e toccato, nelle sue coste, da Stati e imperi diversi. Un mare nel qua-le l’iniziale idea di unità è man mano stemperata da un’idea di pluralità.

DIDASCALIE1. Earth.2. G. Delisle, [Schizzo preparatorio, inizio XVIII sec.], (Paris, Archives Nationales, Carte et plans, 6JJ, n. 73, III. Italie, n. 215).3. La Mer Mediterranée divisée... par le Sr. Sanson, chez H. Jaillot, 1704 (Bibliothèque Na-tionale de France, Cartes et Plans).

4. G. Delisle, Mappemonde, 1700.5. G. Deslile, Carte de la Barbarie, de la Nigritie et de la Guinée, inizio XVIII sec.6. G. Delisle, Carte de la Turquie, de l’Arabie et de la Perse (ristampa Covens et Mortier, 1742).