il monastero di s.pietro a monteverdi. indagini storico-archeologiche preliminari sui siti di...

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93 1. IL MONASTERO E IL SUO TERRITORIO NELLALTO MEDIOEVO S. Pietro a Monteverdi fu una delle maggiori abba- zie altomedievali della Toscana e sino al Duecento mantenne un ruolo fondamentale per l’inquadramen- to territoriale dell’ampio comprensorio delimitato dal corso dei fiumi Cecina e Pecora (Fig. 1) 1 . Da oltre un decennio è stata riconosciuta su base archeologica nell’attuale podere S. Valentino (loc. Badivecchia poco a sud di Monteverdi Maritti- mo) l’originaria ubicazione dell’abbazia, che sor- se in un sito di mezza costa 2 , probabilmente in corrispondenza delle preesistenti strutture rurali da cui aveva tratto il nome l’unità fondiaria (il casale Palatiolo) entro la quale venne fondato il monastero 3 . Nell’ultimo quarto del XII secolo l’abbazia di S. Pietro venne traslata su una som- mità collinare più elevata, posta un paio di chilo- metri a sud-est di Badivecchia, l’attuale Poggio della Badia, dove si conservano i resti monumen- tali di una chiesa romanica e delle contigue strut- ture conventuali medievali. I due siti costituisco- no oggetti di particolare interesse per l’indagine storico-archeologica, sia in considerazione del ri- lievo assunto dal monastero, sia in relazione alle specifiche vicende topografiche legate alla sua tra- slazione nel XII secolo. Infatti, indagini di scavo in località Badivecchia potrebbero condurre a fon- damentali acquisizioni conoscitive sull’abbazia al- tomedievale e sulle strutture preesistenti, mentre ulteriori ricerche sul Poggio della Badia consenti- rebbero di chiarire le dinamiche legate al trasferi- mento e all’evoluzione del nuovo complesso mo- nastico. Inoltre, la documentazione d’archivio – per la verità piuttosto esigua in rapporto al rilie- vo rivestito dall’ente ecclesiastico – risulta parti- colarmente feconda sul piano della definizione delle dinamiche topografiche e insediative del ter- ritorio limitrofo, anche in virtù della collocazio- ne del monastero in corrispondenza del confine diocesano tra Volterra e Massa Marittima. I primi decenni di vita dell’abbazia benedettina ma- schile di S. Pietro a Monteverdi sono illustrati da tre fonti d’eccezione: si conservano il dettato della cartula dotis, con la quale nel 754 Valfredo, uno dei tre fondatori, concesse al monastero un’ampia do- tazione, il testo della vita Walfredi, un’opera agio- grafica sul medesimo personaggio redatta nei primi anni del secolo IX, ed alcune liste di monaci di Mon- teverdi relative a quest’ultimo periodo provenienti dall’abbazia di Reichenau 4 . Secondo la vita Walfredi, i fondatori sarebbero stati esponenti di spicco della società pisana, lucchese e corsa: il pisano Valfredo – un personaggio che vantava notevoli ricchezze e ave- va esercitato funzioni pubbliche –, il lucchese Gun- dualdo, suo cognatus, e il vescovo Forte, «de insula, que…Corsica nominatur»; i tre, attuando un dise- gno congiunto, fondarono contestualmente anche il monastero femminile di S. Salvatore in Versilia 5 . Dal testo della cartula dotis del 754 risulta che Valfredo donò all’ente ecclesiastico un cospicuo pa- IL MONASTERO DI S. PIETRO A MONTEVERDI INDAGINI STORICO-ARCHEOLOGICHE PRELIMINARI SUI SITI DI BADIVECCHIA E POGGIO DELLA BADIA (SECC. VIII-XIII) 1. Sul monastero cfr., da ultimo, SCHMID 1991 e GIULIANI 2000. Si ringraziano Leo Biondi, Riccardo Francovich, Gian- carlo Gentili, Andrea Giorgi, Stefano Moscadelli, Adriano Peroni. Desideriamo inoltre ricordare Wilhelm Kurze, re- centemente scomparso. 2. Il sito è stato individuato e identificato con la sede abba- ziale altomedievale da Riccardo Francovich attraverso una indagine topografica condotta negli anni Ottanta del XX secolo. Le ragioni dell’identificazione si fondano, oltre che sul rinvenimento di materiali altomedievali, anche su con- siderazioni toponomastiche e sulla possibilità di identifica- re una fonte d’acqua perenne vicina al sito con la sorgente prossima al monastero menzionata nella Vita Walfredi (cfr. KURZE, ZETTLER 1991). 3. Nella documentazione del secolo VIII l’ubicazione del monastero è realizzata attraverso richiami sia al «locus qui vocatur Palatiolo» (MOLITOR 1991; CDL, II, n. 214; CDL, II, nn. 239-240), sia al «locus qui dicitur Monte Virde» (RV, n. 2), facendo presumibilmente riferimento nel primo caso al nome dell’unità fondiaria entro cui venne impiantato e nel secondo ad un comprensorio geografico che poteva de- signare uno spazio diverso e più esteso. La Vita Walfredi re- datta all’inizio del secolo IX mostra che all’epoca il luogo dove venne fondato il monastero veniva indifferentemente designato con i due toponimi (cfr. MIERAU 1991, pp. 40-44). 4. Su tali fonti cfr., anche per i rimandi bibliografici, i sag- gi in SCHMID 1991. 5. MIERAU 1991, pp. 42-44. Sulla duplice fondazione cfr. da ultimo DE JONG, ERHART 2000, p. 112.

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1. IL MONASTERO E IL SUO TERRITORIO

NELL’ALTO MEDIOEVO

S. Pietro a Monteverdi fu una delle maggiori abba-zie altomedievali della Toscana e sino al Duecentomantenne un ruolo fondamentale per l’inquadramen-to territoriale dell’ampio comprensorio delimitatodal corso dei fiumi Cecina e Pecora (Fig. 1) 1.Da oltre un decennio è stata riconosciuta su basearcheologica nell’attuale podere S. Valentino (loc.Badivecchia poco a sud di Monteverdi Maritti-mo) l’originaria ubicazione dell’abbazia, che sor-se in un sito di mezza costa 2, probabilmente incorrispondenza delle preesistenti strutture ruralida cui aveva tratto il nome l’unità fondiaria (ilcasale Palatiolo) entro la quale venne fondato ilmonastero 3. Nell’ultimo quarto del XII secolol’abbazia di S. Pietro venne traslata su una som-mità collinare più elevata, posta un paio di chilo-metri a sud-est di Badivecchia, l’attuale Poggiodella Badia, dove si conservano i resti monumen-tali di una chiesa romanica e delle contigue strut-ture conventuali medievali. I due siti costituisco-

no oggetti di particolare interesse per l’indaginestorico-archeologica, sia in considerazione del ri-lievo assunto dal monastero, sia in relazione allespecifiche vicende topografiche legate alla sua tra-slazione nel XII secolo. Infatti, indagini di scavoin località Badivecchia potrebbero condurre a fon-damentali acquisizioni conoscitive sull’abbazia al-tomedievale e sulle strutture preesistenti, mentreulteriori ricerche sul Poggio della Badia consenti-rebbero di chiarire le dinamiche legate al trasferi-mento e all’evoluzione del nuovo complesso mo-nastico. Inoltre, la documentazione d’archivio –per la verità piuttosto esigua in rapporto al rilie-vo rivestito dall’ente ecclesiastico – risulta parti-colarmente feconda sul piano della definizionedelle dinamiche topografiche e insediative del ter-ritorio limitrofo, anche in virtù della collocazio-ne del monastero in corrispondenza del confinediocesano tra Volterra e Massa Marittima.

I primi decenni di vita dell’abbazia benedettina ma-schile di S. Pietro a Monteverdi sono illustrati da trefonti d’eccezione: si conservano il dettato dellacartula dotis, con la quale nel 754 Valfredo, uno deitre fondatori, concesse al monastero un’ampia do-tazione, il testo della vita Walfredi, un’opera agio-grafica sul medesimo personaggio redatta nei primianni del secolo IX, ed alcune liste di monaci di Mon-teverdi relative a quest’ultimo periodo provenientidall’abbazia di Reichenau 4. Secondo la vita Walfredi,i fondatori sarebbero stati esponenti di spicco dellasocietà pisana, lucchese e corsa: il pisano Valfredo –un personaggio che vantava notevoli ricchezze e ave-va esercitato funzioni pubbliche –, il lucchese Gun-dualdo, suo cognatus, e il vescovo Forte, «de insula,que…Corsica nominatur»; i tre, attuando un dise-gno congiunto, fondarono contestualmente anche ilmonastero femminile di S. Salvatore in Versilia 5.Dal testo della cartula dotis del 754 risulta cheValfredo donò all’ente ecclesiastico un cospicuo pa-

IL MONASTERO DI S. PIETRO A MONTEVERDI

INDAGINI STORICO-ARCHEOLOGICHE PRELIMINARI SUI SITI DI

BADIVECCHIA E POGGIO DELLA BADIA (SECC. VIII-XIII)

1. Sul monastero cfr., da ultimo, SCHMID 1991 e GIULIANI

2000. Si ringraziano Leo Biondi, Riccardo Francovich, Gian-carlo Gentili, Andrea Giorgi, Stefano Moscadelli, AdrianoPeroni. Desideriamo inoltre ricordare Wilhelm Kurze, re-centemente scomparso.

2. Il sito è stato individuato e identificato con la sede abba-ziale altomedievale da Riccardo Francovich attraverso unaindagine topografica condotta negli anni Ottanta del XXsecolo. Le ragioni dell’identificazione si fondano, oltre chesul rinvenimento di materiali altomedievali, anche su con-siderazioni toponomastiche e sulla possibilità di identifica-re una fonte d’acqua perenne vicina al sito con la sorgenteprossima al monastero menzionata nella Vita Walfredi (cfr.KURZE, ZETTLER 1991).

3. Nella documentazione del secolo VIII l’ubicazione delmonastero è realizzata attraverso richiami sia al «locus quivocatur Palatiolo» (MOLITOR 1991; CDL, II, n. 214; CDL,II, nn. 239-240), sia al «locus qui dicitur Monte Virde» (RV,n. 2), facendo presumibilmente riferimento nel primo casoal nome dell’unità fondiaria entro cui venne impiantato enel secondo ad un comprensorio geografico che poteva de-signare uno spazio diverso e più esteso. La Vita Walfredi re-datta all’inizio del secolo IX mostra che all’epoca il luogodove venne fondato il monastero veniva indifferentementedesignato con i due toponimi (cfr. MIERAU 1991, pp. 40-44).

4. Su tali fonti cfr., anche per i rimandi bibliografici, i sag-gi in SCHMID 1991.

5. MIERAU 1991, pp. 42-44. Sulla duplice fondazione cfr.da ultimo DE JONG, ERHART 2000, p. 112.

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Fig. 1 – Ubicazione del monastero altomedievale e del castello di Monteverdi.

trimonio, assai rilevante nei territori vicini alla sedemonastica, ma esteso anche nel Pisano, in Versilia,in val di Serchio e in Corsica; successivamente, altriatti privati testimoniano il persistere del prestigiodell’ente monastico, che sino ai primi decenni delsecolo IX incrementò il proprio patrimonio in terri-torio volterrano, mantenendo anche il controllo dibeni posti nelle aree più lontane 6. Sin dall’origine

l’abbazia di S. Pietro intrattenne rapporti culturali ereligiosi con quella di S. Vincenzo al Volturno e inetà carolingia era in stretto contatto con il monaste-ro di Reichenau 7. Infine, sebbene non si abbianoindicazioni risolutive in merito, è presumibile chegià in questo periodo fosse direttamente subordina-

6. Cfr. i riferimenti in GIULIANI 2000, p. 19 e MDL, V/3,app., n. 1763, pp. 635-636: 853 gennaio 4.

7. Sui legami con Reichenau ed i monasteri d’oltralpe e suirapporti con S. Vincenzo al Volturno cfr. LUDWIG 1991;MIERAU 1991, p. 46; SIEDE 1997, pp. 497-500 e VIOLANTE

1991, p. XVI.

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ta alle strutture di vertice della Chiesa di Roma e delRegno d’Italia 8.

Per quanto sia incauto istituire relazioni dirette traricchezza del monastero e consistenza delle sue strut-ture architettoniche, nel valutare il potenziale archeo-logico del sito di Badivecchia dobbiamo tener pre-sente che l’abbazia di S. Pietro a Monteverdi si con-figurò come uno dei maggiori centri monastici dellaTuscia altomedievale, una grande abbazia rurale,ubicata lontano dai centri urbani. Sotto il profiloinsediativo, il monastero assunse ben presto un pesonotevole: secondo la lettura incrociata della vitaWalfredi e degli elenchi monastici provenienti daReichenau, già negli anni Sessanta del secolo VIIIl’abbazia contava poco meno di 60 monaci, saliti acirca 140-160 all’inizio del secolo IX 9. Tra l’altro,anche le informazioni sull’assetto del monastero al-tomedievale provenienti dalle fonti agiografiche egli stessi rinvenimenti archeologici effettuati aBadivecchia ci inducono a ipotizzare l’esistenza diun complesso architettonico ampio e articolato.Secondo la vita Walfredi la chiesa di S. Pietro ven-ne edificata ex novo attorno alla metà del secoloVIII e probabilmente presso un luogo di culto pre-esistente, come sembra indicato dalla denomina-zione di “Fons Sanctus” utilizzata per una sorgen-te, le cui acque vennero incanalate verso il mona-stero 10. Attorno al 764 11, la tomba monumentaledi Valfredo (progettata, in punto di morte, dallostesso abate) sarebbe stata collocata nel chiostromonastico per essere utilizzata in occasione di pro-cessioni rituali, come emerge anche dallacontinuatio della vita Walfredi relativa all’inizio delIX secolo 12. Fonti successive fanno riferimento allapresenza nel sito di Badivecchia di altre sepolturealtomedievali, per le quali è ipotizzabile una qual-che dotazione epigrafica: secondo una testimonian-za duecentesca, al momento della rituale distruzio-ne degli altari della chiesa di S. Pietro in occasionedella sua traslazione di XII secolo si aveva chiara

percezione (forse, appunto, per la presenza di iscri-zioni tombali) che nell’area cimiteriale monasticaerano stati seppelliti molti vescovi volterrani 13.In conclusione, a prescindere dalla possibilità diriferire proprio ad alcuni degli elementi menzio-nati nelle fonti scritte certi frammenti lapidei pro-venienti dal sito di Badivecchia 14, dall’esame del-le fonti d’archivio possiamo desumere la presenzanella località di una chiesa e di un chiostro, cuierano associate residenze monastiche in grado diospitare circa 150 persone e presso la quale veni-vano inumati elementi sociali di spicco, quali i pre-suli di Volterra.

R.F.

2. IL MONASTERO ALTOMEDIEVALE A BADIVECCHIA:ELEMENTI DELL’ARREDO LITURGICO ED UN PASSO

DELLA VITA WALFREDI

Il rinvenimento in località Badivecchia di materialialtomedievali, assieme ad altri pertinenti all’età clas-sica, ha indotto ad identificare il luogo con la sededel cenobio di S. Pietro, detto appunto in Palatiolo,fondato alla metà dell’VIII secolo 15. Dato il ruoloattribuito al materiale rinvenuto, merita dedicare adesso la dovuta attenzione, cercando di contribuiread una corretta collocazione cronologica, nonché diriconoscerne la destinazione d’uso. Lo studio deglielementi lapidei rinvenuti assume ulteriore interesseanche in considerazione del fatto che manca a tut-t’oggi un quadro generale, e prima ancora un censi-mento, della produzione scultorea altomedievale nel-l’ambito del territorio in cui era ubicato il monaste-ro, la Val di Cornia, e più generalmente nel contestodella limitrofa diocesi di Populonia-Massa 16.Il primo elemento lapideo (Fig. 2) preso in esamerisulta mutilo nella parte inferiore e misura cm56,5×21,5×12,5 17. La superficie appare nel recto

8. GERCHOW 1991, pp. 203-204 ha individuato sin dal mo-mento della fondazione di S. Pietro alcuni indizi di rappor-ti con il Papato, esplicitamente attestati solo dalla fine delsecolo XI (cfr. infra). D’altro canto, SCHNEIDER 1975, pp.331-333 ipotizza l’esistenza sin dai primi decenni di vitadel monastero di un rapporto con la Corona d’Italia atte-stato esplicitamente dal 1014.

9. Cfr. MIERAU 1991 e LUDWIG 1991, pp. 136-143.

10. Per l’inserimento dei grandi monasteri altomedievali diS. Antimo e di S. Salvatore al Monte Amiata in luoghi sacridi lunghissima tradizione, connessi nel primo caso con ilculto delle acque, cfr. i riferimenti in BONUCCI 1991 e DAL-LAI, CAMBI 2000.

11. Sulla data di morte di Valfredo cfr. LUDWIG 1991, pp.133-134.

12. Si veda il dettato della Vita in MIERAU 1991, pp. 50, 58-62. Si vedano anche le considerazioni in ZETTLER 1991 e iltesto di Riccardo Belcari in questo stesso contributo.

13. Il testo documentario, edito in MORI 1987-88, 1991,1992, pp. 171-172, fa specifico riferimento alla presenzadei sepolcri di “multi episcopi (Vulterrani)” in un contestoteso ad esaltare i rapporti tra cenobio ed episcopato di Vol-terra.

14. Cfr. infra il contributo di Riccardo Belcari.

15. Relativamente all’identificazione del sito si veda KURZE,ZETTLER 1991, nonché quanto scritto in questo stesso con-tributo da Roberto Farinelli.

16. Sull’argomento si veda in questo stesso volume il con-tributo di chi scrive.

17. L’elemento è attualmente conservato nel palazzo comu-nale di Monteverdi Marittimo; dobbiamo alla gentilezza delsindaco Leo Biondi la possibilità di condurre un esame autop-tico, nonché di realizzare l’opportuna documentazione foto-grafica. Per una prima segnalazione di questo e degli altri ele-menti presi in esame, KURZE, ZETTLER 1991. Il pilastrino èstato ricordato anche in CIAMPOLTRINI 1991c, p. 47 e nota 39,ove l’autore afferma di averlo fotografato negli anni Settanta.

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regolarmente spianata con l’ausilio di uno strumen-to a lama piana ed opportunamente levigata conpolveri abrasive. L’elemento è inoltre privo di deco-razione ad eccezione della parte sommitale dove,delimitato da una semplice rincassatura e tra dueteorie di fuseruole, si trova un motivo a nastro bina-to intrecciato, includente bottoni lisci. Pur non es-sendo di fattura estremamente grossolana, si regi-stra l’avvenuta trasformazione delle fuseruole in piat-te sagome ormai neanche più ovoidali e degli anelliin piccole forme cilindriche; il motivo decorativomanca inoltre di una vera e propria rifinitura super-ficiale. Anche la parte retrostante, precedentementesbozzata, risulta spianata, seppure priva di levigatu-ra. Con uno strumento a punta (3 mm) sono stateinoltre realizzate le due scanalature laterali larghe3,5 cm che corrono, a 9 cm dalla sommità, per tuttoil resto dell’elemento (Fig. 3). Sono invece da impu-

tarsi ad una recente verniciatura le strisce biancheorizzontali riconoscibili sul prospetto.Si tratta a ben vedere di un pilastrino che potreb-be plausibilmente essere stato pertinente ad unarecinzione presbiteriale o piuttosto ad un recintocorale, certo da considerarsi, per la presenza lun-go le due facce laterali di scanalature verticali, ele-mento intermedio della recinzione stessa, comun-que atto ad ospitare due lastre-plutei dello spes-sore di 3 cm circa 18.

18. Le recinzioni o transenne, chiusure di pietra che servi-vano da limite al coro dei monaci o dei canonici riuniti pergli uffici religiosi o i canti sacri, oltre a separare l’altare daifedeli, ebbero un grande sviluppo nelle chiese monastichee nelle cattedrali. Formate da lastre di pietra (plutei) uniteper mezzo di graffe o di incastri, si prestavano particolar-mente ad ospitare i motivi decorativi della scultura orna-mentale.

Figg. 2-3 – Pilastrino con doppio nastro intrecciato e fuseruole, seconda metà VIII-inizio IX secolo. MonteverdiMarittimo (Pisa), Palazzo comunale. 2) Recto; 3) Scanalatura laterale.

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della Pieve di S. Marco di Rigoli (Pisa) (Fig. 4),considerata da Ciampoltrini «uno dei più notevo-li momenti scultorei toscani d’età longobarda» edatata alla fine dell’VIII secolo 20.Sulla base della tipologia e del repertorio decorati-vo e tenendo conto delle vicende del monastero èpertanto possibile fissare per il pilastrino una col-locazione cronologica a partire dalla seconda metàdell’VIII secolo, coerentemente alle date di fonda-zione (752-753) ed al conseguente atto di dotazio-ne (754). Più precisamente, sarà possibile conside-rare il manufatto prodotto tra gli ultimi decennidell’VIII e l’inizio del IX secolo, datazione in ac-cordo sia con la realizzazione del primitivo ceno-bio, sia con i possibili ampliamenti degli edifici erifacimenti di alcuni elementi d’arredo che potreb-bero essersi precocemente verificati in seguito alnotevole aumento del numero dei monaci, all’ini-zio del IX secolo 21. La non elevata qualità dell’ele-mento d’arredo non pare contrastare con la consi-stenza economica del monastero attestata in queglistessi anni, essendo questa apparente contraddizioneriscontrabile anche altrove, persino in casi in cui ècomprovato il rango regio dei monasteri stessi 22.Dallo stesso luogo provengono, inoltre, una colon-nina frammentaria in marmo bianco (cm 91,5×77),attualmente ubicata nei pressi della vegetazionedove si avverte la presenza di un crollo, ai marginidel piazzale antistante il podere S. Valentino, edaltre tre analoghe colonnine circolari lisce (cm140×75), reimpiegate all’ingresso della modernaabitazione, in migliore stato di conservazione dellaprima, anche se in tutti i casi prive della base ocomunque della parte inferiore del fusto, che ap-pare ben levigato. In due casi è visibile anche il col-larino, formato da un doppio anello, su cui in ori-gine si impostava il capitello, che possiamo ipotiz-zare, sulla base di confronti tipologici, di circa 20

19. CIAMPOLTRINI 1991b, pp. 61-63 e foto 12, 14-15. I varielementi dell’arredo si trovano, oltre che presso il MuseoArcheologico della Maremma (GR), reimpiegati nel para-mento della chiesa di S. Martino di Batignano e nel podereSerpaio di Roselle. In particolare, in quest’ultimo caso adun nastro binato annodato includente bottoni è associatal’iscrizione-firma dell’artefice, il magester Iohannes.

20. Per entrambe le opere citate, cfr. CIAMPOLTRINI 1991a,pp. 42-43 e 47, che inserisce la seconda nel quadro del cd.“rinascimento liutprandeo”. Riferimenti stilistici ad operedella plastica di età longobarda, in particolare di ambitolucchese, rendono evidente il contesto di appartenenza. Perla fioritura artistica in età liutprandea (712-744), cfr. PE-RONI 1984, p. 282. La collocazione cronologica della vascaè stata più recentemente spostata al periodo tra fine VIII eprimi decenni IX da DUCCI 1995.

21. Stando alla testimonianza dell’agiografo, sotto il terzoabate del monastero, Andrea, il numero dei monaci sareb-be passato da 60 a 160, per cui cfr. Vita Walfredi in SCHMID

1991, pp. 48 e 52 e la continuatio, ancora in SCHMID 1991,p. 58. Pur non prendendo alla lettera il numero riferito, ildato è comunque significativo di un notevole incrementodelle presenze nel complesso monastico.

22. È il caso, per esempio, dell’abbazia della Novalesa, ca-ratterizzata da modesti edifici in età carolingia, quando ècerta la pertinenza regia, in confronto ad altre grandi real-tà, come S. Vincenzo al Volturno, per cui cfr. CANTINO

WATAGHIN 2000, p. 210. Per la situazione economica delmonastero di S. Pietro a Monteverdi nell’altomedioevo, cfr.GIULIANI 2000, pp. 19-20.

Il motivo del nastro intrecciato includente botto-ni, pressoché canonico per la decorazione di frontee fianchi di pilastrini, transenne ed altro, trovaconfronti con molti elementi d’arredo e di deco-razione architettonica, tra i quali si ricorderanno,limitatamente a questa parte della Tuscia, le com-ponenti dell’arredo liturgico proveniente dalla cat-tedrale di Roselle, collocabili nell’ultimo quartodell’VIII secolo 19. Per i casi, cronologicamente piùcircoscritti ancorché ampiamente documentati, incui il medesimo motivo del nastro intrecciato in-cludente bottoni compare abbinato all’altro dellefuseruole, risultano fruttuosi, ancora in questoambito, i confronti con la lastra proveniente dallachiesa di S. Giusto a Volterra, ora al Museo Guar-nacci, ed in particolare con la vasca battesimale

Fig. 4 – Decorazione a nastro intrecciato e fuseruole,particolare frontale di vasca battesimale, metà VIII-inizio

IX secolo. Rigoli (Pisa), Pieve di S. Mauro.

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cm di altezza e forse di tipo quadrangolare (Fig. 5).Colonne di questa tipologia sono coerenti con ladatazione proposta per l’elemento precedente (fineVIII-inizi IX secolo). Le dimensioni relativamenteridotte sono inoltre tali da fare ritenere le quattrocolonnine pertinenti ad un elemento d’arredo piut-tosto che riconoscerne un ruolo genericamente ar-chitettonico: forse troppo grandi per essere riferitead un chiostro, potrebbero ipoteticamente esserericondotte, per esempio, ad un ciborio. In questosenso possono essere richiamati confronti con quel-lo di S. Maria di Sovana, proveniente dalla catte-drale di quella sede vescovile, uno dei pochi ciboriintegri per il periodo VIII–IX secolo 23.Il monastero di S. Pietro ebbe, come già visto 24,rapporti con altri importanti cenobi della penisola,uno per tutti quello di S. Vincenzo al Volturno, maanche, tra la fine dell’VIII ed il IX secolo, con quel-lo di Reichenau sul lago di Costanza, con il qualeesisteva un legame di confraternita, rapporti cheassicurarono evidentemente notevoli scambi e pre-senze esterne. Nonostante la posizione isolata, con-tatti dovevano del resto sussistere con la stessa cit-tà di Lucca, nel cui distretto civile si trovava ilmonastero al momento della fondazione (Palatioloiudicaria lucense), nonché con i confinanti territo-ri diocesani di Volterra e Populonia e persino conle località dove erano ubicati i possedimenti del

cenobio (Pisa, Val di Serchio, Corsica), tali da assi-curare la possibilità di entrare in possesso di unlessico comune, partecipando della medesima koinèculturale. Tali rapporti evidentemente consentiro-no, da una parte la presumibile costruzione di edi-fici in pietra, dall’altra la realizzazione degli arredie del resto della decorazione architettonica, assicu-rando, insieme alla diffusione di un sapere empiri-co, la possibilità di disporre di un repertorio figu-rativo, quand’anche la presenza di codici, le cuiminiature sono notoriamente considerate una del-le fonti possibili per la circolazione di motivi deco-rativi, sia stata esigua 25.Assieme ai materiali fin’ora presi in esame sonostati rinvenuti nella zona ed in particolare nellamedesima località Badivecchia, alcuni elementiascrivibili ad età classica, in primo luogo rocchi dicolonne granitiche di dimensioni maggiori di quel-le sopra descritte. I resti delle colonne sono at-tualmente ubicati presso il podere S. Valentino,all’esterno della chiesa di S. Andrea a Monteverdie persino riutilizzati per il monumento ai Cadutidella Grande Guerra realizzato nel 1924 (Fig. 6).Può presupporsi che il cenobio sia stato effetti-vamente impiantato sul luogo precedentementeoccupato da una villa romana, come induce a ri-tenere lo stesso toponimo Palatiolus, fatto noninfrequente e verificatosi, per esempio, anche nelcaso del monastero di S. Vincenzo al Volturno 26.Dovrà essere inoltre valutato un eventuale ruolodi questi elementi nel contesto del monastero al-tomedievale, potendone forse presupporre un re-impiego, in qualità di spolia 27, non come generi-co materiale da costruzione, ma mantenendonel’identità di funzione originaria. Se ciò apparemolto probabile per le colonne, più articolate sonole possibilità relative all’ara dedicata alla dea Bel-lona, attualmente ubicata nella chiesa di S. An-drea a Monteverdi, che possiamo ipotizzare pro-

23. In particolare, rivelano corrispondenze le misure dellecolonne ed è possibile riscontrare, anche nel caso di Sova-na, la presenza di un analogo collarino sul quale si impo-stano i capitelli. Questi ultimi costituiscono con la colonnaun unico elemento (monoliti).

24. Cfr. quanto scrive Roberto Farinelli in questo stessocontributo.

25. Si fa riferimento in particolare al fatto che nel Duecen-to risulta scarsa la presenza, in questo monastero, di ma-noscritti e codici, per cui cfr. GIULIANI 2000, p. 38 e nota158. Chi scrive ritiene però che ciò sia imputabile a proba-bili dispersioni, verificatesi in concomitanza con la deca-denza del monastero, e non esclude per i primi secoli divita del cenobio tutt’altro scenario.

26. Nel caso di S. Vincenzo al Volturno è stata appuratal’esistenza, nel sito occupato dal monastero, di un ampioinsediamento di età tardosannitica/altorepubblicana, cui siavvicendarono nel tempo strutture diverse, finanche unavilla sorta sulle rive del fiume Volturno, per cui cfr. ROMA-NINI 1987, p. 489. Per la costruzione dei primi edifici mo-nastici sulle rovine dell’insediamento tardoromano abban-donato, cfr. MITCHELL 2000, p. 353.

27. La vastità della letteratura critica sull’argomento riflettel’ampiezza del fenomeno, cfr. per ultimo, ESCH 1999. Perl’uso di spolia in sede di progettazione nel contesto di uncomplesso monastico altomedievale, cfr. HODGES, MARAZZI,MITCHELL 1995, p. 67. Per il caso di S. Vincenzo al Volturnosi veda anche il più recente CASTELLANI 2000, pp. 304-308.

Fig. 5 – Colonna e particolare di un collarino, secc. VIII-IX. Monteverdi Marittimo (Pisa), Loc. Badiavecchia,

Podere S. Valentino.

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veniente anch’essa dalla località Badivecchia. Inparticolare, l’ara marmorea potrebbe avere avuto,nel contesto del monastero, un ruolo da associarealla presenza della sorgente descritta nella Vita,quale, per esempio, fontana lustrale, e forse solo inun successivo momento essere stata ulteriormentereimpiegata come fonte battesimale 28.

Detto ciò, merita un’attenta lettura la Vita Walfredi,relativamente al passo in cui è lo stesso abate adindicare il luogo dove realizzare la propria sepol-tura, fornendone, particolare non trascurabile, undisegno realizzato su una tavoletta di cera. Dalladescrizione del disegno, effettuata dall’agiografo,otteniamo alcune preziose indicazioni. Così nellaVita: «In medio claustro monasterii ibi me sepelite.Nam tabulam insertam cera ferri iussit, in qua tabulaipse manibus suis sepulchrum designans, et supersepulchrum modicum cenaculum; in quo cenaculoin utrasque partes arcus habentur, ut transeuntesfratres suis memoriam facere deberent» 29.Al di là del topos agiografico dell’abate che indicail luogo della propria sepoltura 30, ed oltre al rico-noscimento di un ruolo di inventio all’abate-com-mittente, quasi un altro topos per la riflessionestoriografica 31, la Vita registra una prassi, forse

non così eccezionale, per cui la realizzazione diun progetto architettonico – di questo si tratta nelcaso di un sepolcro, anche se di fattura modesta –prevedeva l’ausilio di modelli e semplici disegni,utili quanto meno a fissare il momento che abbia-mo definito dell’inventio, se non proprio a servi-

28. Per l’ara (cm 94×86×84) dedicata dal liberto imperia-le Donax alla dea Bellona e riferibile alla fine del I-inizi IIsecolo d.C., cfr. KURZE, ZETTLER 1991, p. 93, CIAMPOLTRINI

1994-1995, pp. 598-603, e più recentemente MOGGI 2000,pp. 1-4.

29. Per l’edizione della Vita Walfredi si veda MIERAU 1991.Il testo edito in quell’occasione risale al XII secolo, ma l’ar-chetipo dal quale esso deriva risale al IX secolo, al tempodel terzo abate del monastero, Andrea, autore della Vita,per cui KURZE, ZETTLER 1991. Per la tomba di Valfredo, cfr.inoltre ZETTLER 1991.

30. Nella Candidi vita Eigilis abbatis fuldensis si dice chel’abate Eigil di Fulda (+822), una volta individuato nellaparte orientale del cimitero il luogo per la propria sepol-tura, iniziò a scavare per primo. Poi preparò (fece prepara-re) un sarcofago nel quale chiese di essere seppellito almomento della propria morte. Anche Wynnebaldo (+762),fondatore del monastero di Heidenheim, fu sepolto in unsarcofago novo che era stato approntato molti anni primadella sua morte. Su entrambi cfr. ZETTLER 1991, pp. 101-102 e nota 18; sulla Vita Eigilis e le informazioni in questafornite relativamente all’attività architettonica ed artisticapromossa nel monastero di Fulda, cfr. inoltre TOSCO 1996,pp. 24-28, p. 33 e note 50-51; TOSCO 1997, p. 55.

31. Spesso, interpretando alla lettera le testimonianze cheattribuiscono ad abati e vescovi una paternità per certecostruzioni e conseguentemente un generico ruolo di “ar-chitetto”, i compiti attinenti la progettazione e la supervi-sione dei lavori per la realizzazione di edifici e progettiarchitettonici sono ritenuti di esclusiva pertinenza di que-ste figure o di altri religiosi, trascurando che le fonti su cuisi basano queste attribuzioni non intendono porre l’accen-to sugli aspetti tecnici, bensì sul significato religioso, poli-tico e culturale, per cui cfr. BOZZONI 1991. Sul rapportocommittente-costruttore tra VIII e IX secolo vedi anche ilcontributo di Giovanna Bianchi in questo stesso volume.Per il periodo successivo (XI secolo) esistono casi docu-mentati per i quali il ruolo di abate-committente-architet-

to appare quantomeno più delineato, come per Guglielmoda Volpiano, che durante i lavori al Saint Benigne di Digio-ne (1001 ca.), «magistros conducendo et ipsum opusdictando», indicava le norme tecniche da seguire, o perl’abate Desiderio di Montecassino, che si premurò di ac-quistare colonne di spoglio sul mercato romano e che negliaffreschi di S. Angelo in Formis fu raffigurato con un mo-dello della chiesa da lui fatta edificare, per cui cfr. COPPOLA

1999, pp. 46, 58; su Guglielmo da Volpiano cfr. ancheTOSCO 1997, pp. 100-108.

Fig. 6 – Colonna di reimpiego. Monteverdi Marittimo(Pisa), Monumento ai Caduti della Grande Guerra.

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re alla progettazione effettivamente seguita dagli ar-tefici 32. Siamo pertanto di fronte alla testimonianzadi una pratica che oltre all’utilizzo di modelli archi-tettonici, affidava a supporti dalla durata effimera,tra i quali le tavolette cerate saranno certo state tra ipiù comuni, la trasmissione di un’idea. La naturastessa dei supporti ha comportato l’assenza direttadi questo tipo di testimonianze 33. Come attesta Pli-nio (Naturalis Historiae, 35, 145), l’uso di modelliartistici risale all’epoca antica ed è documentatodurante l’intero arco del medioevo. Dopo alcuniesempi frammentari, essenzialmente costituiti dacompilazioni di motivi decorativi, il primo libro dimodelli giunto integro per il medioevo è ascrivibi-le al IX secolo. Costituisce inoltre un unicum perl’altomedioevo la celebre pianta di S. Gallo (830ca.), realizzata su richiesta dell’abate Gozberto, evi-dentemente intenzionato ad esercitare un control-lo progettuale, in cui viene offerta un’importantetestimonianza di un complesso monastico poi ef-fettivamente realizzato, ma in questo caso siamo difronte a molto più che un disegno schematico 34.La tomba voluta dallo stesso Valfredo, della qualesi parla nella Vita, era destinata a tramandare lamemoria del fondatore e primo abate del mona-stero. È una sepoltura che diviene luogo di pre-ghiera e di culto, ove chiedere l’intercessione permiracoli che riguardano i singoli e la collettivi-

tà 35. È opportuno ricordare l’uso di realizzare tom-be “privilegiate” in monasteri coevi, cui affidareil compito di mantenere memoria, come nel casodi quelle di Giosuè (792-817) e Talarico (817-823),abati a S. Vincenzo al Volturno e responsabili ri-spettivamente dell’inizio della costruzione dellanuova chiesa di S. Vincenzo Maggiore nonché del-l’ampliamento della città monastica l’uno e dellaconclusione dei lavori della cripta l’altro 36.La sepoltura dell’abate Talarico, in particolare, èposta contro il muro frontale della chiesa e consi-ste in una struttura accuratamente costruita, copertada un massiccio blocco di pietra. Successivamentealtre tombe furono costruite nei pressi di questa.Le pareti della tomba erano state intonacate e di-pinte e caratterizzate inoltre da iscrizioni che evi-dentemente attestano un uso del tempo per cui lascrittura, le lettere incise o come in questo casodipinte, oltre lo specifico significato, sono parteintegrante dell’apparato decorativo e del sepolcrostesso. Per quanto riportato nella Vita, anche la tom-ba di Valfredo avrebbe dovuto ospitare, in pariete,versi filosofici, nelle intenzioni del suo successore,l’abate (e committente) Gundualdo, dissuaso nel-l’intento da febbri miracolose che prontamente sva-niscono al cessare di tali tentativi, e che sono spie-gate dall’agiografo con il rifiuto della vanagloria,già manifestato durante la propria vita da parte dellostesso Valfredo 37.La Vita fornisce un’ulteriore e precisa indicazio-ne: «in medio claustro monasterii ibi me sepelite»,così avrebbe disposto Valfredo. Dunque nel chio-stro, ossia nel centro del monastero, nel nucleoprimo sul quale si basa la distribuzione spazialedegli edifici ed intorno al quale ruota la vita del-l’intero cenobio 38. La tomba di Valfredo connotail monastero dove si trova come luogo della me-moria, al pari di altri casi, come S. Vincenzo alVolturno, dove tutto è ribadito da epigrafi, iscri-

32. La testimonianza è sicuramente valida per il XII seco-lo, epoca alla quale risale il testo della Vita Walfredi editoin SCHMID 1991, ma se, come sembra, è possibile ricono-scere per l’archetipo da cui il testo della Vita deriva unadatazione all’inizio del IX secolo, dovrà essere ritenutavalida anche per questo orizzonte cronologico.

33. Durante l’altomedioevo sia il disegno di progetto chequello “esecutivo” erano di norma tracciati su supporti nonpermanenti e riutilizzabili, come le tavolette di cera, usateper la prima stesura dei testi scritti. A fronte delle scarsetestimonianze al proposito è possibile citare il testo diAdamnano (+ 740), De locis sanctis, dove l’autore affermadi avere registrato su tavoletta cerata i ricordi di viaggio delvescovo delle Gallie Arculfo, il quale «formulam [SanctiSepulcri] in tabula cerata…depinxit», ed inoltre precisa chetutti e quattro gli edifici religiosi raffigurati nel manoscrittoerano stati preventivamente disegnati su tavoletta dallo stessoArculfo, per cui cfr. PRACCHI 1996, p. 10 ed inoltre PAGELLA

2002, p. 474. Per i secoli successivi (XI-XIII) non mancanoinvece esempi di semplici disegni, inerenti particolari solu-zioni architettoniche o relativi alla decorazione, tracciati di-rettamente sul paramento o sull’intonaco degli edifici, spes-so in scala 1:1, cfr. COPPOLA 1999, p. 62. Molti di questicasi, però, sono interpretabili come una vera e propria gui-da all’esecuzione, ossia uno «strumento di dialogo internoal cantiere, fra artigiani diversi», come li ha recentementedefiniti Aurora Cagnana, per cui cfr. CAGNANA 2000, p. 393.

34. Per la pianta di S. Gallo, cfr. HORAT 1991, pp. 186-190;KESSLER 1996, pp. 491-496; PRACCHI 1996, pp. 8-10; TOSCO

1996, p. 23, p. 32 e nota 35; BRENK 2000, pp. 17-18, 21, 35;BORGHERINI 2001, pp. 11, 26-27 e nota 4; PAGELLA 2002, pp.476-477. Per il caso particolare della raffigurazione, specie inpitture e mosaici, di modelli architettonici offerti dagli stessicommittenti nel gesto della dedicatio e che presentano alcuneplausibili rispondenze con gli edifici realizzati, cfr. PERONI

1974, pp. 685-687.

35. Cfr. in SCHMID 1991, pp. 58-63, la continuatio, in par-ticolare per il miracolo di Valfredo che salva il cenobio dalledistruzioni seguite allo sbarco della «nefandissima gensMaurorum ex Mauritania», che invece non avrebbero ri-sparmiato Populonia.

36. Per le sepolture degli abati Giosuè e Talarico, cfr.MITCHELL et al. 1997, p. 316. Nella camera centrale dellacripta, in due nicchie profonde poste in prossimità di im-portanti reliquie, i due abati furono inoltre commemoraticon pitture murali che li ritraggono in posizione di oranti.

37. Cfr. la Vita Walfredi, in SCHMID 1991, cap. XII, p. 54,in particolare il passo «…conatus est aliquos philosophicefactos versiculo, ad laudem ipsius super eius sepulchrum inpariete describere…».

38. Cfr. ROMANINI 1987, pp. 448-450. Le abbazie, pur ca-ratterizzate nel corso del tempo da grande varietà, presen-tano anche costanti, quali, per esempio, la presenza di unoo più cortili interni, di memoria, santuari o ipogei, nei pressidei quali sorgono strutture devozionali differenti, come areecimiteriali, martyria o sepolture caratterizzate da partico-lare venerazione.

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zioni dipinte, persino ritratti. La sepoltura rivesteun importante ruolo per i miracoli del santo, ri-volti esclusivamente alla comunità monastica. Tuttii miracoli si svolgono infatti in prossimità dellatomba, o in seguito a preghiere e richieste di in-tercessione effettuate sulla tomba.Tutto ciò rende assai probabile che altre sepolturesi siano addossate nei pressi del sepolcro, secon-do l’uso comune di seppellire ad sanctos 39.Per il momento non è possibile dire di più, ricor-dando solo per inciso il rinnovato utilizzo, perl’epoca, di sepolture ad arcosolium, destinate apersonaggi degni di una certa importanza, comeattestato, per esempio, ancora una volta a S. Vin-cenzo al Volturno 40. La parte inferiore di questaparticolare tipologia di sepolture, come avvienenel caso di quella ubicata nel Battistero di Alben-ga, databile tra la fine dell’VIII e l’inizio del IXsecolo (Fig. 7), è talora costituita da lastre scolpi-te sorrette da pilastrini, con modalità ed apparato

decorativo del tutto analoghi a quelli impiegatinelle recinzioni corali e presbiteriali coeve, men-tre la parte superiore, sormontante il sepolcro,consiste in un arco scolpito ed addossato ad unaparete, sulla quale spesso erano ospitate iscrizionie decorazioni dipinte 41.

I frammenti rinvenuti e le altre considerazioni, per-tanto, attestano l’esistenza di un edificio religioso,che dobbiamo pensare corredato di arredo liturgicolapideo e dotato di chiostro, nel sito di quello che,con ogni probabilità, dovette essere il primitivomonastero di S. Pietro detto in Palazzuolo. Proprionel chiostro, nella seconda metà dell’VIII secolo, fuseppellito, in una sepoltura destinata a perpetuarnela memoria e presto circondata da altre, il fondatoree primo abate del cenobio. L’esecuzione di ulterioriindagini archeologiche, nonché l’eventuale rinveni-mento di altri elementi lapidei, potrebbero contri-buire alla ricostruzione dell’arredo dell’edificio reli-gioso altomedievale, e forse ad illuminare ulterior-mente sulla presenza della sepoltura “privilegiata”dell’abate Valfredo 42.

R.B.

39. Durante i lavori effettuati per erigere le fondamentadella nuova abitazione in località Badivecchia sono staterinvenute, assieme ad alcuni degli elementi lapidei dei qualisi è trattato in questo contributo, alcune lastre di pietrapertinenti ad una sepoltura; altre tombe, orientate est-ovested appartenenti all’area cimiteriale, tagliata in occasionedella costruzione della casa, furono inoltre rinvenute in oc-casione dello scasso per l’impianto di una nuova vigna, percui cfr. KURZE, ZETTLER 1991.

40. Nella cripta della chiesa di S. Vincenzo Maggiore, edi-ficio consacrato nell’808, una rientranza era destinata adospitare una tomba ad arcosolium, di tipologia analoga alletombe di alcuni anni più tarde rinvenute nella cripta del-l’abate Epifanio (824-842), successore di Talarico, per cuicfr. HODGES, MARAZZI, MITCHELL 1995, p. 57.

41. Per la sepoltura di Albenga si veda almeno HUBERT,PORCHER, VOLBACH 1968, p. 31, foto 269 e relativo com-mento.

42. In questo senso si ritiene utile riportare quanto affermatodallo stesso Kurze nella discussione che seguì il nostro inter-vento al Convegno del novembre 2000, relativamente all’esi-stenza di almeno un ulteriore elemento lapideo “reimpiega-to” in un moderno caminetto di un’altra abitazione della zona,elemento che non abbiamo avuto il privilegio di osservare.

Fig. 7 – Sepoltura ad arcosolio, fine VIII-inizi IX secolo. Albenga, Battistero. Da HUBERT, PORCHER, VOLBACH 1968.

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3. NOTE SULL’ASSETTO INSEDIATIVO ED

ECONOMICO DEL TERRITORIO DI MONTEVERDI

NELL’ALTO MEDIOEVO

Al momento della sua fondazione, l’abbazia bene-dettina venne ubicata entro la vasta exclave ma-remmana dipendente sul piano dell’amministra-zione civile da Lucca 43, e, in particolare, proprioin corrispondenza della fascia territoriale che nelsecolo IX sappiamo essere tornata a costituire illimite tra i comprensori delle città di Populonia edi Volterra, come lo era stata già in età etrusca eromana 44. La fondazione in un’area prossima adun confine diocesano, fatto del tutto comune peri maggiori monasteri rurali toscani, rappresentònel caso di S. Pietro un dato particolarmente rile-vante, anche sul piano della produzione di fontidocumentarie utili alla lettura delle dinamicheinsediative locali.Ci preme, infatti, utilizzare i documenti orientatia definire le prerogative dei due episcopati perraccoglierne preziose indicazioni topografiche,altrimenti assenti nei testi provenienti dall’anticoarchivio abbaziale.Il testo più antico è rappresentato da una bollapontificia del 20 novembre 1074 45 mediante laquale venivano determinati a favore del vescovodi Populonia gli «episcopatus fines et possessiones»;esso costituisce, piuttosto che una confinazionein senso stretto, un elenco di diritti rivendicati dalvescovo ai margini della propria diocesi. I confinidell’episcopato giungevano ad Sanctum Petrum,identificabile con il monastero di S. Pietro aMonteverdi, ente monastico sul quale il ponteficeromano dichiara di esercitare un dominio diretto(in quo persido). Il limite dell’episcopato e dei suoipossedimenti toccava poi S. Giovanni, il Gualdumdonni regis e giungeva ad Sanctum Philippum perpoi proseguire nuovamente alla volta di MontemViridem. La confinazione tra le diocesi di Volterrae Populonia contenuta negli atti di un arbitratodatabile tra il 1212 ed il 1239 rappresenta un te-sto più facilmente interpretabile dal punto di vi-sta topografico per la linearità del percorso segui-to, che definisce l’ambito dei due episcopati comeuno spazio territorialmente coerente. Secondo il

dettato di questo documento il limite tra le duediocesi correva lungo una linea di crinale sino agiungere «ad sanctum Filippum supra Monteviride»e quindi si dirigeva «ad campum de abbate deMassera» 46.Dall’esame dei due documenti emerge un assettotopografico piuttosto articolato: nel comprensoriodi Monteverdi avevano sede, oltre al monastero diS. Pietro, la chiesa di S. Filippo e la chiesa di S.Giovanni – menzionata in documenti duecenteschicome pieve di S. Giovanni a Monteverdi –, e questitre centri religiosi erano ben distinti tra di loro sulpiano della collocazione topografica.È opportuno soffermarsi sulla chiesa di S. Filippopoiché certamente preesistente alla fondazione del-l’abbazia di S. Pietro: nella cartula dotis del 754 siafferma, infatti, che il monastero venne ad impian-tarsi nell’ambito del casale situato in locus qui vocaturPalatiolo, una struttura di gestione fondiaria cui per-teneva appunto anche la basilica sancti Filippi. Almomento della fondazione, Valfredo non mutò de-stinazione alla basilica di S. Filippo, di cui non eral’unico proprietario, ma scelse di erigere la nuovachiesa monastica in un sito di mezza costa, mentrela chiesa preesistente (e le abitazioni del casale chein qualche misura potevano essersi radunate attor-no ad essa) era già andata a collocarsi ad una quotapiù elevata, su una sommità collinare forse distintada quella occupata dal castello romanico (la confi-nazione di primo Duecento giungeva, infatti, «adsanctum Filippum supra Monteviride»). Pertanto idati documentari sembrano supportare l’ipotesi inbase alla quale già prima del secolo VIII si produs-sero evidenti manifestazioni del fenomeno di risa-lita sulle alture degli insediamenti, altrimenti atte-stato su base archeologica per contesti vicini dellaToscana meridionale.

Passando a considerare il più generale contesto ter-ritoriale entro il quale venne fondato il monastero,torniamo a insistere sulla fisionomia periferica as-sunta nell’alto medioevo dalle terre circostantiMonteverdi, lontane dalle realtà urbane e contras-segnate da estese foreste di pertinenza pubblica.Per l’età romana è stato ipotizzato un intenso sfrut-tamento delle ingenti risorse boschive locali inconnessione alle attività metallurgiche sviluppa-tesi sulla costa tirrenica per il trattamento del mi-nerale ferroso elbano 47.

43. Secondo SCHNEIDER 1975, p. 331, al momento dellafondazione di S. Pietro il territorio in cui sorse era forsedipendente anche sul piano ecclesiastico da Lucca.

44. In base agli studi sulla determinazione del confine delmunicipium romano di Volterra, la sua ubicazione in que-st’area sembra da retrodatare sino all’epoca classica. Cfr.,da ultimo, TERRENATO 1998; CIACCI 2000. Riguardo all’etàmedievale si veda invece CECCARELLI LEMUT 1985.

45. DCM, 1075 novembre 20, edito in PFLUGK, HARTTUNG,II, n. 160, pp. 124-125.

46. MORI 1987-88, 1991, 1992, pp. 171-172, cfr. ancheRV, n. 575.

47. Indizi sulla natura eminentemente silvo-pastorale del-l’economia del circondario di S. Pietro in età romano-im-periale sono emersi dall’analisi di una iscrizione conserva-ta nell’attuale parrocchiale di Monteverdi dedicata da unliberto imperiale qualificato come mensor (cfr. CIAMPOLTRI-NI 1994-1995, pp. 598-603 e MOGGI 2000). Tra i più con-

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Questa organizzazione produttiva risulta comple-tamente scardinata in età longobarda, sebbene adessa sia ancora riconducibile la massiccia presen-za di beni regi, ducali e, in certa misura, anche diterre della Chiesa di Lucca o di aristocratici chedetenevano cariche civili di spicco, quali lo stessoValfredo 48. Indicatori documentari e archeologicispingono, infatti, a ritenere che la principale atti-vità economica della regione in età altomedievalefosse rappresentata dall’allevamento 49, e anche ilpatrimonio fondiario trasmesso da Valfredo all’ab-bazia di Monteverdi in prossimità della sede mo-nastica risulta fortemente contrassegnato dal-la diffusione dell’incolto e della pastorizia 50. Delresto, un riferimento a forme di transumanza dimandrie equine e bovine che avrebbero svernatonelle terre di S. Pietro a Monteverdi è stato giàevidenziato in una delle due versioni della cartuladotis del 754, e ha indotto a ipotizzare uno spo-stamento autunnale di bestiame dall’Appenninosettentrionale alla valle del Cornia 51.A questo proposito occorre premettere che lacartula dotis del 754 ci è giunta in due copie indi-pendenti, giudicate non posteriori al secolo XI: laprima (DCM, 754 luglio) presenta un testo piùbreve, che la generalità degli studiosi ha reputatopiù vicino all’originale, la seconda (DRM, 754luglio), contrassegnata da un testo più esteso, vie-ne ritenuta copia di un testo interpolato 52.

A nostro giudizio la questione andrebbe megliochiarita: a prescindere dalla datazione delle duecopie pervenuteci, emerge che esse si rifanno adue exempla indipendenti, entrambi autenticati dalnotaio Illo, dei quali il più esteso (DRM, 754 lu-glio, contenente il riferimento alla transumanza)ci pare caratterizzato dall’intento di riprodurrequanto più fedelmente possibile il testo esempla-to, mentre l’altro (DCM, 754 luglio, che il notaioIllo «fideliter exemplavit, litteris plus minus») pre-senta un testo più vicino alle regole del latino clas-sico e anche più sintetico, poiché in esso mancanoalcuni brani – in genere inessenziali – e passi pococomprensibili per il deterioramento della perga-mena esemplata 53.Più specificamente, l’ipotesi che il passo riferitoalla transumanza presente solo in DRM, 754 lu-glio, sia frutto di una interpolazione di uno deitre originali della cartula dotis depositato pressoil monastero femminile di S. Salvatore di Versiliaci sembra piuttosto fragile 54. Innanzitutto, tale pre-sunta interpolazione avrebbe dovuto essere pre-cedente al 1014, anno in cui S. Salvatore non erapiù un monasterium, bensì una semplice chiesa,perdipiù inserita nel patrimonio di S. Pietro aMonteverdi 55. Inoltre, sia DCM che DRM sonoconfluiti nell’archivio diplomatico del comune diMassa Marittima provenendo dall’archivio delmonastero di S. Pietro ed entrambe le versioniebbero per modello esemplari dell’atto altomedie-

vincenti assertori di un nesso tra la presenza di ampi bo-schi fiscali e le attività metallurgiche di età romana si vedaFIUMI 1943.

48. Sulla diffusione di patrimonio regio nell’area a sud diMonteverdi cfr. FARINELLI 1997, pp. 27-28 nota 16. Nellavita Valfredo è definito ad iustitiam rectus, in iuditio veraxviene presentato come un personaggio che nella vita laicaera stato investito di un rilevante incarico pubblico (VIO-LANTE 1991, pp. XIV-XV).

49. FARINELLI, FRANCOVICH 1992; FARINELLI 2000. Su alcuniindicatori archeologici di allevamento suino provenienti daCampiglia Marittima, sito posto ai margini occidentali del-l’area in questione, si veda il contributo di Frank Salvadoriin BIANCHI c.s.

50. Per la presenza di peculiae donicatae e di pastores quieas depascunt entro i complessi fondiari di Palatiolo (Mon-teverdi) e Castanieto (Castagneto Carducci) tra i beni cedutinel 754 da Valfredo al monastero cfr. l’edizione di DCM,754 luglio in MOLITOR 1991; inoltre, secondo la vita Walfredial momento del trapasso di Valfredo sarebbe stata udita unamusica celestiale non solo dai monaci di S. Pietro ma anche«a pastoribus ipsius monasterii animantia foris pascentibus»(MIERAU 1991, p. 52). Cfr. VIOLANTE 1991, p. XIV.

51. Cfr., da ultimo, VIOLANTE 1991, p. XIV; WICKHAM 1985,pp. 431-433; WICKHAM 1997, pp. 34-35 e VIOLANTE 2000.

52. Per la datazione e l’edizione delle due versioni cfr.SCHIAPARELLI 1929, n. 116, pp. 337-352 e MOLITOR 1991.Il giudizio di una maggior aderenza all’originale della ver-sione più breve venne espresso in SCHIAPARELLI 1929, pp.337-339 ed è stato ripreso in forme più sfumate e meglioarticolate in MOLITOR 1991; in particolare, il brano rela-tivo alla transumanza presente solo nella versione più este-sa è stato ricondotto a un’interpolazione successiva da stu-diosi che si sono occupati del suo contenuto specifico,

quali Cinzio Violante, Pierre Toubert e Chris Wickham(cfr. WICKHAM 1997, p. 33 nota 13 e, da ultimo, VIOLANTE

2000).

53. Le differenze tra i due testi che comportino implicazio-ni rilevanti sono l’inserimento nella copia più breve (DCM,754 luglio) di un riferimento al controllo di Monteverdisul monastero corso di S. Pietro “in Accio”, assente invecein DRM, 754 luglio e la mancata menzione in DCM, 754luglio dell’esclusivo diritto di ordinazione dell’abate in capoal vescovo di Volterra, che qui – a differenza di DRM, 754luglio – non figura neppure tra i cinque quoepiscopi cuiveniva rimesso il controllo sull’elezione abbaziale. Ritenia-mo aperta pure la questione dell’autenticità dei brani dellacartula del 754 relativi ai diritti dell’episcopato volterranosul monastero di S. Pietro, anche in considerazione dei rap-porti tra monastero e cattedra volterrana: Tommaso vesco-vo, riconoscibile nel presule di Volterra, è infatti uno deicinque episcopi che inaugurano con Valfredo abate la piùantica lista di Reichenau e testimonianze successive fannoriferimento a inumazioni di numerosi vescovi volterranipresso l’abbazia di S. Pietro (Cfr. LUDWIG 1991, pp. 136-137 e supra nota 13).

54. L’ipotesi è ventilata in MOLITOR 1991 e in VIOLANTE

2001, sulla base di un passo dell’atto del 754 ove si affer-ma che una copia della cartula sarebbe stata conservata nel«monasterio domini Salvatoris, ubi abbas Gadisteo essevidetur»; sulla scia di SCHWARZMAIER 1972, p. 25 e KURZE

1991 riteniamo più probabile che il monastero menziona-to sia identificabile con S. Salvatore di Sesto ove nel 773era abate tale Godistheus; sulla complessa questione cfr.anche le considerazioni in HASDENTEUFEL, RÖDING 1991.

55. Cfr. MGH, D H II et A, n. 285, pp. 337-339 eHASDENTEUFEL, RÖDING 1991

104

vale stesi da Illo che si sottoscrisse «notarius donniinpertatoris», utilizzando una formula insolita pri-ma della metà del secolo X. Riteniamo, perciò,poco probabile che Illo abbia esemplato due co-pie distinte dell’atto conservate negli archivi didue diverse istituzioni religiose, preferendo ipo-tizzare che il notaio abbia steso due versioni concaratteristiche diverse del medesimo documento– dalle quali ebbero poi origine i due esemplarioggi conservati –, e che quindi il passo relativoalla transumanza fosse presente già nel modelloesemplato da Illo (forse l’originale del 754) e nonfrutto di successiva interpolazione 56.Ad ogni modo, considerazioni di altra natura sol-levano forti dubbi sul fatto che il brano riferitoalla transumanza testimoni effettivamente formedi migrazione stagionale di bestiame «dalla Versi-lia alla Val di Cornia». Infatti, Valfredo stabilì chel’abate di S. Pietro avrebbe dovuto consentire ilpascolo invernale di bestiame equino e bovino neimedesimi prati in cui si nutrivano le mandrie delproprio monastero, senza tuttavia indicare alcunalocalità specifica, né per la provenienza né per ladestinazione. Poiché nulla sappiamo sulla distri-buzione del patrimonio fondiario di S. Salvatoredi Versilia (che possiamo supporre prevalentemen-te concentrato presso la sede monastica versilie-se) e poiché la presenza fondiaria altomedievaledi S. Pietro a Monteverdi è altresì ben documen-tata proprio nella Toscana settentrionale, se ne puòdedurre che il brano in questione non alluda ne-cessariamente a spostamenti di bestiame dalla Ver-silia alla Val di Cornia, bensì che concerna formedi transumanza su distanze più brevi, realizzatenell’ambito della Toscana del nord, dai possedi-menti montani di S. Salvatore a quelli di pianuradi S. Pietro.

R.F.

4. IL NUOVO MONASTERO SU POGGIO DELLA BADIA.LE RAGIONI DELLA TRASLAZIONE

La traslazione del monastero di S. Pietro a Mon-teverdi sul Poggio della Badia è illuminata da fon-ti documentarie piuttosto esplicite, tra le qualispicca la documentazione prodotta allo scopo di

dirimere le discordie tra i vescovi di Massa Marit-tima e di Volterra in merito all’ubicazione del con-fine diocesano, che interessarono anche l’abbazia.Ai decenni iniziali del Duecento risalgono alcuniatti relativi a un arbitrato volto alla determinazio-ne dei diritti sulle chiese dei castelli di Montever-di e di Castiglion Bernardi. Tra le testimonianzedi parte volterrana contenutevi, si afferma cheMatteo, canonico di Volterra, presenziò in rap-presentanza della chiesa cittadina all’atto della«translatio monasterii de Monteverdi»; tale tra-sferimento – compiuto certamente prima del 1220,quando il testo di una vendita descrive il mona-stero di S. Pietro come ubicato «in podio quodvocatur Pradium» – si svolse attorno al 1180, poi-ché il medesimo canonico è altrimenti attestatodocumentariamente solo tra il 1179 e il 1184 57. Iltestimoniale relativo all’azione del canonico Mat-teo allude specificamente alla traslazione dell’edi-ficio ecclesiale di S. Pietro, riferendo delle opera-zioni necessarie «pro mutatione facienda», checonsistevano anche nel provvedere «ad fragendaaltaria pro reliquiis» e nell’individuare le sepoltu-re di uomini illustri, forse per valutare l’opportu-nità di una loro nuova inumazione nell’erigendoedificio religioso ubicato su un sito diverso. Aquesto riguardo, l’analisi archeologica delle strut-ture leggibili in elevato sul sito di Poggio dellaBadia prospetta un quadro del tutto coerente eapporta ulteriori elementi conoscitivi sul trasferi-mento del monastero. Infatti, emerge con chia-rezza che la struttura architettonica più antica delcomplesso di Poggio della Badia è rappresentatadalla chiesa, le cui parti originarie sono riferibiliappunto alla seconda metà del XII secolo; solouna volta ultimata la chiesa, il piano costruttivocomplessivo mutò e si intraprese l’erezione, inadiacenza all’edificio cultuale, di strutture fortifi-cate pertinenti al monastero 58.

Sulla base delle fonti documentarie, possiamo rite-nere esaurita la fase di realizzazione degli ambienticonventuali alla metà del Duecento, poiché unatestimonianza coeva descrive il saccheggio del mo-nastero menzionandone il recinto septa e, al suointerno, la camera dormitorii. Alla luce di questenotizie, possiamo interpretare le testimonianze re-lative all’alienazione del patrimonio monastico ealla contrazione di debiti effettuate dagli abati du-rante i primi decenni del secolo non solo come in-dice di una crisi dell’ente monastico, ma anche comeprovvedimenti necessari per affrontare le ingenti

56. Ci induce a ritenere che i due exempla autenticati daIllo abbiano avuto un medesimo modello anche il fatto chealcune parti della copia più estesa poco comprensibili e piùlacunose per un presumibile deterioramento del modellosono completamente omesse nella copia più breve e che inquesta siano stati corretti alcuni errori dell’originale (fe-delmente riprodotti invece nella copia più lunga) perché sene riconobbe l’origine da un fraintendimento nello scio-gliere abbreviazioni tachigrafiche.

57. La documentazione relativa è analizzata in GIULIANI

2000, pp. 30-31.

58. Cfr. il contributo di Giovanna Bianchi in questo stessotesto.

105

spese connesse alla costruzione del monastero for-tificato 59. Analogamente, potremmo attribuireall’opera di ricostruzione seguita al saccheggio –anch’essa riscontrabile su base archeologica –, lacontrazione di ulteriori debiti e la cessione di di-ritti patrimoniali da parte degli abati di Monte-verdi, dei quali abbiamo testimonianza nuovamen-te negli anni 1257-1258 60. Altri agganci documen-tari a possibili interventi di ristrutturazione delmonastero risalgono al 1282, quando il comunedi Volterra concesse ai monaci una somma di de-naro per costruire una nuova sede entro il castel-lo di Monteverdi, e al 1360, quando il monasterovenne danneggiato dai soldati pisani in guerracontro Firenze; infine possiamo considerare deltutto improbabile il compimento di consistenti in-terventi edilizi presso le strutture di Poggio dellaBadia dopo il definitivo trasferimento dell’entemonastico entro l’abitato di Monteverdi, che sem-bra essere seguito all’autorizzazione concessa nel1561 da papa Pio IV 61.

Più in generale, possiamo tentare una contestualiz-zazione delle due prime fondamentali fasi costrut-tive del complesso architettonico, collocandole nelquadro delle vicende locali che coinvolsero le for-me del dominio sugli uomini e sul territorio.Il progetto di traslazione della chiesa, attuato at-torno al 1180, fu concepito e si concretizzò in unperiodo contrassegnato dall’azione portata avantidalle città di Volterra, Massa Marittima e Pisa, che,in concorrenza tra loro, miravano ad assicurarsistrumenti di controllo su Monteverdi e sul terri-torio circostante. Nella contingenza, la scelta delsito di Poggio della Badia come nuova sede delmonastero fu forse connessa anche alla volontà disegnare un distacco dalla sede diocesana masseta-na e per rafforzare i legami con la Chiesa di Vol-terra, individuando un’altura posta, verosimilmen-te, entro i confini diocesani di quest’ultima città.Tuttavia, essa esprime soprattutto l’esigenza di af-fermare un dominio più efficace, anche sul pianosimbolico, da parte dello stesso monastero sui duecastelli di Monteverdi e Canneto 62 e sull’itinera-rio di transumanza che ne attraversava i territo-

ri 63, poiché dal sito della nuova sede abbaziale que-sti tre elementi cadevano sotto un più efficace ediretto controllo visivo rispetto alla precedenteubicazione di Badivecchia.Tuttavia, anche su questo terreno più limitato l’azionedei monaci si rivelò ben presto insufficiente: l’edifi-cazione del convento fortificato, cronologicamentedi poco successiva alla fondazione della chiesa, maeffettuata secondo modalità non contemplate nel-l’originario piano di fondazione, si colloca entro unquadro già profondamente mutato, in cui la crisi delleforme di dominio signorile del monastero su terre euomini ha già raggiunto il cuore stesso del suo patri-monio, sollecitando una ulteriore accelerazione nelriassetto delle forme di esercizio del potere abbazia-le. A partire dai primi anni del Duecento, infatti, èdocumentata la rinuncia all’esercizio di diritti signo-rili sulla generalità dei centri lontani dal monastero,per i quali il controllo da parte dei monaci era og-gettivamente più difficoltoso, a fronte di un impe-gno sempre più intenso e contrastato verso il con-trollo delle popolose comunità di castello di Monte-verdi e Canneto 64. Sul dominio signorile di questidue centri si impernia il potere del monastero sinoal suo declino di metà Duecento; ciò nonostante, iredditi patrimoniali provenienti dai due castelli con-tinuarono a costituire la base economica dell’abba-zia ancora per secoli, sino alla soppressione del ce-nobio in età moderna.

R.F.

5. L’ANALISI DEGLI ELEVATI DI POGGIO ALLA

BADIA. CONSIDERAZIONI PRELIMINARI

Malgrado il pessimo stato di conservazione di tuttele strutture appartenenti al complesso monastico,l’analisi delle tecniche murarie congiunta a quelladelle stratigrafie degli elevati consente al momen-to di formulare delle preliminari ipotesi relativeal processo di formazione dell’insediamento, dasottoporre a verifica in un augurabile futuro pro-getto di ricerca di più ampio respiro.Tra i fabbricati attualmente analizzabili la chiesarisulta sicuramente quello più antico (Fig. 10).L’edificio si caratterizza per una planimetria di-rettamente rapportabile a quella delle chiese ab-baziali composte da un’unica navata terminante

59. Sulle vicende del monastero durante i primi decennidel XIII secolo cfr. GIULIANI 2000, pp. 30-38.

60. Cfr. GIULIANI 2000, p. 38 e ALUNNO 2000, pp. 68-71.

61. REPETTI 1833-1846, I, p. 20; MORETTI p. 88.

62. È significativo che una serie di sottomissioni di castellial comune di Volterra realizzate nel 1204 interessò nume-rosi castelli del Volterrano su cui l’abbazia rivendicava for-malmente diritti signorili, ma solo per Monteverdi e Can-neto la sottomissione venne subordinata al consenso del-l’abate (cfr. RV, nn. 260-264, 267, 271-272). Più in gene-rale, sui rapporti tra i castelli abbaziali ed il comune diVolterra nel XIII secolo cfr. ALUNNO 2000.

63. Una ipotesi ricostruttiva di tale itinerario elaborata su basearcheologica è stata proposta in FONTANA, MIRANDOLA 1997.

64. Proprio tra abate e comunità di Monteverdi e Cannetoscaturirono violenti conflitti attestati a partire dal 1250 eculminati nel 1253 con il saccheggio del monastero effet-tuato da «vassallos et homines suos et alios convicinos» (cfr.ALUNNO 2000).

106

in un transetto di notevoli dimensioni provvistodi una sola abside semicircolare (Fig. 8). Dellastruttura originaria rimane l’abside, parte del tran-setto sud-est insieme ad una porzione della nava-ta sud-occidentale. Nel transetto sono ancora vi-sibili due finestrelle strombate con scorniciaturein corrispondenza degli archivolti e dell’impostadei piedritti. Il paramento murario è costituito dagrossi conci di calcare alberese perfettamente squa-drati e spianati superficialmente con subbia al cen-tro del concio e scalpello ai suoi bordi (Fig. 9a).Le dimensioni dei conci tendono a diminuire spo-standosi verso le porzioni superiori dell’edificio.L’apparecchiatura muraria si caratterizza per l’as-soluta regolarità della posa in opera con giunti eletti di posa di ridotte dimensioni.I particolari della tecnica muraria uniti a quelli dialcuni elementi architettonico-decorativi, oltre allecaratteristiche planimetriche, sembrano riportaread un medesimo ambito di maestranze di deriva-zione pisana, che oltre a questa operarono anchenelle pievi di S. Giovanni a Campiglia e S. Giustoa Suvereto, centri posti non lontano da Monte-

verdi 65. Questo accostamento porta ad ipotizzareper il nostro edificio una cronologia vicina a quelladelle pievi sopracitate, riferibile alla seconda metàdel XII secolo, che del resto sembra raccordarsialle dinamiche di trasferimento dei monaci dal mo-nastero altomedievale (cfr. precedenti paragrafi).Possiamo supporre che alla costruzione della chiesafossero coeve probabili abitazioni dei monaci, forseprovvisoriamente edificate in materiale deperibi-le o in pietra, di cui attualmente non resta tracciaa causa delle successive trasformazioni.In un momento di poco successivo, ascrivibile allaprima metà del XIII secolo, forse in conseguenzadei rapporti tesi con i possedimenti dei vicini Pan-nocchieschi, che sfociarono nel 1252 in un pienoattacco da parte di questi ultimi al monastero, imonaci decisero di fortificare l’intera struttura.Con questo obiettivo fu di conseguenza costruitoun recinto difensivo di forma quadrangolare, im-

65. A tale proposito si veda il contributo di BELCARI in que-sto volume.

Fig. 8 – Planimetria del monastero di S. Pietro (Poggio della Badia).

107

mediatamente adiacente la navata nord della chiesa(Fig. 8). Alla stessa fase corrispose anche l’innal-zamento di una torre di forma quadrangolare inparte appoggiata, in parte inserita all’interno deltransetto nord, parzialmente modificato in con-seguenza di questa operazione. Date le caratteri-stiche dell’edificio, da Moretti interpretato cometorre campanaria 66, si può anche ipotizzare unafunzione prettamente difensiva.All’interno del recinto si trovavano vari edificicostruiti direttamente appoggiati a quest’ultimo,come nel caso delle due costruzioni attualmentevisibili, coeve al circuito difensivo (Fig. 8).La tecnica muraria impiegata prevedeva l’impie-go di conci in calcare alberese di medie e piccoledimensioni, posti con apparecchiatura abbastan-za regolare, sommariamente squadrati e rozzamen-te rifiniti (Fig. 9b) secondo un tipo di sapere clas-sificato da Mannoni proprio del muratore e nondello scalpellino 67, a cui invece sono rapportabilile strutture della chiesa. Una tecnica quindi cheriporta all’impiego di maestranze non propriospecializzate, legato forse alla necessità di costrui-re in fretta delle difese che si riveleranno al piùpresto necessarie nell’attacco del 1252.

Dal momento che la chiesa si trovava in parte ester-na al recinto è probabile che fu questa poi ad es-sere maggiormente danneggiata nel corso dell’at-tacco. In questo modo si spiegherebbero i rifaci-menti di parte della navata sud-est che si caratte-rizzano anche per l’impiego di una particolare tec-nica. Il paramento infatti fu ricostruito utilizzan-do un filare di pietre in calcare alternato a due dimattoni posti per fascia (Fig. 9c). Tale bicromia,presente in particolare nel territorio senese a con-fine con quello maremmano si diffuse soprattuttonel corso del XIII secolo, quando la ritroviamo fre-quentemente applicata anche nella stessa Siena 68.E probabilmente a maestranze provenienti da que-sta area geografica fu affidato il compito di re-staurare le strutture danneggiate.Una seconda fase di ristrutturazione si deve poicollocare nel tardo XIV secolo, a seguito forseanche in questo caso di danneggiamenti subiti nelcorso di un attacco pisano avvenuto nel 1360.Le caratteristiche della tecnica impiegata nel rifa-cimento di parte della navata nord-est e in partedel transetto riportano a questo scorcio di secoloe alla chiamata di muratori non troppo specializ-zati che ricostruirono riutilizzando molto mate-riale (sia conci in pietra sia mattoni) insieme a pie-

66. MORETTI, STOPANI 1970, p. 88.

67. MANNONI 1997, pp. 16-20. 68. MORETTI, STOPANI 1982; BIANCHI, PARENTI 1991.

Fig. 9 – Tavola riassuntiva delle principali tecniche murarie.

a b

dc

108

tre non lavorate poste con apparecchiatura irre-golare (Fig. 9d).

G.B.

6. CONCLUSIONI

In questo contributo è stata presa in esame docu-mentazione archeologica e scritta perlopiù già notaaffrontando, attraverso una lettura incrociata ditipi diversi di fonte, la ricostruzione della fisiono-mia architettonica dei due siti occupati dal mona-stero di S. Pietro, nel quadro del più generale con-testo insediativo e socio-economico medievale delterritorio di Monteverdi, durante i secoli VIII-IXe XII-XIII secolo.Riguardo al monastero altomedievale, ubicato inloc. Badivecchia, le analisi sulla tradizione scrittae sui materiali rinvenuti in loco concorrono a ri-costruire un complesso architettonico di rilievo,entro il quale la tomba del santo fondatore assun-se un ruolo centrale nel perpetuare la memoriamonastica. Più in generale, gli elementi raccoltiinducono a inquadrare S. Pietro tra le principalifondazioni monastiche della Tuscia longobarda,perfettamente inserito, sia sul piano delle mae-stranze presenti che su quello dei rapporti cultu-rali e religiosi, nell’ambito delle maggiori abbaziealtomedievali d’Italia, pur non essendo documen-tariamente accertata per una fase così risalente lafisionomia di monastero regio. In attesa di piùapprofondite indagini archeologiche, per il terri-torio di Monteverdi possiamo rilevare le sugge-stioni provenienti dalle fonti d’archivio che por-tano a ipotizzare una risalita di quota degli inse-diamenti nucleati realizzatasi prima della metà delsecolo VIII e un’economia silvo-pastorale, che nelbasso medioevo risulta caratterizzata dall’alleva-mento transumante a lungo raggio.Per quanto concerne il complesso monastico edifi-cato sul Poggio della Badia, fonti archeologiche edocumentarie concorrono nel definire due princi-pali momenti costruttivi, corrispondenti alla costru-zione della chiesa e alla successiva edificazione delmonastero fortificato, entrambi compiuti nell’arcodel cinquantennio successivo al 1180. I consistentiinterventi edificatori realizzati in questo sito furo-no accompagnati da un profondo riassetto delle for-me di esercizio del potere signorile da parte del-l’abate di S. Pietro realizzatosi nell’arco di una odue generazioni e indicano che il centro monasticosi dimostrava ancora capace di esprimere una luci-da progettualità di azione sul territorio, sorretta dauna forza politico-economica non trascurabile. Per-tanto, sembra da rivedere una diffusa opinione sto-riografica, efficacemente riassunta dalle parole con

le quali nel 1991 Cinzio Violante introdusse il vo-lume su S. Pietro a Monteverdi curato da KarlSchmid, secondo la quale si trattò di un monasterodi «non grande importanza» perché, anche a causadella sua esposizione alle incursioni saracene e nor-manne, fu «sempre insidiato dal vescovo di Volter-ra e dai conti Gherardeschi e Aldobrandeschi e in-fine dai Pannocchieschi […] non impegnato diret-tamente in vicende politiche […] solo oggetto dipreda per i potenti vicini» 69.Anche alla luce delle indagini storico-archeologi-che sul territorio (in particolare queste prelimina-ri sull’area di Monteverdi e quelle su Donoratico,ove S. Pietro vantò a lungo consistenti diritti 70),una riconsiderazione della documentazione d’ar-chivio sembra indicare che dall’VIII al XII secolol’abbazia esercitò, seppur in rapporto dialetticocon altri soggetti, un potere rilevante sui suoi ampipossessi, mentre il controllo delle terre monasti-che entrò profondamente in crisi solo dopo la metàdel XII secolo, quando ai rapporti a tratti conflit-tuali con le forze signorili locali, si sovrappose ilprorompente espansionismo delle città di Volter-

69. VIOLANTE 1991.

70. Sui primi risultati delle indagini archeologiche a Do-noratico cfr. BIANCHI, FRANCOVICH 2000.

Fig. 10 – Prospetto del transetto destro della chiesa.

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ra, Pisa e Massa Marittima. In altri termini, nonemergono a nostro giudizio elementi tali da sup-portare l’ipotesi che la decadenza di S. Pietro aMonteverdi sia stata più profonda o più precocerispetto ad altri grandi monasteri rurali della To-scana meridionale; mentre, a nostro giudizio, l’oc-casionale dispersione dell’antico archivio mona-

stico sembra all’origine dell’accennata tendenzastoriografica ad esprimere giudizi troppo “pessi-mistici” sulle vicende del monastero.

R.F.

RICCARDO BELCARI, GIOVANNA BIANCHI,ROBERTO FARINELLI

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