il contratto di credito ai consumatori nella nuova disciplina comunitaria

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Archivio selezionato: Dottrina IL CONTRATTO DI CREDITO AI CONSUMATORI NELLA NUOVA DISCIPLINA COMUNITARIA Europa e dir. priv., fasc.3, 2009, pag. 785 Lara Modica Classificazioni: CONTRATTI BANCARI - Apertura di credito Sommario: 1. Premessa. - 2. Causa di credito e finalità di consumo. - 3. Definizione e disciplina del collegamento negoziale. - 4. Le fattispecie escluse. - 5. Informazioni e pratiche preliminari alla conclusione del contratto. - 6. a) Informazione pubblicitaria. - 7. b) Informazioni precontrattuali. - 8. c) Verifica del merito creditizio e rischio di sovraindebitamento. - 9. La forma del contratto ed il suo contenuto. - 10. Lo ius poenitendi del consumatore. - 11. Scioglimento del contratto a durata indeterminata su iniziativa unilaterale di uno dei contraenti. - 12. Portata ed effetti della «piena» armonizzazione: la delega al Governo di cui alla legge comunitaria 2008. 1. Sulla scorta del duplice dichiarato presupposto di un incremento costante del ricorso al credito da parte dei consumatori - per il tramite di strumenti sempre più sofisticati e «pericolosi» - e di una diversità di legislazioni interne che comporta in taluni casi distorsioni della concorrenza tra creditori all'interno della Comunità, il Parlamento europeo ha approvato la direttiva 2008/48/CE relativa ai contratti di credito ai consumatori, sostitutiva della precedente direttiva 87/102/CE, e destinata a modificare gli articoli 121 s. del testo unico bancario, all'interno del quale sta per essere recepita (1). Ragioni ed obiettivi del legislatore comunitario sono esplicitati già nei primi considerando: la rimozione di distorsioni e restrizioni della concorrenza tra operatori del credito - derivanti dalla propensione degli Stati membri ad introdurre disposizioni cogenti diverse e più rigorose di quelle previste dalla direttiva dell'87 - che potrebbero a loro volta avere conseguenze sulle domande di beni e servizi, di fatto limitando la possibilità per i consumatori di beneficiare della crescente disponibilità di credito transfrontaliero (2); l'adeguamento delle regole esistenti ed eventualmente la loro estensione in ragione della progressiva diversificazione delle forme di credito offerte ai consumatori, il cui impiego risulta in continua crescita (3); l'edificazione di un mercato creditizio più trasparente ed efficiente al fine di assicurare e promuovere la libera circolazione delle merci e dei servizi nonché la libertà di stabilimento - quali presupposti per l'incremento armonico delle attività transnazionali - ma pur sempre sulla base di un «corpus normativo moderno» in grado di coniugare, nel mercato, un sufficiente livello di tutela dei consumatori con la libera circolazione delle offerte di credito «nelle migliori condizioni sia per gli operatori dell'offerta sia per i soggetti che rappresentano la domanda» (4). La strategia che il legislatore considera vincente per attuare gli obiettivi adesso citati è quella della «armonizzazione completa» il cui senso può sinteticamente intendersi dalla lettura del considerando n. 9, secondo il quale, per un verso, «agli Stati membri non dovrebbe essere consentito di mantenere o introdurre disposizioni nazionali diverse» da quelle della direttiva (anche ove fossero volte ad incrementare la tutela dei consumatori (5) ed anche ove quelle comunitarie si presentassero distoniche rispetto al sistema domestico); per altro verso, «tale restrizione dovrebbe essere applicata soltanto nelle materie armonizzate», vale a dire in quelle affrontate compiutamente dalla direttiva, mentre per i profili non armonizzati di disciplina «gli Stati membri dovrebbero rimanere liberi di mantenere o introdurre norme nazionali». Quale sia la reale portata della direttiva in parola - che peraltro, anche nelle aree coperte dalla armonizzazione completa, lascia talvolta ampio spazio ai legislatori nazionali - in chiave di tutela dei consumatori e quali gli esiti del metodo dell'armonizzazione completa vedremo nel prosieguo del lavoro. Può fin d'ora anticiparsi che, a dispetto degli auspici ed intendimenti degli organismi comunitari, le molte aspettative che hanno accompagnato la pubblicazione della direttiva possono dirsi in gran

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Archivio selezionato: DottrinaIL CONTRATTO DI CREDITO AI CONSUMATORI NELLA NUOVA DISCIPLINACOMUNITARIAEuropa e dir. priv., fasc.3, 2009, pag. 785Lara ModicaClassificazioni: CONTRATTI BANCARI - Apertura di creditoSommario: 1. Premessa. - 2. Causa di credito e finalità di consumo. - 3. Definizione e disciplinadel collegamento negoziale. - 4. Le fattispecie escluse. - 5. Informazioni e pratiche preliminari allaconclusione del contratto. - 6. a) Informazione pubblicitaria. - 7. b) Informazioni precontrattuali. -8. c) Verifica del merito creditizio e rischio di sovraindebitamento. - 9. La forma del contratto ed ilsuo contenuto. - 10. Lo ius poenitendi del consumatore. - 11. Scioglimento del contratto a durataindeterminata su iniziativa unilaterale di uno dei contraenti. - 12. Portata ed effetti della «piena»armonizzazione: la delega al Governo di cui alla legge comunitaria 2008.

1. Sulla scorta del duplice dichiarato presupposto di un incremento costante del ricorso al creditoda parte dei consumatori - per il tramite di strumenti sempre più sofisticati e «pericolosi» - e di unadiversità di legislazioni interne che comporta in taluni casi distorsioni della concorrenza tracreditori all'interno della Comunità, il Parlamento europeo ha approvato la direttiva 2008/48/CErelativa ai contratti di credito ai consumatori, sostitutiva della precedente direttiva 87/102/CE, edestinata a modificare gli articoli 121 s. del testo unico bancario, all'interno del quale sta peressere recepita (1).

Ragioni ed obiettivi del legislatore comunitario sono esplicitati già nei primi considerando: larimozione di distorsioni e restrizioni della concorrenza tra operatori del credito - derivanti dallapropensione degli Stati membri ad introdurre disposizioni cogenti diverse e più rigorose di quellepreviste dalla direttiva dell'87 - che potrebbero a loro volta avere conseguenze sulle domande dibeni e servizi, di fatto limitando la possibilità per i consumatori di beneficiare della crescentedisponibilità di credito transfrontaliero (2); l'adeguamento delle regole esistenti ed eventualmentela loro estensione in ragione della progressiva diversificazione delle forme di credito offerte aiconsumatori, il cui impiego risulta in continua crescita (3); l'edificazione di un mercato creditiziopiù trasparente ed efficiente al fine di assicurare e promuovere la libera circolazione delle merci edei servizi nonché la libertà di stabilimento - quali presupposti per l'incremento armonico delleattività transnazionali - ma pur sempre sulla base di un «corpus normativo moderno» in grado diconiugare, nel mercato, un sufficiente livello di tutela dei consumatori con la libera circolazionedelle offerte di credito «nelle migliori condizioni sia per gli operatori dell'offerta sia per i soggettiche rappresentano la domanda» (4).

La strategia che il legislatore considera vincente per attuare gli obiettivi adesso citati è quella della«armonizzazione completa» il cui senso può sinteticamente intendersi dalla lettura delconsiderando n. 9, secondo il quale, per un verso, «agli Stati membri non dovrebbe essereconsentito di mantenere o introdurre disposizioni nazionali diverse» da quelle della direttiva(anche ove fossero volte ad incrementare la tutela dei consumatori (5) ed anche ove quellecomunitarie si presentassero distoniche rispetto al sistema domestico); per altro verso, «talerestrizione dovrebbe essere applicata soltanto nelle materie armonizzate», vale a dire in quelleaffrontate compiutamente dalla direttiva, mentre per i profili non armonizzati di disciplina «gliStati membri dovrebbero rimanere liberi di mantenere o introdurre norme nazionali».

Quale sia la reale portata della direttiva in parola - che peraltro, anche nelle aree coperte dallaarmonizzazione completa, lascia talvolta ampio spazio ai legislatori nazionali - in chiave di tuteladei consumatori e quali gli esiti del metodo dell'armonizzazione completa vedremo nel prosieguodel lavoro.

Può fin d'ora anticiparsi che, a dispetto degli auspici ed intendimenti degli organismi comunitari,le molte aspettative che hanno accompagnato la pubblicazione della direttiva possono dirsi in gran

parte deluse. In particolare, ma solo per anticipare problemi su cui si tornerà più diffusamente,alcuni dei punti ampiamente dibattuti in sede di lavori preparatori non sono entrati infine nel corpodella nuova disciplina (fideiussione, rimedi ex post al sovrindebitamento, puntualeregolamentazione delle clausole abusive); altri, come quelli che toccano la tematicadell'informazione/consulenza e del «prestito responsabile» legato alla verifica del meritocreditizio, appaiono nella loro formulazione altamente equivoci e del tutto privi di indicazioniquanto ai rimedi; la definizione del collegamento negoziale appare restrittiva nella nozione edeccessivamente timida nell'ampiezza delle tutele offerte al consumatore; di non immediatacondivisibilità appare poi il perimetro di applicabilità, che continua a riguardare i soli consumatori«persone fisiche».

D'altra parte, anche gli istituti più compiutamente definiti non si sottraggono ad una serie diperplessità. L'ampio spazio dedicato ai doveri informativi - di cui la direttiva ora abrogata inveronon faceva menzione - rischia di reiterare questioni (ed illusioni) tipiche ormai della legislazionenuova e non si esime dal rischio di perpetrare inutili overdose informative. Il deperimento delladistinzione tra informazione pubblicitaria e informazione (pre)contrattuale; un accostamento trainformazione e comprensione che rimane troppo vago e poco efficace in punto di prova;soprattutto, una totale assenza di indicazioni quanto alle ricadute sul contratto di una mancata oscorretta informazione - dal momento che «l'eventuale carattere vincolante delle informazionifornite al consumatore prima della conclusione del contratto di credito ed il periodo durante ilquale il creditore è vincolato» sono questioni interamente rimesse alle discipline interne(considerando n. 25) - costituiscono limiti evidenti del recente intervento comunitario, che nonpossono essere taciuti.

Con riferimento al rilevante fenomeno della intermediazione creditizia, poi, la direttiva «disciplinasolo taluni obblighi degli intermediari» (6), lasciando alle scelte dei singoli Stati le questionirelative a responsabilità (nei confronti e del creditore e del consumatore), ricadute sul contrattodelle condotte negligenti o fraudolente, condizioni alle quali può dirsi dovuto il compenso.

Quanto al recesso, cui è dedicato ampio spazio sia dal lato del consumatore sia da quello delcreditore, la relativa disciplina non è priva di lacune, lasciando aperta una serie di interrogativi perchiarire i quali, ove il legislatore interno non intervenisse, l'interprete dovrà attingere alle regoledel sistema, a sua volta sempre più composito e articolato.

Problemi, questi, che sono amplificati e non ridotti col passaggio dall'armonizzazione minimaall'armonizzazione completa (7).

Sul punto si tornerà.

Va detto tuttavia che, al di là di luci ed ombre delle singole disposizioni della nuova disciplina,l'intervento del legislatore comunitario in materia di contratto di credito ai consumatori si presta ariflessioni incidenti su diversi ed ulteriori livelli.

Poiché si offre quale frammento di un panorama normativo sempre più ampio e consolidato esempre meno settoriale, la disciplina in parola funge da specola attraverso la quale è possibilesaggiare lo stato dell'arte in punto di edificazione di un diritto contrattuale comune europeo.Trattandosi di intervento che si ascrive a pieno titolo tra gli strumenti di strutturazione del mercatocomune, induce a riflettere altresì e più in generale sul modello di regolazione del mercatopresupposto dal legislatore comunitario, che troppo ha confidato fin qui, come è noto, nelle sceltedel consumatore «arbitro» del mercato. E spinge - se non a mettere in crisi, almeno - a verificare latenuta di suddetto modello e il perdurante rifiuto di strategie regolative che, invece di affidarsi allediscipline di singoli gruppi di contratti, si servano (anche) di norme di stampo spiccatamentepubblicistico.

I diversi piani di indagine naturalmente si intersecano nell'andamento del discorso e, peraltro, non

esauriscono gli spunti di riflessione, primo fra tutti - come invero può dirsi oggi per la grande partedegli interventi di derivazione comunitaria - quello, di vivissima attualità, dei rapporti fra ladisciplina (che si continua a ritenere) generale del contratto e le discipline che (forse altrettantoarbitrariamente) si continuano a considerare speciali; riflessione imprescindibile allorché, quicome in altri casi, l'interprete è chiamato ad una delicata opera di integrazione (8).

2. L'approccio «transtipico» che connota l'intervento del legislatore comunitario in materia dicontratti e che già caratterizzava la normativa adesso abrogata ritaglia l'ambito di applicazione delprovvedimento in parola con riferimento alla funzione dell'operazione negoziale. Per «contratto dicredito», infatti, deve intendersi qualsiasi contratto «in base al quale il creditore concede os'impegna a concedere al consumatore un credito sotto forma di dilazione di pagamento, di prestitoo di altra agevolazione finanziaria analoga» (art. 3, lett. c); col che la categoria negoziale dadisciplinare ne risulta definita non già - come avviene, per esempio, nel codice civile - medianteun approccio tipologico, bensì individuando gruppi di contratti (9), a loro volta delineati conriguardo alla funzione piuttosto che affidandosi al metodo descrittivo proprio della fattispecie(inteso quale individuazione degli elementi costitutivi di un fatto cui la legge riconduce laproduzione di determinati effetti giuridici).

Il fenomeno della «perdita di fattispecie» (10) appare invero connotare il diritto privato europeo(11) ben oltre il corpus normativo adesso in commento, denunciando una sfuggente propensionetipologica (12) che se per un verso consente alla normativa «speciale» un ampio raggio d'azione -poiché autorizza a ricondurre alla disciplina del credito al consumo una pluralità di fattispecienegoziali eterogenee che direttamente o indirettamente approdano al finanziamento delconsumatore (13) -, dall'altro costringe ad un costante attingimento alle discipline interne, che,modellate sul tipo, divengono adattabili all'operazione di credito solo attraverso l'accurato filtrodell'interpretazione.

Ma prima ancora ed al di là del problema della dialettica fra schema delineato in sede europea -con riguardo, come detto, agli effetti più che alla struttura - e segmento interno di disciplinacorrispondente a quello schema, è anzitutto la individuazione e delimitazione della nozione dicontratto di credito al consumatore a generare non poche difficoltà.

Difficoltà che non solo scontano l'eredità del risalente e mai del tutto definito dibattito intorno allacategoria stessa dei contratti di credito, ma che, in virtù della necessaria qualifica soggettiva di unadelle parti, deve anche fare i conti con quella finalità di consumo al perseguimento della qualel'atto di autonomia è necessariamente volto. Il riferimento al «consumatore», infatti, non puòessere ridotto esclusivamente alla funzione di qualificazione del soggetto, ma qualifica anche esoprattutto l'operazione, poiché «è chiaramente in ragione dell'operazione di (consumo) posta inessere, e del suo “scopo estraneo alla attività professionale”, che si attribuisce la stessa qualifica di“consumatore”» (14).

La circostanza che la finalità di consumo concorra a qualificare l'operazione non vuol dire peròanche che ne modifichi in qualche misura la causa, che nel credito al consumo è e rimane unacausa di finanziamento (15). La formula proposta in dottrina, di una vera e propria unitaria causadi credito al consumo, che sarebbe non completamente sovrapponibile alla causa di credito«essendo per un verso più ristretta (la qualità delle parti incide sulla funzione del negozio ...),dall'altro più ampia perché comprendente ipotesi in cui il profilo (e la funzione) dominante èquello dello scambio (l'ipotesi più ovvia è quella della vendita a rate)» (16), se ha il pregio disegnalare il rilievo che alla destinazione del credito viene assegnato nella realizzazione delrisultato complessivo dell'operazione economica, non può però essere assunta in senso tecnico.

La destinazione per usi non professionali della somma erogata si colloca infatti su di un pianodiverso da quello proprio degli elementi strutturali della fattispecie, come è la causa, e, pur nonconfigurandosi come semplice motivo, rileva piuttosto quale «scopo negoziale concreto, comune atutte le parti e al quale tutte rivolgono l'effetto negoziale; scopo il cui rispetto e la cui attuazione

sono richiesti da principi fondamentali dell'interpretazione ed esecuzione dei negozi (artt. 1362,1366, 1375 c.c.)» (17).

Tale rilevanza dell'intento comune, come autorevolmente segnalato, è poi tipizzata dal legislatore,che ne rende essenziale il ricorrere all'atto della conclusione del contratto ed il perdurare in fase diesecuzione, ai fini della applicabilità della disciplina (speciale) del momento creditizio (18).

Cosicché la finalità di consumo si pone - in virtù della sua essenza di scopo negoziale concretotipizzato - quale presupposto di un apparato di tutele strettamente legato alla specificaqualificazione dell'operazione, operata anche sulla scorta di indici soggettivi.

Allo stesso modo, insomma, per cui la finalità abitativa nella disciplina della locazione diimmobili non trasforma la causa della locazione in altro da sé, ma ne definisce il nucleo didisciplina applicabile, la finalità di consumo qualifica l'operazione ma non ne stravolge la causa:anche nell'ipotesi della vendita a rate - presa ad esempio di come la causa di credito al consumo«sporgerebbe» rispetto alla semplice causa di credito - la circostanza che la funzione difinanziamento si accompagni alla causa di scambio propria del tipo vendita non osta alla attrazionenell'ambito della disciplina speciale in virtù della rilevanza che qui assume la funzione creditizia aldi là del nomen del contratto in concreto concluso (19).

La finalità di consumo, inoltre, non solo non penetra l'elemento causale, ma non interferisceneanche col sinallagma contrattuale, come invece accade, secondo la più accreditata ricostruzionedel fenomeno, nel mutuo di scopo, di cui talvolta si sono enfatizzate le affinità col credito alconsumo proprio facendo leva sul vincolo di destinazione impresso alla somma erogata (20).

La differenza non sta soltanto nella circostanza che nel credito al consumo, diversamente che nelmutuo di scopo, la finalizzazione dell'operazione non resta affidata al debitore ma è attuatadirettamente dal finanziatore (21). Ciò che più rileva è che nel mutuo di scopo (volontario) ilrispetto della clausola di destinazione, che risponde ad un precipuo interesse del finanziatore, èoggetto di una vera e propria obbligazione a carico del sovvenuto che si affianca alla restituzionedel tantundem(22).

La direttiva in commento è piuttosto esplicita nel porre le due figure in un rapporto di genus (ilcredito al consumo) a species (il prestito di scopo).

A tale conclusione induce l'art. 10 della direttiva, dedicato agli elementi contenutistici delcontratto («informazioni da inserire nei contratti di credito»), nel quale il riferimento, nel testo delregolamento contrattuale, alla merce o servizio che con le somme concessegli il consumatoreacquista è limitato alle ipotesi di «dilazione di pagamento per una merce o un servizio specifici»,ove, evidentemente, la relazione tra credito e destinazione del credito stesso è in re ipsa. Al di là ditale peculiare ipotesi, non è richiesto che il contratto individui lo scopo concreto delfinanziamento, rilevando piuttosto un criterio di generica destinazione al consumo intesasostanzialmente quale destinazione non professionale.

Criterio di applicazione tutt'altro che agevole poiché, come già rilevato in epoche ancora lontanedalle influenze del consumerism, è pressoché «impossibile identificare il presupposto di unaqualunque disciplina legislativa nella destinazione dei beni venduti al consumo dello stessoacquirente; questa destinazione soggettiva sfugge invero alla disciplina giuridica» (23). Laquerelle sempre viva intorno al cosiddetto uso promiscuo lo conferma (24).

Giova in proposito segnalare che, come meglio si vedrà, la direttiva delinea un preciso rimedio - lasospensione del diritto di utilizzare il credito da parte del consumatore - da esperirsi (anche)nell'ipotesi di utilizzo «fraudolento o non autorizzato del credito» (cfr. considerando n. 33 e art.13, par. 2). Ma un simile rimedio non depone con sicurezza per una qualificazione del credito alconsumo quale prestito di scopo (convenzionale), nel quale all'elusione del vincolo di destinazione

segue la risoluzione per inadempimento proprio in ragione dell'inserzione dello «scopo» entro ilsinallagma e dell'arricchimento del nesso di corrispettività ad opera dell'adempimento della finalitàoriginariamente convenuta.

Certo la diversità dei rimedi assegnati alle due ipotesi di per sé può non essere decisiva: sia perchéla direttiva, nei considerando, dopo aver fatto menzione dell'uso fraudolento del credito, aggiungeimmediatamente che rimane impregiudicata la legislazione nazionale con riguardo al diritto delleparti di «risolvere un contratto di credito per inadempimento», lasciando intendere che il rimediodella risoluzione potrebbe comunque essere abbinato alla violazione del vincolo di destinazione;sia perché, anche volendo rimanere alla sola sospensione del credito, è un fatto che lo sviamentodalla destinazione di consumo reagisce sulla fisiologica esecuzione del contratto e non è dunquepriva di rilevanza entro la dinamica esecutiva del rapporto.

In generale, diversa appare, entro la struttura del negozio, la collocazione del vincolo didestinazione, di cui si profila una differente intensità: nel mutuo di scopo la destinazione ènecessariamente specifica, mentre nel credito al consumo può essere generica, come avviene peresempio nel prestito personale, o assolutamente sfuggente come per le carte di credito; nel mutuodi scopo il vincolo di destinazione contribuisce a delineare lo spettro delle obbligazioni assunte dalsovvenuto e lo sviamento si atteggia come vero e proprio inadempimento contrattuale; nel creditoal consumo l'impiego delle somme per usi non professionali funge da presupposto diqualificazione dell'operazione e relativa attrazione entro un ambito disciplinare costruito ad hoc inragione di quella qualificazione (25).

Un rimedio squisitamente contrattuale quale la sospensione del credito per sanzionare lo «scopoestraneo» di sicuro intende fornire al professionista uno strumento cautelativo: l'impiego diversodal consumo della somma erogata per ciò stesso rende più rischiosa la restituzione e dunque ilcreditore si premunisce sospendendo l'erogazione per «vederci chiaro» e verificare la persistenzadella destinazione concordata; anche nella prospettiva di tirarsi fuori dal rapporto contrattuale,come lascerebbe intendere, nell'art. 13 della direttiva, l'accostamento al recesso (26).

Lo scarno dettato della norma comunitaria, se per un verso non esclude più compiute scelte deilegislatori interni nell'ipotesi in esame, non appare in sé idoneo a smentire la conclusione che, ingenerale, l'assenza o il venir meno in itinere della finalità di consumo comporti la«dequalificazione» del contratto e la conseguente sottrazione di questo alla disciplina speciale.Non v'è dubbio tuttavia che l'introduzione di siffatto strumento di autotutela - specie ove collocatoall'interno di una più compiuta e coerente disciplina interna - potrebbe all'opposto segnalarel'emersione a livello normativo di una interferenza della finalità di consumo con la struttura stessadel nesso di corrispettività.

Il problema che sul piano pratico qui si pone è semmai quello delle tecniche di controllo circa ladestinazione della somma: se la banca concede a Tizio un prestito personale e Tizio lo impiega,invece che per pagare delle spese mediche, per rinnovare i software della sua azienda, chi e comepotrà rilevarlo? Questione che si fa ancor più sfuggente con le carte di credito: chi controlla cosacompro e a che fini? Certo la verifica intorno al rispetto della finalità di consumo non può affidarsialle stesse tecniche di controllo operanti con riferimento al mutuo di scopo (27): i giudici, dopoqualche iniziale perplessità, sono adesso piuttosto netti nell'affermare che per il contratto di creditoal consumo «non possono invocarsi i principi elaborati in dottrina ed in giurisprudenza in tema di“mutuo di scopo”» (28).

La questione non è tanto quello della «compatibilità del controllo giudiziale dello “scopo” delcontratto con la normativa generale del contratto, posto che di un siffatto principio non si rinvienetraccia nel nostro ordinamento» (29): se è vero, infatti, che il sindacato giudiziale si spinge finoalla valutazione di scopi e motivi solo nei limiti in cui ciò possa condurre alla declaratoria dinullità per illiceità della causa o dei motivi (comuni, illeciti e determinanti del volere), è pur veroche nel caso del credito al consumo la destinazione della somma erogata si emancipa, come

abbiamo detto, dall'area dei motivi per assumere invece i caratteri di quell'«intento (empirico)»che il giudice è certamente chiamato a vagliare dalle stesse norme del codice civile.

Dunque l'interrogativo non è se il giudice sia autorizzato o meno a conoscere di simile intento, maquali possano essere in concreto le occasioni nelle quali tale giudizio potrà operare. C'è daattendersi che ciò avverrà assai più frequentemente su sollecitazione del professionista, che hatutto l'interesse a dimostrare che il prestito integra una ordinaria operazione di finanziamento,come tale estranea alla disciplina speciale; e che - soprattutto - sul professionista gravi l'onere diprovare gli «scopi estranei», nel quadro di una presunzione di «intraneità» dello scopo per laquale, in caso di incertezza o promiscuità «trovi in linea di principio applicazione la normativa sulcredito al consumo, salvo che di volta in volta esistano in concreto elementi sufficienti amanifestare ed a lasciar ragionevolmente presumere (ex art. 2729 c.c.) che il contratto di creditosia concluso per “scopi che possono considerarsi” rientranti nella “attività professionale” delsoggetto finanziato» (30).

3. In modo per certi versi differente si presenta il tema del vincolo di destinazione della sommaall'acquisto di uno specifico bene o servizio quando si tratti di definire, ai sensi della direttiva, ilfenomeno del collegamento fra contratti.

Perché sussista un collegamento rilevante è infatti necessario che ricorrano, cumulativamente, duecondizioni: che il credito erogato serva «esclusivamente a finanziare un contratto relativo allafornitura di merci specifiche o alla prestazione di servizi specifici» e che i due contratticostituiscano oggettivamente «un'unica operazione commerciale» (art. 3, lett. n).

In presenza dei presupposti appena richiamati, il collegamento fra contratto di credito e contrattodi fornitura è instaurato obiettivamente dalla norma, e ad esso saranno applicabili le regole di cuiall'art. 15: il consumatore che receda dal contratto di fornitura non sarà più vincolato dal contrattodi credito; l'inadempimento del fornitore legittimerà il consumatore ad agire, in via sussidiaria,contro il creditore.

Si tratta, come subito si nota, di un collegamento legale, nel senso che il nesso di interdipendenzafra i contratti non si inferisce a partire dalle caratteristiche proprie dei contratti coinvolti né daun'indagine circa le ragioni subiettive a questi sottese «ma è creato dalla norma come strumentoindefettibile di tutela di una parte verso l'altra» (31).

Tale collegamento è poi asimmetrico, rilevando e spiegando i suoi effetti solo nella direzione cheva dal contratto di fornitura a quello di credito, e non anche nella direzione inversa. Di talepeculiare unidirezionalità peraltro il legislatore mostra di avere piena contezza, sebbene non ancheuna pari consapevolezza teorica: il trentasettesimo considerando chiaramente si esprime nel sensoche nel caso di contratti collegati esiste una relazione di interdipendenza tra l'acquisto di merci oservizi e il contratto di credito concluso, tale per cui al cadere del primo «il consumatore nondovrebbe più essere vincolato» dal secondo; mentre l'opposta ipotesi, in cui ad essere caducato siail contratto di credito, è integralmente rimessa alle regolamentazioni degli Stati membri e dunquesottratta alle regole della disciplina speciale (considerando n. 35).

Gli effetti giuridici del collegamento sono poi parziali, dal momento che, fuori dal caso delrecesso (per di più, come diremo, necessariamente «comunitario»), nessuna indicazione è fornitacirca le conseguenze sul contratto di credito del contratto in ragione di cause diverse ed ulteriori(v. art. 15). Solo con riferimento all'inadempimento del venditore o ai vizi della cosa venduta, ladirettiva delinea conseguenze compiute, ma di differente natura: non la reiterazione della regolasimul stabunt simul cadent come effetto della patologia del contratto «principale», ma lapossibilità per il consumatore di esperire anche nei confronti del creditore le azioni di cui è titolareverso il fornitore del bene o del servizio (32), alle condizioni e nei limiti che saranno determinatidalla legislazione interna (considerando 38).

La parzialità della disciplina, inoltre, si traduce in un assoluto silenzio con riguardo, in generale,alle inadempienze del consumatore quale beneficiario del credito o fruitore del servizio - chesarebbero rilevanti invece in astratto nel quadro di un collegamento «atipico» - nonché alle ipotesidi sviamento della somma percepita dalla finalità originariamente concordata.

In proposito non sembra neanche giovare quell'unicità causale che connota comunque ilcollegamento, ancorché legale, e che, in assenza di ogni tipizzazione, consentirebbe la rilevanzadella concreta destinazione del prestito quale elemento che contribuisce, insieme ad altri, acolorare la causa della complessiva operazione. Vero è infatti che il riferimento testuale allaunicità dell'«operazione commerciale» non può non avere quale sostrato teorico e concettualeanche un'unicità dell'elemento causale, ma la direttiva non si spinge oltre, lasciando privo dirisposte l'interrogativo circa la sorte dell'operazione stessa quando, in sede di esecuzione, ilconsumatore abbia impiegato le somme ricevute a titolo di prestito in utilizzi diversi da quellipattuiti, così, di fatto, compromettendo la realizzazione in concreto della finalità per cui la stessaera sorta.

I dati normativi, dunque, non consentono di pronunciarsi compiutamente circa la portata daassegnare al vincolo di destinazione impresso alla somma erogata: se questo debba intendersiquale oggetto di un'obbligazione vera e propria (al pari che nel mutuo di scopo), e perciò destinataad avere refluenze sul funzionamento, e la stessa esistenza, dell'operazione commerciale; ovveroesclusivamente quale presupposto di applicabilità o meno dell'apparato normativo speciale di cuiall'art. 15, la cui mancanza dia luogo dunque ad un fenomeno di mera dequalificazione (comeaccade nel caso della finalità di consumo con riguardo alla individuazione delle fattispecieassoggettabili alla direttiva).

Appare allora condivisibile l'opinione di chi, pur riconoscendo che all'«unità di operazionecommerciale» corrisponde un orientamento funzionale dei contratti collegati verso uno scopocomune, rileva però anche come il trattamento di tale collegamento venga dettato «fuori daqualsiasi logica di sistema», cosicché impossibile diventa «desumere dal regime degli effettialcuna peculiarità strutturale del collegamento stesso», non potendosi «riempire questa espressionetralatizia di un senso proprio» (33).

Anche venendo a profili più specifici del problema, non può non riconoscersi come al merito diaver fornito una definizione fin qui affidata alle ricostruzioni degli interpreti, il legislatore europeonon assommi anche quello di aver formulato una nozione in grado di sciogliere i molti nodiproblematici sottesi al tema, segnatamente nell'ottica di protezione del consumatore (34).

Un primo evidente limite è dato riscontrare proprio con riferimento alla necessità che il credito siadiretto esclusivamente a finanziare l'acquisizione di merci o servizi specifici. Sul punto la direttivasegna addirittura un arretramento rispetto alle conclusioni cui era giunta, con riferimento allanormativa adesso abrogata, la Corte europea di giustizia, la quale aveva ritenuto applicabili leregole dettate in materia di collegamento oltre che ad un credito inteso a finanziare una singolaoperazione, altresì «ad un'apertura di credito che consenta al consumatore di utilizzare il credito inmomenti differenti», e, evidentemente, senza necessità - né, invero, possibilità - di individuarespecificatamente e preventivamente i beni e servizi acquisiti con quel credito. Anzi, aggiungeva laCorte, l'obiettivo di protezione perseguito dalle regole in materia di collegamento può essereconseguito solo ove tali regole si applichino «anche quando il credito consente una molteplicità diimpieghi» (35).

Alla luce della recente definizione normativa, invece, non potrà configurarsi un collegamento tracontratto di fornitura e contratto di credito né quando il credito è erogato per finalità che anchesolo in parte esorbitino dall'acquisizione del bene o servizio specifici ma siano dirette ad unapluralità di impieghi, pur sempre genericamente di consumo; né quando il finanziamento siaerogato (esclusivamente) per l'acquisizione di beni o servizi che non possano però anche dirsi«specifici», nel senso, verosimilmente, di specificati nel contratto (36).

In ogni caso, come anticipato, la circostanza che il credito sia destinato esclusivamente all'acquistodi beni specifici non basta per potersi delineare un collegamento, dovendosi altresì verificare che idue contratti costituiscano un'«unica operazione commerciale», il che avviene automaticamentequando ricorra l'identità tra fornitore del credito e fornitore del bene o del servizio acquistato;mentre se il credito è finanziato da un terzo, dovrà verificarsi almeno una delle due condizioni: oche il creditore ricorra ai servizi del fornitore per la conclusione o la preparazione del contratto dicredito oppure che le merci specifiche o la prestazione di servizi specifici siano «esplicitamenteindividuati nel contratto di credito».

Anche qui la formulazione è piuttosto restrittiva, poiché non è escluso che un'«unica operazionecommerciale» possa delinearsi anche in assenza delle due condizioni adesso richiamate sulla basedi altri e diversi indici oggettivi che depongano in tal senso (37), ed in simili ipotesi rimane dubbiose possa comunque ritenersi applicabile la disciplina del collegamento tracciata all'art. 15 ovveroai criteri definitori dettati dalla direttiva debba assegnarsi valore vincolante e per così diretassativo.

Così come oscura appare la ragione dell'evidente distonia tra l'atteggiamento assolutamenteantiformalista che il legislatore comunitario mostra di adottare in sede di fissazione della nozionedi credito al consumo («qualsiasi contratto ...») e quello rigidamente ancorato ad indici che hannotutta l'aria di porsi come insuperabili (specie alla luce della clausola di massima armonizzazione)di cui si serve quando si tratti di definire il collegamento tra contratti.

Vero è infatti che il decimo considerando fa salva la possibilità per gli Stati membri di applicare ledisposizioni dettate per il collegamento ai crediti collegati che non rientrino nella definizionecontenuta nella direttiva, ma l'apertura è limitata ai «contratti di credito destinati solo parzialmentea finanziare un contratto riguardante la fornitura di merci o la prestazione di servizi», mentreferma parrebbe rimanere quella necessità della specifica individuazione dei beni o serviziacquistati che di certo comporta una deminutio in termini di ampiezza di tutela del consumatore,impedendogli di invocare le norme protettive tutte le volte in cui l'interdipendenza fra contratto dicredito e contratto di acquisto non passi per la puntuale identificazione dei beni e servizi acquisitie si regga invece esclusivamente su di una più generica - ma pur sempre oggettiva (38) -strumentalità (economica) del contratto di credito rispetto al contratto di fornitura.

Le ragioni del rigore della scelta legislativa vanno probabilmente ricercate anche alla lucedell'ampio dibattito che, proprio con specifico riferimento al credito al consumo, si è sviluppatointorno al problema del collegamento. Dibattito che in Italia, almeno in una prima fase ancorasprovvista di disciplina positiva, ha tentato di superare l'asserita reciproca autonomia del contrattodi vendita dal contratto di finanziamento - che aveva condotto talvolta a soluzionigiurisprudenziali sostanzialmente inique (39) - alla ricerca del quid che consentisse di concepirel'operazione di credito al consumo come unitaria sul piano giuridico e conseguentemente delineare«la subordinazione dell'uno all'altro risultato economico perseguito» (40).

Ora, l'individuazione del carattere unitario dell'operazione pur a fronte di una pluralità di contratti,in assenza di qualsivoglia base normativa, è stata a lungo interamente rimessa agli sforzi degliinterpreti, i quali, pur concordi nel considerare elemento centrale del collegamento l'unità diinteresse economico perseguito dalle parti con il ricorso a più contratti (41), si sono trovati spessodivisi circa l'individuazione degli indici da cui poter desumere tale unitarietà dell'interesse (42).

La vicenda è densa di implicazioni e oggetto di una letteratura vivacissima, di cui non può darsiconto in questa sede. È addirittura banale rilevare che la presenza di una definizione normativaconsente il superamento o comunque il ridimensionamento di molti dei problemi sottesiall'elaborazione sia dottrinale sia giurisprudenziale, qui come in altri settori di disciplina (43);mentre coglie più nel segno chi avverte come «il modello di collegamento della direttiva non è unostrumento di interpretazione della volontà delle parti, ma la sua qualificazione imperativa, non ilrisultato di una analisi per tipi dell'assetto di interessi voluto dalle parti, ma un tipo esso stesso, la

posizione da parte della legge di un dato assetto di interessi» (44) e che perciò esso, e proprio inragione della sua matrice legale, è in grado di sottrarsi alle insidie di un'indagine svolta caso percaso ora intorno alla componente volontaristica dell'operazione ora con riguardo alla oggettivastrutturazione della stessa sulla base dell'unità di interesse economico.

Con specifico riguardo alla prassi del credito al consumo, poi, non v'è dubbio che, rientrandonell'ampia nozione di credito al consumo che ne dà la direttiva un catalogo vasto ed eterogeneo difattispecie, assai diverse fra loro in punto di struttura ed attitudine ad essere ricondotte entro ilgenus dei prestiti finalizzati, una definizione normativa come quella dell'art. 3, di cui pure puòcriticarsi l'approccio restrittivo, consente di predicare l'esistenza del collegamento anche inpresenza di fattispecie che rischierebbero, in virtù di un più alto grado di autonomia dei negozi chela compongono, di rimanere fuori dalla disciplina di cui all'art. 15.

Il richiamo alla specificazione dei beni acquistati con il credito erogato quale presuppostoirrinunciabile ai fini di rintracciare la connessione, infatti, costringe gli operatori del credito apalesare il collegamento ed a rendere visibile il legame contrattuale tra venditore e finanziatore.Poiché è proprio la mancanza di forme espresse di collegamento ad aver generato i maggioriequivoci interpretativi, un simile criterio - soprattutto in quanto si emancipa dalla esaustivitàdell'elemento volontaristico e dalle ambivalenze delle cosiddette clausole di collegamento - risultaallora perfino prezioso per assicurare la comunicabilità ad un contratto delle vicende propriedell'altro ad esso collegato, nonché la manifestazione più chiara di tale comunicabilità - sebbenetaciuta dalla direttiva - vale a dire l'opponibilità da parte del consumatore al finanziatore delleeccezioni che avrebbe potuto opporre al fornitore.

Dunque, la tipizzazione operata dalla direttiva va salutata con favore, non solo perché, in generale,«una volta che la fattispecie venga prevista e disciplinata dalla legge, il problema, almeno quelloprincipale, diviene un problema di interpretazione del dato normativo, per ricondurre ad esso e conesso regolare i singoli, concreti contratti» (45), ma anche perché lo specifico criterio prescelto dallegislatore comunitario asseconda ed in qualche modo promuove l'esigenza di trasparenza chepresiede all'uniformazione delle offerte di credito.

A condizione però di lasciare all'interprete la possibilità (tutt'altro che scontata alla luce del piglioimperativo dell'art. 3) di rintracciare ipotesi di connessione contrattuale - anche in assenza deipresupposti puntualmente richiesti dalla direttiva ma - in presenza di altri e diversi indici, pursempre oggettivi, che deponessero univocamente in tal senso; tanto più a fronte della progressivacomplessità che gli strumenti di credito e le operazioni ad essi collegate sono destinati adassumere nel prossimo futuro.

In altre parole, alla tipizzazione legale di un collegamento obiettivo, inderogabile ed unilaterale,non dovrebbe riconoscersi attitudine esaustiva, assegnando ad essa piuttosto il ruolo dipresupposto per l'operatività di un livello minimale di tutela che lasci spazio comunque adinterventi ermeneutici in grado di delineare un collegamento anche sulla scorta del concretoatteggiarsi della relazione fra i contratti e del rapporto fra le parti, fuori dallo schema rigido edastratto della definizione legale.

È sul piano della tutela sostanziale che la materia del collegamento delude le aspettative. L'art. 15della direttiva reca infatti tre norme per ciascuna delle quali può predicarsi una certa timidezza inpunto di ampiezza ed effettività.

La prima, come anticipato, si limita ad affermare che il consumatore che abbia esercitato un dirittodi recesso basato sulla normativa comunitaria con riguardo al contratto di fornitura di merci oprestazione di servizi «non è più vincolato da un eventuale contratto di credito collegato».

Il rinvio alla necessaria matrice comunitaria del recesso, come è stato opportunamente segnalato,rende la disposizione addirittura superflua, poiché le norme che accordano un diritto di recesso

«europeo» sono collocate in corpi normativi che hanno già in sé una disposizione in materia dicollegamento dello stesso tenore di quella sopra citata (46). Così è per i contratti a distanza e perquelli negoziati fuori dai locali commerciali (art. 67, comma 6) (47); per i contratti relativiall'acquisizione di un diritto di godimento ripartito di beni immobili (art. 77 cod. cons.); per lacommercializzazione a distanza di servizi finanziari (art. 67-duodecies, comma 8, cod. cons.).

La norma di cui al comma primo dell'art. 15, allora, ritaglia il suo ambito di operatività su ipotesicircoscritte e già dotate di disciplina puntuale, mentre tace con riguardo alla ben più significativamateria della caducazione del contratto di fornitura per ragioni diverse dal recesso esercitato «invirtù del diritto comunitario»: il trentasettesimo considerando esplicitamente precisa che le regoledettate a proposito di recesso non incidono «sulla normativa nazionale applicabile ai contratti dicredito collegati qualora un contratto di acquisto sia stato annullato o il consumatore abbiaesercitato il diritto di recesso in virtù della normativa nazionale». Cosicché l'intera questione vienerimessa ancora una volta alla discrezionalità dei legislatori interni, ovvero all'operatività delleregole di cui ciascun ordinamento è già dotato, anche con riguardo alla diversa, e parimentitrascurata, materia delle conseguenze che la caducazione del contratto di credito potrebbe averesul contratto di acquisto, che la natura schiettamente unilaterale del collegamento di cui all'art. 15vorrebbe obliterata (48).

Non meno deludente appare la seconda delle regole contenute nell'art. 15, relativaall'inadempimento del fornitore: qualora le merci o i servizi dovuti dal fornitore non siano forniti,o siano forniti solo in parte o non siano conformi al contratto per la fornitura degli stessi, ilconsumatore potrà agire, come si è detto, nei confronti del creditore, ma solo ove abbia già agitonei confronti del fornitore o prestatore, senza ottenere la soddisfazione che gli spetta ai sensidella legge o in virtù del contratto per la fornitura di merci o la prestazione di servizi.

La disposizione si segnala per aver fatto cadere il presupposto che la vecchia direttiva (all'art. 11,par. 2) richiedeva affinché il consumatore potesse agire contro il creditore, vale a dire lasussistenza di un accordo che attribuisse al finanziatore l'esclusiva per la concessione di credito aiclienti del fornitore. La regola - ancora contenuta, per il diritto italiano, all'art. 42 cod. cons. (49) -è peraltro stata oggetto della recente censura della Corte di Giustizia, chiara nell'affermare che«l'esistenza di un accordo tra il creditore ed il fornitore, sulla base del quale un credito è concessoai clienti di detto fornitore esclusivamente da quel creditore, non è un presupposto necessario deldiritto per tali clienti di procedere contro il creditore in caso di inadempimento delle obbligazioniche incombono al fornitore al fine di ottenere la risoluzione del contratto di credito e laconseguente restituzione delle somme corrisposte al finanziatore» (50).

La Corte ribadisce in proposito che essendo l'obiettivo perseguito dalla direttiva 87/102 quello digarantire il rispetto di una norma di protezione minima del consumatore in materia di credito alconsumo (51) - interpretazione corroborata dall'art. 14, n. 1, della stessa direttiva, che imponevaagli Stati membri di provvedere affinché i contratti di credito non derogassero, a detrimento delconsumatore, alle disposizioni del diritto nazionale che davano esecuzione alla direttiva stessa - inuna situazione in cui la normativa nazionale applicabile alle relazioni contrattuali prevede già lapossibilità per il consumatore di procedere contro il creditore per ottenere la risoluzione delcontratto di finanziamento e la restituzione delle somme corrisposte, la direttiva 87/102 non puòessere interpretata nel senso di prescrivere che siffatte azioni siano subordinate alla condizione diesclusiva (52).

Rispetto all'arresto appena citato, dunque, la nuova disciplina comunitaria compie un passo inavanti in chiave di tutela del contraente debole, facendo semplicemente cadere la necessità delrapporto di esclusiva tra fornitore e finanziatore a prescindere dalla preesistenza, nell'ordinamentointerno, di un diritto del consumatore ad agire nei confronti del finanziatore; e ciò nonostante ilpassaggio dall'armonizzazione minima a quella piena ed a dispetto di un innegabile affievolimentodello slancio protettivo nei confronti del debitore che caratterizzava invece più schiettamente ladirettiva del 1987.

A una simile apertura non si accompagna la previsione di una responsabilità solidale dei duesoggetti coinvolti nell'operazione, alla stregua di quanto accade per esempio nella legislazioneinglese (53): ai sensi dell'art. 15 della direttiva, infatti, l'azione del consumatore contro il creditoreè esperibile solo in via sussidiaria, quando, avendo agito contro il fornitore, questi sia statocondannato al pagamento ed il processo di esecuzione non abbia condotto al ristoro spettante alconsumatore.

Si badi però che sul punto il nostro articolo 42 cod. cons. si mostra ben più liberale, limitandosi arichiedere che il consumatore «abbia effettuato inutilmente la costituzione in mora» del fornitore.Poiché il profilo in questione sembra sottrarsi alla riserva dell'art. 22 par. 1, della direttiva, ed iltrentottesimo considerando riconosce agli Stati membri la facoltà di «stabilire in quale misura e aquali condizioni il consumatore debba agire contro il fornitore o il prestatore, in particolareesperendo un'azione giudiziaria nei loro confronti prima di poter agire contro il creditore», c'è daaugurarsi che in sede di attuazione venga quanto meno mantenuto lo standard già fissato all'art. 42,ove non si voglia giungere fino alla configurazione di una vera e propria responsabilità solidale tracreditore e fornitore, consentita dal par. 3 dell'art. 15 che fa salve «le norme nazionali secondo cui,se il consumatore ha ottenuto il finanziamento per l'acquisto delle merci o dei servizi tramite uncontratto di credito, il creditore risponde in solido con il fornitore ... qualora il consumatore facciavalere una pretesa nei confronti di quest'ultimo».

Più in generale, la circostanza che tutta la materia degli effetti del collegamento rimangasostanzialmente affidata alla discrezionalità delle scelte nazionali, comporterà conseguenze nonindifferenti in punto di reale armonizzazione: il contenuto dell'art. 15 pone un livello minimo ditutela al di sotto del quale non sarà consentito scendere (54), ma lascia agli Stati membri ampimargini di manovra con riguardo a «misura» e «condizioni» dei rimedi esperibili a tutela delconsumatore (55).

Dovrà perciò essere il legislatore italiano, in sede di attuazione, a meglio definire ampiezza e limitidella tutela accordata al consumatore. In assenza di un intervento che riempia di contenuti lospazio vuoto lasciato dalla direttiva, varranno gli approdi cui la giurisprudenza è giuntafaticosamente e non senza contraddizioni (56).

Approdi cui potrà farsi ricorso ogniqualvolta l'operazione si configuri come unitaria trovando ilproprio perno in due negozi tra loro collegati. Il che, forse giova ribadirlo, non avverrà sempre ecomunque, poiché la nozione di credito al consumo è assai ampia ed irriducibile una volta e pertutte al paradigma del collegamento.

4. La delimitazione dell'ambito di operatività della nuova disciplina si completa, in negativo, conl'elencazione delle fattispecie escluse, il cui numero è ampliato sia rispetto alla direttiva del 1987sia rispetto alle norme che, nel t.u.b., a quella direttiva danno attuazione.

Vengono in rilievo anzitutto i contratti di credito assistiti da garanzia immobiliare - per la ragioneche «questo tipo di credito è di natura molto specifica» (57) - ed i contratti di credito finalizzatiall'acquisto o alla conservazione di diritti di proprietà su un terreno o un immobile costruito oprogettato. Le due esclusioni trovano una comune ratio nella compressione dell'attivitàtransfrontaliera degli erogatori di mutui ipotecari dovuta ad un grado ancora scarso diarmonizzazione tra i vari Paesi della UE ostativo alla realizzazione di un mercato comune delcredito ipotecario. La stessa Commissione individua, nel documento di accompagnamento al LibroBianco sull'integrazione dei mercati UE del credito ipotecario, le ragioni di tale frammentazione inuna troppo marcata divergenza dei quadri di regolamentazione (si pensi, per esempio, alleprocedure di vendita forzata, alle modalità di registrazione degli immobili) nonché in una«diversità culturale» che si traduce in una diversa propensione al rischio degli erogatori di creditodi ciascun paese, in una scarsa diversificazione dei prodotti, in una ridotta mobilità deiconsumatori (58).

Il settore, insomma, presenta ancora un livello di omogeneità di legislazioni arretrato rispetto aquello che caratterizza il mercato dello scambio di beni mobili e servizi «in quanto sussistonoostacoli di diverso tipo che limitano notevolmente il livello dell'attività transfrontaliera sia sul latodell'offerta che su quello della domanda, riducendo così la concorrenza e le possibilità di scelta nelmercato» (59).

La circostanza che in questa materia il lavoro sia ancora in progress giustifica che il legislatoreeuropeo abbia tenuto le questioni relative ad acquisti di immobili o acquisti assistiti da garanzieimmobiliari fuori dalla direttiva in commento, e spiega altresì perché lo stesso legislatore precisiche dovrebbero invece rientrare nell'ambito di applicazione della direttiva i contratti di credito ilcui unico fine sia la ristrutturazione o la valorizzazione di un edificio già esistente(60), attivitànegoziali, queste, che non involgono, o solo in misura limitata, questioni giuridiche proprie dellacircolazione dei diritti reali e dei relativi sistemi di pubblicità.

Rimangono sottratti alla nuova disciplina i contratti che abbiano ad oggetto finanziamenti noncompresi entro una fascia di valore predeterminata (dai 200 ai 75.000 euro (61)). In proposito ladottrina aveva già segnalato il rischio di elusione che si determinerebbe con il frazionamento delprestito in una pluralità di contratti di importo inferiore a quello stabilito per legge (62). Ladirettiva in commento non dedica alcuna disposizione al problema. Vero è che anche in assenza diun'apposita norma antielusiva sarebbe forse possibile in via ermeneutica considerare unitariamentela pluralità dei contratti intercorsi fra i medesimi soggetti entro un arco temporale circoscritto (cosìda ricondurla, secondo alcuni, nell'ambito di applicazione della disciplina speciale (63)), sempreche non si assegni ai criteri che nella direttiva presiedono alla realizzazione del collegamentonegoziale valore tassativo. Ma tale soluzione non scongiurerebbe comunque, a nostro avviso,l'esito invalidante dell'intera operazione, da considerarsi nulla ex art. 1344 c.c. in virtù di quel«collegamento fraudolento», che «qui svela la antigiuridicità dell'intento complessivo malgrado laliceità tipica dei singoli strumenti negoziali» (64), e che colpisce l'operazione per il solo fatto diessere fraudolenta, come tale irrecuperabile alla sfera della liceità. Certo una conclusione delgenere non gioverebbe al consumatore, che si vedrebbe privato dell'intero finanziamento, né il suoimpiego potrebbe essere valorizzato in chiave sanzionatoria della condotta abusiva delfinanziatore, già destinataria di una sanzione amministrativa ad hoc prevista al comma 4 dell'art.124 t.u.b. (65); mentre l'inserzione di una norma apposita solleverebbe l'interpretedall'applicazione di soluzioni che, pur obbligate in applicazione del sistema codicistico, appaiononel complesso poco efficienti (66).

Nuova è la disposizione in materia di locazione e leasing, sottratti alla disciplina speciale acondizione che non prevedano «obbligo di acquisto dell'oggetto del contratto né in virtù delcontratto né di altri contratti distinti»; detto obbligo si ritiene sussistente «se così è decisounilateralmente dal creditore». A contrario, ricadono nell'ambito di applicazione della direttiva ilc.d. leasing traslativo al consumo - trascurato dalla precedente direttiva ma ritenuto ad essaassoggettabile in via di interpretazione (67) - e la locazione cui sia apposta un'opzione di acquisto,per la quale vigeva già l'esclusione, ma in virtù di una norma dalla formulazione pedestre sullaquale la dottrina non aveva mancato di appuntare le proprie critiche (68).

I contratti di cui alle lettere e) (contratti aventi ad oggetto una concessione di scopertorimborsabile entro un mese; ipotesi nuova rispetto alla previgente disciplina); f) (contratti che nonimportino il pagamento di interessi o altre spese e quelli per i quali il credito deve essererimborsato entro tre mesi e che comportano solo spese di entità trascurabile; esenzioneparzialmente innovativa); g) («contratti di credito mediante i quali un datore di lavoro, al di fuoridella sua attività principale, concede ai dipendenti crediti senza interessi o a tassi annui effettiviglobali inferiori a quelli prevalenti sul mercato, purché tali crediti non siano offerti al pubblico ingenere»); j) («i contratti di credito relativi alla dilazione, senza spese, del pagamento di un debitoesistente»; innovativa), l) (i contratti «relativi a prestiti concessi a un pubblico ristretto in base adisposizioni di legge con finalità di interesse generale, che non prevedono il pagamento diinteressi» o che prevedano interessi più favorevoli rispetto a quelli di mercato), avendo riguardo a

fattispecie «a titolo gratuito» (69) o «a titolo quasi gratuito» o caratterizzandosi per la rapidità deitempi di rimborso o per finalità di carattere solidaristico o interessi generali che perseguono, sisottraggono comprensibilmente alla disciplina garantista della direttiva (70).

Non rientrano nella nozione di contratto di credito al consumo rilevante ai fini dell'applicabilitàdella direttiva neanche i «contratti relativi alla prestazione continuata di un servizio o alla fornituradi merci dello stesso tipo in base ai quali il consumatore versa il corrispettivo, per la durata dellaprestazione o fornitura, mediante pagamenti rateali» (art. 3 lett. c), i quali, come precisa lo stessolegislatore comunitario, «potrebbero» differire considerevolmente dai contratti di credito siaquanto agli interessi delle parti sia quanto alle «modalità ed esecuzione delle transazioni deinegozi», il cui esempio più classico è rappresentato dal contratto assicurativo con pagamento delpremio mediante rate mensili (71). La corrispondente disposizione della direttiva del 1987 (cheperò faceva esclusivo riferimento alla prestazione continuata di un servizio, pubblico o privato, enon anche alle forniture di beni) ha trovato attuazione nell'art. 121, comma 4, lett. d del t.u.b., anorma del quale sono esclusi dall'applicabilità delle norme sul credito al consumo i «contratti disomministrazione previsti dagli artt. 1559 e seguenti del codice civile, purché stipulatipreventivamente in forma scritta e consegnati contestualmente in copia al consumatore». Ilrecepimento della nuova direttiva potrebbe essere un'occasione per riformulare una norma infelice,di non immediata comprensione nella ratio e nelle finalità (72).

Nonostante la sua idoneità a realizzare in concreto la funzione di credito al consumo, rimaneescluso altresì il contratto di fideiussione (73), risentendo verosimilmente la scelta comunitariadella netta presa di posizione della Corte europea di giustizia che, chiamata a pronunciarsi in sedepregiudiziale, ha ritenuto estranea all'applicazione della direttiva del 1987 la fideiussione prestatada colui che, agendo al di fuori della propria attività professionale, garantiva la restituzione dellesomme che al debitore principale erano state erogate in vista dell'apertura di un'attivitàcommerciale. La Corte argomenta a partire dalla circostanza che non contenendo alcunadisposizione espressa relativa al regime della fideiussione o di un'altra forma di garanzia, ladirettiva, «prendendo in considerazione le garanzie destinate ad assicurare il rimborso del creditosoltanto sotto il profilo della protezione dei consumatori, ha inteso escludere il contratto difideiussione dal suo ambito di applicazione» (74).

L'analiticità del catalogo delle fattispecie escluse non chiude però il discorso sull'estensioneoggettiva della disciplina speciale (neanche con riguardo alla fideiussione): all'elencazionepotrebbe non attribuirsi un valore tassativo, dal momento che il decimo considerando consente ailegislatori nazionali l'estensione delle disposizioni della direttiva anche a «settori che esulanodall'ambito di applicazione della stessa», e non è del tutto chiaro come ciò si coniughi con laclausola di massima armonizzazione e con il principio per cui le definizioni contenute nelladirettiva «fissano la portata dell'armonizzazione».

5. Uno dei più evidenti profili di discontinuità fra vecchia e nuova disciplina certamente alberganelle regole deputate a governare la fase precontrattuale dell'operazione.

La direttiva del 1987 si limitava, sul punto, a richiedere che le comunicazioni pubblicitarie chefacessero riferimento al tasso di interesse o ad altre cifre riguardanti il costo del credito, avrebberodovuto citare anche, espresso in percentuale, il tasso annuo effettivo globale. La disciplina italianadel t.u.b. contiene dal canto suo una più raffinata disposizione in materia di pubblicità, ma noncontempla una regolamentazione dei doveri di informazione squisitamente precontrattuale a caricodei creditori né tantomeno pone in capo agli stessi alcun obbligo di assistenza aggiuntiva abeneficio del contraente non qualificato.

La direttiva del 2008 dedica un intero capo, il secondo, alla disciplina delle «informazioni epratiche preliminari alla conclusione del contratto di credito». In esso, dopo aver riproposto unanorma in materia di pubblicità - che però, come diremo, appare priva di quella attitudineintegrativa del contratto che invece nel t.u.b. ne rappresenta il tratto più originale ed efficiente -

sono disciplinati i doveri informativi gravanti sul creditore (ed eventualmente sull'intermediariodel credito) con un approccio che, in linea con tutti i più recenti provvedimenti di matricecomunitaria, fa della traditio del documento informativo il momento centrale della trattativa, mache sembra anche, almeno prima facie, attestarsi ad un livello più evoluto di tutela, non soloprevedendo una precisa indicazione degli elementi che il professionista deve comunicare alconsumatore - così confermando la oramai consueta modalità imperniata sulla promananzione delflusso informativo dal professionista al consumatore - ma anche, per un verso, valorizzandol'informazione in entrata, ovvero quella che lo stesso consumatore, su sollecitazione delprofessionista o sua sponte, deve fornire ai fini della redazione dello stesso documento e dellaverifica del merito creditizio; e, per altro verso, delegando gli Stati membri a provvedere affinchéil creditore fornisca un plus di assistenza sotto forma di «chiarimenti adeguati», «eventualmenteillustrando le informazioni» contenute nel documento informativo.

Dunque la direttiva delinea tre livelli di informazione: le «informazioni pubblicitarie di base» dicui all'art. 4, meramente facoltative e con funzione sostanzialmente promozionale; le informazioniprecontrattuali in senso tecnico, necessariamente documentali, da rendersi obbligatoriamente pertutte le forme di finanziamento (con alcune deroghe di cui si dirà); l'informazione-assistenza,obbligatoria, ma non per tutti i contratti di credito, volta a rendere maggiormente fruibili leinformazioni scritte. Prevede infine che, sempre prima che il contratto sia concluso, «il creditorevaluti il merito creditizio del consumatore».

6. Rispetto alla corrispondente disposizione della direttiva 87/102/CE, la nuova disciplina delcredito al consumo prevede anzitutto una moltiplicazione delle informazioni da fornire al pubbliconei messaggi pubblicitari che facciano riferimento al costo del credito. La direttiva ora abrogata silimitava a stabilire che nella pubblicità diffusa dal (potenziale) creditore che facesse riferimento altasso di interesse o ad altre cifre riguardanti il costo del credito, avrebbe dovuto essere citatoanche, espresso in percentuale, il tasso annuo effettivo globale (75).

L'art. 123 del t.u.b. attua la disposizione, richiedendo indicazione del Taeg e del periodo di validitàper i messaggi pubblicitari e le offerte, con qualsiasi mezzo effettuate, con cui un soggetto dichiarail tasso di interesse o altre cifre concernenti il costo del credito, ma si limita a rinviare al Cicrl'individuazione delle ipotesi in cui, «per motivate ragioni tecniche» il Taeg può essere indicatomediante un esempio tipico. Il medesimo articolo dichiara poi applicabile al contratto di credito alconsumo la disciplina che l'art. 116 t.u.b. detta in materia di pubblicità con riferimento, ingenerale, alle «operazioni e servizi bancari», e nel quale si stabilisce che nei locali aperti alpubblico sono (devono essere) pubblicizzati i termini economici delle operazioni offerte allaclientela; si bandisce il rinvio agli usi; si dichiara che le informazioni pubblicitarie noncostituiscono offerta al pubblico; si enumerano le competenze riservate al competente ministerodelle finanze ed al Cicr.

La nuova direttiva apre il capo dedicato all'informazione del consumatore disponendo che«qualsiasi pubblicità relativa a contratti di credito la quale indichi un tasso di interesse oqualunque altro dato numerico riguardante il costo del credito per il consumatore contiene leinformazioni di base» puntualmente elencate all'art. 4.

Si tratta dunque, stando alla sola direttiva, di una informazione la cui diffusione da parte delprofessionista è meramente facoltativa. Tuttavia, ove il coordinamento con le norme del t.u.b.ricalcasse lo schema oggi operante, alle operazioni di credito al consumo continuerà ad applicarsil'art. 116 t.u.b., a norma del quale la pubblicizzazione di una serie di elementi (tassi di interesse,prezzi, spese per la comunicazione alla clientela, ecc., integrati, per le operazioni di credito alconsumo, con l'indicazione del Taeg e del relativo periodo di validità) è invece obbligatoria.Poiché nell'ambito dell'opera di sistemazione delle nuove regole entro la cornice del testo unicobancario non c'è motivo che simile richiamo sparisca, né questa appare l'intenzione del nostrolegislatore in sede di delega al Governo, anche la diffusione dei messaggi pubblicitari sarà contutta probabilità obbligatoria, quanto meno con riguardo a «ciascun locale aperto al pubblico».

Certamente vincolata questa pubblicità appare con riguardo ai suoi contenuti, almeno tutte le voltein cui «indichi un tasso di interesse o qualunque altro dato numerico riguardante il costo delcredito». Anche qui l'auspicato coordinamento con le norme del t.u.b. tenderà (o tenderebbe) arafforzare la ratio della disposizione, poiché l'indicazione del tasso di interesse - che nella direttivaè presupposto (eventuale ma) necessario perché la pubblicità sia analitica - deve comunque essereobbligatoriamente menzionato a norma dell'art. 116.

Le «informazioni di base», che in «forma chiara, concisa e graficamente evidenziata con l'impiegodi un esempio rappresentativo», il messaggio pubblicitario conterrà attengono: al tasso debitore(76); all'importo totale del credito; al tasso annuo effettivo globale (77); al prezzo in contanti eall'importo degli eventuali pagamenti anticipati in caso di credito sotto forma di dilazione dipagamento per una data merce o un dato servizio; nonché all'eventuale obbligo di ricorrere allaconclusione di un contratto relativo ad un servizio accessorio (per esempio un'assicurazione) qualecondizione necessaria per la conclusione del contratto di credito (78). A queste si aggiungono leinformazioni da fornirsi, per usare il lessico della direttiva, se del caso: la durata del contratto dicredito, l'importo totale che il consumatore è tenuto a pagare e l'importo delle rate (79).

Che ci si trovi dinanzi ad una forma di comunicazione pubblicitaria la quale - abbondando diinformazioni puntualmente individuate e facendo riferimento all'oggetto dell'eventuale contrattoed al prezzo - si apparenta allo schema dell'invito ad offrire e comunque si scostasignificativamente dalla nozione classica del messaggio promozionale è piuttosto evidente; cosìcome condivisibile appare il rilievo di chi ha evidenziato il deperimento della distinzione - nettainvece a norma del t.u.b. - fra questa pubblicità e lo schema di cui all'art. 1336 c.c., in relazione adun contenuto eccessivamente dettagliato, che peraltro rischia di perpetrare confusioni e asimmetrieinformative per eccesso (80).

Che tale anomalia non conduca per ciò stesso a tramutare la pubblicità (non solo in un'offerta alpubblico ma neanche) in informazione precontrattuale in senso tecnico - ammesso che possadelinearsi oggi una nozione univoca di informazione precontrattuale - è altrettanto evidente.

E però anche questo tipo di flusso informativo, pur privo di quell'attualità dell'intento negozialeche la trasformerebbe in vera e propria attività di collocamento (81), manifesterà - una volta messoa punto il collegamento con le disposizioni del t.u.b. - una peculiare attitudine ad «entrare» nelcontratto, sebbene con modalità affatto differenti da quelle sperimentate in tema di documentiinformativi.

Al di là della lettera della rubrica, infatti, si tratta di una pubblicità che non si preoccupa, o nonsolo, di «promuovere» l'attività del finanziatore quanto piuttosto di «comunicare» contenuti emodalità essenziali dei servizi offerti al pubblico di potenziali clienti. La finalità non è però quelladi colmare lacune conoscitive, ma quella di evitare condotte ingannevoli (82), che possano ostarealla reale possibilità di comparare le offerte: lo conferma il considerando n. 18 che, evidenziandola necessità di un apposito e puntuale intervento in materia di informazione pubblicitaria, delineatale necessità quale specificazione della più generale esigenza di proteggere i consumatori dapratiche sleali o ingannevoli.

Da ciò due conseguenze.

La prima. La direttiva tace sulla vincolatività di queste informazioni (come di quelle di cui agliarticoli successivi). E d'altro canto la vigente disciplina del t.u.b. rende esplicitamente applicabilial credito al consumo i soli commi 1 e 3 dell'art. 117 (forma scritta e nullità) e non anche gli altriprofili in quell'articolo presi in considerazione. Ma in ragione della funzione e dei contenuti dellapubblicità in parola, nonché della tendenziale sovrapponibilità fra l'art. 4 della direttiva e l'art. 116t.u.b., sarebbe irragionevole che il legislatore italiano, in sede di recepimento, non estendesseanche ai contratti di credito al consumo i meccanismi lato sensu integrativi che caratterizzano icontratti bancari. In particolare, che il singolo contratto possa discostarsi solo in melius dalle

condizioni economiche pubblicizzate, salvo apposita clausola approvata specificatamente periscritto (art. 117 comma 5); che le informazioni pubblicizzate riguardanti prezzi ed altre condizionisiano in grado di integrare lo stesso contratto in caso di lacuna del regolamento contrattuale o inpresenza di clausola nulla (cfr. art. 117, commi 4 e 7); che, soprattutto, «in mancanza di pubblicitànulla è dovuto» (art. 117, comma 7, ultima parte). Così assecondando la tendenza, certamente nonnuova, a porre «in capo all'impresa doveri non entranti a far parte direttamente del ciclocontrattuale ..., ma collegati allo stesso indirettamente in forme e “tecnicalità” di volta in voltadiverse» (83), a testimoniare non tanto uno slittamento all'indietro del principiare delle trattative -poiché manca ancora in questa fase l'individuazione della anche soltanto potenziale controparte el'attualità dell'intento negoziale - quanto piuttosto la presa d'atto dell'influenza che anche condotteassai lontane dal momento in cui si realizza il contatto sociale sono in grado di esercitare sullascelta negoziale del consumatore (84).

L'auspicata diretta applicabilità delle regole del t.u.b. in materia di efficacia vincolante delleinformazioni pubblicizzate darebbe luogo peraltro ad una auspicabile «despecializzazione» delcredito al consumo ed una progressiva attrazione nella disciplina generale delle operazionibancarie (tenuto conto, naturalmente delle sue ineliminabili specificità che ne dovessero imporreuna regolamentazione ad hoc), in linea come vedremo con la delega legislativa.

La seconda conseguenza deriva dalla sicura appartenenza della norma in esame alle discipline cheregolano l'attività di impresa, come tali volte a regolare ed armonizzare i parametri di correttezzadelle comunicazioni commerciali e, più in generale, le condotte dei professionisti, non già(direttamente) il singolo atto negoziale (85).

In quanto per sua natura indirizzata ad una platea indefinita di consumatori e però certamente - ovecontenesse informazioni non rispondenti al vero, o in ragione della sua presentazione complessiva,o, ancora, ove omettesse informazioni rilevanti di cui il consumatore medio ha bisogno perassumere una decisione consapevole - idonea ad indurre il consumatore medio in errore o «adassumere una decisione commerciale che non avrebbe altrimenti preso» (artt. 21 e 22 cod. cons.),la pubblicità di cui all'art. 4 della direttiva ricade nell'ambito di applicazione della disciplina sullepratiche commerciali scorrette.

Ogniqualvolta l'informazione pubblicitaria, per la sua ingannevolezza, ambiguità o lacunosità,falsa o è idonea a falsare in misura rilevante il comportamento economico del consumatore, saràalle regole contenute nel titolo III del codice di consumo che occorrerà attingere; in particolare,alla tutela preventiva, in via ordinaria e d'urgenza, volta ad inibire la continuazione dell'attivitàscorretta e rimuoverne gli effetti, nonché alle sanzioni amministrative pecuniarie, secondopresupposti e modalità di cui all'art. 27. Si tratta, come ognuno vede, di rimedi che nulla hanno ache vedere con il contratto - anche perché attivabili a prescindere dalla conclusione di questo - mache colpiscono le sole condotte del professionista in quanto idonee a distorcere le dinamiche delmercato concorrenziale.

Non ci pare che possa residuare spazio per la reperibilità di rimedi ulteriori, e schiettamentecontrattuali, da esperirsi da parte del singolo consumatore danneggiato in presenza di un contrattoconcluso (anche) sulla spinta di un messaggio pubblicitario ingannevole o lacunoso.

La questione è stata oggetto di vivo dibattito presso coloro che hanno affrontato funditus il temadelle pratiche scorrette, ed ha sortito soluzioni varie e variamente argomentate - risarcimento deldanno (86), annullabilità per reticenza, nullità di protezione, recesso (87) - tutte fondate sulcomune presupposto che la disciplina in materia avesse determinato una lacuna nel sistema deirimedi contrattuali, da colmare in via di interpretazione (88).

Ma la diversa area di incidenza della disciplina squisitamente preventiva posta agli artt. 21 ss. cod.cons. e di quella successiva tipica dei rimedi propriamente contrattuali rientra in una razionalestrategia di articolazione degli strumenti di governo del mercato e non significa necessariamente

lacuna legislativa.

Si tratta naturalmente di un tema che non può essere affrontato in questa sede, anche in ragionedell'ampiezza della disciplina sulle pratiche scorrette - idonea a coprire situazioni molto diverse traloro - che consigliano un'analisi non indifferenziata, che faccia i conti con gli specifici interessi ingioco nelle singole fattispecie negoziali di volta in volta rilevanti e che di volta in volta verifichi lapossibilità di reperire nella condotta sleale che sta a monte del contratto il presupposto giuridico diattivazione del rimedio contrattuale, come delineato dal codice civile o da altri corpi normativiastrattamente applicabili.

Se l'indagine va fatta caso per caso, a nostro avviso nel caso di contratto di credito al consumoconcluso a valle di un messaggio pubblicitario ingannevole non sarebbero rintracciabili nellostrumentario di cui dispone il civilista rimedi ulteriori rispetto a quelli che - con esplicitaindicazione normativa - individua il t.u.b.

Il messaggio pubblicitario, infatti, pur inquadrandosi nella vicenda negoziale nei termini di cui si èdetto, si colloca però in una fase che è ancora troppo lontana dal contratto, e che, soprattuttoquando fra essa e la conclusione interviene un ulteriore e personalizzato momento informativo,non può considerarsi determinante ai fini della conclusione del contratto.

Non è in contraddizione con quanto diciamo la circostanza che la disciplina del codice delconsumo parli di condotte idonee ad alterare una «decisione di natura commerciale». La decisionedi natura commerciale non necessariamente è una decisione negoziale: nel nostro caso lapubblicità servirà, per esempio, a indurre il consumatore a chiedere maggiori informazioni ad unoperatore invece che ad un altro, ma non spiega un diretto effetto sulla (eventuale) sceltanegoziale.

A fronte di una comunicazione rivolta ad un pubblico indistinto, diretta a diffondere informazionistandardizzate, e che presuppone necessariamente un ulteriore momento di informazione primache si giunga al contratto, non mi pare che - nel caso specifico della disciplina del credito alconsumo - sia possibile rintracciare percorsi in grado di far ricadere sul singolo contratto leanomalie di una condotta scorretta. In linea, peraltro, con la funzione di questo tipo diinformazione che, sebbene non si limiti a promuovere, ma comunichi anche una serie di datirilevanti per la futura contrattazione, è volta non a sostenere un consenso debole (come gliobblighi informativi propriamente detti dovrebbero fare), ma essenzialmente a consentire di«paragonare le varie offerte» (considerando n. 18) (89).

La presenza dei meccanismi integrativi e sanzionatori apprestati dal t.u.b. in relazione adun'informazione pubblicitaria ingannevole o lacunosa, mentre non contraddice la individuatafunzione di sostegno alla competitività degli operatori del credito ma anzi ne rappresenta unrafforzamento, consente anche di risolvere con una certa sicurezza una questione - quella dellatutela del singolo consumatore leso - che in altri ambiti disciplinari lascia invece ampi margini diincertezza.

7. Poiché scopo dichiarato della nuova direttiva è che «i consumatori possano prendere le lorodecisioni con piena cognizione di causa», è ritenuto opportuno che gli stessi «ricevanoinformazioni adeguate, che il consumatore possa portare con sé ed esaminare, prima dellaconclusione del contratto di credito, circa le condizioni e il costo del credito e le loroobbligazioni» (90).

A tal fine è previsto un sistema di doveri gravanti sul professionista in fase precontrattuale insintesi così articolato: il creditore fornisce al consumatore, prima della conclusione del contratto,un documento informativo contenente l'indicazione di una serie di elementi specificatamenteindividuati; tale documento deve essere redatto tenendo conto, «se del caso», delle preferenzeespresse e delle informazioni fornite dal consumatore; il creditore è libero di fornire informazioni

aggiuntive rispetto a quelle da fornirsi obbligatoriamente, ma versandole in altro e distintodocumento; se il consumatore lo richieda, gli è fornita gratuitamente una bozza di contratto; ilcreditore è tenuto - secondo tempi e modalità che ciascuno Stato membro deve stabilire - aprocurare tutti i chiarimenti adeguati circa il prodotto proposto e ad illustrare le informazionifornite con il documento informativo.

Sembrerebbe di trovarci di fronte ad un approccio nuovo al tema dei doveri di informazione -almeno di quelli che hanno accompagnato sin qui le discipline consumeristiche - in virtù del quale,contrariamente al consueto flusso unidirezionale che promana dal professionista verso ilconsumatore senza che a quest'ultimo sia consentito interloquire con il suo alter ego ai fini dellacomposizione del regolamento contrattuale, si delineerebbe invece un rapporto dialogico, fondatosu uno scambio di informazioni e rafforzato da un plus di assistenza/consulenza fornita dalcreditore, che dovrebbe consentire al consumatore di accedere al contratto avendo maturato unareale cognizione di causa.

Ebbene, l'impressione è in parte smentita.

La prima perplessità deriva dalla regola per cui «si considera che il creditore abbia soddisfatto» gliobblighi informativi di cui al paragrafo primo dell'art. 5 sol che consegni il modulo relativo alle«Informazioni europee di base relative al credito al consumo».

Il che indurrebbe subito a delineare una differenza di valore tra l'informazione resa mediante laconsegna del modulo, che è condizione necessaria e sufficiente perché il professionista assolva ipropri doveri (91), e le altre informazioni eventualmente comunicate sotto forma dichiarimento/illustrazione, che risultano ancillari e tutto sommato prive della medesima doverositàche assiste le prime, poiché le sole informazioni considerate funzionali alla maturazione della«cognizione di causa» sono quelle inserite nel modulo.

L'art. 5 prevede che «se del caso» le informazioni vengano fornite anche sulla base «dellepreferenze espresse e delle informazioni fornite dal consumatore». Ma l'utilizzo della locuzione«se del caso» - che la direttiva impiega diffusamente ma non sempre a proposito - qui lasciaprefigurare una discrezionalità del creditore circa le informazioni in entrata che indebolisconoratio ed efficienza della disposizione (92).

Il documento da consegnare è un modulo standard, ai fini di rendere omogenee le offerte nelmercato del credito (93). Ma tale funzione è quanto meno ridimensionata dalla possibilità difornire documenti ulteriori, che non solo depotenziano la comparabilità dell'offerta e allentano ilconfine fra le informazioni necessarie e quelle facoltative (94), ma, essendone contenuti e formarimessi alla totale discrezionalità del professionista, rischiano di tradursi, e ridursi, incomunicazioni squisitamente promozionali (95).

Solo ove il consumatore ne faccia richiesta, una copia della bozza di contratto è fornitagratuitamente. La consegna del testo contenente il regolamento, dunque, non è oggetto di unobbligo, ma è condizionata dalla esplicita sollecitazione del consumatore ed anche in questo casola formula «è fornita», riferita alla bozza, non fa espresso riferimento alla sfera della doverosità. Eciò appare piuttosto singolare, dal momento che, come insegnano gli studi condotti in ambientestatunitense dagli economisti comportamentali (96), è del tutto ragionevole pensare che ilconsumatore maturi una più profonda consapevolezza del peso e dell'impegnatività dell'operazioneche sta per concludere, anche dal profilo squisitamente psicologico, avendo fra le mani il contrattovero e proprio più che un documento informativo.

Il paragrafo 6 sembrerebbe porre rimedio alla rigidità fin qui denunciata, delegando gli Statimembri a provvedere affinché i creditori, e gli intermediari, prestino un'adeguata assistenza alconsumatore in modo di consentirgli di «valutare se il contratto di credito predisposto sia adattoalle sue esigenze e alla sua situazione finanziaria, eventualmente illustrando le informazioni

precontrattuali che devono essere fornite conformemente al paragrafo 1, le caratteristicheessenziali dei prodotti proposti e gli effetti specifici che possono avere sul consumatore, incluse leconseguenze del mancato pagamento».

E però si tratta di un obbligo che non pare in alcun modo emanciparsi dal generale dovere dicomportarsi secondo buona fede ex art. 1337 c.c. che graverebbe comunque sul professionista insede di trattative ed il cui assolvimento non pare altrettanto centrale rispetto a quello dellaconsegna del documento informativo: non solo perché all'art. 6, ove si predispone unasemplificazione degli obblighi informativi quando il credito sia concesso sotto forma diconcessione di scoperto, a saltare è proprio il dovere di assistenza, ma anche in ragione dellaprecisa scelta operata dal legislatore comunitario quando lascia agli Stati membri il compito difissare modalità e portata di tale assistenza, col che, ancora una volta, consentendo che le varielegislazioni si divarichino su di un punto centrale per la protezione del consumatore.

Proprio in sede di attuazione, il legislatore italiano dovrebbe arricchire la scarna disciplinacomunitaria, dotandola di strumenti in grado di governare il punto più debole di questo tipo diinformazione, vale a dire il profilo della prova in giudizio della negligenza del professionista. Sitratta infatti di informazioni fornite oralmente, che per la loro intrinseca flessibilità naturalmente sisottraggono ad una preventiva redazione per iscritto e d'altro canto comporterebbero un costodifficilmente sopportabile per le imprese ove le si volessero consacrare in un documentosuccessivamente alla loro esplicazione.

Tuttavia, per scongiurare il pericolo che la qualità di dette informazioni, destinate a rimanere offthe record, sia di difficile dimostrabilità in punto di prova da parte del consumatore, si potrebbepensare alla registrazione su nastro magnetico della conversazione, sulla falsariga di quanto il reg.CONSOB sugli intermediari prevede per gli ordini impartiti telefonicamente (artt. 57 e 76). Oltreche ad una norma, analoga a quella dettata dal comma 6 dell'art. 23 t.u.f., che ponesse a carico delcreditore l'onere della prova.

Al di là dei punti di debolezza, o comunque perfettibilità, fin qui indicati, il limite più evidentedella disciplina dei doveri precontrattuali sta nel suo silenzio in punto di rimedi. La direttiva lasciaagli Stati membri la facoltà di «disciplinare l'eventuale carattere vincolante delle informazionifornite al consumatore prima della conclusione del contratto» (considerando n. 25), così sancendoperaltro l'ennesima smentita della clausola di armonizzazione massima, e non compie nessunpasso avanti per risolvere una delle questioni centrali del dibattito scientifico attuale, interno edeuropeo.

Il mero incasellamento della disciplina adesso descritta nel corpo del t.u.b., ove non accompagnatoda un intervento correttivo in sede di recepimento, risolverebbe solo in parte il problema, poichél'art. 124, che regola forma e contenuto del contratto di credito al consumo, non richiama, nel testooggi in vigore, l'art. 117 che espressamente impedisce una difformità in peius del contratto rispettoalle condizioni pubblicizzate che non sia stata oggetto di clausola approvata specificatamente periscritto (97); ne deriverà, in assenza di opportuno coordinamento, che «il cliente potrà vedersisottoposta una proposta contrattuale diversa e più svantaggiosa di quella illustratagli in sede ditrattativa» (98).

È singolare che il legislatore comunitario non si sia allineato al trend oggi prevalente, di dotarel'informazione precontrattuale di un regime di irretrattabilità o parziale irretrattabilità. Ove a talesilenzio si volesse attribuire un significato preciso, questo potrebbe forse rintracciarsi nella volontàdi accordare alle parti, nell'ambito di un'informazione necessariamente personalizzata, la facoltà dioperare progressivi aggiustamenti delle condizioni che poi costituiranno il testo contrattuale.Cosicché la divergenza tra condizioni comunicate e condizioni inserite nel contratto non potrà darluogo a conseguenze di tipo lato sensu sostitutivo potendosi ragionevolmente aspettare ilprofessionista che il consumatore, sottoscrivendo il contratto, abbia preso atto delle modifiche chele informazioni precontrattuali hanno subito in fase di trasposizione nel contratto e le abbia

accettate.

Certo una simile soluzione, che pure la lettera della legge sembra imporre, mal si concilia colquadro sistematico entro cui andrà calata - essendo il t.u.b. connotato, come si è detto, da unachiarissima attitudine a garantire che il testo del contratto non si scosti dalle condizionicontrattuali pubblicizzate, fino ad assicurare il trascorrere delle stesse entro il regolamentocontrattuale quando più favorevoli per il cliente - e, più in generale, con la univoca tendenza dellalegislazione comunitaria a combattere le cosiddette clausole a sorpresa (quelle cioè inserite neltesto contrattuale anche se difformi da quanto pubblicizzato) che aveva indotto la dottrina adelineare una sorta di regola generale in materia di contratti asimmetrici, in virtù della quale «soloquelle clausole che sono illuminate dall'informazione, e sono ad essa fedeli, possono far parte delregolamento contrattuale» (99).

Al di là di una disposizione che impedisca al contratto di deflettere dalle informazionicorrettamente fornite, manca del tutto un'indicazione circa la diversa questione dell'informazionecarente o inesatta: ferma restando in questi casi l'operatività delle norme in materia di pratichecommerciali scorrette quando siano alterate, in atto o in potenza, le scelte del consumatore (100),rimane insomma del tutto aperto il fronte delle conseguenze privatistiche della violazione deidoveri precontrattuali.

Il paradigma dell'informazione precontrattuale che, dotata di certi requisiti (standardizzata,immodificabile una volta fornita, necessariamente documentale, dai contenuti predeterminati etendenzialmente coincidenti con quelli del contratto), assurga a momento formativo dell'accordo osia comunque in grado di incidere sulle sorti del contratto - che ha rappresentato dapprima il datoforse più nuovo ed eversivo delle tecniche di tutela del contraente debole - può dirsi ormaipatrimonio acquisito della legislazione nuova.

Anche quando natura e conseguenze del legame tra informazione e contratto non sono del tuttoesplicitate in punto di sanzioni (101), il nesso fra momento precontrattuale e conclusionedell'accordo risulta comunque evidente (102): in questa direzione si muove, per esempio, larecente direttiva 2008/122/CEE sulla «tutela dei consumatori per quanto riguarda taluni aspetti deicontratti di multiproprietà, dei contratti relativi ai prodotti per le vacanze di lungo termine e deicontratti di rivendita e di scambio», che si esprime in termini inequivoci affermando che leinformazioni che vanno fornite al cliente prima della conclusione del contratto «formano parteintegrante del contratto» (103).

Dal canto suo, la Corte europea di giustizia (nella nota sentenza Heininger), ed in tempi non piùrecentissimi, ha interpretato la contiguità tra informazioni e contratto facendo reagire la violazionedei doveri di condotta precontrattuale sui termini per recedere e dunque, in ultima analisi,sull'accordo stesso, statuendo che se il consumatore non abbia potuto beneficiare delleinformazioni inerenti il diritto di recesso che gli erano dovute prima della conclusione delcontratto, non potrà essere apposto un dies ad quem all'esercizio del diritto di recesso. Soluzioneperaltro fatta propria, come diremo, dalla direttiva in commento, ma con riguardo alle soleinformazioni contenute nel contratto.

Proprio sulla scorta dei numerosi segnali provenienti dalle fonti europee e dalla giurisprudenzadella Corte di giustizia, la preziosa sintesi operata dagli Acquis Principles propende, nel caso dicontratti connotati da un'asimmetria di potere in ragione della «natura» della transazione e da cui ilconsumatore ha diritto di recedere (schema entro cui astrattamente ricadrebbe il contratto dicredito al consumo), per consentire l'esercizio del diritto di recesso finché l'informazione (qui nonlimitata al diritto di recesso ma inerente ad oggetto e prezzo) non sia fornita correttamente quantoa contenuti e forma (sebbene col limite massimo di un anno dalla conclusione del contratto) (104).In ogni caso, a prescindere dalla circostanza che il contratto si sia concluso o meno, ilprofessionista è tenuto a risarcire i danni (105).

Appare dunque di non immediata comprensione la ragione per cui il legislatore comunitario non sisia allineato a tali indicazioni. Poiché, tuttavia, il principio dell'effetto utile non consente dilasciare sfornito di apparato sanzionatorio il versante precontrattuale, ove una simile indagine sivolesse tentare, un appiglio, per quanto esile, il testo sembra fornirlo quando fa riferimento aquella «cognizione di causa» che dovrebbe germogliare nel consumatore in conseguenza delleinformazioni ricevute.

Si potrebbe, a partire da qui, affermare che il documento informativo è direttamente funzionalealla formazione del consenso, che è la sede in cui la scelta negoziale matura e si compie poiché è lìche il consumatore in definitiva ha piena contezza dei diritti e degli obblighi che scaturiranno dalcontratto; che, proprio per questo, esiste una tendenziale coincidenza tra contenuti e forma deldocumento informativo e contenuti e forma del contratto; che perciò il documento contribuiscealla determinazione legale degli elementi del contratto; che l'informazione va intesa dunque qualeprescrizione di forma e contenuto minimo dell'offerta nel procedimento di formazionedell'accordo; con la conseguenza che il contenuto delle informazioni entra a far parte del contrattotanto da colmarne eventuali lacune, e, a contrario, osta ad una valida formazione dell'accordo senon è fornita.

Si potrebbero, in altre parole, adattare al problema in esame gli esiti cui la dottrina più avvertita ègiunta con riguardo ai doveri informativi presenti in altri corpi normativi. Ma l'adattamento nonreggerebbe, rivelandosi eccessivamente tranchant in ragione dell'assenza, nella disciplina di cuidiscorriamo, di quelle regole (irrevocabilità, obbligo espresso di versare nel contratto, vincolativitàespressa, precise regole di integrazione, ecc.) che, assicurando il trascorrere dell'oggettodell'informazione nel contenuto del contratto (106), legittimano la ricostruzione dogmatica deidoveri informativi come «prescrizioni di forma e di contenuto minimo dell'offerta nelprocedimento di formazione dell'accordo professionista-consumatore» (107).

È però a monte che un simile percorso risulta impraticabile, e per due ordini di ragioni: in primoluogo, la formulazione dell'art. 5 pone un nesso di causa-effetto non tra documento informativo ecognizione di causa, bensì tra raffronto delle offerte e cognizione di causa («il creditore e, se delcaso, l'intermediario, ... forniscono al consumatore ... le informazioni necessarie per raffrontare levarie offerte al fine di prendere una decisione con cognizione di causa»), cosicché la cognizione dicausa si matura non sulla base del documento informativo bensì come conseguenza dellacomparazione tra le offerte (108).

In secondo luogo, l'argomento dell'effetto utile implica, com'è noto, che si garantisca l'effettivitàdella norma comunitaria in coerenza con la ratio che quest'ultima ispira. Ora, la ratio della nuovadisciplina dei contratti di credito coi consumatori non è la tutela dei consumatori medesimi, ocomunque non lo è in modo decisivo. E non tanto perché la norma che fonda l'intera disciplina èquella dell'art. 95 del Trattato, dedicata all'insaturazione del mercato interno, mentre non si famenzione dell'art. 153 (109): anche la recente direttiva in materia di multiproprietà opera unrichiamo espresso ed esclusivo all'art. 95 e non all'art. 153, ma ciò non impedisce di predicarnecomunque la finalità «protettiva» in ragione di regole chiaramente deputate a faredell'informazione precontrattuale un sicuro momento dell'iter procedurale che conduce allaconclusione del contratto.

È piuttosto l'impianto complessivo della direttiva 48/2008, il contenuto dei suoi considerando,l'articolazione degli strumenti in essa previsti, soprattutto la scelta circa i profili espressamente (edinderogabilmente) regolati e quelli rimessi alle scelte degli Stati membri, a far rintracciare infinenella regolazione armonizzata dell'offerta di credito la vera materia oggetto della direttiva, edunque la sua ratio; ed è la rimozione delle barriere che la mancata armonizzazione oppone almercato transfrontaliero «o, in positivo, la facilitazione e l'incentivo alla conclusione di contratticross border di credito al consumo a rappresentare la più credibile (e dichiarata) causa prossimadel nuovo intervento del legislatore di Bruxelles» (110).

In tale prospettiva, ed in ragione della totale assenza di utili appigli normativi, abdicare al tentativodi piegare i doveri precontrattuali del professionista fino a farli reagire sulle sorti del contratto inchiave di tutela del contraente debole, potrebbe apparire financo coerente con l'impianto generaledella direttiva. Ci sono insomma argomenti testuali seri che potrebbero far propendere nel sensodella impermeabilità del contratto a qualsivoglia difetto - o semplicemente difformità in peius -dell'informazione precontrattuale. E se il legislatore italiano non interverrà nel senso di delineareun chiaro legame tra contenuti dell'informazione e contenuti del contratto, sarà difficile perl'interprete, oltre che ultroneo rispetto alla finalità dichiarata della disciplina, oltrepassare l'area deirimedi generali previsti per la violazione della buona fede in sede di trattative.

In questo modo però, e ciò non può tacersi, la direttiva in commento si scosta significativamentedalle esperienze che la precedono, segnalandosi per un indubitabile arretramento di tutela delconsumatore (111). Circostanza ancor più singolare ove si ponga mente al fatto che la produzionenormativa di derivazione europea, segnatamente in materia di diritto dei contratti, si è negli annicaratterizzata per avere coniugato, ed in modo tutto sommato equilibrato, la finalità di costruzionedel mercato unico con la protezione del contraente debole; anzi assumendo detta protezione astrumento principale di efficienza del mercato concorrenziale.

Spetterà all'interprete, ove il legislatore del recepimento non intervenisse, di decidere che portataattribuire al silenzio della direttiva in punto di rapporti tra informazione e contratto: se unintenzionale disegno volto a fare dell'informazione precontrattuale unicamente lo strumento diarmonizzazione delle offerte di credito in chiave di una loro comparazione, perciò recidendoneogni legame col regolamento contrattuale; ovvero niente più che il risultato di una redazionemaldestra, suscettibile di aggiustamenti alla luce del più ampio contesto normativo entro cui ladirettiva sarà trasposta. Così da consentire in questa ultima ipotesi, in via di interpretazioneletterale o sistematica a seconda del grado di accuratezza dell'intervento legislativo, l'operatività diquegli strumenti che nel t.u.b. sono ispirati al generale principio della «trasparenza dellecondizioni contrattuali».

8. Il quadro delle «pratiche preliminari alla conclusione del contratto di credito» si chiude con ladisposizione di cui all'art. 8, rubricato «obbligo di verifica del merito creditizio del consumatore»,a norma del quale gli Stati membri sono tenuti a provvedere a che il creditore, prima dellaconclusione del contratto, valuti il merito creditizio del cliente, sulla base di informazioniadeguate. Tali informazioni sono «se del caso» fornite dal consumatore stesso e «ove necessario»ottenute attingendo alla banca dati pertinente.

Si tratterà di valutare, per esempio, e in misura più o meno incisiva a seconda dell'entità delcredito concesso, l'incidenza del debito sul reddito del cliente, la stabilità professionale, lo stato disalute, le informazioni reperite quanto a ritardi nei rimborsi dei debiti o pregressi mancatipagamenti, ecc. - in sintesi, la capacità di restituzione del consumatore, fondata su dati storici(112), e non anche la meritevolezza dell'impiego delle somme erogande - affinché «i creditori nonconcedano prestiti in modo irresponsabile» (considerando n. 26) (113).

Il rischio (non esplicitato) che il reperimento da parte del creditore di simili informazioni dovrebbescongiurare è quello di una eccessiva esposizione debitoria del consumatore. Anche se, adifferenza di altri, il nostro ordinamento non dispone di una definizione legale del fenomeno delsovraindebitamento, gli economisti ne hanno messo a fuoco la nozione con riferimento allasituazione in cui la contrazione di debiti è tale che il livello dei flussi di pagamenti necessari perrimborsi ed interessi risulta sovradimensionata rispetto al reddito corrente e ad altre risorseeventualmente derivanti dalla liquidazione di attività reali e finanziarie (114).

La valutazione del merito creditizio dovrebbe rappresentare, insieme alla trasparenza eall'informazione precontrattuale, il principale strumento di carattere preventivo per la lotta alsovraindebitamento: le informazioni, in uscita ed in entrata, dovrebbero rispettivamentepromuovere l'assunzione responsabile del debito da parte del consumatore e garantire

un'erogazione altrettanto responsabile del credito da parte del finanziatore.

La strategia adottata dal legislatore comunitario andrebbe dunque salutata con favore, se non sirivelasse, ad una lettura più attenta, ambigua nella sue concrete modalità applicative e debole sulversante delle sanzioni.

Quanto alle modalità applicative, vengono in rilievo due circostanze. La prima è, di nuovo, lamancata diretta regolamentazione del profilo da parte della direttiva, che rimette agli Stati membridi delineare la portata dell'obbligo e le condizioni del suo assolvimento. Ne seguirà un panoramanormativo ben lungi dal potersi dire armonizzato, che di certo rallenterà l'espansione del mercatodel credito transfrontaliero. Questione che diventa ancor più spinosa ove si tenga conto - e siamoalla seconda circostanza - che la direttiva, dopo aver qualificato la verifica come «obbligo» nellarubrica dell'art. 8, utilizza nella redazione dell'articolo una formulazione assai più sfumata, dallaquale non è consentito concludere con certezza che davvero di obbligo si tratti e che in definitivalascia a ciascun ordinamento di decidere nel senso della obbligatorietà o meno.

Ed infatti, alla lettera della direttiva: il creditore non è obbligato alla verifica del merito creditizio;ove la verifica fosse comunque svolta, non è vincolato a decidere della concessione del prestitosulla base delle informazioni attinte; il prestito concesso a fronte di informazioni che avrebberoconsigliato di non erogarlo è inattaccabile sul piano civilistico e non è fonte di responsabilità delcreditore, se non nei limiti in cui ciò interferisca con la regola di sana e prudente gestione (115).L'unico profilo di doverosità sembra scorgersi al comma 2 dell'art. 9, a norma del quale se il rifiutodi concedere il prestito è motivato da informazioni attinte da una banca dati «il creditore informa ilconsumatore immediatamente e gratuitamente del risultato di tale consultazione e degli estremidella banca dati consultata»; a contrario, ove il rifiuto fosse motivato da informazioni non attinteda banche dati (poiché alla consultazione di queste il creditore è tenuto solo «ove necessario») ilconsumatore non avrà nessun diritto di esserne informato.

In termini diversi e fuori da ogni ambiguità, la proposta di direttiva (116) prevedeva, all'art. 8,l'obbligo di istituzione di una «banca dati centralizzata» avente per finalità la registrazione deiconsumatori e dei fideiussori dello Stato membro che hanno avuto problemi nel rimborso di undebito e stabiliva che «i creditori devono consultare la banca dati centralizzata prima di ogniassunzione d'impegno da parte del consumatore» (117).

Invero, il tema del prestito responsabile rappresentava (insieme ad altri temi pure scomparsi neltesto definitivo), un capitolo importante dell'impianto complessivo della proposta, alimentando leaspettative, poi deluse, di chi intravedeva nella nuova normativa l'occasione per coniugare inmodo equilibrato l'esigenza di potenziamento del mercato del credito con la pressante domanda diprotezione del consumatore.

Nella relazione di accompagnamento alla proposta si riteneva infatti sussistente un «interessegenerale» ad evitare un indebitamento eccessivo del consumatore e, pur precisando che quellorelativo alla consultazioni delle banche dati non è un «obbligo volto ad ottenere risultati» e che «laconsultazione di tale centrale non costituisce per il creditore che una prima indicazione utile chedeve essere completata da altre misure», si precisava però che la valutazione da parte del creditoredella solvibilità del consumatore non è «affatto neutra», essendo in gioco la sua responsabilitàcontrattuale. Per siffatta ragione si riteneva opportuno «precisare a tale riguardo il legame tra laconclusione del contratto di credito e tale valutazione preventiva», anche se la disposizione nonavrebbe potuto sollevare «il consumatore dall'obbligo di agire con prudenza durante la ricerca diun credito e di rispettare i suoi obblighi contrattuali».

Ora, non solo la nuova direttiva non conserva traccia alcuna di simili intendimenti, ma dubbio è inessa addirittura il carattere obbligatorio della verifica del merito creditizio, probabilmente inconsiderazione dell'idea «che un controllo quasi qualitativo del credito a fini di tutela delconsumatore e il conseguente automatismo della decisione che consegue alla consultazione della

banca dati possa confliggere con il carattere imprenditoriale dell'attività bancaria e finanziaria»(118).

Ma se il legislatore interno mantenesse tale ambiguità in punto di doverosità della verifica e nonfornisse indicazioni circa il rapporto tra valutazione ex ante del merito creditizio e giudizio ex postsulla correttezza della condotta del professionista, la disposizione di cui all'art. 8 si risolverebbe inuna mera reiterazione di regole generali di correttezza professionale di cui l'ordinamento è giàdotato, affievolendone in modo consistente l'incisività (119). Non si andrebbe, insomma, «al di làdell'accertamento, di per sé ovvio, che ogni soggetto in fase di erogazione del credito normalmentecompie sulla solidità del soggetto affidato» (120), mentre la condotta negligente del professionistapotrebbe essere sanzionata al più quale violazione della diligenza professionale (121), senzaripercussioni sul contratto concluso né sul diritto al recupero del credito.

Poiché la direttiva «non disciplina gli aspetti del diritto contrattuale relativi alla validità deicontratti di credito» (122), il legislatore interno rimane libero di delineare una regola che, peresempio, chiaramente impedisse al creditore di dar seguito all'operazione nel caso la stessa sirivelasse fuori portata per il consumatore (123), sulla falsa riga di quanto prescrive l'art. 29 commaprimo del reg. Consob 11522/98 in materia di «operazioni non adeguate» (124). Così come,percorrendo un'altra via, potrebbe fornire indicazioni inequivoche che consentano di individuarenella conclusione di un'operazione negoziale non adeguata una ipotesi di responsabilitàextracontrattuale per «concessione abusiva di credito», la cui piena ammissibilità, come noto, èancora al centro di vivo dibattito (125). Ovvero ancora, accogliendo per esempio le suggestioniche provengono dall'ordinamento francese, introdurre misure volte a far diventare rilevante in unmomento successivo alla conclusione del contratto - in sede di azione per l'adempimento o in faseesecutiva - la conoscenza che il creditore aveva della situazione finanziaria del debitore quando haconcesso il credito ed il grado di correttezza professionale che ne ha accompagnato l'erogazione(126).

Il confronto con la legislazione d'oltralpe - particolarmente attenta alla tutela deldebitore/consumatore fin da tempi in cui meno pressanti erano le sollecitazioni europee in materia- e, più in generale, con gli altri ordinamenti, europei e non, rende poi particolarmente vistosa latotale assenza nella disciplina che commentiamo di qualsivoglia intervento di tipo successivo, ingrado di regolare la temporanea o definitiva situazione di insolvenza del sovvenuto.

Si tratta delle cosiddette procedure concorsuali delle persone fisiche, volte a sottrarre il debitore adazioni individuali dei creditori ed a formulare piani di ristrutturazione dei debiti variamentearticolati, che possono giungere, talvolta, fino alla remissione parziale di crediti non piùrecuperabili.

In genere la procedura - il più delle volte attivata su iniziativa del debitore, di cui spesso è richiestala buona fede (127) - prevede una fase amicale - svolta dinanzi all'autorità amministrativachiamata a redigere un piano di rimborso concordato con i creditori - seguita, ove non si siatrovato un accordo o su istanza dello stesso debitore o anche d'ufficio, da una fase giurisdizionalenella quale è il giudice (o talora di nuovo l'autorità amministrativa, qui con più ampiecompetenze), i cui poteri variano da un ordinamento ad un altro, a delineare modalità e tempi delpagamento, ma sulla base di quel favor debitoris che conduce, talvolta, fino alla remissione di unaparte del debito (128).

Ora, poiché, tutti gli ordinamenti europei ne sono dotati, e ciascuno di essi, come ovvio, ha le sueregole, se c'era un profilo in cui veramente l'armonizzazione massima avrebbe potuto giocare unruolo determinante era proprio quello della disciplina del sovraindebitamento.

Ancor di più stupisce il silenzio della direttiva, ove la si confronti con la corrispondente proposta,nella quale almeno la prospettiva di una gestione flessibile dei rimborsi in favore del consumatoree la possibilità di riscadenzare il debito ai primi segnali di tensione, accogliendo la possibilità che

situazioni temporanee di difficoltà tornino stabili anziché sconfinare in una vera e propriainsolvenza, sembrava essere stata assunta con decisione.

L'art. 24 della citata proposta di direttiva, infatti, avendo preliminarmente fissato il principiogenerale di proporzionalità per quanto riguarda il recupero di debiti derivanti da un contratto dicredito, era volto ad evitare che il consumatore fosse costretto a rimborsare immediatamentel'importo totale del credito senza essere stato in precedenza invitato a rimediare a un eventualeritardo o a formulare una proposta per un accordo amichevole circa un nuovo scadenzario per ilrimborso del credito, ritenendo «indispensabile» che gli Stati membri incoraggiassero le partiinteressate a cercare accordi extra giudiziali (129).

Non che si delineasse uno statuto comune del c.d. fallimento civile, ma la propensione alla tuteladel consumatore rimaneva in qualche modo presente. Si può sostenere che la regolamentazionedettagliata della procedura concorsuale individuale debba considerarsi estranea all'oggetto delladirettiva (130); ma non v'è dubbio che la circostanza per cui (a parte l'Italia) tutti gli ordinamentine sono dotati, con conseguente ed inevitabile frammentazione, rende un intervento diarmonizzazione completa qui più urgente che altrove, anche fuori dalla disciplina del credito alconsumo. Come del resto in ambienti europei - ma, sorprendentemente, non giuridici - si cominciaa denunciare (131).

Che si tratti di una sedes materiae non appropriata ovvero più banalmente si abbia ennesimaconferma di trovarsi dinanzi ad una disciplina che ben poco ha di protettivo in favore delconsumatore, poco importa. Rimane di certo, per l'Europa, del tutto non armonizzato un settorerilevante e destinato sempre più ad essere chiamato in causa; per l'Italia, una scarsità di strumentigiuridici cui il legislatore dovrebbe decidersi ad ovviare.

9. A norma dell'art. 10 «i contratti di credito sono redatti su supporto cartaceo o su altro supportodurevole». La direttiva 87/102 prescriveva, più incisivamente, che il contratto avrebbe dovutoessere «concluso per iscritto»; da qui il requisito di forma espressamente a pena di nullità (diprotezione) previsto all'art. 124 t.u.b.

La diversa formulazione legislativa ha così indotto a ritenere che l'impostazione più liberale emeno rigorosa che in punto di forma la nuova direttiva adotta in funzione dell'obiettivo dipromuovere e favorire la stipulazione di contratti transfrontalieri, significherebbe abdicazione alrequisito di forma ad substantiam che ha fin qui accompagnato la conclusione dei contratti dicredito al consumo (132). Ne uscirebbe un quadro assai prossimo a quello che all'indomanidell'entrata in vigore della legge 154/92 aveva indotto la dottrina a discorrere di un vero e proprio«problema di forma» nei contratti di intermediazione finanziaria (133), o a quello che, ancorprima, aveva caratterizzato la disciplina dei c.d. contratti turistici (134) la quale, muta in punto disanzioni, autorizzava l'interprete ora a considerare prevalenti, sebbene non esclusive, le finalitàprobatorie dell'elemento formale (135), ora ad assegnare alla redazione per iscritto un'ambiguafunzione «informativa», comunque fuori dalla tradizionale bipartizione, a fini di validità e a fini diprova (136).

Difficile pensare però che ad un almeno apparente affievolimento del vincolo formale in sedecomunitaria corrisponderà un arretramento della disciplina interna, e con tutta probabilità ilcontratto continuerà a dover essere redatto per iscritto ad substantiam e sanzionato con una nullità(testualmente) relativa, pena una caduta di coerenza dell'intero sistema dei contratti bancari, chefinirebbe col caratterizzarsi, in punto di regime formale degli atti, per una irragionevole diversitàdi regimi.

Depongono in tal senso non solo una serie di indici normativi - «dalla menzione dell'essenzialità diun supporto comunque qualificato al fatto che sia prevista la traditio di un esemplare del contrattosino alla constatazione che la funzione informativa è affidata ad altre modalità documentali» (137)- ma altresì la peculiare funzione che il nuovo diritto dei contratti va assegnando alla forma

(soprattutto sub specie di incorporazione di un «contenuto minimo» dentro la struttura formaledell'atto) quale strumento di conformazione e controllo del regolamento contrattuale e, per questavia, delle relazioni di mercato; funzione per assecondare la quale non potranno che venire inrilievo rimedi invalidanti che assicurino la non vincolatività ex uno latere del contratto «nonconforme», in chiave di riassestamento dell'equilibrio dei soggetti coinvolti nell'operazionenegoziale (138).

La direttiva, del resto, «non disciplina gli aspetti del diritto contrattuale relativi alla validità delcontratto di credito» (139), cosicché, mentre appare del tutto coerente assegnare alla formulazionepoco rigorosa dell'art. 10 il senso di una intenzionale non interferenza con lo statuto che in ciascunordinamento governa la materia senza che ciò equivalga ad una esplicita richiesta di attenuazionedel vincolo formale, è da individuarsi piuttosto nella volontà di garantire fuori da ogni ambiguitàla totale equiparazione tra documento cartaceo e documento elettronico, il significato più autenticodella disposizione in parola (140).

A conclusione avvenuta ciascuna parte riceverà copia del contratto di credito, secondo unamodalità ricorrente ormai nelle discipline di derivazione comunitaria, ma che qui, finalmente,trova una espressa sanzione testuale. Poiché, infatti, il consumatore dispone di un periodo diquattordici giorni per recedere dal contratto e tale «periodo di recesso» ha inizio dal momento incui siano state trasmesse le condizioni contrattuali e le informazioni che il contratto devecontenere a norma dell'art. 10 (ove tale momento sia posteriore a quello della conclusione delcontratto di credito), ne seguirà che la mancata consegna della copia del contratto darà luogo aduna vera e propria «sospensione» del vincolo, da cui infatti il consumatore potrà recedere adnutum e senza limiti di tempo, almeno finché non avrà ricevuto per iscritto le dovute informazioni(ricevimento che segna il dies a quo) (141).

Si tratta della traduzione (aggiornata) in termini normativi degli approdi cui già la Corte europeadi giustizia era giunta con esclusivo riferimento all'informazione inerente il solo diritto di recesso.Nella nota sentenza Heininger, come prima ricordato, la Corte, esprimendosi nel senso che la ratiodi tutela dei consumatori (lì nel caso di contratti negoziati fuori dei locali commerciali) osta a cheil legislatore nazionale applichi un termine per l'esercizio del diritto di recesso qualora ilconsumatore non abbia beneficiato dell'informazione che aveva diritto di ricevere (142), non faaltro che affermare l'idea per cui la violazione degli obblighi informativi non possa che reagire sulvincolo contrattuale sotto forma di sospensione sine die del termine per recedere.

Conclusioni, anche questo si è già detto, fatte proprie oggi dall'Acquis Group, che ne estende laportata all'informazione in generale sul regolamento contrattuale, non circoscritta alle modalità peresercitare il recesso (seppur con il limite annuale).

La direttiva in commento, dunque, manifesta qui uno dei suoi (pochi) punti di forza, delineandouna meccanismo efficiente spendibile anche per la soluzione del problema del difetto diinformazione contrattuale, almeno quando manchi l'informazione versata nel testo contrattuale(scritto). A fronte del chiaro disposto normativo non sembra invece che il rimedio «forte» quidelineato possa manifestare anche valenza generale, ad esempio per il difetto di informazione insede antecedente o contestuale alla stipula del contratto; né, all'opposto, una informazionecontrattuale aliunde acquisita o fornita potrebbe mettere il rapporto al riparo dallo slittamento deldies a quo per l'esercizio del recesso, ove manchi comunque l'informazione contrattuale scrittacome prevista dall'art. 10.

La direttiva, invero, si allinea alla generale tendenza «europea» di imporre nel documentocontrattuale la presenza di una serie di elementi legalmente predeterminati (143).

Il descritto meccanismo, si badi, non incide sul merito del regolamento negoziale, limitandosipiuttosto ad esigere che detto regolamento emerga compiutamente dal testo contrattuale senzapossibilità alcuna di riferimenti a fonti o elementi extratestuali (144). Esigenza che nel divieto di

rinvio agli usi - su cui la nuova direttiva ingiustificatamente tace e di cui invece il legislatoreinterno dovrà continuare a dotarsi - trova la sua preclara realizzazione. Quando l'art. 117, comma6, del t.u.b. sanziona con la nullità (necessariamente parziale, cui segue un meccanismo diintegrazione legale) la clausola di rinvio agli usi per la determinazione del tasso di interesse e diogni altro prezzo o condizione praticati, che è nulla e si considera non apposta, infatti, non intendereiterare la regola che impone determinatezza o determinabilità dell'oggetto: il rinvio (ancorchépuntuale) agli usi, ed in generale a fonti del regolamento che hanno sede fuori dal documento,evidentemente non si concilia con l'esigenza legale di trasparenza e «onnicomprensività» del testocontrattuale, che si vuole invece unica fonte, ad un tempo di produzione e di cognizione, delregolamento (145).

Non solo: soprattutto nella sua versione di griglia di clausole obbligatoriamente inserite nel testo,il suddetto congegno concorre a definire ed attuare quella strategia conformativa del negozio checonnota le manifestazioni postcodicistiche di derivazione comunitaria; anzi l'imposizione di uncontenuto minimo inderogabile da manifestare all'altra parte è la via maestra che consente direalizzare la conformazione del regolamento (146) (senza che ciò comprima lo spazio diautonomia dei singoli, che anzi ne risulta in qualche modo rafforzata dal riequilibrio del flussoinformativo assicurato dal vincolo formale (147)) ed assicura peraltro quella uniformazione delleofferte che la direttiva in commento fa assurgere a vera e propria ratio ispiratrice.

Chiaritane la funzione, gli interrogativi della dottrina si sono concentrati sul problema delcosiddetto difetto di contenuto e della sorte del contratto lacunoso, quando la mancanza nel testodi una delle informazioni richieste non fosse esplicitamente sanzionata.

Ai sensi della direttiva in commento, come anticipato, la scelta è univoca nel collegare allacarenza di informazioni testuali «una tecnica rimediale, di tipo sanzionatorio, amplificante ildiritto di pentirsi del consumatore» (148): il testo contrattuale che manchi di uno degli elementiche per legge deve contenere consentirà uno slittamento del termine iniziale per esercitare il dirittodi recesso fino al momento in cui le lacune del testo contrattuale non siano colmate, con il rischio,per il professionista, di veder validamente esercitato il suddetto diritto anche molto tempo dopol'avvenuta conclusione del contratto (149).

E però questo rimedio, che in sé considerato è certamente apprezzabile e coerente con le piùrecenti tendenze europee in materia di informazione al consumatore, è destinato a suscitare nonpoche perplessità appena lo si pensi inserito nel corpo del testo unico bancario, il quale sicaratterizza per un sistema sofisticato di integrazione legale del contratto lacunoso (anchemediante norme dispositive e addirittura convenzionali).

Il t.u.b. delinea invero, come abbiamo anticipato, un congegno compatto ed articolato,sanzionando con la nullità (pur sempre relativa) dell'intero contratto l'assenza, nel testocontrattuale, di alcune informazioni (150); prevedendo la medesima sanzione per le clausole dirinvio agli usi, che sono nulle e si considerano non apposte; profilando, nei casi di assenza onullità di singole clausole, criteri sostituivi in grado di mantenere in vita il contratto allecondizioni più favorevoli per il consumatore (151). Non lasciando spazio, in altre parole, perlacune del testo contrattuale che non possano essere colmate in via di integrazione o che nontrovino comunque una soluzione, per quanto dura, nella nullità dell'intero contratto.

Rimangono, tuttavia, alcuni elementi che il contratto deve contenere e per cui non è prevista unapuntuale soluzione: «l'ammontare e le modalità del finanziamento», «il numero, gli importi e lescadenze delle singole rate», «il dettaglio delle condizioni analitiche secondo cui il taeg può essereeventualmente modificato», «l'importo e la causale degli oneri che sono esclusi dal calcolo deltaeg» (152).

Ora, poiché lo ius poenitendi come configurato nella nuova direttiva, quando diretto a sanzionarela carenza di contenuto del testo contrattuale, si pone necessariamente come alternativo

all'apparato di congegni predisposto nel t.u.b. a presidio della completezza del testo contrattuale,delle due l'una: o si ritiene che il recesso possa operare solo con riguardo agli elementi del testocontrattuale la cui mancanza non sia assistita espressamente da alcun rimedio (e, in aggiunta, conriferimento agli elementi contemplati all'art. 10 della direttiva ma non dall'art. 124 t.u.b.); oppuredovrà riconoscersi al rimedio in questione portata generale, ma al prezzo di delineare un sistemaconnotato da un doppio canale di tutela. Rimarrà alle (auspicabili) scelte del legislatore di fissareun'eventuale gerarchia dei rimedi, o specificare, differenziandoli, i presupposti perché operi questoo quel rimedio.

10. Anche fuori dalla peculiare ipotesi in cui il termine iniziale slitti fino al momento in cui ilconsumatore abbia ricevuto «le condizioni contrattuali e le informazioni di cui all'art. 10», ildiritto di recesso di cui all'art. 14 della direttiva, pur riproponendo caratteri e rationes dello iuspoenitendi tipici ormai della legislazione di matrice comunitaria, esibisce evidenti profili di novità,emancipandosi dalla cornice della contrattazione veloce o sorprendente che fin qui lo hagiustificato, per porsi quale rimedio generale accordato al consumatore a prescindere dallemodalità, più o meno «pericolose», mediante le quali si è giunti alla conclusione del negozio.

Analogamente a quanto accade in materia di multiproprietà, ove pure è legato alla naturadell'oggetto indipendentemente dalla tecnica di contrattazione impiegata (153), l'istituto delrecesso appare disancorato dalle modalità di contrattazione inter absentes per essere ricondottopuramente e semplicemente all'asimmetria di potere contrattuale che segna la distanza fra icontraenti (154) - tanto più insidiosa quanto maggiore è il grado di complessità dell'operazione cuisi accede - che evidentemente non si considera sanata neanche a seguito del momento informativo.

Se una differenza si può individuare con l'omologa figura disciplinata a proposito dimultiproprietà, infatti, essa sta in ciò: che, almeno negli intendimenti del legislatore, la nuovadisciplina del credito al consumo propone un tessuto di obblighi pubblicitari ed informativicaratterizzati da un (inedito) approccio dialogico, che dovrebbe garantire una piena ed anchesolida consapevolezza dell'affare, sottratta a titubanze successive e ripensamenti.

La circostanza che, anche a seguito di un momento informativo tanto accurato, al consumatore siacomunque concesso di svincolarsi dall'accordo, è forse il segnale che il recesso va sganciandosi daquel momento, rinunciando ad atteggiarsi come strumento che consenta di reagire ad unainformazione carente o incompleta (155), per assumere un ruolo autonomo, legato, oltre che allanatura complessa dell'oggetto del contratto, proprio alla qualità soggettiva delle parti: come si èautorevolmente sostenuto, allorché il controllo tradizionalmente affidato alla causa si sposti sulterreno del controllo dei contenuti, dominato da recesso e doveri di informazione, «pur quando ilcontratto non si manifesti come immeritevole di tutela, la situazione materiale o lo status in cuiuna parte lo ha stipulato induce l'ordinamento a consentire a tale parte di sciogliere il vincolo, conlo stesso risultato economico che si conseguirebbe con la nullità» (156).

Il recesso di pentimento, nella ricostruzione di una parte della dottrina si ascriverebbe piuttosto asegmento della conclusione del contratto, configurandosi come una tappa dell'iter procedimentale,da ritenersi concluso «solo allo spirare dei termini, che corrisponde ad un contegno meramenteomissivo del consumatore dal quale è oggettivamente desunto il valore impegnativo dellamanifestazione negoziale» (157); non portatore di una funzione ablativa di un contratto giàconcluso, esso si atteggerebbe dunque quale «dichiarazione di pentimento che impedisce ilperfezionamento del contratto» (158).

Ricalcherebbe tale modello sul piano normativo, la scelta compiuta in materia dicommercializzazione a distanza di prodotti finanziari ai consumatori (art. comma 4, art. 67-duodecies cod. cons.) e di contratti di collocamento di strumenti finanziari e di gestione diportafogli individuali conclusi fuori sede (comma 6 art. 30 tuf), ove esplicitamente ci si pronuncianel senso che l'efficacia del contratto rimane «sospesa» per tutta la durata del termine entro ilquale può essere esercitato il diritto di recesso.

La nostra direttiva rimette alla discrezionalità degli Stati membri una analoga decisione (par. 7,art. 14): la sospensione dell'efficacia del contratto di credito fino allo spirare del termine perrecedere (dunque fino a che il consumatore non abbia ricevuto copia completa del contratto)rappresenterebbe scelta legislativa di favore nei confronti del contraente che si vuole tutelare, enon solo perché esonererebbe il consumatore dalla restituzione (oltre al capitale) degli interessimaturati nel periodo intercorrente fra la conclusione del contratto e l'esercizio del recesso e da uneventuale rimborso delle spese non suscettibili di ripetizione (159). Soprattutto, la sospensionedell'efficacia gioverebbe nell'ipotesi di mancata consegna della copia o dell'assenza, nella copia,delle informazioni di cui all'art. 10: in casi del genere poiché il consumatore è comunque tenuto alpagamento degli interessi maturati medio tempore sul capitale in virtù dell'efficacia subito spiegatadal contratto, all'allungamento del termine iniziale per esercitare il recesso fino al momento in cuile formalità richieste non siano adempiute, andrebbe associata una disposizione che vi riconnettaconseguenze lato sensu sanzionatorie a carico del professionista negligente in termini, peresempio, di inesigibilità degli interessi o di conversione del tasso pattuito in quello legale (160),così da trasformare il recesso in uno «strumento di autotutela munito di enforcement di tiposanzionatorio» (161), al pari di quanto accade in altri contesti normativi (162).

Quanto alle condizioni di efficacia, il paragrafo 2 dell'art. 14 prescrive che il consumatore informiil creditore «con un mezzo che possa costituire prova conformemente alla legislazione nazionale»,aggiungendo però che il termine è da considerarsi rispettato solo se la «notifica» sia statatrasmessa «su supporto cartaceo o altro supporto durevole disponibile e accessibile per ilcreditore» (163).

Si delinea una scissione fra forma della dichiarazione (qualsiasi mezzo purché idoneo a valerecome mezzo di prova) e forma della comunicazione (supporto cartaceo o comunque durevole). Erimane in proposito il dubbio - in ragione della natura completa dell'armonizzazione che ladirettiva in commento presuppone - relativo all'ammissibilità, ad opera del legislatore italiano, direquisiti più restrittivi in tema di forma della dichiarazione di recesso e modalità di comunicazionedella stessa.

Quanto alle conseguenze giuridiche la direttiva opta tuttavia per un modello di recesso cheinterviene a contratto concluso: il consumatore che abbia esercitato il diritto di recesso rispetto adun contratto che ha già spiegato, almeno parzialmente, la sua efficacia, è tenuto a rimborsare alcreditore la frazione di capitale concessogli in prestito e già prelevato nonché gli interessi dovutisu tale capitale maturati dalla data di prelievo e calcolati sulla base del tasso debitore pattuito,«senza indugio e comunque non oltre 30 giorni di calendario dall'invio della notifica del recesso alcreditore».

Null'altro è disposto - a dispetto della invocata completezza dell'armonizzazione - circa ulterioriipotesi verificabili in concreto: è per esempio rimesso agli Stati membri di delineare leconseguenze, in termini di obblighi restitutori e di rimborso, del recesso da un contratto in virtùdel quale il consumatore abbia ricevuto e concesso in godimento merci (acquisto a rate, locazione,leasing con opzione di acquisto) (164).

Pure all'iniziativa dei singoli Stati, come già ricordato, è rimessa la decisione in merito alla sortedel contratto di vendita o di prestazione di servizi quando il consumatore si sia svincolato dalcollegato contratto di credito (165).

11. Se il contratto di credito è a tempo indeterminato, tanto il creditore quanto il consumatorepossono avviare la «procedura tipo di scioglimento del contratto» anche in assenza di giusta causa(art. 13). Dal momento che nessuna «procedura tipo» è delineata ad hoc dalla direttiva, la formulautilizzata deve leggersi come sinonimo di recesso «ordinario» dai contratti a tempo indeterminato,dunque quale scioglimento del contratto per atto unilaterale stragiudiziale (166).

Giova segnalare che la direttiva, cui pure va riconosciuto il merito di aver disciplinato un profilo

fin qui ignorato, lascia del tutto sprovvisto di appigli normativi specifici il tema del recesso, pursempre «ordinario», dal contratto a tempo determinato: poiché la clausola di massimaarmonizzazione tocca solo taluni aspetti di disciplina fra cui non figura quello adesso in parola, gliStati membri rimangono liberi di regolarne modalità e presupposti; mentre in assenza di unintervento apposito dovranno mutuarsi le norme, generali e speciali, di cui l'ordinamento è giàdotato (vedi per esempio, i nostri artt. 1373 e 1845 c.c.).

Per ciò che riguarda il creditore, il potere di recedere (dal contratto a tempo indeterminato) èsubordinato al ricorrere di una pattuizione espressa; ad un preavviso di almeno due mesi; all'oneredi comunicazione al consumatore mediante supporto cartaceo o altro supporto durevole.

Con tutta probabilità la direttiva ha voluto così disciplinare il contenuto di una clausola - quellache attribuisce al professionista il diritto di recedere ad nutum - onnipresente nei contratti dicredito al consumo, prescrivendo un requisito formale in violazione del quale dovrebbe ritenersil'esercizio del recesso tamquam non esset, ed un limite temporale minimo di due mesi per ilnecessario preavviso, entro il quale, si deve ritenere, il consumatore conserva impregiudicato ildiritto ad utilizzare il credito concessogli e non può essere obbligato a restituire le somme nelfrattempo percepite (167). Solo ove sia stato assolto l'onere formale e siano decorsi sessanta giornidalla ricezione della dichiarazione di recesso, il vincolo contrattuale potrà ritenersi sciolto, contutte le conseguenze di ordine restitutorio conseguenti al venir meno del rapporto (168).

Il recesso del consumatore ha invece fonte legale, può esercitarsi gratuitamente, e può essereazionato «in qualsiasi momento», a meno che le parti non abbiano convenuto un preavviso. Inragione della norma di cui all'art. 22 della direttiva, tale diritto di recesso accordato al consumatoredeve considerarsi irrinunciabile; non suscettibile di limitazioni ad opera di qualsivoglia clausolacontrattuale; e, in quanto esercitabile gratuitamente, non compatibile con la presenza, per esempio,di multe penitenziali o di meccanismi negoziali in grado di eludere il requisito della gratuitàfacendo gravare sul consumatore conseguenze patrimoniali diverse ed ulteriori rispetto a quelleche deve già sopportare in conseguenza dello scioglimento del rapporto.

Al di là delle differenze in punto di presupposti, il tratto comune è che in entrambi i casi il recessoè esercitabile ad nutum. Si tratta di una regola non nuova (169), che versa nella singola dinamicanegoziale il più alto interesse - secondo alcuni di rango costituzionale (170) - a che nessuna partesia legata a quel vincolo vita natural durante che tramuta «il negozio giuridico da un atto di libertàin atto di sostanziale asservimento» (171).

Certo l'assenza di giusta causa non significa arbitrarietà: i nostri giudici hanno già messo a fuoco ilconfine sanzionando come contrario al canone della buona fede nell'esecuzione del contratto ilrecesso della banca dal contratto di apertura di credito per aver assunto connotati «tali dacontrastare con la ragionevole aspettativa di chi, in base ai comportamenti usualmente tenuti dallabanca e all'assoluta normalità commerciale dei rapporti in atto, abbia fatto conto di poter disporredella provvista per il tempo previsto e non potrebbe perciò pretendersi sia pronto in qualsiasimomento alla restituzione delle somme utilizzate, se non a patto di svuotare le ragioni stesse per lequali un'apertura di credito viene normalmente convenuta» (172).

Pur trattandosi dunque di recesso ad nutum, il filtro della buona fede oggettiva dovrebbe sempreoperare nella selezione, e conseguente repressione, di condotte che, in sé lecite, si convertono inabusive per la fisionomia assunta in concreto; e ciò tanto nelle ipotesi in cui a recedere sia ilconsumatore, sia, soprattutto, in quelle in cui a sciogliersi dal vincolo sia il professionista, il quale,dotato di una maggiore forza contrattuale ed economica, ha per ciò stesso una più alta propensioneall'abuso.

Non sembra che sia per scongiurare simili rischi però che il secondo comma dell'art. 13 fa riviverela necessità dei «motivi oggettivamente giustificati» nell'ipotesi in cui il creditore - legittimato aciò dallo stesso contratto - intenda «porre termine al diritto del consumatore di effettuare ulteriori

prelievi», per esempio quando aumenti significativamente il rischio che il consumatore non possarimborsare il credito oppure vi sia il sospetto di un uso fraudolento o non autorizzato del credito(v. considerando n. 33), limitandosi ad informare il consumatore «dello scioglimento delcontratto» e dei relativi motivi con comunicazione su supporto cartaceo o altro supporto durevole,«ove possibile prima dello scioglimento e, al più tardi, immediatamente dopo».

Se d'acchito la «sospensione di effettuare ulteriori prelievi» di cui al paragrafo 2 dell'art.13 apparecosa diversa dal recesso di cui al paragrafo 1 (173), la stessa norma discorre poi, sempre nel casodella sospensione, di «scioglimento del contratto», col che apparentemente avvicinando i dueistituti. Ne deriverebbe un quadro normativo per il quale il creditore, se vuole «uscire» dalcontratto, potrebbe percorrere alternativamente due strade: esercitare il recesso di cui al paragrafo1, senza addurre alcuna motivazione ma concedendo un preavviso di almeno due mesi entro ilquale al consumatore è consentito continuare a beneficiare del credito concessogli, sempreché cosìpattuito; oppure esercitare il diritto di «sospensione» di cui al paragrafo 2, salvo poi, a fronte di ungiustificato motivo, porre termine all'erogazione del credito (rectius: sciogliere il contratto), senzaalcun preavviso e senza che il consumatore debba necessariamente esserne informato prima.

Letta in controluce con i lavori preparatori - nei quali si discorre di «misure di sospensione deidiritti del consumatore da parte del creditore circa i prelievi di credito futuri» precisando che ilcreditore deve avvisare il consumatore della sua decisione circa i motivi che l'hanno indotto aprendere un tale misura, «in modo che il consumatore possa, se necessario, contestarla di fronte aitribunali competenti» e senza mai alludere ad uno scioglimento del contratto ed anzi prefigurandocomposizioni amichevoli (174) - la disciplina lascerebbe piuttosto intendere che la dichiarazionedi voler sospendere l'utilizzazione del credito non vale a sciogliere il contratto ma semplicementea sospenderne, parzialmente e/o temporaneamente, l'esecuzione, secondo uno schema non ignotoalla nostra tradizione e che trova nell'art. 1461 c.c. una chiara formulazione.

La circostanza che il creditore possa definitivamente svincolarsi dal contratto in assenza diqualsivoglia giustificazione (pur sempre nei limiti della buona fede) mentre è tenuto a giustificareuna sospensione anche solo temporanea dell'erogazione del credito, allora, si spiega alla luce delladiversa funzione assolta dai due istituti che, nel primo caso non consente di profilare unacontinuazione del rapporto mentre nel secondo appare orientata ad un riassetto in itinere dellecondizioni, per realizzare il quale il consumatore non potrà non essere debitamente informato.

12. A bilancio della sintetica ricognizione fin qui svolta, molti appaiono i profili insoddisfacenti onon del tutto «a fuoco» della nuova disciplina comunitaria del credito al consumo.

Poiché la direttiva contiene disposizioni armonizzate, «gli Stati membri non possono mantenere néintrodurre nel proprio ordinamento disposizioni diverse da quelle in essa stabilite». L'intentodichiarato del legislatore è di azzerare quella disomogeneità di discipline nazionali che osterebbeallo sviluppo delle negoziazioni transfrontaliere, inaugurando una stagione nuova (e a cui siascrivono anche le direttive in materia di pratiche commerciali sleali, commercializzazione adistanza dei servizi finanziari, commercio elettronico), che, col superamento dell'approccio«minimale» tipico degli interventi degli anni '90, tende a far sbiadire le differenze con lostrumento del regolamento a dispetto del dettato, non modificato, dell'art. 249 del Trattato.

Una volta imboccata la strada dell'armonizzazione completa, tuttavia, questa andava percorsa finoin fondo, evitando cioè che la parzialità dell'intervento per un verso e la sua evanescenza perl'altro, rischiassero di tramutarla in un ulteriore obiettivo mancato.

La direttiva, infatti, copre programmaticamente ed esplicitamente solo «alcuni aspetti» dellamateria, lasciandone altri sguarniti di qualsivoglia indicazione normativa, e perciò rimessi allaintegrale competenza delle legislazioni interne (175) ed alla conseguente variabilità delle soluzioniprefigurate in ciascun ordinamento (soprattutto in punto di rimedi e sanzioni). Ma, anche conriguardo ai settori di disciplina coperti dalla direttiva, e per i quali dunque è negato al legislatore

interno di deflettere dalle norme comunitarie, i profili di incompiutezza sono, come si è visto, piùd'uno: lacune normative, criteri di applicabilità suscettibili di mutamenti in sede di attuazione,rimandi all'ordinamento interno, totale silenzio su rimedi civilistici e sanzioni pubblicistiche sonoben lungi dal consentire una armonizzazione che possa dirsi davvero «piena», e, chiamando incausa l'intervento imprescindibile di legislazione e giurisprudenza di ogni Stato membro, finirannocol riprodurre quelle discontinuità e quelle frammentazioni che, in quanto distorsive dellaconcorrenza, gli organismi europei intendevano rimuovere.

Paradigmatica in tal senso la disciplina della intermediazione. La direttiva ha il merito di avere perla prima volta preso in considerazione, per le operazioni in questione, il fenomeno, ponendo inevidenza il ruolo (nonché gli obblighi) dell'intermediario; e tuttavia si è arrestata ad una disciplinaabbastanza scarna. Dopo averlo definito come la persona fisica o giuridica che, nell'esercizio dellapropria attività commerciale o professionale, dietro compenso, a) agisce come rappresentantediretto del creditore all'atto della conclusione del contratto di credito; b) presenta o proponecontratti di credito ai consumatori; c) «assiste» i consumatori nella fase preparatoria allaconclusione del contratto, ed averlo espressamente equiparato al creditore con riferimento agliobblighi di informazione precontrattuale di cui all'art. 5, il legislatore europeo si limita a dettarealcune prescrizioni tutto sommato marginali, senza sciogliere i molti nodi problematici chel'ingresso in scena di un intermediario certamente comportano.

Del tutto irragionevole, e foriera di non poche perplessità, appare per esempio la mancatadistinzione tra colui che, ponendosi inizialmente quale intermediario, interviene poi nel contrattoquale rappresentante in nome e per conto del creditore, e colui che invece si limita a svolgereopera di promozione o assistenza, soprattutto con riguardo alla distribuzione degli obblighiinformativi e alle conseguenze, civilistiche e non, della loro violazione (176). Ed altrettantoproblematica si presenta l'individuazione dell'apparato sanzionatorio da ricondurre alla violazionedei doveri contemplati nell'art. 21 della direttiva (177).

Il silenzio del legislatore comunitario appare tanto più grave quanto maggiore è la rilevanza chel'opera dell'intermediario è destinata ad assumere entro la vicenda contrattuale. Né dà prova lacircostanza che l'appena varata legge comunitaria 2008 assegna uno spiccato rilievo al profilo inquestione nel dettare i criteri che presiederanno al recepimento della direttiva 2006/48, delegandoal Governo, fra l'altro, la revisione della disciplina dei mediatori creditizi di cui alla legge 7 marzo1996, n. 108, e la disciplina degli agenti in attività finanziaria di cui al decreto legislativo 25settembre 1999, n. 374, prevedendone l'introduzione nel t.u.b. in modo da assicurare la trasparenzadell'operato e la professionalità delle sopraindicate categorie professionali. Il legislatore delegatodovrà altresì provvedere a: l'innalzamento dei requisiti professionali; l'istituzione di un organismoavente personalità giuridica, con il compito di gestire gli elenchi dei mediatori creditizi e degliagenti in attività finanziaria; nonché il coordinamento del testo unico di cui al decreto legislativon. 385 del 1993 e le altre disposizioni legislative aventi come oggetto la tutela del consumatore,«definendo le informazioni che devono essere fornite al cliente in fase precontrattuale e lemodalità di illustrazione, con la specifica, in caso di offerta congiunta di più prodotti,dell'obbligatorietà o facoltatività degli stessi» (178).

Come si vede, l'approccio decisamente tranchant della direttiva 2008/48/CE non può che reagire,ed immediatamente, sugli ordinamenti destinati a recepirla; ciascuno dei quali, come naturale,adotterà soluzioni anche molto diverse fra loro (179); e pare lecito allora chiedersi quale sia ilsenso della strategia comunitaria, segnatamente quando essa si traduca nel divieto di incrementareil grado di tutela offerta al consumatore.

Riemerge il preminente obiettivo di strutturazione del mercato interno attraverso l'uniformazionedelle condotte degli operatori professionali: «la funzionalizzazione dell'autonomia privataproced[e] a senso unico nel favorire principalmente gli interessi degli attori del mercato» (180).

Non è un caso, del resto, che l'armonizzazione promossa dalla direttiva 48/08 sia per così dire

asimmetrica, riguardando prevalentemente il versante della vicenda contrattuale di pertinenza delprofessionista e segnatamente i doveri lato sensu informativi e la redazione del testo contrattuale:in una parola, l'offerta. Laddove, eccettuate le misure antielusive di cui all'art. 22, fra le qualirileva soprattutto l'irrinunciabilità dei diritti del consumatore (181), l'opposto versante delle tutelee dei rimedi, di interesse precipuo della parte debole del rapporto, è rimesso alla pressoché totalediscrezionalità degli ordinamenti nazionali.

Ma se questo appare il trend prevalente ed anche, almeno ad oggi, irreversibile entro cui sicollocano gli interventi comunitari, vale forse la pena di interrogarsi circa l'adeguatezza di unadisciplina squisitamente privatistica come quella dettata dalla direttiva in commento e chiedersi senon sia il caso di sondare (anche) il terreno macroeconomico, di «governo» del credito alconsumo, alla ricerca di quelle risposte che il diritto dei contratti, nel suo attuale slancio diemancipazione dall'«eccesso di tutela del consumatore» (182), non è in grado di fornire.

Note:(1) Cfr. la legge comunitaria per il 2008 (Disposizioni per l'adempimento di obblighi derivantidall'appartenenza dell'Italia alle Comunità europee) l. 7-7-2009, n. 88 che, all'art. 33 conferisce ladelega al Governo per l'attuazione della direttiva 2008/48/CE e la previsione di modifiche edintegrazioni alla disciplina relativa ai soggetti operanti nel settore finanziario di cui al decretolegislativo 1º settembre 1993, n. 385, ai mediatori creditizi ed agli agenti in attività finanziaria.(2) Cfr. Considerando n. 4.(3) Cfr. Considerando n. 5. I fenomeni della crescita della domanda, della dilatazione dei consumie del conseguente incremento della propensione all'indebitamento quali ragioni economiche esociali della diffusione degli strumenti giuridici di erogazione del credito ai consumatori e qualireferenti del progressivo raffinarsi di questi - che sono fenomeni pure presi in considerazione dagliorganismi comunitari - non possono che essere dati per presupposti in questa sede. Cfr. inargomento, da ultimo, D. Vandone, Il credito al consumo in Europa (Torino 2008), ove ampliabibliografia.(4) Cfr. i Considerando n. 6, 7, 8.(5) In ciò prendendo nettamente le distanze dalle direttive degli anni novanta (compresa,ovviamente la 87/102), che facevano salva la possibilità degli Stati membri di introdurredisposizioni più rigorose volte ad innalzare la tutela del consumatore.(6) Cfr. considerando n. 17.(7) Cfr. sul punto le considerazioni critiche di G. De Cristofaro, La nuova disciplina comunitariadel credito al consumo; la direttiva 2008/48/CE e l'armonizzazione «completa» delle disposizioninazionali concernenti «taluni aspetti» dei «contratti di credito ai consumatori», Riv. dir. civ., 2008,267 s.(8) Oltre ai contributi citati di volta in volta, con riguardo alla letteratura in materia di credito alconsumo cfr., senza pretesa di completezza: G. Alpa e M. Bessone, Funzione economica e modelligiuridici delle operazioni di credito al consumo, Riv. soc., 1975, 1360 s.; G. La Rocca, Credito alconsumo e sistema dei finanziamenti, Pol. dir., 1980, 429 s.; G. Alpa, Credito al consumo, Dig.,disc. priv., sez. civ., V (Torino 1992), 22 s.; A.A. Dolmetta, Due quesiti sull'individuazione delladisciplina regolatrice delle operazioni di credito al consumo, BBTC, 1993, I, 156 s.; G. De Nova,L'attuazione in Italia delle direttive comunitarie sul credito al consumo, Riv. trim. dir. proc. civ.,1992, 905 s.; E. Pomini, Lo stato dell'arte in tema di credito al consumo, Foro pad., 2004, II, 67; E.Granata, Dal credito al consumo al credito al consumatore. Gli impatti della regolamentazioneeuropea e nazionale sul mercato, Bancaria, 2005, 42.(9) G. De Nova, I singoli contratti: dal Titolo III del Libro IV del codice civile alla disciplinaattuale, Scritti in onore di Luigi Mengoni, I (Milano 1995), 498.(10) De Nova, I singoli contratti cit., 507.(11) Cfr. per esempio la disciplina della vendita di beni di consumo. Vedi in proposito A. Plaia, Itipi contrattuali. Introduzione, Manuale di diritto privato europeo, a cura di C. Castronovo e S.Mazzamuto (Milano 2007), 860.(12) Testualmente Plaia, Introduzione cit., 860.(13) Mazzamuto, Il credito al consumo, Manuale di diritto privato europeo cit., 959.(14) G. Oppo, Presentazione, La disciplina comunitaria del credito al consumo, a cura di F.

Capriglione, Quaderni di ricerca giuridica della Banca d'Italia (Roma, 1987), 15, in polemica conL.C. Ubertazzi, Credito bancario al consumo e direttiva CEE: prime riflessioni, Giur. comm.,1987, 321 s.(15) Si adotta nel testo una nozione di causa di credito non differenziata dalla nozione di causa difinanziamento, pure talvolta prospettata in dottrina: sul punto cfr. L. Nivarra, Il contratto difinanziamento tra codice e legislazione speciale, nota a Cass. 10-6-1981, n. 3752, Foro it., I, 1688;R. Clarizia, La causa di finanziamento, BBTC, 1982, I, 580 s. Cfr. altresì le riflessioni di A.Galasso, Contratti di finanziamento e titoli bancari (Padova, 1971), 25 s.(16) V. Zeno Zencovich, Il diritto europeo dei contratti (verso la distinzione fra «contratticommerciali» e «contratti dei consumatori»), Giur. it., 1993, IV, 64.(17) Oppo, Presentazione cit., 15. Cfr. altresì Trib. Milano 7-3-1987, in R. Mantovani, Il credito alconsumo (Milano 1992), 177, che, decidendo una controversia relativa proprio ad una operazionedi credito al consumo, afferma che lo scopo «anche se non può considerarsi un elementonecessario per il perfezionamento del contratto ... assume valore determinativo di uncomportamento dovuto dai contraenti nell'ambito dell'assetto dato ai loro interessi e come tale fasorgere a carico di ciascuna delle parti l'obbligo di compiere quanto è necessario per ilconseguimento della finalità prevista e voluta».(18) Così Oppo, Presentazione cit., 15.(19) Sul tema, G. Cottino, La vendita rateale e il suo finanziamento da parte di terzi, Impresa,amb. pubbl. amm., 1974, I, 336 s.; G. Piepoli, Il credito al consumo (Napoli 1976), 15 s.(20) A. Zimatore, Il mutuo di scopo. Problemi generali (Padova, 1985); M. Fragali, Il mutuo discopo, BBTC, 1961, I, 471s.; S. Mazzamuto, Il mutuo di scopo, Enc. giur., Roma, 1990.(21) D. Sinesio, Il credito al consumo, in Moneta e credito (Milano 1982), 338.(22) Cfr. Cass. 20-1-1994 n. 474, Giur. it., 1994, I, 1480, con nota di S. Masucci, Finanziamentifinalizzati all'acquisto e inadempimento del fornitore. Recenti tendenze legislative egiurisprudenziali. Più recentemente Cass. 23-4-2001, n. 5966, BBTC, 2002, II, con nota di G.Tarantino, Credito al consumo e obblighi di restituzione della somma mutuata, ad avviso dellaquale «il mutuo di scopo si caratterizza per il fatto che una somma di denaro viene consegnata almutuatario esclusivamente per raggiungere una determinata finalità, espressamente inserita nelsinallagma contrattuale».(23) T. Ascarelli, Aspetti giuridici della vendita a rate, Riv. dott. comm., 1955, 774. Cfr., più ingenerale sulle connessioni fra operazioni di credito e vendita, le riflessioni di M. Bessone, Mercatodel credito, credito al consumo, tutela del consumatore, Foro it., 1980, V, 82.(24) F. Di Marzio, Intorno alla nozione di “consumatore” nei contratti, Giust. civ., 2001, 2151 s.(25) Sui rapporti tra mutuo di scopo e credito al consumo cfr. M. Gorgoni, Il credito al consumo(Milano, 1994), 178 s.; G. Chinè, Finanziamento e tutela del consumatore, Il mutuo e le altreoperazioni di finanziamento, a cura di V. Cuffaro (Bologna 2005), 454 s.; M. Cognolato, Il creditofinalizzato: il credito al consumo, Obbl. contr., 2006, 161.(26) Sulla disciplina del recesso, da parte del finanziatore, si tornerà al paragrafo 11.(27) Su cui N. Corbo, Autonomia privata e causa di finanziamento (Milano 1990), 80 s.(28) Trib. Torino 11-12-2007, n. 7797, Giur. mer., 2008, 2481, con nota di A. Colapolve, Creditoal consumo e inadempimento del venditore: il problema della opponibilità al finanziatore delleeccezioni relative al contratto di vendita. Per l'orientamento più risalente cfr. Trib. Milano31-5-1996, n. 3744, Studium iuris, 1997, 324 s.(29) F. Macario, Sub art. 121, Commentario alle norme di attuazione di direttive comunitarie intema di credito al consumo, NLCC, 1994, 780.(30) Ubertazzi, Credito bancario al consumo e direttiva CEE: prime riflessioni cit., 328. Nellostesso senso Macario, Sub art. 121 cit., 780, secondo il quale al finanziatore «è accollato l'onere, insede di trattativa e di conclusione del contratto, dell'esplicitazione circostanziata dell'estraneità(non assolvibile certamente mediante formule generiche predisposte nei modelli di contratto a mo'di passepartout e perciò da ritenere senz'altro inefficaci), pena l'operatività della presunzione di“consumatore” nel soggetto finanziato». Cfr. altresì sul punto A. Tidu, La direttiva comunitaria sulcredito al consumo, BBTC, 1987, 405.(31) R. Volante, I «contratti collegati» nella direttiva 2008/48/CE, La nuova disciplina europea delcredito al consumo. La direttiva 2008/48/CE relativa ai contratti di credito dei consumatori e ildiritto italiano, a cura di G. De Cristofaro (Torino 2009 - in corso di stampa e di cui si citano le

pagine dei dattiloscritti gentilmente forniti dal Curatore), 9.(32) Dunque, come notato, «una disciplina eteronoma rispetto a qualsiasi modellogiurisprudenziale di collegamento invalso nei diversi sistemi nazionali di diritto codificato e chedimostra vieppiù l'impossibilità di riportare ad una logica unitaria il regime in materia dellaDirettiva»: così Volante, I «contratti collegati» nella direttiva 2008/48/CE cit., 10.(33) Volante, I «contratti collegati» nella direttiva 2008/48/CE cit., 10.(34) Il testo della vecchia direttiva, all'art. 11 così recitava: «1. Gli Stati membri provvedonoaffinché l'esistenza di un contratto di credito non pregiudichi in alcun modo i diritti delconsumatore nei confronti del fornitore di beni o di servizi acquisiti in base a tale contratto qualorai beni o servizi non siano forniti o non siano comunque conformi al contratto di fornitura. 2.Quando: a) per l'acquisto di beni o la fornitura di servizi il consumatore conclude un contratto dicredito con una persona diversa dal fornitore, e b) tra il creditore e il fornitore dei beni o deiservizi esiste un precedente accordo in base al quale il credito è messo esclusivamente da quelcreditore a disposizione dei clienti di quel fornitore per l'acquisto di merci o di servizi di talefornitore, e c) il consumatore di cui alla lettera a) ottiene il credito in conformità al precedenteaccordo, e d) i beni o i servizi considerati dal contratto di credito non sono forniti o sono fornitisoltanto in parte, o non sono conformi al relativo contratto di fornitura, e e) il consumatore haproceduto contro il fornitore, ma non ha ottenuto la soddisfazione cui aveva diritto, il consumatoreha il diritto di procedere contro il creditore. Gli Stati membri stabiliranno entro quali limiti e aquali condizioni il diritto è esercitabile».(35) Corte eur. giust. 4-10-2007 C-429/05, Foro it., 2007, IV, 590, con nota di G. Carriero, Creditoal consumo e inadempimento del venditore.(36) Cfr. De Cristofaro, La nuova disciplina comunitaria del credito al consumo cit., nt. 93.(37) De Cristofaro, La nuova disciplina comunitaria del credito al consumo cit., 292.(38) Per l'inadeguatezza di una indagine fondata esclusivamente sul punto di vista della psicologiadel consumatore cfr. G. Ferrando, Credito al consumo: operazione economica unitaria e pluralitàdi contratti, Riv. dir. comm., 1991, 604 s.(39) Trib. Santa Maria Capua Vetere 17-6-1989, NGGC., 1990, I, 677; Trib. Chiavari 22-9-1998,Dir. prat. soc., 2000, 74.(40) G. Ferrando, I contratti collegati, NGCC, 1986, II, 256.(41) F. Messineo, Contratto collegato, Enc. dir. (Milano 1962), X , 49.(42) Cfr. G. Lener, Profili del collegamento negoziale (Milano 1999), 17 s.(43) Cfr. art. 34 cod. cons. in materia di clausole vessatorie, e art. 768-quater, comma 3, c.c. inmateria di patto di famiglia, su cui A. Buonfrate, Contratti collegati, Dig. it., disc. priv. (Torino2007), Agg., III, 287 s.(44) Volante, I «contratti collegati» nella direttiva 2008/48/CE cit., 9.(45) Ferrando, Credito al consumo cit., 648.(46) De Cristofaro, La nuova disciplina comunitaria del credito al consumo cit., 293.(47) Su cui ampiamente M. De Poli, Gli effetti sul contratto di credito al consumo del recesso daun contratto concluso a distanza o a domicilio, NGCC, 2008, II, 15 s.(48) L'effetto che viene ricondotto al recesso del consumatore dal contratto di credito non è il parirecesso dal contratto d'acquisto del bene o del servizio, ma l'operatività del meccanismo di cuiall'art. 14: «Qualora nel caso di un contratto di credito collegato, quale definito all'articolo 3,lettera n), la normativa nazionale vigente al momento dell'entrata in vigore della presente direttivapreveda già che i fondi non possano essere messi a disposizione del consumatore prima delloscadere di un determinato periodo, gli Stati membri possono eccezionalmente prevedere che ilperiodo di cui al paragrafo 1 del presente articolo possa essere ridotto a tale determinato periodosu esplicita richiesta del consumatore». Dunque, l'effetto - qualificato «eccezionale» dallaDirettiva, potendosi tradurre in una minor tutela per il consumatore - è la parificazione del periododi recesso a quello entro cui la valuta mutuata deve essere messa a disposizione del consumatore.Come rilevato, si delinea allora «un regime disomogeneo degli effetti del collegamento, fatto inrealtà di singoli momenti di tutela del consumatore, ciascuno derivante da una propria tradizione,riportati congiuntamente nella nuova Direttiva, ma che non compongono per questo una disciplinaorganica»: così Volante, I «contratti collegati» nella Direttiva 2008/48/CE cit., 9.(49) «Nei casi di inadempimento del fornitore di beni e servizi, il consumatore che abbia effettuatoinutilmente la costituzione in mora ha diritto di procedere contro il finanziatore nei limiti del

credito concesso, a condizione che vi sia un accordo che attribuisce al finanziatore l'esclusiva perla concessione di credito ai clienti del fornitore. La responsabilità si estende anche al terzo, alquale il finanziatore abbia ceduto i diritti derivanti dal contratto di concessione del credito».(50) Corte eur. giust. 23-4-2009 C-509/07, in Contratti, 2009, 653, con commento di F. Macario,Inadempimento del fornitore e tutela del debitore nel credito al consumo.(51) Corte eur. giust. 4-10-2007 C-429/05, cit., punto 47.(52) Precisa la corte che il diritto di procedere in giudizio di cui all'art. 11, n. 2, della direttiva87/102, infatti, costituisce una protezione supplementare offerta dalla direttiva di cui trattasi alconsumatore nei riguardi del creditore, che si aggiunge alle azioni che il consumatore può giàesercitare sulla base delle disposizioni nazionali applicabili ad ogni rapporto contrattuale.Conseguentemente, il soddisfacimento delle varie condizioni di cui a tale articolo può essererichiesto solo rispetto ai ricorsi proposti ai sensi di tale protezione supplementare.Si consideri purela posizione favorevole assunta dal Consiglio di Stato in merito alla proposta di eliminare ilpresupposto dell'accordo di esclusiva in fase di trasferimento nel codice del consumo dei commi 4e 5 dell'art. 125 t.u.b.: cfr. Cons. Stato 20-12-2004, n. 11602, Foro it., 2005, III, 348, conosservazioni di A. Palmieri, Verso il codice del consumo: un riassetto incompleto?Va segnalatoaltresì che anche la nostra giurisprudenza aveva già rilevato quanto meno i problemi legati alladifficoltà per il consumatore di provare l'esistenza di un accordo di esclusiva: Cass. 8-7-2004, n.12567, Rep. Foro it., 2005, voce contratto in generale, n. 346; Trib. Torino 15-4-2003, Giur. it.,2003, 2335.(53) Cfr. section 75 del Consumer Credit Act, su cui, in generale, F. Ziccardi, Il “consumer creditact” inglese del 1974: prime impressioni, Giur. it., 1978, IV, 29; M. Bessone, «Economia» etecnica negoziale del contratto di credito al consumo, Giur. mer., 1987, 1041 s.(54) Contra, Volante, I contratti collegati, cit., 10.(55) Appare invece di nuovo sottratta alla discrezionalità degli Stati membri la disposizione di cuiall'art. 17 per la quale «in caso di cessione a terzi dei diritti del creditore derivanti da un contrattodi credito o del contratto, il consumatore può far valere nei confronti del cessionario gli stessimezzi di difesa di cui poteva avvalersi nei confronti del creditore originario, ivi compreso il dirittoall'indennizzo ove questo sia ammesso nello Stato membro in questione». Alla luce del disposto dicui ai par. 2 e 3 dell'art. 22, la disposizione deve considerarsi insuscettibile di deroghe olimitazioni convenzionali, che dovrebbero considerarsi inammissibili e dunque invalide. Il par. 2del citato articolo 17, a differenza di quanto non avesse previsto la direttiva del 1987, prevede poiche il consumatore sia informato della cessione di cui al paragrafo 1, «a meno che il creditoreoriginario, in accordo con il cessionario, continui a gestire il credito nei confronti delconsumatore». Sulla portata della citata norma cfr. De Cristofaro, La nuova disciplina comunitariadel credito al consumo cit., 298.(56) In particolare, ritenendo ammissibile la proponibilità dell'eccezione di inadempimento ex art.1460 c.c. «anche quando si tratti di prestazioni, in relazione di corrispettività, il cui obbligo siagenerato da contratti distinti ed autonomi, ma ... collegati fra loro» (Cass. 11-3-1981, Giur. it.,1982, I, 378, con nota di G.P. Cirillo, Negozi collegati ed eccezione di inadempimento. Sul puntocfr. Lener, Profili del collegamento negoziale cit., 225 s.); ricorrendo alla regola simul stabuntsimul cadent per affermare che «se due negozi sono legati da un vincolo di stretta interdipendenza..., la nullità dell'uno si comunica all'altro» (Cass. 25-2-1958, n. 629, Foro it., 1958, I, 550);affermando che «la disciplina prevista per la nullità parziale di un contratto o di singole clausole siapplica anche ai contratti cosiddetti collegati» (Cass. 12-2-1980, n. 1007, Giur. it., 1981, I, 1537.Nello stesso senso cfr. Cass., 12-12-1995, n. 12733, Foro it., 1996, I, 2162. Critico sul punto F. DiSabato, Unità e pluralità di negozi (contributo alla dottrina del collegamento negoziale), Riv. dir.civ., 1959, 438); estendendo la risoluzione per inadempimento di un negozio all'altro collegato(Cass. 15-5-1973, n. 1378, Giur. it., 1975, I, 742 s.); assicurando all'acquirente la possibilità di farvalere nei confronti del creditore le pretese risarcitorie e restitutorie derivanti dall'inadempimentodel venditore (Cass. 20-1-1994, n. 474, cit., particolarmente importante ai fini del superamento delprincipio di relatività del contratto). Cfr. in proposito le approfondite riflessioni di C. Colombo,Operazioni economiche e collegamento negoziale (Padova 1999), 312 s. Sulla pretesa delconsumatore che abbia ad oggetto i danni contrattuali cfr. G. Oppo, La direttiva comunitaria sulcredito al consumo, Riv. dir. civ., 1988, I, 543 s.(57) Considerando n. 14.

(58) Commissione delle Comunità europee, Executive Summary, SEC(2007)1684, Bruxelles,18.12.2007, alla paginahttp://ec.europa.eu/internal_market/finservices-retail/docs/home-loans/sec_2007_1684_it.pdf(59) Executive Summary, SEC(2007)1684 cit., 5.(60) Considerando n. 14.(61) In base al considerando n. 10 il limite dell'importo (innalzato rispetto alla previgentedisciplina) è suscettibile di essere modificato dal legislatore interno.(62) Macario, Sub art. 121 cit., 786.(63) G. Carriero, Autonomia privata e disciplina del mercato. Il credito al consumo² (Torino2007), 76.(64) Oppo, Presentazione cit., 16.(65) Sanzione amministrativa pecuniaria fino a 100000 euro «nel caso di frazionamento artificiosodi un unico contratto di credito al consumo in una pluralità di contratti dei quali almeno uno sia diimporto inferiore al limite inferiore previsto dall'art. 121, comma 4, lett. A)».(66) L. Fabii, Ambito di applicazione della direttiva sul credito al consumo, La disciplinacomunitaria, cit., 46 s.(67) V. Zeno-Zencovich, Il leasing e la causa di finanziamento: una confutazione grafica, Foro it.,1988, I, 2329; M. Gorgoni, Credito al consumo e leasing traslativo al consumo, Riv. trim. dir.proc. civ., 1992, 1121; F. Falco, Il credito al consumo, Materiali e commenti sul nuovo diritto deicontratti, a cura di G. Vettori (Padova 1999), 610 s.(68) Macario, Sub art. 121 cit., 788; Carriero, Autonomia privata e disciplina del mercato cit., 78;Mazzamuto, Il credito al consumo cit., 966.(69) De Cristofaro, La nuova disciplina comunitaria del credito al consumo cit., 261.(70) Meno comprensibile l'esclusione dei contratti «per la conclusione dei quali il consumatore ètenuto a depositare presso il creditore un bene a titolo di garanzia, purché la responsabilità delconsumatore sia limitata esclusivamente al bene dato in pegno» (lett. K). Altra esenzione (lett. I)riguarda i contratti «risultanti da un accordo raggiunto dinanzi a un giudice o a un'altra autoritàprevista dalla legge». Ancora, la lett. H esclude i contratti stipulati tra consumatore e istituto dicredito aventi ad oggetto finanziamenti volti a concludere operazioni su strumenti finanziari cuipartecipi o sia coinvolto lo stesso istituto di credito.(71) Cfr. considerando n. 12.(72) P. Gaggero, Diritto comunitario e disposizioni interne in materia di credito al consumo,Contr. impr., 1996, 692. Meno critico Carriero, Autonomia privata e disciplina del mercato cit.,77.(73) I lavori preparatori si sono caratterizzati sul punto per oscillanti prese di posizione, che hannovisto trascorrere la fideiussione da fattispecie espressamente inclusa fra quelle sottoposte alladisciplina speciale, ad ipotesi altrettanto espressamente esclusa dall'ambito di operatività dellamedesima disciplina. L'art. 1 («oggetto») della proposta di direttiva del 2002, disponevatestualmente: «La presente direttiva ha per obiettivo l'armonizzazione delle disposizionilegislative, regolamentari e amministrative degli Stati membri in materia di contratti di creditoaccordati ai consumatori, nonché dei contratti di fideiussione conclusi dai consumatori».(74) Inoltre, si aggiunge, «un'estensione dell'ambito di applicazione della direttiva ai contratti difideiussione non può fondarsi sul solo carattere accessorio degli stessi rispetto all'obbligazioneprincipale di cui garantiscono l'esecuzione, poiché una simile interpretazione non trova alcunfondamento nel testo della direttiva e nemmeno nella sua economia o nei suoi obiettivi» (Corteeur. giust., 23-3-2000 C-208/98, Racc. giur., 2000, 1741 s.).(75) Art. 3: Fatte salve le disposizioni della direttiva 84/450/CEE del Consiglio, del 10 settembre1984, relativa al ravvicinamento delle disposizioni legislative, regolamentari ed amministrativedegli Stati membri in materia di pubblicità ingannevole (1), nonché le norme e i principiapplicabili alla pubblicità sleale, nella pubblicità o nelle offerte esposte negli uffici commerciali econ cui una persona dichiari la propria disponibilità a concedere un credito o a farsi intermediariaper la conclusione di contratti di credito e indichi il tasso di interesse o altre cifre riguardanti ilcosto del credito, deve essere citato anche, espresso in percentuale, il tasso annuo effettivo globale,eventualmente mediante un esempio tipico se non è possibile avvalersi di altre modalità.(76) Che sia «fisso o variabile, corredato da informazioni relative alle spese comprese nel costototale del credito al consumatore».

(77) In caso di contratti di credito nella forma di concessione di scoperto da rimborsarsi surichiesta o entro tre mesi «gli stati membri possono decidere che non sia necessario fornire il tassoannuo effettivo globale».(78) Manca nella direttiva l'esplicito divieto di rinvio agli usi. Ove l'applicabilità diretta dell'art.116 t.u.b. permanesse il divieto sarà comunque operativo, ma sorprende che il legislatorecomunitario non l'abbia precisato, dal momento che detto divieto ha rappresentato per i contrattibancari una delle più evidenti e riuscite strategie per attuare la trasparenza.(79) Quale la portata da assegnare alla locuzione «se del caso» non è di immediata comprensione:mentre con riguardo alla durata si giustifica in ragione dell'ipotesi in cui il contratto abbia durataindeterminata, non c'è ragione di lasciare alla discrezionalità del professionista le informazionicirca il costo totale dell'operazione e l'importo delle rate, trattandosi di informazione fondamentaleai fini della comparazione fra le varie offerte e della corretta informazione al consumatore.(80) G. Carriero, La nuova disciplina comunitaria del credito al consumo: linee d'indirizzo,questioni irrisolte, problemi applicativi, La nuova disciplina europea del credito al consumo. Ladirettiva 2008/48/CE relativa ai contratti di credito dei consumatori e il diritto italiano, cit., 9, chegiustificherebbe l'eccesso di informazioni solo se tesa ad evitare fenomeni di pubblicitàingannevole, nel qual caso sarebbe però «lecito avanzare dubbi sulla idoneità della sedes materiaeprescelta ai fini indicati».(81) Sul punto Carriero, La nuova disciplina comunitaria del credito al consumo cit. 9.(82) De Poli, Gli obblighi gravanti sui “creditori” nella fase anteriore e posteriore alla stipulazionedel contratto e le conseguenze della loro violazioni, La nuova disciplina europea del credito alconsumo cit., 7.(83) De Poli, Gli obblighi gravanti sui “creditori” nella fase anteriore e posteriore alla stipulazionedel contratto cit., 6.(84) In questa prospettiva, che regole del mercato interferiscano o possano interferire con regoledel contratto non ha nulla di eversivo, detta interferenza traducendo sul piano dei congegnigiuridici nient'altro che il dato economico che il mercato è l'insieme dei contratti, ovvero, comeautorevolmente scritto (P. Barcellona, Diritto, sistema e senso. Lineamenti di una teoria (Torino1996) 359), «un risultato e una misura: per un verso è l'esito delle singole contrattazioni (non c'èmercato senza scambi, e quindi senza contratti), per un altro verso è anche la misura delle singolecontrattazioni (= ogni trattativa si intraprende sulla base delle condizioni di mercato)».(85) De Poli, Gli obblighi gravanti sui “creditori” nella fase anteriore e posteriore alla stipulazionedel contratto cit., 6 con riferimento al credito al consumo. Sulla circostanza che la disciplina inparola abbia ad oggetto le attività dell'impresa e non il rapporto contrattuale cfr. R. Calvo, Leazioni e le omissioni ingannevoli: il problema della loro sistemazione nel diritto patrimonialecomune, Contr. impr. Eur., 2007, 63.(86) A. Mirone, Pubblicità e invalidità del contratto: la tutela individuale contro le pratichecommerciali sleali, AIDA, 2008. La soluzione risarcitoria è adottata dagli Acquis Principles:anche con riguardo agli «Information duties in marketing towards consumers» (disciplinati all'art.2.202) è disposto che, a prescindere dalla circostanza che il contratto sia stato concluso o meno, ilprofessionista che non abbia ottemperato agli obblighi precontrattuali di informazione «is liable tothe other party for reliance damages. The rules on damages for non-performance of a contractualobligation apply accordingly» (comma 3 dell'art. 2.208).(87) Sull'articolazione dei doveri di informazione nei lavori dell'Acquis Group cfr., diffusamente,U. Salanitro, Gli obblighi precontrattuali di informazione: le regole e i rimedi nel progetto acquis,in questa Rivista, 2009, 59 s.(88) Posizione che troverebbe conforto dalla direttiva sulle pratiche scorrette che espressamenteribadisce di non pregiudicare «l'applicazione del diritto contrattuale, in particolare delle normesulla formazione, validità ed efficacia del contratto».(89) Nel senso che le informazioni di cui all'art. 4 siano un mezzo di rafforzamento «dellacompetitività del mercato del credito al consumo», De Poli, Gli obblighi gravanti sui “creditori”nella fase anteriore e posteriore alla stipulazione del contratto cit., 17. L'Autore trae confortoanche dalla circostanza che «il legislatore abbia puntato ad accrescere il gioco concorrenziale piùsui profili di costo dell'operazione che su quelli disciplinari della stessa».(90) Considerando n. 19.(91) Di diverso avviso De Poli, Gli obblighi gravanti sui “creditori” nella fase anteriore e

posteriore alla stipulazione del contratto cit., 9.(92) In altri e più incisivi termini la proposta di direttiva Articolo 6 Informazione reciproca epreventiva e obbligo di consulenza 1. Fatta salva l'applicazione della direttiva 95/46/CE, e inparticolare dell'articolo 6, il creditore e, se del caso, l'intermediario del credito possono chiedere alconsumatore che chiede un contratto di credito, nonché a ogni fideiussore, informazioni esatte,complete e necessarie unicamente per valutare la loro situazione finanziaria e la loro solvibilità. Ilconsumatore e il fideiussore sono tenuti a rispondere a tali richieste di informazione in modopuntuale e completo.(93) A. Jannarelli, La disciplina dell'atto e dell'attività: i contratti tra imprese e tra imprese econsumatori, Trattato di diritto privato europeo, a cura di N. Lipari (Padova 2003), 40 s.(94) De Poli, Gli obblighi gravanti sui “creditori” nella fase anteriore e posteriore alla stipulazionedel contratto cit., 8.(95) De Poli, Gli obblighi gravanti sui “creditori” nella fase anteriore e posteriore alla stipulazionedel contratto cit., 19.(96) J. Kilborn, Behavioural economics, Overindebtedness and Comparative consumerBankruptcy: searching for causes and evalueting solutions, Bankruptcy Developement Journal,2005, 13 s.(97) Sul punto cfr. F. Macario, Sub art. 124, Commentario alle norme di attuazione di direttivecomunitarie in tema di credito al consumo cit., 830 s.(98) De Poli, Gli obblighi gravanti sui “creditori” nella fase anteriore e posteriore alla stipulazionedel contratto cit., 19.(99) G. De Nova, Informazione e contratto: il regolamento contrattuale, Riv. trim. dir. proc. civ.,1993, I, 710.(100) De Cristofaro, La nuova disciplina comunitaria del credito al consumo cit., 273.(101) Come accade, solo per citarne alcune, nell'ipotesi in cui espressamente il legislatore ritieneobbligati in conformità a quanto «pubblicizzato» nell'opuscolo informativo organizzatore evenditore «in relazione alle rispettive responsabilità», rendendo altresì immodificabili detteinformazioni, una volta rese, a meno di modifiche concordate e scritte (art. 88, comma secondo,cod. cons., in materia di vendita di pacchetti turistici); oppure nella norma contenuta nelladisciplina della vendita di beni di consumo che stabilisce la presunzione che i beni venduti sianoconformi al contratto quando gli stessi «sono conformi alla descrizione fatta del venditore epossiedono le qualità del bene che il venditore ha presentato al consumatore come campione omodello» (art. 129, secondo comma, lett. b, cod. cons.). Perseguendo una strada affatto differente,ma pur sempre nel solco di una considerazione dell'informazione precontrattuale le cui carenzenon possono non farsi ricadere sul contratto poi concluso, vengono alla mente i casi della nullità(relativa) comminata per il contratto di vendita a distanza di servizi finanziari ai consumatoriquando il fornitore «viola gli obblighi di informativa precontrattuale in modo da alterare in modosignificativo la rappresentazione delle sue caratteristiche» (art. 67-septiesdecies, quinto comma,cod. cons.), e la disposizione del testo unico in materia di intermediazione finanziaria che, nelquadro delle norme dedicate all'offerta al pubblico, accorda al cliente non qualificato lalegittimazione alla nullità del contratto concluso in assenza della pubblicazione del prospettoinformativo (art. 100-bis, comma terzo).(102) V., per esempio, la disciplina della multiproprietà, in cui non è definita la conseguenza, mail contenuto del documento informativo non può essere modificato unilateralmente e deve essereintegralmente riversato nel testo contrattuale (art. 71, comma 1, cod. cons.).(103) Art. 5, comma 2, che aggiunge che le informazioni «non possono essere modificate salvoqualora vi sia l'accordo esplicito delle parti oppure qualora le modifiche siano causate dacircostanze eccezionali e imprevedibili, indipendenti dall'operatore, le cui conseguenze nonavrebbero potuto essere evitate neanche con la dovuta diligenza». ed analogamente dispone laproposta di direttiva in materia dei diritti dei consumatori: cfr. Bruxelles, 8.10.2008, COM(2008)614 definitivo, Art. 5, comma terzo.(104) L'art. 2:208, rubricato «Remedies for breach of information duties», prescrive, al primocomma, che «If a business is required under Articles 2:203 (Information duties towardsdisadvantaged consumers) and 2:204 (Clarity and form of information) above to provideinformation to a consumer before the conclusion of a contract from which the consumer has theright to withdraw, the withdrawal period commences when all this information has been provided.

However, this rule does not postpone the end of the withdrawal period beyond one year countedfrom the time of the conclusion of the contract».(105) «Whether or not a contract is concluded, a business which has failed to comply with anyduty imposed by the preceding Articles of this section is liable to the other party for reliancedamages. The rules on damages for non-performance of a contractual obligation applyaccordingly».(106) De Nova, Informazione e contratto: il regolamento contrattuale cit., 705.(107) Alessi, I doveri di informazione, Manuale di diritto privato europeo cit., 415.(108) Come nota De Poli, Gli obblighi gravanti sui “creditori” nella fase anteriore e posteriore allastipulazione del contratto cit., 9, le informazioni «di base» di cui al par. 1 art. 5 «assolvono il solocompito di garantire al consumatore la comparabilità delle varie offerte».(109) Carriero, La nuova disciplina comunitaria del credito al consumo cit., 3.(110) Carriero, La nuova disciplina comunitaria del credito al consumo cit., 2-3.(111) Assi poco di «protettivo», per esempio, è dato riscontrare nella disciplina che la nuovadirettiva detta con riferimento al «rimborso anticipato» di cui all'art. 16. Incontroverso che,analogamente a quanto previsto dalla vecchia direttiva «il consumatore ha il diritto di adempiere inqualsiasi momento, in tutto o in parte, agli obblighi che gli derivano dal contratto di credito»,avendo diritto in tal caso «ad una riduzione del costo totale del credito, che comprende gli interessie i costi dovuti per la restante durata del contratto», quanto meno dubbia, almeno in chiave ditutela del consumatore, è la successiva disposizione, che accorda al creditore il diritto ad unindennizzo equo ed oggettivamente giustificato per eventuali costi direttamente collegati alrimborso anticipato del credito (sempre che il rimborso anticipato abbia luogo in un periodo per ilquale il tasso debitore è fisso), sebbene nel quadro di precisi limiti quantitativi (cfr. par. 2 e 5).Sulla disposizione appena citata cfr. Ciatti, La corresponsione anticipata delle somme dovute dalconsumatore al creditore, La nuova disciplina europea del credito al consumo cit. 1 s.(112) Cfr. considerando n. 26.(113) Fa notare A. Simionato, Prime note in tema di valutazione del merito creditizio delconsumatore nella direttiva 2008/48/CE, La nuova disciplina europea del credito al consumo, cit.,5, che anche nelle ipotesi in cui la verifica della capacità di rimborso propria del consumatore puòsembrare meno rilevante, come nel caso in cui il prestito sia assistito da una garanzia da altriprestata o seguito da un'operazione di cartolarizzazione, la verifica, rispettivamente, sulle capacitàdi rimborso del garante ovvero sulla affidabilità del cliente in chiave di tutela del risparmio, nondovrebbe esonerare il creditore dal metterla in atto, anzi nel caso di cartolarizzazione si fa ancorapiù urgente per evitare di immettere sul mercato prodotti finanziari di scarso valore o addiritturapericolosi, nel quadro di una strategia di corretta allocazione delle risorse bancarie, soprattutto peruna disciplina che ha come oggetto principale la tutela del mercato transfrontaliero più che laprotezione dei consumatori.(114) G. Gloukoviezoff, From Financial Exclusion to Overindebtedness: The Paradox ofDifficulties for People on Low Income?, New frontiers in banking services. Emerging needs andtailored products for untapped markets, a cura di L. Anderloni, M. D. Braga, E. Carlucci (Berlino2006), 213 s.(115) De Poli, Gli obblighi gravanti sui “creditori” nella fase anteriore e posteriore allastipulazione del contratto cit., 15.(116) Su cui A. Costa, La riforma della disciplina del credito ai consumatori, Contratti, 2005, 721s.(117) Poi, all'articolo 9 rubricato «Prestito responsabile», che «Quando il creditore conclude uncontratto di credito o di fideiussione oppure aumenta l'importo totale del credito o la sommagarantita, si ritiene che questi abbia stimato preventivamente, con ogni mezzo a sua disposizione,che il consumatore e, se del caso, il fideiussore, saranno in grado di rispettare gli obblighiderivanti dal contratto». Cfr. altresì il considerando n. 12: «Al fine di contribuire a ridurre ilrischio in materia di credito, sia per il creditore che per il consumatore, l'esperienza e la praticamostrano l'utilità dell'esistenza di informazioni adeguate e sicure relative agli eventuali incidenti dipagamento. Gli Stati membri devono pertanto assicurare l'esercizio, sul loro territorio, di unabanca dati centralizzata, pubblica e privata, eventualmente sotto forma di una rete di banche dati.Tale base o tale rete dovrà registrare i consumatori e i fideiussori dello Stato membro che sonoincorsi in problemi di pagamento. Per garantire la massima efficacia, i creditori devono avere

l'obbligo di consultare tale banca dati centralizzata prima dell'accettazione di ogni sottoscrizioned'impegno da parte del consumatore o del fideiussore. Al fine di evitare distorsioni dellaconcorrenza tra i creditori, l'accesso delle persone o delle imprese alla banca dati centralizzata diun altro Stato membro deve essere garantito alle stesse condizioni previste per le persone o leimprese di tale Stato membro, sia direttamente, che attraverso la banca dati centralizzati delloStato membro d'origine».(118) Carriero, La nuova disciplina comunitaria del credito al consumo cit., 6.(119) Secondo De Cristofaro, La nuova disciplina comunitaria del credito al consumo cit., 274,nella condotta negligente del professionista è possibile ravvisare gli estremi di una praticacommerciale sleale tutte le volte in cui che tale condotta sia idonea a falsare in maniera rilevante ilcomportamento economico del consumatore. Contra De Poli, Gli obblighi gravanti sui “creditori”nella fase anteriore e posteriore alla stipulazione del contratto cit., 15, ad avviso del quale«nessuno potrà conoscere la capacità di rimborso del consumatore meglio dello stesso. È esclusain radice, dunque, l'idoneità concreta di incisione determinante sulle scelte economiche delconsumatore».(120) F. Annunziata, Credito al consumo e regole di deontologia professionale dell'intermediario(alcune riflessioni in margine ad una recente legge francese), BBTC, 1991, 665.(121) De Poli, Gli obblighi gravanti sui “creditori” nella fase anteriore e posteriore allastipulazione del contratto, cit., 14.(122) Considerando n. 30.(123) In linea, peraltro, con il ventiseiesimo considerando, in cui è scritto che in un mercato inespansione «è importante che i creditori non emettano crediti «senza preliminare valutazione delmerito creditizio».(124) Il citato comma primo prescrive che «Gli intermediari autorizzati si astengono dall'effettuarecon o per conto degli investitori operazioni non adeguate per tipologia, oggetto, frequenza odimensione». Naturalmente, trattandosi di operazioni il cui rischio ricade esclusivamente in capoal cliente, lo stesso articolo, al comma terzo, prevede che ove l'investitore, debitamente informatocirca l'inadeguatezza dell'operazione avuto riguardo al suo profilo di rischio, intenda comunquedare seguito all'operazione «gli intermediari autorizzati possono eseguire l'operazione stessa solosulla base di un ordine impartito per iscritto ovvero, nel caso di ordini telefonici, registrato sunastro magnetico o su altro supporto equivalente, in cui sia fatto esplicito riferimento alleavvertenze ricevute». Qui, invero, la scelta negoziale dell'investitore comunque deciso adaccollarsi un rischio anche consistente non si scontra - come invece accade nell'operazione dicredito - con l'interesse, egualmente rilevante, del creditore a non erogare un finanziamento infavore di un soggetto scarsamente affidabile in punto di solvibilità. A fronte di una valutazione delmerito creditizio che desse esito negativo, una norma che impedisse comunque la conclusione delcontratto si rivelerebbe protettiva di entrambe le parti e degli interessi in gioco, che non sono quiesclusivamente rappresentati dalla tutela del risparmio ma altresì da uno sviluppo del mercato delcredito pur sempre ispirato dai criteri di trasparenza ed efficienza (considerando n. 6) ed anchefondato su regole volte ad evitare distorsioni della concorrenza tra creditori (considerando n. 28)che un approccio disinvolto all'erogazione di finanziamenti potrebbe invece assecondare. Ancorpiù urgente si rivelerebbe una norma come quella citata nell'ipotesi in cui il rischio dell'insolvenzafosse traslato su altri soggetti, diversi dal primo creditore - come tipicamente accade con leoperazioni di cartolarizzazione del credito.(125) Sul tema, senza alcuna pretesa di completezza, A. Nigro, La responsabilità della banca perconcessione «abusiva» di credito, Giur. comm., 1978, 219 s.; Id., La responsabilità della bancanell'erogazione del credito, Soc., 2007, 437 s.; B. Inzitari, Le responsabilità della bancanell'esercizio del credito; abuso nella concessione e rottura del credito, BBTC, 2001, I, 292. Leperplessità della dottrina sono state in parte ridimensionate a seguito della pronuncia delle sezioniunite della corte di cassazione del 28-3-2006, n. 7029, Dir. fall., con nota di Nardecchia, L'abusivaconcessione di credito all'esame delle sezioni Unite.(126) Nell'ambito di una procedura di ristrutturazione del debito del consumatore, il code de laconsommation francese prevede all'art. L. 331-7 che la commissione chiamata a redigere lemisures de redressement (stabilendo, per esempio, imputazione e termini di pagamento, fissazionedei tassi di interesse, modalità specifiche di rimborso quando sia coinvolto un bene immobileabitazione principale del debitore), non solo tenga in conto «la connaissance que pouvait avoir

chacun des créanciers, lors de la conclusion des différents contrats, de la situation d'endettementdu débiteur», ma altresì verifichi «que le contrat a été consenti avec le sérieux qu'imposent lesusages professionnels».(127) Cfr. per esempio il combinato disposto degli artt. L. 330-1, L. 331-2, L. 331-3 del code de laconsommation francese.(128) Così in Francia: cfr. art. L. 331-6 cod. cons. E così negli Stati Uniti, ove, però, il rischio chela procedura di esdebitamento [la c.d. Bankruptcy, su cui cfr. I. Ramsay, Consumer Credit Societyand Consumer Bankruptcy: Reflections on Credit Cards and Bankruptcy in the InformationalEconomy, Consumer Bankruptcy in Global Perspective, a cura di J. Niemi-Kiesiläinen, I. Ramsay,W. Whitford (Portland 2003), 17 s.], mediante remissione del debito assecondi ed incrementi unadiffusa deresponsabilizzazione del finanziato, ha condotto all'adozione del Bankruptcy AbusePrevention Act del 2005, che riduce sensibilmente il perimetro di applicabilità della disciplina difavore.(129) Commento all'art. 24, che testualmente disponeva: «Gli Stati membri provvedono affinché:a) i creditori, i loro mandatari, nonché ogni persona che sia la nuova titolare dei crediti derivantida un contratto di credito o da un contratto di fideiussione, non prendano misure sproporzionateper recuperare i loro crediti in caso di mancata esecuzione di tali contratti; b) il creditore non possaesigere il pagamento immediato dei versamenti maturandi o invocare una condizione risolutivaespressa se non per mezzo di una messa in mora preventiva con la quale si invita il consumatore o,se del caso, il fideiussore, ad adempiere ai suoi obblighi contrattuali entro un termine ragionevoleo a richiedere un nuovo scadenzario per il rimborso del credito; c) il creditore non possasospendere i prelievi di credito se non motivando la sua decisione e sia tenuto a comunicareimmediatamente tale decisione al consumatore; d) il consumatore e il fideiussore abbiano il diritto,su loro richiesta e senza indugio, a ricevere in caso di mancato adempimento dei loro obblighi o incaso di rimborso anticipato, un conteggio gratuito e dettagliato che consenta loro di verificare lespese e gli interessi reclamati». Il citato articolo stabiliva poi, al comma secondo, due eccezioni alprincipio di proporzionalità: la frode manifesta e il caso particolare dell'alienazione del benefinanziato, assimilato alla frode a patto che il consumatore sia stato debitamente e preventivamenteinformato dei diritti di proprietà o di privilegio che spettano al creditore. Si precisava anche, però,che il fatto che il consumatore si sia trasferito senza comunicare il nuovo indirizzo oppure siapartito per l'estero non è, di per sé, una ragione sufficiente per escludere questa messa in mora.(130) Carriero, La nuova disciplina comunitaria del credito al consumo cit., 6.(131) Il riferimento è al corposo studio dal titolo Towards a common operational Europeandefinition of over-indebtedness, che l'Observatoire de l'épargne européenne (Paris, France), laUniversity of Bristol, Personal Finance Research Centre (United Kingdom) ed il Centre forEuropean Policy Studies (Brussels, Belgium) hanno sottoposto nel 2007 al dipartimento diEmployment, social affairs and equal opportunities della commissione europea allo scopodichiarato di «To identify the nature and causes of over indebtedness; To review the definitionsand measurement of over-indebtedness and to propose common definitions and indicators.; Toprovide an overview of the debate and policies to tackle over-indebtedness». Il report si puòleggere in http://ec.europa.eu/employment_social/spsi/studies_en.htmoverindebtedness. Cfr.altresì Opinion of the European Economic and Social Committee on ‘Credit and social exclusionin an affluent society’ (2008/C 44/19), in Official Journal of the European Union, 16.2.2008.(132) De Cristofaro, La nuova disciplina comunitaria cit., 275.(133) S. Mazzamuto, Il problema della forma nei contratti di intermediazione mobiliare, Contr.impr., 1994, 45. Cfr. altresì N. Salanitro, Evoluzione dei rapporti tra disciplina dell'impresa edisciplina dei contratti del settore creditizio, BBTC, 1992, I, 597 s.(134) Legge 27 dicembre 1977 n. 1084. Manca l'indicazione della sanzione da ricondurre al difettodi forma nel caso dell'art. 85 cod. cons. (che ripropone il contenuto dell'art. 6 del D.lgs. 17 marzo1995 n. 111, attuativo della direttiva 90/314/CEE) il quale si limita a disporre che «il contratto divendita di pacchetti turistici è redatto in forma scritta» consegnando all'interprete il problema dellanatura e della portata di simile prescrizione.(135) C. Notarstefano, Lineamenti giuridici dei rapporti turistici, Riv. dir. comm., 1993, 594; P.M. Putti, L'invalidità nei contratti del consumatore, Diritto privato europeo cit., 542.(136) V. Cuffaro, Contratto turistico, Dig. disc. priv., sez. civ., IV (Torino 1989), 294 s.; G.Tassoni, Risoluzione e recesso nel contratto di viaggio, Recesso e risoluzione nei contratti, a cura

di G. De Nova (Milano 1994), 645.(137) S. Pagliantini, Il contratto di credito al consumo tra vecchi e nuovi formalismi, La nuovadisciplina europea del credito al consumo cit., 31.(138) Sul punto sia consentito rinviare a L. Modica, Vincoli di forma e disciplina del contratto.Dal negozio solenne al nuovo formalismo (Milano 2008), 213 s.(139) Considerando n. 30.(140) Pagliantini, Il contratto di credito al consumo tra vecchi e nuovi formalismi cit., 3.(141) Già Macario, Sub art. 124, Commentario cit., 813, predicava come «indubbio» il «legamelogico-giuridico fra l'adempimento dell'obbligo di consegna dell'esemplare del contratto alconsumatore e la decorrenza dei termini per l'esercizio dell'eventuale diritto di ‘ripensamento’».(142) Corte eur. giust., 13-12-2002, C- 481/99, Corr. giur., 2002, 865 s., su cui, ampiamenteAlessi, I doveri di informazione cit., 404 s.(143) Il meccanismo è invero autentico leit motiv della legislazione nuova, tanto da rinnovareprofondamente senso e portata dei precetti di forma la quale non rappresenta più «un merovestimentum dell'accordo delle parti, che non sia pura morphé ma piuttosto, per proseguire nelparagone, eidos: la forma si configura ... come manifestazione sensibile di un contenuto e insiemecontenuto essa stessa»: così Mazzamuto, Il problema della forma cit., 44.(144) Così E. Gabrielli, Sulla nozione di consumatore, Riv. trim. dir. proc. civ., 2003, 1177, nt. 68.(145) Sul punto sia consentito il rinvio a Modica, Vincoli di forma e disciplina del contratto, cit.,131.(146) V. Scalisi, Nullità e inefficacia nel sistema europeo dei contratti, in questa Rivista, 2001,498. Analogamente G. Chinè, Il diritto comunitario dei contratti, Trattato di diritto privato direttoda M. Bessone, XXVI, Il diritto privato dell'Unione europea, a cura di A. Tizzano (Torino 1999),1, 627.(147) Ad avviso di A. Di Majo, Libertà contrattuale e dintorni, Riv. crit. dir. priv., 1995, 19,riequilibrare il flusso informativo tra le parti del contratto significa «fare cosa utile e consona allastessa libertà contrattuale, ove questa si intenda non quale libertà astratta e naturalisticamenteconcepita ma quale libertà market-oriented».(148) Pagliantini, Il contratto di credito al consumo tra vecchi e nuovi formalismi cit., 30.(149) Così De Cristofaro, La nuova disciplina comunitaria del credito al consumo cit., 276.(150) Art. 124 co. 3: descrizione analitica di beni e servizi; prezzo di acquisto in contanti, il prezzostabilito nel contratto e l'ammontare dell'eventuale acconto; le condizioni per il trasferimento deldiritto di proprietà, nei casi in cui il passaggio della proprietà non sia immediato.(151) Art. 124, co. 5: Il taeg equivale al tasso nominale minimo dei buoni del tesoro annuali, lascadenza del credito è a trenta mesi; nessuna garanzia o copertura assicurativa viene costituita infavore del finanziatore.(152) Anche se una forzatura del dato letterale dell'art. 124 (che estende testualmente al credito alconsumo solo i commi 1 e 3 dell'art. 117), assecondata da un preciso richiamo ai «contratti dicredito» operato dal comma quarto dell'art. 117, potrebbe condurre all'applicazione ai contratti dicredito al consumo della regola per cui in caso di mancata indicazione di ogni «prezzo econdizioni praticate» si applicano «gli altri prezzi e condizioni pubblicizzati nel corso della duratadel rapporto per le corrispondenti categorie di operazioni e servizi», che, associato all'ulterioresanzione per cui «in mancanza di pubblicità nulla è dovuto», consentirebbe di governare con unacerta sicurezza anche il problema delle lacune del testo per cui non è dettata una espressadisciplina.(153) Cfr. artt. 73 ss. cod. cons., su cui, da ultimo, C. Pilia, Accordo debole e diritto di recesso(Milano 2008), 95 s.(154) V. Roppo, Contratto di diritto comune, contratto del consumatore, contratto con asimmetriadi potere contrattuale: genesi e sviluppi di un nuovo paradigma, Riv. dir. priv., 2001, 641.(155) Contra De Cristofaro, Il recesso del consumatore dal contratto di credito, La nuovadisciplina europea del credito al consumo cit., 8.(156) C. Castronovo, Un contratto per l'Europa, Prefazione all'edizione italiana dei Principi didiritto europeo dei contratti, Parte I e II (Milano 2001), XXVI.(157) G. Benedetti, La formazione del contratto, Manuale di diritto privato europeo, cit., 355.(158) L. Mengoni, Autonomia privata e Costituzione, BBTC, 1997, 15.(159) Quali sarebbero per esempio, come nota De Cristofaro, La nuova disciplina comunitaria del

credito al consumo cit., 288, nt. 85, tributi ed imposte.(160) È la proposta di De Cristofaro, La nuova disciplina comunitaria del credito al consumo cit.,289, nt. 85, il quale peraltro denuncia una poco incisiva differenziazione di regime fra recessoordinario e ius poenitendi (p. 289).(161) Mazzamuto, La multiproprietà, Manuale di diritto privato cit., 99.(162) Cfr. art. 73 cod. cons., comma 2, in materia di multiproprietà.(163) Sulla disposizione in parola cfr., diffusamente, Pagliantini, Il contratto di credito al consumotra vecchi e nuovi formalismi cit., 33 s.(164) Cfr. il considerando n. 35.(165) Cfr. considerando n. 9.(166) De Cristofaro, La nuova disciplina comunitaria del credito al consumo cit., 279, cherichiama il confronto con le altre versioni linguistiche.(167) De Cristofaro, La nuova disciplina comunitaria del credito al consumo cit., 279.(168) La circostanza che la fonte del diritto sia pattizia dovrebbe indurre a ritenere che in assenzadi patto ad hoc, al creditore rimarrebbe preclusa la possibilità di liberarsi dal vincolo (vedi ilnostro art. 1372 c.c.).(169) Cfr. art. 1845 ult. com., c.c.(170) Calvo, Recesso e contratti di credito a durata indeterminata, La nuova disciplina europea delcredito al consumo cit., 4.(171) F. Galgano, Il negozio giuridico, Tratt. dir. civ. comm., Cicu - Messineo - Mengoni (Milano1988), 133.(172) Cass. 14-7-2000, n. 9321, Contratti, 2000, 1111, con nota di F. Di Commo, Recesso dalcontratto di apertura di credito e abuso del diritto.(173) In tal senso De Cristofaro, La nuova disciplina comunitaria del credito al consumo cit., 281.(174) Cfr. proposta di direttiva, in particolare, art. 24 punto c e relazione all'art. 24 ove si precisa:Il paragrafo 1, punto b), è volto ad evitare che il consumatore o il fideiussore siano costretti arimborsare immediatamente l'importo totale del credito senza essere stati in precedenza invitati arimediare a un eventuale ritardo o a formulare una proposta per un accordo amichevole circa unnuovo scadenzario per il rimborso del credito. È indispensabile che gli Stati membri incoragginole parti interessate a cercare accordi extra giudiziali.(175) Come chiaramente segnalato dal nono considerando, infatti, l'armonizzazione piena imponeche agli Stati membri sia impedito di «mantenere o introdurre disposizioni nazionali diverse» daquelle della direttiva, ma tale restrizione può essere applicata «soltanto nelle materiearmonizzate», mentre laddove tali disposizioni armonizzate mancassero gli Stati membridovrebbero rimanere liberi di mantenere o introdurre norme nazionali.(176) Ancora: gli intermediari sono sottratti ai controlli che, a norma dell'art. 20 della direttiva,organismi o autorità indipendenti da istituzioni finanziarie devono svolgere sui creditori, controlliaggiuntivi rispetto a quelli previsti dalla direttiva 2006/48/CE. Ma l'esenzione è dubbia, specie conriferimento all'ipotesi in cui gli intermediari agiscono in nome e per conto del creditore. Ladirettiva traccia poi una distinzione fra l'attività di intermediazione svolta a titolo principale equella svolta a titolo accessorio. La distinzione è funzionale a sottrarre coloro che agiscono comeintermediari del credito a titolo soltanto accessorio dal rispetto degli obblighi informativi di cuiagli artt. 5 e 6 della direttiva, soluzione dubbia ove solo si pensi che anche l'intermediario a titolo«accessorio» può agire come rappresentante diretto del creditore, col rischio di lasciare ilconsumatore del tutto privo di informazioni. L'intermediario, anche quando gravato del dovere diinformazione precontrattuale, non ha l'obbligo di verificare il merito creditizio del consumatore; eche ciò avvenga anche se agisca in nome e per conto del creditore appare davvero singolare, giustail rilievo che il disposto dell'art. 8 della direttiva ambisce ad assumere.(177) A norma dell'art. 21 gli intermediari (a prescindere che svolgano l'attività a titolo principaleo accessorio) devono indicare, sia nella pubblicità sia nei documenti destinati ai consumatori,l'ampiezza dei propri poteri, «in particolare» se lavorino a titolo esclusivo con uno o più creditorioppure a titolo di mediatore indipendente. Qui è probabilmente la tecnica redazionale a non daremiglior prova di sé: se deve indicare i suoi poteri, l'intermediario è tenuto in sostanza a dichiararese agisce quale rappresentante diretto ovvero quale consulente, mentre la questione del lavoro atitolo esclusivo ha poco a che fare con l'ampiezza dei poteri. A meno di non ritenere che nellessico della direttiva «titolo esclusivo» e «mediatore indipendente» stiano, rispettivamente, per

«rappresentante diretto» e «consulente», l'utilizzo dell'avverbio «nonché» in luogo della locuzione«in particolare», avrebbe consentito maggiore chiarezza. Il consumatore deve essere «informatodel compenso da versare» all'intermediario per i servigi resi e tale compenso deve essere oggettodi accordo tra il consumatore e l'intermediario del credito «su supporto cartaceo o altro supportodurevole prima della conclusione del contratto», ma nulla si dice circa le conseguenze di unamancata informazione, ovvero di una informazione fornita solo oralmente.(178) Art. 33 legge comunitaria il 2008.(179) In tal senso De Cristofaro, La nuova disciplina comunitaria del credito al consumo cit., 270.Cfr. però la posizione di P. Sirena, L'inderogabilità delle disposizioni della direttiva e il rapportocon la disciplina sulle clausole abusive, La nuova disciplina europea del credito al consumo, cit.,13, secondo il quale «il ruolo strategico del diritto europeo dei contratti non è quello di sostituirsial diritto nazionale, di “denazionalizzare” gli ordinamenti giuridici degli Stati Membri, ma èquello di provocare al loro interno una necessaria modernizzazione, principalmente legata aobiettivi di efficienza economica. In questo senso, l'eventualità che il diritto europeo dei contratti,fungendo appunto da catalizzatore di tale modernizzazione, possa accentuare, anziché ridurre ladiversificazione tra gli ordinamenti giuridici nazionali non è affatto un pericolo, ma anzi unapreziosa opportunità per potenziare ulteriormente la libertà contrattuale delle parti contraenti».Sarebbe allora la tecnica legislativa dell'armonizzazione c.d. minimale «l'unica propriamentecompatibile con il disegno complessivo di integrazione giuridica tra gli Stati Membri».(180) Carriero, Autonomia privata e disciplina del mercato cit., 248.(181) Cfr. comma 2 art. 2, su cui De Cristofaro, La nuova disciplina comunitaria del credito alconsumo cit., 299 s. Il comma 3 del medesimo articolo prevede: «Gli Stati membri provvedonoinoltre affinché le disposizioni adottate per dare esecuzione alla presente direttiva non possanoessere eluse attraverso l'impiego di forme particolari di contratti, in particolare includendo prelievio contratti di credito che rientrano nell'ambito di applicazione della presente direttiva in contrattidi credito la cui natura o finalità consenta di evitare l'applicazione della direttiva stessa». Il comma4: «Gli Stati membri adottano le disposizioni necessarie affinché i consumatori non siano privatidella tutela accordata dalla presente direttiva a seguito della scelta della legge di uno Stato terzoquale legge applicabile al contratto di credito, se tale contratto presenta uno stretto legame con ilterritorio di uno o più Stati membri».(182) Sirena, L'inderogabilità delle disposizioni della direttiva cit. 12.Utente: SERGIO CAPASSOwww.iusexplorer.it - 15.09.2014

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