g. piccinni, siena nell’età di duccio, in duccio. alle origini della pittura senese, a cura di...

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nell'età di Duccio

Piccinni

di Buoninsegna,Madonna Rucellai, Firenze,Galleria degli Uffizi

La civiltà comunale italiana al suo apogeoIl titolo di questo contributo riecheggia consapevol-mente, in tono inevitabilmente minore e meno pre-gnante, un fortunato uso con cui la storiografia fio-rentina ha identificato come "età di Dante" gli anni acavallo tra Due e Trecento': gli stessi che qui ci inte-ressano, dal momento che l'attività documentata inSiena di Duccio figlio di Buoninsegna si distende nelquarantennio che va dal 1278, quando i critici ce lopropongono come un giovane pittore che ottiene lecommesse di lavori "minori", fino al 1318. Al di là del-la occasione per la quale questo testo viene steso, oc-corre però chiedersi se utilizzare come riferimentocronologico "l'età di Duccio" abbia davvero un sensoper la storia di Siena e, nel caso, di quale senso possatrattarsi. Che cos' era Siena quando Duccio elaboravail suo particolare linguaggio pittorico?Non c'è bisogno di spendere molte parole per ricorda-re che si tratta di una stagione particolarmente fertiledella storia d'Italia intera, prima di tutto perché la po-polazione, con una crescita vertiginosa avvenuta so-prattutto in ambito urbano, toccò il punto più alto del-l'intero arco plurisecolare del Medioevo e poi perché laciviltà comunale, di cui fu la culla la sua parte centro-settentrionale, raggiunse il suo massimo sviluppo isti-tuzionale, politico, sociale, economico e culturale. Tut-t'oggi è sufficiente passeggiare per le strade di moltecittà italiane per percepire quanta parte del tessuto ur-bano, se non addirittura dei singoli edifici, sia ancorariconducibile all' espansione duecentesca'. Come senon bastasse, concorre a identificare un ciclo con unasua coerenza interna il fatto, storicamente degno di no-ta, che quegli anni abbiano rappresentato, almeno ainostri occhi, il culmine di una crescita ma insieme an-che il punto di una svolta, perché fu allora che inizia-rono a essere elaborate forme nuove sul piano econo-mico, politico, istituzionale, culturale, religioso'.È anche ben noto, tuttavia, che l'Italia non era tuttaeguale né dal punto di vista dell'evoluzione istituzio-nale delle forme di governo con cui si reggevano le po-polazioni, come è ben presente a tutti, né da quellodella concentrazione demografica, a causa della diver-sa diffusione del fenomeno urbano e del diverso pesoeconomico e politico delle città; e basta in questa sede

ricordare che nell'Italia a nord di Roma crescevanoquattro "giganti" quali Milano, che sfiorava i 200.000abitanti, e Venezia, Firenze, Genova, che, con i lorocirca 100.000, non avevano uguali non solo nel restod'Italia ma neanche in Europa, dove queste dimensio-ni erano raggiunte solo da Parigi e da Costantinopoli,vale a dire dalla capitale di un grande regno e da quel-la di un impero.La Toscana, in questo quadro di preminenza, era unaregione urbanizzata in maniera particolare e presenta-va a sua volta proprie punte d'eccellenza perché nel suospazio si trovavano diverse città per l'epoca moltograndi, tra cui Siena, e una davvero grandissima, Firen-ze. Si trattava di una regione contraddistinta da moltipoli economici, dal momento che le sue città erano tut-te economicamente vivaci, diverse nelle attitudini pro-duttive anche perché molto vicine tra loro, inserite co-m'erano per la maggior parte - con l'esclusione pro-prio di Siena, la più meridionale - nel triangolo norddella regione e specie intorno a quel gran produttore dipaesaggi umani che fu il bacino dell'Arno'.Firenze, Lucca, Pisa, Siena, Pistoia, Arezzo, Massa Ma-rittima, Volterra, Prato e poi altri centri minori comeCortona, Montepulciano, Colle, San Gimignano arri-vavano a ospitare, insieme, in quegli anni o poco do-po, un terzo di quei circa 1.300.000 d'abitanti che, se-condo i calcoli di Giuliano Pinto, popolavano la To-scana, collocandola con sicurezza tra le regioni a piùalto carico di popolazione in Europa'. Il culmine de-mografico fu raggiunto proprio intorno all'ultimoquarto del Duecento, quando il rapporto numericotra la popolazione delle città e quella delle campagnein qualche caso arrivò a rasentare il pareggio. Cintemurarie che racchiudevano gli spazi urbani con dife-se sempre più imponenti, si stagliarono come quintesul palcoscenico di campagne fortemente umanizzate,già coperte all' epoca da una rete molto fitta di inse-diamenti minori e case sparse sui campi, più di tuttoevidente in quelle colline al centro della regione lad-dove si avviavano rapporti mezzadrili che già eranouna realtà non trascurabile proprio intorno a Firenzee a Siena", soprattutto per il precoce arrivo, anche tra-mite la politica dei piccoli prestiti ai contadini, di cit-tadini dotati di capitali che servirono per l'accorpa-

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mento poderale e per costruire, a poco a poco, nuovecase dove potessero vivere e lavorare le famiglie deicoltivatori e soggiornare, con la bella stagione, quelledegli stessi proprietari.

Siena in ToscanaQuale ruolo aveva Siena nell'ambito della Toscana?Sappiamo che la città aveva goduto, insieme a Lucca,di una ripresa economica molto precoce, ma che maifece parte del novero delle città che si erano candida-te, nei secoli, alla guida della regione', tra le quali ave-va finito per prevalere Firenze che aveva vissuto unacontinua, progressiva ascesa dal XII secolo e che, pro-prio negli anni in cui Duccio vedeva la luce, avevamesso in atto l'ardita impresa del conio del fiorinod'oro che, a partire dal 1252, aveva dato uno strumen-to e un simbolo prestigioso alla sua partecipazione aigrandi commerci",Per la verità, proprio poco dopo la metà del Duecento,quando Duccio di Buoninsegna era probabilmente an-cora un bambino, anche Siena, la più meridionale del-le protagoniste della rivoluzione commerciale nel Me-dioevo, aveva vissuto la brevissima illusione di un' ege-monia sulla Toscana, quando l'intrepido capo Proven-zano d'Ildibrandino Salvani, chiamato da Dante il "si-re quando fu distrutta la rabbia fiorentina" e del cui no-me "Toscana sonò tutta", rappresentò il punto di riferi-mento dei ghibellini in appoggio a re Manfredi controi guelfi e Firenze, cercando nella grande divisione trauna parte pontificia e una imperiale che, a partire daglianni venti e trenta, si era radicalizzata in Italia e in To-scana, l'occasione per affiancare un forte ruolo politiconello scacchiere nazionale a quella posizione di primopiano che i banchieri senesi da qualche decennio dete-nevano nel quadro del credito e della finanza interna-zionale. Illusione, dicevo, inebriante e breve, nata in-torno a uno scontro -la battaglia di Montaperti del 4settembre 1260 - che per qualche anno sembrò poteressere quello decisivo. Un epos straordinario circondòla battaglia vittoriosa per Siena, specchio non casualedi un momento particolarmente intenso per la rnatu-razione dell'autocoscienza cittadina, al punto che i se-ne si tuttora la mantengono nella propria memoria, co-sì come mantengono quella del loro antico ghibellini-smo, durato nella sua forma più radicale al massimoun trentennio, e dimenticano quella del loro successivoe lungo guelfismo.In realtà Siena, anche nei tormentati decenni in cui leposizioni avevano teso a radicalizzarsi, era stata cittàfiloimperiale, ma non per questo automaticamente einteramente antipapale, e proprio il radicalismo diProvenzano, il suo desiderio di dare a sé stesso e allacittà un ruolo politico di rilievo, la stessa vittoria otte-nuta a Montaperti, finirono per marcare l'avvio diuna lacerazione del tessuto sociale e del gruppo diri-gente di proporzioni che la città non aveva mai cono-sciuto. Cartina di tornasole era stata la contromossacon la quale il pontefice aveva fatto esplodere le con-traddizioni che già all'indomani della sconfitta guelfa

a Montaperti avevano opposto all'orientamento ghi-bellino del governo la convenienza particolare dei piùricchi banchieri che, come vedremo, trafficavano conla curia pontificia ricavandone larghi proventi: il nuo-vo pontefice Urbano IV aveva conferito effetti econo-mici alla sanzione di scomunica lanciata alla città dalsuo predecessore fino a ordinare la cancellazione deicrediti delle compagnie senesi, minacciandone in tut-ta Europa gli affari e completando l'opera con unamossa di notevole scaltrezza politica, cioè compilandole liste di quelle, a lui fedeli, che erano esentate dalleconseguenze economiche di quelle sanzioni spirituali;infine, in risposta all'atto di obbedienza e devozionedi quanti giurarono di operare "pro defensione liber-tatis ecclesiae ac pacifico statu fidelium", aveva preso ifuoriusciti sotto la sua protezione offrendo loro ricet-to e sostegno nel borgo di Radicofani". Il gruppo diri-gente senese ne era uscito spaccato".Con la morte di Provenzano e l'avvio della sua dam-natio memoriae", tra alterne vicende - sconfitte mili-tari come quella che i ghibellini toscani subirono aColle nel 1269, rientro di fuorusciti guelfi, tentativi dimediazione, giuramento di fedeltà agli angioini e allachiesa, controesodo dei ghibellini, resa dei conti, rap-presaglie e nuove distruzioni di palazzi e torri che, co-me ferite vive, resero la sopraffazione di una fazionesull'altra fisicamente percepibile nel tessuto urbano's-proprio dal ghibellinismo di Provenzano scaturironoregimi di governo guelfo, prima nel 1271 quello dettodei Trentasei e poi, dopo che una legislazione specialeescluse dal governo il blocco di una sessantina di fa-miglie dell'aristocrazia (1277)lJ, quello detto dei No-ve, che resse Siena dal 1287 fino al 1355, per oltre set-tant'anni, regalandole una lunga stagione - che è pro-prio il cuore di quella di cui ci occupiamo in questa se-de - di relativa tranquillità ed equilibrio politico, an-che se si appannarono allora certe proiezioni senesisullo scenario internazionale.Negli anni della giovinezza di Duccio, dunque, si av-viò in Siena un governo popolare particolarmentelongevo composto da mercanti "de la mezza gente?",con l'esclusione di gran parte delle famiglie di affaristiappartenenti al ceto magnatizio che pure erano stateprotagoniste del passaggio dal ghibellinismo al guelfi-smo, ma poi escluse dal governo guelfo.

Una parabola in crescita con segni di cedimentoNell' età considerata in queste pagine Siena, in ciò alli-neandosi a quello che avvenne nel resto d'Europa, rag-giunse il massimo della sua consistenza demografica,ulteriormente passando dai circa 15.000 abitanti chepossiamo assegnarle per la prima metà del XII secolo,e che potevano essere forse raddoppiati alla metà delDuecento, ai 47.000-50.000 raggiunti intorno agli an-ni venti-trenta del Trecento", quando, dopo aver satu-rato gli spazi interni alle mura, i senesi predisposeroun nuovo quartiere, il borgo di Santa Maria, che, perqualche anno, accolse, nelle balze retro stanti il palaz-zo Pubblico, i flussi degli inurbati, a sua volta saturo

nel giro di pochi anni". Una documentazione moltoparticolare, come la Tavola delle possessioni, ci dà la ra-ra opportunità di collocare con esattezza all'internodel settennio 1324-1331- e perciò poco dopo la pro-babile morte di Duccio - il culmine della curva de-mografica e della costruzione del borgo. Conferma ilcronista proprio per quegli anni un'attività edilizianella costruzione di nuove porte nella cinta muraria asud "per cresciare la città, la quale era piccola a la gien-te che Siena faceva, e ancho perché fusse la città piùforte e più magnia?".Il disegno del circuito delle mura urbane ci aiuta a vi-sualizzare meglio questa curva e accompagna i nostricalcoli: negli anni venti del XIII secolo la città avevaterminato il poderoso sforzo di costruzione della ter-za cerchia delle sue mura, segno di una fase espansivadella popolazione; alla metà del secolo aveva messomano a un loro nuovo ampliamento; l'ultima cinta fuprogrammata nel 1323-1326 per difendere completa-mente gli ultimi borghi già nati a ventaglio verso sude includere ampi spazi edificabili per una futuraespansione, ma fu poi messa in atto lentamente, perstralci, fino al Quattrocento. Quel borgo, nato tra il1324 e il 1331, si sarebbe rivelato dunque l'ultimo, eanche gli spazi rimasti vuoti in vista di una nuovaespansione sarebbero rimasti tali. Da allora il disegnodella città si è mantenuto, nella sostanza, abbastanzaintatto, se si esclude la prima "rottura" della cinta mu-raria, avvenuta negli anni venti del XX secolo, che hadeterminato la creazione dei giardini della Lizza e lanascita del quartiere di San Prospero.Duccio, dunque, vide il vertice della parabola demogra-fica di Siena. Possiamo aggiungere che vide anche quel-lo dello sviluppo della sua economia, almeno di quellache si dispiegava sui mercati internazionali con intensi-tà tale che proprio in questa prima, fortunata, età più omeno cronologicamente coincidente con il massimodemografico, viene vista la chiave segreta della forza edella vitalità senesi, "che giunsero fino alle gloriose an-corché sfortunate pagine di libertà scritte a metà Cin-quecento e oltre", per usare le parole di Franco Cardini",È noto che la potenza delle città toscane in Europa fucostituita soprattutto sul commercio a distanza e sul-le attività, a esso connesse, di credito e di cambio del-le monete. Se, all'inizio del XIII secolo, gli operatoritoscani erano secondi ai "lomb ardi" - come oltralpevenivano spesso chiamati tutti insieme i mercanti e ibanchieri di Milano, Piacenza, Cremona, Pavia, Asti,Chieri -, nel giro di appena cinquant'anni si era fattoschiacciante, tra gli italiani, il predominio dei toscani,che avevano preso la testa dello sviluppo commercia-le: emergendo i fiorentini come mercanti imprendito-ri, dominando i senesi per il credito e la banca.I primi segni della precoce espansione delle compa-gnie bancarie senesi si colgono già alla fine del XII se-colo, ma esse sono in piena esplosione nella primametà del XIII, e mostrano i loro tratti più tipici e i li-velli più alti nella sua seconda metà. Perno dei loro af-fari fu l'area della Champagne" che costituiva il cen-

tro degli scambi commerciali e finanziari di tutta l'Eu-ropa: i senesi a queste fiere erano impegnati, senzaspecializzazioni di sorta, nell'acquisto di lane, tessuti,spezie, pellami, nella vendita regolare e continua dellevarie mercanzie di origine italiana - cera, fustagni, al-lume, seta - ma soprattutto in operazioni di credito,deposito, versamenti di saldi, contratti di cambio, spe-culazioni valutarie di ogni tipo. Non meno importan-ti erano stati i rapporti d'affari che essi avevano svi-luppato nelle Fiandre, in Inghilterra, in Germania(Colonia, Magonza), in Lorena, nella Francia meri-dionale (Marsiglia, Nimes, Montpellier) e occidentale(Bordeaux). Più importanti ancora gli affari con la cu-ria pontificia", basti ricordare i rapporti con la santasede stretti dalle famiglie dei Buonsignori (la Gran Ta-vola da essi fondata nel 1209 fu forse, tra 1255 e 1273,una delle più potenti compagnie bancarie europee"),degli Angiolieri o dei Salimbeni che ottennero anchel'appalto delle gabelle dell'Impero e prestarono consi-stenti somme di denaro al re d'Inghilterra.Questa impronta economica modellava anche lo spa-zio urbano in forme nuove. Fino ad allora le tipologieedilizie di maggiore spicco, anche perché allineatelungo i crinali delle colline, erano state quelle realizza-te dalla nobiltà rurale inurbata e dall'antica oligarchiaconsolare. Le torri e le case-torri in pietra, le stretteporte d'accesso e le finestre di dimensioni minime,strette e allungate come feritoie, ostentavano un vigo-re quasi guerresco, una vocazione difensiva. Comefortezze, massicce, generalmente a pianta quadrata, icastellari, dimore di Salvani, Ugurgeri, Malavolti, Ros-si, racchiudevano in uno spazio fortificato e intorno auna corte le abitazioni della famiglia, gli edifici dei ser-vi, degli armati". Vicino a essi nel XIII secolo avevanocominciato a essere costruiti i primi palazzi, che ac-quistavano in ampiezza, comfort e ricercatezza quelloche perdevano in altezza. Ampi portali avevano mes-so in comunicazione l'esterno e l'interno; a piano ter-ra le botteghe, i magazzini e gli spazi di riunione nesottolineavano il legame con il mondo degli affari.Così il palazzo dei Salimbeni, così quello dei Tolomei,ambedue tutt'oggi sedi di banche, il Monte dei Paschiil primo e la Banca Toscana il secondo, come se il due-centesco "trafficar di denaro" vi avesse impresso unsuo segno indelebile.Ma dal punto di vista economico l'espansione senese,per quanto grandiosa e precoce fosse stata, non pre-sentò caratteri di continuità. Essa durò poco più di unsecolo, almeno in quella forma. Nell'età di Duccio an-che la curva in salita disegnata dallo sviluppo stava,infatti, raggiungendo il culmine, e Siena raccoglieva ifrutti della stagione in cui era divenuta centro impor-tante per il commercio del denaro: ma ci è ben chiaro- guardandola con il privilegio della distanza - ancheil segnale della sua particolare svolta, il profilarsi diuna serie di cambiamenti che sarebbe stata ben più vi-sibile dalla metà del XIV secolo. Si tratta di un mo-mento di trasformazione sostanziale nel sistema eco-nomico senese, sul cui significato e sugli esiti nel bre-

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ve e nel lungo periodo la ricerca storica non ha trova-to ancora, a mio avviso, tutte le sue risposte.È certo che i senesi, nel volgere di qualche decennio, siritirarono da un giro d'affari di vasto raggio. Dalla fi-ne del XIII secolo la decadenza delle fiere della Cham-pagne - prima come nodo dei traffici monetari chetanto coinvolgevano proprio i senesi, poi anche comeluogo dello scambio delle merci-, la trasformazionedel mercato finanziario, sempre più indotto a privile-giare l'oro rispetto all' argen to, l'incremento della pro-duzione laniera delle grandi città italiane, risultaronoostacoli insormontabili.Siena, infatti, non aveva avuto l'acqua di un fiume acreare condizioni minime per lo sviluppo della mani-fattura che fece grande Firenze nella produzione di tes-suti di lana di lusso e che fu vivificata dal commercionel quale i suoi operatori erano maestri e dalla sua po-polazione particolarmente consistente. Non aveva vici-no nemmeno il mare". Aveva avuto, questo sì, una stra-da -la francigena - che le aveva reso prossime Roma ela curia pontificia più, e prima ancora, che i mercati nelcuore d'Europa ai quali pure portava diritta, e aveval'argento delle colline metallifere; su denaro e collega-menti aveva dunque fatto forza, costruendo su di essi,finché era stato possibile, la sua clamorosa fortuna,continuando però a mancare di una struttura produt-tiva in grado sia di reggere il confronto con l'agguerri-ta concorrenza fiorentina sul piano manifatturiero siadi fornirle una spina dorsale continuativa alla quale ag-ganciare l'economia finanziaria, struttura che avrebbepotuto permetterle almeno di ammortizzarne, se nondi superarne, le inevitabili fasi di debolezza o di crisi.Firenze, intanto, consacrata come una potenza econo-mica internazionale, sintesi della rinascita italiana,perché aveva saputo integrare perfettamente i tre set-tori fondamentali, si proponeva già anche come lea-der indiscussa dell'elaborazione culturale: GiovanniCherubini ricorda che l'eccellenza fiorentina in que-sto campo non è rappresentata soltanto da una preva-lenza numerica di uomini di cultura rispetto alle altrecittà della regione, ma dalla congiunta presenza, al-l'interno delle sue mura, di tre giganti innovatori qua-li Dante, Arnolfo di Cambio e Giotto, un evento mairiscontrato altrove per una città del Medioevo, che hasempre sorpreso e continua a sorprendere".Fu forse per questo concorso di cause che, quando lamoneta d'oro soppiantò quella d'argento nei grandiscambi, quando le compagnie private di banchieri se-nesi incontrarono le maggiori difficoltà nel mercatointernazionale ed emersero chiari i limiti della sua de-bolezza produttiva, Siena cominciò, in varie forme, a"investire" nello Stato.Fu così che, proprio dagli anni di Duccio, il territoriosenese si dilatò e organizzò fino a comprendere un ter-zo della regione, in cui le cosiddette terre censuali (o di-stretto), con la Maremma, le prime pendici dell'Amia-ta, il porto di Talamone, si aggiungevano al "contadostorico" direttamente sottoposto alla città, che rimasein verità sempre piuttosto piccolo". E fu nel prestito al

Comune di Siena e ai comuni del territorio che venneimpegnata una parte della ricchezza che aveva smessodi trovare impiego nel grande mercato internazionaledel denaro", Anche il passaggio da un'attività di bancacondotta sullo scacchiere internazionale a una al servi-zio dello Stato, se così si può dire, è un dato acquisitodalla storiografia che consente di sfatare l'idea di uncrollo e di un abbandono repentino delle attività credi-tizie dei senesi, documentando, al contrario, come latradizione finanziaria di questi operatori non venissemai meno nemmeno durante il Trecento".Sappiamo, infatti, che la nuova strategia delle societàsi orientò a soddisfare la domanda interna di creditoal consumo e, soprattutto, quella che proveniva daldisavanzo dei bilanci comunali", il cui crescente fab-bisogno determinava una ancor più sicura domandacreditizia. Molti uomini d'affari si videro costretti a ri-durre le loro ambizioni: alcuni, nel quadro di genera-le insicurezza determinato dal fallimento della com-pagnia dei Buonsignori -la Gran Tavola insidiata dal-l'ingresso dei fiorentini, forti del valido appoggio delfiorino d'oro, nell' orbita della curia pontificia -, irre-titi in spirali di debiti e pendenze da cui non si sareb-bero più liberati, scivolarono in procedure fallimenta-ri lunghissime; altri, come alcuni Tolomei, presero lasingolare decisione di dare vita a una nuova società ilcui raggio d'azione avrebbe dovuto essere il mercatointernazionale ma che ebbe vita solo per qualche an-n029; altri ancora, come i Piccolo mini, forse più pron-ti di molti colleghi a capire la chiusura delle prospet-tive internazionali e prendere atto della fine di un ci-clo, anticiparono il fallimento cessando l'attività e ri-convertendo immediatamente capitali e risorse in unadimensione locale dove il primo re ferente fu, appun-to, la finanza pubblica".Per la parte restante, tutt'altro che insignificante, i ca-pitali privati, ritirati prima dal settore del credito in-ternazionale e più tardi anche dalle imprese minera-rie, vennero orientati principalmente verso la renditafondiaria. I senesi compravano terra, che era abbon-dante e potenzialmente produttiva, accentuando latendenza a vivere della rendita delle terre coltivate diun contado che si faceva molto più vasto, quando allaminore dinamicità e voglia di rischiare che con l'a-vanzare del Trecento contraddistinse i suoi operatori,avrebbe fatto da spalla l'interesse, questo invece cre-sciuto, per un'agricoltura molto ben protetta e soste-nuta dal pubblico, oltre che per investimenti redditizinel settore speculativo costituito dall'allevamento delbestiame". Tutto questo ha fatto parlare - dopotuttogiustamente, fatto salvo il problema come sempre nonsecondario della misura, sulla quale occorrerà ragio-nare ancora - di una "ruralizzazione" dell' economiasenese alla fine del Medioevo.

Due "imprese" di carattere pubblico: l'OspedaleSanta Maria della Scala e l'Opera del DuomoGià si è detto che la storia di Siena appare segnata daun forte senso del pubblico: si può aggiungere che an-

che lo Studio, cioè quella che oggi chiamiamo l'Uni-versità, si era configurato, e fin dal Duecento, come unufficio comunale e che nel Quattrocento per iniziati-va pubblica sarebbe nato anche il Monte Pio, in con-trotendenza con quanto avveniva altrove in Italia, do-ve tutti i Monti di Pietà scaturivano dall'iniziativafrancescana. Ma negli anni che qui si trattano crebbe-ro in Siena anche alcune importanti iniziative con unchiaro carattere imprenditoriale, sulle quali vale la pe-na di soffermarsi prima di tratteggiare un profilo del-l'azione generale del governo dei Nove. Si trattava diun'imprenditoria di carattere pubblico, i cui caratterisegnarono un segmento importante della storia dellacittà. Tra esse voglio ricordare almeno l'Ospedale diSanta Maria della Scala, una delle maggiori istituzionidel genere a livello europeo, e l'Opera del Duomo.Nel maggio del 1309 il consiglio generale della città,che sosteneva l'istituzione ospedaliera e già ne nomi-nava i revisori dei conti, aveva approvato una contro-versa delibera con il fine di collocare le proprie inse-gne ai due lati della porta d'ingresso del complesso, amo' di tabella di possesso, per affermare il principioche "lo detto spedale Sancte Marie sia del Comune diSiena?": atto nella sostanza simbolico che aveva rap-presentato anche, forse soprattutto, un passo rilevan-te in direzione di un impegno diretto dei poteri mu-nicipali sul versante dell'assistenza ai poveri, ai trova-telli, ai pellegrini, ai malati, a tutti i bisognosi, in sin-tonia con un processo testimoniato in tutta Europatra XIII e XV secolo, divenendo l'indizio formale e ilsigillo "di quel nuovo patronato comunale sui grandienti assistenziali cittadini cui i secoli successivi avreb-bero dato compiuta espressione?".La consapevolezza della natura pubblica dei servizi for-niti dai maggiori ospedali cittadini aveva già condottoa un riconoscimento del carattere comunale degli entiche li erogavano, tra i quali il più importante era ormail'Ospedale di Santa Maria della Scala, che più avantiavrebbe ricoperto, almeno per un certo periodo dal1348 ma probabilmente anche prima, il ruolo ineditodi una banca "pubblica", accettando in custodia i depo-siti in denaro dei pellegrini di passaggio e accogliendoanche il risparmio dei cittadini sotto forma di depositisui quali pagava interessi, del tutto incurante delle pru-denze suggerite dalla chiesa in tema di usure: gli inte-ressi erogati in questo modo ai cittadini consentivanoloro di sostenere meglio anche il prelievo fiscale e il si-stema dei "prestiti forzosi" esatti dallo Stato, mentre ildenaro depositato veniva messo a frutto dall' ospedaleper finanziare le attività istituzionali",Attraverso la documentazione del cospicuo archiviodell' ente, dall' osservazione dell' edificio, dagli scavi ar-cheologici, siamo informati del fatto che la sua orga-nizzazione interna si basava su più "centri" di attività,che la sua attività assistenziale si rivolgeva a più sog-getti - tra i quali i trovatelli, i malati, i vi andanti, le ve-dove -, che il suo rapporto con il potere e la politicacittadina si basava su una rete di relazioni a più livellie che le sue proprietà immobiliari si facevano sempre

più ampie, dando vita a poderi e poi a fattorie parti-colarmente ricche e produttive. È impossibile in que-sta sede soffermarsi sul complesso sviluppo duecente-sco e trecentesco della fabbrica ospedaliera, ma puòessere utile segnalare almeno la costruzione del palaz-zo dove abitava il rettore, e alcune delle acquisizionipiù recenti della ricerca storica e archeologica. Dai la-vori edilizi di questi ultimi anni e dalle stonacaturenecessarie al restauro del complesso dopo l'esaurirsidella funzione sanitaria contemporanea", è, infatti,emersa una duecentesca "strada interna", in origineuna via pubblica a cielo aperto, situata nelle vicinanzedella cinta di mura civiche, che era venuta a trovarsinella naturale direttrice d'espansione verso valle dellestrutture ospedaliere. Esse, proprio dagli anni dei qua-li qui trattiamo, avevano finito per scavalcarla, facen-done un percorso privato funzionale alle esigenze in-terne e mantenendo la come spina dorsale del com-plesso edilizio e principale asse distributore delle di-verse funzioni da un livello all'altro: nascosta dietrouna facciata lunga un centinaio di metri, la serie dicorpi addossati gli uni agli altri e gli uni sugli altri pre-cipitava infatti sotto il livello stradale per tre altissimipiani appoggiandosi alla collina e poi sprofonda nellesue viscere con una serie di passaggi scavati nel tufo.Le integrazioni che la struttura originaria aveva ri-chiesto per funzionare ne facevano "più un episodiourbanistico che architettonico", per usare le parole diItalo Moretti": già evidente a metà del XV secolo se,quando Francesco Sforza si rivolse ai suoi ambascia-tori di Siena e di Firenze per avere notizie sugli ospe-dali di quelle città "a similitudine de' quali" voleva l'o-spedale maggiore di Milano, Nicodemo Tranchedini,da Siena, gli rispose mostrandosi perplesso di questarichiesta perché l'architettura dell'edificio "situato inmonte" non era riproducibile "in paese piano" e avevauna pianta "che non dessegneria Giotto se vivesse". Ilripido pendio naturale sul quale era stato costruito ele differenti attività d'assistenza che si erano svolte alsuo interno, insomma, avevano determinato un dise-gno che, nella sua unicità, non era esportabile. Ancheoggi la fabbrica si presenta ai nostri occhi con la facciadell'estrema complessità che nel 1452 aveva sgomen-tato Tranchedini facendogli invocare l'aiuto del talen-to di Giotto.Sulla facciata dell' ospedale, nel 1335 Pietro e Ambro-gio Lorenzetti e Simone Martini affrescavano le quat-tro Storie della Vergine, poi andate perdute: un cicloesemplare, come lo ha definito Luciano Bellosi rife-rendosi "alla immensa fortuna di cui questi affreschigodettero come esempi e modelli per i pittori succes-sivi ogni volta che si trovarono a trattare soggetti co-me quelli raffigurati sulla facciata dello Spedale; cosìquesta decorazione, più di ogni altra impresa artisticacittadina, diventò per molte generazioni il simbolodella grandezza solo imitabile e non più raggiungibiledella pittura senese della prima metà del Trecento?".Anche l'Opera di Santa Maria, nata per accompagnarela manutenzione della fabbrica del duomo gestendo il

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continuo cantiere delle sue trasformazioni, divenne nel

corso del XIII secolo un'istituzione civica, coinvolta

nelle grandi opere dell' edilizia cittadina, controllata nel

personale e finanziata dal Comune. La fisionomia

complessiva dell'Opera, abbastanza sfumata nei primi

decenni del Duecento, aveva cominciato a definirsi, an-

cora una volta, alla metà degli anni cinquanta, rag-

giungendo in un breve periodo un più compiuto asset-

to istituzionale. Uno dei suoi operai più intraprenden-

ti, il converso dell' abbazia cistercense di San Galgano,

frate Melano, ricoprì l'incarico di operaio dalla vigilia

di Montaperti al 1275, mentre altri cistercensi - consi-

derati e utilizzati ovunque come esperti sia sul piano

tecnico che su quello amministrativo - ricoprivano in-

carichi non meno rilevanti come camerlenghi della

magistratura comunale di Biccherna. Si trattava di un

personaggio di rilievo nella vita cittadina, legato stret-

tamente ad ambienti ghibellini, e pare avesse un ruolo

anche nella pacificazione che seguì la transizione dal

ghibellinismo al guelfismo.

Gli studi di Andrea Giorgi e Stefano Moscadelli han-

no ormai chiarito che alcune rubriche della celebre

compilazione statutaria della città del 1262, che assor-

bì la legislazione precedente, testimoniano di una fase

in cui il Comune si assicurò una diretta responsabili-

tà di controllo su ogni iniziativa in merito alla costru-

zione della fabbrica, con un forte intervento pubblico

nella scelta dell' operaio", Si tratta significativamente

degli stessi anni in cui fu concepito il completamento

della porzione orientale della cattedrale, iniziata in-

torno al 1260. Pochi anni dopo, intorno al 1296-1297,

il nuovo regime dei Nove pose rimedio a una situa-

zione che appariva disastrosa sia nell'amministrazio-

ne dell'Opera che nella gestione dello stesso cantiere

della cattedrale e l'operaio venne nominato diretta-

mente dal governo e dai consoli della mercanzia. Nel

1274 lo statuto del comune guelfo garantì e regolò la

principale forma d'autonomo finanziamento dell'O-

pera, costituita dall'annuale offerta di cera.

Gli anni del governo dei Nove, splendori e memorieSi sarà già compreso che gli anni del governo dei No-

ve, nei quali visse e operò Duccio, sono considerati per

tradizione storiografica l'età d'oro senese. Per la mag-

gior parte di quei settant'anni di governo, la città fu

amministrata in modo stabile e, tutto sommato, in pa-

ce. "La città - scrive il cronista - stava in grande pace

e tranquillità, e ognuno attendeva ai suoi guadagni e

così il contado, e tutti s'amavano come fratelli'?", Ècerto che si trattò di una stagione di sogni di grandez-

za, anche se diversi da quelli attuati nella precedente,

//---- - che, come scrive Franco Cardini, "parvero di volta in

~ volta realizzarsi nell'ardita architettura della torre del

Mangia, nella conchiglia mattonata del campus fori,

nella fortunata sequenza di sottomissioni dei castelli

del contado'?", Alcune grandi opere pubbliche furono,

infatti, concepite nel giro di pochi anni, tra la fine del

Duecento e il primo quarto circa del secolo successi-

vo, anche se non tutte furono portate a termine in

quel periodo, e anzi alcune di esse furono in seguito

modificate nei programmi realizzativi o addirittura

abbandonate.

È senza dubbio indicativo che proprio nei primi anni

di attività del regime dei Nove si avviassero i lavori per

la costruzione del nuovo grande Palazzo Pubblico af-

facciato sulla conca del Campo. Illavoro venne porta-to avanti dal 1298 a ritmi serrati e nel 1310 il governo

si installò nel nuovo edificio. Da allora il palazzo, nel

quale vennero codificati tutti gli stilemi dell'architet-

tura medievale senese", venne anche proposto come

consapevole modello edilizio, dal momento che si sta-

bilì per statuto che da allora tutte le finestre degli edi-

fici affacciati sulla piazza "si debiano fare a colonnel-

li?". Nel 1325, in occasione di una nuova fase di lavo-

ri, fu posta la pietra angolare della torre del Mangia, "e

l'operaio del duomo misse in fondo di detta tore al-

quante monete per memoria di detta tore, e fuvvi

messo in ogni canto di detta tore nel fondo una pietra

con Iettare greche, ebraiche e latine, perché non fusse

percossa da tuono né da tempesta?".

Ildesiderio, e forse anche la necessità, di organizzare il

consenso intorno a un'esperienza di governo intera-

mente popolare e guelfo nato in modi e anni tormen-

tati da un governo ghibellino e "misto" tra popolari e

magnati, produsse, insomma, oltre a continui sforzi di

mediazione politica, programmi grandiosi d'abbelli-

mento del tessuto urbano, come la sistemazione della

piazza principale del Campo o il nuovo acquedotto o

il Palazzo Pubblico o la costruzione del nuovo batti-

stero o gli ampliamenti del duomo (compresi gli ulti-

mi, progettati uno nel 1316 e l'altro, più imponente,

suggerito da Lorenzo Maitani nel 1322, attuato dal

1339 e poi abbandonato dopo la peste del 134844), e le

commesse pubbliche di autentici splendori artistici:

basti citare per tutti, nel palazzo sul Campo, almeno la

Maestà di Simone Martini nella sala delle Balestre

(1316) e gli affreschi del Buono e cattivo governo di

Ambrogio Lorenzetti nella sala di riunione del gover-

no stesso (1338), tra quelli in cui è lampante l'intento

di tramandare un'immagine idealizzata di sé. Gli sfor-

zi dei committenti e degli artisti sembrano indirizzar-

si verso imprese a carattere pubblico, e certo proprio

in questa sede non è necessario ricordare ulterior-

mente che fu il Comune a commissionare a Duccio,

nel 1287, la grande vetrata circolare (la "finestra ro-

tonda magna") che sta in alto, nella parete terminale

del coro, e nel 1308 la stupenda Maestà che nel 1311

venne collocata sull'altare maggiore del duomo. "Nes-

sun tipo di affetto o di passione sembra soverchiare,

nei senesi, quelli per la loro città?" e questo ha fatto

parlare di un "rnecenatismo pubblico" proprio di Sie-

na, contrapposto al più usuale "rnecenatismo privato"

fiorentino.

Duccio ebbe certo negli occhi, fin dall'infanzia e ancor

più nella sua giovinezza, quest'esplosione di grandio-

sità nei cantieri degli edifici pubblici e nell'attività edi-

lizia che plasmava il disegno urbano, e che può aver

rappresentato per la sua sensibilità artistica qualcosa

di più di uno spazio in cui trovare occasioni di lavoro.Le enormi somme di denaro accumulate dai mercanti-banchieri duecenteschi erano state, dunque, reinvestiteanche sulla città, permettendo la costruzione non sol-tanto di palazzi privati, ma soprattutto di quei grandiedifici pubblici laici e religiosi, di quelle fonti, di quellepiazze che hanno segnato per sempre il volto urbano diSiena e ne hanno fatto un patrimonio prezioso dell'u-manità. Ma ci fu anche altro, in quegli anni di trasfor-mazione. Come accadeva a parte del loro denaro, an-che l'esperienza di gestione delle imprese era stata rici-data nel pubblico, dove i mercanti "de la mezza gente"dettero vita a sperimentazioni nuove e ardite di ammi-nistrazione, come la magistratura dei Viarii che si det-te nel 1290 uno statuto di ben 260 provvisioni, conse-gnandoci la chiave per comprendere il funzionamentodi un intero e importante settore amministrativo"; o,ancora, come lo statuto cittadino, volgarizzato in unostupendo italiano nel 1309-1310, e scritto in "letteragrossa", cioè in caratteri calligrafici grandi e, come fanotare Mario Ascheri, anche con pochissimi segni ab-breviativi perché potesse essere letto anche dalle "pova-re persone et altre persone che non sanno grammati-ca?": o, infine, come la Tavola delle possessioni, preco-cissimo catasto nel quale nel 1316-1320 furono de-scritti i beni immobili esistenti in città e in 295 comu-ni del territorio", un'operazione gigantesca conside-rando l'epoca, scelta di razionalità, come ha scrittoGiovanni Cherubini", primo tentativo organico di uncomune italiano di descrivere e valutare tutti i beni al-l'interno di una città e del suo territorio, utilizzandodei mensuratores professionisti anziché poggiare sulleauto dichiarazioni dei singoli proprietari.Le prime crepe del lungo regime politico novesco sividero, tuttavia, già nei primi decenni del Trecento,quando il governo fu messo in pericolo più volte dacongiure di nobili e popolani, come nel 1318 e nel1328 quando si coagulò lo scontento di alcuni magna-ti, di gruppi di carnaio li (grossisti di bestiame scon-tenti della politica di rigore novesca sui pesi, sui prez-zi e sulla qualità) e di notai e giudici (per le parcelle te-nute basse). Ci furono in quegli anni anche dure care-stie, delle quali vi sono ampie testimonianze nelle cro-nache, e basti ricordare, per tutte, la drammatica som-mossa scoppiata in occasione della grande carestia del

l Come ha scritto Giovanni Cherubini (G. Cherubini, Le città italianedell'età di Dante, Pisa 1991, pp. 13-14), "larghi passi delle opere del poe-ta forniscono una conoscenza ineguagliabile di quell'età e di quel mon-do urbano".2 Gli edifici medievali più significativi si concentrano essenzialmente tragli ultimi decenni del XIII e la metà del XIV secolo: l.Moretti, ad vocemSiena, in Enciclopedia dell' arte medievale.3 G. Cherubini, Le città italiane ... , cit., p. 12.4 Per gli anni che ci riguardano rinvio al quadro di sintesi tracciato daG. Cherubini, La Toscana di fronte all'Italia e all'Europa al tempo di Ar-nolfo di Cambio, in c.d.s., e, soprattutto al recente, bel volume dove lostesso autore propone sette saggi sulle città di Firenze, Pisa, Lucca, Sie-

1329, quando - ricorda il cronista Agnolo di Tura - "iSignori e i cittadini ebero gran paura che Siena nonfusse messa a sacco dai povari?". Quando, nel 1338-1339, Ambrogio Lorenzetti riceverà la commessa perdipingere i suoi tre famosi affreschi nel palazzo Pub-blico, sui quali sono corsi fiumi d'inchiostro, il mes-saggio sarà tutto puntato sul buon governo, perché igovernanti avranno bisogno di proporsi come i pala-dini del benessere e della sicurezza, ma soprattuttodella concordia civica, un messaggio che il gruppo di-rigente rivolgeva prima di tutto a sé stesso.La Siena conosciuta da Duccio, dunque, fu quella de-mograficamente più consistente: quella dei tempi in cuicrescevano popolazione, chiese, palazzi e strade, quan-do la città disegnava il suo contado e la ricchezza piùgrande le proveniva ancora dagli affari dei suoi ban-chieri, quando l'orizzonte economico era ancora inter-nazionale, quando la memoria della grandezza che soloallora accennava a trascorrere poteva ancora essere or-gogliosamente lanciata verso i posteri nel magnifico te-sto della petizione che il 9 agosto 1298 un gruppo deisoci Buonsignori indirizzò al governo per invocareprovvedimenti pubblici in grado di salvare la compa-gnia: "ricordatevi sempre", dissero, "che tra le altre so-cietà di Toscana e Lombardia e di tutto il mondo la no-stra è stata la più onorevole e nota, quella alla quale èstata data maggior fiducia dai pontefici, dai cardinali,dai patriarchi, dagli arcivescovi, dai vescovi e dai prela-ti, dai re, dai baroni, dai conti, dai mercanti e da tutti gliuomini, di qualunque condizione siano stati ... "51.I seguaci di Duccio già avrebbero conosciuto il cam-biamento. Ma le trasformazioni, se allontanavano dal-lo scacchiere internazionale e avvicinavano alla terra,portavano anche verso la finanza pubblica, verso l'as-sistenza pubblica, le grandi opere pubbliche, la gran-de committenza artistica pubblica: tutti "luoghi" dovenon mancò neanche il coraggio di alcune ardite speri-mentazioni, tanto che resta in ogni caso arduo liqui-dare quella nuova stagione con parole nette come "in-voluzione" o "restringimento" o "decadenza" o "ripie-gamento".Tutt'oggi la banca pubblica, la campagna e l'arte, conil loro indotto di attività produttive, rappresentano laforza economica e i motivi centrali della tenuta deltessuto sociale della città di Siena e del suo territorio.

na, Arezzo, Prato e Pistoia, cioè le sette maggiori città toscane del tem-po, tutte sedi di un vescovo e dunque centro di un territorio diocesano,con l'aggiunta del castello di Prato, che formalmente non poteva dirsicittà in quanto non era sede di diocesi, ma assurgeva lentamente allaconsistenza demografica (più o meno allo stesso livello di Arezzo o Pi-stoia), ma soprattutto alle ambizioni e al ruolo di centro urbano: G.Cherubini, Città comunali di Toscana, Bologna 2003.5 Circa 300.000 sarebbero vissuti in quattro grandi città e nei nove cen-tri urbani medi e minori (G. Pinto, La Toscana nel tardo Medioevo. Am-biente, economia rurale, società, Firenze 1982, pp. 62, 78, e G. Cherubi-ni, Città comunali ... , cit., p. 191).6 Alla metà del XIII secolo la mezzadria era già presente in almeno sedi-

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ci dei comuni in cui è attualmente divisa la provincia di Siena, e più sal-damente in quelli di Asciano, Siena, Sovicille, Monteroni e Rapolano.Intensamente mezzadri li le Crete propriamente dette (Asciano, Monte-roni, Buonconvento e San Giovanni d'Asso); un secolo dopo era già unaforma di conduzione della terra diffusissima anche nei territori com-presi nei comuni attuali di Monteriggioni, Castelnuovo Berardenga,Montalcino, Pienza, Trequanda, Torrita e Sinalunga. Per il quadro del-la diffusione della mezzadria nella Toscana medievale, almeno: G. Che-rubini, La mezzadria toscana delle origini, in Contadini e proprietari nel-la Toscana moderna. Atti del Convegno di Studi in onore di Giorgio Gior-getti, I, Dal Medioevo all'età moderna, Firenze 1979, pp. 131-152, ora inG. Cherubini, Scritti toscani. L'urbanesimo medievale e la mezzadria, Fi-renze 1991, pp. 189-207; G. Pinto, L'agricoltura delle aree mezzadrili, inLe ltalie del tardo Medioevo, a cura di 5. Gensini, Pisa 1990, pp. 433-448;e il recente M. Ginatempo, La mezzadria delle origini. L'Italia centro-set-tentrionale nei secoliXllI-XV, in "Rivista di storia dell'agricoltura",XLI1,2002, pp. 49-110 (con una ricca bibliografia ragionata), cui si aggiungaquanto si desume dai tre volumi su Il contratto di mezzadria nella To-scana medievale: I, Contado di Siena, sec. XIII-1348, a cura di G. Pinto,P.Pirillo, Firenze 1987; Il, Contado di Firenze, sec. XIII, a cura di O. Muz-zi, M.D. Nenci, Firenze 1988; III, Contado di Siena, 1349-1518. Appen-dice: la normativa, 1256-1510, a cura di G. Piccinni, Firenze 1992.7 La prima era stata Lucca, capitale della marca di Toscana quattrocen-to anni prima dei fatti che ci riguardano e poi centro di produzione eu-ropeo, tra i maggiori, dell'industria della seta. La città aveva però uncontado esiguo, montuoso, che non le consentì di mantenere un pesopolitico a livello regionale; la seconda era stata Pisa che duecento anniprima aveva costruito la sua prosperità sul commercio nel Mediterra-neo ma che proprio alla metà del Duecento cedeva inesorabilmentequel primato a Genova, avviando una fase di declino demografico edeconomico, trasformandosi da porto mediterraneo in un porto tirreni-co, attivo sbocco solo delle città dell'interno, la terza, infine, era stata erimase Firenze. Inquadra Siena in questo contesto O. Redon, Lo spaziodi una città. Siena e la Toscana meridionale (secoli XIII-XIV), Roma1999, p. 63.8 G. Cherubini, La Toscana di fronte all'Italia e all'Europa ... , cit.9 Conosciamo il contenuto della bolla di Urbano IV per un'allusionefatta nella lettera pontificale spedita il26 gennaio 1262 da Viterbo conla quale il papa esclude il mercante Vivolo di Salvanello dalla sentenzadi scomunica, nella quale si legge che "Licet nuper in cives senenses excerta causa mandaverimus excommunicationis sententiam generaliterprornulgari, ac etiam inhiberi ne quis illis vel eorum alicui de debitis re-spondeat eorundern, quia tamen devotionis tue obsequium habemuscirca nostra et apostolice sedis negozia [... ] personam tuam huismodiincludi sententia nolurnus" O. Guiraud, Les registres d'Urbain IV (1261-1264), Paris 1990, I, n. 71). Nella lettera del 5 gennaio 1263 con la qua-le Urbano IV trasmette l'ordine a tutti i re, principi e secolari dei diffe-renti ordini religiosi d'Europa di soddisfare gli obblighi pecuniari cheessi abbiano assunto verso quelli che egli ormai definisce i suoi "dilectifilii" compaiono in una lista nominativa sessanta uomini riferibili aquattordici gruppi parentali senesi che, si dice, hanno risposto al suo in-vito di tornare "ad gremium ecclesie" (L. Dorez, J. Guiraud, Les registresd'Urbain IV, Paris 1899-1958, II, n. 175). Le promesse successive furo-no indirizzate a centosette uomini nei quali è stato individuato il primonucleo della nascente pars guelforum senese (ibidem, n. 274).IO Ho ripercorso queste vicende, dall' ottica molto particolare della pro-duzione letteraria, in G. Piccinni, Un intellettuale ghibellino nell'Italiadel Duecento: Ruggieri Apugliese, dottore e giullare in Siena. Note intor-no all'uso storico di alcuni testi poetici, in "Bullcttino dell'Istituto Stori-co Italiano per il Medio Evo", 105,2003, pp. 53-85.II La pur "assurda tradizione" del tradimento di Provenzano nella batta-glia di Colle è significativa "di una lunga memoria della discordia inter-na determinata in Siena dalla contrapposizione tra Guelfi e Ghibellini":P. Cammarosano, Il comune di Siena dalla solidarietà imperiale al guelfi-smo: celebrazione e propaganda, in Le forme della propaganda politica nelDue e nel Trecento, a cura di P. Cammarosano, Roma 1994, p. 461.12 A. Carniani, I Salimbeni. Quasi una signoria, Siena 1995, p. 39 e nota;ASS, Consiglio Generale IO, cc. 94-98v.13 In verità fu allora che per la prima volta un ceto sociale in partenzanon omogeneo si trovò nella necessità di presentarsi come se lo fosse,come spesso accade, sono proprio le leggi discriminanti che consento-no l'identificazione sociale del ceto discriminato. Non a caso da allora imembri di quelle famiglie senesi si autoidentificarono e vennero daglialtri identificati come i "grandi", i "casati" (quelli che altrove vengonodetti magnati) e "si inventò" così una unità un gruppo eterogeneo dimilites, di certi mercanti, di certi membri di un'aristocrazia consolarecristallizzatasi tra XII e XIII secolo, di certi signori di castelli di conta-do che si erano inurbati tempo addietro costruendo nella città i loro in-sediamenti fortificati. Si veda R. Mucciarelli, Potere economico e poterepolitico a Siena tra XIII e XIV secolo: percorsi di affermazione familiare,in Poteri economici e poteri politici. Secoli XIII-XVIII, atti della XXX set-

timana di studi dell'Istituto Internazionale di Storia economica Fran-cesco Datini (Prato, 27 aprile - l° maggio 1998), a cura di 5. Cavacioc-chi, Firenze 1999, pp. 569-590, e R. Mucciarelli, I lignaggi e le loro stra-tegie, in Storia della civiltà toscana, I, Comuni e Signorie (1200-1434), acura di F. Cardini, Firenze 2000, pp. 137-150.l' Per il regime di governo novesco indispensabile il riferimento a W.M.Bowsky, Le finanze del Comune di Siena 1287-1355, Firenze 1976.W.M.Bowsky, Un comune italiano nel Medioevo. Siena sotto il regime dei No-ve, 1287-1355, Bologna 1986, e almeno G. Cherubini,! mercanti e ilpo-tere, in Banchieri e mercanti di Siena, prefazione di C.M. Cipolla, Roma1987, pp. 163-222, recentemente riedito, con aggiornamenti e con il ti-tolo I mercanti e il potere a Siena in G. Cherubini, Città comunali ... , cit.,pp. 297-348. Coloro che detenevano le cariche politiche più importan-ti si stabilì che "sieno et essere debiano de' mercatanti della città di Sie-na o vero de la meza gente", secondo 11 Costituto del Comune di Sienavolgarizzato nel MCCCIX-MCCCX, a cura di A. Lisini, 2 voll., Siena1903, II, p. 492.15 I calcoli di Beloch in base alla superficie contenuta dentro le mura diSiena davano 47.500 abitanti, quanto possono desumersi dal cronistaAgnolo di Tura che per il 1328 conta 11.710 capifamiglia (Agnolo di Tu-ra Del Grasso, Cronaca senese, in Cronache senesi, a cura di A. Lisini, F.lacometti [Rerum Italicarum scriptores, seconda ediz., XV, parte VI],Bologna 1931-1939, pp. 487-488); un po' più alti quelli di Bowsky de-sunti dalla Tavola delle Possessioni del 1316-1320, che davano 52.000. Lasuperficie all'interno dell'ultima cerchia di mura copre circa 165 ettari,la circonferenza invece è di 6.666 metri. Lando Bortolotti, che riportaquesti dati, e al quale rinvio, commenta che "la sproporzione tra peri-metro e superficie denuncia di per sé l'irregolarità della forma urbana,e la frequenza di rientranze nella cerchia": L. Bortolotti, Siena, Bari1983, p. 30. Inserisce il dato senese in mezzo ai dati dell'estensione del-le città toscane G. Cherubini, Città comunali ... , cit., p. 140: Firenze 144ettari, Pisa 185, Lucca 140, Arezzo 107.16 Sull'espansione trecentesca di Siena: D. Balestracci, G. Piccinni, Sienanel Trecento. Assetto urbano e strutture edilizie, Firenze 1977, pp. 30-37.17 Cronaca senese dei fatti riguardanti la città e il suo territorio di autoreanonimo del secolo XIV, in Cronache senesi, cit., p. 134.18 F. Cardini, L'argento e isogni: cultura, immaginario, orizzonti mentali,in Banchieri e mercanti ... , cit., p. 298.iv In particolare nelle fiere della Champagne le compagnie senesi "gio-carono un ruolo di assolute protagoniste" e pare che il più antico con-solato di cui si abbia ricordo alla Champagne sia proprio quello senesedel 1246: M. 'Iangheroni, Siena e il commercio internazionale nel Due-cento e nel Trecento, in Banchieri e mercanti ... , cit., p. 28.20 Impossibile qui dar conto della bibliografia sul tema: basti per tutti ilrinvio al classico E. Sestan, Siena avanti Montaperti, in "Bullettino se-nese di storia patria", LVIII, 1961, pp. 28-74, ora in E. Sestan, Italia me-dievale, Napoli 1966, pp. 151-192, e ai già citati Banchieri e mercanti ... ,e L. Bortolotti, Siena.21 M. Cassandre, La banca senese nei secoli XIII e XIV, in Banchieri e mer-canti ... , cit., p. 110,A. Sapori, Studi di storia economica. Secoli XJJJ-XIV-XV, voI. I, pp. 630, 786, e, ovviamente, M. Chiaudano, I Rothschild delDuecento. La Gran Tavola di Orlando Bonsignori, in "Bullettino senesedi storia patria", XLII, 1935, pp. 103-142.22 Un quadro generale e bibliografia in F. Gabbrielli, Stilemi senesi e lin-guaggi architettonici nella Toscana del Due- Trecento, in L'architettura civi-le in Toscana. Il Medioevo, a cura di A. Restucci, Pisa 1995, pp. 309-310.23 Nel saggio già citato, che rimane ancora uno dei più lucidi contributialla storia di Siena, Ernesto Sesta n definiva questa città come "figlia del-la strada" (E. Sestan, Siena avanti Montaperti, cit.). U"ll'espressione"cru-da'; diceva egli stesso, nella spiegazione della quale stava però il segretodella fortuna medievale di Siena, "prodotto più dell'uomo che della na-tura"."G. Cherubini, La Toscana di fronte all'Italia e all'Europa ... , cit.25 M. Ascheri, Lo stato di Siena: un'introduzione alla sua organizzazionepolitico-amministrativa, in Archivio storico e giuridico sardo di Sassari.Studi e memorie. In memoria di Ginevra Zanetti, Sassari 1994, pp. 73-96;O. Redon, Lo spazio ... , cit., in particolare l'utilissima cartografia; B.50r-dini, Il porto della 'gente vana~ Lo scalo di Talamone tra il secolo XIII e ilsecolo XV, Siena 200 l, p. 285.26 Si veda M. Cassandro, La banca senese ... , cit., pp. 154-156. La ridefi-nizione a scala locale è ora arricchita dagli studi di A. Carniani, I Salim-beni ... , cit.; R. Mucciarelli, I Tolomei banchieri di Siena. La parabola diun casato nel XIII e XIV secolo, Siena 1995; R. Mucciarelli, Un caso diemigrazione mercantile: i Tolomei di Siena, in Demografia e Società nel-l'Italia Medievale (secoli IX-XIV), atti del convegno internazionale (Cu-neo-Carrù, 28-30 aprile 1994), a cura di R. Cornba, I. Naso, Cuneo1994, pp. 475-492, e R. Mucciarelli, I Piccolomini di Siena. Nobili egen-tiluomini in una città comunale alla fine del Medioevo, tesi di dottoratodi ricerca in Storia Urbana e Rurale, IX ciclo (1993-1996), sede ammi-nistrativa Perugia, coordinato dai professori A. Bartoli Langeli e V.1.Comparato.

27 Si assiste a un trasferimento delle competenze e dei denari dal giro in-ternazionale a quello della finanza cittadina, sia privata che, soprattut-to, pubblica, dove il carattere a breve termine dei prestiti, gli alti indicidi retribuzione degli interessi che oscillavano da un minimo del 10% aun massimo del 30% garantirono margini di profitto forse limitatissi-mi rispetto a quelli di alcuni decenni prima, ma di livello "non trascu-rabile" in anni che furono critici: M. Cassandro, La banca senese... , cit.,p.156.28 R. Mucciarelli, Potere economico e potere politico a Siena ... , cit., conesempi di prestiti al Comune di Massa Marittima da parte di esponen-ti di famiglie magnatizie senesi.29 Tre anni più tardi la compagnia manifestò i primi segnali preoccu-panti di crisi che la portarono di lì a poco al fallimento nel 1310: R.Mucciarelli, I Tolomei ... , cit., pp. 285-297.30 R. Mucciarelli, I Piccolomini di Siena ... , citoJ> Ho trattato questi temi in varie occasioni. Per tutte Il contratto di mez-zadria, cit.32 La vicenda della segna tura degli edifici con le armi del Comune di Sie-na è ora approfondita e commentata da M. Pellegrini, L'ospedale e il Co-mune, in Arte e assistenza a Siena. Le copertine dipinte dell'Ospedale diSanta Maria della Scala, a cura di G. Piccinni, C. Zarrilli, Pisa 2003, pp.29-45, contestualizzabile in M. Pellegrini, Istituzioni ecclesiastiche, vitareligiosa e società cittadina nella prima età comunale, in Chiesa e vita re-ligiosa a Siena dalle origini al grande giubileo, atti del convegno di studi(Siena, 25-27 ottobre 2000), Siena 2002, pp. 101-134.33 M. Pellegrini, L'ospedale e il Comune ... , cit., p. 35." Fornisco un'anteprima in G. Piccinni, L'ospedale e il mondo del dena-ro: le copertine dipinte come specchio dell'impresa, in Arte e assistenza aSiena, cit., pp. 17-27.35 La bibliografia sull'ospedale senese di Santa Maria della Scala curatada Beatrice Sordini è consultabile on line nella pagina web del diparti-mento di Storia dell'Università di Siena (www.storia.unisi.it) nella qua-le sono reperibili anche altri materiali documentari relativi all' ospedale.36 I.Moretti, ad vocem Siena, cit.37 L. Bellosi, Il terzo polo artistico di Siena, in Spedale di Santa Maria del-la Scala, atti del convegno internazionale di studi (novembre 1986), Sie-na 1988, pp. 35-36, che ricorda come ancora nel 1451, quando si com-missionò a Sano di Pietro la tavola per la cappella del palazzo Pubblico,si prescrivesse che le Storie della Vergine della predella fossero "come so-no quelle della faccia dello Spedale".38 La bibliografia più aggiornata sull'Opera di Santa Maria: L'Archiviodell'Opera metropolitana di Siena. Inventario, a cura di S. Moscadelli,Munchen 1995; A. Giorgi, S. Moscadelli, Quod omnes cerei ad Opus de-veniant. Il finanziamento dell' opera del Duomo di Siena nei secoli XIII e

XIV, in "Nuova rivista storica", LXXXV, 2001, pp. 489-584; A. Giorgi, S.Moscadelli, L'Opera di S.Maria di Siena tra Xll e XIII secolo, in Chiesa evita religiosa a Siena ... , cit., pp. 77-I 00.39 Agnolo di Tura Del Grasso, Cronaca senese, cit., p. 367.

" F. Cardini, L'argento e isogni , cit." F. Gabbrielli, Stilemi senesi , cit., p. 326."Il Costituto del Comune di Siena volgarizzato ... , II, p. 29.43 Agnolo di Tura del Grasso, Cronaca senese, cit., p. 428." Per le notizie sul duomo rimando per tutti a E. Cadi, Il Duomo di Sie-na, Siena 1979.45 F. Cardini, r:argento e isogni ... , cit., p. 300." Viabilità e legislazione di uno statuto cittadino del duecento. Lo statuto

dei Viari di Siena, a cura di D. Ciampoli, T. Szabò, Siena 1992."M. Ascheri, La Siena del 'Buon Governo' (1287-] 355), in Politica e cul-tura nelle repubbliche italiane dal medioevo all'età moderna, a cura di S.Adorni Braccasi, M. Ascheri, Roma 2001, pp. 84-85.48 Una deliberazione del consiglio generale del 19 ottobre 1317 proget-ta la Tavola delle Possessioni come "tabula possessionum civitatis, comi-tatus et iurisdictionis Senarum et mobilium et patrimonium persona-rum civitatis, comitatus et iurisdictionis Senarum" (ASS, Consiglio Ge-nerale 89, C. 158v.): essa avrebbe dovuto dunque comprendere tutti i be-ni mobili e immobili della città e del territorio, ma in realtà i beni mo-bili rimasero esclusi dal lavoro di rilevazione. J dati raccolti furono re-gistrati in oltre cinquecento registri che costituirono il materiale prepa-ratorio per la Tavola vera e propria. Le particelle furono descritte conprecisione una per una, dando per ciascuna il nome del proprietariocon il luogo di residenza, una descrizione sommaria, i nomi dei pro-prietari confinanti, la misura in staiori e tavole e la stima. Le informa-zioni contenute in queste tavolette preparatorie furono copiate in altriregistri secondo criteri topografici, raggruppando sotto il nome di ognisingolo proprietario tutti i suoi beni immobili in città e nel contado. Ilvalore della fonte fu per la prima volta messo in luce da L. Banchi, La li-ra, la tavola delle Possessioni e le preste della Repubblica di Siena, in "Ar-chivio storico italiano", S. III, t. VII, 1868, parte II, pp. 53-58. Il primoimportante lavoro di elaborazione di dati condotto sulla Tavola è statoquello coordinato da Giovanni Cherubini i cui risultati sono stati resti-tuiti in G. Cherubini, Proprietari, contadini e campagne senesi all'inizio

del Trecento, in G. Cherubini, Signori, contadini, borghesi. Ricerche sullasocietà italiana del basso medioevo, Firenze 1974, pp. 230-311.<9 G. Cherubini, I mercanti e il potere ... , cit., p. 187.5Q Agnolo di Tura Del Grasso, Cronaca senese, cit., p. 485." "Et ideo, licet credant vos scire, tamen ad memoriam vobis reducuntquod inter alias sotietates Tuscie, Lombardie, ac etiam totius mundi, ip-sa fuit honorabilior omnibus aliis et magis nominata, et cui maior fidesfuit adhibita a romanis pontificibus, a cardinalibus, patriarchis, archie-piscopis, episcopis et aliis ecclesiarum prelatis, a regibus, baronibus, co-mitibus, mercatoribus et aliis hominibus cuiuscumque conditionissint; etiam utilis, immo utilissima, Comuni Senarum in romana Curia,ultra montes et citra montes, et ambassiatoribus Comunis Senarum adexpeditionem negotiorum pro quibus mictebantur, et etiam pro solu-tione pecunie tam pro ipsis negotiis expediendis quam pro eorum ex-pensis": A. Sapori, Studi di storia economica ... , cit., pp. 788 e 796.

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