francesco da barberino e il tristico

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In margine ad un intervento sui tituli volgari tracciati nell’affresco del Maestro di Bruto giudice nella Sala delle udienze del Palagio dell’Arte della Lana a Firenze 1 , ma relati anche da altre testimonianze, pergamenacee, cartacee e murali, ritengo merite- vole di un’indagine supplementare la loro struttura strofica, che consta di tre endeca- sillabi nello schema ABB, un verso iniziale irrelato seguito da una cauda a rima ba- ciata. D’accordo con Furio Brugnolo, al quale si deve anche il felice cartellino «poe- sia per pittura» apposto alle didascalie integrative di un complesso figurato, i tre ver- si li aggregherei sotto l’etichetta di tristico, meglio che di terzina, anche se possono richiamare, come si mostrerà, le volte del sonetto. Brugnolo, nel compilare l’inventa- rio degli affreschi nei quali compare il tristico, afferma a ragione che esso è una del- le «due formule metriche forse più tipiche delle iscrizioni poetiche trecentesche per pittura», anzi il «metro per eccellenza epigrafico» 2 . Già se n’era accorto Francesco Novati, che, ponendo in rilievo la «particolare predilezione» mostrata da Francesco da Barberino per questa forma nel duplice allotropo ABB e Ab 7 B, la definisce «istru- mento di poesia gnomica ed epigrammatica» nel secolo XIV; e, a distanza di qualche decennio, Francesco Egidi confermava che «questo è lo schema comunemente usato nel ’300 per gli epigrammi composti allo scopo di dichiarare pitture» 3 . Brugnolo procede oltre, quando recupera l’ipotesi, sulla traccia segnata da Egidi, che «all’origine della fortuna, e anzi della specializzazione, dello schema ABB nella poesia per pittura ci siano le cobbole di Francesco da Barberino» 4 . Ipotesi più che ve- risimile, avanzata fin troppo cautamente, quando si consideri che, a stare alla docu- mentazione disponibile, Francesco è il primo ad adottarlo nella sua produzione poeti- ca, nei Documenti e nel Reggimento e costumi di donna 5 . Lo coinvolge nel corredo delle miniature del suo manoscritto, il cartello allegorico ad inizio dell’appendicolare Trac- tatus Amoris 6 , e quasi certamente nell’esegesi e illustrazione di opere pittoriche. Se ti- tuli latini corredano un ciclo allegorico nell’episcopio di Treviso 7 , versi volgari (tristi- ci?) furono dettati in sedi non esattamente localizzabili, come la fiorentina, in un edi- ficio pubblico, per due affreschi, uno dei quali dedicato alla guerra tra Curialitas e Ava- 155 GIANCARLO BRESCHI Francesco da Barberino, la gobula e il tristico ABB

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In margine ad un intervento sui tituli volgari tracciati nell’affresco del Maestro diBruto giudice nella Sala delle udienze del Palagio dell’Arte della Lana a Firenze1, marelati anche da altre testimonianze, pergamenacee, cartacee e murali, ritengo merite-vole di un’indagine supplementare la loro struttura strofica, che consta di tre endeca-sillabi nello schema ABB, un verso iniziale irrelato seguito da una cauda a rima ba-ciata. D’accordo con Furio Brugnolo, al quale si deve anche il felice cartellino «poe-sia per pittura» apposto alle didascalie integrative di un complesso figurato, i tre ver-si li aggregherei sotto l’etichetta di tristico, meglio che di terzina, anche se possonorichiamare, come si mostrerà, le volte del sonetto. Brugnolo, nel compilare l’inventa-rio degli affreschi nei quali compare il tristico, afferma a ragione che esso è una del-le «due formule metriche forse più tipiche delle iscrizioni poetiche trecentesche perpittura», anzi il «metro per eccellenza epigrafico»2. Già se n’era accorto FrancescoNovati, che, ponendo in rilievo la «particolare predilezione» mostrata da Francesco daBarberino per questa forma nel duplice allotropo ABB e Ab7B, la definisce «istru-mento di poesia gnomica ed epigrammatica» nel secolo XIV; e, a distanza di qualchedecennio, Francesco Egidi confermava che «questo è lo schema comunemente usatonel ’300 per gli epigrammi composti allo scopo di dichiarare pitture»3.

Brugnolo procede oltre, quando recupera l’ipotesi, sulla traccia segnata da Egidi,che «all’origine della fortuna, e anzi della specializzazione, dello schema ABB nellapoesia per pittura ci siano le cobbole di Francesco da Barberino»4. Ipotesi più che ve-risimile, avanzata fin troppo cautamente, quando si consideri che, a stare alla docu-mentazione disponibile, Francesco è il primo ad adottarlo nella sua produzione poeti-ca, nei Documenti e nel Reggimento e costumi di donna5. Lo coinvolge nel corredo delleminiature del suo manoscritto, il cartello allegorico ad inizio dell’appendicolare Trac-tatus Amoris6, e quasi certamente nell’esegesi e illustrazione di opere pittoriche. Se ti-tuli latini corredano un ciclo allegorico nell’episcopio di Treviso7, versi volgari (tristi-ci?) furono dettati in sedi non esattamente localizzabili, come la fiorentina, in un edi-ficio pubblico, per due affreschi, uno dei quali dedicato alla guerra tra Curialitas e Ava-

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ritia, tra Probitas e Codardia8. Quale che fosse l’assetto formale dei «dicta vulgaria», re-sta il fatto che i Documenti si ascrivono agli anni 1310-1314 e i tristici che vi si leggo-no anticipano di molto quelli superstiti: nel Camposanto di Pisa, forse ispirati dall’ar-civescovo Simone Santarelli, già priore nel fiorentino convento di san Domenico; nelPalagio dell’Arte della Lana, nella chiesa di San Michele a Paganico, sulla facciata delBargello, nel Tribunale della Mercanzia Vecchia e quelli composti e traditi da FrancoSacchetti. È lecito presumere che l’epicentro irradiatore del tristico possa indicarsi sen-z’altro in Firenze, donde promana, grazie agli allievi di Giotto (del quale Francescoaveva osservato le didascalie latine sovrastanti i Vizi e le Virtù nella Cappella degli Scro-vegni9) o di pittori transitati per Firenze (Biagio di Goro Ghezzi, allievo di Pietro Lo-renzetti, per qualche anno vi fu operoso), la sua diffusione in Toscana e fuori della To-scana (Siena, come è noto, fa storia a sé, compiaciuta del suo precoce epigonismo dan-tesco). Anche i tristici didascalici delle pitture infamanti, di cui si ha notizia, scendonoa date tarde (del 1344 quello a biasimo di Gabriello, figlio del capitano del popolo Gu-glielmo d’Assisi) e comunque sono connessi con le sommosse magnatizie e popolaria partire dagli anni Quaranta10. Ed è altrettanto lecito presumere che in Francesco diBarberino si debba salutare il promotore dell’iniziativa.

A favore dell’ipotesi giocano altri fattori indiscutibili e cogenti relativi alla perso-nalità di Francesco: la coerenza nell’adibizione dell’involucro strofico propria di chiper cultura e per elezione si sente votato alla divulgazione di principi morali ed eti-ci, integrati da consigli molto pratici; e l’impellenza, didatticamente avvertita, di espri-merli in motti agevolmente memorabili, entro un contesto epigrammatico alla stre-gua delle sentenze proverbiali, non soltanto quelle desunte dalla voce del popolo, maanche di quelle vulgate e volgarizzate in iniziative parallele e indipendenti da più omeno illustri colleghi, antecedenti e coevi. I quali tuttavia si esprimono in distici: dialessandrini da parte di Girardo Patecchio; o in settenari, sillabicamente elastici, delparemiografo ser Garzo; o isosillabici, come quelli di Brunetto Latini, dedito a ser-moneggiare insegnamenti etici e retorici11. Di tale, non precaria, consistenza, la stes-sa press’a poco che ci consente di riferire a Giacomo da Lentini l’invenzione del so-netto e a Dante quella della terzina, si sostanziano gli argomenti per attribuire l’attocostitutivo della formula tristica a Francesco da Barberino, assiduo sperimentatore diequilibri strofici, fino a giungere, tra i primi nel Trecento toscano alla «contamina-zione tra forme liriche e forme narrative»12.

Meno convincente la seconda ipotesi di Brugnolo che il tristico ABB e il disticoAA derivino dal madrigale, struttura di per sé alquanto labile13. La duplice formulacostituirebbe, «elemento sistematico e strutturante, unicamente nella tradizione ma-drigalistica» e dalla segmentazione delle figure madrigalesche ABB CDD EE o ABBACC DD, scisse in due componenti, avrebbero origine a loro volta due figure isola-te. Francesco da Barberino si sarebbe ispirato dunque «a un modulo madrigalistico elo avrebbe ‘rilanciato’ in altre sedi disposte ad accoglierlo»14.

Insorgono alcuni motivi di perplessità. Il primo si fonda sul fatto che il madriga-le, entro il quale si opererebbe la scissione amebica, cala nelle sue formulazioni cano-niche e letterarie ad epoca di molto posteriore rispetto agli attestati barberiniani del

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tristico. Guido Capovilla, attento indagatore del genere, attribuisce i primi campionia Petrarca e, in ragione di una expertise musicologica, agli anni Trenta e Quaranta leanonime composizioni conservate nel Vaticano Rossi 21515; ai medesimi anni attor-no ai quali si colloca, sempre a parere degli storici della musica, l’attività dei primi in-tonatori16. Anzi la priorità petrarchesca affidata a Non al suo amante più Dïana piacque(Rvf 52), peraltro articolato nello schema ABA BCB CC (tra il 1343 e il 1345 si si-tua il n. 121, Or vedi, Amor, che giovenetta donna, l’unico dei quattro madrigali con sche-ma ABB ACC CDD) rischierebbe di saltare, se la data del 1326-1336 conferita in ba-se all’ordinamento del Canzoniere, dovesse posticiparsi al 1348-1352, con il conse-guente trapasso e slittamento cronologico, seppur di poco, del titolo di primo firma-tario di un madrigale a favore dell’amico Lancillotto Anguissola17, se non di Giovan-ni da Firenze o Jacopo da Bologna (citato quest’ultimo da Brugnolo). Né i terminisopra fissati potranno agevolmente ribaltarsi: «Non ci sono giunti, finora, dati reali cheattestino una preistoria della forma in questione, né, d’altronde, sembra che si debbaipotizzare una lunga incubazione»; anzi «le prime e più significative testimonianzateoriche sul madrigale risultano anteriori (o, in parte, appena coeve) ai più antichicomponimenti in nostro possesso»18.

Sovviene l’argomento principe derivato dall’auctoritas dei trattatisti. Antonio daTempo, pur ammettendo che «licet hodie subtilius et pulchrius per rithimatores man-driales huiusmodi compilentur», attesta la grossièreté del madrigale: «Mandrialis nam-que rithimus debet constare ex verbis valde vulgaribus et intellegibilibus et rudibus,quasi cum prolationibus et idiomatibus rusticalibus: ita quod verba mandrialis sintquasi omnino diversa ab aliis verbis et modis vulgaribus rithimandi, quod forte nonest ita facile invenire quemadmodum alia verba quae amoris venerei causa compilan-tur pro cantu»19. E Gidino da Sommacampagna, quasi a tradurre: «questo modo derithimare primamente venne da li pastori inamorati, li quali sì come homeni rusticie grossi, per compiacere a le loro femine rusticane cominciarono a compillare paro-le grosse, e quelle cantavano ne le pive loro con grosso modo, ma naturalemente:quamvis deo che li moderni facieno li marighali loro con più sotile e ligiadre paro-le»20. Dopo Antonio, in un trattatello appendicolare alla Summa in un manoscritto ve-neziano, il Capitulum de vocibus applicatis verbis, il madrigale viene qualificato nelle for-me (ma non si «accenna alla partizione in terzetti» e si «prevede l’impiego esclusivodi settenari») e, unico tra i generi considerati, nei contenuti («cuius verba volunt es-se de villanellis, de floribus, de arbustis, sertis, ubere et similia»)21. E infine sarà da evo-care – testimonianza senz’altro più rilevante, e non soltanto perché anteriore – Fran-cesco da Barberino, il quale, nell’accennare ai «matricale et similia» nel trattato di me-trica inserito nei Documenti, li sottopone, nell’undicesimo dei «modi inveniendi», algenere del «voluntarium», a sua volta specificato quale «rudium inordinatum conci-nium»22. Notevole che tutti gli autori concordino nell’associare il testo alla musica eal canto: «cantus consonet verbis», sottolinea Antonio da Tempo23; e Francesco riba-disce che il «matricale» è un canto a più voci, distinto dal canto solista, il sicinium, eda quello amebeo, il bicinium24.

Se ne ricava che, pur consentendo con l’ipotesi di una precoce incubazione pri-

ma della fruizione culta, almeno ai tempi e nel giudizio di Francesco, il madrigale sidistingue quale genere poetico creato in stretta sinergia con la musica e con il canto,ricetto di applicazioni specifiche, quelle erotiche, coltivate da rozzi interpreti edespresse da un lessico condizionato da un registro a loro condegno. Insomma un sa-no prodotto della creatività popolare, di ambiente genericamente bucolico o ville-reccio, tramandato oralmente e del quale si è perduta la traccia, se non in qualche ci-tazione nel Decameron. Soltanto nella seconda metà del secolo, limitatamente a qual-che esemplare, verrà usufruito per verbalità di contenuto meno depresso.

In conseguenza appare affatto improbabile che per enuclearvi il tristico Francescoda Barberino si sia ispirato alla struttura strofica del madrigale, involucro per nullaconsono ad accogliere apoftegmi morali e civili, senza avvertire il rischio – lui, pre-cettore di norme grammaticali e retoriche – di infrangere il principio della conve-nientia tra forma metrica e tematica, prescritta dalla trattatistica medievale (Dante sene fa illustre didatta nel De vulgari Eloquentia, II.IV.7, V.3) e rigorosamente osservatadai dictatores eloquentes nella scelta delle sententiae, delle constructiones, dei vocabula e deicarmina.

Dalla lunga premessa deriva la conclusione, a mio avviso, che l’ipotesi madrigale-sca vada accantonata a vantaggio di altra concorrente. Che non sarà a maggior ragio-ne il serventese, da Francesco collocato nell’ordinamento dei modi inveniendi al quar-to posto, dopo la canzone, la ballata e il sonetto, e liquidato abruptamente, senza al-tre indicazioni, con severa sentenza esclusoria: «serventese a probis expiravit, et si visscire, cecos audi»25, senza considerare che nelle virtualità strofiche, ivi comprese quel-le, pur non esaustive, esemplificate da Antonio da Tempo, non compare o non è scin-dibile il tristico ABB26.

A salvaguardia del parametro della convenientia irreprensibile si candiderebbe il so-netto, addetto per lunga tradizione anche a temi didascalici, etici e civili, grazie alloschema iniziale del sestetto CDD, giusta il tipo |abb|27, sequenza talora replicata nel-la seconda. Lunga è la lista degli utenti, da Chiaro Davanzati, a Onesto da Bologna, aDante, agli Stilnovisti, fino a Cecco Angiolieri28, e tra questi compare proprio Fran-cesco da Barberino per la prima terzina, variata nella seconda (CDD DCC), del so-netto I’ son sì fatto d’una visïone incluso nella parte IV del Reggimento, o con schemainalterato (CDD CDD) nell’altro sonetto, Testo d’un’erba c’ha nome zentilina, attribui-togli dal Barberiniano latino 3953 di Niccolò de’ Rossi29. Oppure si estrapolerà, sem-pre dal sonetto, la non rara cauda di endecasillabi, privi di rispondenza con le terzine,il primo verso irrelato, i secondi rimati, in uso presso Panuccio del Bagno, GiovanniQuirini, Matteo Mezzovillani e alcuni poeti perugini30. A rigore di cronologia l’e-lenco andrà potato degli ultimi menzionati e forse anche dei precedenti in conside-razione della desultoria peregrinazione di Francesco dal 1304 al 1314, soprattutto ne-gli anni in cui pose mano ai Documenti. Mentre per ciò che è del distico disponibilesi offrirebbe la cauda semplice ben collaudata non soltanto dagli stilnovisti e non igno-ta a Francesco nel citato sonetto Testo d’un’erba31.

Occorre tentare altre vie e la maestra mi sembra quella che conduce diritta aFrancesco da Barberino, partendo da un istituto capitale nella sua teoresi formale e

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nella prassi applicativa: la gobula. Nel catalogo dei modi inveniendi inserito nella Pars se-cunda, alla glossa del Documentum vj («undecim modi sunt inter antiquos et novos inusu, et tres alii subrepserunt de novo, qui nondum obtinent cursum plene, duo alii indesuetudinem abierunt»)32, spicca in posizione privilegiata, al quinto posto, il modusgobularum, più sotto glossato nei termini seguenti: «gobula est aliqua brevis oratio cir-cumthonsa et rimata, nec brevi vel longo ordine limitata»33.

In un passo di poco anteriore, nel V. Documentum de regulis Amoris sub Industria(Pars secunda) Francesco, dettando il proemio volgare alle sezione delle Regule, si eraindotto ad una preliminare avvertenza ai vv. 6-9: «lor stilo [delle Regule] in rime nonè limitato, C’ongnuna d’esse à remota matera, E tal poco comprende, E tal in più sistende», concetto ribadito nell’esegesi latina, «stilus quidem eaurundem non est stric-tus limitibus, quo ad rimas»34; e nella glossa, alludente al modus delle regule, ne avevagiustificato la disparità formale e tematica: «Sequitur de secundo [cioè «quibus modisiste regule facte sint et numquid debito stilo refulgeant»], videlicet de quo dicas quodiste regule, ut dicit earum prohemium, sub certo stilo, ut una similetur alteri vel adrimas respondeat, non formantur, eo quod quelibet remotam ab altera et dissimilemtam in quantitate quam in qualitate habet materiam. Quelibet tamen habet ordinemin se ipsam, et facte sunt ad instar provincialium gobularum, ex quo eas debito ful-gere ordine non negabis»35.

La gobula, pertanto, nell’ottica dei prelievi volgari e latini dalla Pars secunda dei Do-cumenti, si precisa come l’unità discreta monostrofica realizzata in varianti intercam-biabili: i tratti pertinenti, di ragione semantica e funzionale, ineriscono al contesto dicircoscritta affabulazione e di media latitudine, costituito da un insieme organico invirtù del concorso rimico; i tratti irrilevanti alla materia, tuttavia ristretta alla pervasi-va monitoria («ad bene agendum vel malum vitandum, seu bene loquendum»), al nu-mero e alla tipologia di versi, nonché alla sequenza delle rime, tuttavia non preclusi-va di un debitus ordo intrastrofico.

Sempre dal V. Documentum de regulis Amoris sub Industria (Pars secunda) si inferisceche le 150 Regulae si ascrivono al genere gobula, e la deduzione trova piena confermanella loro rispondenza al canone espresso nei due luoghi sopra citati: le Regulae siconfigurano di fatto come strofe unitarie, di poliedrica varietà, sia nel computo silla-bico (ma prevalgono l’endecasillabo e il settenario, e in rima interna trovano postoanche il senario e il quaternario), sia nella disposizione delle rime, sia negli schemimetrici, ed infine nel numero di versi incluso fra gli estremi del complesso più con-sistente, peraltro limitato a sette esemplari, e del minimo di due (anch’esso ristrettoall’unica Regula III)36. Gobule o, come si anticipano nell’ipocorismo «gobbolette», senza puntuale riferi-

mento topico, si intercalano nel Reggimento: «Non vo’ che sia lo tuo parlare [dell’E-loquentia] oscuro, … né parlerai rimato, acciò che non ti parta, per forza di rima, dalproprio intendimento; ma ben porrai tal fiata, per dare alcun diletto a chi ti legerà, dibelle gobbolette seminare»37. Nel pur attenuato impegno formale, e a prescindere daipoco persuasivi ingredienti metrici ammanniti dall’editore, strutture tristiche si leg-gono in apertura delle Parti prima e seconda, e, disposte nel continuum narrativo, nel-

la parte quinta (qui la «gobboletta» è preceduta da un’autocitazione dalla tristica Re-gula XXXV dei Documenti), mentre il nucleo più numeroso si addensa nella parte sedi-cesima per un totale di quattordici nello schema ABB, di quattro in misure sillabichevariabili nello schema abb, di due nello schema AbB e di una nello schema ABA38.

Nella polimetria costitutiva dei Documenti, a parte quelle concatenate, AaA, BbB,ecc. nella parte VI; e aaB, bcC, ddE, eff, oppure aab, bbC, ddE nella parte IV39; occorreavvertire che, sebbene non ne sia resa esplicita l’etichetta, di gobule tristiche si intes-sono, sempre nella Pars secunda, VJ Documentum et ultimum, i Motti o Mottetti, morfolo-gicamente affini alle Regule, calati in nove schemi con le occorrenze a fianco segna-te: AaA (12), Aaa (1), a8a8a8 (2), a8a5A, (1), aa3a8 (1), ABC, o meglio AB(c)C, (1), AbB(2), a8b8b8 (1), compreso ABB (2, XVI e XXXIII)40.

Alla definitiva identificazione del tristico, e anzi a corroborare la sua specializzazio-ne funzionale, concorre il Tractatus Amoris. Dichiaratane la natura ascitizia rispetto aiDocumenti, dove pure se ne fa menzione anticipandone materia e forme41, Francesco al-lude in prima persona alle «figuris quas sub Amoris figura retraxi actenus in alio loco»;e prosegue: «Sequitur ergo ad maiorem claritatem habendam representatio figure Amo-ris in eadem forma qua supra in principio huius libri, deinde figure alie subsecuntur etdicta vulgaria per me dudum circa istam materiam compilata»42. Più oltre si legge chele «figure predicte superius posite fuerunt ut picte iacent representate in publico et go-bule subposite singulariter singulis ad pedes earum et due stantie de dicta cantione [lacanzone firmata Io non descrivo in altra guisa Amore] scripte fuerunt ad pedes earum postgobulas, et relique due stantie ab opposito et ritornellum». La miniatura dei Barberi-niani, stesa su due terzi della carta, rappresenta Amore in piedi su un bianco cavallo ala-to (di fianco in un cartiglio il primo tristico della serie dei quindici, «Io son amor innova forma tracto E se disotto da me riguardrete L’ovre ch’io faccio in figure vedre-te»), e sotto tredici figure, ciascuna, come Amore, individuata – ma soltanto in B – daun cartiglio soprastante, («religioso», «religiosa», «fanciulla», ecc.43) e ai piedi, compostain una stretta colonna, da una didascalia autoreferenziale, duplice per il Religioso e laReligiosa. In calce alla medesima carta si leggono le prime due stanze della canzone Ionon descrivo in altra guisa Amore. Si ponga mente che le gobule subposite, scritture espostenell’affresco e nel Tractatus intercalate tra il proemio latino e la canzone, sono rappre-sentate esclusivamente da tristici, a schema ABB per le individuali (una rimalmezzo nelsecondo verso, scalata in posizioni decrescenti: a7, a6, a5, frange i tristici per il «donzelche non cura», per il «fanciullo» e per il «morto»), a schema Ab7B e ABBCC, unica concauda, rispettivamente per le collettive dei religiosi e della coppia «moglier e marito»,in forza del carnale coniugio figurata da due teste in un unico corpo («Amor, che ci àidi due facta una cosa»)44.

Dalla doppia testimonianza dei Documenti, imperativa quella del Tractatus, e delReggimento si deduce che per Francesco da Barberino il tristico, costituisce un alloti-po dell’entità gobula, una sottospecie del genere gobula, e si caratterizza per i tratti co-muni del monostrofismo e dell’autosufficienza semantica, sia che si presenti isolato(ad esempio il Mottum XVI della Pars secunda e nel Reggimento), oppure coinvolto inuna sequenza di altre gobule difformi (come nelle Regulae nella Pars secunda) oppure

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in una serie omogenea (come nelle gobule subposite del Tractatus)45. Non soltanto: quel che conta evidenziare è il calcolo statistico portato sulla mor-

fologia rimica: dall’esame sinottico delle testimonianze testuali si ricava che prevalelargamente nelle Regole, nei Mottetti e nel Reggimento il tipo |abb|, per una frequen-za totale di 44 occorrenze di contro a sette del tipo |aba|, a 17 del tipo |aaa| e alsolitario |abc| (presenti questi ultimi due soltanto nei Mottetti); mentre nell’ambitodel tipo |abb|, la formula endecasillabica sopravanza le altre nelle Regole e nel Reggi-mento, e in misura pressoché totale nel Tractatus. Nei confronti dei concorrenti il tipo|abb| si ritaglia uno spazio, che non si limita soltanto a quello circoscritto dal nu-mero dei versi. Di contro alla monotona sequenza di |aaa|, all’univoca alternanzaraccostata di |aba| e alla completa dissoluzione reticolare di |abc|, il prediletto |abb|si avvale di una struttura compromissoria, derivante dalla arimicità del primo verso edalla coerenza rimica degli ultimi due.

L’isolamento iniziale non è in assoluto eterodosso, poiché la medesima cadenzadenuncia la maggioranza delle gobule da cinque a diciotto versi (eccepiscono quelledi quattro versi, per quanto vi si notino i tipi |abcc|, |abcb|, complicato in |ab(c)cb|,e l’unica di diciassette) e, come vedremo, i piedi delle canzoni. L’asimmetria vienegiustificata da Francesco nell’esporre l’undicesimo dei diciotto vizi da evitare nelcomporre versi: «rimam aliquam dimictere solam, quod in principio aliquando nonvitatur»46. «Aliquando», dunque, e «in principio», in iniziale assoluta, è dunque lecitointrodurre una rima irrelata47. Se in un contesto strofico ampio questa si diluisce estempera nel ricorrere delle rime seguenti, nel tristico ABB la transizione si avvertecome uno stacco netto e, almeno nelle Regole e nei Mottetti, detiene valenza stilisti-co-tematica. Alla segmentazione proposta dalla Goldin, ispirata ai dettami della dia-lettica scolastica (nel primo verso l’articolazione della sentenza, nel secondo versoun’obiezione, nel terzo la risposta sentenziosa o l’emblematico suggello aforistico)48,se ne indicherà una, a nostro parere meglio congrua, calcata sul motto proverbiale: adun exordium investito di una massima universale, per lo più tratta da un’auctoritas scrit-turale o demotica, segue il concentrato della didassi barberiniana, lessicalmente e sin-tatticamente contratto, registrato nelle categorie dell’indeterminato e dell’atto illocu-tivo: un tecnica di esposizione ben collaudata, riconducibile alle ‘forme semplici’ del-la ricca tradizione gnomica medievale49. Meno sembrerebbe prestarsi il modello alcartiglio assegnato agli individui rappresentati in un contesto figurativo, come nel «vi-sibile parlare» del Tractatus Amoris. Pur deferenti all’ovvia esigenza dell’affabulazionecompendiosa e all’intento parenetico, i tristici si avvalgono obbligatoriamente di al-tro schema espressivo, condizionato dalla formulazione personalizzata: il locutore (re-ligioso, religiosa, fanciulla, donzella, lo stesso Amore) si espone in prima persona, e neldialogo con Amore, inseriti gli opportuni elementi identificativi del proprio essere, siproduce in un discorso fuso, compatto, pur nell’articolazione subordinante, che rara-mente coincide con la sequenza rimica.

A questo punto si porrà il quesito circa il modello a cui si è ispirato Francesco e,come dice bene Roberto Antonelli, ci si confronterà «coll’operazione filologicamen-te più complessa e opinabile, quella di tipo ricostruttivo».

Francesco da Barberino, la gobula e il tristico ABB

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Se ho ben visto, il tipo |abb| mai si registra nei Siciliani, bensì si ripete la se-quenza |abc|, frequentata dal citato «Iacobus notarius», dal fiorentino «Brunectus La-tinus»50, oppure, ancora da Giacomo da Lentini, Mazzeo di Ricco, Guido delle Co-lonne ed da altri, nella variante con rimalmezzo |ab(b)c|51; entrambe, sequenza e va-riante, esemplate dai siculo-toscani, «Guittone de Aretio», Bonagiunta Orbicciani,Chiaro Davanzati, Panuccio del Bagno, tutti, insieme con i residui usufruttuari, appa-rentemente ignoti, eccetto il primo, a Francesco52. Gli unici ad adottare il piede|abb| sono Guittone nelle prime due strofe di No è da dir Gioane a tal che noce, giu-sta lo schema di Margueron, e, se si interpreta quadripartita la fronte, |abb, aab, abb,aab|, Lapuccio Belfratelli nella canzone Donna senza pietanza53.

Quanto agli stilnovisti, si riproduce sostanzialmente il quadro già disegnato per iSiciliani e i siculo-toscani: assente il tipo |abb|, se non in una ballata di Cino, Angeldi Deo simiglia in ciascun atto (identico il tipo, diversa la misura: AbB54) un solo esem-pio del tipo |ab(b)c| nella canzone In quanto la natura, da Aldo Menichetti, con fi-nissima argomentazione assegnata a Bonagiunta Orbicciani e pertanto da retrocede-re al comma pregresso (anche lo schema dei piedi, ignoto al contendente, Guido Gui-nizelli, lo comproverebbe)55. Spesseggia la sequenza |abc| in circa un terzo delle can-zoni, tanto che Domenico De Robertis la definisce «una delle più usuali, e si po-trebbe dire stilnovistica»; e tra i massimi tributari figurano i pluricitati nei Documenti«Guido Guiniçelli de Bononia» e, in primissima sede, «Dante Arigherij»56. Per amoredi completezza è opportuno sottolineare che il tristico ABB non si caletta in struttu-re strofiche della canzone lungo tutto il corso del Trecento57.

Accertata la modesta risposta nella cultura strofica indigena, antecedente e coeva,isolana e peninsolare, al tipo |abb|, giova ritornare alla dichiarazione di Francesco chele gobule «facte sunt ad instar provincialium gobularum»58, cioè a guisa delle coblas pro-venzali, non sussistendo dubbi sull’identificativo etnico-linguistico provincialis59.

Non stupisce che, attivandosi in un impegno costante di apprendistato culturalenel corso dei quattro anni trascorsi tra la Provenza e la Francia, Francesco abbia adu-nato, come mostrano le citazioni trovadoriche nei Documenti, un copioso retaggio diletture condotte direttamente sui canzonieri, uno dei quali citato con la rubrica ini-ziale latina, Flores dictorum nobilium provincialium60. Il titolo sembra evocare piuttostoun florilegio, sul paradigma di quelli circolanti nell’ecumene occidentale per gli au-tori latini e mediolatini ovvero per raccogliere testi devozionali o parenetici, e che fu-rono per via di sollecita mimesi allestiti anche per accogliere, ad istanza di appassio-nati commitenti, antologie di exempla narrativi (Francesco cita i Flores novellarum), e,per ciò che ci pertiene più da vicino, il fior fiore del patrimonio trobadorico.

Né si può escludere che oltre ai florilegi Francesco, negli anni di esilio trascorsi inProvenza abbia sperimentato una conoscenza più ampia della produzione occitanicae delle tendenze allora correnti, consultando anche le Gelegenheitssammlungen: lo fa-rebbe supporre l’elevato numero di trovatori da lui richiamati, circa venticinque,compresi quelli di cui si ha notizia soltanto grazie ai Documenti, e dalle citazioni, lamaggior parte delle quali tradotta in latino e soltanto raramente riportate in occita-nico, talora estratte da più di una cobla della medesima canso61. Illuminante il caso del

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prediletto Folquet de Marseille, emergente su tutti i colleghi e introdotto «in linguasua» con le canzoni Per Dieus, Amors, ben sabes veramen (richiamata in ben tre luoghidei Documenti), con i vv. 1-3, 8, 27-28, 41 (da Amors, merce, si citano i vv. 29-30). Se-guono con due estrapolazioni Uc Brunenc62, Cortesamen mou en mon cor mesclanza, vv.5-8, 15-16, e con una Gaucelm Faidit, Mon cor e mi e mas bonas chansons, vv. 4-6 (mai vv. 1-3 sono ‘volgarizzati’ in latino); Guiraut de Borneil, Jois e chans, vv. 35-36; Pei-re Vidal, Si·m laissava de chantar, vv. 21-26; Peirol, D’un bon vers vau pensan, vv. 19-20.E neppure si può escludere, fatta la tara di erroneità addebitabili alla registrazionemnemonica, che Francesco abbia avuto tra mano più di un canzoniere, se le resul-tanze della tradizione manoscritta relative ai singoli excerpta risultano, a parere deglieditori – i pochi avventuratisi in congetture –, scarsamente omogenee quanto alla ri-unione in gruppi e alla posizione nello stemma63.

Il fatto si è che lo scrutinio degli inventari strofici dei trovatori non consente aprima vista di reperire adeguati riscontri, registrando il tristico una presenza statisti-ca di poco superiore a quella riscontrata per il massiccio strofismo ultraquarantena-rio, a conferma della postuma disciplina impartita dalle Leys d’Amors, che prescrivo-no per la strofe un minimo di otto e un massimo di dodici versi64. Nell’ambito del-la poesia lirica occorre risalire alle tre canzoni di Guglielmo IX, Companho, farai unvers q’er covinen, Compaigno, non puosc mudar e Companho, tant ai agutz d’avols conres; alcontrocanto polemico di Marcabru, En abriu s’esclairo·il riu65, precedenti assai pocoprobabili perché i tre versi procedono in sequenza polimetrica e sulla medesima ri-ma, 11a11a14a, né si trascuri il fatto che i due trovatori non sono mai menzionati neiDocumenti. Soltanto per completezza di inventario si allegano i tercets di Jean Nicolasde Pignans (7a7a7b) in una satira contro un chierico locale e un intermezzo liricodel Jeu de sainte Agnès, datato al secolo XIV, ma restauratore di timbres estratti da com-posizioni anteriori, in particolare da una chanson de toile o d’histoire con schema mo-norimico 12a12a12a, nel planctus di Cristo «in sonu al pe de la montaina», vv. 469-471, nella risposta di Gabriele «in eodem sonu», vv. 472-474, e in almeno due battu-te ai vv. 333-335 e 442-444, la seconda in alessandrini sempre monorimi66. Tristicicompaiono nel salut di Raimon de Miraval, Dona, la genser c’om demanda67, il «Mira-val provincialis» apprezzato nei Documenti; ma quei tristici, almeno nelle partizioni II-III, V-XLII giusta la prima ipotesi formulata da Borriero, la più convincente, non ri-spondono allo schema barberiniano, perché prevedono una diversa distribuzione ri-mica e il nesso capcaudado, ed infine sono di computo inferiore (8a8a4b)68.

Tuttavia il Répertoire di Frank, che allinea fuori da qualsiasi discrimine le sequen-ze sillabiche, maschili o femminili, corrispondenti alla successione dei versi e, al mas-simo, con operazione talora discutibile, segmenta gli elementi secondo la ricorrenzadella rima, andrà riguardato sotto una diversa angolazione. Del resto la tarda manua-listica occitanica a noi tradita, solerte nel classificare la tipologia della cobla, si astienedal segnalare le ripartizioni interne, pur implicite nella prassi e obbedienti all’artico-lazione melodica che organizza i livelli del metro e della sintassi69. Francesco provie-ne da altra cultura, che aveva sancito la separazione, se non il divorzio, tra poesia emusica, fin dai Siciliani, i quali, a differenza dei Minnesänger inclini ai contrafacta, e

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pertanto alla mimesi melodica del testo-fonte, ne obliterano e ne alterano nelle tra-duzioni o nelle rielaborazioni la multipla compagine strutturale, ricreandola – si al-lude qui al capostipite –, «in modo del tutto autonomo»70. In piena consapevolezza,sostenuta dall’esperienza non dichiarata dei Siciliani, dei Siculo-toscani e degli Stil-novisti, Francesco inquadra il disegno intrastrofico della canzone in un rigido cano-ne, istruito in rigide norme da lui, e indipendentemente da Dante, ad imporre la di-stinzione tra piedi e volte nelle canzoni distese («dum modo fiant similes primi pe-des et postea sibi similes due volte tot sunt modi»), e a suggerire al contempo gli ar-tifici per renderne più o meno complessa la testura, concedendo ampio margine diampliamento per gli esperti («quot subtilis homo sciverit commutare … posses etiamfacere plures pedes et voltas»)71. Segnato dalla sua educazione metrica e da un’agno-stica attitudine verso la componente musicale72 – e non è detto che i canzonieri pro-venzali da lui compulsati fossero provvisti di notazione – Francesco era indotto a in-terpretare gli schemi trobadorici delle coblas sulla traccia delle convenzioni apprese inItalia ed a riportarli ad una tassonomia implacabilmente sanzionatrice della suddivi-sione in fronte, in piedi, in sirima e in volte.

Sul fondamento di tale presupposto numerosi lemmi dell’inventario di IstvánFrank andranno posti sotto osservazione: tutti quelli che offrono la possibilità di sud-dividere i primi sei versi della strofa in due piedi omogenei, quanto alla disposizionedelle rime, non necessariamente isosillabiche. In primo luogo, il n° 577 (abb acc dd),comprensivo di ben 306 esponenti, inclusivi di 83 coblas esparsas; ma anche si annet-teranno gran parte di quelli compresi tra il n° 466 e il n° 765, dei quali almeno il62%, si inizia con la sequenza |abb|, astraendo dalla testura immeditamente seguen-te o dalle successive. Se si prendono ad esempio i numeri 577 e 592 (abb acc ddee),si può supporre che nella indiscreta serie versale Francesco abbia praticato l’incisio-ne a lui consueta risolvendola in tre segmenti omogenei, |abb/acc/dd| e|abb/acc/ddee|: serie entrambe riconducibili alla struttura di una stanza, costituitada una fronte di due piedi e da una sirima, oppure alle mute del sonetto chiuso dauna o due caude. Proprio perché, come si è detto, estranee alla tradizione strofica ita-liana, non soltanto delle canzoni ma anche delle stanze isolate, quelle formule saran-no ricondotte da Francesco all’esperienza culturale maturata in Provenza. Del resto lastanza Non solamente si perde se fai (ABb, ACc; Dd, EE) coincide nella disposizione ri-mica, non quanto al computo, con il numero 592 di Frank, che archivia, con moltevarianti sillabiche, 70 esemplari, e ben 26 fissati sul limite della cobla esparsa.

L’opzione sarà caduta sulla formula |abb|, perché maggioritaria tra gli schemiprovenzali, di contro a |aaa| oppure |abc|, relegate ad un quoziente percentuale in-significante, oppure all’altrettanto isolabile |aab|, che pur attestandosi alla quota del37,5%, resta minoritaria. Non v’ha dubbio che Francesco abbia appreso dai proven-zali l’uso della rima priva di corrispondenza nel segmento esordiale della strofa, nonsoltanto nell’assetto delle singulars, ma anche delle unissonans, inevitabile nel caso dicoblas esparsas. Se ne contano 26 esemplari nel Rèpertoire di Frank, e se stavolta tra iventisei trovatori noti a Francesco compare il nome di Raimon Vidal73, tra i titolaridi cansos pluristrofiche segnalate dalla irrelata iniziale, un centinaio, emerge la mag-

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gior parte degli autori citati nei Documenti: Aimeric de Peguillan, Arnaut de Mareuil,Bertran de Born, Folquet de Marseille, Gaucelm Faidit, Guilhem Ademar, Guilhemde Berguedan, Guiraut de Borneil, le Moine de Montaudon, ancora Peire Vidal, Pei-rol, Raimon de Miraval, incluso Bernart de Ventadorn, omesso dal benemerito e tut-tora fondamentale Antoine Thomas74.

Se questa, nell’assenza già constatata di una promozione indigena, appare come ladefinitiva conferma della derivazione occitanica del tristico, di rincalzo sopraggiungeun altra valido considerando. Si allude all’abilità di Francesco nel costruire e deco-struire gli spazi costitutivi della stanza, e di isolarli, favorendone la dissoluzione, dive-nuta operativa nel disegnare il componente ABB. In un passo, segnato dalla nota mar-ginale «de inventione», nel quale Francesco impartisce a vantaggio dei giovani impe-riti colpiti da passione amorosa una lezioncina sugli utensili formali da maneggiarenell’evenienza75, la gobula assume altra funzione da quella precedentemente espostanella glossa del Documentum VJ. della Pars secunda. Lo juniore, sollecitato da trasportoerotico, ovviamente ristretto al lecito comportamento («iuvenis quidam amore licitoquandam dominam diligebat»), potrà cantare le lodi della sua domina, trascegliendol’involucro rimato tra la ballatella, la canzone extensa e il sonetto, forme canoniche pertradizione letteraria usufruite a tal uopo, ad esclusione di ogni altra già enumerata trai modi inveniendi (compreso il matricale). L’esposizione è quanto mai didascalica: l’allo-quito apprendista viene invitato ad educarsi sugli esemplari strofici presenti nei Do-cumenti. Per comporre la ballatella «faciat responsum ad similitudinem lictere que po-nitur supra parte secunda documento v, ut in regula v (Ab7B) vel ut in vj (Ab7B) velut in xiij (ABB); et si velis responsum longius fabricare summe similitudinem xxiiijregule (AaBB); facto responso, poteris facere duos breves pedes quorum similitudi-nem habes infra in parte xj Gratitudinis in qualibet gobula sua (aBb Cc Dd Ee…vZZ). Vel fac duo pedes ad modum regule lxiij … » (a5)B(a5)BC. Seguono altreistruzioni sul rapporto rimico all’interno dei due piedi, oppure dei tre, qualora si op-ti per tale soluzione, e, infine sul raccordo tra le volte e il responsum. Quanto alla can-tio extensa altrettanto precisi si offrono i riferimenti: «fac duos pedes invicem corre-spondentes, quorum uterque sit ad similitudinem unius gobule ex gobulis prime par-tis Docilitatis (aBbCcDdEeFf … vZZ), vel ex gobulis iiij partis Discretionis (aa BbcC dD Ee fF gg Hh iI), vel ex gobulis tertie Constantie (AbbA CddC EffE). Posteafac duas voltas76 invicem correspondentes, quarum finis prime concordet cum fineultimi pedis, ut melius memorie commendetur: non autem ex necessitate et istorumpedum quemlibet fac ad similitudinem unius ex gobulis secunde partis Industrie exdocumentis que precedunt documentum regularum (Abbc5c5A), vel ex gobulis par-tis v Patientie (a4a4 b7c5c5b7d5d5e6f4f5e7), vel ex gobulis partis x Innocentie(Aa7b5b4c7C), vel ex gobulis gobularum prohemii libri huius, primis duabus gobulisexceptis (AbbccD)»77. Si estromette la trattazione, molto articolata, circa la testura delsonetto, suddivisa in pedes e in mutae, perché non vi si parla di gobulae, bensì di versi-culi per entrambe le sezioni, indicandosi sempre all’interno dei Documenti le sequen-ze esemplari; ma non può tacersi che per alcuni tipi di mutae vale la similitudine del-le regole XLV e XLIIIJ strutturate secondo la formula tristica |abb|78.

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La sinossi dei luoghi sopra allegati induce a concludere che sotto l’etichetta di go-bula si collocano istituti polivalenti, come si dichiara nel Documentum VJ, Pars secunda,intesi ad una conclusa affabulazione, sia pure gravitanti tra la massima escursione del-la strofe inventariata tra i modi inveniendi – si veda ancora la stanza nella Pars secunda,Regula XLVIJ, Non solamente si perde se fai79 –, e la misura sommaria del distico o deltristico. In quest’ultima accezione gobula si presta ad assolvere l’ufficio strutturanteproprio dei pedes e delle volte nella ballatella e nella cantio extensa, e di conseguenza siinterpone e si caletta entro una serialità normativamente modulare, quale segmentostrofico. È ovvio che, quando occupi la sede dei pedes, si insedierà prevalentemente lagobula minima, in particolare il tristico. Il passo ulteriore compiuto da Francesco è diconferire autonomia alla componente minimale e di affrancarla dal contatto e dallasinergia con l’unità superiore80.

L’equiparazione prammatica e funzionale dei pedes e della gobula, comportando laloro equipollenza, costituisce ulteriore conferma della matrice ideale del tipo |abb|.Nè dovrebbe stupire l’itinerario bustrofedico dalla gobula ai pedes e per converso daipedes alla gobula da parte di chi con specillo affilato seziona con mano sicura le mem-bra interne della strofe. Con operazione del tutto simile a quella con la quale ha equi-parato i pedes alle gobule Francesco ha estratto dall’architettura portante della cobla oc-citanica sorpresa nell’applicazione più corrente – come si è mostrato – un elementostrutturale, il primo piede, e lo ha promosso a pezzo fungibile dotato di statuto indi-pendente: una ipostasi creata non da un prodotto dequalificato o poco nobile dellarimeria corsiva, bensì da un modello condegno alla materia trattata, di nobile ascen-denza culturale. Avranno concorso all’opzione anche i contenuti, epigrammatici,gnomici della tarda stagione trobadorica che in quella forma avevano trovato espres-sione81. E che il tristico sia stato applicato da Francesco ad uno dei «magnalia», la «di-rectio voluntatis», giusta l’autorevole parere dell’illustre coetaneo, stanno a testimo-niarlo le epigrafi, delle quali ha costellato la sua carriera di scrittore e di illustratore,affidando a loro con eloquio perentorio i principi della sua didassi etica. È l’elemen-to intrinseco del repertorio che lo ha indotto ad accogliere e ad elaborare l’involu-cro strofico, successivamente variato alla stregua delle necessità espressive. In questomargine, non vistoso ma resistente, consiste l’invenzione di Francesco da Barberino.

NOTE

1 G. Breschi, Visibile parlare: i cartigli dell’affresco di Bruto giudice nel Palagio dell’Arte della Lana a Firen-ze, in La parola e l’immagine. Studi in onore di Gianni Venturi, Firenze, Olschki, 2011, vol. I, pp. 117-35.

2 F. Brugnolo, “Voi che guardate …”. Divagazioni sulla poesia per pittura del Trecento, in «Visibile parlare».Le scritture esposte nei volgari italiani dal Medioevo al Rinascimento, a cura di C. Ciociola, Napoli, EdizioniScientifiche Italiane, 1997, p. 312-13. Segnalati nel medesimo volume da Maria Monica Donato (Imma-gini e iscrizioni nell’arte ‘politica’ fra Tre e Quattrocento) si aggiungano i tristici nell’affresco di Giottino sul-la facciata del Bargello (p. 358) e in quello, ormai scomparso, di Taddeo Gaddi nel Tribunale della Mer-canzia Vecchia, dove era raffigurata la Verità che estrae la lingua alla Bugia (pp. 387-88): «La pura Veritàper ubbidire Alla santa Giustizia che non tarda, Cava la lingua a la falsa Bugiarda», seguito da un distico:

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«Taddeo dipinse questo bel rigestro Discepol fu di Giotto il buon maestro» (G. Vasari, Le Vite de’ più ec-cellenti architetti, pittori et scultori italiani, da Cimabue, insino a’ tempi nostri, a cura di L. Bellosi e A. Rossi.Presentazione di G. Previtali, Torino, Einaudi, 19912, vol. I, p. 162).

3 F. Novati, Le serie alfabetiche proverbiali e gli alfabeti disposti nella letteratura italiana dei primi tre secoli,Torino, Loescher, 1910, p. 25 n. 2 (a p. 26). Si cita dall’estratto che raccoglie i saggi pubblicati sul «Gior-nale storico della letteratura italiana», XV, 1890, pp. 337 sgg.; XVIII 1891, pp. 104 sgg.; LIV, 1909, pp. 36sgg.; LV, 1910, pp. 266 sgg. Il Novati ricorda i tristici di Francesco da Barberino, di Franco Sacchetti estampa uno degli otto epigrammi dell’affresco di Bruto giudice traendolo dal manoscritto N (Firenze,Biblioteca Nazionale Centrale, II.II.146, c. 53a-b). Brugnolo contesta a Novati che la fortuna di questaforma dovett’essere però passeggera: di fatto lo schema, almeno a Firenze, non superò il secolo XIV. En-tro questo secolo si colloca il capitolo anonimo, ritmato nel tristico ABB, Trentacinque anni intende ch’a-via, pedestre sintesi della Commedia (S. Bellomo, Dizionario dei commentatori danteschi. L’esegesi della Com-media da Iacopo Alighieri a Nidobeato, Firenze, Olschki, 2004, p. 205). La citazione dell’Egidi da Francescoda Barberino, I documenti d’Amore ..., a cura di F. Egidi, Società Filologica Romana, 1927, vol. IV, p. 134n. 7.

4 F. Brugnolo, «Voi che guardate …» cit., p. 314.5 Non si richiameranno, se non per mera curiosità archeologica, i tristici press’a poco endecasillabi-

ci, ma speculari al confronto con quelli di Francesco, AAB, dell’anonimo veronese, peraltro inseriti nelritmo poco allegro del serventese.

6 C. Ciociola, Scrittura per l’arte, arte per la scrittura, in Storia della letteratura italiana, vol. II (Il Trecento),Roma, Salerno Editrice, 1995, p. 570, con esaustiva bibliografia. I Documenti d’Amore si leggono, com’ènoto, in due manoscritti, conservati entrambi nella Biblioteca Apostolica Vaticana, il Barb. lat. 4076 (si-glato A) e il Barb. Lat. 4077 (siglato B). A fu giudicato autografo da Federico Ubaldini e da FrancescoEgidi (Francesco da Barberino, I documenti d’Amore, ed. Egidi cit., vol. IV, pp. XXI-XXIII), B parzialmenteautografo (ibidem, p. XXV), entrambi copie del testo compiuto e scritto in Francia: B rappresenterebbe unprimo tentativo, non concluso, di messa a pulito; A, iniziato anch’esso in Francia, fu completato in Ita-lia sul finire del 1313 (ibidem, pp. XXXIII-XLI). L’autografia è stata di recente rimessa in discussione da Ar-mando Petrucci (Minima barberiniana. i. Note sugli autografi dei ‘ Documenti d’Amore’, in Miscellanea di stu-di in onore di Aurelio Roncaglia a cinquant’anni dalla sua laurea, Modena, Mucchi, 1989, pp. 1006-09), chela limita in A alla trascrizione del testo volgare e ad alcune correzioni, in B ad interventi rapsodici; cfr.F. Brugnolo, La poesia del Trecento, in Storia della letteratura italiana cit., 2001, vol. X (La tradizione dei testi),p. 231-32 e n. 17.

7 «Ut tamen non crederes quod michi apropriem aliena, nota quod eam [la figura della Giustizia]dudum primitus pingi feci modo simili in episcopali palatio Trevisino ad discum ubi ius redditur …Mi-sericordia enim, ut infra videre poteris in figura loco superius allegato, dicit duobus coram se genufle-xis: “Ite et amplius nolite peccare”. Iustitia dicit: “Ego quidem etsi morte preoccupata fuero in refrige-rio ero”». Conscientia dicit: “Tunc pura sum et simplex dum michil ago nisi quod palam possum»: Fran-cesco da Barberino, I documenti d’Amore [Documenta Amoris], a cura di M. Albertazzi, Lavis, La FinestraEditrice, 2008, vol. II, p. 511. Nel medesimo passo Francesco avverte che la Misericordia, «in capite of-ficii mortuorum» e la Conscientia si vedono effigiate anche nel suo «Officiolo», il manoscritto miniatodi recente, il 5 dicembre 2003, battuto a Roma in un’asta da Christie’s. Secondo l’opuscolo informati-vo pubblicato dalla Casa la Misericordia, «che istruisce due uomini inginocchiati», si trova a c. 117r. Dialtre miniature presenti nell’Officiolo si parla alle pp. 44-45 dei Documenti d’Amore, ed. Albertazzi cit.,vol. II.

8 Francesco da Barberino, Documenti d’Amore, ed. Albertazzi cit., vol. II, p. 19: «si formas pictas [dellaProbitas, della Audacia e della Curialitas] queris vide Florentie, ubi bellum inter Curialitatem et Avaritiamet seguaces et Probitatem et Codardiam et sequaces in figuris representavi, et dicta vulgaria que sunt ibi,cum novitatibus aliis circumpictis». In altra sede Francesco fece dipingere la figura dell’Ipocrisia, «cumaperta bursa multis pauperibus coram se existentibus publice elemosinas conferens» e con ai piedi un lu-po (Francesco da Barberino, Documenti d’Amore, ed. Albertazzi cit., vol. II, p. 444); C. Ciociola, Poesia gno-mica, d’arte, di corte, allegorica e didattica, in Storia della letteratura italiana cit., vol. II (Il Trecento), p. 424.

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9 Francesco da Barberino, Documenti d’Amore, ed. Albertazzi cit., vol. II, p. 275.10 F. Suitner, Rime e pitture d’infamia, in La poesia satirica e giocosa nell’età dei Comuni, Padova, Anteno-

re, 1983, pp. 183 e 187; G. Ortalli, La pittura infamante nei secoli XIII-XVI, Roma, Jouvence, 1979, p. 144;pp. 357 e 371-73.

11 Formule tristiche endecasillabiche adotterà Graziolo Bambaglioli nel Trattato delle volgari sentenzesopra le virtù morali, XXIII (AAA) e XXIV (AAB).

12 M. C. Panzera, Varietà metrica e stroficità nei Documenti d’Amore di Francesco da Barberino, in Les ma-nuscrits ne brûlent pas. Actes du XXIIe Congrès International de Linguistique et de Philologie Romanes,publiés par A. Englebert, M. Pierrard, L. Rosier, D. van Raemdonck, Tübingen, Niemeyer Verlag, 2000,vol. V, cit., p. 98.

13 «Il madrigale antico è una forma molto libera»: così Pietro G. Beltrami, La metrica italiana, Bolo-gna, il Mulino, 2002, p. 327.

14 F. Brugnolo, «Voi che guardate …» cit., p. 315.15 G. Capovilla, Materiali per la morfologia e la storia del madrigale ‘antico’, dal Ms Vaticano Rossi 215 al

Novecento, in «Metrica», III, 1982, pp. 163-64 e n. 8.16 F. Alberto Gallo, Il Medioevo, II, Torino, E.D.T., pp. 61-64.17 Si veda il commento di Marco Santagata al Canzoniere di Petrarca, Milano, Mondadori, 1996, pp.

268-69, 566. Il madrigale di Lancillotto Anguissola, La bella stella che sua fiamma tene, fu musicato da Gio-vanni da Cascia (o da Firenze).

18 G. Capovilla, Materiali per la morfologia cit., pp. 166 e 180.19 Antonio da Tempo, Summa artis rithimici vulgaris dictaminis. Edizione critica a cura di R. Andrews,

Bologna, Commissione per i testi di lingua, 1977, p. 70.20 Gidino da Sommacampagna, Trattato inedito dei ritmi volgari, a cura di G. B. C. Giuliari, Bologna,

G. Romagnoli, 1870 (rist. an.: Bologna, Forni, 1968), p. 133.21 G. Capovilla, Materiali per la morfologia cit., pp. 181-82 («cenni che s’approssimano alle direttrici

tecnico-stilistiche dei testi pervenutici; lasciando così supporre che l’autore di queste delucidazioni sitrovasse a registrare tendenze già largamente in atto»). Il Capitulum si legge, dietro la Summa di Antonio,nel ms. Lat. XII.97 della Biblioteca Nazionale di San Marco a Venezia e fu pubblicato da Santorre De-benedetti negli «Studi Medievali», II, 1906, pp. 59-77; e recentemente da Thorsten e Oliver Huck, Vocesapplicatae verbis. Ein musicologischer und poetologischer Traktat aus dem 14. Jahrhundert, in «Acta Musicologi-ca», LXXIV, 2002, pp. 1-34. Elena Abramov-Van Rijk sostiene con argomenti molto convincenti che ilCapitulum fu composto dopo il 1332 ed è quindi posteriore alla Summa di Antonio da Tempo (Eviden-ce for a revised dating of the anonymous fourteenth-century Italian tratise Capitulum de vocis applicatis verbis,in «Plain song and Medieval Music», XVI, 2007, 1, pp. 19-30. La posteriorità del Capitulum è stata di re-cente ribadita da M. S. Lannutti, Implicazioni musicali nella versificazione italiana del Due-Trecento (con un ex-cursus sulla rima interna da Guittone a Petrarca), «Stilistica e metrica italiana», IX, 2009, p. 22. n. 9. Devo lasegnalazione ad Aldo Menichetti.

22 Francesco da Barberino, Documenti d’Amore, ed. Albertazzi cit., vol. II, p. 316. In precedenza, p. 315,si allude a non meglio specificati voluntarij, forse così definiti, secondo Guido Capovilla (Materiali per lamorfologia cit., pp. 180-81), in rapporto alla spontaneità o alla «peculiare sregolatezza» del genere.

23 «L’immagine musicale della consonanza […] prospetta un’analogia tra testo poetico e testo musi-cale tipica della polifonia medievale»: F. Alberto Gallo, Il Medioevo cit., p. 65.

24 Isidoro di Siviglia, Etimologie o origini, a cura di A. Valastro Canale, Torino, Utet, 2006, vol. I, p. 522.25 Francesco da Barberino, Documenti d’Amore, ed. Albertazzi cit., vol. II, p. 315.26 Antonio da Tempo, Summa artis rithimici vulgaris dictaminis …, ed. cit., p. 79: «ego vero de quolibet

ex modis infrascriptis compilabo exempli gratia solum aliquos paucos versus causa demonstrandi tantumformas, quia sic posset fieri singulatim usque quasi ad infinitum, secundum materiam rithimantium». L’e-semplificazione è sufficiente a consentire l’inserimento dell’iscrizione campita nell’affresco del Paradisodipinto dal Guariento nel Palazzo Ducale di Venezia, citata da Brugnolo, nel canone di un serventesiussimplex et cruciatus, piuttosto che come sequenza ABA (terzina) + B (verso finale concatenato). Alla ma-trice del serventese si affida Maria Cristina Panzera per collegare i tristici monorimi AaA, BbB ecc. del-

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la parte VI dei Documenti; le quartine AbbA, CddC ecc., della parte III; le gobboleABbC, cDdE ecc. del-la parte I, senza tuttavia fare riferimento al tristico ABB (M. C. Panzera, Varietà metrica e stroficità nei Do-cumenti d’Amore di Francesco da Barberino cit., pp. 100-01).

27 Adotto l’utile espediente di Roberto Antonelli, R. Antonelli, L’invenzione del sonetto, in Miscellaneadi studi in onore di Aurelio Roncaglia a cinquant’anni dalla sua laurea, Modena, Mucchi, 1989, p. 39 n. 7: iltipo è «frutto di un’astrazione formale di parte di uno schema metrico reale, indipendentemente dallarime precedenti, che modifico nel senso che prescindo dalla posizione della sequenza e dal computo sil-labico dei versi».

28 Nel suggerire gli exempla che facciano «corda … crescere» degli uditori Francesco da Barberinocita testi (in primo luogo la Bibbia) e autori dai quali attingere: «de modernis ut notarii Iacobi, Guitto-nis de Aretio, domini Guidonis Guiniçelli, Guidonis Cavalcanti, Dantis Aligherii, domini Cini de Pisto-rio, Dini Compagni et multorum proborum dicta et actus que, si non dormieris, poteris recenseri» (Do-cumenti d’Amore, ed. Albertazzi cit., vol. II, p. 63).

29 L. Biadene, Morfologia del sonetto nei secoli XIII-XIV, Firenze, Le Lettere, 19772, pp. 37-38; France-sco da Barberino, Reggimento e costumi di donna. Edizione critica a cura di G. E. Sansone, Roma, Zauli,19952, pp. 38-39. I due sonetti editi da Giuseppe E. Sansone, Il canzoniere stilnovistico di Francesco da Bar-berino [1997], in Barberiniana e altra italianistica, a cura di M. Milali, Alessandria, Edizioni dell’Orso, 2005,p. 28.

30 Corrispondono ai numeri 52, 81, 105, 105b (Matteo Mezzovillani) e 108 nell’edizione curata daElena Maria Duso: G. Quirini, Rime, Roma-Padova, Editrice Antenore, 2002; L. Biadene, Morfologia delsonetto nei secoli XIII e XIX cit, pp. 70-71.

31 M. C. Panzera (Varietà metrica e stroficità nei Documenti d’Amore cit., p. 100) addita per il distico l’a-scendenza dal serventesius duplex o duatus, ma persistono le perplessità sopra esposte.

32 Francesco da Barberino, I Documenti d’Amore, ed. Albertazzi cit., vol. II, pp. 314-15.33 Francesco da Barberino, I Documenti d’Amore, ed. Albertazzi cit., vol. II, p. 314. 34 Francesco da Barberino, I Documenti d’Amore, ed. Albertazzi cit., vol. I, p. 134.35 Francesco da Barberino, I Documenti d’Amore, ed. Albertazzi cit., vol. II, p. 238. (Egidi nella sua edi-

zione dei Documenti d’Amore, vol. II, p. 85, stampa videre in luogo di videlicet). 36 Tre le gobule di dodici versi (Regule XXXVIII, LXXXV, XCVI), due di undici (Regule CX,

CXXVI), una di diciassette (Regula IX), una di diciotto (Regula XXXIX). Per un completo inventario,basterà rinviare all’elenco, compilato dal benemerito Francesco Egidi, I documenti d’Amore, ed. cit., vol.IV, pp. 134-37: gli esempi di gobule di tre versi ABB si trovano a partire dalla Pars secunda, Documentumquintum, in diciotto regulae e in due mottetti del Documentum sextum, a cui sono da aggiungere le quat-tordici gobole della miniatura della canzone d’Amore.

37 Francesco da Barberino, Reggimento e costumi di donna, ed. cit., p. 5.38 Francesco da Barberino, Reggimento e costumi di donna, ed. cit., pp. 9, 19, 39, 74, 180-86. Nelle pa-

gine introduttive, dedicate anche alla versificazione, il curatore non tocca delle strutture strofiche, allu-dendo soltanto alla polimetria, modo poetico congeniale all’autore (p. LXXXIX e n. 1).

39 Si escludono le forme irregolari segnalate da Egidi nella n. 4 a p. 133 nel vol. IV della sua edi-zione.

40 L’indice metrico dei Mottetti è redatto da Daniela Goldin, Un gioco poetico di società: i Mottetti diFrancesco da Barberino, «Giornale storico della letteratura italiana», CL, 1973, p. 272. Si veda ora C. Giun-ta, Sul ‘mottetto’ di Guido Cavalcanti, «Studi di filologia italiana», LVIII, 2000, pp. 5-28; e Ancora sul ‘mot-tetto’ di Guido Cavalcanti, «Stilistica e metrica italiana», V, 2005, pp. 311-27.

41 Francesco da Barberino, I Documenti d’Amore, ed. Albertazzi cit., vol. II, p. 10: «Sed quia hic spa-tium tot dicta et figuras adduci bene non patitur, igitur in fine huius libri et toto libro expedito inve-nies eandem figuram pictam et tredecim alias figuras sub ea in quibus representantur modi et actus etpassiones amantium, et apud dictas figuras invenies quandam cantiones et quasdam gobulas vulgares».

42 Francesco da Barberino, I Documenti d’Amore, ed. Albertazzi cit., vol. II, p. 577.43 Francesco da Barberino, I Documenti d’Amore, ed. Egidi cit., vol. III, p. 407 n. 2.44 Francesco da Barberino, I Documenti d’Amore, ed. Albertazzi cit., vol. II, p. 581-82: nella glossa la-

Francesco da Barberino, la gobula e il tristico ABB

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tina dei religiosi è detto: «Gobula ista comunis est predictorum duorum […] ipsi duo de se locuntur»;in quella dei coniugi: «ista gobula est viri et uxoris et ideo sunt duo in una figura ut vides, et quia ipsisunt in matrimonio et clare lictera potest adaptari me amplius non extendam quia clara et licita est».

45 Corretta la definizione di gobula che figura nel glossario metrico del manuale di Beltrami (La me-trica italiana cit., p. 396): «Termine equivalente al prov. cobla, it. cobbola, cioè genericamente ‘strofa, stan-za’, usato da Francesco da Barberino per vari tipi metrici nei suoi Documenti d’Amore e nel Reggimento ecostumi di donna».

46 Francesco da Barberino, Documenti d’Amore, ed. Albertazzi cit., vol. II, p. 315.47 Aldo Menichetti, Metrica italiana. Fondamenti metrici, prosodia, rima, Padova, Antenore, 1993, p. 122

afferma che non è chiaro se l’xi ‘vitium’ … alluda al verso irrelato o anarimo (nella terminologia da luiproposta anarimo è il verso privo di rispondenza nell’ambito strofico di una canzone a coblas singulars,mentre irrelato si specifica entro la strofe isolatamente considerata nella canzone a coblas unissonans, nel-le quali la rispondenza rimica è ripetutamente recuperata nella verticalità del testo (pp. 120-21). Nellecanzoni e nella ballata di Francesco non si riscontrano versi iniziali isolati nella testura, che occorronoinvece nelle strofe dei Documenti e nelle monostrofiche gobole delle Regole e Mottetti (cfr. Francesco daBarberino, Documenti d’Amore, ed. Egidi cit., vol. IV. pp. 133-38). Qui si adotterà convenzionalmente iltermine di irrelato.

48 D. Goldin, Un gioco poetico di società cit., p. 271.49 Si cita, ad esempio, la Regula VI: «Magion non face l’om, ma homo quella. / Dunqua vertù ben

giace / in quel che vuol la sua fama verace». Per una compiuta rassegna dei testi proverbiali medievali sirinvia a C. Segre, Le forme e le tradizione didattiche, in Grundriss der romanischen Literaturen des Mittelalters,hrgb. von H. R. Jauss und E. Köhler, Heidelberg, Winter, 1968, vol. VI, t. I (La littérature didactique, alle-gorique et satirique), pp. 102-08; per lo stile proverbiale tuttora valide le brevi, ma acute notazioni di P.Zumthor, Semiotica e poetica medievale. Trad. it. di M. Liborio, Milano, Feltrinelli, 1973, pp. 79-80.

50 R. Antonelli, Repertorio metrico della scuola poetica siciliana, Palermo, Centro di Studi filologici e lin-guistici siciliani, 1984, n° 132, 136, 138, 141-42, 145, 149-50, 155-56,158,-59, 161, 165, 173, 191-92,199.

51 R. Antonelli, Repertorio metrico cit., n° 212-14, 218-25, 229-31, 235-51, 253, 256-66, 268-83, 285-312, 314-21, 323-24, 329-31.

52 A. Solimena, Repertorio metrico dei siculo-toscani, Palermo, Centro di Studi filologici e linguistici si-ciliani, 1984, n° 297, 302-313, 316, 318-28, 331-37, 339-41, 343-56, 358-71, 373-77 (|abc|); n° 220,222, 225-26, 228, 231, 236, 239-40, 243, 245, 255, 259, 271-72, 295 (|ab[b]c|).

53 Guittone d’Arezzo, Lettere. Edizione critica a cura di C. Margueron, Bologna, Commissione per itesti di lingua, 1990, p. 191. Adriana Solimena, Repertorio metrico, cit., n° 295 non segmenta gli undiciversi della canzone di Guittone e per quella di Lapuccio, n° 157, riconosce nella fronte due piedi: ab-baab, abbaab.

54 A. Solimena, Repertorio metrico dello Stilnovo, Roma, Società Filologica Romana, 1980, n° 110 (ri-presa YzY). Non si tiene conto del sonetto di Guido Orlandi, Per troppa sottiglianza il fil si rompe, inven-tariato dubitosamente dalla Solimena (Repertorio metrico dello Stilnovo cit., n° 97), perché, appunto, si trat-ta di un sonetto dalla «fronte decastica specialmente praticata da Monte Andrea», come esattamente chia-risce Domenico De Robertis nel suo commento alle Rime di Guido Cavalcanti, Torino, Einaudi, 1986,p. 198.

55 A. Menichetti, Riletture di testi antichi. 1. Neri de’ Visdomini, 2. Bonagiunta e Dante, «Medioevo ro-manzo», V, 1978, pp. 355-61. La proposta è accolta dall’ultimo commentatore: Guido Guinizzelli, Rime,a cura di L. Rossi, Torino, Einaudi, 2002, pp. 105-06.

56 Guido Guinizelli, Madonna, il fino amore ch’io vi porto; Donna, l’amor mi sforza – ma nella terza equarta strofe si ripetono rime della fronte –, Con gran disio pensando lungamente; Donna, lo fino amore, ri-tenute apocrife da Luciano Rossi, ed. cit., pp. 109, 112; Dante Alighieri, Amor, da che convien; Donna pie-tosa; E’ m’incresce di me sì duramente; Io sento sì d’Amor; Io son venuto; La dispietata mente; Li occhi dolenti; Lodoloroso amor; Quantunque volte, lasso!, mi rimembra; Voi che’ntendendo; Ai faus ris (in tutte la rima C si re-plica nella concatenatio, nelle ultime due nel secondo piede si invertono le rime |ab|).

GIANCARLO BRESCHI

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57 A. Pelosi, La canzone italiana del Trecento, «Metrica», V, 1990, pp. 3-162.58 Francesco da Barberino, Documenti d’Amore, ed. Albertazzi cit., vol. II, p. 84-85.59 Destinato al Monge de Montaudon, a Giraut de Bornelh, a Guilhem Ademar, per esempio: «ut

inquid Monachus de Montalto in provinciali», «Dixit Giraut de Brunel provincialis in lingua sua», «Guil-lelmus autem Aemaris provincialis dixit» (Francesco da Barberino, Documenti d’Amore, ed. Albertazzi cit.,vol. II, pp. 73, 210). Per la variante oitanica viene adottato il termine gallicus.

60 Francesco da Barberino, Documenti d’Amore, ed. Albertazzi cit., vol. II, p. 212.61 Tuttora inappuntabile per informazione e rigore A. Thomas, Francesco da Barberino et la littérature

provençale en Italie au Moyen Age, Paris, Thorin, 1883, pp. 103-27. Sui contatti trobadorici di Francesco daBarberino l’importante volume di Stefano Asperti, Carlo I d’Angiò e i trovatori. Componenti provenzali eangioine nella tradizione manoscritta della lirica trobadorica, Ravenna, Longo Editore, 1995, pp. 36-37 (con-ferma, tra l’altro, la menzione di Arnaut Catalan e di Ademar de Rocaficha, presenti entrambi nel can-zoniere M).

62 Nell’Index nominum dell’Egidi (ed. cit. dei Documenti d’ Amore) Uc Brunenc (Nuc Brunenct) com-pare sotto Brunect provincialis.

63 Non è questa la sede opportuna per affrontare una discussione sugli stemmi proposti nelle edi-zioni di Folquet de Marseille, Gaucelm Faidit, Guiraut de Borneil, Peire Vidal, Peirol e Uc Brunenc. Ba-sti accennare al fatto che le citazioni barberiniane non risultano omogenee quanto alla possibile fonte.

64 Las Leys d’Amors. Manuscrit de l’Académie des Jeux Floraux publié par J. Anglade, Toulouse, Pri-vat, 1919, vol. II, pp. 120-21.

65 I. Frank, Répertoire métrique de la poésie des Trobadours, Paris, Champion, 1966, vol. I, p. 1, vol. II, p.68. Frank propone per la canzone di Marcabru due interpretazioni formulari enunciate sotto i numeri1 e 196, 2; sulle possibili soluzioni, con esame della bibliografia precedente, si confrontano gli ultimi edi-tori, S. Gant, R. Harvey, L. Paterson, Marcabru. A Critical Edition, Cambridge, Brewer, 2000, pp. 327-29.

66 I. Frank, Répertoire métrique de la poésie des Trobadours cit., vol. I, 1, 1; vol. II, pp. 10, 23, 194 202; Lejeu se sainte Agnès, édité par A. Jeanroy, Paris, Champion, 1931 (alle pp. XI-XIV l’analisi dei morceaux lyri-ques).

67 I. Frank, Répertoire métrique de la poésie des Trobadours cit., vol. II, pp. 41, 213. 68 Giovanni Borriero discute , vagliando, con la larga escussione della bibliografia precedente, le pro-

poste concorrenti e fondando la sua su un rigoroso esame dei segni paragrafali segnati nel canzoniereR: Raimon de Miraval, Dona, la genser c’om demanda (BdT 406.1), in Salutz d’Amor. Edizione critica delcorpus occitanico, a cura di F. Gambino, Roma, Salerno Editrice, 2009, pp. 413-22.

69 C. Di Girolamo, Elementi di versificazione provenzale, Napoli, Liguori, 1979, pp. 55-6.70 R. Antonelli, L’invenzione del sonetto cit., pp. 52-3; e Introduzione a Giacomo da Lentini, in I poeti

della scuola siciliana, vol. I, Milano, Mondadori, 2008, p. LXV.71 Francesco da Barberino, Documenti d’Amore, ed. Egidi cit., vol. II, p. 262.72 Qualche allusione, ormai scaduta a mera reliquia culturale, al supporto melodico nel distinguere

il contesto verbale e metrico si coglie qua e là: cfr. F. Egidi, ed. cit. dei Documenti d’Amore, vol. II, p. 262:«de similitudine [dei pedes e delle volte] autem intelligas, ut sub eisdem vocibus concurrant ad cantum,quoddam additum posto voltas quod egeret alio per se sono».

73 673,2 Guilhem Raimon, 673,4 Mola, 705,6 Bertran Carbonel, 710 anon, 715, 6 anon, 719,1 Guil-hem Raimon, 720,1 Guilhem de l’Olivier, 729 anon, 731,2 Raimon Vidal, 740,1 Matfre Ermengau,745,2 Raimon Rigaut, 746 anon, 749, 4 anon, 750,1 Folquet de Romans, 750,2 Comte de Biandrade,754,1 Bertran Carbonel, 761 Raimon Vidal, 778 anon, 786 Ademar Jordan, 791 Guilhem de Bergue-dan, 828,2 Peire de la Mula, 850 Lo Vesques de Clarmon, 850,2 Dauphin d’Auvergne, 850,3 Elias deBarjols, 850,4 Olivier de la Mar, 879,5 Uc de Saint-Circ.

74 A. Thomas, Francesco da Barberino et la littérature provençale en Italie au Moyen Age cit., pp. 103-27.75 Francesco da Barberino, I Documenti d’Amore, ed. Albertazzi cit., vol. II, p. 447.76 Si noti che Francesco da Barberino è il primo teorico a designare con il termine volta la riparti-

zione omogenea della sirma: Dante adotta versus (De vulgari Eloquentia, II X 4), per aver volgarizzato po-co prima (x 2) con volta la diesis, l’intervallo che segna il mutamento melodico e strutturale della stanza

Francesco da Barberino, la gobula e il tristico ABB

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(cfr. la nota di P. V. Mengaldo nel suo commento al De vulgari Eloquentia, in Dante Alighieri, Opere mi-nori, Milano-Napoli, Ricciardi, 1979, tomo II, p. 211).

77 Gli schemi citati, sempre dall’edizione Albertazzi, vol. I, si trovano alle pp. seguenti: Ab7B, p.136;ABB, p. 138; AaBB, pp. 141-42; aBb Cc Dd Ee …vZZ; p. 403, (a5)B(a5)BC, p. 154; a7Bb7Cc7Dd7Ee7Ff7

… vZZ, p. 63; aa Bb cC dD Ee fF gg Hh iI, p. 213; AbbA CddC EffE …, p. 197; Abbc5c5A, p. 113; a4a4

b7c5c5b7d5d5e6f4f5e7, p. 227 (il computo dei versi è irregolare); Aa7b5b4c7C, p. 393; AbbccD, p. 5 (le primedue gobule, di quattro versi, presentano lo schema ABb7C, Add7C, con la rima finale ripresa all’iniziodella seguente secondo il modello delle coblas capcaudadas.

78 Francesco da Barberino, I Documenti d’Amore, ed. Albertazzi cit., vol. II, pp. 447-48.79 Francesco da Barberino, I Documenti d’Amore, ed. Albertazzi cit., vol. I, p. 149.80 Aldo Menichetti, che ringrazio, insieme con Giuliano Tanturli, per l’attenta lettura, mi suggerisce

di non sottovalutare nella enucleazione del tristico il sussidiario incoraggiamento insito nel responsumdella ballata o ballatella, collocata, immediatamente dopo la canzone, al secondo posto dei modi inve-niendi. Si è già detto che la didassi barberianiana costruisce il responsum della ballata in analogia con i pe-des della canzone: ebbene la serie |abb|, attualizzata in YZZ, copre due terzi degli schemi della ripresa,risultando di gran lunga la più diffusa regesto allestito da Linda Pagnotta, nel suo Repertorio metrico dellaballata italiana. Secoli XIII e XIV, Milano-Napoli, Ricciardi, 1995, pp. 193-94. Persiste tuttavia il dubbioche dalla ripresa della ballata o della ballatella, consigliata allo juniore innamorato a fini propiziatori, po-tesse estrarsi un lacerto strofico adibito ad altra funzione.

81 A. Jeanroy, La poésie lyrique des Troubadours, Toulouse-Paris, Privat-Didier, 1934; si cita dalla ristam-pa anastatica, Genève, Slatkine, 1973, vol. II, p. 274 e n. 281.

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