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Delegati immigrati Una ricerca sui delegati immigrati di: FILCAMS, FILLEA, FIOM E FLAI Matteo Rinaldini, Vanessa Azzeruoli e Paola Tabanelli IRES Emilia-Romagna 03/02/2012

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Delegati immigrati Una ricerca sui delegati immigrati di: FILCAMS, FILLEA, FIOM E FLAI

Matteo Rinaldini, Vanessa Azzeruoli e Paola Tabanelli IRES Emilia-Romagna

03/02/2012

1

Sommario INTRODUZIONE .................................................................................................................................................. 2

Oggetto e obbiettivi di ricerca ....................................................................................................................... 2

Metodologia, tecniche di ricerca e campione di intervistati ......................................................................... 2

Struttura del rapporto ................................................................................................................................... 7

PARTE PRIMA - LE INTERVISTE STRUTTURATE .................................................................................................. 8

Capitolo I - La provenienza dei delegati immigrati ........................................................................................ 8

1 - Il profilo socio-anagrafico ..................................................................................................................... 8

2 - La provenienza culturale, sociale ed economica ................................................................................ 10

3 - La decisione di emigrare ed il percorso migratorio ............................................................................ 12

Capitolo II - Il percorso d’integrazione in Italia dei delegati immigrati ....................................................... 14

1 - Il percorso civico ................................................................................................................................. 15

2 - Il percorso lavorativo .......................................................................................................................... 19

3 - La fase di stabilizzazione ..................................................................................................................... 21

Capitolo III - I DELAGATI DELLA FILCAMS, FILLEA, FIOM E FLAI E L’INCONTRO CON IL SINDACATO ........... 27

1 - I delegati immigrati delle categorie coinvolte nella ricerca ............................................................... 27

2 - L’incontro del sindacato e l’impegno sindacale: dal tesseramento all’elezione ................................ 33

PARTE SECONDA - LE INTERVISTE SEMI-STRUTTURATE .................................................................................. 39

Capitolo I - Contatto, avvicinamento e conoscenza del sindacato .............................................................. 39

1 - Il background esperienziale relativo al sindacato .............................................................................. 39

2 - La situazione locale e relazionale del primo contatto ........................................................................ 43

Capitolo II - Diventare ed essere delegato sindacale .................................................................................. 50

1 - Essere delegati sindacali ..................................................................................................................... 50

2 - Diventare delegati sindacali ............................................................................................................... 53

3 - Il significato di essere delegato sindacale .......................................................................................... 60

Capitolo III - Gli immigrati e il sindacato: funzione, azioni e criticità .......................................................... 67

1 - Il sindacato come agente di integrazione dei migranti ...................................................................... 68

2 - Le criticità del rapporto immigrati/sindacato .................................................................................... 76

2

INTRODUZIONE

Oggetto e obbiettivi di ricerca

Le ricerche che hanno messo in evidenza la strutturalità assunta dal fenomeno migratorio nel territorio

italiano sono ormai numerose. La strutturalità a cui le diverse ricerche si riferiscono non rimanda

semplicemente all’aumento delle presenze straniere e del numero dei lavoratori immigrati e ad una loro

progressiva stabilizzazione sul territorio, ma anche al processo che vede gli immigrati interagire sempre più

intensamente con le strutture sociali ed economiche del paese. Le organizzazioni sindacali non fanno

eccezione. L’alto numero di iscritti immigrati alle tre maggiori confederazioni sindacali italiane è un

termometro della forza del processo a cui si è accennato sopra. Una questione importante che il sindacato

si trova ad affrontare, quindi, concerne l’accesso dei lavoratori migranti a funzioni e ruoli di rappresentanza

e direzione sindacale, nei luoghi di lavoro come delegati e all’interno delle strutture confederali e di

categoria come funzionari e dirigenti. Alcune ricerche recentemente portate a termine su tali questioni

dall’Ires Emilia Romagna, infatti, hanno messo in evidenza l’importanza, ma anche la difficoltà, di mettere

in atto un processo di partecipazione e rappresentanza dei soggetti migranti nel sindacato (Mottura, Cozzi e

Rinaldini, 2010). La crescita significativa del numero degli iscritti stranieri, infatti, non sembra essere stata

realmente accompagnata da una parallela crescente consapevolezza delle inevitabili e più ampie

trasformazioni che tale fenomeno comporta a livello organizzativo ed operativo. In questo contesto, la

costruzione di percorsi sindacali con i lavoratori migranti che vada aldilà dell’iscrizione appare ancora molto

difficile da realizzare. E’ proprio a partire da tali considerazioni che si è progettata la ricerca che si presenta

nelle pagine successive.

L’oggetto della ricerca è la “figura del delegato immigrato”. In particolare l’oggetto della ricerca sono i

delegati immigrati di 4 federazioni di categoria della CGIL (FILCAMS, FILLEA, FIOM e FLAI). La scelta di

queste 4 particolari federazioni di categoria è stata condizionata, oltre che dall’alta presenza di iscritti

immigrati e di delegati immigrati all’interno di esse, anche dal fatto che la presente ricerca si pone in

continuità con la ricerca “Uscire da Babele” (Mottura, Cozzi e Rinaldini, 2010), svolta qualche anno fa sulle

stesse federazioni di categoria. Ma a differenza della ricerca “Uscire da Babele”, che riguardava il rapporto

tra sindacato e immigrati e che ha coinvolto i segretari provinciali delle quattro categorie scritte sopra, in

questo caso si è deciso di concentrare l’attenzione sulla “figura del delegato immigrato” coinvolgendo

direttamente questi ultimi. Chi sono i delegati immigrati? Quali sono stati i loro percorsi di vita? In che

modo sono giunti a prendere la decisione di assumere un impegno sindacale? Quali sono state le difficoltà

incontrate e quali le opportunità sfruttate? Quale visione del sindacato hanno e quale visione del loro ruolo

sindacale? Quali sono le loro riflessioni sul rapporto tra immigrati e sindacato? Queste sono solo alcune

delle domande a cui si è tentato di rispondere con la presente ricerca. Chi scrive è convinto che rispondere

a tali domande significhi anche comprendere meglio il rapporto tra immigrati e sindacato.

L’obbiettivo operativo che l’IRES Emilia Romagna si è proposto con la ricerca è stato quello di fornire

qualche strumento in più all’organizzazione sindacale per far sì che le risposte alle trasformazioni che la

stanno interessando nella sua cultura e nelle sue prassi, non siano il frutto di una sorta di atteggiamento

spontaneo”, ma piuttosto il risultato di una riflessione politica e sociale che tenga conto delle implicazioni

più ampie del carattere strutturale del fenomeno.

Metodologia, tecniche di ricerca e campione di intervistati La ricerca, commissionata dalle 4 federazioni di categoria regionali FILCAMS, FILLEA, FIOM e FLAI, è stata

progettata e portata avanti dall’IRES Emilia Romagna. L’equipe di ricerca della presente ricerca è composta

3

da Matteo Rinaldini (coordinatore), Vanessa Azzeruoli e Paola Tabanelli. Durante la fase di progettazione e

di messa a punto degli strumenti di rilevazione e nel momento di discutere i risultati delle analisi svolte sul

materiale raccolto ci si è avvalsi del prezioso contributo scientifico di Giovanni Mottura e del supporto

organizzativo di Cesare Minghini (decisivo per la riuscita della ricerca stessa).

Il lavoro di campo e l’analisi del materiale raccolto è stato svolto dai membri dell’equipe di ricerca nel corso

del 2011. L’elaborazione e la sistematizzazione dei materiali sono state portate a termine

nell’estate/autunno dello stesso anno. La bozza definitiva del presente rapporto, è stata letta e discussa da

un equipe di ricerca allargata nell’inverno del 2011/2012.

La presente ricerca è una ricerca di tipo esplorativo afferente ad un paradigma interpretativo.

Coerentemente con il paradigma metodologico adottato, la comprensione dell’oggetto di ricerca è stata

perseguita attraverso tecniche di ricerca qualitativa. Per quanto concerne l’organizzazione tecnica e le

modalità esecutive della ricerca, queste sono state decise dal gruppo di ricerca che ha anche elaborato e

messo a punto gli strumenti di rilevazione. In questa sede si è optato per scomporre l’intervista in due fasi:

una prima fase costituita dallo svolgimento di una intervista strutturata face to face; una seconda costituita,

invece, da una intervista semi-strutturata. La scelta di svolgere una intervista strutturata nella prima fase è

derivata dalla necessità di utilizzare una tecnica sufficientemente precisa e rapida che permettesse di

rilevare le informazioni necessarie a ricostruire il profilo socio-anagrafico e migratorio dei soggetti

intervistati. La scelta, invece, di utilizzare l’intervista semi-strutturata nella seconda fase del colloquio è

stata dettata dalla complessità che presenta l’oggetto di ricerca che si è inteso approfondire. Le modalità

con le quali si definisce e successivamente si conduce una intervista semi-strutturata, (traccia degli

argomenti da discutere, flessibilità nella conduzione, relazione empatica tra intervistato e intervistatore,

libertà di approfondimento), è stata ritenuta funzionale alla rilevazione degli aspetti più significativi di una

questione complessa e articolata qual è il rapporto tra sindacato e immigrati. Il ruolo dell’intervistatore

nella raccolta del materiale informativo con questo tipo di tecnica è di grande importanza. Infatti, pur

seguendo una traccia, l’intervistatore è libero di impostare a suo piacimento la conversazione all’interno di

un certo argomento, di decidere quali siano i temi che meritano un approfondimento, di insistere su temi

nuovi emersi durante il colloquio, di variare la sequenza degli argomenti e la formulazione delle domande.

Si è trattato, in altri termini, di una sorta di “sottomissione della metodologia all’oggetto di ricerca”

(Cardano, M., 2003), in quanto, considerata la complessità espressa da quest’ultimo, la sua difficile

riducibilità a variabili prestabilite e la scarsità di altre esperienze di ricerca a riguardo a cui fare riferimento

per eventuali comparazioni o per l’adozione di quadri teorici, si è ritenuto opportuno fare riferimento ad un

paradigma metodologico - e al relativo bagaglio strumentale - che permettesse di adottare un’ampia

flessibilità sia in fase di definizione, che in fase di costruzione della documentazione empirica. La flessibilità

del paradigma metodologico adottato, infatti, ha permesso di evitare di operare a priori una scelta

esclusiva e definitiva della direzione della ricerca e ha dato l’opportunità di decidere in itinere come

strutturare le fasi successive, contemplando anche il “tipico carattere circolare” (ad esempio la ridefinizione

della direzione di ricerca seguita o, ancora, la necessità di approfondire alcuni concetti che

precedentemente non erano stati considerati) della ricerca qualitativa (Meraviglia, C ., 2004). Allo stesso

tempo, la flessibilità del paradigma metodologico adottato ha permesso di utilizzare tecniche di ricerca in

grado di cogliere il più possibile la complessità dell’oggetto di studio limitando (naturalmente non

escludendo) un processo di riduzione a priori.

I soggetti con cui svolgere le interviste sono stati concordati con le Segreterie regionali della FILCAMS, della

FILLEA, della FIOM e della FLAI. L’unico criterio di selezione dei soggetti che è stato posto dall’equipe di

ricerca è quello che i soggetti individuati fossero delegati della FILCAMS, della FILLEA, della FIOM e della

FLAI (o in casi eccezionali semplici rappresentanti informali sul luogo di lavoro dell’organizzazione sindacale

di riferimento) e che avessero una esperienza di immigrazione alle spalle (sono state escluse, quindi, le

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cosiddette seconde generazioni, ma sono stati inclusi gli immigrati che al tempo dell’intervista avevano

acquisito la cittadinanza italiana). Al tempo della ricerca in Emilia Romagna i soggetti che risultavano

corrispondere ai criteri individuati dall’equipe di ricerca erano circa 140 (l’approssimazione del dato deriva

dal fatto che i registri dei delegati delle quattro federazioni di categoria non garantivano la conoscenza

esatta del numero di delegati presenti, tantomeno del numero dei delegati immigrati). Le Segreterie

regionali di ciascuna federazione di categoria hanno individuato successivamente dei referenti territoriali

(funzionari sindacali delle rispettive categorie) e questi ultimi hanno organizzato gli appuntamenti con i

delegati immigrati dei rispettivi territori. Questo ha permesso di avere un filtro fiduciario importante al fine

dell’approccio iniziale e del successivo incontro per l’intervista.

Si è deciso di rilevare i dati dell’intervista strutturata solamente attraverso un apposito questionario ed

eventuali appunti carta/penna presi a margine di esso, mentre l’intervista semi-strutturata è stata

registrata su supporto sonoro. Dopo aver effettuato le prime interviste si è provveduto ad un riesame delle

possibili difficoltà e distorsioni nella formulazione delle domande e delle mancate risposte a specifici temi

in scaletta. Queste scelte di metodo si sono confermate fruttuose per la quantità di informazioni che hanno

permesso di produrre. Dalla quantità e qualità dei dati rilevati è possibile affermare che il tipo di relazione

instauratosi tra intervistatore e intervistati è risultato eccellente e le informazioni fornite dai soggetti sono

risultate sufficientemente chiare e complete. In totale sono state effettuate 68 interviste strutturate e

altrettante interviste semi-strutturate a 68 delegati immigrati. Anche se le informazioni relative al

campione di intervistati saranno approfondite meglio nella prima parte del rapporto è utile anticipare

qualche informazione. Nella tabella seguente sono riportate le province di residenza degli intervistati.

Come è possibile notare tutte le provincie dell’Emilia Romagna sono state toccate dalla ricerca.

Provincia di residenza degli intervistati

N. Percentuale

BO 13 19,1

FO-CE 11 16,2

FE 1 1,5

MO 8 11,8

PC 2 2,9

PR 9 13,2

RA 10 14,7

RE 9 13,2

RN 5 7,4

Total 68 100,0

13 intervistati su 68 (19%) risultano essere delegati della FILCAMS, 11 (17%) della FILLEA, 23 (34%) della

FIOM e 21 (31%) della FLAI.

Categoria di appartenenza degli intervistati

N. Percentuale

FILCAMS 13 19,1

FILLEA 11 16,2

FIOM 23 33,8

FLAI 21 30,9

Total 68 100,0

La componente femminile del campione è risultata minoritaria: solo 12 su 68 intervistati (17,6%) sono

donne.

5

Genere degli intervistati

N. Percentuale

Valid Maschio 56 82,4

Femmina 12 17,6

Total 68 100,0

Le nazionalità dei soggetti intervistati invece risultano essere le più diverse. La nazionalità d’origine

predominante è quella marocchina, seguita dalla senegalese, dalla ghanese, dalla nigeriana e dalla tunisina.

Queste prime 5 nazionalità insieme formano il 57,5% del campione.

N. Percentuale

Valid Marocchina 16 23,5

Senegalese 8 11,8

Ghanese 5 7,4

Nigeriana 5 7,4

Tunisina 5 7,4

Rumena 4 5,9

Albanese 3 4,4

Argentina 3 4,4

Ivoriana 2 2,9

Moldava 2 2,9

Bengalese 1 1,5

Beninese 1 1,5

Bosniaca 1 1,5

Brasiliana 1 1,5

Cingalese 1 1,5

Colombiana 1 1,5

Domenicana 1 1,5

Indiana 1 1,5

Iraniana 1 1,5

Irlandese 1 1,5

Kosovara 1 1,5

Macedone 1 1,5

Pachistana 1 1,5

Spagnola 1 1,5

Tanzaniana 1 1,5

Total 68 100,0

In generale gli intervistati sono risultati essere piuttosto giovani. 24 intervistati su 68 (35,4%) risultano

avere meno di 40 anni e solo 9 (23,2%) di loro risulta avere più di 50 anni.

Anno di nascita degli intervistati per fasce d’età

N. Percentuale Percentuale

cumulata

Valid dai 20 ai 29 anni 2 2,9 2,9

ai 30 ai 39 anni 22 32,4 35,3

dai 40 ai 49 anni 35 51,5 86,8

dai 50 ai 59 anni 9 13,2 100,0

Total 68 100,0

Il livello di scolarizzazione degli intervistati risulta essere piuttosto elevato: solo 11 intervistati su 68 (16,2%)

risultano possedere la licenza elementare o la licenza media, mentre il resto del campione risulta avere

almeno un diploma di scuola superiore.

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Titolo di studio conseguito dagli intervistati

N. Percentuale Percentuale

cumulata

Valid licenza elementare e/o media inferiore 11 16,2 16,2

Diploma superiore o equivalente 38 55,9 72,1

Frequenza universitaria 4 5,9 77,9

Laurea 13 19,1 97,1

Titolo post-laurea o più lauree 2 2,9 100,0

Total 68 100,0

Successivamente al completamento del lavoro di campo si è proceduto all’analisi delle interviste. I dati

raccolti attraverso le interviste strutturate sono stati imputati e sistematizzati in un database

appositamente preparato per l’analisi. Il software utilizzato per svolgere le analisi dei dati è SPSS.

Considerato il numero dei casi rilevati si è proceduto a svolgere semplici analisi descrittive. Ciò non esclude

il fatto che su singoli item possano essere svolte in futuro anche analisi più raffinate. Le interviste semi-

strutturate, invece sono state deregistrate e si è proceduto ad una “analisi a frasi chiave”. Durante la fase di

sistematizzazione e di analisi delle interviste semi-strutturate raccolte si è usufruito del supporto di Atlas.ti

un software di uso comune nelle scienze sociali (Muhr, 1997; Bolasco e Cipriani, 1994; Mantovani e

Spagnoli, 2003; Milesi e Catellani, 2002). Atlas.ti è stato esplicitamente progettato in riferimento al

paradigma teorico della Gounded Theory (Glaser e Strauss, 1967) ed è predisposto per fornire al ricercatore

strumenti per effettuare una analisi del corpus di notizie attraverso un processo del tutto induttivo (o

almeno di un processo di analisi che pretende di essere tale). Tuttavia lo stesso Atlas.ti consente un suo

utilizzo anche per analisi differenti e nelle scienze sociali è largamente utilizzato in questa modalità spuria.

Nella presente ricerca si è utilizzato il software proprio in questa seconda modalità e soprattutto, vista la

mole di materiale da analizzare, come strumento di supporto alla sistematizzazione e alla codificazione del

corpus di informazioni. L’insieme delle interviste ha costituito il corpus testuale. A ogni testo di intervista è

stato fatto corrispondere un codice di documento primario (in Atlas.ti: P. Text). Successivamente si è

proceduto alla codificazione del corpus di notizie attraverso frasi chiave (nella terminologia di Atlas.ti:

codes), alla loro aggregazione, alla loro riduzione e infine ad una loro sistematizzazione in network

semantici di cui si riporta nelle pagine successive anche la rappresentazione grafica.

I singoli delegati immigrati intervistati, naturalmente, rappresentano le unità di rilevazione della presente

ricerca e, come si è scritto nelle pagine precedenti, sulla base dei loro vissuti e delle loro riflessioni si è

tentato di comprendere alcune caratteristiche dei delegati immigrati e alcuni significati attribuiti al ruolo di

delegato sindacale. L’ultimo capitolo della seconda parte, però, tratta del rapporto che si è costruito nel

tempo tra gli immigrati e l’organizzazione sindacale. In questo caso i soggetti intervistati, in quanto delegati

e allo stesso tempo immigrati, sono stati assunti come “osservatori partecipanti privilegiati” del rapporto

tra immigrati e sindacato. In letteratura generalmente con il termine testimone (od osservatore)

privilegiato (o qualificato) si intende un soggetto che non fa parte del fenomeno studiato, ma che, essendo

considerato un profondo conoscitore o un esperto in materia o possedendo una esperienza diretta, è

collocabile in una posizione privilegiata di osservazione (Corbetta, 2003; Garbarino e Palombo, 2006; Del

Zotto, 1988). Tremblay, individua cinque caratteristiche di base che un soggetto deve possedere per essere

considerato osservatore privilegiato: la posizione/ruolo all’interno della comunità (o dell’organizzazione o

di una istituzione, ecc…); una conoscenza dettagliata dell’argomento trattato; la disponibilità a cooperare

con il ricercatore; la capacità di comunicazione; l’imparzialità (Tremblay, 1982). Fatta eccezione per l’ultimo

punto, che appare sorprendentemente naif, gli aspetti elencati da Trembley sono stati tenuti in

considerazione durante l’individuazione dei soggetti da intervistare. Non sarà sfuggito a chi sta leggendo,

tuttavia, il fatto che i soggetti intervistati nella presente ricerca sono stati definiti “osservatori partecipanti

privilegiati”. La specifica di “partecipante” in questo caso è dovuta al fatto che in nessun modo i soggetti

7

selezionati risultano essere esterni al fenomeno studiato, ma che al contrario in questa ricerca si è inteso

attribuire status di osservatore privilegiato a soggetti che risultano pienamente inseriti nei processi studiati.

Struttura del rapporto

Il rapporto è diviso in due parti. Nella prima parte sono contenuti i risultati delle analisi dei dati rilevati

attraverso le interviste strutturate. Il primo capitolo sono riportati alcuni aspetti relativi alle biografie dei

delegati immigrati come genere, età, provenienza, estrazione sociale e culturale e percorso migratorio. Il

secondo capitolo. Il secondo capitolo, invece, è focalizzato sul “percorso di integrazione” inteso come

l’insieme dei passaggi avvenuti su un “piano sociale e giuridico-legale” che hanno caratterizzato il percorso

migratorio. Il terzo capitolo, infine, riporta le analisi dei dati inerenti in senso stretto all’esperienza da

delegato dei soggetti intervistati. Quest’ultimo capitolo intende essere anche una sorta di introduzione per

la seconda parte del rapporto. Nella seconda parte sono contenute le risultanze delle interviste. Anche la

seconda parte è suddivisa in tre capitoli. Il primo capitolo tratta temi relativi a come i soggetti intervistati

sono entrati in contatto ed hanno conosciuto il sindacato. Il secondo capitolo riguarda invece l’esperienza

da delegato sindacale. Il terzo capitolo, infine, è focalizzato sul rapporto tra immigrati e sindacato.

La prima parte del rapporto è stata scritta da Matteo Rinaldini, Paola Tabanelli e Vanessa Azzeruoli. La

seconda parte è stata scritta da Matteo Rinaldini.

8

PARTE PRIMA - LE INTERVISTE STRUTTURATE

Capitolo I - La provenienza dei delegati immigrati

In questo capitolo sono riportati alcuni aspetti relativi alle biografie dei delegati immigrati che sono stati

intervistati durante la ricerca. In particolare si presentano le analisi dei dati relativi al genere, all’età degli

intervistati, alla loro provenienza (da intendersi non solo come paese di origine, ma anche come contesto

culturale e sociale di provenienza) e al loro percorso migratorio. E’ stato chiesto agli intervistati di fornire i

loro dati socio-anagrafici, informazioni relative alle caratteristiche della famiglia d'origine, alla città in cui

sono nati e al percorso di studio e lavorativo svolto nel paese d’origine. Queste informazioni risultano utili

per delineare il background culturale e professionale degli intervistati. Infine sempre all’interno di questo

capitolo si riportano le principali motivazioni che hanno spinto gli intervistati a partire dal loro paese di

origine e ad intraprendere l’impresa migratoria.

1 - Il profilo socio-anagrafico

Dei 68 delegati immigrati intervistati, la larga maggioranza risultano essere uomini (l'82,4%). Come sarà

mostrato nei capitoli successivi, tuttavia, la ripartizione per genere varia significativamente a seconda della

federazione di categoria di riferimento degli intervistati.

L’età media dei delegati immigrati intervistati risulta essere di 43 anni. L’intervistato più giovane ha 23 anni

e il più vecchio 58. Nel complesso l'83,9% degli intervistati ha un'età che rientra in una fascia compresa tra i

30 e i 50 anni; il 51,5% in una fascia compresa tra i 40 e i 50 anni. L'età media, quindi, risulta essere

coerente con le attuali tendenze migratorie. Non si possiedono i dati relativi all’età media dei delegati

italiani delle quattro federazioni di categoria su cui si è svolta la ricerca, ma la sensazione derivante da

colloqui avuti con funzionari sindacali delle stesse categorie è che l’età media dei delegati immigrati risulti

essere inferiore.

Per quanto riguarda i titoli di studio posseduti dai delegati sindacali stranieri intervistati, il 55,9% risulta

avere un diploma e il 19,1% una laurea. Un intervistato su tre ha frequentato almeno uno o due anni di

università, anche se il 5,9% ha lasciato prima di ottenere il titolo. Il 2,9% degli intervistati d’altra parte ha

dichiarato di possedere due lauree. Per quanto riguarda il paese dove è stato ottenuto il titolo di studio,

nell'88,1% coincide con il paese di nascita, mentre nei restanti casi il titolo di studio risulta essere stato

ottenuto in Italia o in un altro paese europeo (spesso la Francia). E’ evidente che gli intervistati risultano

avere un elevato capitale culturale istituzionalizzato, ovvero il patrimonio posseduto di titoli formali

scolastici e non. Gli appunti carta e penna presi durante le interviste (che si ricorda, sono state svolte face

to face) permettono di registrare anche un certo “orgoglio” degli intervistati nel rivendicare il proprio livello

di scolarizzazione accompagnato da una sorta di “frustrazione” e “rassegnazione” rispetto alla possibilità di

vedere riconosciuto in Italia il titolo di studio acquisito nei diversi paesi d’origine. La questione

dell’equipollenza dei titoli di studio degli immigrati, questione non nuova e largamente risaputa dagli

addetti ai lavori, emerge qui in tutta la sua problematicità. Un dato di questo genere dovrebbe essere

particolarmente interessante per un’organizzazione sindacale soprattutto a fronte del fatto che, come è

stato da più parti sottolineato in letteratura, un elevato capitale culturale posseduto dagli individui, se non

adeguatamente valorizzato, rischia più facilmente di creare condizioni di frustrazione, di rassegnazione e di

incentivare exit-strategies in diversi ambiti.

9

Titolo di studio conseguito dagli intervistati

N. Percentuale

licenza elementare e/o media inferiore 11 16,2

Diploma superiore o equivalente 38 55,9

Frequenza universitaria 4 5,9

Laurea 13 19,1

Titolo post-laurea o più lauree 2 2,9

Total 68 100,0

Alla domanda relativa a quale occupazione gli intervistati stessero svolgendo in patria prima di

intraprendere l’esperienza migratoria, la larga maggioranza, il 64,7%, ha risposto che nel periodo

immediatamente precedente alla partenza stava lavorando, il 33,8% che stava studiando, mentre un solo

caso ha risposto che era in cerca di lavoro. Tra quelli che lavoravano, come la tabella riportata sotto mette

in luce, la professione più diffusa risulta essere l'operaio, seguita dal commerciante e dall’artigiano,

dall’impiegato e dal militare e, di seguito, dal marinaio, dall’autista, dall’insegnante e dal ricercatore.

Tipo di lavoro svolto in patria dagli intervistati

N. Percentuale

24 35,3

Artigiano 6 8,8

Avvocato 1 1,5

Cameriere 1 1,5

Commerciante 7 10,3

Commesso 1 1,5

Impiegato 5 7,4

Imprenditore 1 1,5

Insegnante 2 2,9

Marinaio 2 2,9

Militare 5 7,4

Operaio 8 11,8

Operatore turistico 1 1,5

Ricercatore 2 2,9

Tassista/autista 2 2,9

Total 68 100,0

Rispetto alle nazionalità di provenienza, su un totale di 68 delegati di origine straniera sono presenti

rappresentanti di 25 diversi Paesi del mondo con prevalenza di due aree, da ognuna delle quali provengono

circa un terzo dei delegati totali: la sponda sud del Mediterraneo e l'Africa occidentale. Nel dettaglio:

per quanto riguarda l'area del sud del Mediterraneo il 23,5% dei delegati proviene dal Marocco,

mentre il restante 7,4% dalla Tunisia;

gli intervistati provenienti dall'Africa occidentale provengono dal Senegal per l'11,8%, dalla Nigeria

per il 7,4%, dal Ghana per il 7,4%, dalla Costa d’Avorio per il 2,9% e dal Benin per l’1,5%.

circa il 10% dei delegati proviene da Balcani ed Europa dell'Est e in particolare il 5,9% dalla

Romania, il 4,4% dall'Albania, e i restanti da Bosnia, Kosovo, Macedonia e Moldavia;

il 7,3% degli intervistati proviene dall'America del Sud, di cui il 4,4% dall'Argentina e i restanti da

Brasile e Colombia;

il 7,3% dei delegati proviene dall'Asia del Sud e in particolare dall’Iran, dal Pakistan, dall’India, dal

Bangladesh e dallo Sri Lanka;

infine un delegato proviene dalla Repubblica Dominicana, uno dalla Tanzania e due da altri Paesi

dell’Europa occidentale (Irlanda e Spagna).

Da sottolineare il fatto che tra gli intervistati non sono presenti persone di origine cinese. Sebbene la

presenza in Italia di immigrati cinesi sia piuttosto alta (in particolare in Emilia Romagna, la regione dove è

10

stata svolta la ricerca) e la migrazione cinese sia una delle più antiche, le quattro federazioni di categoria su

cui è stata svolta la ricerca non risultano avere nessun delegato sindacale di origine cinese (e anche i

tesserati cinesi risultano essere scarsi rispetto ad altre nazionalità). D’altra parte altre ricerche su sindacato

e immigrazione hanno fatto emergere quanto labile risulti essere il rapporto tra le organizzazioni sindacali

italiane e gli immigrati cinesi (Pintus e Rinaldini, 2010).

2 - La provenienza culturale, sociale ed economica

La ricerca, come già scritto nelle pagine precedenti, si è posta l’obbiettivo di approfondite dimensioni

relative al background sociale e culturale dei delegati immigrati che spesso non sono considerate. In

particolare si è inteso approfondire la dimensione relativa alla famiglia d’origine e quella relativa

all’ambiente urbano in cui gli intervistati sono nati e cresciuti.

Durante le interviste è stato quindi chiesto di indicare il contesto residenziale della famiglia di provenienza

(campagna o città e che tipo di città), il numero di componenti della famiglia d’origine quando l’intervistato

aveva 14 anni, la professione di entrambi i genitori e le condizioni economiche rispetto alle altre famiglie

locali in una scala che comprendeva risposte che variavano da “condizioni molto migliori delle altre famiglie

del luogo” a “condizioni molto peggiori delle altre famiglie del luogo”.

Il 41,8% degli intervistati ha indicato come luogo di residenza della famiglia d’origine una grande città con

più di un milione di abitanti, il 26,9% una città con meno di un milione di abitanti, il 25,4% un piccolo paese

e solo il 6% ha indicato di avere vissuto la sua infanzia e la sua adolescenza in campagna.

Luogo di residenza della famiglia d'origine degli intervistati

N Percentuale Percentuale valida

campagna 4 5,9 6,0

piccolo paese 17 25,0 25,4

città 18 26,5 26,9

grande città (più di 1 mln.) mml.mldiab.)tanti) 28 41,2 41,8

Total 67 98,5 100,0

Missing System 1 1,5

Total 68 100,0

Tra le città da cui gli intervistati hanno dischiarato provenire compaiono alcune capitali e metropoli

densamente popolate:

il 5,9% degli intervistati è nato e cresciuto a Dakar (1.000.000 ab.), capitale del Senegal;

il 5,9% a Casablanca (5.500.000 ab.), la città più popolosa e il porto principale del Marocco;

il 2,9% a Lagos (11.000.000 ab.), capitale economica ed ex capitale amministrativa della Nigeria.

Le tre città riportate sopra risultano essere le più citate dagli intervistati. A queste tre metropoli si

aggiungono altre capitali indicate dai delegati come città di nascita e in cui hanno passato una parte della

loro vita: Londra (7.500.000 ab.), Buenos Aires (3.000.000 ab.), Accra (1.600.000 ab., capitale del Ghana),

Santo Domingo (900.000 ab., capitale della Repubblica Dominicana), Tunisi (700.000 ab., capitale della

Tunisia), Colombo (650.000 ab., ex capitale e città più popolosa dello Sri Lanka). Molte tra le altre città

citate, più o meno famose e più o meno popolate, sono centri urbani del Marocco e della Romania.

Tra le città del Marocco sono state indicate: Rabat (1.600.000 ab.), Marrakech (1.000.000 ab.), Meknes

(500.000 ab.), Ojuda (400.000 ab.), Kenitra (350.000 ab.), Mohamedia (190.000 ab.), Khouribga (160.000

ab.). Tra le città della Romania: Cluj-Napoca (300.000 ab.), Costanza (300.000 ab.), Hunedoara (71.000 ab.)

Oradea (70.000), Calmatul. Tra le città dell’Albania: Durazzo (250.000), Scutari (100.000), Lezhe. Altri centri

urbani indicati dai delegati, città di dimensione più ridotta, ma pur sempre centri urbani, sono: Konongo e

11

Takoradi (335.000 ab.) in Ghana, Buenaventura (300.000 ab.) in Colombia, Kilombero (300.000 ab.) in

Tanzania, Gorgan (270.000) in Iran, Sfax (265.000 ab.) seconda città della Tunisia), Governador Valadares

(250.000 ab.) in Brasile, Tivaouane e Yenne Guedj in Senegal e Vavoua in Costa d'Avorio.

L'attenzione posta sulle città di nascita risulta utile per capire alcuni aspetti relativi all'estrazione culturale e

socioeconomica degli intervistati. Ognuna di queste grandi città meriterebbe di essere descritta e analizzata

in modo approfondito sia su un piano storico, sia rispetto alle recenti trasformazioni, ma questa

naturalmente non è la sede adatta per sviluppare una riflessione di questo tipo. Il fatto, tuttavia, che in

generale gli intervistati risultino provenire da un ambiente urbano non è, a parere di chi scrive, un dato

trascurabile. L’estrazione metropolitana dei delegati immigrati intervistati, con tutte le implicazioni che

questo ha rispetto al background culturale degli individui, risulta essere un “fattore di meticciato” affatto

secondario nei confronti della tradizionale figura del delegato sindacale nell’area in cui si è svolta la ricerca.

La provenienza da un’area metropolitana è sicuramente riscontrabile in misura molto minore nei delegati

sindacali italiani e dove essa è riscontrabile risulta essere comunque collegata ad esperienze di emigrazione

(se mai interna). Nonostante la migrazione abbia portato i delegati immigrati a stabilirsi in piccoli paesi e

città di piccole o medie dimensioni come quelle presenti in Emilia Romagna (anche Bologna per dimensione

non è comparabile a molte delle metropoli citate sopra e tanto meno alle megalopoli da cui risultano

provenire alcuni degli intervistati),per molti di loro il background culturale e sociale risulta essere marcato

dalla loro passata esperienza metropolitana. E tutto ciò emerge anche dalle caratteristiche delle famiglie

d’origine degli intervistati. In genere si tratta di famiglie numerose, che vanno da un minimo di quattro ad

un massimo di trenta componenti (è necessario precisare che agli intervistati è stato richiesto di rispondere

a questa domanda facendo riferimento ai membri della famiglia che risiedevano sotto lo stesso tetto,

ovvero al nucleo famigliare domestico. Questa categorizzazione presenta evidentemente dei limiti, ma è

stata ritenuta sufficiente per dare l’idea della dimensione della famiglia di provenienza degli intervistati).

Nel dettaglio: solo il 12,1% degli intervistati ha indicato di essere cresciuto in una famiglia di quattro

persone; il 63,7% degli intervistati ha dichiarato che all'età di 14 anni la propria famiglia era formata da 5 a

8 componenti; il restante 24,2% ha indicato di essere cresciuto in una famiglia molto numerosa che va dalle

9 alle 30 persone.

Ciò che risulta significativo rispetto alle famiglie di provenienza dei delegati immigrati intervistati è il fatto

che per quanto concerne le professioni dei genitori si tratta quasi sempre di professioni riconducibili ad una

struttura occupazionale di natura urbana. Nel caso del mestiere del padre, infatti, solo il 13,2% ha indicato

agricoltore; la maggior parte dei delegati ha dichiarato che il padre lavorava come operaio (il 26,5%), come

impiegato (il 10,3%) e come commerciante (il 17,6%). In qualche caso, il 5,9% degli intervistati, i padri

risultavano essere imprenditori, mentre altri, il 4,4%, avevano il padre militare. Gli altri intervistati, circa il

20%, hanno dichiarato che il padre svolgeva un'altra professione sempre di natura urbana (autista,

impiegato statale, agente immobiliare, assicuratore, banchiere, ispettore delle imposte, gestore di

lavanderia, infermiere, barbiere, elettricista, muratore, ingegnere, assessore alle politiche sociali, preside di

una scuola, quadro aziendale, vigile del fuoco). Rispetto invece alla professione della madre risulta che il

58,8% delle madri degli intervistati erano casalinghe. A conferma dei dati mostrati sopra, solo il 10,3% dei

delegati ha dichiarato che la madre lavorava nel settore agricolo, mentre quelle che lavoravano come

operaie sono risultate il 7,4%, le impiegate il 2,9% e le commercianti il 13,2%. Altre occupazioni emerse

sono state parrucchiera, infermiera, insegnante e assistente sociale. Quando è stato chiesto di considerare

la condizione economica della famiglia di origine in relazione alle altre famiglie locali una larga maggioranza

degli intervistati, il 59,7%, ha indicato che le condizioni della propria famiglia d'origine erano più o meno

come quelle delle altre famiglie, il 32,8% degli intervistati ha indicato che le condizioni erano migliori o

molto migliori rispetto alle altre famiglie locali (a quest’ultima opzione ha risposto il 7,5% degli intervistati)

12

e solo il 7,5% degli intervistati ha dichiarato che la propria famiglia possedeva condizioni economiche

peggiori rispetto alle altre famiglie.

3 - La decisione di emigrare ed il percorso migratorio

Per quanto riguarda le ragioni che hanno portato gli intervistati ad intraprendere l'esperienza migratoria, è

necessario suddividerle in due grandi insiemi: il primo relativo ai motivi di uscita dal proprio paese; il

secondo relativo invece alle ragioni dell'arrivo in Italia. Alcune persone hanno indicato più di una risposta.

Per quanto riguarda le motivazioni per emigrare dal paese di provenienza, su un totale di 84 risposte date,

il 38,1% di queste indicano “problemi economici”, mentre il 21,4% il “desiderio di libertà/spirito di

avventura”. La motivazione “ricongiungimento familiare” rappresenta il 14,3% delle risposte. A seguire le

risposte più ricorrenti sono “problemi politici” (13%), “motivi di studio” (12%) e “motivi di salute (1,2%).

Motivazione della partenza dal paese d'origine

N. Percentuale

problemi economici/per migliorare la condizione economica 32 38,1

problemi politici 11 13

desiderio di libertà/spirito d'avventura 18 21,4

ricongiungimento famigliare 12 14,3

studio 10 12

motivi di salute 1 1,2

Total 84 100

La decisione di partire e lasciare il proprio paese sembra, quindi, essere stata guidata prevalentemente da

motivazioni economiche e dalla ricerca di un miglioramento delle proprie condizioni economiche, ma anche

il desiderio di “vedere il mondo” (così spesso è stato detto dagli intervistati durante l’intervista) riveste un

peso significativo nel processo decisionale che ha portato alla scelta di emigrare. La scelta dell'Italia come

paese di destinazione sembra, invece, essere guidata più da ragioni famigliari e relazionali che economiche.

Infatti, nell'indicare le motivazioni di ingresso in Italia, su 74 risposte date:

la metà esatta delle risposte, il 50%, riguarda motivi riconducibili alla presenza di parenti o

connazionali o al ricongiungimento familiare;

solo il 16,3% delle risposte indica l’opportunità di trovare lavoro;

il 13,5% delle risposte indica la prossimità culturale verso l'Italia;

il 12,2% delle risposte si riferisce alla facilità di ingresso;

infine il 5,4% delle risposte si riferisce a motivi di studio, l'1,3% a motivi di salute e l'1,3% al fatto

che l’Italia sarebbe dovuto essere un luogo di transito verso mete più ambite.

Motivo della scelta dell'Italia

N. Percentuale

presenza di parenti o connazionali 34 46

facilità d'ingresso 9 12,1

prossimità culturale/interesse per l'Italia 10 13,5

opportunità di trovare lavoro 11 14,9

studio 4 5,4

salute 1 1,35

per affari 1 1,35

ricongiungimento famigliare 2 2,7

amore 1 1,35

paese di transito 1 1,35

Total 74 100

13

Il ruolo delle reti relazionali si conferma essere particolarmente importante per i processi migratori e in

particolare per la scelta del luogo di destinazione della migrazione. Tutto ciò non rappresenta una novità,

ma se mai una conferma di ciò che in letteratura è già largamente risaputo. I processi migratori

contemporanei come e più di quelli del passato tendono a riprodursi attraverso i complessi reticoli

relazionali a disposizione dei migranti (e da loro stessi costruiti); reticoli relazionali sempre più situati in una

dimensione transnazionale, in un campo sociale deterritorializzato, che tuttavia trova la sua reificazione in

una esperienza migratoria dal carattere sempre meno lineare. Non a caso mentre il 61,8% degli intervistati

dopo la partenza dal paese d'origine è arrivato direttamente in Italia, ben il 38,2% prima di giungere in Italia

risulta avere risieduto in un altro paese.

Permanenza in altri paesi prima di giungere in Italia

N. Percentuale

si 26 38,2

no 42 61,8

Total 68 100,0

La permanenza in un altro paese di questa parte di intervistati è durata circa un anno per il 60,9% dei casi; il

restante 39,1% ha risieduto in un altro paese per un periodo che va da due a dodici anni.

Tempo di permanenza in altri paesi prima dell'Italia

N. Percentuale Percentuale valida

un anno o meno 14 20,6 60,9

due anni 3 4,4 13,0

tre anni 1 1,5 4,3

cinque anni 1 1,5 4,3

sei anni 1 1,5 4,3

nove anni 1 1,5 4,3

undici anni 1 1,5 4,3

dodici anni 1 1,5 4,3

Total 23 33,8 100,0

Missing System 45 66,2

Total 68 100,0

A conferma del carattere non-lineare del percorso migratorio, per quanto riguarda le province di residenza

in Italia, il 53,7% degli intervistati dichiara di avere sempre vissuto nella provincia dove risiedeva al

momento dell’intervista, ma il restante 46,3% dichiara di avere vissuto anche in altre province italiane; di

questi ultimi il 35% dichiara di avere vissuto in una regione del Mezzogiorno, il 27,5% in una regione del

centro Italia, il 17,5% in una regione del nord Italia e il 20% di avere vissuto in più zone della penisola.

Rispetto all’arrivo in Italia, più del 50% degli intervistati è presente da una ventina di anni e quasi il 90%

almeno dal 2000. Nel dettaglio, suddividendo gli arrivi in Italia a seconda della legislazione vigente nel

periodo di arrivo, emerge come il 30,9% sia giunto in Italia prima della legge Martelli del 1990, il 36,8% sia

entrato tra il 1990 e il 1997 con la legge Martelli, il 22,1% tra il 1998 e il 2002 con la Turco-Napolitano e solo

il 10,3% degli intervistati risulta essere arrivato in Italia dopo la legge Bossi-Fini del 2002. Le questioni

relative all'entrata in Italia, allo status di residenza posseduto nel momento di ingresso nel Paese e agli

status di residenza acquisiti in seguito verranno trattate con maggiori dettaglio nel secondo capitolo. Per

ora è sufficiente notare il fatto che una buona parte degli intervistati hanno passato periodi di soggiorno

irregolare in Italia.

Sulla base di ciò che è stato riportato sopra, si può quindi già concludere che molti dei delegati intervistati

non hanno seguito un percorso migratorio diretto dal proprio luogo di nascita fino alla città dove vivevano

al momento dell’intervista, ma hanno intrapreso una strada con tappe intermedie in altri Paesi europei o in

14

altre regioni d'Italia. Come già scritto, tale dato risulta essere in linea con una delle caratteristiche principali

dei processi migratori contemporanei: il ruolo delle “reti transnazionali” e l’inserimento degli immigrati in

esse.

Capitolo II - Il percorso d’integrazione in Italia dei delegati immigrati

In questo capitolo si da conto delle analisi delle risposte fornite dagli intervistati relative alle tematiche

comprese nella parte del questionario focalizzato sul “percorso di integrazione”. Con “percorso di

integrazione” si intende in questo caso l’insieme dei passaggi avvenuti su un “piano sociale e giuridico-

legale” che hanno caratterizzato il percorso migratorio. Naturalmente non è stato possibile indagare tutti

gli aspetti che possono essere compresi in ciò che è stato definito sopra “piano sociale e giuridico-legale” e

di conseguenza si è deciso di concentrare l’attenzione solo su alcuni di essi che chi scrive ritiene

particolarmente importanti, ovvero aspetti in grado di fornire informazioni significative rispetto alle

condizioni sociali e giuridico-legali appartenute in passato al campione di delegati immigrati intervistati.

Si è cercato, quindi, di capire quale sia stato il percorso civico dei soggetti intervistati, ovvero i cambiamenti

intervenuti sul loro status di residenza e conseguentemente l’evoluzione del loro accesso ai diritti sociali,

civili e politici in Italia. Contemporaneamente si è concentrata l’attenzione sul percorso lavorativo degli

intervistati. Non c’è dubbio, infatti, che la dimensione lavorativa sia uno degli aspetti centrali per

comprendere l’integrazione sociale di qualsivoglia soggetto in un determinato contesto sociale. La

condizione lavorativa e il percorso lavorativo passato, tuttavia, risultano essere ancora più importante per

delineare le caratteristiche del percorso di integrazione se i soggetti a cui ci si riferisce sono immigrati, in

quanto il lavoro e le sue caratteristiche risultano essere centrali anche per la loro condizione di residenza a

cui si è fatto riferimento sopra. Infine si sono raccolte e analizzate alcune informazioni relative alla

dimensione famigliare e abitativa nel momento in cui si è svolta l’intervista per avere una fotografia

dell’attuale condizione di integrazione sociale nel contesto locale degli intervistati.

Soprattutto per i primi due punti, corrispondenti ai primi due paragrafi del presente capitolo, si è deciso di

considerare centrale nell’analisi la variabile relativa al tempo d’arrivo in Italia rispetto ai principali

provvedimenti normativi in materia di immigrazione che si sono susseguiti in Italia. Suddividere la storia

dell’immigrazione italiana attraverso le politiche migratorie che si sono avvicendate e l’analisi di alcuni

aspetti dei processi migratori (così come le biografie degli immigrati) attraverso tale suddivisione è una

operazione diffusa all’interno della letteratura italiana sull’immigrazione. Le diverse politiche migratorie

inevitabilmente agiscono (naturalmente non determinano) non solo sulle condizioni di entrata degli

immigrati, ma anche sui loro percorsi di integrazione. Il filo rosso dei diversi interventi normativi

sull’immigrazione è rappresentato dal processo di consolidamento di un sistema di “stratificazione civica” a

cui hanno contribuito le diverse politiche migratorie italiane durante gli ultimi 30 anni. Tale processo di

consolidamento di un sistema di “stratificazione civica” ha prodotto una crescente differenziazione degli

status di residenza degli immigrati e una distribuzione ineguale dei diritti di cittadinanza tra immigrati e

autoctoni e tra gli immigrati stessi. Allo stesso tempo è indubbio che il modello di integrazione socio-

giuridica basato sulla differenziazione degli status di residenza e dei diritti ad essi collegati si è consolidato

gradualmente nel tempo e che da un provvedimento normativo all’altro ha assunto caratteristiche sempre

più restrittive sia riguardo la regolazione degli accessi dei migranti, che rispetto al loro percorso di

integrazione. Inoltre, se è vero che il lavoro è sempre stato un elemento centrale nella regolazione dei flussi

e dell’integrazione degli immigrati, man mano che si sono succeduti i diversi provvedimenti normativi il

possesso e la durata di un contratto di lavoro sono sempre più stati assunti come due elementi chiave per

transitare (non necessariamente in senso ascendente) da uno status di residenza all’altro. In altri termini,

nonostante in ciascun provvedimento normativo siano rintracciabili elementi che hanno contribuito alla

15

costruzione di un sistema di stratificazione civica, per un immigrato essere entrato o avere soggiornato in

Italia prima o dopo la legge Martelli ha avuto delle ricadute importanti sulla condizione socio-giuridica e sul

percorso di integrazione (e lo stesso si può affermare per la Turco-Napolitano e soprattutto per la Bossi-

Fini).

1 - Il percorso civico

La distribuzione per status di residenza posseduto dagli intervistati al momento dell’intervista è quella

riportata nella tabella seguente. E’ evidente il fatto che in generale i delegati immigrati intervistati risultano

avere acquisito uno status di residenza che garantisce una certa sicurezza sul piano del soggiorno e un

relativamente elevato accesso ai diritti sociali, civili e in molti casi anche politici.

Status di residenza degli intervistati al momento dell’intervista

N. Percentuale

permesso di soggiorno 4 5,88

carta di soggiorno 39 57,35

cittadinanza italiana 20 29,41

cittadinanza di un paese comunitario 5 7,35

Total 68 100,00

Nel dettaglio, solo 4 degli intervistati risultano avere ancora un permesso di soggiorno a breve termine,

mentre la percentuale più alta risulta essere quella di coloro che possiedono un permesso di soggiorno a

lungo termine o ex-carta di soggiorno (39 nel complesso, il 57,3% del totale). Infine, una percentuale

significativa di delegati intervistati, il 29,41%, risulta avere acquisito la cittadinanza italiana.

I delegati immigrati intervistati risultano essere arrivati in Italia in momenti diversi compresi in un arco di

tempo che va dal 1974 al 2007. Gli anni di arrivo in Italia degli intervistati, dunque, coprono tutta la storia

dell’immigrazione italiana:

nei due decenni ’70 e ’80 è arrivato il 30,9% degli intervistati;

negli anni ’90 è arrivato, invece, il 48,5%;

dal 2000 ad oggi, infine, sono arrivati, il 20,6% degli intervistati.

E’ interessante il fatto che durante il biennio ’90 - ’91 sono arrivati il 21,6% degli immigrati intervistati e

quindi il fatto che nel 1991 erano già giunti in Italia il 52,5% del campione. In generale i delegati intervistati

sono arrivati prevalentemente durante gli anni ’90, mentre rispetto all’ultimo decennio la percentuale

risulta calare significativamente. Il 50% degli intervistati, quindi, ha una anzianità migratoria (in Italia) di

almeno 20 anni.

Come già anticipato nelle pagine precedenti le date in cui sono entrate in vigore le leggi sull’immigrazione

costituiscono dei riferimenti temporali precisi per leggere i cambiamenti del contesto in cui si sono insediati

gli immigrati e proprio tali date sono state utilizzate per la costruzione di una periodizzazione utile all’analisi

delle informazioni ricavate dalle interviste strutturate. La tabella successiva riporta la suddivisione degli

arrivi degli intervistati rispetto alle leggi sull’immigrazione che si sono susseguite in Italia. La maggioranza

del campione degli intervistati è arrivata in Italia prima della legge Turco Napolitano (il 67,6%), la prima

legge organica sull’immigrazione che ha gettato le basi per l’affermazione di un sistema di regolazione degli

accessi e dell’integrazione degli immigrati. Il 30,9% (21 casi) è arrivata in Italia addirittura prima del 1990,

l’anno della legge Martelli, dunque in un periodo in cui l’Italia non era ancora dotata di una vera e propria

legge sull’immigrazione (fatta eccezione per la legge 943 del 1986).

16

Periodo di arrivo degli intervistati rispetto alle leggi sull'immigrazione

N. Percentuale Percentuale cumulata

Fino al 1989 (pre-Martelli) 21 30,9 30,9

Dal 1990 al 1997 25 36,8 67,6

Dal 1998 al 2001 15 22,1 89,7

Dal 2002 in poi 7 10,3 100,0

Total 68 100,0

Rispetto allo status di residenza che gli intervistati hanno dichiarato di possedere nel momento in cui sono

entrati in Italia emerge innanzi tutto che il 22,7% del totale degli intervistati è entrato in Italia senza

documenti (da clandestino) e soprattutto che il 43,9% è entrato in Italia con un visto turistico, il quale

avendo durata breve e soprattutto non potendo essere convertito in un permesso di soggiorno per altro

motivo, una volta scaduto ha privato della regolarità della residenza coloro che lo possedevano. In altri

termini il 66,6% dei delegati sindacali intervistati ha passato un primo periodo di immigrazione in Italia in

condizione di residenza irregolare (da clandestino o da overstayer).

Status di residenza degli intervistati al momento dell'entrata nel territorio italiano

N. Percentuale Percentuale valida

senza documenti 15 22,1 22,7

con visto turistico 29 42,6 43,9

con permesso di soggiorno per lavoro subordinato 8 11,8 12,1

con permesso di soggiorno per ricongiungimento famigliare 4 5,9 6,1

con permesso di soggiorno per studio 5 7,4 7,6

cittadino europeo 3 4,4 4,5

con permesso per motivi umanitari 1 1,5 1,5

permesso diplomatico 1 1,5 1,5

Total 66 97,1 100,0

Missing System 2 2,9

Total 68 100,0

La tabella successiva mostra le differenze dello status di residenza nel momento di entrata nel territorio

italiano rispetto ai diversi periodi (legislativi) di arrivo degli intervistati. Per rendere maggiormente

intellegibile la tabella si è provveduto ad una diversa aggregazione degli status di residenza al momento

del’arrivo in Italia. E’ stato quindi aggregato lo status di residenza irregolare con quello derivante dal

possesso del visto turistico in quanto, come già ricordato, è altamente probabile che quest’ultimo abbia

determinato, all’esaurimento della sua breve durata, un periodo di irregolarità per i soggetti che lo

possedevano; sotto la voce altro sono stati riportate le tipologie di permessi di soggiorno diverse da quello

per lavoro subordinato (ricongiungimento famigliare, studio, motivi umanitari, ecc …); la voce “con

permesso di soggiorno per lavoro subordinato” è stata invece lasciata e non è stata aggregata con nessuna

altra risposta.

17

Status di residenza nel momento dell’entrata in Italia rispetto alle leggi sull'immigrazione

Periodo di arrivo rispetto alle leggi sull'immigrazione N. Percentuale valida

Fino al 1989 (pre-Martelli) Valid

senza documenti o con visto turistico 13 68,4

altro 6 31,6

Total 19 100,0

Missing System 2

Total 21

Dal 1990 al 1997

Valid

senza documenti o con visto turistico 18 72,0

con p.d.s. per lavoro subordinato 5 20,0

altro 2 8,0

Total 25 100,0

Dal 1998 al 2001

Valid

senza documenti o con visto turistico 9 60,0

con p.d.s. per lavoro subordinato 2 13,3

altro 2 26,7

Total 15 100,0

Dal 2002 in poi

Valid

senza documenti o con visto turistico 4 57,1

con p.d.s. per lavoro subordinato 1 14,3

altro 2 28,6

Total 7 100,0

Come si può notare dalla tabella, in ciascun periodo considerato oltre la metà di coloro che sono arrivati in

Italia erano senza documenti o con il solo visto turistico (e dal momento che il visto turistico è

inconvertibile, presumibilmente sono diventati overstayers). E’ necessario però precisare che la condizione

di irregolarità della residenza nelle sue diverse forme ha assunto un significato molto diverso a partire dal

1990. Il processo di istituzionalizzazione (non solo giuridica) della figura del clandestino e dell’immigrato

irregolare è iniziato proprio all’inizio dell’ultimo decennio del XX secolo. Ciò che colpisce, tuttavia, è il fatto

che la condizione di irregolarità sembra essere stata la condizione di soggiorno nel primo periodo di

immigrazione di almeno la metà degli intervistati indipendentemente dal periodo di arrivo e a prescindere

dalla legge in vigore in quel momento.

Incrociando il dato relativo all’anno di entrata con quello relativo alla data di acquisizione del primo

permesso di soggiorno è stato possibile stabilire per quanto tempo, nel primo periodo di immigrazione, i

soggetti intervistati sono rimasti in una condizione di residenza irregolare sul territorio italiano o comunque

il tempo che è passato prima che i soggetti potessero considerarsi minimamente protetti sul piano della

residenza e potessero quindi cominciare a programmare in “relativa sicurezza” un soggiorno a lungo

termine. Durante l’intervista, inoltre, è stato esplicitamente chiesto per quanto tempo è durato il periodo

passato senza un permesso di soggiorno e l’informazione è stata rilevata “carta e penna” a margine del

questionario in modo che potesse esserci una conferma rispetto alle analisi che si sarebbero svolte

successivamente. Dalla tabella riportata sotto emerge chiaramente che:

solo per il 39,6% dei delegati che hanno risposto (e sulle risposte dei quali è stato possibile svolgere

l’incrocio scritto sopra) ha acquisito il permesso di soggiorno in tempi brevi (in questa parte di

soggetti sono compresi ovviamente anche coloro che, come è stato scritto sopra, non hanno

soggiornato irregolarmente in Italia durante il primo periodo di immigrazione);

il 26,56%, invece, ha dovuto attendere un anno prima di ottenere un permesso di soggiorno;

il 9,38% ha dovuto aspettare due anni;

il 25% degli intervistati, infine, ha passato un periodo di irregolarità lungo almeno tre anni.

18

Tempo intercorso tra l'entrata in Italia degli intervistati e l'ottenimento del PdS

Anni N. % % valida Percentuale

cumulata

Valid

Tempi di entrata di acquisizione del PdS più o meno coincidono 25 36,76 39,06 39,06

un anno 17 25,00 26,56 65,63

due anni 6 8,82 9,38 75,00

tre anni 7 10,29 10,94 85,94

quattro anni 5 7,35 7,81 93,75

cinque anni 3 4,41 4,69 98,44

sette anni 1 1,47 1,56 100,00

Total 64 94,12 100,00

Missing System 4 5,88

Total 68 100,00

A fare emergere la vulnerabilità prolungata sul piano della residenza (e in generale sul piano sociale)

prodotta da un sistema di regolazione degli accessi e dell’integrazione degli immigrati come quello attuale

sta il fatto che al 10,3% degli intervistati (più di un intervistato su 10) una volta acquisita la regolarità del

soggiorno è capitato di non riuscire a rinnovare il permesso di soggiorno e di conseguenza di “cadere” o

“ricadere” in uno status di residenza irregolare.

Mancato rinnovo del PdS da parte degli intervistati

N. Percentuale Percentuale valida Percentuale cumulata

Valid si 7 10,3 10,4 10,4

no 60 88,2 89,6 100,0

Total 67 98,5 100,0

Missing System 1 1,5

Total 68 100,0

Altro dato significativo è quello relativo al tempo trascorso tra l’entrata in Italia e l’acquisizione del

permesso di soggiorno a lungo termine (ex carta di soggiorno) per coloro che, tra gli intervistati, l’hanno

acquisita. Il tempo stabilito dalla normativa per la possibilità di richiedere l’ottenimento del permesso di

soggiorno a lungo termine è di cinque anni. L’immigrato, se intende fare richiesta del permesso di

soggiorno a lungo termine deve dimostrare di avere soggiornato sul territorio in modo regolare e

continuativo durante i cinque anni precedenti e allo stesso tempo soddisfare diversi requisiti relativi al

reddito e alla condizione abitativa. I delegati immigrati intervistati in media hanno ottenuto il permesso di

soggiorno a lungo termine dopo 9,7 anni dall’entrata in Italia. Per la maggioranza degli intervistati sono

occorsi da 6 a 10 anni per ottenere il permesso di soggiorno a lungo termine e una parte significativa ha

dovuto aspettare dagli 11 ai 16 anni. Come risulta evidente dalla tabella successiva, nel dettaglio tra i 38

soggetti che hanno acquisito la carta di soggiorno in passato:

solo il 7,9% di questi (corrispondente a 3 soli casi) hanno ottenuto il permesso di soggiorno a lungo

termine dopo 5 anni dall’entrata in Italia;

il 92,1% l’ha ottenuta dopo almeno 6 anni e il 23,7% dopo almeno 10 anni dall’entrata in Italia;

oltre il 10% degli intervistati, infine, ha ottenuto il permesso di soggiorno a lungo termine dopo

almeno 15 anni dal momento in cui era immigrato in Italia.

19

Tempo intercorso (per fasce) tra l'entrata in Italia da parte degli intervistati e l'ottenimento della Carta di Soggiorno

N. Percentuale Percentuale valida Percentuale cumulata

Valid 5 anni 3 4,4 7,9 7,9

da 6 a 10 anni 26 38,2 68,4 76,3

da 11 a 15 anni 5 7,4 13,2 89,5

da 16 a 20 anni 3 4,4 7,9 97,4

21 anni e oltre 1 1,5 2,6 100,0

Total 38 55,9 100,0

Missing System 30 44,1

Total 68 100,0

Allo stesso modo che con il permesso di soggiorno a lungo termine si sono svolte le analisi sul tempo di

acquisizione della cittadinanza. Nessuno tra coloro che sono entrati in Italia successivamente all’entrata in

vigore della legge Turco Napolitano ha acquisito la cittadinanza italiana. Gli intervistati che durante il loro

tempo di permanenza in Italia hanno acquisito la cittadinanza italiana sono 22, tutti entrati in Italia prima

della legge Turco Napolitano. Di questi 22, il 31,8% ha acquisito la cittadinanza italiana prima dei 10 anni di

residenza regolare e continuativa previsti dalla legge per potere effettuare domanda di cittadinanza. Il

motivo per tutti questi casi (7 in tutto) è stato il matrimonio con un cittadino italiano o una cittadina

italiana. Gli atri intervistati che hanno acquisito la cittadinanza italiana lo hanno fatto nel 68,2% dei casi

dopo 10 anni dal momento che sono entrati in Italia. In particolare:

il 9,1% ha acquisito la cittadinanza italiana dopo un periodo di residenza compreso tra gli 11 e i 15

anni;

il 36,4% dopo un periodo di residenza compreso tra i 16 e i 20 anni;

il 22,7% dopo un periodo di residenza di 21 anni e oltre, ovvero il doppio di quello previsto dalla

legge.

In media gli intervistati hanno passato 15,6 anni in Italia anni prima di acquisire la cittadinanza italiana. Se

però si escludono dal calcolo della media coloro che hanno acquisto la cittadinanza italiana per motivi di

matrimonio, la media si alza a 19,3 anni.

Tempo intercorso (per fasce) tra l'entrata in Italia da parte degli intervistati e l'ottenimento della cittadinanza italiana

N. Percentuale Percentuale valida Percentuale cumulata

Valid meno di 10 anni 7 10,3 31,8 31,8

da 11 a 15 anni 2 2,9 9,1 40,9

da 16 a 20 anni 8 11,8 36,4 77,3

21 anni e oltre 5 7,4 22,7 100,0

Total 22 32,4 100,0

Missing System 46 67,6

Total 68 100,0

2 - Il percorso lavorativo

Per l’85,3% dei delegati intervistati il lavoro che stavano svolgendo al momento dell’intervista non era il

primo lavoro in Italia. Solo 10 dei 68 intervistati (il 14,7%) hanno dichiarato di avere sempre svolto in

passato il lavoro che stavano svolgendo al tempo dell’intervista. Tra coloro che hanno dichiarato di non

avere fatto lo stesso lavoro da quando sono arrivati in Italia solo il 15,5% ha precisato di avere sempre

lavorato più o meno nello stesso settore, mentre l’84,5% ha dichiarato di avere lavorato in settori diversi.

Durante le interviste i delegati hanno anche raccontato le loro esperienze lavorative passate e i lavori che

hanno svolto. Dei racconti degli intervistati colpisce soprattutto la varietà dei lavori svolti in Italia e la scarsa

corrispondenza con il lavoro che stavano svolgendo al momento dell’intervista. Solitamente nella biografia

lavorativa degli intervistati è individuabile un “momento di svolta” rappresentato dal primo lavoro trovato

20

all’interno del settore in cui risultavano occupati al momento dell’intervista. A partire da quel momento,

infatti, la traiettoria lavorativa degli intervistati sembra essere diventata più coerente per quel che riguarda

il settore lavorativo, anche se ciò non significa che tra quel momento e quello dell’intervista ai soggetti

intervistati non sia capitato di cambiare nuovamente lavoro. L’esperienza lavorativa dei delegati, in ogni

caso, si caratterizza per essere, almeno fino ad un certo punto della loro esperienza migratoria,

decisamente eterogenea e frammentata.

Percorso lavorativo passato degli intervistati

N. Percentuale Percentuale valida

Valid più o meno all'interno dello stesso settore 9 13,1 15,5

in settori diversi 49 72,2 84,5

Total 58 85,3 100,0

Missing System 10 14,7

Total 68 100,0

Durante l’intervista il 60,3% degli intervistati ha sostenuto di non avere sempre avuto un contratto di lavoro

a tempo indeterminato da quando hanno cominciato a lavorare regolarmente in Italia. E’ chiaro che per un

immigrato il fatto di non possedere un contratto di lavoro a tempo indeterminato ha delle ricadute

importanti sulla sicurezza di dare continuità al proprio soggiorno sul territorio. Come risulta evidente dalla

tabella riportata sotto, la percentuale di soggetti che ha dichiarato di non avere sempre lavorato con un

contratto a tempo indeterminato rimane significativamente elevata indipendentemente dalla legge

sull’immigrazione in vigore al momento dell’entrata dei soggetti in Italia:

tra coloro che sono entrati prima della legge Martelli quelli che hanno dichiarato di avere lavorato con

contratti atipici sono il 57,1%;

tra coloro che sono giunti in Italia dopo la legge Martelli ma prima della legge Turco Napolitano quelli che

hanno dichiarato di avere lavorato con contratti atipici sono il 52,1%;

tra coloro che sono giunti in Italia dopo la Turco Napolitano ma prima della legge Bossi Fini quelli che hanno

dichiarato di avere lavorato con contratti atipici sono l’80%;

infine tra coloro che sono giunti in Italia dopo la legge Bossi Fini quelli che hanno dichiarato di avere

lavorato con contratti atipici sono il 71,4%.

Intervistati che hanno sempre avuto contratti a tempo indeterminato in Italia per periodo di entrata in Italia sulla base delle leggi

sull’immigrazione

Periodo di arrivo rispetto alle leggi sull'immigrazione N. Percentuale

Fino al 1989 (pre-Martelli) Valid si 9 42,9

no 12 57,1

Total 21 100,0

Dal 1990 al 1997 Valid si 13 52,0

no 12 48,0

Total 25 100,0

Dal 1998 al 2001 Valid si 3 20,0

no 12 80,0

Total 15 100,0

Dal 2002 in poi Valid si 2 28,6

no 5 71,4

Total 7 100,0

In generale una percentuale pari al 25,4% degli intervistati ha dichiarato di avere lavorato presso una

agenzia di somministrazione lavoro (o agenzia interinale). Di questi, il 78,6% ha lavorato per una agenzia

interinale per un periodo complessivo non superiore all’anno, mentre il restante degli intervistati ha

dichiarato di avere lavorato sotto agenzia interinale per un periodo di tempo superiore (un intervistato ha

sostenuto di avere lavorato attraverso agenzie di somministrazione lavoro per ben 8 anni).

21

Dall’analisi dei dati ricavati dalle interviste strutturate emerge che il 30,9% degli intervistati ha passato

periodi di disoccupazione durante la sua esperienza migratoria. Il 20,6% degli intervistati, inoltre, ha

dichiarato di avere lavorato in nero in passato anche successivamente all’acquisizione di uno status di

residenza regolare.

Dai dati rilevati riguardanti il percorso lavorativo degli intervistati emerge chiaramente come una buona

parte di loro abbia attraversato periodi più o meno lunghi di precarietà. Riassumendo:

7 intervistati su 10 hanno dichiarato di avere lavorato in passato in settori diversi da quello in cui

stavano lavorando durante l’intervista e di avere fatto tanti lavori diversi tra loro;

6 intervistati su 10 hanno detto di avere avuto in passato contratti a tempo determinato;

quasi 3 intervistati su 10 hanno sostenuto di avere lavorato per un periodo di tempo per una

agenzia di somministrazione lavoro;

infine, più di 3 intervistati su 10 ha passato periodi di disoccupazione e più di 2 lavoratori su 10 ha

dichiarato di avere lavorato in nero nonostante avesse già acquisito la regolarità del soggiorno.

Queste informazioni sintetiche bastano per comprendere quanto in generale il passato lavorativo dei

delegati immigrati intervistati sia stato caratterizzato da un’alta vulnerabilità lavorativa. Come già ricordato

nelle pagine precedenti, inoltre, l’instabilità sul piano del lavoro per gli immigrati si traduce inevitabilmente

anche in una insicurezza anche sul piano della residenza. Di più: l’instabilità sul piano del lavoro per gli

immigrati ha delle ricadute dirette non solo sul piano materiale e della semplice residenza, ma anche sul

piano civico. Tutto ciò appare ancora più significativo se si considera il fatto che il campione su cui si sono

raccolti i dati è composto da delegati sindacali (già solo il fatto di essere delegato sindacale può essere

considerato un indicatore di stabilizzazione e di integrazione nella società di immigrazione), che con

qualche eccezione, al momento dell’intervista avevano un contratto a tempo indeterminato e uno status di

residenza, come si è mostrato nelle pagine precedenti, che garantisce una certa sicurezza della continuità

della residenza e un accesso ad un ampio ventaglio di diritti sociali, civili e politici. I soggetti con cui si sono

svolte le interviste, quindi, rappresentano un campione che probabilmente determina un effetto distorsivo

in positivo rispetto all’”universo migrante”. In altri termini coloro che sono stati intervistati sono coloro che

in una qualche misura sono riusciti ad uscire da una condizione di estrema insicurezza ed è lecito pensare

che a questi soggetti che “ce l’hanno fatta” corrispondano almeno altrettanti soggetti che “non sono riusciti

a farcela” o che “ce la devono ancora fare”.

3 - La fase di stabilizzazione

Attraverso le interviste strutturate si è voluto comprendere se e quanto i delegati immigrati fossero

stabilizzati e radicati sul territorio. Sono state, quindi fatte domande rispetto ad alcune condizioni di vita e

di lavoro che possono fornire indicazioni importanti sul grado di stabilità territoriale raggiunta dai soggetti e

dal loro grado di radicamento sociale. In particolare si sono toccate questioni quali l’anzianità di residenza

sul territorio provinciale in cui gli intervistati risiedevano nel momento in cui si è svolta l’intervista, le

caratteristiche della loro condizione abitativa e della loro situazione famigliare. Rispetto alla stabilizzazione

lavorativa e alle caratteristiche del lavoro che i delegati svolgevano al momento dell’intervista, invece, si

rimanda al capitolo successivo.

Come è stato già segnalato nel precedente capitolo, il 53,7% degli intervistati durante il periodo passato in

Italia ha sempre vissuto nella provincia in cui risiedeva nel momento dell’intervista.

22

Intervistati che hanno sempre vissuto nella provincia dove risiedevano durante il periodo dell’intervista

N. Percentuale Percentuale valida

Valid si 36 52,9 53,7

no 31 45,6 46,3

Total 67 98,5 100,0

Missing System 1 1,5

Total 68 100,0

Per coloro, invece, che hanno vissuto in altre provincie italiane prima di arrivare a prendere la residenza nel

territorio in cui risiedevano nel momento dell’intervista la situazione appare piuttosto variegata nonostante

gli intervistati in prevalenza sembrano avere vissuto una parte della loro esperienza migratoria nelle regioni

meridionali. In particolare:

il 17,5% ha dichiarato di avere vissuto in altre regioni del nord Italia;

il 27,5% in regioni del centro Italia;

il 35% in regioni del sud Italia;

il 20%, infine, ha dichiarato di avere vissuto in diverse zone del centro, sud e nord Italia.

Se non hanno sempre vissuto nella provincia in cui gli intervistati risiedevano durante il periodo dell’intervista, dove hanno vissuto in passato

(per macro-aree geografiche)

N. Percentuale Percentuale valida

Valid nord Italia 7 10,3 17,5

sud Italia 14 20,6 35,0

centro Italia 11 16,2 27,5

in più aree 8 11,8 20,0

Total 40 58,8 100,0

Missing System 28 41,2

Total 68 100,0

Il fatto che circa la metà degli immigrati intervistati abbiano fatto tappe intermedie durante il percorso

migratorio italiano è un dato piuttosto scontato. Il fenomeno cosiddetto della “migrazione nella

migrazione” è piuttosto conosciuto e largamente indagato. E’ interessante però il fatto che una parte pari a

circa il 65% degli intervistati è arrivata nella provincia in cui sarebbe poi rimasta (almeno fino al periodo in

cui si è svolta l’intervista) entro un periodo non superiore ai 2 anni a partire dal momento in cui è entrata in

Italia e circa l’80% in un lasso di tempo non superiore ai 5 anni (queste ultime due percentuali sono

comprensive anche di coloro che sono giunti direttamente nella provincia in cui risiedevano nel momento

in cui è stata effettuata l’intervista).

Rispetto all’anzianità di residenza sul territorio provinciale, il 76,5% ha dichiarato di risiedere sul territorio

da almeno 10 anni e il 50% da almeno 20 anni.

Anno di arrivo (per fasce) nella provincia in cui gli intervistati risiedevano durante il periodo dell’intervista

N. Percentuale

Valid dal 2001 al 2010 16 23,5

dal 1991 al 2000 34 50,0

dal 1981 al 1990 16 23,5

dal 1971 al 1980 2 2,9

Total 68 100,0

Tutto ciò lascia intendere che in generale gli intervistati posseggano una conoscenza approfondita della

società locale e che risultino essere provvisti delle risorse immateriali necessarie per orientarvisi. A

rafforzare questa sensazione sta il fatto che il 43,3% dei delegati immigrati intervistati risulta essere anche

23

membro di un’altra associazione/organizzazione situata sul territorio. Il 60,7% di questi, inoltre, risulta

ricoprire cariche di responsabilità all’interno delle associazioni/organizzazioni di cui fa parte.

Se gli intervistati fanno parte di una associazione/organizzazione (eccetto il sindacato), ricoprono cariche di responsabilità all'interno

dell'associazione

N. Percentuale Percentuale valida

Valid si 17 25,0 60,7

no 11 16,2 39,3

Total 28 41,2 100,0

Missing System 40 58,8

Total 68 100,0

Nel momento in cui si è svolta l’intervista la quasi totalità degli intervistati è risultata essere sposata o

accompagnata (l’85,3%), mentre una parte pari al 14,7% ha dichiarato di essere celibe o nubile o di essere

separata o divorziata dal proprio partner.

Stato civile degli intervistati nel periodo dell’intervista

N. Percentuale Percentuale valida

Valid sposato o accompagnato 58 85,3 85,3

nubile o celibe 7 10,3 10,3

divorziato o separato 3 4,4 4,4

Total 68 100,0 100,0

L’86,4% degli intervistati che sono risultati sposati o accompagnati ha dichiarato di vivere con il partner,

mentre il 6,8% ha dichiarato che il proprio partner vive nel paese d’origine. Il restante 6,8% di coloro che

sono risultati sposati o accompagnati, invece, hanno dichiarato che il partner vive in un paese straniero, ma

non nel paese d’origine, oppure in Italia, ma non nella stessa provincia.

Attraverso la rilevazione della nazionalità del partner e l’incrocio di questa con la nazionalità

dell’intervistato, in fase di analisi è stato possibile delineare 3 tipologie famigliari (riprese dalla letteratura

in materia) a cui ricondurre le famiglie degli intervistati:

il 78,3% di coloro che al momento dell’intervista avevano una famiglia, risultava avere una famiglia

migrante a mono-provenienza (ovvero, sia l’intervistato che il/la partner dell’intervistato risultano

avere la stessa nazionalità);

il 3,3% di coloro che al momento dell’intervista avevano una famiglia, risultava avere una famiglia

migrante mista-mista (ovvero, sia l’intervistato che il/la partner dell’intervistato risultano avere

nazionalità non-italiana, ma non la medesima nazionalità);

infine il 18,3% risultava avere una famiglia mista (ovvero la nazionalità del partner dell’intervistato

era italiana).

Tipo di famiglia costituita dagli intervistati nel periodo dell’intervista

N. Percentuale Percentuale

valida

Validi famiglia di immigrati a monoprovenienza (nazionalità del partner uguale a quella dell'intervistato)

47 69,1 78,3

famiglia mista-mista (nazionalità del partner diversa da quella dell'intervistato, ma entrambi non italiani)

2 2,9 3,3

famiglia mista (nazionalità del partner dell'intervistato italiana) 11 16,2 18,3

Totale 60 88,2 100,0

Mancanti Mancante di sistema 8 11,8

Totale 68 100,0

24

Il 77,9% degli intervistati inoltre risulta avere uno o più figli. Non necessariamente coloro che hanno

dichiarato di avere figli risultavano essere anche sposati o accompagnati nel periodo in cui si sino svolte le

interviste.

Gli intervistati hanno figli

N. Percentuale

Validi si 53 77,9

no 15 22,1

Totale 68 100,0

Tra coloro che hanno dichiarato di avere figli:

il 37,7% è risultato avere almeno 3 figli (anche se solo 3 intervistati hanno ha più di 5 figli);

il 41,5% risulta avere 2 figli;

e il 20,8% risulta averne 1.

La larga maggioranza degli intervistati che hanno affermato avere figli ha dichiarato di vivere insieme a

questi ultimi o di vivere con almeno una parte di questi. Tra coloro che hanno dichiarato di avere figli:

il 79,2% ha affermato che tutti i propri figli stavano studiando;

il 3,8% che tutti i propri figli stavano lavorando;

il 17% che alcuni dei propri figli stavano studiando e altri lavorando.

La larga maggioranza degli intervistati, quindi, al momento dell’intervista risultava avere i figli inseriti ad un

qualche stadio del percorso scolastico.

Condizione professionale dei figli degli intervistati

N. Percentuale Percentuale valida

Validi i figli studiano 42 61,8 79,2

alcuni figli lavorano, altri studiano 9 13,2 17,0

i figli lavorano 2 2,9 3,8

Totale 53 77,9 100,0

Mancanti Mancante di sistema 15 22,1

Totale 68 100,0

Attraverso le risposte che gli intervistati hanno fornito alle domande relative alle proprie condizioni

famigliari è stato possibile produrre in sede di analisi una variabile sintetica relativa all’articolazione

territoriale della famiglia. In altri termini prendendo in considerazione i paesi dove risultano vivere i

famigliari (figli e partner) degli intervistati si sono ricavate tre tipologie famigliari indicanti le modalità di

distribuzione territoriale delle famiglie: la famiglia migrante e ricomposta; la famiglia parzialmente

migrante; la famiglia migrante distribuita (non ricomposta in un unico paese). I risultati sono quelli di

seguito riportati:

il 68,9% dei delegati immigrati intervistati risulta avere la famiglia a seguito e quindi convivere con tutti i

propri famigliari o per lo meno avere i famigliari che vivono tutti se non sotto lo stesso tetto almeno nello

stesso paese (in Italia);

il 27,9% dei delegati immigrati intervistati, invece, risulta avere una parte della famiglia (non

necessariamente il/la partner) nel paese di origine e una parte nel paese di immigrazione (l’Italia);

25

il 3,3% dei delegati immigrati intervistati, infine, risulta avere una parte della famiglia (non necessariamente

il/la partner) a seguito (in l’Italia) e una parte della famiglia (non necessariamente il/la partner) che risiede

in un altro paese estero ma non nel paese d’origine.

Articolazione territoriale della famiglia costituita dagli intervistati

N. Percentuale

Percentuale

valida

Validi famiglia immigrata e ricomposta in un unico paese 42 61,8 68,9

famiglia parzialmente immigrata (figli e/o partner nel paese d'origine) 17 25,0 27,9

famiglia immigrata ma non ricomposta in un unico paese 2 2,9 3,3

Totale 61 89,7 100,0

Mancanti Mancante di sistema 7 10,3

Totale 68 100,0

Rispetto al nucleo abitativo, il 7,4% degli intervistati risulta vivere da solo, il 42,6% degli intervistati ha

dichiarato che il proprio nucleo abitativo risulta essere composto da 2 o 3 persone, dunque piuttosto

ristretto, il 39,7% ha affermato che il proprio nucleo abitativo risulta essere composto da 4 o 5 persone e il

10,3%, infine, ha affermato che il proprio nucleo abitativo risulta essere composto da più di 5 persone.

Numero di persone che compongono il nucleo abitativo degli intervistati

N. Percentuale Percentuale valida Percentuale cumulata

Validi vivo da solo 5 7,4 7,4 7,4

due persone 16 23,5 23,5 30,9

tre persone 13 19,1 19,1 50,0

quattro persone 13 19,1 19,1 69,1

cinque persone 14 20,6 20,6 89,7

sei persone 5 7,4 7,4 97,1

sette persone 2 2,9 2,9 100,0

Totale 68 100,0 100,0

Il nucleo famigliare degli intervistati, naturalmente, non coincide necessariamente con il loro nucleo

abitativo:

solo il 66,2% degli intervistati ha dichiarato che il proprio nucleo abitativo è composto da membri

della famiglia costituita (moglie e figli);

il 14,7% ha affermato di vivere oltre che con il/la proprio/a partner e/o con i propri figli anche con

altri membri della propria famiglia o della famiglia della moglie e/o con amici/amiche;

l’11,8% degli intervistati ha invece risposto di convivere con famigliari (ma non la moglie, né i figli)

e/o con amici;

il 7,4%, infine, ha dichiarato di vivere da solo.

Tipo di nucleo abitativo degli intervistati

N. Percentuale

Validi coincidente con membri della famiglia ristretta 45 66,2

con membri della famiglia ristretta più altri famigliari o amici 10 14,7

con famigliari o amici 8 11,8

vive da solo 5 7,4

Totale 68 100,0

Rispetto, infine, alla condizione abitativa, quasi il 50% degli intervistati ha affermato di vivere in una casa in

affitto, mentre circa il 45% ha affermato di vivere in una casa di proprietà (quest’ultima parte di intervistati,

tuttavia, comprende anche coloro che hanno dichiarato di avere aperto un mutuo).

26

Stato di proprietà della casa in cui vivono gli intervistati

N. Percentuale Percentuale valida

Percentuale

cumulata

Validi casa in affitto 33 48,5 49,3 49,3

casa in proprietà (o mutuo) 30 44,1 44,8 94,0

altro 4 5,9 6,0 100,0

Totale 67 98,5 100,0

Mancanti Mancante di sistema 1 1,5

Totale 68 100,0

27

Capitolo III - I DELAGATI DELLA FILCAMS, FILLEA, FIOM E FLAI E L’INCONTRO CON IL SINDACATO

Oggetto di questo capitolo è la figura del delegato sindacale immigrato. Nelle pagine seguenti si

riporteranno, quindi, le analisi svolte sui dati (raccolti con le interviste strutturate) relativi all’esperienza da

delegato sindacale dei soggetti intervistati. Come già scritto nell’introduzione, le categorie che sono state

coinvolte nella ricerca sono la Federazione Italiana Lavoratori Commercio, Turismo e Servizi (FILCAMS), la

Federazione Italiana dei Lavoratori del Legno, dell'Edilizia, delle industrie Affini (FILLEA), la Federazione

Impiegati Operai Metallurgici (FIOM), e la Federazione Lavoratori Agroindustria (FLAI).

Il capitolo sarà organizzato in due paragrafi: nel primo, “I delegati immigrati della FILCAMS, della FILLEA,

della FIOM e della FLAI: analisi dei profili socio anagrafici e migratori”, si metteranno a fuoco le

caratteristiche socio-anagrafiche dei delegati e il loro percorso migratorio facendo particolare attenzione

alla presenza di differenze a seconda della categoria di appartenenza; nel secondo paragrafo “L’impegno

nel sindacato ” ci si soffermerà sulle caratteristiche del contatto con il sindacato e su alcuni aspetti

dell’esperienza da delegato.

Come si è già potuto capire la variabile chiave attraverso la quale si sono svolte le analisi riportate in questo

paragrafo è quella della categoria di appartenenza degli intervistati. L’obbiettivo, evidentemente è quello di

capire se siano presenti delle differenze tra i delegati delle diverse federazioni di categoria prese in

considerazione.

1 - I delegati immigrati delle categorie coinvolte nella ricerca

In questo paragrafo ci focalizzeremo sul profilo socio-biografico degli intervistati compresi nel campione.

Come si è già avuto modo di riportare nelle pagine precedenti, se si considera il genere degli intervistati nel

complesso, l’analisi mette in luce la prevalenza netta nel campione della componente maschile, pari all’82%

degli intervistati. Tuttavia, l’analisi disaggregata per federazione di categoria fa emergere alcune differenze:

la FILLEA si distingue per la totalità degli intervistati appartenenti al genere maschile;

simile è la situazione per la FIOM, per la quale le delegate comprese nel campione ammontano al

4,3%;

riguardo, invece, la FLAI, le delegate risultano essere il 23,8% del campione;

nella FILCAMS, infine, i delegati risultano essere equamente distribuiti tra i generi, ovvero il 53,8%

sono delegati uomini e il 46,2% sono delegate donne.

Genere degli intervistati. Divisione per categorie.

Categoria N. Percentuale

FILCAMS Maschio 7 53,8%

Femmina 6 46,2%

Totale 13 100%

FILLEA Maschio 11 100%

FIOM Maschio 22 95,7%

Femmina 1 4,3%

Totale 23 100%

FLAI Maschio 16 76,2%

Femmina 5 23,8%

Totale 21 100%

Il campione costruito, pur non essendo un campione statisticamente significativo (per i limiti che si sono

illustrati nella parte introduttiva del report), sembra comunque rispecchiare le differenze che sussistono tra

28

la composizione degli iscritti a ciascuna federazione di categoria, al di là del fatto che si tratti di iscritti

immigrati o italiani.

Procedendo poi con l’analisi delle classi d’età dei delegati, la media totale del campione è di 43 anni e la

fascia d’età in cui ricade la maggioranza degli intervistati è dai 40 ai 49 anni (Dove il più giovane ha 23 anni

e il più anziano 58). Disaggregando il dato dell’età per categoria di appartenenza, emerge che la media

d’età degli intervistati varia:

i delegati immigrati intervistati della FIOM registrano una età media di 45 anni (Il più giovane ha 33

anni il più anziano 58);

i delegati immigrati intervistati della FLAI registrano una età media di 39 anni (Il più giovane ha 27

anni il più anziano 48);

i delegati immigrati intervistati della FILCAMS registrano una età media di 44 anni (Il più giovane ha

33 anni e il più anziano 57);

i delegati immigrati intervistati della FILLEA registrano una età media di 44 anni (Il più giovane ha

23 anni, il più anziano 52).

Confrontando i dati emerge come l’età dei delegati sia piuttosto avanzata, con una notevole divergenza tra

il più anziano e il più giovane, che può far ipotizzare un ringiovanimento del ruolo del delegato.

Comparando le diverse categorie, emerge come la FLAI sia la categoria più giovane, con una media di 39

anni, mentre le altre 3 categorie facenti parte della ricerca registrano una media molto simile di 44-45 anni.

Rispetto al dato delle fasce d’età disaggregato per categoria risulta che la fascia di età che registra la

percentuale più elevata di delegati immigrati intervistati è quella riferita ai 40 - 49 anni per tre categorie:

FILLEA, FIOM e FLAI. Nella FILCAMS, invece, sono due le fasce d’età che registrano la percentuale più alta di

intervistati: quella dai 30 - 39 anni e quella dai 40 - 49 anni. Da notare, infine, il fatto che nella FLAI, a

differenza delle altre categorie, sono presenti delegati con età inferiore a 30 anni (2 delegati) e mancano

delegati di età superiore ai 50 anni.

Età degli intervistati (per fasce). Divisione per categorie.

Categoria N. Percentuale Percentuale cumulata

FILCAMS Dai 30 ai 39 anni 5 38,5 38,5

dai 40 ai 49 anni 5 38,5 76,9

dai 50 ai 59 anni 3 23,1 100,0

Total 13 100,0

FILLEA ai 30 ai 39 anni 3 27,3 27,3

dai 40 ai 49 anni 6 54,5 81,8

dai 50 ai 59 anni 2 18,2 100,0

Total 11 100,0

FIOM ai 30 ai 39 anni 5 21,7 21,7

dai 40 ai 49 anni 14 60,9 82,6

dai 50 ai 59 anni 4 17,4 100,0

Total 23 100,0

FLAI dai 20 ai 29 anni 2 9,5 9,5

ai 30 ai 39 anni 9 42,9 52,4

dai 40 ai 49 anni 10 47,6 100,0

Total 21 100,0

La provenienza degli intervistati, come già messo in rilievo nel primo capitolo, è molto varia. Tra gli

intervistati non vi è presenza di stranieri provenienti da America del Nord e Centrale. Entrando nel dettaglio

29

del dato sulle nazionalità disaggregato per categoria, la tabella riportata sotto evidenzia la distribuzione

delle diverse nazionalità dei delegati della FIOM, FLAI, FILCAMS e FILLEA.

Nazionalità dei delegati: dati del campione. Divisione per categorie.

Alb

anes

e

Arg

enti

na

Ben

gale

se

Ben

ines

e

Bo

snia

ca

Bra

silia

na

Cin

gale

se

Co

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bia

na

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Gh

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Ind

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ese

Ivo

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Mac

edo

ne

Mar

occ

hin

a

Mo

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ia

Nig

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na

Pak

ista

na

Ru

men

a

Sen

egal

ese

Spag

no

la

Tan

zan

ese

Tun

isin

a

Tota

le

FLA

I

1 1 2 1 1 1 3 2 2 3 3 1 21

FILC

AM

S 1 2 1 1 1 3 1 1 1 1 13

FILL

EA 1 1 1 2 1 1 1 3 11

FIO

M 1 1 1 1 3 1 1 8 2 3 1 23

Tota

le 3 3 1 1 1 1 1 1 1 5 1 1 1 2 1 1

1

6 2 5 1 4 8 1 1 5 68

Il numero dei delegati di provenienza marocchina risulta essere il più alto. Nella FIOM proprio i delegati di

origine marocchina (8) rappresentano il gruppo nazionale prevalente, così come nella FILCAMS (3) e nella

FLAI (3). In questa ultima categoria, però, il gruppo di origine marocchina condivide il primato con il gruppo

di delegati di origine senegalese (3) e rumeno (3). Nella FILLEA, invece, i delegati di origine marocchina (2)

sono il secondo gruppo nazionale dopo quello tunisino (3). In generale emerge come non vi sia all’interno

delle differenti categorie una differenza sostanziale nella composizione dei delegati immigrati,

coerentemente con il fatto che i processi migratori in Italia siano stati in passato e risultano essere ancora

oggi fortemente eterogenei riguardo alla provenienza. La maggior presenza di delegati di nazionalità

marocchina può essere ricondotta al fatto che, fino agli anni 2000, era la provenienza più rappresentativa in

Italia in termini numerici. Coerentemente con le serie storiche dei dati statistici sulla presenza straniera in

Italia, infatti, tale nazionalità è stata superata dalla Romania solo dopo l’ingresso in UE (ufficialmente dal

2007).

Rispetto all’analisi della scolarizzazione dei delegati sindacali, gli intervistati si caratterizzano per possedere

un’istruzione medio-alta: il 28% degli intervistati ha frequentato l’università e solo il 16,2% possiede un

titolo elementare o di scuola media inferiore. Analizzando però il dato sulla scolarizzazione disaggregato

per le diverse categorie emergono alcune specificità e alcune caratteristiche comuni. In tutte e quattro le

categorie considerate la percentuale più elevata è sempre quella degli intervistati che possiedono un

diploma di scuola media superiore (o comunque che hanno proseguito gli studi anche dopo l’istruzione

primaria). Tuttavia, mentre per la FILLEA e per la FILCAMS coloro che possiedono una scolarizzazione medio

bassa (licenza elementare e/o licenza media inferiore) ammontano rispettivamente al 30,8% e al 27,3%

(circa 1/3 del totale degli intervistati della stessa categoria), per la FLAI e per la FIOM la percentuale di

coloro che hanno acquisito la licenza elementare e/o la licenza media inferiore ammonta rispettivamente al

8,7% e al 9,5% (meno di 1/10). In tutte le categorie sono presenti delegati che hanno almeno frequentato

30

l’università. Due intervistati (uno della FLAI e uno della FIOM) hanno dichiarato di avere più titoli di studio

universitari. Sorprendente, infine, è il dato relativo ai delegati intervistati della FLAI: il 47,7% dei delegati

intervistati della FLAI (quasi la metà) ha dichiarato di avere almeno frequentato l’università (1 intervistato

ha sostenuto di avere frequentato l’università ma di non essersi laureato, 8 intervistati possiedono una

laurea e 1 intervistato possiede più di una laurea).

Titolo di studio degli intervistati. Divisione per categorie.

Licenza media

e/o superiore

Diploma superiore

o equivalente

Frequenza

universitaria

Laurea post-laurea

o più lauree

totale

FILCAM 4 6 2 1 13

FILLEA 3 6 2 11

FIOM 2 17 1 2 1 23

FLAI 2 9 1 8 1 21

Totale 11 38 4 13 2

Il dato sulla scolarizzazione degli intervistati rende l’idea del patrimonio culturale posseduto dai delegati

immigrati e, conseguentemente, del capitale di risorse immateriali a cui può accedere l’intera

organizzazione sindacale. Tuttavia, in generale il capitale culturale dei soggetti intervistati non è

riconducibile esclusivamente al loro livello di scolarizzazione. La conoscenza di lingue straniere, ad esempio,

è parte del capitale culturale posseduto dagli immigrati. Tale bagaglio di conoscenze, tuttavia, non è

necessariamente in relazione con il titolo di studio. Il solo fatto di emigrare o la storia e la cultura del paese

d’origine sembrano essere variabili in più forte relazione con il numero di lingue che i soggetti sono in grado

di parlare e capire. L’intervista strutturata svolta con i delegati è stata l’occasione anche per comprendere

meglio questo aspetto. Le lingue parlate dai delegati immigrati intervistati sono numerose. Tra lingue

ufficiali e dialetti locali sono stati individuati decine di idiomi. L’analisi svolta sul numero di lingue

conosciute dagli intervistati mostra che:

il 17,6% degli intervistati parla 2 lingue (incluso l’italiano);

il 38,2% degli intervistati parla 3 lingue (incluso l’italiano);

il 44,1% degli intervistati conosce 4 o più lingue (incluso l’italiano) .

Un dato di questo tipo mostra come le conoscenza linguistica diffusa tra i delegati immigrati si potrebbe

trasformare in un’importante risorsa per il sindacato.

Numero di lingue conosciute da parte degli intervistati.

N. Percentuale Percentuale cumulata

due lingue 12 17,6 17,6

tre lingue 26 38,2 55,9

quattro lingue 19 27,9 83,8

cinque lingue 7 10,3 94,1

sei lingue 2 2,9 97,1

sette lingue 1 1,5 98,5

otto lingue 1 1,5 100,0

Total 68 100,0

Inglese e francese risultano essere le lingue maggiormente conosciute dagli intervistati: 23 intervistati

conoscono entrambe le lingue, 12 solo il francese e 21 solo l’inglese. Solo 12 intervistati non parla nessuna

delle due lingue.

31

In sede di analisi è stato incrociato il numero le lingue maggiormente parlate (inglese e francese) con le

differenti nazionalità d’origine degli intervistati. In generale, rispetto alle lingue conosciute dai delegati

immigrati, emerge il peso del passato coloniale dei paesi da cui gli intervistati provengono. Infatti, i delegati

immigrati che non conoscono né il francese né l’inglese risultano provenire prevalentemente dall’Europa

dell’Est e dal Sud America. Infine, sempre rispetto alle lingue conosciute dagli intervistati, sono stati

incrociati i dati relativi al titolo di studio e quello relativo al numero di lingue conosciute. L’obbiettivo era

quello di capire se a una più alta istruzione corrispondesse un numero maggiore di lingue conosciute. La

tabella sottostante, tuttavia, sembra smentire tale relazione.

Incrocio tra le variabili conoscenze linguistiche e titolo di studio.

Livello linguistico 1 N. Percentuale Percentuale

valida

Percentuale

cumulata

Una o due lingue conosciute licenza elementare e/o media inferiore 3 25,0 25,0 25,0

Diploma superiore o equivalente 5 41,7 41,7 66,7

Frequenza universitaria 1 8,3 8,3 75,0

Laurea 3 25,0 25,0 100,0

Total 12 100,0 100,0

Almeno tre lingue conosciute licenza elementare e/o media inferiore 8 14,3 14,3 14,3

Diploma superiore o equivalente 33 58,9 58,9 73,2

Frequenza universitaria 3 5,4 5,4 78,6

Laurea 10 17,9 17,9 96,4

Titolo post-laurea o più lauree 2 3,6 3,6 100,0

Total 56 100,0 100,0

Sembra, quindi, confermato il fatto che il background culturale del paese di provenienza e il percorso

migratorio in sé risultano essere due fattori importanti rispetto alle competenze linguistiche degli immigrati

e che il livello di scolarizzazione di questi ultimi al contrario risulta essere meno significativo.

Come è stato mostrato nelle pagine precedenti, l’anzianità di residenza sul territorio degli intervistati in

generale risulta essere alta. La maggioranza degli intervistati (il 51,5%) risulta essere arrivato in Italia prima

o durante il 1991. Osservando il dato disaggregato per categoria di appartenenza degli intervistati, emerge

che per la FILCAMS, la FILLEA e la FLAI la percentuale più alta si registra tra gli intervistati che sono arrivati

in Italia negli anni novanta (rispettivamente il 53,0%, il 54,5% e il 52,4%), mentre per la FIOM la percentuale

maggiore è rappresentata dagli intervistati che sono giunti in Italia durante gli anni ottanta si differenzia

dalle altre categorie (il 47,3%).

32

Anno di arrivo in Italia

Categoria N. Percentuale valida

FILCAMS Anni settanta 1 7,7

Anni ottanta 5 38,5

Anni novanta 7 53,8

Dal 2000 in poi 1 7,7

Total 13 100,0

FILLEA Anni ottanta 3 27,3

Anni novanta 6 54,5

Dal 2000 in poi 2 18,2

Total 11 100,0

FIOM Anni ottanta 11 47,8

Anni novanta 9 39,1

Dal 2000 in poi 3 13,0

Total 23 100,0

FLAI Anni ottanta 2 9,5

Anni novanta 11 52,4

Dal 2000 in poi 8 38,1

Total 21 100,0

La residenza sul territorio italiano dei delegati immigrati con cui si sono svolte le interviste, quindi, risulta

essere alta indipendentemente dalla federazione di categoria a cui appartengono i soggetti. Allo stesso

tempo, dai dati relativi al tempo intercorso tra l’arrivo in Italia degli intervistati e l’arrivo nella provincia in

cui gli stessi intervistati risiedevano al tempo dell’intervista emerge chiaramente che una larga parte dei

delegati immigrati ha una anzianità di residenza sul territorio locale di 15,1 anni, e nel 1998 il 57,4% degli

intervistati era già residente. Tutto ciò, come si è già scritto, ha inevitabilmente delle ricadute sulla

conoscenza del contesto locale da parte dei soggetti e sulla loro capacità di orientarvisi.

Tuttavia, le medie relative all’anzianità di residenza sul territorio locale dei delegati immigrati di ciascuna

categoria risultano discostarsi in diversa misura e in diversa direzione dalla media generale:

i delegati della FIOM risultano avere una media dell’anzianità di residenza sul territorio locale di

18,04 anni;

i delegati della FILCAMS risultano avere una media dell’anzianità di residenza sul territorio locale di

14,46 anni;

i delegati della FLAI risultano avere una media dell’anzianità di residenza sul territorio locale di

13,05 anni;

i delegati della FILLEA risultano avere una media dell’anzianità di residenza sul territorio locale di

14,09 anni.

Inoltre, il dato relativo all’anzianità di residenza sul territorio locale suddiviso per fasce decennali e

disaggregato sulla base della categoria sindacale a cui appartengono gli intervistati mette in luce ulteriori

differenze. In particolare:

i delegati della FIOM registrano la moda nel periodo 1991-2000, ma la percentuale di casi che

ricade in questa stessa fascia non risulta essere la maggioranza assoluta dei casi (il 47,8%);

33

anche i delegati della FILLEA e della FLAI registrano la moda nel periodo 1991-2000, ma, differenza

della FIOM, i casi che rientrano in questa fascia risultano essere anche la maggioranza assoluta dei

casi (rispettivamente il 72,7% e il 61,9%);

per la FILCAMS, infine, moda e maggioranza assoluta dei casi coincidono ma corrispondono al

periodo 2001-2010 (il 53,8%).

Anno di arrivo nell'attuale provincia di residenza per fasce

Categoria N. Percentuale Percentuale valida Percentuale cumulata

FILCAMS Valid dal 2001 al 2010 7 53,8 53,8 53,8

dal 1991 al 2000 2 15,4 15,4 69,2

dal 1981 al 1990 3 23,1 23,1 92,3

dal 1971 al 1980 1 7,7 7,7 100,0

Total 13 100,0 100,0

FILLEA Valid dal 2001 al 2010 2 18,2 18,2 18,2

dal 1991 al 2000 8 72,7 72,7 90,9

dal 1981 al 1990 1 9,1 9,1 100,0

Total 11 100,0 100,0

FIOM Valid dal 2001 al 2010 2 8,7 8,7 8,7

dal 1991 al 2000 11 47,8 47,8 56,5

dal 1981 al 1990 9 39,1 39,1 95,7

dal 1971 al 1980 1 4,3 4,3 100,0

Total 23 100,0 100,0

FLAI Valid dal 2001 al 2010 5 23,8 23,8 23,8

dal 1991 al 2000 13 61,9 61,9 85,7

dal 1981 al 1990 3 14,3 14,3 100,0

Total 21 100,0 100,0

La FIOM si contraddistingue quindi per detenere delegati immigrati con una maggior anzianità sul territorio,

con una media di 18,04 anni e il 43,5% degli intervistati già presente in provincia nel 1990. FIOM, FILLEA e

FLAI si caratterizzano per la maggioranza assoluta degli arrivi sul territorio nella decade del ’90,

rispettivamente con il 47,8%, 72,7% e 61,9%; solamente per FILLEA e FLAI quindi la fascia più rappresentata

coincide con la maggioranza assoluta dei casi. La FILCAMS si differenzia per avere la fascia rappresentativa

più giovane, che coincide con la decade del 2000; nonostante ciò è la FLAI ad aver un’anzianità di residenza

inferiore tra le categorie, con una media di 13,05 anni, contro i 18,04 di FIOM, 14,46 di FILCAMS e 14,09 di

FILLEA.

2 - L’incontro del sindacato e l’impegno sindacale: dal tesseramento all’elezione

In questo secondo paragrafo sono trattati i dati raccolti durante l’intervista strutturata relativi alla

questione che si potrebbe definire “il contatto con il sindacato e l’impegno sindacale”. Si è inteso rilevare

quali siano state le caratteristiche dell’attivazione del rapporto con il sindacato da parte degli intervistati.

Tutto ciò è stato chiaramente approfondito anche durante le interviste semi-strutturate (le cui analisi sono

riportate nella seconda parte del rapporto), ma i questionari sono stati l’occasione per rilevare alcune

informazioni che possono contribuire a comprendere meglio alcuni aspetti della fase di avvicinamento al

sindacato dei soggetti intervistati e il coinvolgimento di questi nell’organizzazione.

Rispetto all’anzianità di iscrizione al sindacato, in generale i delegati immigrati sono iscritti in media da 11,1

anni. Il 54,4% degli intervistati è tesserato da un periodo che va da 6 a 10 anni. Il dato relativo all’anzianità

di tesseramento al sindacato disaggregato per federazione di categoria si discosta significativamente da

quello relativo al complesso degli intervistati:

34

i delegati della FIOM risultano avere una media dell’anzianità di iscrizione al sindacato di 13,39

anni;

i delegati della FILCAMS risultano avere una media dell’anzianità di iscrizione al sindacato di 11,69

anni;

i delegati della FLAI risultano avere una media dell’anzianità di iscrizione al sindacato di 7,62 anni;

i delegati della FILLEA risultano avere una media dell’anzianità iscrizione al sindacato di 12,36 anni.

Inoltre, il dato relativo all’anzianità di iscrizione al sindacato suddiviso per fasce decennali e disaggregato

sulla base della categoria sindacale a cui appartengono gli intervistati mette in luce ulteriori differenze. In

particolare:

per FLAI e FILCAMS la moda coincide con la fascia 6-10 anni, mentre per FILLEA 11-15 anni; infine,

la moda nella FIOM cade in entrambe le fasce 6-10 e 11-15, rappresentate dal 30,4% dei delegati

del nostro campione;

la FLAI nel complesso appare come la categoria con un’anzianità d’iscrizione più giovane, mentre la

FIOM la più radicata, con il 30,4% di intervistati che ha un’anzianità di tesseramento superiore a 15

anni;

in nessuna categoria la fascia più rappresentata corrisponde anche alla maggioranza assoluta dei

casi.

Anzianità d'iscrizione alla CGIL per fasce

Categoria N. Percentuale Percentuale valida Percentuale cumulata

FILCAMS Valid da 1 a 5 anni 2 15,4 15,4 15,4

da 6 a 10 anni 6 46,2 46,2 61,5

da 16 a 20 anni 4 30,8 30,8 92,3

da 21 e oltre 1 7,7 7,7 100,0

Total 13 100,0 100,0

FILLEA Valid da 1 a 5 anni 1 9,1 9,1 9,1

da 6 a 10 anni 2 18,2 18,2 27,3

da 11 a 15 anni 5 45,5 45,5 72,7

da 16 a 20 anni 3 27,3 27,3 100,0

Total 11 100,0 100,0

FIOM Valid da 1 a 5 anni 2 8,7 8,7 8,7

da 6 a 10 anni 7 30,4 30,4 39,1

da 11 a 15 anni 7 30,4 30,4 69,6

da 16 a 20 anni 6 26,1 26,1 95,7

da 21 e oltre 1 4,3 4,3 100,0

Total 23 100,0 100,0

FLAI Valid da 1 a 5 anni 7 33,3 33,3 33,3

da 6 a 10 anni 10 47,6 47,6 81,0

da 11 a 15 anni 4 19,0 19,0 100,0

Total 21 100,0 100,0

Dai dati contenuti nella tabella riportata sotto emerge chiaramente come la maggioranza del campione

della ricerca si sia iscritto al sindacato prima di avere un contratto di lavoro a tempo indeterminato (il

57,4%). Nonostante ciò, risulta significativo che il 23,5% degli intervistati abbia dichiarato di essersi iscritto

al sindacato nel momento in cui aveva ottenuto un contratto di lavoro a tempo indeterminato e che il

19,1% lo abbia fatto solo in un momento successivo.

35

Periodo di iscrizione al sindacato

N. Percentuale

Valid successivamente ad avere firmato un contratto a tempo indeterminato 13 19,1

prima di avere firmato un contratto a tempo indeterminato 39 57,4

l'iscrizione al sindacato e la firma di un contratto a tempo indeterminato hanno coinciso 16 23,5

Total 68 100,0

Il dato disaggregato per categoria mostra alcune differenze:

rispetto alla FILCAMS coloro che si sono iscritti al sindacato prima dell’ottenimento di un contratto

a tempo indeterminato risultano essere il 53,8%;

rispetto alla FILLEA coloro che si sono iscritti al sindacato prima dell’ottenimento di un contratto a

tempo indeterminato risultano essere il 63,6%;

rispetto alla FIOM coloro che si sono iscritti al sindacato prima dell’ottenimento di un contratto a

tempo indeterminato risultano essere il 47,8%;

rispetto alla FLAI coloro che si sono iscritti al sindacato prima dell’ottenimento di un contratto a

tempo indeterminato risultano essere il 66,7%.

In generale sembra che l’iscrizione al sindacato sia avvenuta per gli intervistati durante un periodo di

instabilità sul piano lavorativo. Probabilmente nel determinare ciò svolgono un ruolo essenziale i servizi

delle Camere del Lavoro e in particolare quelli dedicati agli stranieri. E’ noto, infatti, che i Centri Lavoratori

Stranieri delle Camere del lavoro svolgano un ruolo importante nell’intercettare gli immigrati.

Periodo di iscrizione al sindacato per categoria di appartenenza

Categoria N. Percentuale Percentuale

valida

Percentuale

cumulata

FILCAMS Valid successivamente ad avere firmato un contratto a tempo

indeterminato

1 7,7 7,7 7,7

prima di avere firmato un contratto a tempo

indeterminato

7 53,8 53,8 61,5

l'iscrizione al sindacato e la firma di un contratto a tempo

indeterminato hanno coinciso

5 38,5 38,5 100,0

Total 13 100,0 100,0

FILLEA Valid prima di avere firmato un contratto a tempo

indeterminato

7 63,6 63,6 63,6

l'iscrizione al sindacato e la firma di un contratto a tempo

indeterminato hanno coinciso

4 36,4 36,4 100,0

Total 11 100,0 100,0

FIOM Valid successivamente ad avere firmato un contratto a tempo

indeterminato

6 26,1 26,1 26,1

prima di avere firmato un contratto a tempo

indeterminato

11 47,8 47,8 73,9

l'iscrizione al sindacato e la firma di un contratto a tempo

indeterminato hanno coinciso

6 26,1 26,1 100,0

Total 23 100,0 100,0

FLAI Valid successivamente ad avere firmato un contratto a tempo

indeterminato

6 28,6 28,6 28,6

prima di avere firmato un contratto a tempo

indeterminato

14 66,7 66,7 95,2

l'iscrizione al sindacato e la firma di un contratto a tempo

indeterminato hanno coinciso

1 4,8 4,8 100,0

Total 21 100,0 100,0

36

Un dato interessante che emerge dalle interviste strutturate è il fatto che il 17,2% degli intervistati prima di

iscriversi alla CGIL è stato iscritto ad un altro sindacato; la quasi totalità sono stati iscritti alla CISL.

Dopo aver preso in analisi l’avvicinamento dei delegati al sindacato, in ultimo si focalizzerà l’analisi sulla

carriera di delegato. In generale i delegati immigrati a cui sono state svolte le interviste sono stati eletti in

media da 4,55 anni. Il dato relativo all’anzianità come delegato disaggregato per federazione di categoria si

discosta significativamente da quello relativo al complesso degli intervistati e mostra i seguenti dati:

i delegati della FIOM risultano essere stati eletti mediamente da 6,09 anni;

i delegati della FILCAMS risultano essere stati eletti mediamente da 3,85 anni;

i delegati della FLAI risultano essere stati eletti mediamente da 3,24 anni;

i delegati della FILLEA risultano essere stati eletti mediamente da 4,20 anni.

Inoltre, il dato relativo all’anzianità dell’elezione come delegato suddiviso per fasce decennali e

disaggregato sulla base della categoria sindacale a cui appartengono gli intervistati mette in luce ulteriori

differenze. In particolare:

per tutte e quattro le categorie, la fascia più rappresentata coincide con l’elezione avvenuta da

meno di 5 anni.

FLAI e FILCAMS hanno i delegati più recentemente eletti, rispettivamente con una media di 3,24 e

3,85 anni e la fascia da 1 a 5 anni rappresentata dal 76,2% e dal 76,9% di intervistati.

FIOM e FILLEA vedono invece una presenza di delegati stranieri nella categoria oramai radicata nel

tempo, in particolare per la FIOM che vede il 30,4% dei delegati eletti da 5 a 10 anni, e il 17,4% da

10 a 15 anni.

Anzianità di presenza nella categoria come delegato

Categoria N. Percentuale Percentuale

valida

Percentuale

cumulata

FILCAMS Valid da 1 a 5 anni 10 76,9 76,9 76,9

da 6 a 10 anni 2 15,4 15,4 92,3

da 11 a 15 anni 1 7,7 7,7 100,0

Total 13 100,0 100,0

FILLEA Valid da 1 a 5 anni 6 54,5 60,0 60,0

da 6 a 10 anni 4 36,4 40,0 100,0

Total 10 90,9 100,0

Missing System 1 9,1

Total 11 100,0

FIOM Valid da 1 a 5 anni 12 52,2 52,2 52,2

da 6 a 10 anni 7 30,4 30,4 82,6

da 11 a 15 anni 4 17,4 17,4 100,0

Total 23 100,0 100,0

FLAI Valid da 1 a 5 anni 16 76,2 76,2 76,2

da 6 a 10 anni 5 23,8 23,8 100,0

Total 21 100,0 100,0

Incrociando poi in sede d’analisi gli anni di presenza come delegati con l’anzianità di tesseramento, emerge

come il 55,2% è divenuto delegato dopo 6 anni di tesseramento. E’ interessante infine che in 10 casi, pari al

14,9% del campione, l’elezione come delegato abbia coinciso con il tesseramento.

37

Tempo trascorso tra l’iscrizione al sindacato e l’elezione come delegato

Anni N. Percentuale Percentuale valida Percentuale cumulata

Valid Subito 10 14,7 14,9 14,9

1 3 4,4 4,5 19,4

2 4 5,9 6,0 25,4

3 4 5,9 6,0 31,3

4 3 4,4 4,5 35,8

5 5 7,4 7,5 43,3

6 8 11,8 11,9 55,2

7 7 10,3 10,4 65,7

8 6 8,8 9,0 74,6

9 3 4,4 4,5 79,1

10 1 1,5 1,5 80,6

13 3 4,4 4,5 85,1

14 1 1,5 1,5 86,6

15 1 1,5 1,5 88,1

16 2 2,9 3,0 91,0

17 1 1,5 1,5 92,5

18 1 1,5 1,5 94,0

19 3 4,4 4,5 98,5

20 1 1,5 1,5 100,0

Total 67 98,5 100,0

Missing System 1 1,5

Total 68 100,0

Il dato relativo al tempo intercorso tra l’iscrizione al sindacato e l’elezione come delegato disaggregato per

federazione di categoria si discosta significativamente da quello relativo al complesso degli intervistati e

mostra i seguenti risultati:

FIOM e FLAI hanno la moda che coincide con la fascia 1 - 5 anni e rispettivamente il 43,5 e il 57,1

degli intervistati, e in quest’ultimo caso corrisponde anche con la maggioranza assoluta di

categoria;

Per FILCAMS e FILLEA la fascia maggiormente rappresentata coincide la fascia da 6 a 10 anni, con il

38,5% e il 40,0%;

FILCAMS FILLEA e FIOM, vedono delegati migranti nella fascia di 16-20 anni, rispettivamente con il

23,1, 20,0 e 13,0.

38

Anni intercorsi tra l’iscrizione al sindacato e l’elezione come delegato per fasce.

Categoria N. Percentuale valida

FILCAMS Entro 5 anni 4 30,8

Tra 6 e 10 anni 5 38,5

Tra 11 e 15 anni 1 7,7

Tra 16 e 20 anni 3 23,1

Total 13 100,0

FILLEA Entro 5 anni 3 30,0

Tra 6 e 10 anni 4 40,0

Tra 11 e 15 anni 1 10,0

Tra 16 e 20 anni 2 20,0

Total 10 100,0

Missing System 1

Total 11

FIOM Entro 5 anni 10 43,5

Tra 6 e 10 anni 7 30,4

Tra 11 e 15 anni 3 13,0

Tra 16 e 20 anni 3 13,0

Total 23 100,0

FLAI Entro 5 anni 12 57,1

Tra 6 e 10 anni 9 42,9

Total 21 100,0

39

PARTE SECONDA - LE INTERVISTE SEMI-STRUTTURATE

Capitolo I - Contatto, avvicinamento e conoscenza del sindacato

Le interviste semi-strutturate con i delegati immigrati sono iniziate dalla richiesta da parte

dell’intervistatore di raccontare il periodo in cui si è conosciuto e incontrato il sindacato per la prima volta.

Lo scopo di tale richiesta era quello di comprendere le caratteristiche del primo contatto tra immigrati e

sindacato. Ciò che interessava capire al gruppo di ricerca in particolare era:

- il tipo di background esperienziale rispetto al sindacato possedessero gli intervistati;

- il luogo (situazione locale) dove era avvenuto il primo contatto con il sindacato;

- il tipo di strutture relazionali (situazione relazionale) che ha contribuito a primo contatto.

Attraverso l’analisi delle interviste si è potuto procedere alla formulazione di una tipizzazione del

background esperienziale rispetto al sindacato degli intervistati e delle situazioni in cui è avvenuto il primo

contatto.

Chi legge ha probabilmente notato il fatto che tra gli obbiettivi che ci si è posti non rientra quello del

“perché sia avvenuto il primo contatto”, dove per “perché” ci si potrebbe riferire sia ad una “dimensione

attitudinale” (che ha a che fare con la rappresentazione che il soggetto ha del sindacato e del rapporto da

instaurare con esso) sia ad una “dimensione motivazionale” (che ha a che fare con il bisogno specifico da

soddisfare da parte del soggetto che spinge quest’ultimo a rivolgersi al sindacato). In realtà è inevitabile che

il ricercatore, almeno in una certa misura, nel momento in cui si accinge a studiare un tema come quello in

oggetto si ponga domande relative al “perché sia avvenuto il primo contatto”.

Tuttavia, già durante le prime interviste è apparso evidente il fatto che non fosse così semplice

comprendere e tipizzare il primo contatto/adesione sulla base delle sue motivazioni e dell’attitudine dei

soggetti nei confronti dell’organizzazione sindacale. L’analisi dell’intero corpus testuale ha poi confermato

le difficoltà percepite durante il lavoro di campo. In altri termini, a causa dell’oggetto specifico della ricerca

- i delegati (quindi soggetti che non solo hanno già aderito al sindacato, escludendo le problematiche

relative alla figura del free-rider, ma che evidentemente sono anche, in quanto rappresentanti sindacali,

impegnati attivamente in esso) immigrati (soggetti che, per la condizione socio-giuridica in cui sono inseriti,

presentano al sindacato richieste di tutela la cui complessità e articolazione è spesso irriducibile a distinte

categorie monodimensionali) - e a causa di una certa prudenza (se non addirittura diffidenza) da parte di

chi scrive nell’utilizzare le categorie relative alla membership sindacale (e più in particolare alle categorie

relative alle motivazioni e agli approcci sottostanti all’adesione all’organizzazione sindacale) presenti in

letteratura (adesione/contatto strumentale/razionale/calcolo costi e benefici vs. adesione/contatto ai

valori dell’organizzazione sindacale/non razionale/assenza di calcolo costi benefici; adesione/contatto per

fruire di un “servizio”, adesione/contatto per problematiche legate alla propria condizione di lavoro;

adesione/contatto in condizione di relativa sicurezza vs. adesione/contatto in condizione precaria; ecc …), si

è convenuto che la presente ricerca non fosse l’occasione adatta per svolgere analisi di questo tipo.

1 - Il background esperienziale relativo al sindacato

In questo paragrafo si riportano le analisi e le riflessioni sulle parti di intervista finalizzate a comprendere

che tipo di bagaglio esperienziale rispetto al sindacato possedevano i delegati immigrati nel momento in cui

hanno incontrato il sindacato. Come risulterà evidente da ciò che è riportato sotto, emerge uno scenario

complesso e articolato non riducibile ad un unicum.

40

Una parte di intervistati ha raccontato di avere conosciuto le organizzazioni sindacali (o meglio, di avere

conosciuto una organizzazione di rappresentanza come il sindacato) durante il periodo passato in Italia.

Alcuni tra questi hanno sostenuto che durante il periodo di vita anteriore all’esperienza migratoria non

conoscevano le organizzazioni sindacali del proprio paese d’origine. Altri, invece, hanno raccontato che nei

rispettivi paesi di provenienza non esistono (o non esistevano al momento della loro partenza)

organizzazioni di rappresentanza degli interessi dei lavoratori comparabili alle organizzazioni sindacali

italiane e in generale alle organizzazioni sindacali europee. Al di là della veridicità di tali rappresentazioni

(ciò che importa in questo caso è che queste rappresentazioni siano presenti tra gli intervistati), questa

parte di delegati immigrati intervistati ha sostenuto di non avere mai avuto esperienze sindacali o politiche

nel proprio paese, né di provenire da una famiglia d’origine in cui qualche membro fosse impegnato in

attività sindacali o politiche. Il background sindacale ed esperienziale di questi intervistati risulta, quindi,

essere costruito interamente all’interno dell’esperienza migratoria ed essere fortemente intrecciato con

quest’ultima.

Alcuni intervistati hanno dichiarato di essere stati iscritti ad altri sindacati italiani (soprattutto alla CISL)

prima di scegliere di iscriversi alla CGIL. In questi casi la scelta di passare alla CGIL sembra essere avvenuta

sulla base della valutazione dell’esperienza sindacale precedente.

… praticamente alla UIL non sono piaciuta … e io ho scelto CGIL … Ero alla UIL ma quando avevo bisogno andavo a CGIL

… e mi trovavo bene con le cose … P 1: MM01_FLAI.txt - 1:3 (11:14) (Super)

… perché prima io ero iscritto alla CISL, poi il funzionario della CGIL mi ha invitato a venire iscrivermi con loro. Anch'io

ho visto che loro aiutano di più, è per quello che ho cambiato e mi sono iscritto alla CGIL … P16: PT08_FIOM.txt - 16:2

(9:11) (Super)

… Allora inizialmente uno della FIM, il delegato della FIM che mi ha avvicinato mi ha detto: “Sei iscritto al sindacato?”

E io: “No, non sono mai stato iscritto” Dice: “Allora ti do la tessera”, io l'ho presa e poi ho fatto l'iscrizione. Poi è venuto

mio cugino e mi ha detto: “Sei iscritto al sindacato?” Ho detto: “Sì, c'è questa delegata che mi è venuta incontro” Dice:

“No no no, subito vai ad annullarla, perché qua siamo tutti della FIOM”, quindi ho fatto la disdetta e mi sono iscritto

alla FIOM, così. Tra le due, come dicevo, lì la FIOM era più forte. All'interno dell'azienda la maggior parte erano tutti

iscritti alla FIOM. Poi dopo ho visto che, quando si faceva l'assemblea, quelli che venivano a parlare parlavano in modo

molto più chiaro e convincente quelli della FIOM. Ho detto: “In tal caso rimango qua” … P22: PT14_FIOM.txt - 22:3

(10:18) (Super)

… ero iscritto alla CISL tramite un amico, è lui che mi ha spinto, lo conoscono tutti. Poi dopo ho cambiato perché mi

trovavo in una condizione che la CISL non è un sindacato vero che difende proprio i diritti dei lavoratori, lavoratrici,

pensionati. Ho capito subito che è un sindacato che affronta la situazione degli immigrati, affronta la situazione dei

pensionati, lavoratrici, lavoratori, però non è che va fino in fondo: alla fine fanno come se fossero loro a rappresentare

gli immigrati, tutti i cittadini, poi alla fine fanno quello che vogliono, non è che danno proprio la ragione rispetto, per

esempio, a quello che abbiamo votato nel lavoro o proprio quello che abbiamo votato noi, la maggioranza dei

lavoratori, non rispettano quello. È già successo due o tre volte anche si vede anche nei contratti che fanno, la

separazione dei contratti, come adesso la Fiom-CGIL siamo la maggioranza e siamo proprio isolati nella firma del

contratto … P25: PT17_FIOM.txt - 25:3 (16:26) (Super)

… L'esperienza che aveva avuto mio zio nella CISL con il suo modo di fare non mi è piaciuta. Da lì ho scelto la CGIL qui a

Reggio Emilia. Io nella CISL non mi sono mai tesserato comunque, frequentavo gli incontri perché ci andavo con mio zio

… P37: PT29_FILCAMS.txt - 37:1 (10:12) (Super)

41

… Arrivati in Italia siamo entrate in questo giro brutto, di malavita … in meridione a raccogliere frutta come schiave …

considera che eravamo in un paese di periferia; il datore di lavoro era anche sindaco. Non sfruttava solo noi ma anche

tanti italiani. Parlando con loro ci hanno indicato dove dovevamo andare. Poi sai, non è che potevamo tornare indietro

... come fai a tornare indietro senza un euro? Siamo andati al sindacato e abbiamo risolto … sindacato CISL che non

avevo incontrato nemmeno ma avevo la tessera a casa … P68: MR12_FILCAMS.txt - 68:2 (32:41) (Super)

Come si può capire dagli stralci di intervista riportati sopra, in questi casi la conoscenza del sindacato, il

contatto con esso e l’iscrizione risultano essere fasi distinguibili più su un piano analitico che su un piano

concreto. In alcune interviste, tuttavia, è stato raccontato di avere conosciuto le organizzazioni sindacali

italiane attraverso i mass media e solo successivamente di averle intercettate.

… Sapevo già che era il sindacato più forte in Italia, avevo anche ... adoravo Cofferati, come sindacato, non come

sindaco … P15: PT07_FLAI.txt - 15:3 (19:20) (Super)

… La CGIL l'ho conosciuta prima perché io sono uno che ascolta sempre le informazioni e Cofferati era uno che mi

piaceva molto, i suoi discorsi e come si lottava, perché io, siccome sono un lottatore, mi piace la gente che sa lottare e

alla fine ho detto se devo scegliere un giorno di sindacarmi, vado alla CGIL … P20: PT12_FIOM.txt - 20:1 (13:15) (Super)

Sulla base delle esperienze raccontate e riportate sopra è possibile, dunque, affermare che per una parte di

immigrati (e si sottolinea, come si capirà meglio sotto, il fatto che si tratta di una parte e non di tutti)

migrazione e sindacalizzazione risultano essere due processi esperienziali diversi, ma tra loro intimamente

legati. Il sindacato è conosciuto e intercettato durante l’esperienza migratoria, non prima; in un certo senso

si potrebbe addirittura azzardare e sostenere che per una parte di immigrati il sindacato è incontrato e

conosciuto grazie all’esperienza migratoria e alle condizioni di vita che quest’ultima comporta (sicuramente

lo si potrebbe sostenere collocandosi all’interno di una prospettiva di path dependence e d’altronde si

stanno analizzando biografie e in quanto tali uniche e irripetibili).

Tuttavia, durante le interviste oltre che esperienze in cui la conoscenza del sindacato è temporalmente

situata in un periodo di migrazione, sono state raccolte anche esperienze in cui il sindacato era stato

conosciuto e contattato nel paese d’origine o in cui, per lo meno, già nel paese d’origine c’era stata una

esperienza politica. Una seconda parte di intervistati, infatti, ha raccontato che già prima di partire avevano

avuto esperienze sindacali, avevano avuto esperienze di militanza politica all’interno di partiti, collettivi

studenteschi o associazioni politiche ed erano entrati in contatto con le organizzazioni sindacali dei

rispettivi paesi di provenienza.

… Il sindacato io lo conosco perché anche a Tunisi c'è nel mio paese c'è un sindacato solo, qui in Italia ci sono 3

sindacati, nelle strade e nei bar dicono che CGIL è più forte e io quando ho problemi vado dal più forte per difendermi,

quando uno è malato non va da un infermiere ma dal dottore. Io conosco la storia della CGIL ho letto anche a Tunisi la

storia della CGIL. Per questo sono andato alla CGIL … Si, si solo che c'è differenza nel sindacato forza del terzo mondo,

in Albania, in Romania c'è una grande differenza, qui in Italia il sindacato ha poteri più forti, là è debole perché va

dietro la politica e quando il sindacato va con la politica non è sindacato. Il sindacato è simbolo del lavoratore non

c'entra niente con la politica, come sindacato non siamo un partito politico, siamo un sindacato che difende giallo,

verde, sinistra o destra … P 2: MM02_FILLEA.txt - 2:2 (25:36) (Super)

… Mi sono avvicinato, diciamo, da un punto di vista politico, perché io non potevo andare ad altri sindacati che non la

CGIL. Diciamo per educazione politica o conoscenza politica, perché io sono rimasto in Italia per motivi familiari, ma

sotto sotto era anche un motivo politico. Stavo studiando medicina. Ho cambiato, ho fatto scienze politiche per motivi

politici sempre. Dopo è stato per quei motivi lì che sono stato in Italia, sono rimasto, dopo certamente c'era anche il

42

matrimonio, etc. però tutti e due, per cui era una scelta politica la CGIL. Dall'inizio anche quando non ero delegato, ero

ancora studente … P38: PT30_FILCAMS.txt - 38:1 (9:14) (Super)

… Io è stato anche un rappresentante sindacale in Marocco. Però l'ultima volta abbiamo fatto uno sciopero e facevo

l'autista dell' ATAM, e nell'89 abbiamo fatto uno sciopero generale e abbiamo ... per noi l'azienda ha licenziato tutti i

rappresentanti sindacali. Per quello ho cambiato il mestiere, siamo andati al tribunale, il tribunale ha condannato

l'azienda. Però quel tempo io era già arrivato in Italia, aveva già trovato lavoro qui. E allora è rimasto qui fino ad ora ...

siamo riusciti a fare uno sciopero, dopo quel giorno mi hanno licenziato con altre 7 persone … mi hanno mandato via,

fuori con gli altri … Mi chiamavano tutti i giorni e ti dicono vieni alla questura. Allora stai li fino alla sera. Alla sera

ritorni a dormire alla tua casa e il giorno dopo vieni qui alla questura per il controllo ancora. E basta. Non ti dicono vai

via. Ti danno fastidio. E gli altri faticano a parlare con te, faticano ad avvicinarsi, faticano perché tu sei sotto controllo

della polizia, di qua e di la … dopo ho provato ad andare a lavorare in un'altra azienda. L'altra azienda ha capito che

facevo il rappresentante del sindacato, e mi hanno detto alla guardia: questo non deve entrare in ufficio! Deve stare

vicino alla sua macchina. E basta. E dopo ho capito da solo che sono costretto ad andare via. E per quel motivo che è

venuto qui in Italia … Questo [che avevamo organizzato] è stato il primo sciopero, l’azienda è diventata molto severa …

A quel tempo era molto difficile. Non c’erano diritti … lascia perdere sulla carta, la

carta è un’altra cosa, ma in pratica … Appena dici che fai parte del sindacato ti dicono: vai via!, vai a lavorare al

sindacato. Qui non c’è lavoro … Adesso ho sentito che sono migliorate le cose … Dicono che c’è stata un’apertura …

P46: VA08 FIOM.txt - 46:2 (2:88) (Super)

… Ho fatto parte di un sindacato in Albania. La mia categoria, i finanzieri marittimi, non ce l'avevano, ma quando ero

insegnante ero nel sindacato degli insegnanti. Qui non lo so, mi piace fare parte di queste cose perché ... non è che mi

piace fare gli incontri con la gente, con le aziende, però ci deve essere una voce, qualcuno che dice le altre idee … P47:

VA09 FIOM.txt - 47:3 (2:7) (Super)

… In Moldavia facevo già parte di un sindacato … ma sono diversi ... non sono come qui ... CGIL, CISL ... P48: VA10

FLAI.txt - 48:3 (1:16) (Super)

… a casa mia sono sempre stata nel sindacato. Poi dove ho lavorato prima in Romania avevo già esperienza in

sindacato. Dove lavoravo prima io, in Romania, ho fatto una specie di sindacalista li per 6 anni. Non ho fatto fatica ad

iscrivermi ... già sapevo cosa volevo. Quando sono venuta in Italia ho ripreso tutto … P59: MR01_FLAI.txt - 59:2 (67:70)

(Super)

… In Ghana c'è ma ha un nome diverso, non si chiama sindacato, è chiamata Organizzazione dei Lavoratori ma non è

come qui. Qua fanno le assemblee sul lavoro, chiamano, vanno fuori, possono dire cose al governo, in Ghana è diverso,

non è come qua che se c'è un problema scioperiamo e facciamo le assemblee … P62: MR05_FLAI.txt - 62:2 (31:34)

(Super)

… non ero iscritto ad un partito ma avevo ... un collettivo all’università … Sul problema palestinese e tutto questo.

Infatti partecipavamo anche alle manifestazioni dei lavoratori nel nostro paese come il primo maggio … P63:

MR06_FIOM.txt - 63:2 (22:28) (Super)

… Già quando ero in Pakistan ed ero studente all’università, ero uno ‘student leader’ facevo già politica. Avevo letto e

studiato Karl Marx … ho visto che la CGIL si occupava di lavoro e ho visto che loro aiutano molto gli immigrati. E’

l’unica organizzazione in Italia che parla dei nostri diritti, del nostro futuro e dei nostri interessi e per questo motivo mi

sono avvicinato alla CGIL … Ero militante studentesco in Pakistan … ho iniziato alle Scuole superiori. E dopo

all’università … P67: MR11_FILLEA.txt - 67:1 (5:13) (Super)

43

… diciamo che facevo parte di una collettività sindacale giù in Marocco … avevo già un’esperienza politica intorno ai

sindacati giù in Marocco. E lì, insieme alle mie colleghe di lavoro, facevamo un po’ valere i nostri diritti … P69:

MR13_FILCAMS.txt - 69:2 (25:30) (Super)

In altri casi ancora gli intervistati hanno sostenuto che il proprio bagaglio di cultura politico sindacale fosse

stato tramandato dalla famiglia d’origine e, al di là del fatto che in patria ci fosse stato o meno un impegno

attivo in una organizzazione sindacale, di avere sentito parlare di sindacato fin da quando erano bambini.

… come ti avevo già detto, a Napoli io sapevo già cosa significa questo lavoro. Anzi, i miei genitori facevano già questo

lavoro: difendere i diritti dei lavoratori. Avevo uno zio: da quando avevo nove anni ho saputo che lavorare, deve avere i

diritti. Allora il mio zio faceva questo lavoro: qualche volta andavo da lui in ufficio, qualcuno che veniva, si lamentava,

non è stato pagato dopo un lavoro che sia in campagna, che sia nel ristorante come lavapiatti. É lì che ho preso già il

gusto di difendere qualcuno. È questo lavoro, è giusto? … P12: PT04_FIOM.txt - 12:1 (9:14) (Super)

… Per iscrivermi al sindacato io l'ho portato con me dal mio paese d'origine, il sindacato dentro di me è arrivato con me

dal paese d'origine. Vedendo il mio papà che lavorava nelle miniere lì, ho visto come vive la gente che lavora in miniera

e sentivo sempre mio papà che parlava del sindacato qui il sindacato lì, allora sono sempre stato di quell'idea. Poi

abbiamo anche un cugino che lavora qua, frequentando lui è cresciuta l'idea dentro … P30: PT22_FILLEA.txt - 30:1

(19:23) (Super)

… Allora praticamente nella mia famiglia mio padre giù in Marocco, anche se non abbiamo praticamente esperienze

radicate rispetto all’Italia, conoscevo giù cos’era il mondo del sindacato in Marocco e quindi uno straniero quando

arriva in un paese straniero in qualche modo al di là delle tutele personali deve cercare anche di affacciarsi su mondi

diversi e quindi il sindacato sapevo quali sono le indirizzi politiche e quindi mi sono iscritto subito alla CGIL … ma già

mio padre era simpatizzare e iscritto alla confederazione generale del lavoro in Marocco … in Marocco praticamente il

sindacato non ha dei gran margini anche perché si vive il sindacato in un contesto politico. Non avevi molto margine di

libertà. Tu iscrivi delle persone anche se le persone avevano, non dico paura, ma non si esprimono rispetto ad oggi, la

situazione o con il tempo la situazione è cambiata molto anche perché hanno voci in capitolo, io in università avevo un

movimento che era legato molto al sindacato. Qualunque iniziativa che si preparava si preparava in collaborazione con

il sindacato anche perché tu hai in base studenti., lavoratori riesci a porre delle questioni nei confronti di quelli che

governano … P57: VA19 FILLEA.txt - 57:2 (2:30) (Super)

Nonostante emergano questi diversi background sindacali tra gli intervistati, la CGIL e in particolare le

federazioni di categoria su cui si è svolta la ricerca rappresentano agli occhi degli intervistati un agente di

integrazione culturale e sociale degli immigrati e dunque risulta essere in una certa misura anche agente di

riproduzione dell’esperienza migratoria stessa. In altri termini gli intervistati individuano l’esistenza di un

legame forte tra migrazione e sindacalizzazione, un legame che inevitabilmente non può che influire sul

senso e i significati che gli immigrati attribuiscono all’una e all’altra, un legame, quindi, che, a parere di chi

scrive, deve necessariamente essere preso in considerazione nel momento in cui ci si avvicina ai processi

migratori (per lo meno a quelli in Italia), a prescindere dall’oggetto specifico su cui si intende riporre

l’attenzione.

2 - La situazione locale e relazionale del primo contatto

Ricerche precedenti (Mottura, Cozzi, Rinaldini, 2010) hanno mostrato che le reti relazionali attraverso cui le

organizzazioni sindacali entrano in contatto con i lavoratori immigrati sono di diverso tipo. Naturalmente

44

tra la rete relazionale utilizzata per contattare l’organizzazione sindacale e il luogo in cui avviene il contatto

esiste una relazione stretta.

Le interviste svolte con i delegati immigrati hanno confermato il fatto che il luogo di lavoro e la rete

relazionale situata al suo interno risultano essere le situazioni privilegiate di primo contatto. Nei racconti di

molti degli intervistati il luogo di lavoro è quello in cui hanno avuto occasione di conoscere il sindacato per

la prima volta.

… le delegate … dopo che sono entrata … il mio collega Claudio, che anche lui è rappresentante CGIL, ha detto: “Dai,

Paula, guarda, tu hai bisogno di entrare nel sindacato perché quando hai problemi, per assegni, per la disoccupazione,

per tutto, quando vai a fare la domanda e poi se hai problemi tu basta che vai dal sindacato e quelli che ci sono nella

misura in cui ti possono aiutare ti aiutano.” Ho detto: “Va bene, come devo fare per iscrivermi?” E lui mi ha detto:

“Basta che mi dai il nome io vado al sindacato CGIL” e dopo mi ha portato la tessera … P14: PT06_FLAI.txt - 14:1

(10:15) (Super)

… Allora abbiamo deciso, io con gli altri colleghi di lavoro, di cambiare. Abbiamo raccolto le firme che non

volevamo più la CISL che abbiamo visto che per tante cose non va a nostro favore … P23: PT15_FIOM.txt - 23:1 (9:15)

(Super)

… Venivano a fare le assemblee … ho sempre pensato che il sindacato può risolvere i problemi dei lavoratori. Allora

quando venivano a fare le assemblee gli davo maggiore ascolto, gli davo maggiori attenzioni e dopo ho deciso di

iscrivermi … P24: PT16_FIOM.txt - 24:1 (9:12) (Super)

… quando veniva la prima sindacalista che veniva da noi … quando veniva era brava, ci spiegava bene … P54: VA16

FIOM.txt - 54:1 (2:3) (Super)

… La CGL l’ho conosciuta tramite le assemblee in fabbrica e tramite la televisione … anche all’ufficio stranieri ho

conosciuto il sindacato … ma la priorità della conoscenza è stata la fabbrica, quando sono entrata la prima volta in

fabbrica … P59: MR01_FLAI.txt - 59:1 (73:78) (Super)

I colleghi di lavoro, i delegati sindacali nel caso siano presenti o i funzionari in occasione di assemblee o di

mobilitazioni risultano essere i nodi della rete attraverso cui è attivato il primo contatto tra lavoratori

immigrati e organizzazione sindacale. Dalle interviste emerge chiaramente che nel caso il primo contatto

avvenga nei luoghi di lavoro, la rete relazionale non presenta necessariamente i medesimi caratteri geo-

culturali di coloro che attivano il contatto.

La rete di colleghi attraverso cui gli intervistati hanno sostenuto avere conosciuto il sindacato risulta essere

costituita tanto da italiani quanto da immigrati.

… Con il sindacato ci siamo conosciuti sul posto di lavoro, è stato un mio collega del mio paese a farmi conoscere il

sindacato … P16: PT08_FIOM.txt - 16:1 (12:12) (Super)

… La mia iscrizione al sindacato è avvenuta tramite la mia collega [connazionale]. Dopo che ho avuto dei problemi nel

lavoro, poi mi ha detto: “C'è un sindacato che difende i tuoi diritti” … P25: PT17_FIOM.txt - 25:2 (9:10) (Super)

… poi lei è una mia amica, mi piaceva come parlava, questa ragazza toscana molto brava. poi nel tempo ho iniziato a

informarmi un po' di più sulla FIOM, ho preso la tessera. All'inizio lo fai per amicizia, ma adesso sono già più

consapevole … P52: VA14 FIOM.txt - 52:1 (33:36) (Super)

… alcuni amici che lavoravano là prima di me e che erano già iscritti. E’ venuto un sindacalista per una riunione con noi

e mi sono iscritto. Ha chiesto se c’era qualcuno di nuovo e c’ero io. Mi ha chiesto se volevo iscrivermi e io ho detto di

45

sì … [i miei amici] sono italiani: il primo immigrato ero io perché nel ’91 non c’erano altri, su 14 persone c’ero solo io

immigrato … P66: MR10_FILLEA.txt - 66:2 (10:19) (Super)

Allo stesso modo la rete organizzativa sindacale operante nei luoghi di lavoro e in particolare i funzionari e i

delegati che hanno incontrato gli intervistati mettendoli in contatto con l’organizzazione sindacale risulta

essere composta tanto da stranieri quanto da italiani.

… Alla fine io mi sono rivolto a Massimiliano e anche a Maria Teresa, sono venuto da loro, gliel'ho detto. Loro sono

venuti un giorno lì all'azienda, abbiamo fatto la prima assemblea, si è parlato di questi igiene e sicurezza, tutto quanto,

ma non è che sia cambiato tanto, è rimasto sempre lì il discorso … P19: PT11_FIOM.txt - 19:1 (21:24) (Super)

… era l'ex delegato... era un ragazzo bravo, ho visto le sue capacità... io ho sempre cercato di essere un tesserato della

CGIL ... P49: VA11 FLAI.txt - 49:2 (10:12) (Super)

L’utilizzo di una rete relazionale esterna al contesto lavorativo (al di fuori dell’orario e del luogo di lavoro)

per contattare l’organizzazione sindacale rappresenta, invece, una risorsa per i soggetti la cui attività

lavorativa non è svolta in un contesto relazionale che favorisce la socializzazione e lo sviluppo di una rete

relazionale larga e densa. Diventa importante, in questo caso, la capacità dell’organizzazione sindacale di

sviluppare e radicare la propria rete organizzativa e la propria azione sul territorio di riferimento.

… In quel momento c'era il referente per la vallata del Bidente eravamo 4 o 5 immigrati nel 1993, 1994, pochi e ci

conoscevamo tutti, andavamo al bar con gli italiani avevo avuto problema di perdita di lavoro, problemi col datore di

lavoro sono andato al sindacato per seguire la mia faccenda e ci siamo conosciuti e poi siamo nello stesso paese e

intanto si richiedeva anche il mio aiuto quando c'era una manifestazione o una conferenza … P 7: MR03_FLAI.txt - 7:2

(7:12) (Super)

… quando sono arrivato in Italia c'era quasi solo la CGIL come sindacato che veniva a casa nostra e che conosceva

molto gli stranieri … Che ci aiutava quando avevamo problemi con il nostro, con il titolare delle case … P18:

PT10_FIOM.txt - 18:2 (23:25) (Super)

La costruzione da parte del sindacato di una relazione relativamente stabile con le associazioni dei migranti

situate sul territorio è certamente una strategia che garantisce l’apertura di canali di informazione e

comunicazione con i membri delle associazioni e quindi un mezzo di amplificazione della rete organizzativa

sindacale.

… Sono venuto qua all’ufficio vertenza, ho parlato con loro. Mi sono recato prima al mio presidente, ex presidente

dell’associazione (senegalese). Mi fa: te dovresti andare al sindacato! Il sindacato dove? Non sapevo niente! Vieni, ti

do l’indirizzo … e sono venuto qua e ho parlato con loro … P40: VA02 FLAI.txt - 40:2 (60:65) (Super)

… ero presidente di un'associazione di stranieri lavoravo nel campo degli stranieri, per aiutare gli stranieri che

lavorano mi sono avvicinato al sindacato, per dare una mano a questi stranieri che rappresentavo. conoscevo la CGIL

tramite le associazioni … P53: VA15 FIOM.txt - 53:2 (3:6) (Super)

Gli uffici delle federazioni di categoria in molti casi diventano quindi i luoghi del primo contatto con i

lavoratori immigrati, contatto che avviene spesso senza un filtro del delegato e senza la mediazione della

rete relazionale situata nel contesto lavorativo.

46

… mi sono avvicinato al sindacato appena ho iniziato a lavorare come interinale, cioè NIDIL che praticamene i primi

tempi ci offriva il NIDIL perché nel '98 è la legge che abilita questi. Mi sono avvicinato per chiedere informazioni e

subito mi hanno proposto di iscrivermi. Ho accettato perché mi sembrava una cosa giusta, visto che qualcuno faceva

valere i miei diritti per il contratto … P13: PT05_FIOM.txt - 13:1 (9:12) (Super)

… Sono venuto io qua per informazione, mi sono interessato un po’. Dopo sono stato avvicinato dal sindacato se

volevo farlo … P39: VA01 FLAI.txt - 39:1 (50:51) (Super)

… prima volta …. sono venuto qua all’ufficio vertenza, ho parlato con loro … P40: VA02 FLAI.txt - 40:1 (60:61) (Super)

… Mi hanno licenziato e poi alla fine è diventata una situazione un po’ imbarazzate li dentro, sono uscito, sono andato

alla camera del lavoro cerano delle brave persone dei bravi funzionari … P50: VA12 FIOM.txt - 50:1 (70:73) (Super)

all'inizio mi sono iscritto, quando mi sono fatto male al lavoro, così mi hanno aiutato loro per i danni che ho avuto con

l'azienda, se non c'era il sindacato avrei perso tante opportunità, allora mi sono iscritto subito … P53: VA15 FIOM.txt -

53:1 (6:9) (Super)

Ma proprio per estendere l’azione sindacale sul territorio e raggiungere quei casi che altrimenti sarebbero

difficilmente raggiungibili sul luogo di lavoro, ma anche per svolgere una funzione di filtro e orientamento

nei confronti di coloro che si rivolgono direttamente alle strutture sindacali senza intermediazione del

delegato i Centri Lavoratori Stranieri (CLS) delle Camere del Lavoro risultano essere fondamentali. La

distribuzione capillare dei CLS sul territorio regionale (vedi figura) ovviamente favorisce l’incontro tra

l’organizzazione sindacale e i lavoratori stranieri.

47

Non a caso dalle interviste i CLS risultano essere tra le strutture di confine della CGIL che più di altre hanno

svolto la funzione di primo contatto con gli immigrati.

… Nel 1996, 1997 … ho pensato vado ufficio CGIL compilare documentazione, non per lavoro, per altre cose … P 8:

MR09_FIOM.txt - 8:1 (9:10) (Super)

… E da lì è cominciata l'idea di avere questi contatti con la CGIL, venire qua all'Ufficio Stranieri a parlare

anche con la gente della categoria, che al momento ero FIOM … perché ero metalmeccanico … P26: PT18_FILCAMS.txt

- 26:1 (31:33) (Super)

… Allora, mi sono avvicinato al sindacato la prima volta quando ho avuto bisogno di rinnovare il permesso di Soggiorno

… P29: PT21_FILLEA.txt - 29:1 (9:10) (Super)

… mi ha spiegato dei servizi che facevano, che ci davano dei servizi … praticamente tutta la documentazione … cioè

per il permesso di soggiorno per fare venire mia moglie ho avuto dei grossi problemi, mi hanno aiutato abbastanza …

P41: VA03 FLAI.txt - 41:1 (15:19) (Super)

… Sono andata alla Camera del Lavoro al Centro stranieri ... Quando mi trovavo in difficoltà quando facevo domande

per la vita quotidiana … un chiarimento, una domanda... devi avere un punto di riferimento … P48: VA10 FLAI.txt -

48:1 (19:21) (Super)

… Invece quando sono venuto a Bologna, per problemi miei personali, problemi con mia figlia, poi per lavoro ... mi

sono rivolto al sindacato. Per fortuna ho trovato un'accoglienza perfetta dai sindacati … P55: VA17 FILLEA.txt - 55:1

(6:12) (Super)

… uno straniero quando arriva in un paese straniero in qualche modo al di là delle tutele personali deve cercare anche

di affacciarsi su mondi diversi e quindi il sindacato sapevo quali sono le indirizzi politiche e quindi mi sono iscritto

subito alla CGIL. Anche perché una delle prime confederazioni che ha creato l’Ufficio Stranieri almeno a Bologna

quello che ho conosciuto … e quindi li abbiamo fatto varie iniziative, contattato persone, lavoratori e via dicendo …

P57: VA19 FILLEA.txt - 57:1 (5:13) (Super)

… poi tutte le volte che avevo bisogno di informazioni, sapendo i miei diritti andavo a chiedere al sindacato, all’Ufficio

Stranieri … P68: MR12_FILCAMS.txt - 68:1 (11:12) (Super)

Ciò che risulta interessante è il fatto che, come per le reti relazionali che si sviluppano nel luogo di lavoro e

che fungono da canali di primo contatto tra lavoratori immigrati e organizzazioni sindacali, anche le reti

relazionali che svolgono la stessa funzione sul territorio, al d fuori del luogo e del tempo di lavoro, non

sembrano essere caratterizzate da una precisa origine geo-culturale. In altri termini sembra che anche in un

contesto extra-lavorativo i contatti con il sindacato dei lavoratori immigrati possano avvenire tanto

attraverso loro connazionali quanto attraverso italiani.

Indubbiamente la rete relazionale dei propri connazionali e in generale le reti migranti sono un formidabile

veicolo di trasferimento delle informazioni e di socializzazione di valori.

… conoscevo gente in piazza amici indiani mi hanno detto che sindacato CGIL loro danno mano e spiegazioni … P 8:

MR09_FIOM.txt - 8:2 (8:9) (Super)

… ho incontrato un mio amico senegalese lì, che era un delegato, è lui che mi ha portato … e mi ha fatto diventare un

delegato, è lui che mi ha convinto … P61: MR04_FLAI.txt - 61:1 (3:4) (Super)

48

Dalle interviste emerge anche che la rete famigliare riveste una c erta importanza nell’orientare verso

l’organizzazione sindacale.

… Mio cugino che lavorava alla CGIL però lui aiutava sempre gli immigrati, lavorava lì alla , sezione immigrati, aiutava

sempre i senegalesi anche i non senegalesi, loro dicevano sempre, uno che lavora deve andare ai sindacati perché in

questo paese, se non sei iscritto hai sempre dei problemi, quando hai dei problemi vai sempre ai sindacati, noi

abbiamo visto che i sindacati hanno aiutato sempre gli stranieri in generale i lavoratori. Dopo io ho parlato con lui … P

4: MM04_FILLEA.txt - 4:2 (8:12) (Super)

… Quando sono andato a lavorare, mio fratello, dato che lui faceva già parte della CGIL, mi ha detto che se avessi

avuto qualche problema, loro mi avrebbero aiutato. Ecco perché mi sono iscritto alla CGIL … P21: PT13_FLAI.txt - 21:1

(9:10) (Super)

… Poi è venuto mio cugino e mi ha detto: “Sei iscritto al sindacato?” Ho detto: “Sì, c'è questa delegata che mi è venuta

incontro” Dice: “No no no, subito vai ad annullarla, perché qua siamo tutti della FIOM”, quindi ho fatto la disdetta e mi

sono iscritto alla FIOM, così. Tra le due, come dicevo, lì la FIOM era più forte. All'interno dell'azienda la maggior parte

erano tutti iscritti alla FIOM … P22: PT14_FIOM.txt - 22:2 (13:17) (Super)

… Così ho parlato con mia sorella, mia sorella ha detto che le uniche persone che proteggono, che danno una mano al

lavoratore, sono quelle del sindacato. Io non conoscevo il sindacato qui in Italia, però abitavo vicino al sindacato. Mi

sono avvicinato al sindacato e ho parlato con una ragazza a quel tempo, Maria che adesso è segretario e mi ha iscritto

al sindacato. Sono dieci anni adesso che sono iscritto al sindacato … P27: PT19_FILCAMS.txt - 27:2 (11:15) (Super)

… Allora, mi sono avvicinato al sindacato la prima volta quando ho avuto bisogno di rinnovare il permesso di

soggiorno, quindi da lì in poi … Chiamiamola tradizione di famiglia, diciamo che tutti rinnovavano qua e di

conseguenza sono capitato anch'io … P29: PT21_FILLEA.txt - 29:2 (9:13) (Super)

… Praticamente mi ha fatto conoscere, mi ha fatto avvicinare il mio babbo. Che diciamo, lui era già, mi ha spiegato dei

servizi che facevano, che ci davano dei servizi … il mio babbo essendo da più di dieci anni qui era sempre alla CGIL e

diciamo mi ha spiegato di tutto, come funzionava gli aiuti, come ci aiutavano… era il motivo principale era quello …

P41: VA03 FLAI.txt - 41:2 (14:22) (Super)

Tuttavia, come si è scritto sopra, molti intervistati sostengono di essere stati indirizzati al sindacato da amici

e conoscenti italiani.

… Intanto ho conosciuto un'amica qua, una signora di 50 anni così e sì, siamo diventate amiche, poi io da un momento

all'altro, sapeva la mia situazione che il permesso di soggiorno mi scadeva, così lei mi ha presentato un amico di

famiglia che lavorava qua e poi lui mi ha dato una mano, mi ha trovato un lavoro, un contratto a Vignola che sono

rimasta tre-quattro anni là … e mi ha portato lei al sindacato … P33: PT25_FILCAMS.txt - 33:1 (9:12) (Super)

… Perché li al primo impatto, dove c'erano questi signori pensionati, loro erano tutti iscritti alla CGIL e me ne hanno

parlato bene, per questo ho scelto CGIL. Mi sono fidata … P48: VA10 FLAI.txt - 48:2 (28:30) (Super)

… A quel tempo non sapevo molto dei sindacati e non sapevo cosa fosse la CGIL. Una mia amica me l’ha spiegato. Mi

ha fatto capire che sono delle persone che aiutano sia gli immigrati che gli italiani che hanno problemi per il lavoro o

che hanno perso il lavoro; loro sono capaci di risolvere o dare una mano agli stranieri … P69: MR13_FILCAMS.txt - 69:1

(5:9) (Super)

49

50

Capitolo II - Diventare ed essere delegato sindacale

Una parte importante delle interviste svolte è stata incentrata sull’esperienza da delegati sindacali che gli

immigrati intervistati stavano svolgendo al momento dell’intervista. Uno degli obbiettivi generali che ci si è

proposti in fase di progettazione della ricerca, infatti, è stato quello di esplorare i percorsi soggettivi che

hanno portato i delegati immigrati ad impegnarsi attivamente nel sindacato e a diventare rappresentanti

sindacali. Si è tentato, quindi, da una parte di comprendere quali fossero le condizioni attraverso le quali i

soggetti intervistati hanno intrapreso l’esperienza da delegato e le ragioni soggettive che stavano alla base

di questa decisione e, dall’altra, di comprendere quali fossero le attività svolte dagli intervistati in quanto

delegati sindacali e i significati attribuiti dagli stessi all’impegno da delegato. In questo capitolo, quindi, si

espongono le risultanze della sezione d’intervista che si è sviluppata sostanzialmente su due domande

(ovviamente articolate e specificate in modi diversi): “come è diventato delegato sindacale” e “cosa

significa essere delegato sindacale”.

1 - Essere delegati sindacali

Nell’accingersi a sviscerare le tematiche a cui si è accennato sopra è utile partire da un primo risultato della

ricerca solo apparentemente scontato, ovvero il fatto che dalle interviste emerge in modo molto chiaro che

i delegati immigrati si percepiscono rappresentanti di tutti i loro colleghi di lavoro al di là della provenienza

geo-culturale di questi ultimi. In nessun caso si è registrata l’intenzione a rappresentare come delegato

sindacale i propri compagni di lavoro immigrati, né tantomeno i propri colleghi connazionali. Se un risultato

del genere può apparire scontato a chi legge, in quanto essere delegato sindacale di una organizzazione

come la CGIL dovrebbe presupporre una rappresentanza scevra da particolarismi di matrice geo-culturale,

in realtà da passate esperienze di ricerca su “il rapporto sindacato immigrati” è emerso molto chiaramente

come quella della rappresentanza particolarista da parte di rappresentanti sindacali immigrati fosse

avvertita da parte di molti sindacalisti come una criticità reale o potenziale (Cozzi, Mottura, Rinaldini, 2010).

Molti sindacalisti hanno ravvisato la tendenza tra i rappresentanti sindacali (formali o informali) immigrati a

rappresentare le istanze dei propri connazionali o della componente immigrata impiegata nel proprio sito

lavorativo, dando luogo ad una frammentazione della rappresentanza limitativa dell’azione sindacale e

incompatibile con i principi fondativi di un sindacato come la CGIL. Tutto ciò rappresentava, secondo i

sindacalisti intervistati, un fattore critico per i processi di responsabilizzazione degli immigrati all’interno

dell’organizzazione e spiegava (se non, in alcuni casi, addirittura giustificava) una certa prudenza

dell’organizzazione nel forzare l’investimento sugli iscritti immigrati per fare crescere dei rappresentanti

sindacali (Ibidem, 2010). Il fatto che dalle interviste con i delegati immigrati sia emerso con nettezza il fatto

che gli intervistati si sentono in tutto e per tutto rappresentanti dei propri colleghi di lavoro di qualsiasi

nazionalità essi siano, fa emergere una forte contraddizione di frame cognitivi tra delegati immigrati da una

parte e funzionari e dirigenti dall’altra.

… perché come dicevo prima io mi sento sempre di difendere le persone a cui stanno togliendo i diritti … questa è una

cosa che mi ha motivato a diventare delegato … un delegato è uno che rappresenta … i lavoratori … P61:

MR04_FLAI.txt - 61:2 (45:50) (Super)

Tutti. Io il delegato se lo faccio lo faccio per chi ha bisogno … chi ha problemi di lavoro … non è che guardo questo è

bianco questo è nero, per me sono tutti uguali, un mio collega è un mio collega, nel mio reparto se oggi tocca a un

marocchino domani tocca a un italiano, se oggi tocca a un italiano domani tocca a un marocchino … P10:

PT02_FLAI.txt - 10:2 (27:31) (Super)

51

… magari ti chiama il tunisino, marocchino e … fa riferimento a te perché sente che sei straniero e hai la stessa

esperienza. Io comunque non sono solo il rappresentante degli stranieri ma anche della FILLEA e quindi a tutti gli effetti

contatto anche il lavoratore Italiano perché ho come punto centrale la difesa dei diritti dei lavoratori, che sia straniero

o Italiano… questo è il punto … ed è riconosciuto … io non ho mai avuto difficoltà, in sei mesi … ho avuto più contatti

con Italiano che con stranieri … P57: VA19 FILLEA.txt - 57:3 (160:173) (Super)

Se rispetto alle intenzioni di rappresentare tutti i colleghi di lavoro da parte dei delegati immigrati non

sembrano esserci spazi per dubbi, dalle interviste emerge, a seconda dei casi, una certa diffidenza iniziale

da parte dei colleghi italiani, che, tuttavia, sulla base di ciò che raccontano gli intervistati, sembra stata

essere superata con il tempo.

All'inizio la gente pensava che io ero il delegato degli stranieri, però ho sempre detto che io sono delegato dei

lavoratori, tutti, tutti i lavoratori … P15: PT07_FLAI.txt - 15:6 (36:38) (Super)

Gli italiani spesso pensano che io rappresento solo i migranti … soprattutto chi non sta con me lo pensa … Ma io

rappresento tutti … lo dico sempre … P16: PT08_FIOM.txt - 16:4 (19:21) (Super)

… non ci sono tanti stranieri nell’azienda, io non sono delegato solo degli stranieri, io sono delegato di tutti e devo

difendere anche gli italiani quando c’è qualche problema, devo parlare e combattere per loro. Però … l’Italia deve

andare ancora un po’ avanti perché quello che vedo io - mi dispiace dirlo - è che è un po’ indietro: quando vedono che è

uno straniero che spiega cos’è la CGIL, qual è il ruolo del sindacato e cosa stiamo facendo … com’è il contratto

aziendale, il contratto nazionale, ecc … convincere un italiano è un po’ difficile per me perché loro guardano che sono

straniero. Non tutti, fra di loro c’è anche chi ha una mentalità aperta e ringrazio questi italiani che anche mi votano …

quelli che mi conoscono bene mi votano … P67: MR11_FILLEA.txt - 67:2 (28:63) (Super)

Le ragioni del frame’s clash emergente tra le opposte (o per lo meno non convergenti) visioni dei diversi

soggetti (funzionari/dirigenti sindacali, delegati immigrati e, in alcuni casi, colleghi di lavoro italiani)

coinvolti e studiati nella presente ricerca e in ricerche precedenti dovrebbero essere approfondite e

rintracciate in ambito psico-sociale e non conviene in questa sede addentrarvici e percorrere sentieri che

porterebbero lontano rispetto all’oggetto in questione. Nonostante ciò, pare sensato mettere in relazione

(in alcun modo esplicativa in senso causale) la percezione diffusa tra molti sindcalisti della rappresentanza

selettiva (ovvero il fatto che i delegati immigrati tendano rappresentare i lavoratori immigrati, se mai della

stessa nazionalità) con il fatto che molte delle esperienze da delegato sindacale raccolte durante la ricerca

sono in effetti iniziate attraverso la rappresentanza informale dei bisogni e delle istanze dei propri colleghi

immigrati. In molti racconti svolti dai delegati immigrati, infatti, la fase iniziale dell’esperienza da

rappresentante - spesso collocabile a cavallo tra i primi mesi da delegato e il periodo in cui gli intervistati

ancora dovevano diventare formalmente delegati sindacali, ma in cui già svolgevano azioni rivendicative e

di rappresentanza de facto - sembra essere caratterizzata dalla tendenza da parte dei soggetti a farsi carico

delle richieste esplicite e dei bisogni latenti della componente immigrata presente nel luogo di lavoro.

… il motivo all’inizio è per aiutare gli immigrati … per rappresentare gli immigrati marocchini, nella FIOM siamo tutti

marocchini, siamo in sei. Allora io, siccome questa gente qua viene sempre a chiedere … per i loro problemi del lavoro

perché loro non sanno, dobbiamo noi a venire noi al sindacato a parlare di loro … P53: VA15 FIOM.txt - 53:3 (21:24)

(Super)

52

… avevo tanti stranieri in ditta e a me piaceva interessarmi di tutti i diritti degli stranieri ... Mi rivolgevo sempre alla

CGIL... Ho fatto la proposta se potevo essere delegato dalla ditta, così ero più vicino al sindacato, potevo dare più

informazioni ai miei colleghi di lavoro … P55: VA17 FILLEA.txt - 55:3 (23:28) (Super)

… lì c'erano anche parecchi stranieri che magari non riescono neanche a spiegarsi cosa hanno fatto. Quind i l'ho fatto [il

rappresentante] per questo motivo … P11: PT03_FLAI.txt - 11:3 (18:21) (Super)

Perché tra noi migranti vogliamo una persona che può rappresentare, per parlare tra noi o aiutare anche, per spiegare

un po' le cose bene, capito? Per quello che loro [i colleghi immigrati] hanno deciso … su di me … P16: PT08_FIOM.txt -

16:3 (16:17) (Super)

In tutti i casi la tendenza a quella che si è definita la “rappresentanza selettiva” durante il primo periodo da

delegati immigrati degli intervistati spiega solo parzialmente il frame emerso tra i sindacalisti nella ricerca

svolta qualche anno addietro.

In primo luogo, infatti, sta il fatto che spesso la componente immigrata coincide con la parte più debole dei

lavoratori impiegati nei luoghi di lavoro da cui provengono gli intervistati. Di chi, dunque, i soggetti

intervistati hanno sentito il bisogno di essere portavoce durante la loro fase iniziale di rappresentanti - gli

immigrati o semplicemente la componente più debole dei lavoratori - non è facilmente comprensibile. Il

rischio che si corre a leggere attraverso una lente geo-culturale queste fasi iniziali dell’esperienza da

rappresentante dei delegati immigrati è quello di sottovalutare i sentimenti di giustizia sociale di questi

ultimi ed enfatizzare pregiudizialmente la loro appartenenza comunitaria. In altri termini, la scintilla che ha

portato gli intervistati a decidere di essere rappresentanti dei propri connazionali o dei propri colleghi

immigrati sembra essere riconducibile tanto alla percezione che questi ultimi stessero subendo una

ingiustizia o una discriminazione quanto al sentimento di solidarietà dettato dalla stessa appartenenza geo-

culturale.

… praticamente nella mia ditta vedevo che gli stranieri erano messi da parte, anzi io chiamo che noi siamo lavoratori di

seconda classe dentro la ditta e poi avevo la simpatia, ero simpatico a tutti gli stranieri perché loro si sentono

identificati con me … allora ho deciso di fare il delegato … P 9: PT01_FLAI.txt - 9:3 (76:81) (Super)

… È successo un problema nell'azienda. Allora ogni volta che andavo dal … responsabile, o come si chiama adesso

“preposto”, per chiedere perché eravamo un gruppo di migranti che continuavamo a fare lavoro di notte … perché

prima ci hanno chiesto … di fare qualche settimana di lavoro notturno e noi all'epoca con la voglia di lavorare abbiamo

dato la nostra disponibilità. Solo che non si è fermato nel periodo che ci avevano chiesto, ma è durato anni e anni che

eravamo solo noi migranti che facevamo la notte, invece gli italiani facevano il turno del mattino e del pomeriggio …

noi ci tocca di cominciare dalle 20:00 e finire alle 3:00 … del mattino dopo. Questo qua è diventato un disagio per noi

lavoratori migranti, che, andando anche a chiedere che almeno facciamo la rotazione per tutti e l'azienda ignora la

nostra richiesta. E ho approfittato di un momento in cui è venuto anche un delegato … e gli ho raccontato la faccenda.

Perché prima lo raccontavo anche al funzionario italiano e continuava anche lui a ignorare la faccenda. Invece nel

momento in cui è arrivato un funzionario migrante gli ho raccontato la faccenda e mi ha dato una mano … Dopo

abbiamo avuto l'incontro con l'azienda e la situazione è cambiata: hanno dovuto far entrare anche gli italiani e

alternarsi con noi nel turno. Lo ritenevo un risultato positivo … P24: PT16_FIOM.txt - 24:3 (25:47) (Super)

… ho cambiato lavoro e sono capitato con l'Operosa all'aeroporto. All'aeroporto ci sono degli appalti, perché sono le

multi-servizi che svolgono lavori sia di smistamento bagagli che di scali, che il check-in, che la pulizia degli aerei sia del

terminale. Ho visto che lì l'usanza è che l'operaio immigrato è, diciamo, l'80%, 75% e praticamente ci sono i

capisquadra che sono italiani, ma il resto è tutto Bangladesh, Pakistan, Marocchini e la lista è lunga. Allora da lì …

abbiamo avuto qualche sciopero, perché una volta l'Operosa faceva il buono Day ma lo prendevano solo se sei italiano.

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E da lì è nata la decisione di farmi avanti, fare il delegato e rompere questo silenzio … P26: PT18_FILCAMS.txt - 26:2

(43:52) (Super)

In secondo luogo l’inizio dell’impegno da delegato come rappresentante di interessi, bisogni e

rivendicazioni degli immigrati presenti nel luogo di lavoro è certamente, come si è scritto sopra, un

elemento diffuso tra le biografie degli intervistati, ma non comune a tutti. Diversi intervistati, infatti, hanno

sostenuto di avere iniziato la loro esperienza da rappresentanti sindacali come portavoce tanto di colleghi

stranieri quanto di colleghi italiani.

… Spinto dai colleghi italiani. Per difendere i diritti degli operai, prima di tutto, e anche degli stranieri, difendere i nostri

diritti … P30: PT22_FILLEA.txt - 30:2 (25:28) (Super)

… è stata una cosa mia personale … ho visto che li lavoravano tante donne.. qui qualcuno deve difenderci.. e nessuno si

metteva ed io mi sono messa…se riesco ad aiutarvi in qualche modo bene .. ho deciso prima con me stessa, essere

sindacalista non è facile è peggio di un lavoro in fabbrica, poi con le mie colleghe di lavoro … Ho visto più coinvolte le

italiane che le rumene [mie connazionali] … P59: MR01_FLAI.txt - 59:3 (101:111) (Super)

… quando ho cominciato a lavorare in ospedale mi sono accorta di tante cose che non andavano: ore non pagate, le

domeniche che non venivano messe…allora ne ho parato con le mie colleghe. Nessuno sapeva niente. Ne abbiamo

riparlato fra noi e grazie anche a un’altra che ha un po’ più di esperienza, ci siamo decise a venire qui. E quando siamo

venute abbiamo cominciato a fare un po’ di assemblee e da lì mi hanno scelto per fare la delegata … io non mi sono

mai proposta. Sono state loro a scegliermi. Anzi io ho proposto a loro di andare visto che lavoravano lì da più tempo

ma nessuno ne voleva sapere e mi hanno detto ‘perché non lo fai tu che sei la più adatta?’ perché io me la prendevo

con la capa, ero la più adatta a parlare anche dei nostri problemi … P68: MR12_FILCAMS.txt - 68:3 (80:91) (Super)

… lo sono diventata costruendo il rapporto con le mie colleghe di lavoro; mi hanno scelto loro … tutte le volte che c'è un

problema sono sempre la prima ad andare al punto, la prima a parlare, la prima a risolvere il problema. le mie colleghe

hanno avuto fiducia e mi hanno scelto come delegata … me l'hanno chiesto le colleghe: dovevano avere un punto di

riferimento fra loro e il sindacato … ci sono sia immigrate che italiane e tutte hanno delegato a me … P69:

MR13_FILCAMS.txt - 69:3 (79:95) (Super)

Infine, è bene ribadire che in generale dalle interviste emerge chiaramente come il carattere selettivo della

rappresentanza presente in molte esperienze iniziali da delegato tende ad essere abbandonato con il

tempo e spesso proprio il passaggio formale a delegato sindacale e le elezioni assumono un significato di

cesura in questo senso.

2 - Diventare delegati sindacali

Come è stato scritto in sede introduttiva del capitolo, durante le interviste si chiesto ai delegati immigrati di

raccontare il periodo durante il quale hanno previsto la possibilità di diventare delegati sindacali. Più

precisamente, da una parte si è richiesto di descrivere il tipo di rapporto che durante quella fase di

“formazione” gli intervistati avevano con il sindacato all’interno del luogo di lavoro in cui erano impiegati,

dall’altra si è invece chiesto come sia avvenuta la decisione di diventare delegato sindacale e quindi di

entrare in lista per l’elezione della RSU.

Rispetto alla prima questione, le caratteristiche del rapporto che gli intervistati hanno dichiarato di avere

con l’organizzazione sindacale presente nei luoghi di lavoro, dalle interviste sono emerse sostanzialmente

tre tipi di situazioni:

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situazioni caratterizzate dalla costruzione di un rapporto inclusivo tra organizzazione sindacale e

neo-delegati immigrati, ovvero un rapporto in cui la rappresentanza sindacale sul luogo di lavoro ha

teso a integrare più o meno progressivamente gli intervistati nella vita sindacale costruendo

percorsi di formazione e crescita per questi ultimi;

situazioni caratterizzate da un rapporto conflittuale tra organizzazione sindacale e neo-delegato

immigrato, ovvero un rapporto nato e/o sviluppatosi attraverso una frizione o uno scontro tra la

rappresentanza sindacale esistente e i neo-delegati;

situazioni caratterizzate dall’assenza dell’organizzazione sindacale o per lo meno dall’assenza di una

rappresentanza sindacale formalizzata nel luogo di lavoro.

La situazione caratterizzata dall’instaurazione di un rapporto inclusivo tra organizzazione sindacale e

intervistato ha in genere attivato un processo di accompagnamento durante il periodo di formazione e di

trasferimento di competenze dall’organizzazione sindacale, spesso rappresentata da un delegato in

procinto di smettere la propria attività sindacale se non di smettere l’attività lavorativa, allo stesso

intervistato. La figura centrale in questa situazione è quella del vecchio delegato conoscitore sia del proprio

luogo di lavoro che della cultura sindacale, selezionatore del neo-delegato da formare e guida nella

formazione sul campo di quest’ultimo; in altri termini, il vecchio delegato vero e proprio regista della

formazione di nuove leve di militanti e rappresentanti sindacali. Spesso dalle interviste emerge un rapporto

tra gli intervistati e queste figure caratterizzato da elementi di gratitudine, stima e affetto.

… Allora, poi lì c'era la RSU era in decadenza e chiedevano dei candidati e io mi volevo iscrivere. Ma normalmente in

assemblea quando interveniva il funzionario a parlare e poi anche alcuni delegati, tutti rimanevano zitti, nessuno

ponevano nessuna domanda, che magari riguardava tutti i lavoratori, allora, un po', tutte le cose che non capivo io

chiedevo. Dopodiché il funzionario lì mi ha avvicinato e mi ha detto: “Adesso ci sono queste cose qui, se vuoi candidarti

puoi. Dopo c'è anche il congresso della FIOM, dopo possiamo farti venire e senti come vanno le cose” … P22:

PT14_FIOM.txt - 22:4 (22:33) (Super)

… Dopo in fabbrica abbiamo fatto le votazioni e sono stato scelto come delegato insieme con una signora, mi ricordo,

adesso è già in pensione … E poi lì inizio la carriera del delegato e ho iniziato insieme alla signora ad andare su per

dialogare in piattaforma. Piano piano ho iniziato a inserirmi come delegato … mi ricordo che è sempre quella signora lì,

che mi ha proposto: “Bisogna che stai vicino a me, che fra 5 o 6 anni che io vado in pensione almeno qui lasciamo

uno...” … ho imparato tutto da lei … P25: PT17_FIOM.txt - 25:4 (30:36) (Super)

… Allora nella mia impresa c’è un signore di nome … lui è proprio il delegato … E’ un fisso. E’ uno che anche si interessa

all’immigrazione, che da sempre la mano ai ragazzi che hanno bisogno. Anzi ha un’associazione per disabili. Si dedica

molto tempo a loro. E ogni quando mi capitava di avere un po’ di tempo andavo con lui a dare assistenza con gli

handicappati, stare lì con loro, parlare, cercare di divertirli. E lui ha visto che io sono sempre in mezzo alle associazioni,

perché gli giravo sempre delle mail e gli dicevo domani organizzo questo, domani c’ho la riunione. Allora mi fa: ma te ti

muovi molto? Si, se no che faccio, sto a casa sul divano a guardare Juventus - Milan. E chi me lo fa fare. E mi fa: te sei

molto importante, molto interessante. Ti potrei inserire come delegato nella Pioneer. Però preparati che salteranno

fuori delle discussioni che vada…. Perché è il tuo secondo anno qua come stagionale. Gli altri guarda non lo prendono

bene … va bene, io mi so difendere, quindi cosa vuoi? Dopo un po’ è arrivato un funzionario di Fidenza … lì mi ha

chiesto se ero disponibile a fare il delegato … E ho detto: io ci sto … P40: VA02 FLAI.txt - 40:3 (86:110) (Super)

La situazione caratterizzata da un rapporto conflittuale tra organizzazione sindacale e neo-delegato

immigrato rappresenta il secondo tipo di ambiente in cui gli intervistati sembrano avere maturato l’idea di

diventare delegati sindacali. Il disaccordo o lo scontro con le rappresentanze sindacali esistenti costituisce

la condizione di partenza del rapporto tra neo-delegati e organizzazioni sindacali. Si tenga presente che il

rapporto conflittuale che si è creato tra il neo-delegato immigrato della CGIL e la rappresentanza sindacale

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sul luogo di lavoro non riguarda solo rappresentanti di altre organizzazioni sindacali, ma anche

rappresentanti della stessa CGIL. Il disaccordo e lo scontro con le rappresentanze sindacali sul luogo di

lavoro hanno prodotto una attivazione dei neo-delegati a livello individuale o come rappresentanti di un

gruppo di colleghi. Questo tipo di situazione si differenzia sostanzialmente da quella precedentemente

descritta in quanto il rapporto non si inserisce in linea di continuità con le rappresentanze sindacali

esistenti, ma piuttosto in una logica di rottura e di ricambio rispetto a queste ultime.

… quando ho incominciato a lavorare, sono venuto io stesso dal funzionario ... perché c'era un delegato lì che non lo

vedevo, non c’era mai, non faceva quello che doveva fare e allora sono venuto e mi sono arrabbiato, ho detto: “Porca

miseria, questo è il nostro delegato...? Siamo a posto!”. Il funzionario mi ha visto, ho parlato con lui, il funzionario ha

capito i problemi e dopo un po' mi ha detto: “Se vuoi diventare delegato, io ti faccio provare ...” P38: T30_FILCAMS.txt -

38:2 (20:22) (Super)

La situazione caratterizzata dall’assenza di una rappresentanza sindacale sul luogo di lavoro, infine,

rappresenta il terzo tipo di ambiente in cui gli intervistati hanno preso la decisione di costruire e

formalizzare una rappresentanza sindacale e di intraprendere l’esperienza da delegato. In alcuni casi si

tratta di imprese in cui il sindacato in realtà possedeva anche prima della formazione di una rappresentanza

di base una qualche forma di agibilità e in cui almeno una parte di lavoratori risultavano iscritti alla CGIL. Il

ruolo dei funzionari sindacali in contatto con i neo-delegati in questi casi appare particolarmente

importante nel supportare questa fase di costruzione ex-novo di una rappresentanza sindacale in loco. Non

c’è dubbio allo stesso tempo che questa situazione caratterizzata dall’assenza di una rappresentanza

sindacale sul luogo di lavoro, alla pari della situazione caratterizzata da un rapporto conflittuale con

l’organizzazione sindacale presente in loco, risulti essere in un certo senso sfavorevole per intraprendere

una esperienza da delegato. Tuttavia, ciò che appare decisivo è la presa di coscienza da parte dei neo-

delegati che la rivendicazione dei propri diritti sul luogo di lavoro non possa prescindere dalla formazione di

una rappresentanza di base che eserciti in loco una funzione equilibratrice del potere dell’impresa sui

lavoratori, di negoziazione delle condizioni di lavoro e di controllo del rispetto degli accordi e delle leggi. In

questo senso i delegati immigrati intervistati sono risultati anche agenti di sindacalizzazione e hanno svolto

per conto del sindacato una funzione di penetrazione in luoghi di lavoro in cui il lo stesso sindacato

precedentemente esercitava uno scarso controllo. E come è possibile capire da alcuni stralci di intervista

riportati sotto, è la condizione contrattuale (non avere un contratto a tempo indeterminato) il fattore che

sembra avere ritardato questa assunzione di responsabilità da parte degli intervistati e non tanto l’essere di

origine straniera o il non sentirsi in condizione di esercitare una funzione di rappresentante in quanto

immigrato.

… ero iscritto al sindacato … dopo ho visto che mancava un delegato proprio sia nel mio reparto che in tutta l'azienda,

perché i delegati non ci sono, i sindacati ci sono, ma senza i delegati, chi è che va a risolvere i problemi, conosce proprio

le problematiche dell'azienda, qualcuno ci deve essere. Allora i miei amici hanno detto: “Perché non vai a fare adesso

che hanno bisogno di un delegato. Noi ti appoggiamo, fai il delegato, se vuoi delle firme, se vuoi questo se vuoi

quell'altro …” … P10: PT02_FLAI.txt - 10:1 (9:25) (Super)

… appena ho iniziato a lavorare ho visto questa azienda che i diritti … dei lavoratori, praticamente non esistevano,

addirittura ci mancava la luce negli spogliatoi o l'acqua calda, igiene soprattutto e anche la sicurezza. Era

pericolosissima questa azienda. Anche il lavoro che facciamo lì è un lavoro abbastanza pericoloso perché c'è un

impianto che ci sono i nastri e anche la corrente ad altissimo voltaggio, quindi sì sì, è pericolosissima. Praticamente

questa azienda si lavorava come se fosse … quarant'anni fa. Allora io all'epoca ero dipendente dell'agenzia interinale,

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quindi non è che potevo più di tanto, però, le questioni dell'igiene, anche dello spogliatoio, anche della sicurezza,

l'avevo sollecitato parecchie volte al responsabile … Nessuno ha dato retta, nessuno ha ascoltato. Alla fine io mi sono

rivolto a CGIL … sono venuto da loro, gliel'ho detto. Loro sono venuti un giorno lì all'azienda, abbiamo fatto la prima

assemblea, si è parlato di questi igiene e sicurezza, tutto quanto, ma non è che sia cambiato tanto, è rimasto sempre lì

il discorso. Poi fortunatamente sono passato all'azienda come dipendente … e piano piano con CGIL siamo riusciti a

creare qualcosa anche io con miei colleghi, parlando, discutendo, spiegando, perché loro, i miei colleghi sono tutti

extracomunitari, non c'è italiano lì … loro già conosce poche lingue, non sanno tanto bene parlare italiano, non hanno

tanta conoscenza … della legge … Io continuavo a spiegare: “Guardate che non è così, questo deve essere così, questo

deve essere così”. Per esempio, a noi non ci pagano gli straordinari, ci mettono una famosa voce, si chiama, loro

scrivono sulla busta paga “indennità di disagio”. Io, finché ho lavorato tramite l'agenzia interinale, gli straordinari

c'erano scritti … ma … prima busta paga da dipendente c'era questa scritta “indennità di disagio”, però avevo fatto 32

ore di straordinari e non li vedevo gli straordinari e sono andato direttamente all'ufficio personale e gli ho detto:

“Signori, indennità di disagio, questo non l'ho capito, cioè: voi mi mettete a me disagio o io vi metto a voi disagio, chi è

colpevole?” Sono scoppiati a ridere e hanno detto: “Quello sarebbe il tuo straordinario, tu hai fatto 32 ore, infatti, vedi,

c'è scritta la cifra di 32 ore”, mi ha fatto vedere i calcoli che quella “indennità di disagio”, quello era per gli straordinari.

Ho chiesto: “Ma gli straordinari sono maggiorati del 25%, voi mi avete pagato come ore di lavoro …”. Loro risposta:

“Ah, questo la nostra azienda non li paga”. Quindi io ho cercato anche di spiegare … ma non è stato possibile spiegarlo,

né con il responsabile, né con l'ufficio personale, né con il direttore, non è stato mai possibile. Alla fine sono riuscito a

convincere i miei colleghi a creare l'RSU … eravamo tre candidati, io sono arrivato primo … in questa azienda non

esisteva nessuna legge, nessun regolamento, nessun diritto, tu devi fare quello che ti dico io e basta, niente altro.

Allora questo mi ha dato fastidio … ho pensato che no, nessuno deve abbassare la testa per avere una busta paga al

mese, nessuno. Il mio obbligo, conosco benissimo che io devo fare quello che mi dici tu, tu sei il mio dirigente … ok,

però ho anche il mio diritto … non ho mai fato nemmeno un centesimo di danno all'azienda, anzi, da quando sono io a

lavorare … ho insegnato a ben cinque persone, perché io adesso lavoro al reparto centrifuga, è una macchina che è

programmata … è molto tecnologica e sofisticata, quindi non è facile lavorare con quella macchina, devi sapere,

altrimenti non ce la fai a lavorare nemmeno dieci secondi con quella macchina. Da quando sono io ho preparato cinque

persone, insegnato a cinque operai per lavorare in azienda, sì, ho dato una mano per quello che potevo, cioè ho aiutato

l'azienda quello che potevo … ma ho diritti anche io … P19: PT11_FIOM.txt - 19:2 (10:63) (Super)

… In verità è stato perché, lavorando nel posto dove mi trovo adesso, c'era bisogno di un rappresentante sindacale, non

c'era nessuno che volesse … perché è un lavoro comunque impegnativo più che altro nel senso di esporsi, non è stato

mai un problema per me il fatto di espormi, cioè non sono un provocatore, però neanche uno che si tira indietro …

Dopo hanno chiesto a me e ho detto subito di sì, quando ho detto subito di sì, si fece una votazione la quale è stata

assolutamente unanime appunto perché nessuno si sarebbe preso questa responsabilità. Io me la sono presa

praticamente senza alcun tipo di conoscenza sull'argomento, però con l'interesse di acquisirla, con l'interesse

soprattutto di difendere i diritti, perché non mi piace quando sono calpestati i miei, semplicemente per quello … P28:

PT20_FILCAMS.txt - 28:3 (10:18) (Super)

… Perché la mia azienda era un'azienda separata e quando è stata venduta dal proprietario ad una multinazionale …

quando è avvenuta la fusione... all'interno della mia azienda non c'era una RSU... Nessuno si candidava perché era

un'azienda padronale e il padrone, se esisteva un problema preferiva che si parlasse direttamente con lui … comunque

dopo la fusione … il funzionario della CGIL voleva un rappresentante da noi e mi sono candidata io perché nessuno dei

miei vecchi colleghi voleva candidarsi ... Gli ho detto che … se vi fidate, ci vado io. Che io ci vado nel nostro interesse ...

Mi sono candidata e ho avuto il massimo dei voti … P48: VA10 FLAI.txt - 48:4 (33:63) (Super)

Rispetto alle dinamiche che hanno portato gli intervistati a diventare rappresentanti formali di una specifica

organizzazione sindacale come la CGIL e non di altre organizzazioni sindacali, e, per la precisione, rispetto a

come è avvenuta la decisione di presentarsi alle elezioni della RSU come candidato della CGIL, è necessario

precisare che diventare delegato di una organizzazione sindacale non è semplicemente il risultato della

decisione dei singoli aspiranti delegati, in quanto per rientrare in una lista di candidati di un sindacato è

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necessario riscontrare la disponibilità da parte dell’organizzazione di riferimento. Allo stesso tempo non si

stratta evidentemente di una vera e propria cooptazione da parte delle organizzazioni sindacali, dal

momento che, essendo in presenza di RSU e non di RSA, la scelta di coloro che entrano a fare parte della

Rappresentanza spetta, in ultima istanza, ai lavoratori attraverso il voto delle elezioni. Si tratta, quindi, di

una convergenza di una doppia strategia, del soggetto e dell’organizzazione sindacale.

Tutto ciò presuppone il fatto che alla base della decisione individuale dell’aspirante delegato sindacale sia

presente la volontà o per lo meno la disponibilità a diventare rappresentante dei propri compagni e ad

essere rappresentante di una specifica organizzazione sindacale (e in questo senso nelle pagine precedenti

si sono illustrate alcune delle situazioni e delle ragioni, ovviamente non tutte, che hanno portato gli

intervistati a prendere questa decisione).

Come si è scritto sopra, però, tutto ciò presuppone che anche l’organizzazione sindacale svolga valutazioni

su chi candidare e prenda una decisione sulla base di queste ultime. In particolare l’organizzazione

sindacale per investire sulla candidatura di un lavoratore deve valutare che quest’ultimo, una volta

diventato delegato, possegga oltre che valori compatibili anche le capacità di rappresentare, in una qualche

misura e in un qualche modo, gli interessi e le istanze degli altri lavoratori presenti nell’impresa. In questo

senso per l’organizzazione sindacale individuare un soggetto con le giuste capacità e ottenere la sua

disponibilità alla candidatura rappresenta certamente un’opportunità di accrescere il proprio potere nel

luogo di lavoro.

Allo stesso tempo, se si parte dal presupposto che un’organizzazione sindacale individuando e candidando

un lavoratore a diventare delegato sindacale stia, tra le altre cose, investendo su un nodo di un network

(costituito prevalentemente, ma non esclusivamente, da colleghi di lavoro) in grado di essere prima di tutto

una risorsa relazionale grazie al quale l’organizzazione stessa può accrescere la propria influenza all’interno

del luogo di lavoro, l’organizzazione sindacale deve valutare anche il grado di inserimento del soggetto

candidabile alle elezioni dell’RSU all’interno del network, la sua posizione e soprattutto le sue competenze

relazionali.

Nella realtà questi due aspetti si sovrappongono e possono risultare inseparabili, ma a livello analitico sono

ben distinguibili (anche a livello analitico, tuttavia, queste due dimensioni, se assunte in una prospettiva

processuale, diventano difficilmente distinguibili). Da una parte, infatti, si tratta dell’investimento da parte

dell’organizzazione sindacale su quelle che è possibile definire le “capacità da rappresentante” possedute

dal delegato, dall’altra si tratta, invece, di un investimento su quelle che è possibile definire le “competenze

relazionali” dei delegati. Detto ciò il problema è come si sostantivano tali categorie. L’intervista è stata,

quindi, l’occasione per comprendere più a fondo il tipo di investimento che, a parere degli intervistati,

l’organizzazione sindacale ha fatto su di loro nel momento in cui ha valutato l’opportunità di candidarli in

lista e di farli diventare delegati sindacali. Rispetto alle “competenze relazionali” la conoscenza di più lingue

e la conoscenza e la stretta frequentazione dei propri connazionali risultano essere i due elementi che

ricorrono più spesso nelle interviste. Molti intervistati, in altri termini sembrano essere convinti di essere

stati scelti soprattutto per ragioni riconducibili alla facilità di comunicazione con una buona parte dei loro

colleghi di lavoro.

… hanno pensato che va bene e anche loro hanno bisogno di un extracomunitario per dare spiegazione ad altre

persone, noi abbiamo tanti indiani e visto che io parlo un po' meglio hanno chiesto … i miei colleghi indiani … Se tu vuoi

entrare, entra, è meglio per noi e per loro, quando c'è qualcosa loro non capiscono, quando abbiamo un'assemblea

vieni anche te, tu parli nostra lingua, spieghi, quando sindacalisti vanno via … spieghi un attimo il motivo dello sciopero

o della manifestazione … P 8: MR09_FIOM.txt - 8:3 (19:26) (Super)

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… ha detto: “Dai … non vuoi partecipare che adesso lo sai che ogni tre anni si fa un altro gruppo di RSU su tutte le ditte

…” Io ho detto: “… chi mi da voti a me? A parte che ci sono anche tanti rumeni, ma io non so, non parlo così bene

italiano … “No … dai, iscriviti alla lista perché ci sono anche tanti rumeni che sono di tuoi Paesi così gli puoi spiegare” …

Ho detto: “Va bene” così sono stata buttata, poi veramente ho aiutato anche loro perché sono tanti che non capiscono

… Certo che fai fatica, tu rumeno, loro italiani, se loro non conoscono la lingua, fanno fatica loro a capire cosa chiedono

gli stranieri, no? Mi trovo bene, cerco di aiutare, ho aiutato tanti, tante cose che ho capito io le ho spiegate a loro che

adesso sono più tranquilli anche sulla ditta anche quando andiamo su in riunione con i capi, il direttore, padrone,

presidente e tutto … P14: PT06_FLAI.txt - 14:3 (15:31) (Super)

… dove lavoro … non c'era nessun sindacato, nessun delegato dentro quel magazzino e c'erano sempre tanti problemi

con i ragazzi e quello che stava più vicino ai ragazzi ero io, specialmente agli africani che hanno un problema di lingua

per parlare ed erano lì a lavorare. Io mi sono avvicinato a loro perché io conoscevo il sindacato, io sapevo che il

sindacato ha risolto tanti problemi a me, mi sono avvicinato a loro, stavo sempre con loro … poi quando la funzionaria

ha deciso che dentro il magazzino c'era bisogno di un delegato per risolvere tutti i problemi che c'erano dentro il

magazzino, abbiamo fatto una riunione … poi è stata fatta una votazione tra due o tre persone che erano là e ho vinto

io tra tutti i ragazzi … hanno votato per me … P27: PT19_FILCAMS.txt - 27:3 (21:33) (Super)

… che ci sono tanti stranieri, che votiamo, il problema della lingua, che hanno paura a parlare con i datori di lavoro ...

mi ha detto tu ce la fai a fare questo lavoro … P54: VA16 FIOM.txt - 54:4 (18:20) (Super)

E’ bene, però, precisare che al contrario di quello che ci si potrebbe aspettare, anche sulla base di

esperienze di ricerca precedenti (Mottura, Cozzi, Rinaldini, 2010), l’investimento operato

dall’organizzazione sindacale sui delegati intervistati non è stato percepito da questi ultimi unicamente

come un investimento in “competenze relazionali”. Trattandosi di lavoratori immigrati è facile

comprendere come le ragioni dell’investimento operato dal sindacato riconducibili alla presenza di

“competenze relazionali” assumano un ruolo importante nei racconti degli intervistati, ma in molte

interviste emerge anche il peso che hanno giocato le “capacità di rappresentanza” possedute. Queste,

secondo gli intervistati, sono state riconosciute dall’organizzazione sindacale a seguito di episodi che le

hanno messe alla prova e hanno giocato un ruolo decisivo nell’incontro tra neo-delegato e organizzazione.

Gli intervistati rivendicano il possesso di “capacità di rappresentanza” e declinano tali capacità in tratti della

personalità (il coraggio, la sfrontatezza, la determinazione, ecc …), in valori radicati (senso di giustizia, senso

di libertà, ecc …) e in modalità di comportamento (farsi sempre trovare a disposizione, dedicare del tempo

a risolvere i problemi dei colleghi, ecc …).

… Quando lavoravo io avevo 34 ore di contratto e io sempre con mio caporeparto chiedevo contratto di 40 ore, e anche

altri italiani, alla fine parlato anche con direttore e abbiamo fatto avere questo diritto, allora per quello che molti mi

chiedono di fare il delegato … Si, si, anche italiani mi dicevano tu hai un bel carattere per queste cose, guarda ci sono

più italiani, no, noi non siam razzisti … P 1: MM01_FLAI.txt - 1:4 (34:41) (Super)

… Se vedo qualche ingiustizia al lavoro, io non mi trattengo e tutte le volte mi dicevano: Chi sei? Quindi mi sono trovata

obbligata a farlo il delegato, perché è proprio nel mio carattere non trattenermi se vedo un'ingiustizia, se vedo

qualcosa. E lì c'erano anche parecchi stranieri che magari non riescono neanche a spiegarsi cosa hanno fatto. Quindi

l'ho fatto per questo motivo … P11: PT03_FLAI.txt - 11:2 (16:19) (Super)

… Vedendomi … [il sindacato] … dentro la mia azienda come combatto dentro là, come mi apprezzano quando parlo,

quando facciamo le riunioni, i lavoratori, vedendo come aiuto gli altri colleghi a risolvere i loro problemi … impresa mi

maltratta, mi hanno detto: “Qui non puoi fare l'avvocato, né il prete” … P32: PT24_FILCAMS.txt - 32:1 (21:27) (Super)

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… il motivo praticamente era questo … vedendo dei piccoli … anche più grandi errori sul lavoro non potevo non avevo

voce … andavo a reclamare: “questo non va bene”, ma ero sempre il semplice operaio e finiva lì … ma sapevano che

andavo a dire le cose … Mi hanno fatto la proposta di essere delegato e grazie anche a numerosi nostri iscritti e

compagni siamo riusciti a fare un lavoro per bene, mettere un regolamento. Con tutto il gruppo siamo riusciti a farlo

funzionare. A mettere le cose in binario … P41: VA03 FLAI.txt - 41:3 (26:35) (Super)

… Posso dire che sono molto serio nel lavoro, … scherzo, rido con gli altri, e loro avevano molta fiducia in me … poi

hanno visto che qualche volta pizzicavo il proprietario per le cose che non andavano bene, per la sicurezza, perché

abbiamo molte cose che ancora non vanno bene … poi ho alzato molto la voce perché ... per le scarpe per esempio, ti

facevano pagare la differenza da noi, nella nostra azienda … ti davano le scarpe, non andavano bene, a tutti facevano

male i piedi … se volevi delle scarpe un po' migliori, avevano una differenza di 15 euro … per esempio, se quelle normali

costavano 20, quelle costavano 35. allora dovevi pagare 15 euro … una volta gli ho detto, ma come mai dobbiamo

pagare quelle? Ah ma quelle sono migliori e io gli ho detto, ma c'è un tot della somma che dobbiamo pagare? Ah sì sì …

invece non era vero niente … P47: VA09 FIOM.txt - 47:4 (24:44) (Super)

… Il primo giorno che sono stato assunto ,cera il problema di riscaldamento in azienda. L'amministratore non ha acceso

il riscaldamento ed era freddissimo io son rimasto nello spogliatoio e ho detto: io li dentro non ci vado. Da casa sua è

venuto in azienda mi ha detto: te fino a ieri non hai mai detto niente e adesso come mai? Io: no, da ieri ero in

cooperativa se non mi andava bene le cose, torno in cooperativa a dire ciò che non mi va. Adesso che sono dipendente

io devo dire a te e l'ho mandato a quel paese io subito l'ho cacciato molto fuori, gli ho rispetto quello che mi ha detto e

ci siamo arrabbiati tra di noi, dopo di ché abbiamo preso il caffè. Da li è cominciato il battibecco con l'amministratore,

dopo un mese sono andato in zona Roveri Perché cera una contestazione che a suo tempo aveva creato l'azienda, io

avevo chiesto il permesso ma la segretaria non l'ha registrato e mi han mandato la lettera e allora subito sono andato

in zona Roveri che all'epoca c'era il portinaio … che mi ha dato la risposta della contestazione dell'azienda. Dopo di che

da li ho fatto rientrare direttamente la FIOM nella mia azienda … I lavoratori che cerano prima non potevano parlare

tra di loro durante l'orario di lavoro, proprio fascista. Dentro li sembra che sia in caserma, non si può parlare non si può

dire niente sei un lavoratore e devi lavorare solo sulla tua macchina e basta. Con l'arrivo del sindacato dentro le cose

sono molto migliorate rispetto a prima, anzi senza il sindacato non si può far niente. Alla CGIL sono entrato il giorno

dopo che sono stato assunto … Si, visto che conoscevo i miei diritti, gli ho detto: non è che accendi soltanto, se la

temperatura non arriva alla norma, io non entro. Siam rimasti per 2 ore, quando lui ha confermato che era tutto a

posto io son entrato a lavorare … Essendo uno che ha avuto il coraggio di contrastare l'amministratore, i lavoratori

stessi mi vedono come uno che è capace di affrontare qualsiasi cosa e da li è successo che hanno chiesto di fare il

delegato e subito tutti i lavoratori mi hanno scelto e votato. Io sono diventato il primo delegato … P64: MR07_FIOM.txt

- 64:1 (3:44) (Super)

In molte interviste sono presenti episodi situabili in periodi precedenti rispetto a quello in cui gli intervistati

sono diventati delegati che hanno fatto emergere la capacità degli intervistati di creare situazioni di

mobilitazione o di coalizzazione dei propri colleghi di lavoro e a questi episodi è ricondotto dagli stessi

intervistati la ragione dell’investimento dell’organizzazione su di loro.

E’ possibile sostenere, quindi, che dalle interviste le ragioni dell’investimento dell’organizzazione sindacale

sui neo-delegati immigrati risultano essere differenti: le prime riguardano le “competenze relazionali”; le

seconde riguardano le “capacità di rappresentanza”; le prime si declinano come competenze linguistiche e

la stretta frequentazione di connazionali e possono essere considerate una specificità dei lavoratori

immigrati; le seconde si declinano come tratti della personalità, stili di comportamento e valori, elementi

che per rendersi manifesti necessitano di essere messi alla prova e che non sono riconducibili ad una

specificità degli immigrati; eppure dalle interviste emergono sia le une che le altre. C’è inoltre un elemento

comune, presente in tutte le interviste raccolte, che sembra essere decisivo perché si verifichi

l’investimento dell’organizzazione sindacale: la fiducia che l’aspirante delegato dimostra di avere da parte

dei compagni di lavoro; fiducia che può avere diverse origini e caratteristiche ma che risulta decisiva perché

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l’organizzazione sindacale si accorga della presenza di un reale o potenziale leader nel luogo di lavoro e

perché investa su quest’ultimo.

… Me l'ha proposto l'ex delegato di presentarmi alle scorse elezioni, non era il tempo … visto che siamo la maggioranza

nel reparto in cui lavoro ... c'è al maggioranza di stranieri e questi stranieri, ci vuole almeno uno che rappresenta gli

stranieri., che capisce il problema degli stranieri, perché qua in Italia uno straniero è un caso speciale, con i problemi

amministrativi, le procedure per cambiare il permesso di soggiorno ... E' un caso speciale, ci vuole qualcuno che capisce

questi problemi e che si fidano che sappia cosa vuole dire ... P49: VA11 FLAI.txt - 49:3 (18:30) (Super)

… quando ci sono state le elezioni mi hanno votato più italiani che stranieri, avevo dei rapporti che erano belli già

prima ... Mi han detto tu non hai problemi di comunicazione... Ho detto ci provo! … P51: VA13 FIOM.txt - 51:3 (14:17)

(Super)

… Oltre la lingua, c'è anche la fiducia. Non che gli stranieri non si fidano degli Italiani. Però avere suo fratello davanti so

delle cose che non posso confidare, ma la lingua mi permette anche di darti di più, di esprimerti, anche se noi

organizziamo il corso di Italiano però non è come quando io riesco a parlare la mia lingua con la persona che mi può

capire subito. E qui io penso che è una cosa importante anche investire su dei delegati stranieri che sono una risorsa,

secondo me, per qualsiasi organizzazione. Lo straniero si sente tutelato quando anche se sa che non mi esprimo al

massimo sa che c'è qualcun altro che mi può capire subito che mi può dare il tipo di una mano che ho bisogno che poi

alla fine, la localizzazione o non, chi hai davanti anche se non sono istruito bene per quanto posso parlare qualsiasi

lingua, non posso neanche darti una mano ma dall'istruzione che ho dal sindacato riesco a trasformare questo per

aiutare un nuovo straniero che è appena arrivato in Italia e non sa come muoversi per cui io penso a viceversa, ognuno

di noi aiuta l'altro. Oltre la lingua c'è anche la pratica, Perché e tu hai bisogno io ti dico ma non ti aiuto a conseguire

quello che hai voluto, praticamente non sto facendo niente. Io ho un problema, riesco a risolvere il problema, ho

bisogno dell'avvocato per esempio Perché è successa una cosa gravissima in azienda e non so come muovermi, basta

che chiami l'avvocato della CGIL che mi tutela perché ho la tessera, questo è l'aspetto più pratico … P64:

MR07_FIOM.txt - 64:5 (198:213) (Super)

… me l'hanno chiesto i miei colleghi che lavorano con me perché han detto: "E' tanti anni che sei qua, parli bene

l'italiano, lo capisci... perché non fai il nostro rappresentante con il sindacato?". Allora mi hanno votato e allora mi

trovavo qua … proprio gli immigrati stranieri, stranieri non solo i miei paesani … Il motivo è perché la prima cosa è che

si fidano di te … e questo CGIL lo ha capito. E' anche una questione di fiducia … P65: MR08_FIOM.txt - 65:1 (3:22)

(Super)

3 - Il significato di essere delegato sindacale

Assumere il ruolo di rappresentante sindacale significa impegnarsi a dedicare parte del proprio tempo

all’organizzazione sindacale di cui si fa parte e all’attività di rappresentanza degli interessi e delle istanze dei

propri colleghi di lavoro. Ovviamente, la misura e le modalità in cui tutto ciò avviene dipende largamente

dal modo in cui ogni singolo delegato interpreta il proprio ruolo: l’impegno, in termini di tempo dedicato

all’attività sindacale e di “peso” (con questo termine si intende fatica, stress, ansie, preoccupazioni, ecc…),

può variare da individuo ad individuo. Le caratteristiche soggettive sono fattori che inevitabilmente hanno

ricadute sul modo in cui ciascun delegato interpreta l’impegno sindacale. Anche il contesto lavorativo in cui

si esercita l’attività di delegato sindacale è una variabile che può condizionare l’attività sindacale. L’attività

di rappresentante sindacale in tutti i casi costituisce un impegno, produce un’esposizione personale e

richiede una disponibilità che non possono che generare in una qualche misura uno stato di “pesantezza”,

soprattutto se si considera che tale attività è da conciliare con l’attività lavorativa. Negli anni passati sono

stati a vario grado istituzionalizzati (sono stati conquistati) “meccanismi e procedure di relativa protezione”

per coloro che svolgono l’attività di delegato sindacale finalizzati alla possibilità che il delegato possa

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esercitare il proprio ruolo nel modo più autonomo possibile dai condizionamenti dell’impresa e alla

possibilità di conciliare il più possibile l’attività da delegato con quella di lavoro. Da un osservatore distratto

tali “meccanismi e procedure di protezione” possono essere percepiti come benefici posseduti dai

rappresentanti sindacali, ma in realtà risultano essere semplicemente le condizioni negoziate attraverso cui

si ritiene possibile svolgere una libera attività di rappresentanza dei lavoratori. In ogni caso, a parere di chi

scrive, sarebbe poco produttivo ritenere che l’impegno da delegato sindacale possa essere ricondotto ad un

mero calcolo individualista di costi e benefici materiali. In altri termini, nonostante alcuni intervistati

abbiano ammesso che in effetti fare il delegato permette di affermare una maggiore autonomia individuale

sul luogo di lavoro (che si concretizza, ad esempio, nel disporre di un numero, seppur limitato, di permessi

retribuiti per assentarsi dal lavoro per svolgere attività sindacale, in una maggiore libertà di movimento sul

luogo di lavoro, in periodi di distacco sindacale, ecc …), non si intende sposare un paradigma teorico per cui

la scelta di fare il delegato sindacale sia legata al fatto che tale affermazione di autonomia sia percepita in

termini di benefici materiali che compensa e supera i costi materiali a livello individuale. E gli intervistati

sembrano confermare la sterilità di questo paradigma teorico quando spiegano il processo decisionale che

li ha portati ad assumere un impegno da rappresentante e soprattutto quando spiegano che cosa significa

fare il delegato sindacale. Dalle interviste, infatti, emergono con particolare forza i costi materiali individuali

dell’esperienza da delegato e gli scarsi benefici materiali individuali. Alla domanda su che cosa significhi

essere delegato sindacale uno dei concetti chiave che emerge con maggiore nitidezza dal corpus di

interviste è quello di “assumersi una responsabilità” e tutto ciò che questa comporta in termini di

“pesantezza”.

… Le responsabilità sono enormi nel senso che quando si tratta di contrattare, tutto dipende dal delegato e poi da le

informazioni sulla sicurezza, ci sono persone anche a fare domande sulle buste paga, perché non capiscono quindi,

come delegato, uno deve proprio anche informarsi, devi sapere se ti vengono a chiedere … Se un delegato non riesce a

spiegare, allora non va bene. Oppure ti vengono a chiedere una cosa su una legge, magari delle ferie oppure: “Quali

sono i miei diritti su questo punto qua? Perché mi hanno obbligato, mi hanno detto di fare un lavoro fuori dal mio

reparto, diverso da quello che faccio. Cosa devo fare?”. Quindi sono tutte queste cose qua che un delegato deve

riuscire a dare risposte … P22: PT14_FIOM.txt - 22:6 (44:55) (Super)

… Una grande responsabilità dentro l'azienda e anche fuori dall'azienda, deve essere un'immagine per tutta l'azienda

sia fuori sia dentro, l'unica cosa è quella lì. Il delegato vuol dire il simbolo di tutti gli operai che lavorano lì dentro …

P30: PT22_FILLEA.txt - 30:3 (32:34) (Super)

… Nel limite delle cose, prendere la responsabilità della difesa dei diritti dei lavoratori. Certamente nei limiti

delle mia possibilità, nei miei limiti, ma difendere i diritti e gli interessi dei lavoratori … P38: PT30_FILCAMS.txt - 38:3

(26:27) (Super)

… è rappresentare i propri colleghi, essere il portavoce dei tuoi colleghi davanti alla dirigenza dell’azienda e far

rappresentare i tuoi diritti … P60: MR02_FLAI.txt - 60:4 (58:59) (Super)

Un altro concetto chiave, largamente sovrapponibile con quello precedente, che emerge dalle interviste

rispetto a che cosa significhi fare il delegato sindacale è quello di “sacrificio”, da intendersi come senso di

dedizione, lo spirito di servizio, il “metterci la faccia” e la disponibilità a sacrificare il proprio tempo libero.

… Io come delegato sindacale metto tutto il tempo, anche quando sono al lavoro sono disponibile per sentire, vedere

cosa succede dentro, non solo con gli stranieri, ma con tutti i colleghi di lavoro. Questa è un'attività che bisogna avere

dedizione … se non hai voglia di fare questo è meglio non farlo, perché il tempo che sei libero devi dare disponibilità a

fare questo … P 9: PT01_FLAI.txt - 9:4 (85:91) (Super)

62

… Mi ricordo nel 2006 quando il padrone mi ha chiamato e mi ha detto “Te esci dal sindacato e io ti faccio il contratto a

tempo indeterminato”, ma io ho detto: “Io sono stato votato dai lavoratori, non dall'azienda, quindi ho l'obbligo e il

dovere di servire i lavoratori” … P15: PT07_FLAI.txt - 15:5 (38:40) (Super)

… Essere un delegato non è una cosa così facile perché anch'io mi ricordo che inizialmente ho avuto delle pressioni dal

direttore, perché nel mio reparto siamo in sei che facciamo la rotazione dei turni e a volte quando ci sono gli scioperi …

lo sai, sono un delegato, sono promotore di questo tipo di scioperi quindi ... e questo qua mi faceva un po' di pressioni,

minacce un po' tirate … P22: PT14_FIOM.txt - 22:5 (37:43) (Super)

… Essere un delegato sindacale è avere un incarico, una responsabilità. Veramente è un peso. Veramente un peso,

perché oltre ai tuoi problemi familiari, il lavoro e tutto, devi dare anche un impegno in più per i tuoi colleghi, per i loro

problemi e stai sempre contro i capiturno, sempre contro il padrone, allora o ci stai o ci lasci … P23: PT15_FIOM.txt -

23:2 (31:34) (Super)

… Se devo dire la verità facendo il delegato ho peggiorato la mia condizione, potevo fare altre cose anche a condizioni

economiche, perché sai, ti vedono sempre dall’altra parte che ti lamenti che fai lotte interne che ti lamenti vai a

condizionare i lavoratori … io vado a fare prevenzione e a loro da fastidio e allora si io ho bisogno di un TFR, di un

acconto, l’azienda non me lo darà se io merito qualcosa a livello lavorativo perché me lo merito l’azienda non me lo da

il livello, non mi da l’aumento … Mi han fatto proposta di spostarmi e mi han chiesto di andare in un reparto, loro

volevano isolarmi, hanno costruito un reparto termico con una persona … perché io sono andato a rompere i maroni …

loro dicevano che visto che a te ti piace leggere il giornale e ascoltare la radio ... loro mi han detto ti mettiamo in quel

reparto li, mi hanno offerto anche dei soldi, pur che non rimanessi in contatto coi colleghi. Io non avevo voglia di

dimettermi dal sindacato, perciò cosa vado a fare li? A me non interessa, non è che mi danno 200 € in più, leggo il

giornale, io vengo per lavorare, se voglio leggere il giornale lo leggo in pausa. Non è che mi mandi li per leggere il

giornale, io son li per lavorare, visto che civilmente le persone mi hanno eletto io le devo rappresentare. Sai quanti

comportamenti antisindacali nei miei confronti!!! … P50: VA12 FIOM.txt - 50:2 (219:271) (Super)

… sono stati 4 anni non duri ... di più. Lavoro 8 ore al giorno … ma non sono mai stata così stanca come in una ora di

assemblea sindacale. Per me era un momento stressante … sentire tutta la gente parlare ... lamentarsi. Tutto l’insieme

... tutta l’assemblea per me era una tortura … facevo fatica a reggere la tensione dei lavoratori, li vedevo bei carichi. Tu

non devi essere come loro … In quel momento devi essere più calmo, devi sapere cosa dire, saperli tranquillizzare. Non

è facile! … tu sei loro rappresentante … altrimenti se tutti sono agitati diventa una bomba atomica … non si salva più

nessuno … P59: MR01_FLAI.txt - 59:4 (121:131) (Super)

E’ evidente che l’impegno nell’attività di delegato affonda le sue radici in una dimensione, pur sempre,

razionale, ma differente rispetto a quella utilitarista; una dimensione che, a parere di chi scrive, comprende

da una parte costi materiali e immateriali individuali e dall’altra benefici materiali collettivi e benefici

immateriali individuali. Se dei costi materiali e immateriali individuali si è già scritto sopra, rispetto ai

benefici materiali collettivi pare evidente che la scelta è fortemente condizionata dall’idea che il delegato

ritienga che il suo impegno come rappresentante possa portare benefici ai suoi rappresentati, alla

collettività dei suoi compagni di lavoro e solo di rimando a se stesso. Gli intervistati decidendo di diventare

delegati sindacali o accettando di esserlo hanno evidentemente pensato di essere “quelli giusti o utili”

(forse non di essere gli unici, ma comunque di esserlo) per ottenere benefici materiali dall’impegno che

avrebbero assunto, ma non benefici per se stessi, bensì per la collettività che avrebbero rappresentato e di

cui loro stessi fanno parte. Se così non fosse, se non si fossero ritenuti “quelli giusti o utili”, non si

sarebbero resi disponibili a fare il delegato sindacale. In questo senso è spiegabile anche l’inopportunità di

essere free-rider per coloro che si ritengono “quelli giusti o utili” per fare il delegato. Rispetto invece ai

benefici immateriali individuali non c’è alcun dubbio che diventare ed essere delegato sindacale

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rappresenta un “passaggio di status” in cui organizzazione sindacale e colleghi di lavoro rappresentano gli

agenti e l’aspirante/neodelegato rappresenta il passagee. Tutto ciò meriterebbe uno specifico

approfondimento che ci si riserva di fare in un’altra occasione. In questa sede è sufficiente però far notare

che in generale un “passaggio di status” può essere desiderabile o non desiderabile da parte del passagee.

Diventare delegato, trattandosi di un “passaggio di status” di forma ascendente per un iscritto/militante del

sindacato, dovrebbe essere di per sé desiderabile. Tuttavia molto dipende da come tale passaggio è

“vissuto” dai passagees. Se, infatti, il passaggio è vissuto positivamente dai passagees e se ad esso sono

attribuiti significati positivi da questi ultimi allora si tratta a tutti gli effetti di un passaggio desiderabile e in

questo senso, una volta ottenuto, può essere assunto come beneficio immateriale individuale; e questo

sembra essere proprio il caso dei delegati immigrati intervistati. Gli intervistati, infatti, sembrano attribuire

al fatto di essere diventati delegati sindacali significati indubbiamente positivi riconducibili alla realizzazione

di un percorso di integrazione (intesa come processo di reciproco cambiamento, del nuovo arrivato e della

società di arrivo), al riscatto da una condizione di incerta e parziale integrazione, al successo della

esperienza migratoria e all’affermazione di una identità più complessa di quella di immigrato e di

newcomer. Diventare ed essere delegato, quindi, è vissuto come una forma di riconoscimento sociale (e le

elezioni sono la formalizzazione di tale riconoscimento), una dimostrazione e al contempo un veicolo di

integrazione e questo non può che essere vissuto come un beneficio immateriale individuale.

… appena mi hanno votato come delegato nella fabbrica, da 50 anni, è da tanti anni che esiste questa fabbrica, è la

prima volta che uno straniero e addirittura uno nero come me, diventa delegato … alla fine ecco, sono ricompensato

come è mio dovere, però io, non mi frega che qualcuno mi dia una ricompensa … materiale … P12: PT04_FIOM.txt -

12:2 (91:106) (Super)

… Mi sento punto di riferimento per chi vuole. Sono dieci anni che faccio il delegato … ho visto entrare tantissimi di loro

come interinali che hanno fatto la gavetta, adesso sono a tempo indeterminato, cioè li ho seguiti dall'inizio e vengono

a consultarmi. Poi sono anche punto di riferimento per la stessa azienda che quando deve parlare con qualcuno viene a

cercarmi, nel bene e nel male, qualche volta non è tanto gradevole. Però il ruolo è quello … P13: PT05_FIOM.txt - 13:5

(46:50) (Super)

… Allora, mi sono sempre detto che nella vita devo sempre aiutare gli altri, quello me l'ha dato la mia fede, la mia fede

che in questo mondo dobbiamo sempre aiutare i più deboli, quelli che hanno paura. E ho sentito dopo 4 anni di lavoro

dentro la mia azienda che la gente aveva paura di dire quello che pensava e quello mi ha spinto a diventare delegato

sindacale. E anche dire le cose in faccia, dire le cose come sono è nella mia filosofia. Non avere paura di dire, non avere

paura di essere … paura di fare le cose … io mi sentivo di fare queste cose e le facevo senza pensare che domani avevo

qualcosa in ritorno … P15: PT07_FLAI.txt - 15:4 (23:27) (Super)

… Per essere un delegato, diciamo che ti aiuta avere la tua dignità, migliorare il tuo lavoro perché se sei delegato devi

informare la legge, i regolamenti e i decreti, tutto quanto, queste cose devi informare, devi cercare di capire, devi

imparare tante cose. Imparando queste cose ti apre anche la mente. Quindi se una persona che è, quando comincia ad

aprire la sua mente, comincia a cerca di capire del luogo di lavoro, del mondo, della politica, sicuramente ha una

maggior possibilità di migliorare anche la sua vita stessa, la sua vita personale … P19: PT11_FIOM.txt - 19:4 (76:80)

(Super)

… Io sono delegato … Quando c'è un problema sul posto di lavoro, ti ho detto che si fidano. Quando c'è un problema sul

posto di lavoro, io sono in grado di andare alla ditta e parlare con loro. E se stanno cercando di imbrogliare qualcuno,

io cerco sempre di parlare nell'interesse di queste persone … Ecco perché ho accettato di diventare delegato. C'era

molto, come posso dire, scusa per la parola, ho notato una sorta di razzismo tra i bianchi e i neri. Quando c'è un

problema, i neri, c'è differenza nel vedere il problema, e quando c'è un problema con i bianchi c'è differenza nel modo

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di vedere il problema. Non ero felice di questa situazione, ecco perché ho deciso … Questa è la ragione principale …

P21: PT13_FLAI.txt - 21:2 (26:36) (Super)

… Per me … fare il delegato è la possibilità di dire 2 parole in più … nel senso per esprimermi per dire le cose come

stanno … essere più vicino ai lavoratori … risolvere le problematiche … P41: VA03 FLAI.txt - 41:4 (43:49) (Super)

… Quello che è importante per me è che tipo nella mia ditta ogni persona ha bisogno, e parla a me, come noi

extracomunitari, non siamo nel nostro paese e siamo qua per lavorare e vivere, non per lavorare e morire … Non siamo

qua come schiavi. Mi hanno dato il permesso di soggiorno per lavorare, non me l'hanno dato come schiavo, se perdo il

lavoro oggi domani mi tirano via il documento. Se c'è qualche problema mi mandano al mio paese … io voglio stare

come stanno gli italiani. Voglio vivere come loro, senza casino, senza problemi … e io voglio cambiare questo … P62:

MR05_FLAI.txt - 62:4 (80:89) (Super)

… io sempre ho creduto che il lavoro che sto facendo qui in Italia non è … la fine di tutto … l’unica cosa che c’è … Poi

quando mi hanno eletto, essendo uno straniero, la prima cosa che mi è venuta in mente è: chiudi gli occhi, cosa vedi?

Nessuno, niente! Allora vai avanti! Cioè anche se non c'è nessuno che mi sostiene, anche da solo posso farcela. Perché

quando chiudi gli occhi, è tutto buio. Può capitare che i lavoratori abbiano dei timori, hanno paura e si tirano indietro

però tu, come delegato, devi averi la forza e la sicurezza che, guarda: questo è giusto e seguiamo questa linea. Non

bisogna mai tirarsi indietro, quando stai andando col giusto … P64: MR07_FIOM.txt - 64:2 (54:75) (Super)

Ciò che colpisce - e che allo stesso tempo non fa che rafforzare l’idea che per un immigrato diventare ed

essere delegato rappresenti anche una forma di riconoscimento sociale, di veicolo e di dimostrazione di

integrazione - è anche il fatto che gli intervistati sostengono di svolgere l’attività da delegato sindacale

anche al di fuori del luogo di lavoro, di essere cioè presi come punto di riferimento per questioni che

riguardano il lavoro (ma non solo) dai propri connazionali (e non esclusivamente da essi).

… anche fuori, anche per persone che non sono iscritte vengono, noi torniamo al problema … vengono da me … P 2:

MM02_FILLEA.txt - 2:4 (56:60) (Super)

… ho fatto il delegato sindacale fuori del luogo di lavoro, la nostra chiesa, ogni domenica 5 o 10 mila persone, noi

abbiamo manifestazione a Roma, molta gente nuova, tanti extracomunitari, più gente è meglio … P 8: MR09_FIOM.txt

- 8:4 (49:56) (Super)

… nella mia azienda sono abbastanza il punto di riferimento per tutti i miei colleghi, stranieri e italiani. Dalle mie

amicizie, dal circolo di amici sì, nel mio circolo di amici, loro qualsiasi problema, qualsiasi decreto, legge,

documentazione, mi vengono a chiedere il consiglio. Anche via Giovanni XXIII a Rimini, lì ci sono tutti i miei

connazionali che hanno i negozi all'ingrosso praticamente. Loro hanno fortemente bisogno di commercialista, hanno

fortemente bisogno di leggi per capire come ... Loro quando c'è difficoltà mi chiamano, mi chiedono come bisogna fare.

Io cerco di dare il mio massimo … P19: PT11_FIOM.txt - 19:3 (82:87) (Super)

… Anche fuori. Anche in altri orari. Quando mi chiedono gli amici, perché io, per fortuna molti dei miei amici sono

iscritti alla CGIL, ma non è che sanno tutte le cose, anche parlarsi nella lingua non è facile e quindi, se mi chiedono

informazioni, io posso darne un pochino … P20: PT12_FIOM.txt - 20:2 (39:42) (Super)

… A dire la verità lo svolgo più fuori che dentro: stamattina ero lì alla saletta, stavo compilando per un ragazzo che

deve rinnovare il permesso di soggiorno. Però delle volte vado anche con loro dal notaio, perché non riescono a capire

la lingua italiana, vado anche al commissariato. Soprattutto con i miei connazionali. Sì, perché la lingua, sanno che tu

sei delegato, però, non capiscono che il delegato è dentro l'azienda, però ti chiedono il favore di andare anche fuori con

loro però non puoi dire di no … P23: PT15_FIOM.txt - 23:3 (41:46) (Super)

65

… Io il delegato lo faccio dentro il posto di lavoro di più, però anche fuori, anche a casa un ragazzo quando c'è un

problema chiama me e mi racconta quello che è successo. Ad esempio, un ragazzo ha avuto un problema, perché il

capo gli ha fatto una lettera perché lui fumava una sigaretta vicino a un divieto di fumare, gli ha fatto la lettera. Dopo

lui, quando è arrivato a casa, ha chiamato me, mi ha raccontato, io sono andato da lui personalmente … Questo per

dire che io faccio il delegato anche fuori, anche quando sono fuori loro mi chiamano … P27: PT19_FILCAMS.txt - 27:5

(39:46) (Super)

... io ho avuto questa opportunità di essere delegato, di andare alle riunioni ... dopo s'impara ... ci sono gli altri paesani

che non sanno le cose che stanno andato, anche lavoratori, politiche che io sento le spiego a loro … P54: VA16 FIOM.txt

- 54:5 (66:75) (Super)

… delle volte mi vengono a trovare anche il sabato e la domenica, non so se quello che devo dire è giusto o non è

giusto, però … ci hanno insegnato una cosa: che non esiste soltanto l'orario di lavoro, perché ci sono dei momenti in cui

la gente ha bisogno di te perché si fidano di te, per cui dobbiamo dare l'esempio e la disponibilità … mi vengono a

trovare a casa per rispondere alle lettere o spiegare cose, per cui lavorare interno alla fabbrica c'è anche un aspetto

umano che mi permette di aiutare anche dei lavoratori fuori dai muri dell'azienda … P64: MR07_FIOM.txt - 64:3

(86:95) (Super)

E’ proprio all’interno di questa dimensione di senso e significati a cui gli intervistati riconducono il ruolo del

rappresentante sindacale e il senso della loro esperienza che conviene collocare l’attività quotidiana dei

delegati immigrati. Gli intervistati sostengono di svolgere le tipiche azioni del rappresentante sindacale sul

luogo di lavoro (proselitismo, orientamento, cerniera tra organizzazione sindacale e contesto lavorativo,

contrattazione con la controparte e presidio del rispetto degli accordi) e “svolgere le stesse attività che

svolgono i delegati italiani” è spesso rivendicato con orgoglio durante le interviste.

… Essere delegato vuol dire da una parte trasmettere o applicare l'esperienza che uno ha avuto, positiva o negativa,

nella sua esperienza lavorativa e riuscire a capire anche in base a questo le problematiche, i problemi dei colleghi, fare

un collegamento fra quello che rappresenta ai colleghi e a sua volta ai colleghi nel sindacato e a sua volta al sindacato

con i colleghi. Allora, fai appunto un collegamento tra entrambe le cose … P13: PT05_FIOM.txt - 13:4 (30:38) (Super)

… Un delegato praticamente è quel nodo tra l'operaio, l'azienda e il contratto … perché l'operaio non è che si comporta

così perché è ignorante, perché gli serve un po' di informazione e fare il delegato significa portare quell'informazione

alla luce. Quando vedi qualcuno che sta facendo una cosa sbagliata non è perché la vuol fare, è perché gli manca

l'informazione: il delegato, penso, è informazione, perché senza l'informazione te non puoi fare il delegato, ma non

puoi fare il delegato sindacale neanche senza gli operai, se non ci sono loro non lo puoi fare. È una cosa, è come una

catena, non puoi spezzarla … P26: PT18_FILCAMS.txt - 26:3 (61:67) (Super)

… È una passione che ho io per difendere i diritti, tutto quello che può far lavorare meglio a quelli che stanno lavorando

con me, perché stiamo lavorando assieme. Allora ci battiamo Io dico sempre che assieme possiamo fare, se ognuno va

a chiedere il suo diritto per conto suo non ottiene niente. Quella è la mia lotta, far capire in un ambiente così, dove

lavoro io, che è un ambiente di livello un po' basso, è molto difficile far capire che tu sei dalla loro parte, che tu vai a

difendere i loro diritti … P36: PT28_FILCAMS.txt - 36:2 (22:31) (Super)

Tuttavia dalle interviste emerge che a quelle che possono, a ragione, essere considerate le tipiche azioni del

rappresentante sindacale si sovrappongono attività specifiche riconducibili al possesso di competenze e

sensibilità che i delegati immigrati possiedono proprio perché immigrati e che si manifestano quando

hanno a che fare con i lavoratori stranieri. Si tratta di attitudini, competenze relazionali, competenze di

66

comunicazione e conoscenze acquisite attraverso l’esperienza diretta delle problematiche che

l’immigrazione comporta.

… a volte sono magari anche delle cose che non fanno parte del lavoro che però un delegato, se è informato, ti può

dare. Qualcuno ti viene a chiedere: “Come devo utilizzare il mio permesso?” oppure roba del genere che a volte non è

proprio, perché uno che ha il suo permesso, deve sapere come deve usarlo, però ti vengono a chiedere e devi riuscire a

dare delle risposte. Anche i ragazzi stranieri da noi per il rinnovo del permesso di soggiorno e tutto quanto non sanno

alcune volte come devono fare a compilare i moduli. Li aiuto a compilarlo oppure li mando al centro stranieri a fare

queste cose qua … P22: PT14_FIOM.txt - 22:7 (56:61) (Super)

… Per noi immigrati non solo sul posto di lavoro perché ci chiedono anche che vengono quando siamo al bar, quando

siamo da qualche parte, fuori, vengono a casa a chiedere. Perché purtroppo non ci sono dei mezzi di informazione più

larghe che magari ... soprattutto su questo argomento delle migrazioni, questa roba qui che non sanno neanche, non

sanno, non lo sanno tutti. Quindi qualche volta ci tocca anche dedicare un sabato o una domenica ad andare ad

aiutare qualcuno per compilare delle cose, magari, spiegare cosa devono fare... P24: PT16_FIOM.txt - 24:4 (58:68)

(Super)

… Penso che un delegato straniero faccia le veci di tutti e due, cioè un delegato italiano sicuramente ha una cultura

italiana e penserà in quella unica maniera e quindi in molti casi può essere anche un po', avere una certa dose di

razzismo o non interessarsi molto, il cittadino straniero invece penserà molto anche agli stranieri che lavorano nel

posto, penserà anche a tutto il resto perché sta lavorando in Italia e perché deve guadagnare i diritti che sono per tutti.

Non sto dicendo che a prescindere si debba cercare uno straniero perché è più completo, però lo straniero, se si è

adattato molto bene al sistema, al lavoro, all'Italia, fornisce un ulteriore arricchimento e per me è molto più

interessante. Non so se è la valutazione che fanno i miei colleghi, i miei rappresentati, speriamo di sì, penso di sì. Per

queste cose personalmente mi succede questo: di avere molto interesse e sapere le cose che succedono per gli stranieri

e andare a coinvolgere io i cittadini stranieri, perché molte volte ti trovi lo straniero che non parla molto o non si

relaziona molto, perché non sa parlare molto bene o magari è già con le mani avanti pensando che gli altri possano

essere, che ci sia un razzismo, perché il razzismo è da tutte e due le parti. Molte volte quando tu, come delegato, sei un

altro straniero l'altra persona si sente più a suo agio anche per esprimersi … P28: PT20_FILCAMS.txt - 28:7 (141:153)

(Super)

… sul posto del lavoro, un italiano non sa cosa mi serve per il mio problema di rinnovare il permesso di soggiorno, lui

questo non lo sa … io lo so, perché lo vivo, e da delegato capisco di questo … rispetto ad uno che non c’è passato, e non

sa cose gli serve per il rinnovo, cosa rischia quando perde il lavoro, non lo sa, perché non lo vive … P60: MR02_FLAI.txt -

60:5 (114:119) (Super)

… Il vantaggio è che ... io parlo anche in arabo. Per esempio quando noi mettiamo i manifesti... per esempio adesso

oggi ... vado in un'azienda, ho un manifesto da attaccare … però qualcuno non lo capisce. Io lo devo spiegare in arabo

… P65: MR08_FIOM.txt - 65:2 (190:206) (Super)

… io sono anche delegato straniero; quando sono andato a Roma per la CGIL io ho parlato delle problematiche degli

stranieri. Lì non ho parlato della mia azienda o dei problemi degli stranieri della mia azienda, ma ho parlato a tutta

l’Italia. Perché quando un immigrato perde il lavoro, non perde solo quello ma anche il diritto di stare in Italia … P67:

MR11_FILLEA.txt - 67:4 (92:111) (Super)

… spesso le mie connazionali o le altre ragazze africane, spesso mi chiedono un aiuto o come si fa una cosa e magari

laddove loro non arrivano a capire io le aiuto se posso capire … per strada può capitare che delle ragazze non sappiano

come funziona per il permesso di soggiorno. Allora io cerco di aiutarle: a compilare i moduli, cerco di dire quello che

devono fare … P69: MR13_FILCAMS.txt - 69:4 (139:157) (Super)

67

Un’ultima riflessione in chiusura di questo capitolo. Il bagaglio di competenze specifiche in materia di

immigrazione che emerge dalle interviste con i delegati immigrati può naturalmente essere posseduto

anche da delegati italiani. Il fatto però che gli intervistati sentano di riuscire a relazionarsi in modo più

empatico con i loro compagni di lavoro immigrati e soprattutto di potere offrire informazioni in materia di

immigrazione che i delegati italiani non sono in grado di offrire fa emergere il persistere di una certa

separatezza tra le due componenti, separatezza che si esplicita anche in una diversità di competenze. Tale

separatezza e diversità di competenze può indicare, tra le altre cose, anche un fabbisogno formativo per i

delegati italiani sulle questioni che riguardano l’immigrazione?

Capitolo III - Gli immigrati e il sindacato: funzione, azioni e criticità

L’ultima parte delle interviste svolte con i delegati immigrati è stata incentrata sul rapporto immigrati e

sindacato. Essere delegati sindacali e al contempo immigrati (o per la precisione, essere passati per una

esperienza di immigrazione) colloca i soggetti intervistati in una posizione particolarmente favorevole per

riflettere sul tema del rapporto tra immigrati e sindacato. Proprio per questo motivo nell’ultima parte

dell’intervista i delegati immigrati sono stati intervistati in quanto osservatori partecipanti privilegiati.

Insieme a loro si è riflettuto sul ruolo che ha ricoperto il sindacato (la CGIL) per gli immigrati nei decenni

precedenti e sulle problematiche e le criticità che sono emerse in passato o che stanno emergendo oggi.

Quest’ultimo capitolo riporta le risultanze delle analisi che si sono svolte sul corpus testuale derivato

proprio dall’ultima parte d’intervista.

68

1 - Il sindacato come agente di integrazione dei migranti

Storicamente il rapporto tra immigrati e sindacati non è mai stato un rapporto facile (Castles e Kosack,

1984). In generale durante il XIX e il XX secolo le organizzazioni dei lavoratori dei paesi occidentali, salvo

poche eccezioni, hanno sempre mantenuto una certa diffidenza nei confronti delle politiche di

immigrazione attuate dai rispettivi Stati e hanno spesso fatto pressioni perché i rispettivi Stati adottassero

politiche più restrittive nei confronti dei flussi in entrata. In alcuni casi i sindacati si dichiaravano

apertamente anti-immigrazione e anti-immigrati. Allo stesso tempo le organizzazioni sindacali di molti paesi

occidentali hanno posto forti limitazioni alla possibilità di aderire ai sindacati da parte dei “nuovi venuti”. In

alcuni casi fu istituita una membership sindacale a doppio binario: uno per i lavoratori autoctoni e uno per i

lavoratori migranti. Riguardo a tutto ciò naturalmente occorrerebbe un approfondimento ad hoc in grado di

rendere giustizia della complessità del rapporto sindacato/immigrazione nei due secoli passati. Ciò che in

tutti i casi è possibile sostenere a posteriori è il fatto che la pressione dei processi migratori ha finito per

travolgere le politiche sindacali basate su istanze protezioniste e ha posto di fatto le stesse organizzazioni

sindacali di fronte alla necessità di rinegoziare le proprie politiche e le proprie posizioni in materia di

immigrazione. In altri termini le organizzazioni sindacali dei paesi occidentali hanno dovuto far fronte a veri

e propri dilemmi relativi all’immigrazione e superamento di tali dilemmi è avvenuto attraverso l’adozione di

strategie inclusive nei confronti dei migranti (Penninx e Roosblad, 2000). Oggi è largamente riconosciuto il

fatto che le organizzazioni sindacali abbiano rappresentato per milioni e milioni di immigrati uno dei

principali veicoli di integrazione, intendendo per quest’ultima un processo dinamico e bilaterale di

adattamento reciproco sia da parte degli immigrati che dei cittadini residenti (Castles e Miller, 2003). Ciò

non esclude, proprio per la natura processuale dell’integrazione, che non possano esistere margini di

ulteriore integrazione, né che possano verificarsi arretramenti, persistere zone di esclusione o riemergere

tensioni tra vecchi o nuovi established e vecchi o nuovi outsiders (attraverso vecchie e/o nuove

configurazioni).

I sindacati italiani, diversamente da quelli europei (e in generale da quelli degli altri paesi occidentali),

hanno mostrato fin dall’inizio una più alta capacità di integrare gli immigrati al loro interno e a non

rapportarsi conflittualmente con la loro presenza nel mercato del lavoro e nei luoghi di produzione. Non c’è

alcun dubbio, infatti, che partire dalla metà degli anni ‘80, quando il fenomeno migratorio in Italia

cominciava ad assumere una dimensione che lasciava presagire il suo carattere strutturale, le

organizzazioni sindacali italiane hanno svolto un ruolo di primaria importanza nei confronti delle nuove

presenze sul territorio e nei luoghi di lavoro. La letteratura internazionale in materia individuava già allora

alcune peculiarità virtuose del rapporto sindacato/immigrazione in Italia (Bastanier e Dassetto, 1990). L’alto

numero di iscritti immigrati alle organizzazioni sindacali italiane ha costituito un aspetto distintivo rispetto

ad altre organizzazioni sindacali nel panorama europeo (Mottura e Pinto, 1996). Fin dalla fine degli anni ‘80

CGIL, CISL e UIL hanno mostrato una alta capacità attrattiva nei confronti dei lavoratori immigrati e il trend

d’iscrizione degli immigrati ai sindacati è risultato in continua crescita per tutti gli anni ’90, incrementandosi

ulteriormente durante gli anni a cavallo del secolo e alla fine del primo decennio del 2000 (Mottura, 2000).

Durante il primo decennio del XXI secolo poi gli iscritti ai sindacati sono costantemente aumentati (Cozzi,

Mottura, Rinaldini, 2010; Rinaldini, 2008). Come ha spiegato bene, tra gli altri, Ambrosini, gli immigrati non

sembrano essere mai stati considerati dai sindacati italiani né una minaccia per i lavoratori autoctoni, né un

problema da affrontare da un punto di vista esclusivamente economico. Il carattere dell’approccio al

fenomeno migratorio di tutte e tre le maggiori confederazioni sindacali non ha mai oscillato tra l’ostile e

l’accogliente, né tra l’esclusivo e l’inclusivo, ma piuttosto tra il solidaristico e il caritatevole (Ambrosini,

2001). Tale oscillazione, che comunque presenta dei margini di ambiguità e delle criticità, in un modo o

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nell’altro ha comunque finito per favorire l’integrazione degli immigrati tra gli iscritti e all’interno di tutte e

tre le confederazioni. Giovanni Mottura non potrebbe essere più esplicito quando scrive che “l’aumento

degli iscritti che continua da almeno un quindicennio non sembra potere essere spiegato in modo

esauriente come semplice conseguenza della costante crescita di presenze straniere nel mercato del lavoro

ed in imprese o famiglie italiane. L’esperienza ben più antica di altri paesi europei mostra infatti che la

relazione tra l’aumento dell’offerta di forza lavoro immigrata e del lavoro immigrato da un lato, e dall’altro

lato l’incremento delle adesioni di stranieri ai sindacati, non può considerarsi affatto automatica. A

maggiore ragione, poi, se si tiene conto … che gli incrementi più vistosi in Italia si sono registrati in anni non

facili per il sindacato e ancora meno per gli immigrati; anni nei quali gli effetti di diffuse situazioni di crisi si

sommavano ad una legge nazionale non certo migliorativa delle condizioni di lavoro e di stabilità … di tale

componente dei lavoratori, e che dunque parrebbero i meno favorevoli per sviluppi in questo senso”

(Caritas/Migrantes, 2008, pag. 292-293).

In sede di progettazione della presente ricerca è stato ritenuto interessante, quindi, approfondire la

questione del rapporto immigrati/sindacato ed in particolare comprendere in che senso il ruolo del

sindacato è stato importante per il processo di integrazione degli immigrati. Una volta avuta conferma dagli

intervistati, come era prevedibile, che la CGIL (alla pari di altri sindacati) è stata un importante agente di

integrazione degli immigrati nella società italiana, si è trattato di comprendere le caratteristiche dell’azione

di integrazione svolta dall’organizzazione sindacale. In altri termini “in che senso l’azione della CGIL è stata

una azione di integrazione per gli immigrati” è esattamente quello su cui è stato chiesto agli intervistati di

riflettere.

Innanzitutto dalle interviste sono emersi due ambiti distinti (o per lo meno distinguibili su un piano

analitico) in cui si è svolta l’azione di integrazione della CGIL: un ambito sociale e un ambito culturale.

Gli intervistati hanno messo in rilievo quattro specifiche azioni (ancora una volta ben distinguibili sul piano

analitico, ma fortemente compenetrate nel concreto) caratterizzanti il ruolo della CGIL come agente di

integrazione sociale dei migranti:

un’azione di assistenza e tutela rispetto alle leggi sull’immigrazione;

un’azione di assistenza e tutela rispetto al contratto di lavoro;

un’azione di rappresentanza sociale;

un’azione di rappresentanza nei luoghi di lavoro.

Riguardo all’azione di assistenza e tutela rispetto alle leggi sull’immigrazione, gli intervistati riconoscono il

fatto che la CGIL, attraverso diverse strutture, ma in particolare attraverso i Centri Lavoratori Stranieri, ha

svolto una importante (decisiva secondo alcuni) funzione di informazione, orientamento,

accompagnamento e supporto nei confronti degli immigrati nel muoversi all’interno dell’apparato

normativo in materia di immigrazione. Il senso e il valore di tale azione non è riducibile semplicemente ad

una attività di servizio finalizzato a semplificare il rapporto tra soggetto e normativa. Si tratta, infatti, della

capacità dell’organizzazione sindacale di rendere esigibili e dunque accessibili una serie di diritti sociali, civili

e politici formalmente riconosciuti ai migranti dallo Stato, ma difficilmente esercitabili dagli stessi migranti

su un piano sostanziale in assenza di una struttura di supporto che, per esempio, li accompagni

nell’acquisizione dei diversi status di residenza di cui avrebbero diritto e che a loro volta garantiscono

diritti. L’azione del sindacato ha contribuito a fare in modo che centinaia di migliaia di migranti potessero

passare da una condizione statica di esclusione civica (civic exclusion) ad una condizione dinamica di

espansione civica (civic expansion). Nonostante si tratti, nella quasi totalità dei casi, di una azione che ha

contribuito a far acquisire ai migranti status di cittadinanza parziali (ovvero spettri limitati di diritti sociali,

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civili e politici, dunque non equiparabili alla cittadinanza piena degli autoctoni), l’azione del sindacato ha

indubbiamente contribuito ad un concreto miglioramento delle condizioni di vita per molti migranti

collocandoli in traiettorie di integrazione socio-giuridica.

… Quando arriva nuova legge noi andiamo sempre a sentire al sindacato cosa c'è … Il sindacato dà una mano agli

immigrati … non è che noi andiamo al Comune a sentire cosa c'è, andiamo al sindacato … P 8: MR09_FIOM.txt - 8:5

(65:67) (Super)

… Per me il sindacato è l'avvocato dei migranti, perché io, io sono stato qui un po' di anni e ho imparato … anni fa …

che … sono solo i sindacalisti che ti aiutavano , per me il sindacato è l'avvocato dei migranti, lo posso chiamare così …

P18: PT10_FIOM.txt - 18:3 (50:53) (Super)

… la prima cosa hanno da chiedere è la documentazione, l'informazione sui documenti, che cosa devono fare, dove

devono andare, come devono fare a compilare dei moduli che a volte è molto complicato, perché faccio fatica anch'io a

capire certi moduli … un ufficio immigrazione qui in CGIL … c'è ed aiuta, penso che funzioni, io ho avuto a che fare due

o tre volte, quindi ho avuto un grosso aiuto da loro, questa è una bellissima cosa che offre CGIL … P19: PT11_FIOM.txt -

19:5 (97:101) (Super)

… I migranti si aspettano che, quando hanno dei problemi, quando hanno dei problemi, noi non conosciamo la legge, i

migranti non conoscono molto della legge. E anche la lingua è un problema per noi. Quando andiamo al sindacato, noi

ci aspettiamo che il sindacato sia capace di aiutarci. Possiamo anche vivere in Italia da 15 anni e qualche volta fare

qualcosa che pensiamo vada bene, invece è contro la legge. Quindi in queste situazioni andiamo al sindacato e ci

aspettiamo che il sindacato sia in grado di aiutarci … P21: PT13_FLAI.txt - 21:3 (58:62) (Super)

… gli immigrati aspettano molto dal sindacato perché il loro punto di riferimento è quello. Per spiegare, diciamo, le

regole sull'immigrazione non c'è nessun altro modo di avere queste informazioni, eccetto il sindacato … P22:

PT14_FIOM.txt - 22:8 (83:85) (Super)

… Io penso che come sempre c'è dietro la tutela in quanto questioni riguardanti i permessi di soggiorno, il

ricongiungimento familiare, tutte le altre cose sicuramente molto importanti, soprattutto gli immigrati si aspettano dal

sindacato difesa nei loro diritti … P28: PT20_FILCAMS.txt - 28:4 (68:70) (Super)

… i servizi che offriamo noi sono molto meglio e maggiori rispetto a quelli che si trovano in giro. Ad esempio, io

personalmente traduco anche dei documenti e di solito per lavoro non prendo soldi dalla traduzione di documenti,

invece c'è gente in giro che si fa pagare una bella somma di denaro a foglio. Quindi già partendo da qui. Poi abbiamo i

vari servizi dove compiliamo documenti di varie richieste: permesso, carta, cittadinanza, ricongiungimenti familiari,

quindi direi che è decisamente in grado di gestirli. P29: PT21_FILLEA.txt - 29:3 (41:46) (Super)

… quando dico i diritti, non mi riferisco solo al lavoro anche in sede di governo quando si parla di immigrazione, come

ad esempio: rinnovare il permesso di soggiorno, il diritto di cittadinanza … tutti i diritti che aspetta ad un immigrato,

penso che i sindacati hanno un ruolo per difendere questo…non solo nei luoghi di lavoro ma anche fuori, in politica per

esempio… P61: MR04_FLAI.txt - 61:4 (67:70) (Super)

… l'unica fiducia che hanno gli stranieri è il sindacato. Perché non si possono rivolgere da nessuna parte. E' l'unico

sportello aperto per loro adesso. E' un meccanismo... Una politica che hanno fatto, questi qua che stanno parlando di

diritti degli immigrati. Gli diamo anche la partecipazione. Ma questo lavoro … proprio il ministro degli interni per la

regolarizzazione dei documenti … P63: MR06_FIOM.txt - 63:5 (186:190) (Super)

71

I Centri Lavoratori Stranieri delle Camere del Lavoro, come si è scritto sopra, sono le principali strutture del

sindacato che hanno svolto un’azione di assistenza e tutela degli immigrati rispetto alle leggi

sull’immigrazione. Tale azione, però, non avrebbe avuto la forza integratrice che ha avuto se non si fosse

accompagnata con azioni di assistenza e tutela rispetto ai contratti di lavoro che le federazioni di categoria

hanno portato avanti. E tutto ciò principalmente per un motivo: il forte legame instaurato dalla legge tra

tipologia di contratto di lavoro e status di residenza, che rende le caratteristiche del contratto di lavoro

decisive non solo per potere ottenere uno status di residenza regolare, ma anche per non perderlo o per

potere acquisire uno status di residenza più stabile. In questo senso l’azione di tutela individuale e collettiva

sviluppata dalle singole federazioni di categoria, la vertenzialità individuale e la contrattazione collettiva

portata avanti nei luoghi di lavoro hanno rappresentato l’azione di base perché si potesse sviluppare

l’azione integratrice di cui si è scritto sopra.

… La prima cosa per la CGIL, la cosa migliore è quella, per il contratto, perché se io vado a una ditta a fare un contratto

dopo due giorni voglio passare alla CGIL per informazioni, perché io nel contratto non so cosa hanno scritto, perché

loro danno le informazioni. Anche per il rinnovo del contratto nazionale, è sempre la CGIL che va avanti e indietro con

lo Stato per il rinnovo del contratto nazionale e per me è una cosa buona … Per quello che so io, no. La FIOM è venuta

tante tante volte alla ditta, sempre facciamo una riunione da un'ora o mezzora sempre, viene qualcuno di loro e da

tutte le informazioni quando c'è un articolo, una legge nuova per i contratti su tutte le leggi nuove dei lavoratori, loro

danno le informazioni … P17: PT09_FIOM.txt - 17:4 (61:68) (Super)

… I sindacalisti devono sempre aiutare a conoscere i nostri diritti, no? Perché tanti stranieri e forse anche italiani di

ferie non sanno niente, di permessi non sanno niente, fanno solo, quando gli danno la busta paga, non riescono a

sapere niente, quello è importante, non lo so. Uno come me non sa quanti giorni di ferie ha, quanti permessi ha … P18:

PT10_FIOM.txt - 18:4 (68:71) (Super)

… secondo, come dicevo, l'informazione sul lavoro, il sindacato può fare molto per i migranti e sta facendo molto, può

fare, può continuare a farlo, perché sui diritti di lavoro, doveri, ogni immigrato nel suo Paese, qualcuno ha lavorato,

qualcuno non ha mai lavorato, come me, nel mio Paese nel mondo del lavoro, è zero, non sapevo assolutamente,

appena ho finito la scuola, due settimane dopo sono partito per l'estero, quindi del mondo del lavoro anch'io non

sapevo assolutamente niente, lì quando lavoravo in comune il sindacato mi ha insegnato molto quello che ho capito,

quello che ho imparato, l'ho imparato dal sindacato, quindi può avere una, come dire, una competenza maggiore il

sindacato per i migranti … P19: PT11_FIOM.txt - 19:6 (102:108) (Super)

… l'unico sportello che trovano aiuto, che spiegano le cose è CGIL ... Se tu vai a chiedere informazioni in questura ti

mandano via ... stiamo parlando di permesso di soggiorno perché la cosa più grande ... poi c'è il lavoro, dentro il lavoro

c'è l'infortunio, l'assegno familiare ... sempre si rivolgono al sindacato … P49: VA11 FLAI.txt - 49:4 (92:100) (Super)

La capacità del sindacato di rappresentare gli immigrati e i lavoratori nel loro complesso, di rappresentare

interessi specifici dei migranti insieme a quelli generali di tutti i lavoratori, all’interno dei luoghi di lavoro è

individuata dagli intervistati come una azione di per sé in grado di attivare un processo di integrazione.

… Sì, per esempio nell'ultimo contratto metalmeccanico abbiamo messo qualche clausola sull'immigrazione. Sempre

mettiamo qualcosa che poi resta per i seguenti contratti. Abbiamo messo la clausola che le aziende devono dare

priorità nel caso di ferie ai lavoratori stranieri che vanno al loro Paese d'origine per il più possibile allungare il periodo

normale di ferie anticipando ferie. Nei contratti aziendali si trovano anche punti d'incontro, lì dove c'è una collettività

con un determinato problema si mira a cercare di ... Faccio un'idea così: dove ci sono, potrebbe essere dove ci sono un

quantitativo importante di lavoratori mussulmani che il venerdì pomeriggio abbiamo una pausa per le preghiere

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compensandolo con un altro momento etc. o la mensa che abbia un determinato menù, senza maiale … P13:

PT05_FIOM.txt - 13:7 (113:120) (Super)

… io mi ricordo che in azienda abbiamo fatto degli accordi che erano favorevoli agli immigrati, perché siccome molti

vengono da paesi lontani come me ... i marocchini sono un po' più vicini, però facciamo 6 o 7000 km in aereo per

arrivarci, loro ne fanno 3000 e sono già arrivati a casa. E hai problemi anche con i colleghi italiani: “Ah, questi vogliono

avere più giorni di ferie, e noi che siamo qua? Vogliono andare prima e rientrare dopo, come facciamo?”. Allora siamo

riusciti a fare un accordo, a far vedere chiaramente che, guarda, un conto è uno che abita qua, magari in due ore è già

arrivato a casa. Uno che deve prendere sei ore sette ore per arrivare a casa, allora quando arrivi, cioè si spende una

barca di soldi per andare, questo per andare solo per una settimana o due? Non ne vale la pena, quindi se una persona

è riuscita ad accumulare le sue ferie...poi è andato in porto, quindi adesso da noi si fa a rotazione. Chi vuole andare

prima lo dice: guarda, quest'anno devo andare e non ci sono problemi. Perché l'accordo aziendale che abbiamo fatto è

così. E poi ci sono quelli, i musulmani, che hanno delle feste, molte volte cosa succede? Prendevano il permesso per

malattia, queste persone qua siccome hanno feste religiose, sanno già quando accade quindi prendono, prenotano già

un giorno di ferie e i capireparto riescono a gestire la situazione. Adesso funziona tutto così, non ci sono problemi di

assenze che, perché devi andare a una festa religiosa prendi un giorno di malattia o qualcosa del genere. Sono degli

accordi fatti che sono giusti, per equilibrare tutto … P22: PT14_FIOM.txt - 22:10 (123:137) (Super)

… Quando siamo a tavola a discutere, discutiamo in maniera generale per non escludere, però alcune questioni

particolari, come ad esempio il discorso delle pause e le ferie soprattutto, si parla un po' dei migranti, perché spesso

siccome noi abitiamo un po' lontano rispetto agli italiani che per fare le ferie ci vuole qualche giorno e possono andare

giù e poi ritornano e invece per andare in alcuni Paesi ci vogliono giorni, giorni e giorni prima di arrivare e giorni e

giorni per rientrare. Qui si parla dei migranti, però in generale nella contrattazione noi parliamo di tutti i lavoratori.

Allora ci sono piccoli argomenti che riguardano in particolare i migranti e li affrontiamo tranquillamente siccome la

maggior parte dei delegati siamo stranieri, siamo sei e cinque siamo migranti. Abbiamo soltanto un italiano, siccome la

maggior parte sono immigrati è pure giusto … P31: PT23_FILCAMS.txt - 31:5 (107:114) (Super)

Allo stesso modo gli intervistati sono consapevoli che la forza integratrice di cui la CGIL è stata capace è

risultata essere fortemente legata alla capacità di rappresentanza sociale sul territorio.

… le lotte, soprattutto per il mantenimento del permesso di soggiorno, per qualcuno è un problema adesso da, non lo

so, da otto anni or sono. Che hanno fatto queste leggi dove il permesso di soggiorno è legato al lavoro, quindi con la

perdita di lavoro si perde il permesso, cioè questa qua è una cosa molto brutta che sta rovinando tante famiglie,

veramente. Quindi tutti si aspettano che, però vedo che il sindacato non è mancato. Ci sono delle manifestazioni

organizzate dal sindacato … P22: PT14_FIOM.txt - 22:9 (85:89) (Super)

… il sindacato è il loro punto di riferimento per difendere i loro diritti, l'unica speranza che abbiamo adesso, fuori dal

sindacato non abbiamo nessuna speranza, non ci tutela nessuno. Se vuoi parlare con qualsiasi immigrato qua, se vai a

chiedere qualcosa, ti dice: “Io vado dal sindacato per risolvermi questo problema qui” che dagli avocati non ci va

nessuno e fino adesso non c'erano neanche le associazioni di immigrati per difendere i diritti sempre degli immigrati.

L'unico punto è il sindacato per il momento … P30: PT22_FILLEA.txt - 30:4 (55:59) (Super)

Attività dei servizi e attività di contrattazione risultano essere strettamente legate nell’azione di

integrazione portata avanti dal sindacato: un’azione di integrazione del sindacato che comprende le prime

senza le seconde perderebbe d’autonomia; di contro, l’azione di integrazione di un sindacato che

ricomprende le seconde e non le prime risulterebbe depotenziata. Gli intervistati sembrano sottolineare

questo aspetto con forza, mostrando allo stesso tempo preoccupazione rispetto alla capacità di

rappresentanza del sindacato rispetto ai prossimi anni.

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Come scritto nelle pagine precedenti, la CGIL negli anni passati oltre a svolgere una azione di integrazione

sociale ha svolto anche una azione di integrazione culturale. La capacità mostrata dalla CGIL di riuscire a

rappresentare gli interessi e le istanze dei lavoratori immigrati non in opposizione, ma al contrario,

attraverso la rappresentanza degli interessi e delle istanze dei lavoratori in generale sembra avere prodotto

negli intervistati una sorta di senso di appartenenza all’organizzazione sindacale. Di più, l’azione della CGIL

sembra avere contribuito ad alimentare tra gli immigrati un senso di appartenenza al gruppo di

rappresentati dall’organizzazione sindacale in questione, ai lavoratori nel loro complesso o, in altri termini,

alla classe che di fatto il sindacato intende rappresentare (si utilizza per semplicità il termine “classe” anche

se si è consapevoli che l’utilizzo di questo concetto comporta implicazioni che andrebbero meglio

sviluppate). Si faccia attenzione al fatto che non si intende sostenere che l’organizzazione sindacale abbia

determinato ex-novo un’identità classista tra gli immigrati: in generale sostenere una ipotesi di questo tipo

significherebbe banalizzare il processo di costruzione dell’identità di classe, appiattendo il tutto su una

dimensione prettamente socio-costruttivista e culturale e tralasciando i fattori strutturali e le condizioni

materiali dei soggetti; nello specifico, inoltre, significherebbe ritenere che gli immigrati siano privi di

elementi identitari di classe e che l’organizzazione sindacale abbia svolto una funzione generativa di tali

elementi. Sostenere che l’organizzazione sindacale ha contribuito ad alimentare una identità di classe tra gli

immigrati significa sostenere che il sindacato, attraverso la sua azione ha creato le condizioni sulla base

delle quali gli immigrati hanno potuto affermare la propria identità di classe. E proprio questo sembra

essere avvenuto. In molte interviste emerge chiaramente la presenza di schemi cognitivi di matrice classista

attraverso cui interpretare la realtà e darvi senso e allo stesso tempo è riconosciuto esplicitamente il ruolo

che la CGIL ha svolto nella costruzione di tali schemi.

… Dobbiamo capire cos'è il sindacato prima: allora, il sindacato rappresenta i lavoratori. I lavoratori sono tutti, quelli in

nero e quelli regolari, sono tutti lavoratori. Ovviamente il sindacato per fare il suo lavoro deve difendere i più deboli, ve

bene? Perché se io difendo il diritto del più debole vuol dire che è in rapporto al diritto degli altri. Altrimenti gli altri non

hanno più un diritto se non un privilegio. Il privilegio è cancellabile da un momento all'altro, non so se mi spiego con il

ragionamento, ok? Allora secondo me il sindacato fa bene e fa molto bene ad affrontare i diritti dell'immigrato …

perché i lavoratori sono esseri umani, però deve rappresentare ovviamente in modo globale. Non può essere però un

sindacato degli stranieri, è un sindacato dei lavoratori. Allora con quell'ottica io difendo gli immigrati perché sono

lavoratori, magari consumo più energie perché sono quelli più a disagio così come consumo più energie con i lavoratori

precari. Quello è importantissimo, perché altrimenti trascuro tutto il resto … P13: PT05_FIOM.txt - 13:6 (101:111)

(Super)

… la mia idea è che sono tutti uguali, non è per gli immigrati o italiani, perché quando lavoriamo per una ditta, secondo

me non c'è differenza tra uno straniero e un italiano, per me sono tutti uguali, anche, diciamo, per il mercato, fuori in

strada, siamo tutti uguali … P17: PT09_FIOM.txt - 17:3 (43:47) (Super)

… anche la FIOM, l'attacco del governo e dell'industria, però io sono d'accordo su quello che stanno facendo, perché c'è

qualcuno prima che ha dato anche la sua vita per avere i diritti, i diritti non si regalano, ma si conquistano e se c'è

qualcuno adesso che cerca di difendere i diritti dei lavoratori italiani e non è la FIOM, la CGIL. Cambiato è cambiato,

perché l'attacco non è da poco. Non è da poco l'attacco su questo livello sindacale, ma quando uno è convinto per

andare avanti per una cosa vuol dire che è convinto e io sono d'accordo. Vado avanti anch'io per queste cose. Perché i

diritti non devono perdersi e non si regalano. Qualcuno ha dato la vita per i diritti, noi dobbiamo mantenerli e spero

che ce la facciamo … P24: PT16_FIOM.txt - 24:5 (113:120) (Super)

… Non solo, come dice un nostro slogan, non solo difendere i diritti dei migranti, difendere anche i diritti dei lavoratori,

tutti, anche non italiani … P24: PT16_FIOM.txt - 24:6 (123:124) (Super)

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… come è successo per Pomigliano, diciamo, a Torino, queste cose qui. Quando vai a vedere, tu dici: “Chi mi

rappresenta? Il mio sindacato” Però se il sindacato è d'accordo con quello che fa l'azienda, allora, mi rappresenta?

Posso dire di no. Però se un sindacato fa di tutto per i miei diritti, per ottenere il giusto, non dico esagerare, il giusto,

allora penso che stia facendo il suo lavoro per tutelarmi. Però se un sindacato, che io ho visto, essendo delegato, nei

vari incontri mi rendo conto che questo tipo di sindacato invece di tutelare i lavoratori, a prescindere che siano

immigrati o meno, cerca di essere più dalla parte dell'azienda, questa cosa, a me personalmente, mi lascia un po'

perplesso, perché non riesco a capire: se io sono iscritti e ti pago per essere tutelato e poi la prima cosa che fai è dalla

parte dell'azienda … P31: PT23_FILCAMS.txt - 31:6 (95:103) (Super)

… diciamo: “Ragazzi, venite tutti insieme, perché tutti insieme possiamo fare qualcosa. Una singola persona non può

risolvere i problemi.” Ma io vedo che tanti migranti, loro si tirano indietro, non lo so per quale motivo, forse la paura o

sono disinteressati, ma ogni tanto io gli dico: “L'unità può vincere sempre la battaglia, perché se noi abbiamo un

problema, se noi vogliamo che il sindacato ci aiuti, noi per primi dobbiamo essere uniti e avvicinarci al sindacato.

Quando noi abbiamo un problema, quando il sindacato ci chiama: “Ragazzi, venite qua, io vi ascolto” noi dobbiamo

esserci in quel momento, noi dobbiamo spiegare: “Guarda, il nostro problema è questo e questo, noi vogliamo questo,

questo e questo” ma comunque loro stanno solo fuori aspettando e dicono che il sindacato non fa niente. Ho detto:

“Come il sindacato non fa niente, quando tu per primo non fai niente? Perché il sindacato sei tu, il sindacato non è solo

il funzionario che sta lì sopra.” Il sindacato sei tu, perché il sindacato non può sapere, se tu stai indietro senza venire

davanti a dire: “Guarda, c'è questo problema qua, io voglio arrivare in fondo, tu mi devi aiutare per questo problema

qua”. Perché se tu dici: io oggi ho un problema, domani quando il responsabile ti guarda in faccia, tu hai già preso

paura. “No, no, no, io rimango qua, non dico più niente” e poi dopo dici: “Il sindacato non ha fatto niente”. Il sindacato

non può fare qualche cosa se tu non sei il primo a fare qualcosa. Questo qua, i migranti, loro stanno sempre indietro,

aspettando solo e dicono solo: “Oh, c'è da cambiare il contratto, il nostro contratto non è stato rinnovato.” “Ragazzi,

facciamo sciopero per il rinnovo di questo contratto”, li trovi tutti che stanno lavorando, poi domani dicono: “Il

sindacato non fa niente, perché, guarda, fino adesso il mio contratto non è ancora stato rinnovato” Ho detto: “Ragazzi,

c'era lo sciopero qua, se noi tutti quanti facevamo questo sciopero, questa persona lo sapeva, noi veramente abbiamo

bisogno di queste persone, senza queste persone qua, senza quel poco che fanno, ma importante, vedrai qualcuno si

muoverà, ma se noi facciamo sciopero, siamo tutti qua, facciamo tutti quello che dovevamo fare, quindi noi

danneggiamo il sindacato, poi andiamo da parte e diciamo: “Ah, guarda, il sindacato non ha fatto niente”. Per primi

noi che dovevamo fare sciopero non l'abbiamo fatto, perché se lo fa il funzionario o due funzionari e venti lavoratori

stanno lavorando...non serve a niente anche quello sforzo dei funzionari che hanno fatto sciopero. Noi ci aspettiamo

molto, ma noi non facciamo niente per quello che ci aspettiamo, perché se io mi aspetto qualche cosa, per prima io

devo fare qualche cosa per avere questo … P35: PT27_FILCAMS.txt - 35:1 (40:63) (Super)

… Fino a quando non si farà questo passo, sarò sempre meno convinto di poter portare qualcosa alla mia gente, la mia

gente non so dov'è, non c'è, bisogna cercare di tirare via questo individualismo e il sindacato ha i mezzi per farlo, ha la

possibilità di accogliere gente ovunque. Almeno cominciamo a fare qualcosa lì, si inizia così. Non sono un ragazzino, nel

'68 c'ero, mi ricordo ancora. Anche sull'organizzazione, quando qualcosa non va coi lavoratori, perché siamo tutti

lavoratori, quando non va bene per uno, non deve andare bene neanche per gli altri … P37: PT29_FILCAMS.txt - 37:3

(118:124) (Super)

… chi non ha mai assaggiato una cosa non può mai chiedere in più per cui io direi che molti degli stranieri chiedono

molto di più. Perché sanno che il sindacato oggi è l'unico gruppo di persone che gli possono dare una mano. Perché da

solo a dir la verità, da soli, anche se io ho una comunità Nigeriana, altri possono averne una Senegalese, ma diverse

comunità così, non possono raggiungere l'obiettivo che ci aspettiamo da soli, tra di noi, ma essendo parte di una

congregazione della CGIL e la FIOM, anche se abbiamo già ottenuto tantissimo, ancora crediamo che possiamo

ottenere di più. Sulla questione del soggiorno, sappiamo tutti che molti fanno la richiesta , pagano e quando ti viene

dato indietro è già scaduto, che è una truffa da parte dello stato. Ma oltre a questo noi sappiamo che senza il

sindacato, all'interno del lavoro, diventiamo nuovamente come degli schiavi. Perché tutto quello che gli altri non

possono fare te lo chiedono a te come straniero per metterti contro un italiano … Perché noi siamo gli strumenti per

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combattere contro l'italiano e l'imprenditore sfruttano questo meccanismo qua per mettere un amico italiano contro

me commissario e allora io divento un nemico dell'Italiano all'interno della fabbrica. Allora grazie alla FIOM che non fa

distinzione tra italiano e stranieri Perché quando la FIOM chiede le cose all'azienda lo chiede a nome dei lavoratori in

generale e non solo per gli stranieri o solo per gli italiani! … P64: MR07_FIOM.txt - 64:4 (120:149) (Super)

Naturalmente l’alimentazione di schemi cognitivi di matrice classista e la possibilità di affermare una

identità di classe non preclude la possibilità che possano con-presenti altre identità e altri schemi cognitivi

di diversa matrice. Non a caso dalle interviste emergono in modo forte anche altre identità e sensi di

appartenenza molteplici. Identità di genere, identità generazionali, identità geo-culturali e identità migranti

si intrecciano creando di volta in volta diversi profili soggettivi. In altri termini in nessun caso gli intervistati

hanno trasmesso l’idea di considerare una appartenenza o una identità come esclusiva o sovrastante

rispetto alle altre. Proprio questo patchwork identitario, una volta messo nelle condizioni di potere

esprimere tutto il suo potenziale, può rappresentare una risorsa non solo per gli immigrai, ma anche per

l’organizzazione sindacale nel suo complesso. In tutti i casi già allo stato attuale la presenza all’interno

dell’organizzazione di soggetti che possiedono un tale patchwork identitario permette di attivare processi

pervasivi di contaminazione culturale tra migranti e tra migranti e italiani e in questo senso processi di

integrazione culturale.

… noi portiamo un'altra cultura. Mi spiego meglio: io vengo dall'Argentina, ho lasciato il mio paese perché è una crisi

continua da tantissimo tempo che andava a peggiorare. Tutte le cose che poi nel 2002 hanno voluto applicare qui in

Italia con la flessibilità sono cose che precedentemente avevo tentato nel nostro paese. Allora ovviamente io con mia

moglie ci siamo guardati, abbiamo detto: “Questo è un film che abbiamo già visto, tutta questa cancellazione dei

diritti, questa flessibilità per la crescita che non fa altro che fare ancora più dispari la situazione tra datore di lavoro e

lavoratori. Allora ho portato quell'esperienza

che, avendo la possibilità anche nel direttivo l'ho spesa, ho spiegato e ho difeso quella situazione. Sempre nei miei

interventi ho voluto lasciare spazio anche alle esperienze lavorative che ho avuto anche come lavoratore interinale.

Che lì lo sei tanto straniero come italiano, però è una parte che l'ho passata. E poi il fatto di aver lasciato la tua terra,

iniziare da capo, ti fa capire certe cose, ovviamente c'è un cambiamento interno, però tra quello ti fa anche imparare a

come sopportare a vivere nella giungla burocratica, no? Dal momento di come devi prendere la residenza, come devi

fare questo, come ... un aiuto per l'affitto della casa, tutta la problematica. E questa esperienza io ho potuto applicarla

poi con i miei colleghi, cioè quelli meridionali che arrivavano a Parma da un giorno all'altro sono riuscito, diciamo, a

orientarli. Ok, allora, sei appena arrivato, io ti consiglierei di fare questo passo, poi l'altro, etc. Quello avvicinava queste

persone tramite il delegato che ero io al sindacato, riuscivamo a dare una risposta al loro bisogno, però che in pratica è

un'esperienza che avevo avuto io inizialmente … P13: PT05_FIOM.txt - 13:8 (132:147) (Super)

… Sapere perché è qui l'immigrato, sapere come vive l'immigrato, sapere quali sono i problemi dell'immigrato, sapere

anche la cultura dell'immigrato, perché io senegalese posso avere una cultura diversa dagli altri immigrati però non

possiamo mischiare tutti i problemi per cercare di risolverli. Se conosce un po' la cultura della persona che rappresenta,

risolve meglio i problemi … Io penso che il sindacato deve impegnarsi di più nella vita quotidiana dell'immigrato, sapere

come vive, è una cosa che aiuterà il lavoro del sindacato perché conosci la persona ed è più facile capire la persona …

P15: PT07_FLAI.txt - 15:7 (60:66) (Super)

… I migranti sono una risorsa, perché già avere la diversità, il modo di pensare e le loro esperienze nel loro paese

d'origine è già una risorsa, bisogna sfruttarla. Tutta l'esperienza degli immigrati che ci sono, nel loro paese col modo di

come hanno lavorato e come lavorano è una risorsa, bisogna discuterlo, analizzarlo e sfruttarlo, perché l'esperienza

che sia negativa di un operaio o di un immigrato o sia positiva è sempre una risorsa, perché analizzarla e studiarla per

creare una innovazione per me è già una risorsa in sé … P26: PT18_FILCAMS.txt - 26:5 (208:213) (Super)

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… Un cittadino straniero molte volte ha dovuto valersi e viaggiare per il mondo, conoscere molte volte altre lingue, è

culturalmente molto ricco e penso che il cittadino straniero abbia bisogno di essere ascoltato, preso in considerazione

quando si prendono le scelte soprattutto a livello sindacale, considerando che lo straniero reagisce molto e può

capitare che lo straniero sia una mano molto utile per il sindacato, perché lo straniero, non avendo molto da perdere o

davanti a cose che sono veramente dure, come il razzismo o la selezione durante l'assunzione, sentirsi trattati

diversamente da tutti gli altri. Questo è un po' un fattore in più nello straniero a dargli una forza, una forza interiore,

forse perché ha anche già dovuto un giorno prendere la forza e il coraggio per dire: “Me ne vado dalla mia terra” e

deve mantenersi qua, magari lontano dalla famiglia, lontano, queste persone comunque hanno sviluppato, secondo

me, la maggior parte, hanno sviluppato una forza ulteriore che dovrebbe essere utilizzata, secondo me, dal sindacato

… P28: PT20_FILCAMS.txt - 28:5 (80:90) (Super)

… E' un vantaggio per il sindacato per imparare le altre culture. Ci sono tantissimi lavoratori stranieri, quindi è un

vantaggio per il sindacato avere delegati stranieri. Perché io vedo tanti lavoratori stranieri, loro si avvicinano di più ai

delegati stranieri, perché forse è naturale. Forse gli stranieri come me mi possono capire di più. Come io sono delegata,

sto vivendo gli stessi disagi e problemi che vivono anche tantissimi lavoratori migranti, quindi un vantaggio per il

sindacato è che per i lavoratori stranieri è più facile avvicinare e dire i loro problemi a delegati stranieri

tranquillamente, perché sanno già che stanno vivendo le stesse esperienze e anche lo stesso disagio. Questo è un

vantaggio, perché ci sono tantissimi iscritti stranieri nella nostra organizzazione, quindi il vantaggio per il sindacato è

questo qua: è che io, come delegata straniera, capisco meglio i problemi dei lavoratori e anche i disagi dei lavoratori

stranieri. Per il sindacato io sono una risorsa, perché spiego i problemi della gente … P35: PT27_FILCAMS.txt - 35:2

(80:88) (Super)

… Nel momento in cui ci siamo noi presenti, invece di andare a leggere nei libri, fare ricerche di cosa hanno bisogno,

vengono direttamente, se hanno voglia, a rivolgersi a noi per certe cose. Come devono comportarsi per portare avanti i

diritti e gli interessi degli extracomunitari senza cadere negli estremismi da una parte o dall'altra: non una difesa cieca

o neanche lasciar perdere. Faccio un piccolo esempio, non del nostro settore, perché noi non facciamo politica in quel

senso lì: ad esempio, noi che siamo dei Paesi islamici, il rapporto con le donne. Nel momento in cui vogliono decidere,

ad esempio, sul velo islamico o ad esempio sul burqa, in questi casi qua la nostra presenza è utilissime, nel senso che

devono domandare, senza andare a leggere il libro, domandare a noi: “C'è questo problema qua. Cosa possiamo fare?

Ad esempio, se viene una che ha il burqa qua al sindacato, dice che vuole anche essere delegata, una brava ragazza,

capace, parla bene l'italiano, etc. Ma secondo voi possiamo prenderla? La prendiamo, non la prendiamo? Possiamo

chiederle di non portare il burqa, non possiamo? Facciamo male, bene?” Noi possiamo rispondere direttamente senza

offendere lei e nessuno, nel senso che il burqa non è una cosa islamica, assolutamente, perché è una cosa tribale, non

c'entra niente, dipende da quale paese vieni, per cui, anzi, se vuole venire deve togliersi il burqa. Questo lo possiamo

dire senza che nessuno si offenda, non si chiede di diventare cristiano o non musulmano. Semplicemente puoi dire di

no. Questo vale se volesse diventare delegato o viceversa nella società. Ho fatto un piccolo esempio per sapere una

cosa per cui potrebbe servire al sindacato. Purtroppo qualche volta vogliono fare di testa loro, decidono loro o

mancanza di fiducia verso di noi ancora. Talvolta il sindacato stesso non ha tanto piacere che entrassimo, alcuni

magari, non il sindacato come organizzazione, ma qualche funzionario, qualche dirigente non ha tanto piacere che noi

entrassimo troppo nella politica italiana. E questo, per me che sono da oltre trent'anni in Italia e da vent'anni,

venticinque anni ho la cittadinanza, sono cresciuto e ho conosciuto la politica in Italia, mi dispiace molto questa

mancanza di fiducia. Pur capendo, però questa mancanza di fiducia mi dispiace … P38: PT30_FILCAMS.txt - 38:4

(84:107) (Super)

2 - Le criticità del rapporto immigrati/sindacato

Il rapporto tra immigrati e CGIL registra anche delle criticità. Durante l’intervista sono emerse diverse

problematiche relative al rapporto tra immigrati e sindacato. Una criticità generale ravvisata dagli

intervistati riguarda il rischio percepito che la CGIL nel futuro non risulti essere capace di svolgere una

azione di integrazione come quella svolta in passato a causa dei graduali, ma allo stesso tempo radicali

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processi di trasformazione che stanno avvenendo in Italia a livello economico e sociale.

Deregolamentazione del mercato del lavoro, riduzione dei diritti dei lavoratori, ridimensionamento della

contrattazione collettiva, trasformazione dell’architettura delle relazioni industriali sono tutti processi in

atto da tempo, ma che sembrano essere giunti con la crisi economica al loro apice e che, se assecondati,

possono cambiare in profondità la natura e l’azione del sindacato, mettendo in discussione, tra le altre

cose, anche il suo ruolo di agente di integrazione così come è stato conosciuto in passato.

Su questa criticità generale si inseriscono, poi, alcune criticità specifiche riguardanti il rapporto tra

organizzazione sindacale e immigrati.

La prima criticità specifica è quella relativa al mancato passaggio ad una strategia di estensione della

cittadinanza da parte dell’organizzazione sindacale. Come si è scritto sopra il sindacato è stato

indubbiamente un importante agente di integrazione in quanto ha permesso a centinaia di migliaia di

immigrati di intraprendere circuiti virtuosi di integrazione scio-giuridica. Questi circuiti di integrazione,

tuttavia, rappresentano il risultato delle diverse normative che si sono susseguite dal 1990 ad oggi e il

rapporto del sindacato nei confronti di tali circuiti appare, agli occhi degli intervistati, come caratterizzato

da una rassegnata accettazione dello status quo. In altri termini gli intervistati riconoscono il ruolo che ha

avuto il sindacato nell’integrazione degli immigrati e riconducono tale ruolo all’intensa azione di

integrazione sociale che hanno portato avanti a vari livelli le diverse strutture dell’organizzazione sindacale

(vedi sopra); ma allo stesso tempo, gli stessi intervistati, non riscontrano da parte dell’organizzazione la

medesima intensità d’azione per cambiare la regolamentazione (la regolazione per legge) dei percorsi di

acquisizione della cittadinanza. Tra gli intervistati, infatti, sembra essere maturata la convinzione che la

regolamentazione attuale del processo di graduale acquisizione dei diritti sociali, civili e politici - l’attuale

sistema di stratificazione civica - sia giunta ad un livello insostenibile di ingiustizia e che il sindacato,

facendo forza sulla propria autonomia d’azione, debba non solo assumere una posizione critica, ma agire

per cambiarla.

… Sì. Allora, c'è stato il primo marzo lo sciopero dei migranti. Lì ho visto la mancanza del sindacato, ho notato la

mancanza del sindacato, non c'era proprio. Nel pomeriggio c'era la casa della pace di Rimini, aveva organizzato una

manifestazione, un corteo nel centro di Rimini, poi in piazza Cavour c'è stato un dibattito e il microfono aperto per

tutti, tutti potevano dire la loro. Lì il sindacato è mancato, proprio non c'era. Infatti anche nella mia azienda io l'ho

saputo alle 10 e mezzo di mattina, onestamente non lo sapevo neanch'io che quel giorno c'era lo sciopero dei migranti,

mi sono precipitato immediatamente dai miei colleghi, tutti i miei colleghi stranieri e ho detto: “Ma sapevate di oggi?”

Nessuno lo sapeva, infatti dalla reazione che ho visto, se c'era questa informazione, comunicazione la mia azienda quel

giorno sicuramente era ferma, era ferma, tutti l'avrebbero fatto, tutti hanno detto che sì. Quindi lì ho visto che

mancava il sindacato, non lo so perché, non lo spiego, non ho chiesto a nessuno il motivo perché non c'era. Quindi se ci

sono questo tipo di iniziative, manifestazioni oppure proteste, il sindacato se prendesse un impegno maggiore per

informare oppure organizzare forse è meglio. Adesso non so, stanno parlando, ci sarà un latro sciopero di questo

genere. Non ancora è stato deciso quando e come, però penso che c'è, c'è una voce nell'aria che vorrebbe fare non lo

so quando. Comunque se ci sono, se ci sarà una manifestazione così, una giornata così, se il sindacato si impegna, forse

ci sarà un gran successo. La casa della pace a Rimini, loro sono una quindicina di ragazzi, ma volontari, cioè non hanno

collegamento con le aziende. È un'associazione del comune, di volontariato. Quindi loro hanno fatto il massimo che

potevano fare, infatti la sera quel giorno lì io per caso sono capitato in centro a Rimini, ho visto che c'era questo

corteo, mi sono infilato dentro con loro. In piazza quando c'era il dibattito, ho preso il microfono, ho detto quello che

era il mio. E l'organizzatore subito ha chiesto il mio numero di cellulare, ha detto: “Mi lasci, per favore, il tuo numero?”

E infatti gli ho dato il mio numero. Da lì sarà sette otto volte che hanno fatto una manifestazione così e mi hanno

chiamato sempre. Io ho cercato di andare sempre e di partecipare con loro. C'è stata anche questa giornata, quella per

la legalizzazione delle badanti e colf che a Rimini sono state negate tantissime pratiche di legalizzazione. Per poter fare

questo, la casa della pace aveva organizzato una manifestazione e lì sono andato e il sindacato non c'era, non c'era

neanche lì … P19: PT11_FIOM.txt - 19:8 (137:160) (Super)

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… Perché il nostro problema di più è quello, perché il permesso di soggiorno perché è un permesso, non è una cosa che

ti obbliga a fare, è come la legge Bossi-Fini che ti impedisce tante cose, non è una cosa che ti da tante possibilità,

quella è una legge di schiavi, non è una legge di persone come se vai in Francia che la gente ha più … la Francia forse

sono più lontani dall'Italia per l'immigrazione perché loro lo facevano da tanti anni, la Germania era diversa,

l'Inghilterra era diversa. Quindi loro devono guardare un po' di più a questi Paesi, perché per me questi Paesi sono

andati avanti dall'Italia grazie all'immigrazione perché l'immigrazione non è una cosa che ti frena ma una cosa che ti

aiuta ad andare avanti nell'economia. Perché noi quando veniamo qui la spesa la facciamo perché dobbiamo

mangiare, il taxi lo paghi e quindi per me è una cosa che aiuta allo Stato italiano perché se guardiamo prima la gente

che lavorava in Italia era poca e se facciamo i conti, se facciamo i conti, è l'immigrazione che continua a pagare questi

pensionati, perché se non c'erano quelli, i pensionati non ricevono niente. Perché uno che ha lavorato cinque anni ed è

più da vent'anni che tu prendi la pensione, vedi che c'è la mano degli immigrati. E anche le scuole. Quindi per me

devono guardare nelle cose giuste, dare un piccolo sguardo agli immigrati invece di far pensare che loro vengono qui a

rubare il loro lavoro i posti di lavoro che è quello il governo sta mettendo nella testa degli italiani che quelli vengono a

rubare i vostri posti di lavoro. La Lega. Purtroppo io vivo con loro, perché la mia casa sopra la Lega, il posto della Lega

era sotto, io ero sopra. Perché io so gestire la gente, so come devo fare, se io non ho niente da fare con te, non me ne

frega un cavolo, io faccio così … P20: PT12_FIOM.txt - 20:4 (101:119) (Super)

… Però io sto parlando del diritto di permanenza qua in Italia, di cittadinanza. Allora vedo che il sindacato ha un po'

tolto la mano da quella cosa lì. Se noi vediamo le cose che sono state fatte per quegli stranieri lì a Brescia, non si è data

una mossa tutta Italia, si è vista lì, si è spenta lì. Per me, per me non è giusto da parte del sindacato, non è giusto. Ci

devono sostenere, perché...sostenere, non in senso...sostenere legalità, non è che, se ha un diritto sì, allora tu devi

appoggiarmi, perché la maggioranza dei lavoratori sono immigrati. Se noi guardiamo soprattutto i metalmeccanici,

soprattutto il lavoro pesante, allora lì un aiuto ci vuole. Parliamo prima dei regolari e dopo passiamo agli irregolari. Se

non siamo riusciti a mettere a posto neanche quelli regolari, figurati quelli irregolari. Per me la CGIL si deve dare una

mossa rispetto a questa questione qua … P23: PT15_FIOM.txt - 23:4 (91:100) (Super)

… Volevo dire una cosa dei documenti: per me il governo ha fatto una tassazione e l'ha fatta solo per gli stranieri: tu

vuoi la cittadinanza, devi pagare 200 € che prima non c'era. Adesso lo sanno che sei obbligato a fare la cittadinanza,

devi pagare 200 € che gli italiani non lo pagano. E per rinnovare il permesso di soggiorno devi pagare 75 € per

ciascuno, figurati se hai una famiglia di quattro persone, cinque persone, paghi 350-400 €, però comunque il sindacato

in generale, diciamo CISL, UIL e CGIL passano sopra queste cose qua, fanno finta che non vedono per me non è giusto …

P23: PT15_FIOM.txt - 23:5 (116:121) (Super)

… I miei bimbi quando gli chiedi “Di dove sei?” dicono “Bolognese”, sono nati e cresciuti, studiato solo l'italiano, come

facciamo? E che cosa hanno fatto loro per meritare una condizione del genere? Oltre che non, la domanda che faccio è

se l'Italia li fa crescere, spende scuola, sanità e tutto, poi magari per fare il rimpatrio a me, manda anche loro, allora

perché spendi questi soldi per farli crescere? È una domanda che...il problema è che, se sono nati qua, perché devono

aspettare 18 anni e poi fanno la domanda se lavorano? Allora, quando arrivano, perché c'è anche l'imbroglio qua sul

fatto di quello che vuol essere un po' onesto. Allora, se arrivano a 18 anni e non lavorano non possono fare la domanda

per il permesso di soggiorno per conto loro, figuriamoci per la cittadinanza, se lo fanno gli chiedono tre CUD, gli

chiedono 10 anni di residenza non interrotta, gli chiedono ... allora, se arriva a 18 anni e vuole fare domanda per la

cittadinanza a questo punto lui deve lavorare tre anni per avere un CUD ... allora è una presa ... non li riconosci e basta,

è un cittadino di serie B e basta. Perché la soluzione per i bambini che sono nati qua o almeno ci vuole più pressione,

che sia del sindacato, che sia dei politici che sostengono la CGIL di fare automatica, come in Francia, come in

Germania, come in Belgio, come in Spagna, perché in Spagna il bambino quando è nato è già cittadino spagnolo.

Speriamo che cambi per loro in bene, perché se controlliamo o se si fa una ricerca di questo genere vedi che molti degli

immigrati che hanno avuto la cittadinanza e i loro familiari hanno avuto delle difficoltà per averla hanno cambiato

residenza, o la Francia o il Belgio, o la Olanda, in molti … P26: PT18_FILCAMS.txt - 26:4 (148:165) (Super)

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… Sono tanti punti: sicuramente la lotta del sindacato in quanto ai requisiti chiesti agli stranieri per il ricongiungimento

familiare sarebbe una cosa interessante da fare, perché si chiede sempre di più, più documentazione, diventa sempre

più difficile, sembra che uno voglia entrare in Italia perché ha trovato il Paradiso, molte volte veramente non lo è,

l'Italia non è diventata l'America, è l'Europa e in verità c'erano prima altre destinazioni che ormai sono troppo piene. In

questa realtà sociale c'è tanto razzismo, perché l'Italia è nuova con tanti immigrati e quindi c'è razzismo e c'è selezione,

c'è la burocrazia per fare i documenti e per far entrare, per avere un permesso regolare, un lavoro regolare. Cosa

succede allora? Il sindacato dovrebbe spingere a livello di tutte queste leggi che vanno a ostacolare l'ingresso e la

regolarizzazione dello straniero. Questo il sindacato deve andare a battagliarlo, a lottare, ma sul serio, ci si deve

mettere. E continua a essere un discorso di coinvolgimento degli stranieri, perché lo straniero rappresenta un numero

interessante per l'Italia, rappresenta un numero interessante per l'INPS che ingrandisce le tasche, perché molti stranieri

molte volte vanno via dopo anni e quella pensione rimane qui, perché non arrivano mai a prenderla dopo. I dati

parlano chiaramente anche con queste cose, cioè quindi lo straniero molte volte viene anche a riempire certi buchi di

lavoro, soprattutto quello che ti dicevo io, magari sono più capaci di fare altri lavori, però qua vengono a fare i lavori

che non fa un italiano, che un italiano preferisce non fare, quindi assolutamente il sindacato deve lottare per la

regolarizzazione e l'aiuto in quanto a queste leggi che possono sfavorire uno straniero davanti a un italiano, nei

confronti di un italiano … P28: PT20_FILCAMS.txt - 28:6 (120:137) (Super)

… Gli immigrati non si aspettano niente perché non hanno la voce. Se mi dici cosa si aspettano i lavoratori Italiani te lo

so dire, sai cosa si aspettano? Perché si aspettano che loro possono intervenire. Ma gli immigrati non si aspettano

nulla, perché non hanno aspettative. Perché la CGIL non ha una politica sugli immigrati. La CGIL ha fatto confusione …

P50: VA12 FIOM.txt - 50:3 (355:360) (Super)

… molti immigrati hanno paura... il permesso legato al lavoro, rischiano di essere espulsi ... Il sindacato poteva fare di

più. Perché un lavoratore che lavora non a norma un domani rischia di perdere un braccio, un occhio ... Invece di

parlare della clandestinità... invece di lottare per il lavoro nero, fanno degli strumenti per cui può essere di più ... invece

di diminuirlo aumentano … il sindacato ... poteva cercare di capire ... anche se non fa ... attraverso ruoli, dentro le

fabbriche, come CGIL … scambiarsi le cose per andare avanti ... Farli lavorare in condizioni ... perché farli lavorare 12

ore senza pausa e poi non gli dai neanche da mangiare ... E' uno sfruttamento … Dal mio punto di vista, abbiamo tante

priorità come sindacato ... ma so che possono farlo, anche di più per l'immigrazione. Dipende dall'impegno che ci

mettono, iniziative... hanno la possibilità, fuori dalla politica ... Io faccio un appello a tutte le organizzazione, se

possono fare qualcosa di più per i migranti sarà anche una cosa normale ... perché ormai, la migrazione è successa

dappertutto, anche la storia dell'Italia, ci ricordiamo 50 anni fa, questi imprenditori d'Italia, erano fuori, quindi... ma

bisogna organizzarli così uno avrà il suo diritto e il suo dovere ... sapere diritto e dovere. Invece di creare l'idiota tra te e

me ... perché oramai siamo sposati con gli italiani e italiani con i migranti ... fanno i figli ... oramai per separarli è un

problema. Bisogna organizzarli ognuno. Darle un carico di responsabilità per sapere quale è il suo dovere e quale è il

suo diritto ... invece di creare l'idiota tra uno e l'altro. L'immigrato è delinquente ... appena fai una cosa ... e poi ci sono

delle cose qua in Italia che a casa mia in Senegal trovi una volta all'anno ... o 2, ma non ne voglio parlare qui... Siamo

tutti persone. Non vuoi dire che i senegalesi sono tutti bravi... ci sono quelli bravi, altri che... come l'italiano ... Ma non

puoi prendere solo le cose negative su di loro per prendere strumenti ... E' quello che sta facendo l'Italia su di loro. I

politici ... stanno prendendo solo cose negative sui migranti ... per far esplodere la bomba … P51: VA13 FIOM.txt - 51:4

(172:208) (Super)

… vorrei fare un appello: che i sindacati devono fare molto di più di come stanno facendo adesso, per avere i diritti

degli immigrati, con questa legge sulla immigrazione, fatta dal governo, diciamo che è contro gli immigrati, in altri

paesi europei o come negli Stati Uniti, le leggi per gli immigrati non sono così. Quindi chiedo che cambi qualcosa sulla

legge dell’immigrazione … il sindacato deve fare di più … P61: MR04_FLAI.txt - 61:5 (110:116) (Super)

… E' importante perché adesso gli extracomunitari in questo paese veramente sono qua per lavorare, gli

extracomunitari vogliono il lavoro, gli italiani vogliono il lavoro ... Io ricordo quando due anni fa è andato via il governo

Prodi la gente ha detto, adesso che Prodi è andato via è arrivato Bossi, vuole mandare via tutti gli extracomunitari.

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Erano contenti, ho visto più di 20 italiani che dicevano così. Dentro al mio lavoro e vicino a casa mia, si sente. Però

quando io sento questo mi fanno ridere. Mia figlia è nata qua nel 2002 e questo è successo nel 2008. Io sono nato a

Dakra, ma questa mia figlia è nata a Modena. Allora, perché loro hanno scritto Ghana là? Allora è modenese. Non le

danno il passaporto, non le danno niente, anche la carta d'identità adesso non c'è. Se scade il mio permesso di

soggiorno mia figlia non ce l'ha. Questo secondo te è giusto per vivere in questo paese? Per tutto questo i sindacati

possono aiutare. Devono aiutare anche mia figlia per vivere come vivono gli italiani, perché adesso mia figlia va a

scuola con gli italiani, e anche la mia lingua non la parla bene, non è mai andata in Ghana e non lo conosce. Per

esempio, se io non ci sono, lei dice "no papà, io non vado", e io non posso legarla e metterla in aereo, obbligarla ad

andare in quel paese. Però la legge dice che non può avere la cittadinanza fino ai 18 anni, ma che differenza c'è se lo

danno adesso? In tutto questo i sindacati devono aiutare. Va bene, io sono nato in Ghana, sono venuto qua quando ero

cresciuto, dopo dieci anni senza problemi posso chiedere il passaporto e va bene, allora quello che è nato qua? … P62:

MR05_FLAI.txt - 62:5 (149:165) (Super)

… Adesso non è il problema del lavoro, ma del permesso di soggiorno. Perché il lavoro è collegato con tutto ... per il

rinnovo del permesso di soggiorno con tutto. Perché se non hai il lavoro non hai il diritto della carta di soggiorno, per

fare una vita... normale come gli altri. E' quello il problema. Non è il problema del lavoro, il lavoro è diventato collegato

con tutto. Se non hai il lavoro sei diventato come un clandestino qua. Loro aspettano dal sindacato che... Però il

problema non è [...] Perché lo straniero se non ha diritto di voto diventa come uno straccio. Ti gli fai così e lo butti via.

Perché è diventato un gioco politico, una carta politica per tutti i partiti che ci sono in Italia. Anche nella sinistra ... non

hanno un'idea su queste questioni. Anche quando è arrivata al potere non è mai riuscita a fare un diritto di voti. La

destra adesso cerca ... il 10% della popolazione è straniera e ci sono dei partici che non arrivati ad una certa

percentuale per il problema degli immigrati. Non so, noi parliamo di democrazia... ma se un paese è democratico non

può decidere per gli altri, paga le tasse come gli altri, hanno i bimbi. Loro parlano d'integrazione, però l'integrazione...

ma non so, a modo loro. Come fai? Perché quando io vado a dare il mio voto, dopo le partite, per decidere qualcosa,

contro o a favore gli immigrati ... ci pensano prima. Perché diventa una carta politica, hanno diritto di voto, nessun

partito riuscirà a risolvere i problemi degli stranieri … Il sindacato lo sta affrontando, ma non è con ... le cose non sono

chiare, perché c'è anche della gente che è contro. Perché noi qua alla FIOM se fanno degli interventi per gli stranieri nel

direttivo, ogni volta vedi che ci sono dei delegati italiani che intervengono contro gli stranieri, contro la sinistra. Non ci

vuole questo. Non è di tutti, è una minoranza. Però c'è … Qui la FIOM di Bologna, la vedo meglio degli altri … Io dico

veramente ... se l'immigrato non avrà diritto di voto non riuscirà a fare niente. Perché è questa la legge. La politica si

basa sul diritto di voto, se hai il diritto di voto, fai qualcosa per gli stranieri. Se non hai diritto di voto sarà una carta che

potranno giocare tutti gli stranieri. Non so la destra quando arriva a fare delle leggi Bossi Fini ... quando loro arrivano

al potere fanno passare delle leggi contro gli immigrati. E la sinistra, qua non riesce a fare niente nei confronti degli

immigrati. Hanno paura. Io posso dirlo, questo mi è capitato. Come rappresentante del consiglio della Provincia di

Ferrara gli immigrati volevano avere un posto di culto, il sindaco, uomo di sinistra, quando sono entrato ... ho detto

sindaco della sinistra, non possiamo avere dei problemi ... Ha detto questa gente chiede un posto di culto in affitto ...

Durante il discorso, mi son chiarito tutto. Ha detto io non posso rischiare, perché lui ha diritto dopo 5 anni a fare

ancora il sindaco ... ha detto io non lo posso fare, perché dopo rischio certi voti contro dal consiglio e se riesco a dare a

voi ... voi non avete nessun ... qua si vede la sinistra. Non ha principi … Il sindacato meno. Però... ci sono anche certi

sbagli che ha fatto anche il sindacato. Han sbagliato ad entrare in questo meccanismo … P63: MR06_FIOM.txt - 63:4

(121:182) (Super)

… Vogliamo che sia la CGIL che la FIOM siano un po’ di più e di stare un po’ di più con gli stranieri. Perché quando mi

sento Italiano sarò il primo a battermi per difendere l'Italia, ma se io non mi sento Italiano, quando vorrai fare

qualcosa di male contro l'Italia, per me sarebbe differente. Io ho dei figli in Italia e voglio che, se anche io vado domani,

voglio che si sentano italiani. Ma oggi un bambino nato in Italia, non è italiano che è una cosa gravissima. Se un

bambino nasce su un aereo svizzero, italiano, francese, Perché è nato su quella terra li. Ma mio figlio non è Italiano

solo Perché è nato. E dobbiamo combattere di più è ora che combatta la CGIL con noi, io non parlo di me che sono

venuto per mia volontà in Italia ma è per i miei figli e la futura generazione che chiunque è nato in Italia e va a scuola

in Italia, che sia a tutti gli effetti italiano … Non è che la CGIL non fa abbastanza è che non è stato accettato, non basta

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ancora. Perché la CGIL che io conosco non si ferma davanti a queste cose. Quando sappiamo che è un diritto

fondamentale, quando una cosa è tuo diritto ti devono tutelare al massimo. E noi saremo qui a dare una mano in più …

P64: MR07_FIOM.txt - 64:6 (225:239) (Super)

… Molti immigrati pensano che ci sia qualcosa che il sindacato avrebbe dovuto fare e che non ha fatto. Ci manca

qualcosa. Secondo me adesso i sindacati si devono muovere un po’, devono andare un po’ oltre le parole … Questa

domanda la vorrei fare io al sindacato perché siamo un po’ rimasti allo stesso punto in cui eravamo qualche anno fa.

Secondo me devono muoversi un po’ di più. Meno male che la CGIL fa questo; le altre organizzazioni hanno contribuito

poco … La CGIL ha battuto ma non come vogliamo noi. Le persone sono diverse anche all’interno della CGIL e c’è chi si

prende l’impegno fino in fondo. Ma se siamo tutti a prenderci l’impegno, allora possiamo raggiungere i nostri obiettivi

… P67: MR11_FILLEA.txt - 67:5 (116:131) (Super)

… Noi adesso andiamo dietro alla CGIL e va bene così perché fanno molto per noi. Però speriamo che ci sia qualcuno

che spinge per fare ancora di più perché a comunicare con gli immigrati si capisce cosa vogliono in Italia anche sulle

leggi, sui permessi di soggiorno. Per esempio, quando c’è stata la crisi tanti immigrati sono stati lasciati a casa, tante

famiglie sono tornate indietro. Perché? Perché senza contratto di lavoro non hanno voluto rinnovare il permesso di

soggiorno. Secondo te, una persona che è qui da 16 anni, che lavora da vent’anni, che ha dei figli, torna al suo paese?

Ecco, bisognerebbe dare una possibilità rinnovando il permesso di soggiorno per un anno, fino a che finisce la crisi. Non

è che uno sta e poi quando arriva la crisi gli dai un calcio e dici ‘ciao torna al tuo paese’ … penso che bisognerebbe, per

esempio, dare un permesso durante la disoccupazione e nel frattempo lì immigrato cerca lavoro e quando l’ha trovato

gli viene rinnovato il permesso di soggiorno. Non che uno perde il lavoro e gli ‘tagliano le gambe’ non rinnovandogli il

permesso … e su questo la CGIL ha fatto, non abbastanza ma ha fatto tant’è che a certa gente è stato rinnovato il

permesso di soggiorno per disoccupazione e questo è stato fatto valere dalla CGIL … a livello politico questo non è

ancora avvenuto perciò speriamo che i rappresentanti della CGIL facciano qualcosa anche dopo che ‘si sono presi la

sedia’. Spero che allo straniero venga data la possibilità di realizzare le sue idee … P69: MR13_FILCAMS.txt - 69:7

(257:287) (Super)

La seconda criticità specifica individuata dagli intervistati è quella definibile come incapacità da parte

dell’organizzazione sindacale di coinvolgere la componente immigrata irregolare, soprattutto quella in

condizione di clandestinità. In realtà il contatto tra immigrati irregolari, anche clandestini, e organizzazione

sindacale risulta avvenire soprattutto tramite i Centri Lavoratori Stranieri delle Camere del Lavoro. Tuttavia,

in assenza di un percorso legale che tuteli l’immigrato irregolare che decide di denunciare la propria

condizione di lavoro nero, il sistema di accesso al territorio italiano (fino a qualche anno fa basato su

sanatorie periodiche e successivamente sostituito con un sistema fondato sui decreti flussi annuali, ma che

nei fatti continua a rivelarsi un modello di regolarizzazione ex-post) e di mantenimento del soggiorno

regolare condiziona l’interazione tra immigrati e sindacato limitando fortemente le opportunità di contatto

con la parte di popolazione immigrata in condizione di irregolarità del soggiorno. Non c’è dubbio infatti che

i contatti tra immigrati irregolari e sindacato siano avvenuti in passato e continuino ad avvenire, ma tali

contatti sembrano essere, appunto, limitati ed eterodiretti per quel che riguarda il tempo (e cioè i contatti

risultano essere concentrati o a ridosso delle sanatorie o a ridosso dell’uscita del decreto flussi annuale) e la

qualità (e cioè i contatti risultano essere finalizzati allo svolgimento dei servizi necessari per inoltrare la

domanda di regolarizzazione). In altri termini le caratteristiche del contatto tra immigrati irregolari e

sindacato sembrano dipendere largamente dai tempi dettati dai provvedimenti normativi, all’interno dei

quali il carattere autonomo dell’azione sindacale e delle strategie dei soggetti immigrati irregolari - pur

considerando tale carattere sempre presente ed inestinguibile - trova uno spazio alquanto residuale.

… Credo che sia riuscito... perché io stessa quando ho rinnovato il permesso di soggiorno, mi sono rivolta al sindacato

per l'appuntamento, sono sempre stata assistita ad alto livello ... dipende anche da noi stessi immigrati ... se uno è

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irregolare, lavora in nero in campagna ha paura ad andare ... perché ha paura di essere denunciato, non è colpa sua

poverino … P48: VA10 FLAI.txt - 48:5 (141:146) (Super)

… sì, viene per capire la sua situazione e a cosa va incontro, per cercare spiegazioni su come trovare un altro lavoro o

come fare un contratto per il rinnovo del permesso di soggiorno. Ma non è il sindacato che deve cercare il lavoro per lui

o lei; è la persona che deve rivolgersi alle agenzie o anche risolvere i problemi per lavorare; poi, in un secondo

momento, si possono rivolgere al sindacato che li aiuta a rinnovare il permesso di soggiorno … sì certo, c’è stata

risposta da parte del sindacato: se non hai nessun contratto, come può aiutarti a ottenere il permesso? Devi avere le

carte in regola. Ovviamente il sindacato non può andare oltre le regole, non è un ministero. Ma ti può aiutare con la

documentazione, a compilare i moduli, e a risolvere i problemi di lavoro ma non può infrangere la legge … P69:

MR13_FILCAMS.txt - 69:5 (190:202) (Super)

La terza criticità specifica individuata dagli intervistati è quella relativa al reclutamento frenato. Si tratta

indubbiamente della rilevazione del problema della persistente non proporzione tra il numero di iscritti

immigrati e il numero di immigrati in ruoli da delegato o da funzionario sindacale. Ma a ben vedere più che

ad una questione quantitativa gli intervistati sembrano riferirsi criticamente a questioni relative alla

gestione che l’organizzazione sindacale fa dei delegati e dei funzionari immigrati. La critica, cioè, sembra

essere declinata in termini di mancata valorizzazione delle specifiche competenze e capacità degli immigrati

all’interno dell’organizzazione e alla gestione stereotipata delle diversità presenti.

… Non abbiamo funzionari immigrati, abbiamo chiesto di aumentare i membri. Noi delegati stranieri sappiamo meglio

i problemi. Servono più delegati stranieri … P 2: MM02_FILLEA.txt - 2:5 (113:114) (Super)

… Io volevo aggiungere che gli stessi superiori devono pensare a formare i delegati sindacali, ad avere qualche

funzionario straniero immigrato perché sono loro che conoscono meglio i loro problemi e impegnarsi di più sulla

cultura degli stranieri, perché conoscere la cultura aiuta di più ad avvicinare quelle persone … P15: PT07_FLAI.txt - 15:8

(75:77) (Super)

… Ci deve essere un investimento maggiore e questo si collega con il protagonismo anche degli immigrati. Dal

momento in cui tu cominci ad allargare la sfera su funzionari e dirigenti anche immigrati ecco che dall’altra parte i

lavoratori magari vedono una categoria aperta anche su questa tematica al 100%. Ma se ti limiti, il problema della

CGIL c’è questo dibattito interno che va fatto un investimento su delegati e funzionari immigrati … P57: VA19

FILLEA.txt - 57:5 (218:226) (Super)

… far ‘entrare’ qualche rappresentate degli immigrati … sì, anche dentro la CGIL ma più in generale in Italia.

L’opportunità che non viene data all’immigrato è questa qui: bisogna portare l’immigrato a un livello più alto, nella

CGIL ma anche in parlamento perché a volte all’immigrato non viene dato un valore ‘culturale’ per poter rappresentare

ma prima di dire certe cose bisogna anche provare, dare la possibilità e provare a vedere cosa l’immigrato può fare …

P69: MR13_FILCAMS.txt - 69:6 (234:245) (Super)

Infine, la quarta criticità specifica individuata dagli intervistati è quella relativa alla formazione, la quale è

considerata necessaria per permettere agli immigrati di potere intraprendere ruoli di responsabilità a vario

livello all’intero dell’organizzazione sindacale.

… Il limite sono quelli normali: la lingua, ad esempio, la mancanza di una memoria storica. Nel senso che io porto la

storia del mio Paese, per capire cos'è successo qua: lo statuto del lavoratore, il problema della FIAT degli anni '80,

quello che era successo prima, il dopoguerra ... tutto quello l'ho imparato per curiosità etc. però è un qualcosa che ti

manca, cominciare a parlare ed esprimere un'idea se non conosci la storia del Paese è difficile. Per di più puoi sbagliare

7 su 10. Puoi dare un'impressione, ma non puoi sapere una cosa che non conosci. Allora, per chi arriva, se non ha una

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curiosità personale o qualcuno che abbia la pazienza, come ho avuto io anche, di dire certe cose, certo è difficile … P13:

PT05_FIOM.txt - 13:9 (149:155) (Super)

… Allora, soprattutto se il sindacato se potesse organizzare, quello che penso io, un corso informatico, non lo so se ci

sia, non ho conoscenza, quindi, sento dire. Un corso di formazione sul mondo del lavoro. Per esempio, la sicurezza, che

viene prima di tutto, il secondo dei contratti, la legge, e diritti e doveri anche … P19: PT11_FIOM.txt - 19:7 (118:120)

(Super)

… stranieri secondo me portano novità, nel senso che portano nuovi iscritti e roba del genere, quindi devono avere tutti

gli strumenti necessari per andare avanti attraverso la formazione e tante cose, perché si è sempre parlato della

formazione, ma da sette otto anni in qua ne facciamo poca, oppure magari si fa una formazione che non è utile, quindi

bisogna guardare esattamente di che tipo di formazione un delegato ha bisogno … P22: PT14_FIOM.txt - 22:11

(186:189) (Super)

… Quello che aggiungo, abbiamo già fatto anche altri passaggi, ma, per i lavoratori stranieri, io penso che sarebbero

importanti corsi di formazione. Abbiamo fatto non tutti i punti, abbiamo fatto qualche punto, potevamo anche ripeterli

per sapere di più , tutto qua … P35: PT27_FILCAMS.txt - 35:3 (91:93) (Super)

… La cosa principale è avere la sicurezza e l’organizzazione sul lavoro ma anche avere più iscritti, diciamo fargli una

piccola formazione … perché una volta che viene un albanese a spiegare … non tutti parlano il cinese o la lingua araba.

E spiegandogli per bene cosa vuol dire il sindacato, diciamo dei beni che ci porta … Così noi abbiamo più iscritti e

abbiamo più la possibilità di fare formazione, tipo degli altri servizi che sono più completi, più organizzati verso ogni

esigenza di ognuno, in generale, per essere sempre disponibili… tutt’ora siamo disponibili però … P41: VA03 FLAI.txt -

41:5 (187:196) (Super)

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