da assisi al mondo. storie e riflessioni del primo secolo francescano, seconda parte

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© 2010, Il Pozzo di Giacobbe

Corso Vittorio Emanuele, 32/34 - 91100 TrapaniTel./fax +39 923 [email protected]

ISBN 978-88-6124-152-7

Copertina: Cristina MartinicoImpaginazione: Modo - Debora MarchingiglioStampa: Litotipografia Abate Michele - Paceco (TP)

CARATTERISTICHEQuesto libro è composto in New Aster, corpo 10,5; è stampato su Palatina da 100 gr/m2 delle Cartiere Fabriano; le segnature sono piegate a sedicesimo - formato rifilato 15,00x21,00 cm - con legatura in brossura e cucitura a filo refe; la copertina è stampata su cartoncino Corolla Damasco da 300 gr/m2 delle Cartiere Fedrigoni.

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Da Assisi al mondo.Storie e riflessioni dei frati del primo secolo francescano.

Premessa

La storia francescana si è autocompresa ed autoespressa fin dagli anni immediatamente successivi alla morte di san France-sco d’Assisi (1226), a partire dalle agiografie del fondatore scritte da membri dell’Ordine (se ne contano almeno sei dal 1229 al 1247), che sono necessariamente anche storia dei primi due decenni dei Frati Minori. Ma già prima della metà del sec. XIII si hanno opere di carattere più ampio, nelle quali, strettamente legata alla neces-sità di tracciare una storia dell’Ordine (secondo schemi agiografi-ci e simbolici), vi è una meditata riflessione rispetto alle origini, in-terpretate come punto di partenza piccolo ed umile di uno sviluppo provvidenziale oppure come momento normativo dei valori costi-tutivi dell’esperienza francescana.

Le opere presentate in questo volume si muovono in questi am-biti, iniziando dal De inceptione Ordinis di fra Giovanni da Perugia, che riporta il punto di vista dei primi compagni di Francesco, e con-tinuando con due testi di carattere settoriale, che raccontano l’ar-rivo e lo sviluppo dei Frati Minori l’uno in Germania (Giordano da Giano) e l’altro in Inghilterra (Tommaso da Eccleston), mentre al-tri due si volgono all’Ordine in maniera molto diversa tra loro, il Sa-crum commercium con un racconto allegorico sulla ricerca della Si-gnora Povertà da parte di Francesco e dei primi compagni, gli Ac-tus – ormai nel Trecento – tracciando, spesso con colori leggendari, un quadro dei primi tempi francescani, una rappresentazione cora-le che non si limita a Francesco ma si estende a vari dei suoi socii.

Da tutte queste opere emerge per i primi tempi francescani – in Umbria, in Italia centrale, in Germania ed in Inghilterra – una vi-ta vissuta gioiosamente in povertà, in comunità, in preghiera, ma emergono anche, senza nascondere momenti di contrasto e di diffi-coltà, i diversi atteggiamenti degli autori rispetto l’evoluzione fran-cescana, con l’affermazione dell’Ordine nella chiesa e nella società.

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Seconda parte

Sacrum commercium sancti Francisci cum domina Paupertate e Actus beati Francisci et sociorum eius

di Alfonso Marini

L’analisi degli scritti francescani nei quali è presente in vario modo l’origine dell’Ordine comprende, in questo volume, anche il Sacrum commercium e gli Actus. Si tratta però di due fonti molto diverse tra di loro, per genere letterario e per contesto storico.

Come genere letterario, il Sacrum commercium1 è un’opera uni-taria e un “apologo allegorico”, di autore unico e colto (benché per noi anonimo). Gli Actus2 sono opera di più mani – anche se cono-

1 Vi sono due edizioni critiche: Sacrum commercium S. Francisci cum domina Paupertate, Ad Claras Aquas (Firenze) 1929; Stefano Brufani, Sacrum commercium sancti Francisci cum domina Paupertate, S. Maria degli Angeli-Assisi, Porziuncola, 1990. Quest’ultima è riprodotta in Fontes franciscani, a cura di Enrico Menestò e Ste-fano Brufani et alii, S. Maria degli Angeli-Assisi, Porziuncola, 1995, pp. 1705-1731, con introduzione dello stesso Brufani, pp. 1693-1703. L’opera è presente in traduzio-ne italiana nelle varie edizioni delle Fonti francescane: Fonti francescane. Scritti e bio-grafie di san Francesco d’Assisi. Cronache e altre testimonianze del primo secolo france-scano. Scritti e biografie di santa Chiara d’Assisi, Assisi 1977 (e successive ristampe), pp. 1625-1666, trad. it. di Carlo Paolazzi (d’ora in poi Fonti francescane1); Fonti fran-cescane. Editio minor. Scritti e biografie di san Francesco d’Assisi. Cronache e altre te-stimonianze del primo secolo francescano. Scritti e biografie di santa Chiara d’Assisi, Milano-Padova-Assisi, Editrici Francescane, 1986 (e successive ristampe), pp. 1027-1064, sempre nella trad. it. di Paolazzi; Fonti francescane. Nuova edizione. Scritti e biografie di san Francesco d’Assisi. Cronache e altre testimonianze del primo secolo francescano. Scritti e biografie di santa Chiara d’Assisi. Testi normativi dell’Ordine Francescano Secolare, a cura di Ernesto Caroli, Padova, Editrici Francescane, 2004, pp. 1285-1314, trad. it. riveduta dallo stesso Paolazzi (d’ora in poi Fonti francescane2). La traduzione di Paolazzi riprende l’editio critica latina Quaracchi 1929, divisa in 69 capitoli, invece di quella Brufani in 31 capitoli, benché quest’ultima fosse intervenu-ta nel 1990 tra la prima e la seconda ed. delle Fonti francescane. Per facilitare la con-sultazione, mi servirò anch’io della suddivisione in capitoli.dell’edizione Quaracchi 1929, mentre in nota rinvierò al testo critico del 1990 (d’ora in poi: Brufani).2 Dopo l’edizione di Paul Sabatier, Actus beati Francisci et sociorum eius, Paris 1902, si ha quella (non esente da problemi benché più recente) di Cambell, Actus

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sciamo il nome dell’autore “principale” – che presenta vari raccon-ti relativi a più frati, in chiave spesso miracolistica o meravigliosa.

Il contesto storico del Sacrum commercium è variamente indi-viduabile all’interno di una trentina d’anni, ma più o meno è lo stes-so delle opere trattate in precedenza da Marco Bartoli, tra gli an-ni precedenti il 1240 del De inceptione e gli anni 50/60 del Duecen-to della Chronica di Giordano da Giano e del De adventu fratrum mi-norum in Angliam di Tommaso da Eccleston3. Per gli Actus si de-ve compiere un salto agli anni attorno al 1330, un salto cronologi-co importante non soltanto per il lasso di tempo. È in atto lo scontro “mortale” fra spirituali, comunità e papato, cominciano a compari-re i fraticelli ed è ancora viva la polemica delle autorità minoritiche con Giovanni XXII sulla povertà di Cristo e degli apostoli, cioè sul proprium della povertà francescana.

Il modo con cui le due opere guardano le origini francescane è diverso per stile, contenuto del racconto, episodi particolari, ecc., ma non diverge molto nell’atteggiamento ideale o ideologico, in qualche modo anche spirituale, poiché entrambe pongono le origi-ni francescane e soprattutto la povertà come punto di riferimento normativo per i Frati Minori. Parlando di punto di riferimento nor-mativo escludo le categorie della “nostalgia”, del “ritorno indietro”, della “posizione antistorica”, come d’altronde mostrerà la vicenda dell’Osservanza dalla metà del Trecento, che riuscirà vincente nel Quattrocento e nel primo Cinquecento. Sono posizioni spesso con-fessionali quelle che esprimono giudizi negativi sui “ribelli” spiritua-li e fraticelli ed elogiativi degli osservanti, i quali si nutrivano inve-ce non solo di analoghi riferimenti alle origini dell’Ordine, ma anche degli stessi autori, come Pietro di Giovanni Olivi e soprattutto An-gelo Clareno, che è difficile non considerare uno “spirituale ribelle”.

La differenza tra le due opere – a mio avviso – per quanto ri-guarda le origini è che la loro idealizzazione resta su un piano ide-ologico-normativo nel Sacrum commercium, mentre negli Actus è fortemente presente, con la visione agiografica, la mitizzazione di Francesco e del gruppo primitivo dei frati.

beati Francisci et sociorum eius. Nuova edizione postuma di Jacques Cambell con te-sto dei Fioretti a fronte, a cura di Marino Bigaroni e Giovanni Boccali, Assisi-Santa Maria degli Angeli, Porziuncola, 1988. Quest’ultima è riprodotta in Fontes franci-scani, pp. 2085-2221, con introduzione di E. Menestò, pp. 2057-2084. Gli Actus non sono presenti in alcuna edizione delle Fonti francescane.3 Per queste tre opere rinvio alla sezione di questo volume curata da Marco Bartoli.

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1. Sacrum commercium

1.1 Genere letterario, datazione, attribuzione.

Si tratta di un’opera che ho già presentato nell’ambito di una settimana di studi4, insieme a Marco Bartoli, che intitolò la sua par-te Il “gioco” del Sacrum Commercium5. Cosa può significare questo ludus6, in quale ambito va collocato? Cos’è il Sacrum commercium, una cronaca? Un poema in prosa? Una parabola? Una lettura stori-co-teologica del francescanesimo o della storia della Chiesa? Defi-nizioni simili sono state date dai non pochi che si sono avvicinati a questo testo affascinante ma non facilmente circoscrivibile in una spiegazione sintetica7. Innanzitutto, faccio propria la presentazio-ne del Sacrum commercium data da Bartoli:

Il Sacrum Commercium è veramente un’opera di difficile catalogazio-ne da un punto di vista letterario: opera teologica, senza dubbio, è pe-rò anche un’opera squisitamente poetica, costruita sul modello dei ro-manzi cortesi da una parte e su quello della poesia biblica dall’altra.

4 Settimana francescana di studio, Calambrone (Pisa), 5-11 settembre 1999, sul te-ma Sacrum commercium. Le lezioni di questa settimana sono state pubblicate in Al-fonso Marini, Marco Bartoli, Il Sacrum commercium del beato Francesco con madon-na Povertà, Vicenza, L.I.E.F., 2003. In questa sede dovrò spesso ripetermi o rinviare al mio studio del 2003 nel presentare le mie posizioni, mentre sul piano storiografico do-po quella data si sono registrati nuovi interventi nel dibattito. Terrò ovviamente conto di tali interventi recenti, ma anche di altri non segnalati nel mio studio precedente.5 M. Bartoli, Il “gioco” del Sacrum Commercium, in A. Marini, M. Bartoli, Il Sa-crum commercium, pp. 63-147.6 Nel senso alto della parola, quello di Johan Huizinga, Homo ludens, Torino, Einaudi, 1946 (1973 Nuova Einaudi Universale 146, con saggio introduttivo di Um-berto Eco; ed. or. in tedesco Amsterdam 1939). Ludus può indicare anche una rap-presentazione teatrale, come pure è stato visto il Sacrum commercium.7 A. Marini, Valori evangelici e senso storico nel Sacrum commercium sancti Francisci cum domina Paupertate, in A. Marini, M. Bartoli, Il Sacrum commer-cium, pp. 11-61. Per una trattazione completa degli studi, dei manoscritti e delle edizioni a stampa si veda Brufani, Introduzione, pp. 3-18.

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In realtà il Sacrum Commercium non è propriamente né un trattato te-ologico, né un romanzo cortese, anche se è un po’ l’uno e un po’ l’altro. Forse si potrebbe dire che il Commercium altro non è che una parabo-la, perché proprio le parabole evangeliche sembrano essere il genere let-terario che ha più punti in comune con esso. Che cos’è infatti una para-bola? Secondo una bella definizione di Léon-Dufour “la parola greca parabolè (para e ballo: mettere in parallelo) designa non soltanto un pa-ragone sviluppato, ma anche un enigma, un paragone allegorizzante, il cui scopo non è semplicemente quello di fornire una spiegazione, ma quello di invitare a cercare un significato”8. Proprio per questa sua na-tura, non si può capire una parabola semplicemente mettendosi davan-ti al testo, per capirla occorre entrarci dentro, lasciarsi prendere dal gio-co dell’enigma. Esattamente la stessa cosa accade a chi legga il Sacrum Commercium: se resterà davanti al testo potrà forse gustarne la poesia e l’eleganza, ma non ne comprenderà a pieno il significato. Per gustare a fondo il Commercium occorre entrarci dentro, lasciandosi condurre per mano dal testo stesso, accettando di stare alle regole del gioco9.

Restando ancora al genere letterario o al contenuto: il testo del Sacrum commercium è storico o allegorico? Mistico o teologi-co? Escluderei di parlare di mistica, anche perché il termine è po-livalente ed oggi a rischio di ambiguità. Accettando il rinvio di Bar-toli al genere parabolico, ma restando più prettamente agli sche-mi duecenteschi, il Sacrum commercium è opera allegorica. La de-finizione retorica di allegoria è “metafora continuata” (il “paragone sviluppato” indicato da Léon-Dufour) e tutto nell’opera è metafo-ra: i personaggi che Francesco incontra, le personificazioni dei vizi, che parlano ed agiscono, e soprattutto la signora Povertà (domina Paupertas)10. Tuttavia non c’è alcuna contrapposizione tra allego-ria e storia: «il Sacrum Commercium è denso di storia»11; senza rac-contare fatti storici come una cronaca, «ha un’ampia visione del-la storia della Chiesa, anzi, più in generale, della storia della salvez-za. Esprime un giudizio di valore sulla Chiesa, sulle esperienze pre-cedenti al francescanesimo ed anche sul francescanesimo duecen-

8 Xavier Léon-Dufour, Parabole, in Dictionnaire du Nouveau Testament, Paris 19752, p. 406 (il rinvio è parte del testo di Bartoli).9 M. Bartoli, Il “gioco” del Sacrum Commercium, pp. 65-66.10 Cfr. Marini, Valori evangelici e senso storico, p. 12.11 Ibidem.

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tesco... Di questo offre sia le motivazioni iniziali, sia un quadro del-lo stile di vita della prima comunità, certamente idealizzato – se non mitizzato –, ma molto efficace»12 (cap. 59-63).

Il titolo è traducibile con difficoltà in italiano. Va subito esclu-so quello di Mistiche nozze13, perché sacrum va semplicemente tra-dotto letteralmente come sacro o santo e nozze non corrisponde af-fatto al tipo di rapporto tra Francesco e la Povertà; questa è presen-tata nell’opera come sposa di Cristo14, mai di Francesco. Il santo ed i suoi compagni hanno con lei un rapporto di tipo cortese, come quel-lo tra il trovatore o il cavaliere e la dama del suo signore, rappor-to di ammirazione, per il quale la dama, la madonna, veniva canta-ta ed elogiata15; va dunque sottolineato il fatto che non solo France-sco, ma tutto il gruppo dei suoi compagni, come cavalieri di Cristo, ha un simile tipo di rapporto con la signora Povertà. In quest’ottica nemmeno unione va bene come traduzione. Difficile quindi tradur-

12 Ibidem.13 Umberto Cosmo, Le mistiche nozze di Frate Francesco con Madonna Povertà, in «Giornale dantesco» 6 (1898), pp. 49-82, 97-118; P. Sabatier, Les noces mystiques de Saint François avec la Pauvreté. Introduzione a The Converse of Francis and his Sons with Holy Poverty, ed. latina e traduzione inglese di Canon Rawnsley, Londra 1904, pp. III-XIII; Ermenegildo Pistelli, Le sacre nozze del beato Francesco con ma-donna Povertà, Milano 1963, con Prologo e nota conclusiva di Nello Vian. Il termi-ne si trova spesso usato anche in storici nostri contemporanei, cfr. Franco Cardini, Francesco d’Assisi, Milano, Mondadori, 1989, p. 161.14 Cristo ama Povertà «speciali dilectione», cap. 2 (Brufani, Prologus, 4), la cin-ge della corona nuziale, cap. 18 (Brufani, cap. 5, 12), a lei sola «in mundo adhe-rens», cap. 19 (Brufani, cap. 6, 1), e per Povertà Cristo è colui «cui sum desponsata in celis», cap. 64 (Brufani, cap. 31, 4).15 Auspicius Van Corstanje, Un peuple de Pèlerins, Paris 1964. La citazione è dall’ed. italiana I poveri, popolo eletto, Milano 1970, p. 142. Mi sembra però da re-spingere – innanzitutto perché non corretta filologicamente – la traduzione di com-mercium con alleanza, proposta da questo stesso autore sulla base di analogie bibli-co-teologiche; essa è stata ripresa da Kajetan Esser-Englebert Grau, Der Bund des heiligen Franziskus mit Herrin Armut, Werl/Westfalen 1966, col termine tedesco Bund equivalente ad alleanza; questa traduzione è stata adottata, come secondo ti-tolo, anche nelle Fonti francescane (1a ed. p. 1625: L’Alleanza del beato Francesco con madonna Povertà, nuova ed. p. 1283: L’Alleanza di santo Francesco con madonna Povertà). Si veda anche F. Cardini, L’avventura di un cavaliere di Cristo. Appunti per uno studio sulla cavalleria nella spiritualità di S. Francesco, in «Studi francescani» 73 (1976), pp. 127-198. Tra i primi a sottolineare l’aspetto cortese nella letteratura francescana è Ilarino Felder, Der Christusritter, Zürich 1941 (trad. it. San Francesco cavaliere di Cristo, Milano 1950).

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re commercium, che in latino indica una relazione, dei rapporti abi-tuali, che possono essere di carattere vario, dal commerciale (italia-no commercio) all’erotico (italiano un po’ desueto commercio carna-le). Un rapporto dunque, in questo caso spirituale, di dedizione “feu-dale”, cortese, di amore intimo. Tuttavia non è certo bello dal pun-to di vista del linguaggio intitolare l’opera Il sacro rapporto (o Il rap-porto santo), per cui è meglio lasciare il titolo in latino, come si è fat-to nelle Fonti francescane, sia nella prima sia nella seconda edizione.

Il Sacrum commercium è sicuramente del secolo XIII, ma vi è discussione su quale parte di esso16; almeno sei codici riportano la precisa indicazione cronologica del luglio 1227, ma altrettanti non la riportano, quindi si può discutere se tale data sia stata aggiunta in un codice e riportata dai manoscritti che da esso dipendono (una “famiglia”) oppure tolta nel codice capostipite (antigrafo) dell’altra famiglia e che per questo risulti assente in tutti i manoscritti di que-sto gruppo17. Il Sacrum commercium è anonimo e ciò ha comporta-to vari tentativi di attribuzione, anche sulla base di quelle presen-ti in alcuni manoscritti dell’opera: Giovanni da Parma (codice del 1405, ma anche la Chronica XXIV Generalium del 1370), sant’An-tonio da Padova (due codici, uno del 1384-85, l’altro del 1507), Cre-scenzio da Iesi (codice di inizio sec. XVI). La maggioranza degli sto-rici negli ultimi anni tra secolo XX e XXI lo ha posto dopo la me-tà del secolo XIII, nel momento delle dispute sulla povertà tra men-dicanti e secolari, come opera scritta in difesa della povertà france-scana; alcuni vi vedono anche lo scontro interno all’Ordine mino-ritico tra frati rigoristi e la comunità, anch’esso della seconda metà del secolo XIII. In quest’ambito cronologico c’è chi dà credito all’at-tribuzione dell’opera a Giovanni da Parma, ministro generale ne-gli anni 1247-1257 (quindi avrebbe potuto scrivere in difesa del-la povertà mendicante), rigorista, che dovette subire anche un’in-chiesta, se non un processo, dopo aver lasciato la carica, morto nel 1289 (quindi avrebbe potuto scrivere in polemica contro il lassismo dell’Ordine). Meno credito hanno le attribuzioni a sant’Antonio da Padova, morto nel 1231, ed a Crescenzio da Iesi, ministro generale negli anni 1244-1247. In ambito di studiosi moderni, senza riscon-

16 Cfr. Marini, Valori evangelici e senso storico, pp. 21-33.17 Ibidem, pp. 25-26.

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tro nei manoscritti, si ha anche l’attribuzione a Cesario da Spira18 o a Giovanni Parenti, ministro generale dal 1227 al 1232, conforme-mente con la data di composizione del 1227, ritenendo ipotetica-mente un errore di amanuense Iohannes Parmens(is) al posto di Io-hannes Parens o Parentis19. Paul Sabatier accettò la datazione pre-coce del 1227, ma vide nell’opera già il riflesso dello scontro interno tra zelatori della povertà (con frate Leone) e rilassati con frate Elia scoppiato alla morte di san Francesco (1226); contro questi ultimi avrebbe scritto – anche a suo avviso – il nuovo ministro generale Giovanni Parenti, eletto al posto di Elia20. Felice Accrocca propone un anonimo «teologo... dell’entourage di Giovanni da Parma»21.

La prima edizione critica, quella dei Padri di Quaracchi del 1229, accetta la datazione del 1227, esclude la possibilità di indivi-duare un autore e vede nell’opera la polemica contro la tradizione ecclesiastica prefrancescana22. L’ultimo editore, Stefano Brufani, pone l’opera, anonima, tra il 1250 e il 1270, «nel contesto della prima fase – quella più aspra – del conflitto tra mendicanti e secolari»23. La maggioranza degli studiosi del secolo XX, fino alla sua seconda me-tà inoltrata, era a favore della datazione precoce: oltre ai già ricor-

18 Umberto Cosmo, Il primo libro francescano, in Idem, Con Madonna Povertà. Studi francescani, Bari 1940, p. 54 (tutto pp. 33-58).19 Cosa possibile, in via di pura ipotesi, soprattutto per il fatto che nella scrittura venivano usati segni abbreviativi, per cui Parmensis sarebbe potuto venir fuori solo aggiungendo una lineetta sopra la r. Per questa attribuzione v. Edouard D’Alençon (a cura di), Sacrum commercium beati Francisci cum domina Paupertate, in «Ana-lecta Ordinis Minorum Capuccinorum» 15 (1899), pp. 158-160, 186-189, 212-216 (ove si trovano la datazione e l’attribuzione), 249-252, 276-287, 309-317; ibidem 16 (1900), pp. 18-30, 50-57, 90-93, 109-117; anche in volume a parte: Sacrum commer-cium beati Francisci cum domina Paupertate, opus anno Domini 1227 conscriptum ad fidem variorum codicum MS., adiuncta versione italica inedita, Roma 1900.20 P. Sabatier, Les noces mystiques, p. IV.21 F. Accrocca, Introduzione a Sezione seconda/Parte seconda, Tra storia e teolo-gia della storia, in Fonti francescane2, p. 1277 (tutta pp. 1275-82). Stanislao da Cam-pagnola aveva ritenuto il Sacrum commercium «opera di un anonimo che scriveva tra il 1260-1270», Introduzione a Sezione seconda, Biografie di Francesco d’Assisi, in Fonti francescane1, p. 245 (tutta pp. 211-393).22 Sacrum commercium S. Francisci cum domina Paupertate, ed. 1929, p. 30.23 Brufani, p. 41; cfr. Idem, Il Sacrum commercium: l’identità minoritica del mito delle origini, in Dalla “sequela Christi” di Francesco d’Assisi all’apologia della povertà. Atti del XVIII Convegno internazionale della Società Internazionale di Studi Fran-cescani (Assisi, 18-20 ottobre 1990), Spoleto 1992, pp. 216-218 (tutto pp. 205-222); Id., Introduzione al Sacrum commercium, in Fontes franciscani, p. 1700.

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dati Edouard D’Alençon e Paul Sabatier: Umberto Cosmo24, Raoul Manselli25, Kajetan Esser26, Théophile Desbonnets27. Seguendo l’ela-stica datazione di quest’ultimo, io sono convinto che l’opera vada posta nel secondo quarto del secolo XIII28. Fino a pochissimo tempo fa la mia posizione, espressa nel 2003, anche se confortata dall’opi-nione dei molti eminenti storici francescanisti del Novecento appe-na ricordati, risultava quasi isolata tra gli studiosi contemporanei. Mentre in precedenza si erano avuti essenzialmente due pareri a fa-vore della datazione recenziore, Livarius Oliger29 e Nello Vian30, at-torno all’edizione di Brufani tale datazione era prevalsa nettamente: Stanislao da Campagnola31, Roberto Rusconi (anche se, indicando «i decenni centrali del secolo XIII» non sembra escludere gli anni at-torno al 1240) 32, Felice Accrocca33.

24 U. Cosmo, Il primo libro francescano, pp. 33-58.25 R. Manselli, San Francesco e Madonna Povertà, Firenze 1953, p. 32. Manselli ribadisce la datazione in Evangelismo e povertà, in Idem, Il secolo XII: religione po-polare ed eresia, Roma, Jouvence, 1983, p. 47: «Una delle più singolari operette del-la prima letteratura francescana»; lo studio era già stato pubblicato in Povertà e ric-chezza nella spiritualità dei secoli XI e XII. Atti dell’VIII convegno del Centro di studi sulla spiritualità medievale (Todi 15-18 ottobre 1967), Todi 1969, pp. 9-41.26 K. Esser, Untersuchungen zum Sacrum commercium beati Francisci cum do-mina Paupertate, in Miscellanea Melchor de Pobladura, I, Roma 1964, pp. 1-33; da-tazione ribadita in K. Esser, E. Grau, Der Bund des heiligen Franziskus mit Herrin Armut, pp. 82.27 Iintroduction a Sacrum commercium, in Saint François d’Assise. Documents, écrits et premières biographies, a cura di Th. Desbonnets-Damien Vorreux, Paris 1968, p. 1390.28 Marini, Valori evangelici e senso storico, pp. 46-61.29 L. Oliger, De sigillo fr. Angeli Clareni, in «Antonianum» 12 (1937) 62 (tutto l’art. 61-64), in modo estremamente sintetico: «tractatus iste allegoricus neque a. 1227 neque fini saeculi XIII est adscribendus, sed primis lustris alterius medii saeculi XIII, ob rationes quae hic exponere longum est», De sigillo.30 N. Vian, Nota conclusiva a E. Pistelli, Le sacre nozze, p. 70 (ma Vian si limita ad accettare la datazione di Oliger). 31 Stanilslao da Campagnola, Introduzione alla Sezione Seconda, Biografie di Francesco d’Assisi, p. 245.32 R. Rusconi, voce Francesco d’Assisi, in Dizionario biografico degli Italiani, 49, Roma 1997, pp. 664-678; a p. 675: «Una collocazione a parte compete al Sacrum commercium sancti Francisci cum domina Paupertate, un’allegoria in chiave corte-se della povertà minoritica, datata inverosimilmente in alcuni manoscritti al 1227, e da assegnare con maggiore plausibilità ai decenni centrali del secolo XIII».33 F. Accrocca, Introduzione alla Parte seconda, Sezione seconda, Tra storia e teo-logia della storia, pp. 1275-76.

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La situazione – comunque fluida anche in questo periodo se non si considera soltanto il panorama italiano, poiché, ad es., attorno al 1990 si era espresso direttamente per il 1227 David Flood34 – si trova ad essere mutata negli ultimissimi tempi, dato che André Vauchez, nella sua biografia di Francesco, pone il Sacrum commercium «negli ultimi anni del generalato di Elia, prima del 1239, poiché il testo fa al-lusione sia alla moltiplicazione delle province, a cui il ministro in ef-fetti aveva proceduto per accrescere il proprio controllo sull’Ordine, sia alla sua indifferenza nei confronti delle questioni spirituali e del-la pietà»35. In tale contesto, Vauchez ripropone come autore Cesario da Spira, «che aveva aiutato Francesco nella redazione della prima regola, poiché le numerose citazioni o riferimenti biblici che vi si tro-vano sono pressappoco i medesimi che figurano nel “documento ba-se” del 122136. Cesario, feroce oppositore di Elia, l’avrebbe composto poco prima di morire, ossia tra il 1235 e il 1238»; quel Cesario che, poche righe sopra, si ricorda che fu imprigionato «e ammazzato dal suo carceriere nel 1238 o 1239»37. Dunque una posizione molto simi-

34 D. Flood, Poverty’s Condition. A Reading of the Sacrum commercium, Chicago s. a. (ma 1990); Flood ribadisce il 1227 in The Order’s Master Franciscan Institutions from 1226 to 1280, in Dalla «sequela Christi» di Francesco d’Assisi, pp. 47, 51-52, 65 (tutto l’art. pp. 41-78). L’autore non interloquisce con la posizione di Brufani, dato che l’ed. di quest’ultimo e l’intervento di Flood al convegno di Assisi sono entrambi del 1990. In questo convegno ci fu anche l’intervento di Brufani, Il Sacrum commer-cium, ma gli atti non riportano le discussioni. Questo panorama delle opinioni degli studiosi non ha pretese di completezza, soprattutto per il fatto che spesso tali opinio-ni sono riportate, a volte in poche righe, all’interno di studi che non riguardano in particolare il Sacrum commercium né le fonti francescane del sec. XIII; ad es. F. Car-dini, Francesco d’Assisi, p. 161, dedica alcune righe alla nostra opera nell’ambito del-la sua biografia del santo, affermando che essa è «di poco posteriore» alla Legenda Perusina (citata subito prima), quindi della metà del sec. XIII. Si può aggiungere che anche Carlo Paolazzi, nella Scheda introduttiva al Sacrum commercium, in Fonti francescane2, p. 1284, scrive che l’opera è «da collocare probabilmente nei primi de-cenni dopo la metà del secolo XIII». Si noti che nell’analoga scheda in Fonti france-scane1, p. 1630, Paolazzi non aveva indicato alcuna datazione.35 A. Vauchez, Francesco d’Assisi. Tra storia e memoria, Torino, Einaudi, 2010, p. 180 (ed. or. François d’Assise. Entre histoire et mémoire, Paris, Fayard, 2009).36 Si tratta delle motivazioni che spinsero Cosmo, Il primo libro francescano, a proporre proprio Cesario da Spira. Si consideri però che molte citazioni bibliche presenti nel Sacrum commercium corrispondendo a quelle della Regola (soprattut-to della non bullata), erano note a tutti i frati come particolarmente significative per l’esperienza francescana.37 A. Vauchez, Francesco d’Assisi, p. 180.

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le a quella di Paul Sabatier, salvo che nell’ipotesi sull’autore, ritenuto dal Sabatier Giovanni Parenti. In questa scia, Vauchez ritiene che la motivazione dell’opera risieda nello scontro interno all’Ordine fran-cescano sulla povertà, nella volontà quindi dei frati più vicini a Fran-cesco di preservarla rispetto alle innovazioni incipienti:

L’autore si lancia poi in un attacco infiammato contro i nuovi orien-tamenti dell’Ordine che ha rotto la “santa alleanza” conclusa da Fran-cesco con Povertà, assimilata all’impotenza del Cristo inchiodato sulla croce. Senza fare alcun nome – ma le allusioni sono trasparenti – viene sviluppata una critica velata della costruzione della basilica d’Assisi, la cui sontuosità mal s’accorda con “Povertà che vive sola e senza onore”38.

La datazione di Vauchez viene dunque a coincidere con quel-la da me proposta nel 2003; tuttavia non mi sembra che nel Sacrum commercium si individuino chiaramente la moltiplicazione del-le province francescane né la freddezza spirituale di Elia, né la co-struzione della basilica di S. Francesco in Assisi; tantomeno, in un contesto indiscutibilmente simbolico, si può concordare nell’inter-pretazione del colle sul quale, nel cap. 63, i frati portano Povertà mostrandole il mondo come loro chiostro: «senza dubbio il “colle del paradiso” su cui si ergeva la basilica di San Francesco»39. Infine, la proposta di Cesario da Spira è indubbiamente suggestiva e ben si adatta alle motivazioni a sostegno della datazione precoce, però non presenta alcuna prova, così come altre proposte di volta in vol-ta da vari studiosi. Stessa datazione e stesso autore sono indicati da Michael Cusato, come reazione critica agli avvenimenti nell’Ordine attorno al 1230, conclusioni di fatto accettate dal gruppo che ha da-to vita in Francia ad una nuova traduzione di fonti francescane, al quale è collegato lo stesso Vauchez40.

38 Ibidem, p. 181.39 Ibidem. Per la simbolica del monte – nella quale si può comprendere anche questo colle dal quale si vede un ampio orizzonte – v. Antonio Ciceri, Venite salia-mo il monte del Signore. La simbolica del monte nella narrazione “leggendaria” del pri-mitivo francescanesimo, in «Frate Francesco. Rivista di cultura francescana» 69, n. s. (2003), pp. 381-407.40 M. Cusato, Introduction al Sacrum commercium, in François d’Assise. Écrits, Vies, témoignages, sous la direction de Jacques Dalarun, vol. I, Paris 2010, pp. 845-859; l’opera (della quale erano stati pubblicati negli anni 2008-2009 alcuni singoli

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Se l’individuazione dell’autore del Sacrum commercium in una precisa persona non è di fondamentale importanza, non è invece in-differente la datazione dell’opera. Se essa si pone successivamente al 1250, in periodo bonaventuriano, le origini francescane diventano un tempo non lontanissimo ma ormai passato, soprattutto nell’au-tocomprensione della maggioranza dei frati, dopo l’avvenuta cleri-calizzazione e dopo la normalizzazione apportata da Bonaventura anche con l’adozione della sua Legenda maior come unica agiografia di san Francesco. Se essa si pone invece nel secondo quarto del Due-cento, le origini sono ancora vive o almeno molti frati – ad es. i pos-sibili autori proposti per questo periodo – vivono in continuità con esse. Nell’uno e nell’altro caso, comunque, ci sono conflitti all’inter-no dell’Ordine, riassumibili per il primo periodo nella Quo elongati del 1230 e nel successivo generalato di Elia, per il secondo con la cri-si dei frati gioachimiti, la deposizione di Giovanni da Parma, le resi-stenze a Bonaventura, l’opera di frate Leone (morto nel 1271) di con-servazione delle memorie di Francesco. In tutti e due i periodi è im-portante il dibattito sulla povertà, sia all’interno dell’Ordine, sia con il clero secolare, precocemente irritato per la diffusione ed i privilegi degli Ordini mendicanti, come provano le bolle papali in loro difesa, basti per tutte la Nimis iniqua di Gregorio IX del 1231.

Quali che possano essere datazioni e motivazioni dell’opera, il Sacrum commercium è prevalentemente una rivendicazione del-la novità del francescanesimo rispetto allo sviluppo della Chiesa ed in particolare agli ordini monastici, nella riscoperta della centralità della povertà come valore evangelico. Domina Paupertas è la sposa di Cristo, lei si accompagnava ad Adamo nell’Eden, lei accetta Fran-cesco ed i suoi primi frati come suoi compagni.

1.2 L’interpretazione della storia

Nel Sacrum commercium è delineata una storia di tutto il pe-riodo precedente al francescanesimo41, da Adamo a Francesco, at-traverso la storia della povertà, o meglio di domina (“signora”, tra-

volumi) è in 2 voll. ed ha la prefazione di A. Vauchez, gli editori sono le Éditions du Cerf e le Éditions Franciscaines.41 Da qui in avanti, per quanto riguarda il Sacrum commercium, continuerò a servirmi del mio lavoro Valori evangelici e senso storico, anche senza citare tra vir-golette, sia per non appesantire il testo, sia per mutare con libertà quanto va modi-

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dizionalmente tradotto “madonna”) Povertà. La storia è tracciata nei cap. 25-52, quindi per ventotto capitoli sui sessantanove com-plessivi. Ma c’è anche la storia “contemporanea”, sia quella della ri-cerca della Povertà da parte di Francesco, le cui parole non sono comprese da nessuno (cap. 5-11), sia quella della primitiva comu-nità francescana con la sua immagine idealizzata, verso la parte fi-nale dell’opera (cap. 59-63). In totale dunque la riflessione storica prende una gran parte del Sacrum commercium, quaranta capito-li su sessantanove. Non è possibile citare troppo il testo né darne un riassunto esteso. È bene però aver presente il piano dell’opera.

I cap. 1-4 costituiscono una sorta di prologo, in lode della po-vertà, che «giustamente per merito e per nome è posta per prima tra le virtù evangeliche»42 (cap. 1), fu amata particolarmente dal Signo-re Gesù, che dà la beatitudine subito, non in promessa, solo ai po-veri in spirito, perché di essi è il regno dei cieli (Matteo 5, 2; cap. 2). Quindi «il regno dei cieli è di quelli che per propria volontà non pos-siedono niente di terreno» (cap. 3)43. Francesco, «come vero imita-tore e discepolo del Salvatore» si mette dunque in cerca di «colei al-la quale il Signore consegnò le chiavi del regno dei cieli» (cap. 4)44.

Francesco va dunque in cerca di Povertà (cap. 5-11) senza tro-vare nessuno che sappia indicargliela, perché «in quel tempo i figli di Adamo non avevano voce né sensi per volere discorrere l’un l’al-tro o parlare della povertà. La odiavano fortemente, come fanno an-che oggi...» (cap. 5)45. Infine due vecchi gli dicono che è salita su un monte alto, delusa per i tanti tradimenti, e lo incitano a spogliarsi di ogni peso spirituale ed a prendere con sé dei «compagni fedeli» (cap. 10-11).

ficato, integrato, riassunto. I testi presenti in quel lavoro in latino sono tradotti in italiano da me.42 «Inter alias virtutes evangelicas loco merito et nomine principatur», Brufani, Prologus, 2.43 «eorum est regnum celorum qui nihil possident de terreno voluntate propria», ibidem, 7.44 «Propterea beatus Franciscus, tamquam verus imitator et discipulus Salvato-ris,... nullam corporis declinans angustiam, si tandem optio sibi daretur ut posset pervenire ad eam, cui Dominus tradidit claves regni celorum (Matteo 16, 19)», ibi-dem, 11-12.45 «Non erat in die illa filiis Adam vox neque sensus, ut de paupertate vellent conferre ad invicem aut loqui. Oderant eam vehementer sicut et hodie faciunt...», ibidem, cap. 1, 4-5.

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Trovati i compagni, Francesco sale con essi il monte e Povertà, che li scorge, si meraviglia della loro agile sveltezza, li accoglie con la sua nudità e chiede loro se vadano in cerca proprio di lei (cap. 14-15). Tutto il gruppo tesse le lodi di Povertà, della cui bellezza si in-namorò «il Figlio dell’Altissimo Padre», e concludono:

Ti scongiuriamo per lui e per causa di lui, signora, non disprezzare le no-stre suppliche nelle necessità, ma liberaci sempre dai pericoli (cap. 22)46.

Povertà ritiene che essi debbano conoscere la storia: «Deside-ro... ritessere per voi la lunga ma non inutile storia della mia condi-zione, perché impariate come dobbiate camminare e piacere a Dio, evitando il biasimo di guardare indietro, voi che volete mettere ma-no all’aratro» (cap. 24)47.

La storia si delinea quindi nei cap. 25-52, in due blocchi. Il primo va dal cap. 25 al 37. I cap. 25-30 riguardano l’Antico Testa-mento a partire dal paradiso terrestre dove Povertà passaggiava con l’uomo nudo prima del peccato (cap. 25); si segue poi il racconto della Genesi finché Povertà non abbandona il suo compagno «ve-stito di pelli di morti,... perché egli ormai si era gettato a moltipli-care le fatiche per diventare ricco»48; nemmeno in Abramo, Isacco e Giacobbe Povertà poté trovare riposo, perché essi ebbero la pro-messa di ricchezze e di un paese dove scorre latte e miele (Es. 3, 17; cap. 30). La venuta di Gesù Cristo cambia le cose, infine egli «fece testamento ai suoi eletti» riguardo a Povertà49 e gli Apostoli osser-varono tutte le prescrizioni del Maestro, insieme ai loro fedeli con i quali costituirono la comunità di Gerusalemme in cui tutti i beni erano condivisi (cap. 31-32)50. Durante il periodo delle persecuzio-

46 «Obsecramus per ipsum et propter ipsum, domina, nostras deprecationes ne despicias in necessitatibus, sed a periculis libera nos semper», ibidem, cap. 6, 18.47 «Cupio... longam, sed non minus utilem mei status retexere vobis historiam, ut discatis quemadmodum vos oporteat ambulare et placere Deo (1 Tess. 4, 1), ca-ventes retro aspiciendi notam, qui manum ad aratrum (Lc. 9, 62) mittere vultis», ibi-dem, cap. 7, 5..48 «Videns ergo socium meum indutum pellibus mortuorum, ex toto recessi ab eo, quia ad multiplicandos labores, ut dives fieret, proiectus erat», ibidem, cap. 8, 26.49 «fecit de me testamentum electis suis», ibidem, cap. 9, 1. Seguono varie cita-zioni evangeliche da Matteo e Luca.50 La comunità primitiva di Gerusalemme (Atti 2, 42-47; 4, 32-35) in questa fase è considerata esempio positivo di povertà, mentre tale modello non è pro-

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ni i martiri tennero fede all’insegnamento evangelico della povertà (cap. 33). La pace nella Chiesa fu «più pesante di ogni guerra... tut-ti mi fuggono, tutti mi scacciano, da nessuno sono cercata, da tutti sono abbandonata»51 (cap. 35); «Da quando da parte dei persecuto-ri è stata data quiete ai figli, questi sono lacerati più crudelmente da guerra familiare ed intestina, invidiandosi a vicenda, provocando-si a vicenda (Gal. 5, 26) nell’acquisto di ricchezze e nell’effusione di piaceri (cap. 36)»52. In questo difficile momento emersero però al-cuni che andarono da Povertà supplicandola «di stringere con loro un patto di pace perpetua... Quelli furono uomini di virtù, uomini pacifici..., poveri in spirito, privi di cose, ricchi di vita e santità...»53 (cap. 37): senza che si dica esplicitamente, si delinea qui la nascita del monachesimo, che si configura altamente positiva.

Questo sviluppo, esposto con un linguaggio evocativo, ricco di citazioni e riferimenti biblici, esprime un giudizio ben preciso sul-la storia della Chiesa, che si rivela fortemente inserito nelle dinami-che e nel pensiero dei secoli XII e XIII. Anche gruppi ereticali del XII secolo, tra cui i valdesi, vedevano negativamente la chiesa co-stantiniana54, che il Sacrum commercium non cita esplicitamen-te, ma che è chiaramente identificabile nel quadro tracciato con la fine delle persecuzioni. Nel cap. 37 alla decadenza della Chiesa si contrappongono i poveri volontari individuabili, altrettanto chiara-mente, con i monaci. Anche questa contrapposizione non è nuova, l’autocoscienza che gli stessi monaci avevano del loro ruolo di fron-te a quello che essi leggevano come un intiepidimento di laici e cle-ro nella chiesa “costantiniana” risale già ai secoli IV e V. Leggendo Giovanni Cassiano, che propagandò in Occidente il modello mona-

priamente francescano, ma monastico. Comunque è un modello qui solo accen-nato e non più ripreso nel Sacrum commercium.51 «pax illa gravior omni bello... omnes me fugiunt, omnes me fugant, a nullis re-quiror, ab omnibus relinquor», Brufani, cap. 12, 1-2.52 «dum quies a persecutoribus facta est filiis, domestico et intestino bello cru-delius lacerantur, invicem invidentes, invicem provocantes (Gal. 5, 26) in aquisitio-ne divitiarum et deliciarum effluxu», ibidem, cap. 13, 3.53 «rogantes ut inirem cum eis fedus perpetuae pacis... Fuerunt ii viri virtutum, viri pacifici..., spiritu pauperes, rebus inopes, vita et sanctitate divites...», ibidem, cap. 14, 2-3.54 Carlo Papini, Valdo di Lione e i «poveri nello spirito». Il primo secolo del movi-mento valdese (1170-1270), Torino, Claudiana, 2001, pp. 438-444, ma anche i rin-vii sub voce “Costantino, imperatore”, nell’Indice dei personaggi, p. 490.

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stico già diffuso in Oriente e che fu noto ad autori francescani come Angelo Clareno, sembra quasi di leggere i cap. 32 e 34-37 del Sa-crum commercium:

La disciplina dei cenobiti prese inizio dal tempo della predicazione degli Apostoli. Infatti si formò a Gerusalemme tutta quella moltitudi-ne di credenti, che negli Atti degli Apostoli è così descritta: «La molti-tudine dei fedeli aveva un cuore e un’anima sola, nessuno considerava suo quello che possedeva, ma avevano tutto in comune... Vendevano le loro terre e i loro beni e dividevano il ricavato tra tutti secondo i bi-sogni di ciascuno». E ancora: «Nessuno era povero tra loro, tutti quel-li che possedevano terre e case le vendevano e mettevano il ricavato ai piedi degli Apostoli...». Allora tutta la chiesa era tale, quale oggi è dif-ficile trovare ad opera di pochi nei cenobi. Ma poiché dopo la morte degli Apostoli cominciò ad intiepidirsi la moltitudine dei credenti... e si raffreddava il fervore di quella prima fede, non solo quelli che era-no affluiti alla fede di Cristo, ma anche i capi della Chiesa si rilassaro-no rispetto al primitivo rigore... Ma quelli nei quali c’era ancora il fer-vore degli Apostoli..., allontanandosi dalle loro città e dalla compagnia di quelli che credevano lecita per essi e per la Chiesa di Dio la negli-genza di una vita rilassata..., cominciarono a vivere in luoghi suburba-ni ed appartati e a realizzare in modo privato e particolare quelle cose che ricordavano istituite dagli Apostoli in modo generale per il corpo uiversale della Chiesa55.

55 Coenobitarum disciplina a tempore praedicationis apostolicae sumpsit exordium. Nam talis exstitit in Hierosolymis omnis illa credentium multitudo, quae in Actibus Apostolorum ita scribitur... (Atti 4, 32-35). Talis, inquam, erat tunc omnis Ecclesia, qualis nunc per paucos in coenobiis invenire difficile est. Sed cum post apostolorum excessum tepescere coepisset credentium multitu-do, ea vel maxime quae ad fidem Christi de alienigenis ac diversis gentibus con-fluebat, a quibus apostoli pro ipsis fidei rudimentis ac inveterata gentilitatis consuetudine nihil amplius expetebant, nisi ut ab immolatis idolorum et fornica-tione et suffocatis et sanguine temperarent (Atti 15, 29), atque ista libertas quae gentibus propter infirmitatem primae credulitatis indulta est, etiam illius Eccle-siae quae Hierosolymis consistebat perfectionem paulatim contaminare coepis-set, et crescente quotidie vel indigenarum numero, vel advenarum, primae illius fidei refrigesceret fervor; non solum hi qui ad fidem Christi confluxerant, verum etiam illi qui erant Ecclesiae principes, ab illa districtione laxati sunt. Nonnulli enim existimantes id quod videbant gentibus pro infirmitate concessum, sibi etiam licitum, nihil se detrimenti perpeti crediderunt, si cum substantiis ac fa-cultatibus suis fidem Christi confessionemque sequerentur. Hi autem quibus

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Nel secondo blocco di capitoli in cui Povertà racconta la sua storia (cap. 38-52) questa valutazione positiva del monachesimo viene ribaltata, con una lunga contestazione del traviamento dei religiosi. Questi diventano falsi poveri, «uomini che prendendo il santo abito della religione, non rivestirono l’uomo nuovo, ma co-prirono il vecchio»56, sobillati dalla grande nemica di Povertà, Ava-ritia, Avidità, che essi chiamavano Previdenza (cap. 38-39). Povertà non è però espulsa del tutto, perché restano ancora buoni religiosi suoi fedeli. Avaritia prende anche il nome di Discrezione, poi chiede aiuto ad Accidia, dalla quale i religiosi sono vinti (cap. 43-48).

Infine cominciarono ad adulare gli uomini del secolo ed a stringere matrimonio con loro per svuotare le loro borse, per ingrandire gli edi-fici e moltiplicare i beni che avevano del tutto rifiutato. Vendevano pa-role ai ricchi e saluti alle matrone e frequentavano con passione le cor-ti dei re e dei principi, per aggiungere casa a casa e unire campo a cam-po. E ora sono diventati grandi e ricchi, sono confortati sulla terra, perché sono passati di male in male e non hanno conosciuto il Signore. Sono caduti mentre si sollevavano, sono precipitati a terra prima della nascita, e tuttavia mi dicono: “Siamo tuoi amici” (cap. 49) 57.

adhuc apostolicus inerat fervor, memores illius pristinae perfectionis, disceden-tes a civitatibus suis illorumque consortio qui sibi vel Ecclesiae Dei remissioris vi-tae negligentiam licitam esse credebant, in locis suburbanis ac secretioribus commanere, et ea quae ab apostolis per universum corpus Ecclesiae generaliter meminerant instituta, privatim ac peculiariter exercere coeperunt; atque ita co-aluit ista, quam diximus, discipulorum qui se ab illorum contagio sequestrave-rant, disciplina», Johannes Cassianus, Collationes, XVIII, V, in Patrologia Latina 49, Turnholti, Brepols 1982 (ristampa anastatica dall’ed. del Migne, Paris 1846), coll. 1094-1096; si veda tutto il cap. V, col. 1094-1100, nonché, sempre di Giovanni Cassiano, De coenobiorum institutis, I, V, ibidem, coll. 84-86, sulla comunità pri-mitiva di Gerusalemme esempio per i monaci.56 «homines assumentes sancte religionis habitum, novum hominem non indu-xerunt, sed veterem palliaverunt», Brufani, cap. 15, 3.57 «Ceperunt denique viris secularibus adulari et cum eis iungere matrimonium ut exhaurirent bursas eorum, ut amplificarent edificia et multiplicarent ea que pe-nitus recusaverant. Vendebant verba divitibus et matronis salutationes et curias regum ac principum omni studio frequentabant, ut iungerent domum ad domum et agrum ago copularent (Isaia 5, 8). Et nunc magnificati sunt et ditati, confortati sunt in terra, quia de malo ad malum egressi sunt et Dominum non cognoverunt (Ger. 9, 3). Ceciderunt dum allevarentur, prolapsi sunt in terra anta nativitatem, et tamen dicunt mihi: “Sumus amici tui”», ibidem, cap. 23, 12-15.

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Questi falsi poveri, diventati ricchi, perseguitano Povertà ed al-le sue ammonizioni rispondono: «Vattene, misera, allontanati da noi, non vogliamo la conoscenza delle tue vie» (cap. 51)58, finché il Signore invita Povertà ad ignorarli, a non preocuparsi più di loro, «non hanno rigettato te, ma me» (cap. 52)59.

Anche in questa analisi il Sacrum commercium si mostra non apologia teorica e disincarnata nella sua parabola allegorica, ma opera ben radicata nella storia del monachesimo ed anche del-la religiosità popolare. Il modello cui il monachesimo cenobi-ta si ispira fin dalle sue origini nel IV secolo – come si è visto con Cassiano e nel cap. 32 del Sacrum commercium – è quello della chiesa primitiva di Gerusalemme, nella quale, come dice la Scrittura (Atti 2, 42-48; 4, 32-35), tutto era in comune e per-ciò nessuno era bisognoso. La povertà era dunque intesa co-me rinuncia al possesso personale a favore della condivisione dei beni. Il monaco, entrando in monastero, metteva tutto nel-le mani dell’abate e viveva in comunità una vita parca, dedi-candosi, almeno nei primi tempi, anche al lavoro manuale, ol-tre che alla preghiera ed alla meditazione. Il modello monasti-co ispirato alla comunità di Gerusalemme veniva indicato come ecclesiae primitivae forma60.

Nell’alto Medio Evo il monachesimo divenne fenomeno aristo-cratico, così come tutto ciò che riguarda le alte gerarchie ecclesiasti-che ed in genere le istituzioni religiose; monaci e monache apparte-nevano alle classi più elevate della società, i monasteri erano per lo più sotto la protezione signorile, regia, imperiale. Fondati da un si-gnore, restavano legati alla sua famiglia, di cui conservavano le me-morie ed i sepolcri, ed i cui membri che entravano nella vita religio-sa ne diventavano abate o abbadessa. In questa situazione, la povertà rimaneva – semmai – un fatto personale, ascetico, non comunitario; anche se il monaco rinunciava al possesso personale, il monastero di solito era ricco e gli permetteva un tenore di vita ben superiore a quel-lo delle popolazioni rurali laiche; questo tipo di povertà perse dunque progressivamente la sua forza sociale e di testimonianza cristiana.

58 «Vade, o misera, recede a nobis; scientiam viarum tuarum nolumus (Giobbe 21, 14)», ibidem, cap. 25, 6.59 «non enim abiecerunt te, sed me (Geremia 8, 5)», ibidem cap. 26, 2.60 Giovanni Miccoli, “Ecclesiae primitivae forma”, in Idem, Chiesa gregoriana. Ri-cerche sulla Riforma del secolo XI, Firenze, La Nuova Italia, 1996, pp. 225-299.

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L’intiepidirsi dello slancio monastico per dinamiche mora-li ma soprattutto sociali e politiche causò ripetutamente, oltre al-la satira ed alla maldicenza verso i monaci61, l’insoddisfazione di alcuni spiriti più elevati e pensosi. Ciò portò ad una serie di succes-sive riforme monastiche, ispirate di solito dal desiderio di ritorno alle origini, di purificazione ed attuazione dell’ideale. Ma la strut-tura del monachesimo non cambiò: povertà personale, ma non comunitaria, possibilità quindi del monastero di arricchirsi sen-za limiti, donazioni dei fedeli, in particolar modo a favore di que-gli Ordini monastici che erano considerati più degni per le loro scelte di vita. Perciò gli Ordini riformati in breve tempo diventa-vano ricchi, come i cluniacensi, nati all’inizio del X secolo, ed anche i cistercensi, che si erano separati dall’ordine di Cluny proprio in nome della povertà e di una vita più austera secondo la regola be-nedettina originaria62.

La crisi del monachesimo fu presente non solo alla coscienza dei riformatori, ma anche al giudizio dei laici. La critica, chiara, aspra, cosciente, veniva soprattutto dai movimenti popolari del se-colo XII, nel quale si ebbe un forte risveglio religioso, seguito agli impulsi di riforma della Chiesa del secolo XI, tra i quali aveva avuto origine ad es. la Pataria. Tali movimenti fiorirono per tutto il seco-lo XII ed andarono nella direzione di una riscoperta e di una riap-propriazione della Sacra Scrittura e di una sua realizzazione nel-la vita63. Fu un “risveglio evangelico”, come lo definì Marie-Domi-nique Chenu64. Dai predicatori itineranti della Francia al passaggio tra XI e XII secolo come Stefano di Muret e Roberto d’Arbrissel, col loro seguito maschile e femminile, la cui esperienza sfociò in nuo-

61 R. Manselli, S. Francesco e madonna Povertà, pp. 27-28.62 Per una prima visione di carattere molto generale si veda M. Pacaut, Mona-ci e religiosi nel Medioevo, Bologna, Il Mulino 1989 (ed. or.: Les ordres monastiques et religieux au Moyen Age, Paris, Fernand Nathan, 1970); Gregorio Penco, Storia del monachesimo in Italia, Milano, Jaca Book, 19832 e successive.63 Mi permetto di rinviare ad una mia breve sintesi, A. Marini, Bibbia e predi-cazione: la crescita della coscienza laicale dall’XI secolo a Francesco d’Assisi, in «Ser-vizio della Parola» 181 (settembre 1986) 46-52; ma ibidem sono utilmente con-sultabili molti articoli (si tratta di un numero speciale della rivista, dal titolo Tutti i fedeli responsabili della verità).64 M.-D. Chenu, La teologia nel XII secolo, Milano, Jaca Book, 1986, soprattut-to il cap. XI, Il risveglio evangelico, pp. 283-307 (ed. or.: La théologie au douzième siècle, Paris, Vrin, 1976).

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vi ordini di tipo monastico; a gruppi finiti nell’eresia spesso per in-comprensione con le autorità ecclesiastiche o per rifiuto di obbe-dienza, come quelli del monaco Enrico, di Arnaldo da Brescia, di Valdo di Lione65, i movimenti popolari laicali, con capi a volte ec-clesiastici, a volte laici, come il mercante Valdo, basandosi sul mo-dello evangelico di Cristo e degli Apostoli (non quello degli Atti), postulavano una povertà concreta, non nominale, una condizio-ne di vita simile a quella reale dei poveri; non contestavano quin-di solo la ricchezza del clero e delle gerarchie ecclesiastiche seco-lari, ma rifiutavano anche la “falsa povertà” dei monaci. Il monaco non era più considerato il modello massimo di perfezione cristia-na, poiché il modello diviene lo stesso Cristo realmente povero e sofferente, incerto del domani (e tale incertezza era esperienza esi-stenziale di molti fedeli nelle condizioni di vita medievali), che non ha dove posare il capo (Lc. 9, 58): alla forma ecclesiae primitivae si sostituisce come modello la forma sancti evangelii66. Non può sfug-gire che questa formula si trova nel Testamento di san Francesco, condizione di vita indicata al santo dallo stesso Signore67. I valde-si, ad es. – il gruppo che con maggiore consapevolezza espresse po-sizioni di questo tipo – consideravano la povertà come valore e nor-ma di tutta la Chiesa, non solo di alcuni “volontari” della perfezio-ne evangelica; non dunque un “consiglio evangelico”, ma una con-ditio sine qua non dell’essere cristiano68.

La visione storica dei cap. 38-52 del Sacrum commercium risul-ta dunque inserita nelle problematiche religiose e sociali della pri-ma metà del secolo XIII, che continuano quelle del secolo XII. In ben quindici capitoli ci si sofferma sul traviamento dei religiosi, of-frendo un’interpretazione della storia del monachesimo ed un giu-dizio – negativo – sul sistema monastico in relazione alla povertà. Si noti che si parla in particolare di religiosi (quindi monaci), non

65 Grado Giovanni Merlo, Eretici ed eresie medievali, Bologna, Il Mulino, 1989.66 Cfr. R. Manselli, Il secolo XII: religione popolare ed eresia, soprattutto il cap. III, Evangelismo e povertà, anch’esso già cit.67 «Ipse Altissimus revelavit michi quod deberem vivere secundum formam san-cti evangelii», Testamentum 14, in Francesco d’Assisi, Scritti, Padova, Editrici fran-cescane, 2002, p. 432 (d’ora in poi: Scritti).68 R. Manselli, S. Francesco e madonna Povertà, p. 29; Idem, Il valdismo origina-rio, in Il secolo XII, pp. 128-133; C. Papini, Valdo di Lione e i «poveri nello spirito», pp. 385-388.

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di chierici o di pastori della Chiesa, né dei laici; ciò avviene o per ac-centuare una contrapposizione tra religiosi di vecchio e di nuovo ti-po, oppure perché su laici e clero secolare il giudizio negativo era già stato espresso nei cap. 34-36, a proposito dell’intiepidirsi dei fe-deli e della conseguente nascita di gruppi appartati di cristiani che cercavano una superiore perfezione. In questi capitoli si sottolinea dunque come proprio i religiosi, proprio i poveri volontari abbiano abbandonato la povertà, con la scusa di aiutare i poveri, ma ponen-dosi di fatto in una condizione superiore alla loro. La critica di que-sti quindici capitoli è chiaramente indirizzata alle esperienze reli-giose precedenti il francescanesimo69.

I cap. 53-69 – quelli conclusivi – sono dedicati ai francescani. Bisogna sottolineare questo plurale. Anche nella parte precedente dell’opera, Francesco è presente singolarmente soltanto quando va in cerca di Povertà e non ne riceve indicazioni (cap. 4-11). Trovato un gruppetto di compagni, dietro consiglio dei due vecchi, si rivolge loro (cap. 12-13). Successivamente i fratelli/frati parlano soltanto al plurale e Povertà si rivolge sempre a tutti loro, senza mai nominare singolarmente Francesco. Il dialogo si svolge tra una prima perso-na plurale (noi) e Povertà che risponde ad una seconda persona plu-rale (voi). Così lei può concludere la sua storia con queste parole, ad apertura del cap. 53: «Ecco, fratelli, ho ritessuto per voi, con un lun-go discorso, una parabola, affinché gli occhi precedano i vostri passi e possiate vedere cosa dovete fare»70. Francesco compare, parlando però sempre a nome di tutti, con il «noi», nei cap. 56-58, e il suo no-me è fatto dall’autore del Sacrum commercium, ma non è mai sul-la bocca della signora Povertà, che continua a parlare al gruppo in-

69 Altre analogie potrebbero trovarsi con commenti all’Apocalisse del sec. XII che, nella suddivisione delle varie età della Chiesa corrispondenti all’apertura dei sette sigilli, individuano sviluppi a volte simili dalla Chiesa apostolica a quella dei martiri a quella costantiniana, cfr. R. Manselli, La “Lectura super Apocalipsim” di Pietro di Giovanni Olivi. Ricerche sull’escatologismo medievale, Roma, Istituto Sto-rico Italiano per il Medio Evo, 1955, pp. 39-80 (Studi Storici, 19-21).70 «Ecce, fratres, retexui vobis longi sermonis parabolam ut precedant palpebre gressus vestros (Prov. 4, 25) et videatis quid agere debeatis», Brufani, cap. 27, 1. Si noti come queste parole che concludono la storia siano simili a quelle che l’aveva-no iniziata al cap. 7, 5 (Brufani) = 24 (ed. 1929), segue infatti anche qui l’ammoni-zione a non guardare indietro.

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tero sino alla fine. Nei cap. 59-69 il dialogo riprende tra Povertà ed il gruppo dei compagni e il nome di Francesco non torna più71.

Ciò aiuta a comprendere perché questo commercium non possa configurarsi come un rapporto sponsale e perché ci si trovi piutto-sto di fronte ad una compagnia di cavalieri che omaggiano la dama del loro signore. Dal punto di vista delle dinamiche interne all’Or-dine dei Minori, questa connotazione collettiva o, meglio, comuni-taria, evidenzia una forte autocoscienza di gruppo, di fraternitas o di ordo, a seconda della cronologia che si preferisce per l’opera. A mio avviso l’autocoscienza comunitaria riflette meglio la datazio-ne precoce ed un autore che si sente parte della scelta minoritica co-me novitas ancora in via di affermazione, di un gruppo che condivi-de in pieno le scelte di Francesco (che, abbiamo visto, parla al plu-rale senza alcuna esitazione, nei pochi momenti in cui lo fa, mentre ancora più spesso compare un «noi» indistinto). Tuttavia potrebbe ugualmente adattarsi alla datazione più tarda, dato che anche nel-le polemiche immediatamente successive alla metà del secolo XIII l’Ordine si presenta come realtà nuova ed unitaria di fronte agli at-tacchi del clero secolare.

Povertà dunque, negli ultimi capitoli, dopo aver informato i fra-ti sulla conoscenza delle dinamiche della storia della Chiesa nei con-fronti della povertà e della ricchezza, li mette in guardia sulle diffi-coltà della via intrapresa e sul pericolo di «guardare indietro e pren-dersi gioco di Dio»72 (cap. 53). Prospetta poi loro il futuro, invitan-doli ad un’ascesa progressiva tenendo a freno il proprio entusiasmo (cap. 54), perché, dopo i primi tempi, «raggiunta la sicurezza, lasce-rete posto all’incuria verso i benefici ricevuti»; non sarà allora possi-bile «ritrovare la primitiva consolazione»73, anzi «accamperete paro-le di scusa dicendo: “Non possiamo essere forti come fummo al prin-cipio ed ora corrono tempi diversi”, ignorando che è detto che quan-

71 Nei titoletti dei capitoli si trova più frequentemente il nome di san Francesco. Non sono certo il primo a notare questa collettività del gruppo francescano nel Sa-crum commercium, v. U. Cosmo, Il primo libro francescano, pp. 49-53. Anche altre mie considerazioni possono trovarsi nella letteratura storica precedente, si veda an-cora l’esauriente introduzione di Brufani, part, pp. 3-28.72 «Periculosum est valde retro aspicere et illudere Deo», Brufani, cap. 27, 2.73 «paulo post, securitate accepta, de collatis beneficiis incuriam admittetis. Pu-tabitis qua hora vultis in id ipsum redire et primam reinvenire consolationem, sed negligentia semel admissa non de facili extirpatur», ibidem, cap. 27, 11-12.

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do un uomo sarà giunto alla fine, allora comincerà74. Tuttavia ci sa-rà sempre nel vostro animo una voce che dirà così: “Domani, doma-ni ritorneremo al nostro marito di prima, perché sarà meglio per noi allora che adesso75». Questo cap. 55 è uno dei pochi (forse insieme ai cap. 64-69) che potrebbe essere letto in funzione di polemica interna all’Ordine francescano, da parte di un rigorista che lamenti l’allonta-namento dallo stile di vita e dagli ideali dei primi tempi. Ma – sem-pre che di simile polemica si tratti – essa può benissimo adattarsi agli anni successivi alla morte di Francesco, sintetizzabili nella Quo elongati di Gregorio IX (1230) col rifiuto del Testamento del santo da parte dei ministri minoritici, avallato dalla decisione papale.

Francesco, colmo di gioia e rendendo grazie a Dio, risponde con una promessa a nome di tutti i fratelli: «Ecco, noi siamo tuoi servi e pecore del tuo pascolo. In eterno e per il secolo perenne noi giuriamo e stabiliamo di custodire i giudizi della tua giustizia »76 (cap. 57).

I cap. 58-65 sono forse i più noti e citati del Sacrum commer-cium. I frati «scendendo dal monte, condussero la signora Povertà al luogo nel quale abitavano»77 (cap. 58) e qui la invitarono ad un pasto di assoluta povertà, diciamo pure di indigenza, che può for-se richiamare alcune situazioni di piccole comunità minoritiche dei primi tempi, ma che nel complesso ha un valore più simbolico che concreto: mancanza di asciugamano, di brocca, di cibi cotti (per-

74 La citazione si accorda con quanto avrebbe detto Francesco ormai avviato alla morte, secondo la Vita I, 103, di Tommaso da Celano: «“Cominciamo, fratelli, a ser-vire il Signore Dio, perché finora abbiamo progredito a stento o poco”. Non credeva di aver ancora afferrato (la meta) e, perseverando instancabile nel proposito della santa novità, sperava sempre di cominciare»; «“Incipiamus, fratres, servire Domino Deo, quia hucusque vix vel parum in nullo profecimus”. Non arbitratur se adhuc comprehendisse, et infatigabilis durans in sanctae novitatis proposito, semper in-choare sperabat». La Vita beati Francisci (Vita I) è in Analecta Franciscana X, Firen-ze-Quaracchi 1926-1941, pp. 3-115, riprodotta in Fontes Franciscani, pp. 275-424.75 «excusationum verba pretendetis, dicentes: “Non possumus esse, sicut in principio fuimus, fortes et nunc alia tempora currunt”, nescientes quod dicitur quia, cum consummatus fuerit homo, tunc incipiet (Siracide 18, 6). Erit tamen in animo vestro semper vox sic dicens: “Cras, cras revertemur ad virum priorem, quia melius erit nobis tunc quam nunc” (Osea 2,7)», Brufani, cap. 27, 14-16.76 «ecce nos servi tui sumus et oves pascue tue (Salmo 78, 13). In eternum et in seculum seculi iuramus et statuimus custodire iudicia iustitie tue (Salmo 118, 106)», ibidem, cap. 28, 10.77 «Et descendentes de monte duxerunt dominam Paupertatem ad locum in quo manebant», ibidem, cap. 29, 5.

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ché non c’era un cuoco): il pasto è a base di erbe selvatiche raccol-te nel bosco a caso (perché i frati non avevano ortolano che sapes-se sceglierle), che risultavano amare, soprattutto perché mangiate senza condimento e sale, e di tozzi di pane molto duro e secco da in-tingere in una scodella d’acqua. Mancano non soltanto le stoviglie, ma anche un solo coltello, che Povertà chiede per pulire un po’ le er-be e per tagliare il pane duro: «Signora, non abbiamo un fabbro fer-raio che ci faccia spade, per ora al posto del coltello usa i denti e poi provvederemo»78 (cap. 62). Inutile aggiungere che non c’era vino.

Povertà, dopo questo pasto «in cui rimasero sazi della gloria di una penuria così grande più di quanto lo sarebbero stati per l’ab-bondanza di tutte le cose»79 (cap. 63), per riposare deve stendersi sulla nuda terra con una pietra come guanciale.

Lei, dormendo un sonno molto quieto e sobria, si alzò in fretta, chie-dendo di mostrarle il chiostro. Conducendola su un colle, le mostra-rono tutto il mondo che potevano vedere, dicendo: «Questo è il nostro chiostro, signora»80.

I cap. 64-69 concludono l’opera con un discorso della signora Povertà di lode a Dio, di benedizione dei frati, di esortazione alla perseveranza, «segnati col segno della gloria di Cristo, corrispon-denti in ogni cosa, per sua grazia, a quella prima comunità che egli riunì quando venne nel mondo»81 (cap. 65). Dovranno subire gli at-tacchi del demonio invidioso (cap. 67), mentre i cittadini del cielo, gli angeli, gli apostoli, i martiri, i confessori, i vergini e tutta la cor-te celeste si rallegrano, tripudiano, esultano per la conversione della piccola comunità dei fratelli/frati (cap. 68). Il Sacrum commercium si conclude così con il cap. 69:

78 «Domina, non habemus fabrum ferrarium, qui nobis faciat gladios; nunc au-tem dentibus cultelli vice utere et postea providebimus», ibidem, cap. 30, 19.79 «Postquam autem exsaturati sunt magis ex tante inopie gloria quam essent re-rum omnium abundantia...», ibidem, cap. 30, 22.80 «Illa vero, quietissimo somno ac sobria dormiens, surrexit festinanter, petens sibi claustrum ostendi. Adducentes eam in quodam colle ostenderunt ei totum or-bem quem respicere poterant, dicentes: “Hoc est claustrum nostrum, domina”», ibidem, cap. 30, 24-25.81 «signati signaculo glorie Christi, respondentes per omnia, gratia sua, illi pri-me sue schole, quam in mundo veniens congregavit», ibidem, cap. 31, 8.

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Vi scongiuro dunque, fratelli, per la misericordia di Dio, per la quale voi siete diventati tanto miseri, considerate a cosa siete arrivati, a cosa siete ascesi dai fiumi di Babilonia. Accogliete umilmente la grazia a voi offerta, usando di lei degnamente in tutto, sempre a lode e gloria ed onore di colui che è morto per voi, Gesù Cristo, nostro Signore, che con il Padre e lo Spirito Santo vive e regna, vince e impera, Dio eterna-mente glorioso, per tutti i secoli dei secoli. Amen.82

1.3 Povertà e polemica

Questo in sintesi il Sacrum commercium, opera davvero poe-tica e nello stesso tempo di grande consapevolezza di un ideale e di una missione che si presentano come nuovi nel panorama della Chiesa dei secoli XII e XIII. La povertà è individuata tra i valori fon-danti del francescanesimo, in quanto valore precipuo del Vangelo, posta per prima tra le beatitudini, che sono elemento centrale del-la predicazione evangelica di Gesù (Mt. 5, 3; Lc. 6, 20). Quanto com-pare di polemica verso altre esperienze religiose è nell’ottica di una rivendicazione dell’originalità ed insieme dell’evangelicità del pro-prio stile di vita; quanto appare eccessivo nel delineare tale stile di vita povero ha indubbi tratti simbolici, fermo restando, ad es., che come narrano alcune fonti e come si può constatare da quanto re-sta in eremi francescani, i frati dei primi tempi non disdegnavano di dormire appoggiati a pietre, come avviene a Povertà. Non mi sem-bra proprio che per quest’opera densa di spiritualità, nutrita di ci-tazioni scritturali, ricca di entusiasmo e di consapevolezza, possa parlarsi di «povertà dell’apologia» o, peggio, «dell’ideologia»83.

82 «Obsecro itaque vos, fratres, per misericordiam Dei (Rom. 12, 1), pro qua vos tam miserabiles estis effecti, facite ad quod venistis, ad quod ascendistis de fluminibus Babylonie. Suscipite humiliter gratiam vobis oblatam, digne uten-tes ea per omnia semper ad laudem et gloriam et honorem eius qui mortuus est pro vobis, Iesus Christus, Dominus noster, qui cum Patre et Spiritu Sancto vivit et regnat, vincit et imperat, Deus eternaliter gloriosus, per omnia secula seculorum. Amen», ibidem, cap. 31, 25-26.83 Brufani, Introduzione, dal titolo Ideologia della povertà ovvero povertà dell’ide-ologia, p. 3; l’espressione torna parzialmente nel titolo del par. 5, Povertà dell’apolo-gia, p. 50, e nelle parole conclusive dell’introduzione, p. 55, anche se riferite alla po-lemica dei tempi di Giovanni XXII. Mi dispiace sollevare discussioni con l’amico Brufani, studioso di grandi capacità ed uomo di estrema sensibilità, e soprattutto farlo a distanza di vent’anni dalla sua edizione; tuttavia di fronte a così espliciti giu-

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La polemica del Sacrum commercium mi sembra dunque rivol-ta alla falsa povertà dei monaci, al monachesimo come forma re-ligiosa che non appare più secondo il vangelo, secundum formam sancti evangelii, formula con cui invece Francesco nel Testamento caratterizza lo stile di vita del suo gruppo primitivo. Tale polemi-ca contro il monachesimo non è solo morale, ma strutturale, con-tro una specifica forma di vita religiosa. Il Sacrum commercium non presenta dei cattivi monaci che prevaricano una buona strut-tura monastica. Si parla, sì, dell’accidia, che può configurarsi come un vizio individuale, ma quando si stigmatizza la previdenza sem-bra che ci si riferisca ai vari beni dei monasteri, ai loro depositi, con i quali si può dare assistenza ai poveri, ma non condividerne la vita. In questa ampia parte dell’opera la critica non sembra essere speci-ficamente né primariamente verso i secolari, benché tra i falsi reli-giosi si possano comprendere anche loro.

Supponiamo invece che il Sacrum commercium sia stato scrit-to dopo la metà del secolo XIII, durante lo scontro con i secolari, che quindi sia un’opera polemica contro di loro, in un momento in cui la coscienza della povertà minoritica è pienamente sviluppata (ma non certo quella delineata negli ultimi capitoli del Sacrum commercium). Lo scontro inizia all’Università di Parigi nel 1252, quando i maestri secolari formulano un decreto che limita lo sviluppo dell’insegna-mento ai mendicanti, impedendo loro cioè di aprire nuovi collegi.

dizi di valore, bisogna chiedersi perché mai, in ambito prettamente storico e per una corretta metodologia interpretativa, debba indicarsi come ideologia (con sfu-matura di evidenza negativa) quella dei francescani a vario modo ed in tempi diffe-renti fautori della povertà (impediti di realizzare il loro modello anche a piccoli gruppi) e non quella, ben più strutturata, dei loro avversari dentro e fuori l’Ordine, che sviluppano un schema ideologico perfetto e consequenziale nell’obbedienza al papa, nell’accettazione di un ordine clericalizzato, nel rigetto di ogni tipo di opinio-ne alternativa (si potrebbe parlare di organizzazione autoritaria del consenso, ad es., con l’operazione bonaventuriana di realizzare una nuova Legenda di san Fran-cesco, accompagnata dalla distruzione di tutte quelle precedenti), nella condanna della minoranza interna fino ai roghi del Trecento. Certamente si tratta di un con-testo medievale ben diverso da quelli di epoche successive, ma non mi spiego per-ché debbano definirsi ideologi – con termine assolutamente moderno, come se anch’essi non fossero dei religiosi e non avessero una loro spiritualità – soltanto quei pochi che espressero opinioni diverse dalla maggioranza e dall’autorità. Se es-si poi accentuarono alcuni aspetti dell’esperienza di Francesco – ad es. la povertà – al di sopra di altri, bisogna sempre chiedersi in quale contesto di ben più forti tra-sformazioni o metamorfosi dell’Ordine ciò avvenne.

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L’anno successivo, poiché non partecipano alla sospensione delle le-zioni indetta per protesta contro violenze esercitate da parigini verso studenti, i tre maestri mendicanti, due domenicani ed uno francesca-no, vengono sospesi. Il papa Innocenzo IV interviene per reintegrar-li, ma lo scontro continua. Il fatto è che il clero secolare aveva una più ampia querelle con i mendicanti, per i molti privilegi loro conces-si dalla Santa Sede e per la loro attività pastorale, che, con il successo ottenuto, toglieva proprio al clero secolare non solo la devozione dei fedeli, ma anche gli introiti che da essa derivavano: elemosine, servizi liturgici, sepolture. Nel 1254 lo stesso Innocenzo IV, con la bolla Etsi animarum, limita i privilegi dei mendicanti dopo aver confermato gli statuti ad essi contrari del 1252. Il cambiamento papale è dovuto al fatto che proprio nel 1254 era stato pubblicato il Liber introductorius in evangelium aeternum del francescano Gerardo di Borgo San Don-nino, opera apertamente gioachimita, in cui il vangelo eterno, che se-condo Gioacchino da Fiore nel terzo stato avrebbe sostituito Antico e Nuovo Testamento (nel senso di una superiore intelligenza spirituale di entrambi), veniva identificato con le tre principali opere dello stes-so Gioacchino, e Francesco d’Assisi veniva indicato come l’angelo del sesto sigillo che nell’Apocalisse (7,2), portando i segni del Dio viven-te (interpretati come le stimmate), avrebbe dovuto segnare gli elet-ti prima delle prove finali: araldo quindi – in ambito gioachimitico – dell’avvento dello status escatologico dello Spirito. La polemica con-tinuerà a lungo, segnata nello stesso anno dalla risposta del maestro secolare Guglielmo di St. Amour, De periculis novissimorum tempo-rum, in cui proprio i mendicanti sono accusati di essere i segni nega-tivi degli ultimi tempi e viene difesa l’ecclesiologia tradizionale basa-ta sulla chiesa locale facente capo al vescovo. I maestri di Parigi tro-vano nell’Introductorius di Gerardo trentuno errori; una commissio-ne papale di tre cardinali vi individua nove proposizioni condannabi-li; Innocenzo IV nell’ottobre 1254 con la bolla Libellum quendam con-danna l’opera, prima di morire il 7 dicembre. Tre anni dopo Giovanni da Parma, noto come gioachimita, dovrà dimettersi da ministro ge-nerale dell’Ordine dei Minori. Alessandro IV (1254-1261), già cardi-nale protettore dei Minori, annullerà tutti i provvedimenti contrari ai mendicanti parigini, pur senza poter fermare del tutto la polemica84.

84 Gratien de Paris, Histoire de la fondation et de l’évolution de l’Ordre des Frères Mineurs au XIIIe siècle, Bibliographie mise à jour par Mariano D’Alatri et Servus

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Di tutto ciò non mi sembra ci sia l’eco nel Sacrum commercium. Se è chiaramente presente in esso una posizione antimonastica, meno forte è quella verso il clero secolare, almeno preso nella sua specificità; altra cosa è l’inserire anche il clero tra coloro che hanno abbandonato la povertà apostolica, come appare dal fatto che Fran-cesco, in cerca di Povertà, non trova nessuno che possa indicarglie-la, a parte i due vecchi verso la fine della sua queste.

Per quanto riguarda le origini dell’Ordine, si può parlare di ide-alizzazione del primitivo gruppo francescano e del suo fondatore, ma non compare nessuna mitizzazione di Francesco nel senso di alter Christus, di angelo del sesto sigillo (che pure è presente nello stesso Bonaventura)85, né della sua resurrezione, come farà Pietro di Giovanni Olivi86. Francesco compare sulla scena storica non pre-annunciato, non profetizzato, non in relazione ad alcun personag-gio biblico che ne sia figura. Egli è visto come superatore sul piano storico dell’esperienza monastica e restauratore della povertà evan-gelica che va cercando e che trova. È una rinascita delle origini cri-stiane più che un passaggio ad una nuova era. Anzi, Francesco vie-ne progressivamente a confondersi nel «noi» del gruppo dei primi frati e mai Povertà si rivolge singolarmente a lui87.

Gieben, Roma, Istituto Storico dei Cappuccini, 1982, cap. VI, La lutte pour la vie, pp. 200-221 (aggiornamenti bibliografici pp. 682-683). Grado Giovanni Merlo, Nel nome di san Francesco. Storia dei frati Minori e del francescanesimo sino agli inizi del XVI secolo, Padova, Editrici Francescane, 2003, pp. 161-168.85 Bonaventura da Bagnoregio, Legenda maior sancti Francisci, Prologo, 1, in Analecta Franciscana X, p. 558 (Fontes Franciscani, pp. 777-962); Legenda minor sancti Francisci,, cap. VIII, Lectio I, in Analecta Franciscana X, p. 675 (Fontes Fran-ciscani, pp. 965-1014); Stanislao da Campagnola, L’Angelo del sesto sigillo e l’ Alter Christus”. Genesi e sviluppo di due temi francescani nei secoli XIII-XIV, Roma, Lau-rentianum – Antonianum, 1971.86 R. Manselli, La resurrezione di san Francesco dalla teologia di Pietro di Giovan-ni Olivi ad una testimonianza di pietà popolare, in Idem, Da Gioacchino da Fiore a Cristoforo Colombo. Studi sul francescanesimo spirituale, sull’ecclesiologia e sull’esca-tologismo bassomedievali, a cura di P. Vian, Roma, Istituto Storico Italiano per il Medio Evo 1997, pp. 455-467 (Nuovi Studi Storici, 36).87 Non è detto che un autore successivo alla metà del secolo XIII avrebbe dovu-to necessariamente essere un rigorista, ma certo, stando al contenuto del Sacrum commercium, non sarebbe improbabile, come mostra l’attribuzione a Giovanni da Parma. Possibile che non ci sarebbe stato nessuno spunto gioachimitico nell’ope-ra? Su ciò non mi soffermo, rinviando a Marini, Valori evangelici e senso storico, pp. 35-38, 48.

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Nel Sacrum commercium si contrappone una povertà realmen-te seguita e vissuta ad una fittizia – quella monastica – ma non si ha sentore dei “diritti” contestati dai secolari ai mendicanti; non si par-la, cioè, di problemi come mendicità/elemosina, predicazione, fun-zioni clericali dei mendicanti, insegnamento universitario, né di ec-clesiologia. La polemica è fra differenti esperienze di religiosi, non fra religiosi-mendicanti da una parte e secolari dall’altra. Se si vuo-le, è la rivendicazione di fronte a tutta la Chiesa ed alla sua storia dell’originalità dell’esperienza francescana (ad altri mendicanti non vi è accenno) e della sua assoluta fedeltà ai valori originari del cri-stianesimo. I problemi indicati sono assenti anche nell’ottica di una polemica interna all’Ordine dei Minori sulla povertà e la fedeltà alle origini: non si contesta l’elemosina in nome del lavoro manuale, né la predicazione in nome della contemplazione negli eremi88, che qui non esistono (il “chiostro” dei frati è il mondo, cap. 63). Si contesta la previdentia ma non ancora la scientia.

In che contesto parla Paupertas? Torniamo ai capitoli prece-denti al 24: lì c’è Francesco che cerca Povertà e non la trova; tra gli altri, incontra due vecchi, che potrebbero simboleggiare l’Antico ed il Nuovo Testamento, dato che si esprimono con due citazioni, ri-spettivamente di Isaia e di san Paolo. Agli inizi della sua esperien-za, quindi, Francesco non trova chi gli sappia indicare dove sia Po-vertà, solo la Scrittura glie la può additare. Il riferimento è storica-mente esplicito e, almeno in questa fase iniziale dell’opera, non può assolutamente riguardare una polemica interna all’Ordine minori-tico. Poi Povertà, nell’ambito dei capitoli 25-52, svolge il suo discor-so storico. Infine si assiste al banchetto dei frati con la loro signora; nel gioco teatrale del Sacrum commercium ancora una volta non mi pare vi siano dubbi: i religiosi precedenti a Francesco non gli hanno saputo indicare la via per Povertà; quando egli la trova, Povertà può

88 Si pensi a quanto compare anche nella Legenda antiqua Perusina, che pure è anteriore al 1250, nella quale i frati che si rifugiano negli eremi sono i veri cava-lieri della Tavola Rotonda per Francesco, Compilatio Assisiensis 103, 13. Specifi-co che ritengo ancora utile utilizzare il titolo (fittizio) di Legenda antiqua o Perusi-na in riferimento alle testimonianze inviate a Crescenzio da Iesi nel 1246, confluite verso il 1310 nella Compilatio Assisiensis (e quasi soltanto da questa compilazione attualmente deducibili). Ricorro dunque all’ed. Compilatio Assisiensis dagli scritti di fra Leone e compagni su S. Francesco d’Assisi, dal ms. 1046 di Perugia, a cura di M. Bigaroni, S. Maria degli Angeli-Assisi, Porziuncola, 1992 (riprodotta in Fontes fran-ciscani, pp. 1449-1690).

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finalmente stare con i suoi fedeli, che sono quindi i nuovi religiosi, i frati minori. Certo, siamo di fronte ad una metafora, che come ta-le può dare adito legittimamente a differenti interpretazioni, anche se a me sembra difficile applicarla alla polemica interna tra france-scani del secondo Duecento; tra l’altro tale polemica poteva essere già presente nell’Ordine negli anni Venti-Trenta del secolo, come di-mostra lo stesso Testamento di Francesco, con il suo forte richiamo all’esperienza originaria.

1.4 Sacrum commercium, scritti di Francesco e prime legendae francescane

Su una cosa si può concordare: il Sacrum commercium è ope-ra francescana matura e consapevole, con una precisa elaborazio-ne del tema della povertà nella Chiesa. Anche per questo Brufani e quanti concordano con lui la collocano dopo il 1250. Ma Francesco d’Assisi, idiota et subditus omnibus89, parvulus vester servus90, sot-tomesso anche agli animali91, era ingenuo e inconsapevole? Senza tornare sull’estrema consapevolezza di sé, delle sue scelte e della si-tuazione storico-religiosa in cui esse furono operate che compare in tutto il Testamento, basti ritornare ad una delle sue affermazio-ni centrali:

Dopo che il Signore mi diede dei fratelli, nessuno mi mostrava cosa dovessi fare, ma lo stesso Altissimo mi rivelò che dovessi vivere secon-do la forma del santo Vangelo92.

Si tratta di un esplicito rifiuto delle esperienze religiose già pre-senti nella Chiesa, compreso il sacerdozio secolare, ma ancora di più il monachesimo e la tradizione canonicale; solo una ispirazio-

89 Testamentum 19: «et eramus ydiote et subditi omnibus», in Scritti, p. 434.90 Testamentum 41, ibidem, p. 438.91 Salutatio virtutum 16-18: «...subditus et suppositus omnibus hominibus, qui sunt in mundo, et non tantum solis hominibus, sed etiam omnibus bestiis et feris, ut possint facere de eo quicquid voluerint, quantum fuerit eis datum desu-per a Domino», ibidem, p. 212.92 «Et postquam Dominus dedit michi de fratribus, nemo ostendebat michi quid deberem facere, sed ipse Altissimus revelavit michi, quod deberem vivere secundum formam sancti evangelii», Testamentum 14, ibidem, p. 434.

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ne che Francesco intese come rivelazione diretta di Dio gli mostrò la via da seguire, poiché nella storia del suo tempo egli non trova-va esempi che lo soddisfacessero. Ciò è estremamente consapevole, come appare anche dall’uso della formula secundum formam sancti evangelii, che è evidente rifiuto della forma ecclesiae primitivae; ed è la medesima consapevolezza espressa nel Sacrum commercium in maniera allegorica: Francesco cerca domina Paupertas, ma nessu-no sa indicargli dove ella sia93.

Francesco compone il Testamento nel 1226, riprendendo le sue esperienze personali della conversione degli anni 1205-1208 e quel-le comunitarie degli anni 1208-1210. Anche se volessimo sostenere che la sua consapevolezza si maturi appieno solo più tardi, addirit-tura negli ultimi anni della sua vita, attorno alla stesura del Testa-mento, può il Sacrum commercium essere del 1227? Da questo con-fronto a me sembrerebbe di sì, anche se penso sia più prudente pro-porre la datazione elastica, entro la prima metà del secolo XIII.

Negli scritti di Francesco e nelle fonti francescane precedenti al 125094 troviamo molti parallelismi con tematiche e termini del Sa-crum commercium. Nella Salutatio virtutum, sicuramente del san to, compaiono personificazioni delle virtù, tra le quali c’è domina Pau-pertas: «Domina sancta Paupertas, Dominus te salvet / cum tua so-rore sancta Humilitate»95. Nel testamento senese Francesco racco-

93 Si è visto che anche nel Sacrum commercium Francesco non trova nessuno che sappia indicargli dove cercare Povertà e che riceve tale indicazione soltanto dalle Scritture.94 Seguendo i più autorevoli francescanisti, riepilogo le datazioni che credo plausibili per le principali fonti francescane: la Vita prima di Tommaso da Celano attorno al 1229, 1’Anonymus Perusinus (o De inceptione) attorno al 1240, la Legen-da trium sociorum e la Legenda (antiqua) Perusina (in Compilatio Assisiensis) 1246, Vita secunda (o Memoriale in desiderio animae) di Tommaso da Celano 1247. Cfr. J. Dalarun, La malavventura di Francesco d’Assisi. Per un uso storico delle leggende francescane, Milano, Ed. Biblioteca Francescana, 1996 (e la mia nota Marini, Storia delle fonti francescane e storia di Francesco nelle sue fonti. Nota su «La Malavventu-ra di Francesco d’Assisi» di Jacques Dalarun, in «Il Santo» 38, 1998, pp. 215-229); F. Accrocca, Introduzione a Sezione seconda, parte prima, Biografie di san Francesco d’Assisi, in Fonti francescane2, pp. 221-232, più le introduzioni dello stesso alle di-verse fonti. Si aggiungano le varie introduzioni nel recentissimo François d’Assise. Écrits, Vies, témoignages.95 Salutatio virtutum 2, p. 210. Paolazzi, nella scheda introduttiva al Sacrum com-mercium, sostiene che la virtù prediletta da Francesco è la Sapientia, poiché citata per prima in questo scritto («Ave, regina Sapientia, Dominus te salvet / cum tua so-

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manda tre cose ai suoi frati: «che si amino sempre reciprocamente, sempre amino ed osservino la nostra signora santa Povertà e riman-gano sempre fedeli e sottomessi ai prelati ed a tutti i chierici del-la santa madre Chiesa»96. Domina Paupertas è presente nella Vita II di Tommaso da Celano: «Per mia signora ho scelto Povertà»97; nel-la Legenda Perusina: «Voleva e predicava ai frati che si preoccupas-sero di avere e seguire la pura e santa semplicità, la santa preghiera e la signora povertà»98. Senza l’appellativo personificante (domina), si ritrova in successione con altre virtù nella Vita I di Tommaso, ove

rore sancta pura Simplicitate», ver. 1) e che per questo il Sacrum commercium è lon-tano da Francesco, poiché si accentra su domina Paupertas (che nella Salutatio virtu-tum occupa comunque il terzo posto, diciamo che è comunque sul podio); Cesare Vaiani, nell’introduzione al Saluto delle virtù, in Scritti, pp. 207-209, sottolinea che al-la Sapienza è dato «il posto di “regina”» e che anche altrove Francesco la considera grandemente, ponendola come attributo di Dio o identificandola con il Figlio di Dio, ma che Tommaso da Celano, Vita II, 189, pone queste Laudes virtutum (come lui le chiama) nella sezione intitolata De sancta simplicitate, evidenziando quindi quest’ul-tima virtù in Francesco. Non mi sembra proprio che si possa stabilire una classifica tra queste virtù, per stabilire quale sia più importante per Francesco, ogni testo fa storia a sé; ad es. nel Testamento la Sapienza non compare affatto, mentre la pover-tà, pur non comparendo come virtù singola, astratta, compare ampiamente nello sti-le di vita dei frati, oltre che nei poveri concreti, i lebbrosi. E nella Regula non bullata XVII, 15-16 (Scritti pp. 282-284), le virtù compaiono con una diversa successione, nella quale la sapienza è ultima (umiltà, pazienza, pura e semplice e vera pace dello spirito, divino timore e divina sapienza). Altro sarebbe stato se nella Salutatio, con le virtù personificate, fosse mancata domina Paupertas, che invece è ben presente. Quand’anche avesse senso stilare una classifica in base agli scritti di Francesco, si do-vrebbe sempre tener conto che non è lui l’autore del Sacrum commercium, l’impor-tante è che i poveri, la povertà e domina Paupertas facciano ben parte del suo oriz-zonte mentale e della sua scala di valori, che appartenevano a molti frati a lui vicini.96 «ut... semper diligant se ad invicem, semper diligant et observent dominam nostram sanctam paupertatem et ut semper prelatis et omnibus clericis sancte ma-tris ecclesie fideles et subiecti existant». Il testamento di Siena, 4-5, in Scritti, p. 520; questo testamento non fa parte del testo tradizionale degli Opuscula attribuiti a Francesco, ma è stato ricavato dalle fonti agiografiche, insieme ad altri Opuscula dictata (Esser) o Parabole, “logia”, detti (Scritti).97 «Pro mea domina Paupertatem elegi», cap. 84 (la maiuscola di Povertà/Pau-pertas è mia, perché mi sembra che ci si trovi davanti ad una personificazione co-me nella Salutatio virtutum e nel Sacrum commercium). L’ed. della Vita II di Tom-maso da Celano è in Analecta Franciscana X, pp. 129-260, riprodotta in Fontes Franciscani, pp. 443-754.98 «Volebat et fratribus predicabat ut studerent habere et imitari puram et san-ctam simplicitatem, orationem sanctam et dominam Paupertatem», Compilatio As-sisiensis, 103, 3, pp. 318-320.

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si parla della rappresentazione natalizia di Greccio: «In quel luogo si onora la semplicità, si esalta la povertà, si loda l’umiltà»99. Di ispi-razione cavalleresca sono l’episodio della visione di Spoleto: «“Chi ti può giovare di più, il signore o il servo?” Avendogli risposto: “Il si-gnore”, disse di nuovo: “Perché dunque abbandoni il signore per il servo ed il capo per il sottoposto?”»100; il ricordo dei cavalieri del-la Tavola Rotonda: «Questi sono i miei fratelli cavalieri della Tavo-la Rotonda, che si nascondono nei deserti ed in luoghi remoti»101; e quello di Carlo Magno e dei suoi Paladini:

L’imperatore Carlo, Orlando ed Oliviero e tutti i Paladini e gli uomi-ni forti, che furono potenti in battaglia, combattendo gli infedeli con molto sudore fino alla morte, ebbero su di essi una vittoria gloriosa e memorabile ed alla fine questi stessi santi martiri morirono nella lotta per la fede di Cristo; invece vi sono molti che vogliono acquisire onore e lode dagli uomini con il solo racconto delle cose che quelli fecero102.

A ciò si può aggiungere la concezione dei demoni come castal-di del Signore103.

Il Sacrum commercium può dunque essere stato composto da un autore della prima metà del secolo XIII, consapevole della novi-tà francescana come lo era lo stesso Francesco; un autore che svi-

99 Vita I, 85: «Honoratur ibi simplicitas, exaltatur paupertas, humilitas commen-datur». 100 «Quis potest tibi melius facere, dominus aut servus?” Cui cum respondisset: “Dominus”, iterum dixit: “Cur ergo relinquis pro servo dominum et principem pro cliente?”» Legenda trium sociorum, 6, Th. Desbonnets, Legenda trium sociorum. Édition critique, in «Archivum Franciscanum Historicum» 67 (1974), pp. 38-144, ri-prodotta in Fontes Franciscani, pp. 1373-1443.101 Legenda Perusina (Compilatio Assisiensis 103, 13): «Isti sunt fratres mei mili-tes tabule rotunde, qui latitant in desertis et remotis locis».102 «Carolus imperator, Rolandus et Oliverius et omnes paladini et robusti viri, qui potentes fuerunt in prelio, persequentes infideles cum multo sudore et labore usque ad mortem, habuerunt de illis gloriosam et memorialem victoriam et ad ul-timum ipsi sancti martyres mortui sunt pro fide Christi in certamine; et multi sunt qui sola narratione eorum, que illi fecerunt, volunt recipere honorem et humanam laudem», ibidem 103, 23-24.103 Castaldi Domini si trova in Vita II, 120, Comp. Ass. 117, 24, Comp. Ass. 106, 20, ecc. I castaldi, di origine longobarda, sono agli ordini dell’autorità, funzionari o mi-nistri (come li chiama anche Francesco in Comp. Ass. 117, ove sono indicati come inviati dal podestà).

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luppa il tema di questa novitas in un’opera allegorica, di caratte-re letterario. Ad un testo cortese ben si adatta il fatto che non com-paia mai l’attribuzione ad Eva della colpa del peccato originale. Per un autore medievale questa assenza è davvero enorme, di grande si-gnificato, e non si può dimenticare che tale assenza c’è anche negli scritti di Francesco; una volta sola il santo parla di Adamo e non ci-ta Eva, cui una lunga tradizione misogina ecclesiastica attribuiva la colpa di ogni male. Nell’Admonitio II è scritto:

Disse il Signore ad Adamo: «Mangia di ogni albero del paradiso, ma non mangiare dell’albero della conoscenza del bene e del male». Pote-va mangiare di ogni albero del paradiso, poiché non peccò finché non andò contro l’obbedienza,. Mangia infatti dell’albero della conoscen-za del bene colui che si appropria della sua volontà e si esalta per i be-ni che il Signore dice ed opera in lui. E così per suggestione del diavolo e trasgressione del comandamento divenne il frutto della conoscenza del male. Per cui bisogna che ne sopporti la pena.104.

Eva è dunque ignorata, su di lei non ricade nessuna colpa, poi-ché solo Adamo è ricordato. Così nel Sacrum commercium Eva non è citata, la compagna di Adamo nel Paradiso è Paupertas, che par-la di lui come «il mio compagno» («socius meus», Sacrum commer-cium 28). Il testo è uno dei pochi non antifemministi del Medio Evo ecclesiastico; Jacques Dalarun fa notare che Paupertas è donna105, si pensi quanto la letteratura cortese esalti la donna, che ruolo es-sa abbia fino alla seconda metà del secolo XIII nel Dolce Stil Novo, come il punto di arrivo di Dante nel Paradiso Terrestre e la sua gui-da nel Paradiso sia Beatrice. Ma al di là di quest’ultimo riferimento, sicuramente il discorso cortese del Sacrum commercium si addice

104 «Dixit Dominus ad Adam: “De omni ligno paradisi comede, de ligno autem scientie boni et mali non comedas” (cfr. Gen. 2, 16-17). De omni ligno paradisi po-terat comedere, quia, dum non venit contra obedientiam non peccavit. Ille enim co-medit de ligno scientie boni, qui sibi suam voluntatem appropriat et se exaltat de bonis, quae Dominus dicit et operatur in ipso; et sic per suggestionem diaboli et transgressionem mandati factum est pomum scientie mali. Unde oportet quod su-stineat penam», Scritti, p. 448.105 J. Dalarun, Francesco: un passaggio. Donna e donne negli scritti e nelle leggende di Francesco d’Assisi, Roma, Viella, 1994, pp. 25-32

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meglio alla prima metà del Duecento, quando si elabora la versione “cistercense” della Queste du Graal (1220-1230).

Potrebbero notarsi quattro differenze del Sacrum commercium dall’impostazione di Francesco. La prima, evidenziata da Brufani, è il fatto che nel Testamento Francesco parla di poveri concreti, al plurale (i lebbrosi), laddove il nostro testo ha al centro la Povertà come astrazione, come allegoria. Questa differenza, a mio avviso, non ha consistenza. Si tratta evidentemente di due diversi generi letterari che hanno due diversi moduli espressivi. Lo stesso Fran-cesco adopera la stessa astrazione quando, nei brani indicati sopra, parla di domina Paupertas. D’altronde non è certo Francesco l’auto-re del Sacrum commercium, un’altra persona, impostando un’opera indubbiamente letteraria, ha potuto servirsi di altri moduli espres-sivi per indicare gli stessi concetti. Tommaso da Celano, ad es., pri-ma di parlare dei lebbrosi concreti serviti da Francesco, parla del suo incontro con il lebbroso, interpretato, simbolicamente, come lo stesso Cristo106.

Ma c’è un’altra osservazione più importante: non è vero che nel Testamento non ci sia un forte richiamo alla povertà, proprio con l’uso del vocabolo astratto:

Si guardino i fratelli di non ricevere affatto chiese, abitazioni poverel-le e tutto ciò che per loro è costruito, se non siano come conviene alla santa povertà che abbiamo promesso nella regola, abitandovi sempre come stranieri e pellegrini.107

Si noti che il lessico è simile a quello di altri scritti di France-sco: sancta paupertas, con l’aggiunta che questa povertà (astratto che concretamente significa tante cose) è stata promessa nella re-gola. Nel Testamento soltanto un altra norma viene ricordata co-me proveniente dalla regola, quella di celebrare l’ufficio e di obbe-dire ai guardiani108. Se dovessimo stabilire una classifica delle vir-tù secondo il Testamento, la povertà sarebbe prima, anzi rimarreb-

106 Vita II, 9.107 «Caveant sibi fratres ut ecclesias, habitacula paupercula et omnia que pro ip-sis construuntur penitus non recipiant, nisi essent sicut decet sanctam pauperta-tem quam in regula promisimus, semper ibi hospitantes sicut advene et peregrini», Testamentum 24, in Scritti, p. 434.108 Testamentum 29-31, ibidem, p. 436.

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be sola. Ma mi guardo bene dal sostenere che per Francesco d’Assi-si la povertà sia l’ideale unico o principale, intendo soltanto ribadire che non si possono stabilire gradi di importanza delle virtù, dei va-lori, della vicinanza di un’opera all’intentio di Francesco basandosi su un solo suo scritto.

La seconda differenza potrebbe individuarsi nel giudizio nega-tivo dei poveri come ignoranti riguardo a Povertà espresso da Fran-cesco mentre la cerca nel cap. 6, giudizio ribadito nel cap. 50, ove si afferma che i religiosi provenienti da famiglia povera sono peggiori degli altri. Questa obiezione è più fondata della precedente, poiché sembra mostrare una mentalità vicina alla tradizione ecclesiastica, nella quale la povertà sociale è vista negativamente. Ma, se si guar-da più a fondo, si nota che il giudizio non è proprio negativo, alme-no nel cap. 6; innanzitutto siamo di fronte ad una citazione biblica (Geremia 5, 4), poi l’autore corregge il tiro, affermando che i sapien-ti «risposero anche più duramente», quindi sono ancora più igno-ranti dei poveri109, e passando nel cap. 7 alla citazione di Matteo 11, 25 di lode a Dio che ha tenuto nascoste le sue verità ai sapienti e le ha rivelate ai “piccoli” («parvulis»)110. Il cap. 50 è invece molto più significativamente duro111.

La terza differenza è quella per cui secondo il Sacrum commer-cium, al cap. 3, la povertà volontaria è il valore massimo. Qui può vedersi una reale differenza da Francesco, che voleva vivere con e come i veri poveri e che credeva la povertà volontaria, in quan-to scelta, condizione più facile di quella subita per nascita o per sventura, insomma per condizione sociale112. Ma molti frati già dal 1220 erano differenti da Francesco, con mentalità più tradizionale, a causa della loro stessa formazione intellettuale ed ecclesiastica; si prenda ancora, ad es., Tommaso da Celano, che manifesta spes-so una mentalità più monastica e tradizionale, pur cogliendo mol-

109 «ipsi durius responderunt ei», Brufani cap. 1, 8.110 Ibidem, cap. 1, 12.111 Ibidem, cap. 24.112 Si vedano tre brani della Legenda Perusina: Comp. Ass. 15, ove Francesco affer-ma che non fu mai ladro di elemosine, perché esse sono l’eredità dei poveri (social-mente); Comp.Ass. 32, ove il santo dice che il suo mantello va restituito ad un pove-ro, intendendo che quello era realmente povero per condizione ed aveva diritto a quanto i frati, poveri volontari, possedevano; Comp. Ass. 93, ove il santo, non aven-do altro, fa dare anche il libro del Nuovo Testamento alla madre povera di un frate.

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ti aspetti della novità di Francesco; in lui c’è più spazio per l’elemo-sina che per il lavoro manuale; per la sua concezione dei poveri rea-li basti vedere la differenza nel racconto della vocazione di fra Gio-vanni il Semplice tra la Legenda Perusina (Comp. Ass. 61) e la Vita II 190. Giovanni è un uomo molto semplice che, preso da ammirazio-ne per Francesco, inizia a ripeterne i gesti; infine chiede di entrare nell’Ordine. Francesco acconsente e gli chiede di dare via i suoi be-ni per darne il ricavato ai poveri. Giovanni fa un rapido calcolo, la sua è una povera famiglia di contadini, a lui spetterà almeno il bue; prende quindi l’animale e lo porta via. I parenti di Giovanni si dispe-rano a vedersi privati di un fondamentale aiuto, essi non avevano un altro bue al cui lavoro affidarsi. A questo punto si pone la diversi-tà fra le due legendae: nella Legenda Perusina Francesco comprende che i parenti di Giovanni sono poveri contadini per i quali la perdi-ta del bue sarebbe un dramma per la sopravvivenza; sono essi i po-veri ai quali deve andare l’eredità di Giovanni, sostiene Francesco, il quale fa restituire il bue alla famiglia e, per non umiliarla, si fa in-vitare a pranzo per celebrare insieme il passaggio del figlio tra i Mi-nori. In Tommaso la comprensibile disperazioné dei parenti di Gio-vanni diventa avidità: dalla comprensione alla condanna. Davvero, sotto questo aspetto, il primo biografo di Francesco, che non può considerarsi tanto lontano dal santo, da cui prese l’abito113, aveva capito poco di lui, così come dei poveri e della loro condizione, pro-babilmente proprio per la sua preparazione culturale di tipo eccle-siastico e tradizionale.

La quarta differenza compare nel cap. 47 del Sacrum commer-cium: un discorso contro l’essere ilari, nonché contro un certo at-teggiamento di comprensione umana verso gli altri e di gioia inte-riore, che invece era sicuramente presente in Francesco. Qui, anco-ra di più, traspare una mentalità ecclesiastica formatasi nello stu-dio ad una visione tradizionale, che però appare già presente in molti frati nel capitolo delle stuoie114, che chiedevano come regola una tra quelle già approvate. Siamo forse di fronte ad un autore ap-prodato al francescanesimo attorno agli anni Venti, che mantiene in alcuni aspetti una visione tradizionalista, come avviene con Tom-

113 Raimondo Michetti, Francesco d’Assisi e il paradosso della «minoritas». La «Vi-ta beati Francisci» di Tommaso da Celano, Roma, Istituto Storico Italiano per il Me-dio Evo, 2004 (Nuovi studi storici, 66).114 Si veda il racconto nella Legenda Perusina, Compilatio Assisiensis 18.

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maso da Celano? Tuttavia un autore davvero tradizionalista avreb be omesso il riferimento ad Eva come causa del peccato originale? Non a tutte le contraddizioni può trovarsi risposta, il Sacrum com-mercium ci meraviglia sempre, proprio perché non è facilmente in-quadrabile: nel cap. 37 tra le virtù dei santi monaci dei primi tempi è indicata anche quella di essere «ilari nel volto, austeri nel cuore»115; e, di fronte alle posizioni più tradizionali o ecclesiastiche, troviamo il cap. 34, contrario alla pace costantiniana116, ed il cap. 21, ove sembra che la povertà sia conditio sine qua non per la salvez-za, necessaria quindi per tutta la Chiesa117; ciò richiama, come si è accennato, posizioni valdesi o – più ampiamente – dei movimenti popolari del secolo XII.

Una conclusione può comunque tracciarsi: nel 1227 e negli an-ni di poco seguenti (ma anche precedenti, benché ciò non riguar-di la datazione della nostra opera) un francescano poteva ben esse-re consapevole della novità storica del francescanesimo, proprio in rapporto alla povertà ed all’itineranza:

Conducendola [Povertà] su di un colle, le mostrarono tutto il mondo che potevano vedere, dicendo: «Questo è il nostro chiostro, signora» (cap. 63)118.

Non si dica che Francesco non insisteva troppo sulla pover-tà, poiché abbiamo visto che anche nei suoi scritti compare domi-na Paupertas e sancta paupertas, ma soprattutto si pensi al quadro della prima comunità tracciato nel Testamento, che si conclude: «e non volevamo avere di più»119. Ma nello stesso tempo l’autore del Sacrum commercium era diverso da Francesco per formazione cul-turale, sicuramente buona e legata alla scuola, se ha potuto scrivere una simile opera.

115 «vultu hilares, corde graves», Brufani, cap. 14, 5.116 Ibidem, cap. 12.117 Ibidem, cap. 6, 11-14.118 «Adducentes eam in quodam colle ostenderunt ei totum orbem quem re-spicere poterant, dicentes: “Hoc est claustrum nostrum, domina”», ibidem, cap. 31, 25.119 «et nolebamus plus habere», Testamentum 17, p. 434. Cfr. anche il già cit. versetto 24, p. 434.

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Per quale pubblico è stato scritto il Sacrum commercium, se composto negli anni precedenti la metà del secolo XIII? Credo che fondamentalmente siano i frati e quanti si muovevano attorno al movimento francescano, per edificazione ed esaltazione della nuo-va esperienza.

Ho già detto che il Sacrum commercium, oltre ad essere una storia della povertà nella Chiesa prima dei Minori, mostra allego-ricamente due momenti precisi della vita di Francesco, uno quello della ricerca di Paupertas, di cui nessuno sa dargli indicazioni, co-sa che commenta chiaramente la frase del Testamento «nessuno mi mostrava cosa dovessi fare»120; l’altro quello della primitiva comu-nità francescana ai cap. 58-63, nei quali si presenta un quadro certo idealizzato, che si preoccupa però di mostrare in concreto cosa può significare essere poveri. Questo quadro va paragonato ancora una volta con il Testamento e con la Legenda Perusina e si mostra asso-lutamente in linea con queste due fonti.

E quelli che venivano a ricevere la vita, davano ai poveri tutto quello che potevano, ed erano contenti di una sola tonaca, rammendata con pezze dentro e fuori, con cingolo e calzoni. E non volevamo avere di più. Noi chierici dicevamo l’ufficio secondo gli altri chierici, i laici di-cevano il Padre nostro e molto volentieri stavamo nelle chiese. Ed era-vamo privi di potere e sottomessi a tutti. Ed io con le mia mani lavo-ravo e voglio lavorare e voglio fermamente che tutti gli altri frati lavo-rino di un lavoro giornaliero che sia secondo onestà. Quanti non so-no capaci, lo imparino, non per la cupidigia di ricevere il compenso del lavoro, ma per esempio e per respingere l’oziosità. E quando non ci fosse dato il compenso del lavoro, ricorriamo alla mensa del Signo-re, chiedendo l’elemosina di porta in porta. Il Signore mi rivelò il salu-to, che dicessimo: «Il Signore ti dia la pace». Si guardino i frati di non ricevere affatto chiese, piccole abitazioni piccole e povere e tutte le co-se che sono costruite per loro, se non siano come conviene alla santa povertà, che abbiamo promesso nella regola, abitandovi sempre come stranieri e pellegrini121.

120 «nemo ostendebat mihi quid deberem facere», Testamentum, 14, p. 434.121 «Et illi qui veniebant ad recipiendam vitam, omnia quae habere poterant da-bant pauperibus, et erant contenti tunica una, intus et foris repeciata, cum cingulo et braccis. Et nolebamus plus habere. Officium dicebamus clerici secundum alios clericos, laici dicebant Pater noster, et satis libenter manebamus in ecclesiis. Et

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Della Legenda Perusina si considerino i due episodi del pranzo di Natale a Greccio122 e della visita del cardinale Ugolino alla Por-ziuncola123, nei quali le condizioni materiali dei frati sono ben evi-denti, tanto che nel primo Francesco si lamenta che per la festività si sia preparata una mensa con stoviglie e con suppellettili di vetro, oltre al fatto che sia stata allestita una tavola vera e propria, mentre i frati avrebbero dovuto mangiare in terra per non far sentire a disa-gio eventuali poveri che fossero entrati a mangiare con loro. Nel se-condo Ugolino si meraviglia fortemente, fino alle lacrime, vedendo le dure condizioni di vita dei frati, cosa che egli interpreta in senso ascetico, senza comprendere la loro volontà di condividere le condi-zioni degli ultimi124.

La vera conclusione del Sacrum commercium è il cap. 63, che si chiude con l’affermazione dei frati, indicando il mondo intero: «Hoc est claustrum nostrum, domina». Questa è la posizione che supera di slancio il monachesimo medievale. Che senso avrebbe con-tro il clero secolare, che vive nel mondo e non nel chiostro? E che senso avrebbe la polemica antimonastica o se si vuole l’autocoscien-za non-monastica dopo la metà del secolo XIII? Una simile sottoli-neatura non avrebbe senso nemmeno all’interno del francescane-simo della seconda metà del Duecento, quando ormai tutti i frati, anche i rigoristi, sono sacerdoti e, con i conventi spostati all’inter-no delle città, possono aspirare solo ad un usus pauper dei vari beni che posseggono. Giordano da Giano, che scrive dopo la metà del se-colo XIII, può raccontare come un ricordo degli anni Venti del Due-

eramus idiotae et subditi omnibus. Et ego manibus meis laborabam et volo labora-re et omnes alii fratres firmiter volo quod laborent de laboritio, quod pertinet ad honestatem. Qui nesciunt, discant, non propter cupiditatem recipiendi pretium la-boris, sed propter exemplum et ad repellendam otiositatem. Et quando on daretur nobis pretium laboris, recurramus ad mensam Domini, petendo eleemosynam ostiatim. Salutationem mihi Dominus revelavit ut diceremus: Dominus det tibi pa-cem. Caveant sibi fratres ut ecclesias, habitacula paupercula et omnia, quae pro ip-sis construuntur, penitus non recipiant, nisi essent sicut decet sanctam pauperta-tem, quam in regula promisimus, semper ibi hospitantes sicut advenae et peregrini (Ebrei 11, 13)», Testamentum, 16-24, ibidem.122 Compilatio Assisiensis 74, 1-17.123 Ibidem, 74, 18-24.124 Cfr. E. Pásztor, San Francesco e il cardinale Ugolino nella «questione francesca-na», in «Collectanea Franciscana» 46 (1976), pp. 233-234 (tutto l’art. pp. 209-239); ora in Eadem, Francesco d’Assisi e la «questione francescana», a cura di A. Marini, S. Maria degli Angeli-Assisi, Porziuncola, 2000, pp. 319-320 (tutto alle pp. 291-326).

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cento che al procuratore dato ai frati dai cittadini di Erfurt che gli chiede se intenda costruire un luogo col chiostro, lui stesso rispon-de di non sapere cosa sia125. «Hoc est claustrum nostrum», apertu-ra a tutto il mondo in contrapposizione alla stabilitas loci monasti-ca simboleggiata dal claustrum, è frase che meglio si adatta a tem-pi meno recenti dello sviluppo duecentesco dei francescani, come quelli ricordati da Giordano; meglio manifesta la forte coscienza di un gruppo nuovo, la consapevolezza, la gioiosità, la baldanza, quasi l’arroganza giovanile di sentirsi i migliori.

125 Chronica fratris Jordani, 43, ed. H. Boehmer, Paris 1908 (Collection d’études et de documents sur l’histoire religieux et littéraire du Moyen Âge, VI), trad. it. Crona-ca di Giordano da Giano, in Fonti francescane2, p. 1547 (tutto pp. 1527-1560).

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2. Actus beati Francisci et sociorum eius

Gli Actus beati Francisci et sociorum eius sono profondamen-te diversi dal Sacrum commercium, come si è accennato in inizio: per genere letterario, per contesto storico e per la «mitizzazione» di Francesco e delle origini francescane che in essi è operata. È diver-sa anche la situazione dei manoscritti e delle edizioni, tanto che an-cora oggi non ne esiste un’edizione critica definitiva.

Gli Actus sono una compilazione ed i manoscritti ne riporta-no capitoli in numero maggiore o minore e ne cambiano l’ordine. Dell’opera più o meno completa esistono tre famiglie di manoscritti (alle quali si rifanno successive ulteriori compilazioni): la prima fa-miglia ha un solo codice, la seconda ne ha tre, la terza sei. Le edizio-ni del XX secolo sono due, una di Paul Sabatier del 1902126 (che si ri-fà alla terza famiglia), la seconda e per ora ultima di Jacques Cam-bell, pubblicata postuma ad opera di Marino Bigaroni e Giovanni Boccali nel 1988 (che si rifà come base ad un solo manoscritto del-la seconda famiglia, ma senza una collazione completa dei codici; la collazione è fatta con gli altri due manoscritti della seconda fa-miglia e con quello unico della prima). Ci serviremo dell’ed. Cam-bell127. Non ci sono traduzioni italiane moderne complete128, ce n’è una importante (ma anch’essa incompleta e non sempre letterale) di fine secolo XIV, i Fioretti di san Francesco. A fronte del testo la-tino nell’ed. Cambell-Bigaroni-Boccali sono posti proprio i Fioretti per i capitoli comuni; per i capitoli presenti solo negli Actus è data a fronte la traduzione moderna.

I Fioretti di san Francesco, accompagnati di solito dalle Consi-derazioni sulle stimmate, sono un’opera di fine Trecento, ripresa in-teramente dagli Actus, in traduzione volgare toscana, che non ri-porta tutti i capitoli della sua fonte. Nei Fioretti gli Actus sono ab-

126 Cit.127 Già cit, come la sua riproduzione nei Fontes Franciscani, con introduzione di E. Menestò, pp. 2057-2084.128 Come già detto, gli Actus non sono compresi nelle Fonti francescane, in nessu-na delle tre edizioni.

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breviati, ma anche risistemati, ad es. i capitoli seguono un ordine cronologico più preciso. I Fioretti hanno avuto sempre una gran-de fortuna rispetto agli Actus, sia per i manoscritti molto più nume-rosi, sia per le edizioni moderne, sia per gli studi, molti dei quali di storici della letteratura e della lingua italiana129. Come fonte storica, però, i Fioretti devono ovviamente lasciare il passo agli Actus, che li precedono di circa sessant’anni. Anche i Fioretti possono essere esa-minati – sul piano storico – come opera sull’Ordine e le sue origini, ma in un contesto diverso da quello degli Actus.

2.1 Genere letterario

Gli Actus sono un’opera agiografica e quindi vanno letti con l’ottica dell’agiografia, diversamente dal Sacrum commercium. Non sono una cronaca, ma vogliono offrire la loro immagine delle origi-ni dell’Ordine, che rivivono in qualche modo nei frati marchigiani fedeli ai modelli, di cui si parla per lo più nella seconda parte.

Dal punto di vista formale, gli Actus sono una compilazione, co-me altre opere precedenti, il cui contenuto in buona parte si ritro-va in essi: la Compilatio Assisiensis (1310)130, lo Speculum perfectio-nis (1318)131, ma non sono una compilazione casuale. Gli Actus han-no una loro struttura, come lo Speculum perfectionis, anche se me-no precisa.

Va in ogni caso distinto il compilatore dal copista. Quest’ulti-mo ricopia, mentre il compilatore ha un disegno preciso dell’ope-ra che vuole mettere insieme con le fonti a sua disposizione132. Co-

129 L’opera è più conosciuta anche fuori d’Italia, per cui se ne hanno diverse tra-duzioni. Per i testo italiano si può consultare quello in Fonti francescane2, pp. 1131-1272, comprendente anche le Considerazioni sulle stimmate, oltre a quello riprodot-to a fronte nell’ed. Cambell degli Actus.130 Cit.131 Anonimo della Porziuncola, Speculum perfectionis status fratris minoris, ed. Daniele Solvi, Firenze, Edizioni del Galluzzo, 2006. Le prime edizioni dell’opera si devono ancora a Paul Sabatier: Speculum perfectionis seu S. Francisci legenda anti-quissima auctore fr. Leone, Paris 1898; Le Speculum perfectionis ou Mémoires de fré-re Léon sur la seconde partie de la vie de Saint François d’Assise, ed. postuma a cura di Andrew George Little, Manchester, I 1928, II 1932. Quest’ultima edizione è ripro-dotta in Fontes franciscani, pp. 1849-2054.132 D. Solvi, Compilatori e copisti, in «Archivum Franciscanum Historicum» 86 (1993) 111-118.

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me compilazione, gli Actus hanno uno stretto rapporto con le fonti francescane precedenti, di molti capitoli si può individuare la fonte, anche se spesso non ripresa ad litteram. Non si tratta di paralleli te-matici, come si è messo in evidenza per il Sacrum commercium, ma di dipendenze o derivazioni testuali. Ciò non toglie che vari capito-li degli Actus non abbiano precedenti in fonti a noi note, ad es. per il cap. XXIII sul lupo di Gubbio (Fioretti XXI); o il cap. XXIV, anche questo su animali, le tortore che Francesco si fa consegnare da un giovane (Fioretti XXII); il cap. X, in cui Masseo per tre volte chiede a Francesco: «Unde tibi?», «Perché a te?... perché tutto il mondo ti viene dietro?» (Fioretti X), ed altri133.

Gli Actus sono un’opera ampia, 78 capitoli ognuno dei quali ben più lungo dei paragrafi del Sacrum commercium134. Per la nostra analisi non hanno interesse le distinzioni di Cambell sui testi con «Fatti storicamente dimostrati», quelli nei quali ci sarebbe «Un fon-do di verità, intorno al quale si è ricamato», quelli «dubbi» o «inve-rosimili» o «falsi»135.

2.2 Struttura

Gli Actus comprendono due «settori»: 1) Francesco e il gruppo primitivo dei frati; 2) i frati delle Marche delle generazioni successi-ve a quella di Francesco, nella seconda metà del Duecento. Di que-sto settore – che resta fuori dalla nostra analisi – diciamo subito che all’autore interessa solo la vita di contemplazione e di preghiera dei frati, con visioni, apparizioni, estasi, senza spazio per la vita aposto-lica e comunitaria. I due «settori» non sono nettamente separati, se non a grandi linee, dato che si tratta comunque di una compilazio-ne, con tradizione manoscritta non univoca. Menestò indica quat-tro sezioni, che io ridurrei più semplicemente a tre:

1) Francesco e i suoi compagni, compresa Chiara e con l’aggiun-ta di Antonio (morto nel 1232). Si tratta dei cap. I-XLVII136, dei quali i cap. I-XXXI sempre con Francesco137. In questo blocco ci sono due

133 Per le novità e per le derivazioni di vari capitoli, Cambell, Introduzione all’ed. degli Actus pp. 51-57; per l’evoluzione del racconto ibidem, pp. 57-59.134 I Fioretti hanno 53 capitoli, più 5 delle Considerazioni sulle stimmate.135 Cambell, Introduzione, pp.51-65.136 Fioretti cap. I-XL.137 Fioretti cap. I-XXVII.

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inserzioni extra, il cap. XXII su un novizio che, volendo lasciare l’Or-dine, ha una visione138; il cap. XLVI su Corrado d’Offida139.

2) I frati della Marca di Ancona successivi anche di vari anni al-la generazione delle origini, come indica il titolo del cap. XLVIII, Mirabilia de quibusdam fratribus provincie Marchie...140. Sono i cap. XLVIII-LIX141, con l’inserzione extra del cap. LV su frate Simone d’Assisi, «in principio nostri Ordinis»142.

3) Ancora Francesco e i compagni, cap. LX-LXVIII, con l’inser-zione extra dei cap. LXIII su Pietro di Monticolo e Corrado d’Offida, «due stelle prefulgide»143, e LXIV su Giacomo da Massa144.

La struttura indicata ed alcuni riferimenti fatti mostrano co-me ci si trovi di fronte ad un’opera molto diversa dal Sacrum com-mercium e dalle altre precedentemente esaminate da Marco Barto-li, non soltanto dal punto di vista cronologico.

2.3 Titolo

Il titolo non dà problemi di traduzione e di interpretazione. Ac-tus è sostantivo latino maschile della quarta declinazione, derivato dal verbo ago; il significato è quello di azione, atto145, fatto, opera. Pur avendo le desinenze del nominativo singolare e plurale uguali, qui il sostantivo è inequivocabilmente plurale, quindi il titolo suona in ita-liano: Gli atti (i fatti, le opere) del beato146 Francesco e dei suoi compagni.

138 Fioretti cap. XX.139 Fioretti cap. XLIII.140 Fioretti cap. XLII, Di belli miracoli che fece Iddio per i sancti frati...(seguono al-cuni nomi).141 Fioretti cap. XLII-XLVII.142 Fioretti cap. XLI.143 Fioretti cap. XLIV.144 Fioretti cap. XXXIX. Non a caso di questi sette capitoli finali su Francesco e i primi frati (LX-LXII, LXV-LXVIII) nei Fioretti ne mancano gli ultimi quattro (cap. LXV-LXVIII); i tre rimanenti (Actus LX-LXII) fanno parte del primo blocco nei Fio-retti (cap. XXXVI-XXXVIII), che – come si è detto e come si è potuto constatare dal numero dei capitoli, indicato nelle note precedenti – hanno maggiore sistematicità cronologica e logica rispetto agli Actus.145 Anche nel senso di rappresentazione, quindi atto di un’opera teatrale, proprio come nel senso attuale.146 Va ricordato che tra beatus e sanctus non vi è ancora differenza ai primi del Trecento dal punto di vista canonico e del linguaggio comune.

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Actus è termine usato nella tradizione cristiana fin dai primi secoli, anche più frequentemente nella forma derivata direttamen-te dal participio perfetto passivo del verbo ago, actum, nel sostanti-vo neutro plurale acta, che ha gli stessi significati di actus, in più in-dica anche gli atti ufficiali di carattere politico, giuridico, ecc., non-ché la loro documentazione scritta (nel senso di registri ecc.). Il pen-siero corre dunque agli Acta martyrum (anche Passiones) o più di-rettamente agli Acta Apostolorum147. Dopo le vite, le legendae di san Francesco abbiamo qui gli Atti dei suoi apostoli? Stando ai titoli, sì e no; no, se si tiene conto che gli Actus sono del beato Francesco e dei suoi compagni, quindi il santo vi è inserito, benché in misu-ra minore di altre opere precedenti; sì se si tiene conto che vari tito-li delle vite ufficiali riguardano solo Francesco148. Bartoli ha presen-tato la stessa ipotesi a proposito del De inceptione vel fundamento Ordinis et actibus illorum fratrum minorum qui fuerunt primi in re-ligione et socii beati Francisci149 ed il richiamo agli Atti degli Aposto-li si ha anche da parte di Jacques Dalarun nella nuovissima edizio-ne francese delle fonti francescane150. Si tratta di una suggestione, ma bisogna tener presente che, soprattutto agli inizi del Trecento, il parallelismo tra Gesù Cristo e Francesco è molto sviluppato e che proprio negli Actus compare per la prima volta riferita a Francesco l’espressione alter Christus che, più che «un altro Cristo», significa correttamente «secondo Cristo»151.

147 Traduzione letterale del greco Práxeis Apostólon148 Ad es. Vita sancti Francisci di Tommaso da Celano (Vita I), Vita sancti Franci-sci di Giuliano da Spira, in Analecta Franciscana X, pp. 335-371, Legenda maior san-cti Francisci di Bonaventura da Bagnoregio, Liber de laudibus sancti Francisci di Bernardo da Bessa, in Analecta Franciscana III, Quaracchi 1897, pp. 666-692.149 «la parola Acta... a qualsiasi lettore medievale non poteva non richiamare gli Acta Apostolorum. Con questo titolo è possibile che l’autore intendesse suggerire un parallelo: come gli Atti degli apostoli continuano i vangeli di Gesù Cristo, descriven-do le vicende delle prime comunità cristiane, così gli Atti dei frati e dei soci della prima ora continuano la Vita di Francesco d’Assisi, narrando gli avvenimenti della prima generazione francescana», cfr. supra in questo volume, pp. 12.150 J. Dalarun, Introduction a À l’origine des Fioretti, Les Actes du bienheureux François et de ses compagnons, Paris, Éditions franciscaines-Éditions du Cerf, 2008, p. 13 (tutta pp. 9-27). Questa traduzione francese degli Actus è poi entrata nella edi-zione della varie fonti francescane François d’Assise. Écrits, Vies, témoignages.151 Marco Espositi, Conformitas, sequela e imitatio Christi negli Actus beati Fran-cisci et sociorum eius, in «Franciscana» 7 (2005), pp. 127-146.

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Scrivendo pochissimi anni prima dell’autore degli Actus, o qua-si negli stessi anni152, Angelo Clareno così inizia la sua Historia sep-tem tribulationum Ordinis Minorum153:

Quattro solenni persone scrissero la vita del povero ed umile uomo di Dio Francesco, fondatore dei tre Ordini, cioè i frati splendenti per scien-za e santità Giovanni154 e Tommaso da Celano, frate Bonaventura, uno dei ministri generali dopo il beato Francesco, e l’uomo di mirabile sem-plicità e santità frate Leone, compagno dello stesso beato Francesco.155

Siamo ormai all’equiparazione completa di Francesco a Cristo (che porterà al Liber de conformitate di Bartolomeo da Pisa verso il 1390156): Francesco ha avuto quattro evangelisti. Ma di questi quat-tro evangelisti di Francesco già parla il Liber de laudibus composto da frate Bernardo da Bessa nel 1279157. I quattro autori corrispon-

152 Nel terzo decennio del sec. XIV; 1326 secondo F. Accrocca, Introduzione a An-gelo Clareno, Liber chronicarum sive tribulationum Ordinis Minorum, ed. G. Bocca-li, S. Maria degli Angeli-Assisi, Porziuncola, 1999, p. 25; 1323-1325 secondo E. Me-nestò, Introduzione agli Actus, in Fontes Franciscani, p. 2079.153 La parte iniziale del Liber chronicarum in traduzione italiana è in Fonti fran-cescane2, pp. 1387-1440, con introduzione di F. Accrocca, pp. 1383-1386. Tutta l’opera è tradotta a fronte del testo latino nell’ed. Boccali, cit.154 Questo Giovanni da Celano non è molto noto, forse è un notaio della curia pa-pale autore di una vita di san Francesco dall’incipit Quasi stella matutina, a noi non giunta; cfr. F. Accrocca, Intorno al notaio Giovanni autore della vita di S. Francesco Quasi stella matutina, in Idem, Francesco e le sue immagini. Momenti della evoluzio-ne della coscienza storica dei frati Minori (secoli XIII-XVI), Padova, Centro Studi An-toniani, 1997, pp. 37-56, secondo il quale il notaio papale autore dell’opera è Gio-vanni da Ceprano, diverso da Giovanni da Celano, frate minore ed anch’egli notaio papale, ma più tardo (morto attorno al 1270).155 «Vitam pauperis et humilis viri Dei Francisci, trium Ordinum fundatoris, qua-tuor solemnes personae scripserunt, fratres videlicet scientia et sanctitate praecla-ri Iohannes et Thomas de Celano, frater Bonaventura, unus post beatum Franci-scum generalis minister, et vir mirae simplicitatis et sanctitatis frater Leo, eiusdem beati Francisci socius», Angelo Clareno, Liber chronicarum, p. 90. Mi servo di que-sta edizione per comodità, rinviando però anche all’altra, Historia septem tribulatio-num Ordinis minorum, ed. Orietta Rossini, introduzione e commento di Hanno Helbling, Roma, Istituto Storico Italiano per il Medio Evo, 1999.156 Bartolomeo da Pisa, De conformitate vitae b. Francisci ad vitam Domini Iesu, in Analecta Franciscana IV-V, Quaracchi 1906, 1912.157 Si ritiene che il Liber de laudibus possa essere un’opera ufficiale composta per la decisione del Capitolo generale del 1276, una nuova vita di Francesco dopo che la Legenda maior di Bonaventura era stata considerata l’unica da conservare, con la

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dono quasi interamente a quelli indicati da Angelo Clareno, con la sostituzione di frate Giuliano da Spira a frate Leone e con san Bo-naventura molto lodato. Manca dunque frate Leone, punto di riferi-mento invece dei frati spirituali:

La vita piena di virtù del beato Francesco scrisse in Italia l’uomo di squisita eloquenza frate Tommaso, per ordine del signor papa Grego-rio nono; e quella che inizia Come la stella del mattino l’uomo venera-bile – come si tramanda – signor Giovanni notaio della Sede Apostoli-ca. In Francia frate Giuliano, grande di scienza e santità... Infine con autentico e certamente discreto sermone descrisse l’esatto e più com-pleto decorso della vita l’ammirabile vaso delle grazie, contenitore di virtù e scienza, frate Bonaventura, Ministro Generale, prima eccellen-te maestro in teologia a Parigi, poi cardinale vescovo di Albano della santa romana Chiesa...158

Se Angelo Clareno attorno al 1326 all’inizio della sua storia del-l’Ordine parla di quattro autori delle vite di san Francesco, riferi-mento davvero chiaro ai quattro evangelisti, tanto da escludere, ri-spetto a Bernardo da Bessa, Giuliano da Spira per mantenere il nu-mero di quattro con l’inclusione di frate Leone, l’autore degli Actus avrebbe anche potuto pensare di aggiungere un libro su Francesco e i primi compagni, come gli Atti degli Apostoli. Al di là di simili ana-logie – sempre proposte per supposizione e per suggestione – il Li-ber chronicarum mostra una mentalità, una visione ormai consoli-data del fondatore ed un’attenzione alla storia dell’Ordine. Atten-

distruzione di tutte le precedenti (Capitoli generali 1260. 1263 e 1266). Secondo Stanislao da Campagnola, Introduzione a Sezione seconda. Biografie di Francesco d’Assisi, in Fonti francescane1, p. 248, il Liber è deludente, non presentando elemen-ti di novità. Il Liber de laudibus è riprodotto dall’ed. Quaracchi in Fontes Francisca-ni, pp. 1253-1296 (dal quale citerò).158 «Plenam virtutibus beati Francisci vitam scripsit in Italia exquisitae vir elo-quentiae frater Thomas, iubente domino Gregorio papa nono, et eam, quae incipit Quasi stella matutina, vir venerabilis dominus, ut fertur, Iohannes apostolicae Se-dis notarius. In Francia vero frater Iulianus, scientia et sanctitate conspicuus ... Po-stremo compertum plenius vitae decursum vas admirabile gratiarum, virtutum et scientiae apotheca, frater Bonaventura, generalis minister, prius excellens in theo-logia magister Parisius, postmodum sanctae Romanae Ecclesiae cardinalis et Alba-nensis episcopus..., authentico nimirum discretoque sermone descripsit...», Ber-nardo da Bessa, Liber de laudibus, p. 1253.

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zione fortemente critica e polemica in Clareno, un po’ meno nell’au-tore degli Actus, o almeno con toni attenuati.

2.4 Datazione, autore, luogo di composizione

Per la datazione ci sono riferimenti precisi a personaggi e luo-ghi, inoltre altre compilazioni francescane fanno riferimento agli Actus come opera precedente. In base a questi elementi, p. Jacques Cambell data gli Actus fra 1331 e 1337159. Altri studiosi possono anti-cipare la data, ma di pochissimi anni. Siamo quindi con ogni proba-bilità a cavallo del 1330; come scrive Enrico Menestò, 1327-1337160.

Mentre del Sacrum commercium non conosciamo l’autore e le at-tribuzioni vanno a personaggi ben noti, l’autore degli Actus è indivi-duabile quasi al cento per cento, ma non è un personaggio di rilievo. Il suo nome si ritrova tre volte nell’opera; due volte in prima persona, una volta citato da altra persona: Ugolino de Monte Sanctae Mariae:

ed io frate Ugolino di Monte Santa Maria stetti in quel luogo161 tre anni e vidi con certezza il detto miracolo162.E tutte queste cose predette le riferì a me, frate Ugolino, lo stesso fra-te Giovanni163.Questa storia la ricevette frate Giacomo da Massa dalla bocca di frate Leone; e frate Ugolino da Monte Santa Maria dalla bocca del detto fra-te Giacomo; ed io che scrivo dalla bocca di frate Ugolino, uomo degno di fede e buono.164

Quest’ultima citazione ci fa capire che gli Actus sono una com-pilazione in cui si trovano almeno due mani, quella di Ugolino e

159 Introduzione ad Actus, pp. 36-37.160 Introduzione ad Actus, in Fontes franciscani, p. 2079.161 Nel locus di Brunforte, custodia di Fermo.162 «et ego frater Hugolinus de Monte sancte Marie steti ibidem tribus annis et vidi certitudinaliter dictum miraculum», Actus cap. LV, 18, p. 498. Questa parte manca nel corrispondente cap. XLI dei Fioretti.163 Giovanni di Penna, custodia di Fermo, oggi Penna S. Giovanni in provincia di Macerata. «Et omnia predicta retulit michi Hugolino ipse fr. Iohannes», Actus cap. IX, 71; si trova in Fioretti XLV.164 «Hanc ystoriam habuit fr. Iacobus de Massa ab ore fr. Leonis; et fr. Hugolinus de Monte S. Marie ab ore dicti fr. Iacobi; et ego qui scribo ab ore fr. Hugolini, viri fide digni et boni», Actus cap. IX, 71.Tutto questo cap. manca nei Fioretti.

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quella di un altro frate, redattore successivo o suo colaboratore. Al centro dell’iniziativa sta comunque frate Ugolino Boniscambi di Monte Santa Maria165, identificato col suo nome completo da ricer-che di archivio. Come dicevo, non si tratta di persona nota nell’Or-dine minoritico. Tre documenti lo ricordano come testimone di un trattato di pace tra Massa Fermana e Amandola nel 1319; come te-ste in un processo inquisitoriale contro frate Andrea da Gagliano accusato di michelismo, poi assolto (1331)166; come consigliere fi-duciario scelto dal sacerdote Corrado da Falerone per il suo testa-mento (1342). Altro non si sa e non è fondata la data del 1260 per la sua vestizione. Intuitiva – ma assolutamente generica – la data della sua morte, considerata ovviamente post 1342.

Dove sarebbero stati composti gli Actus? Ugolino stava nel con-vento di Sarnano, ma si tratta di un frate che ha una discreta attivi-tà nelle Marche, che sono l’ambiente di composizione dell’opera e lo sfondo di molti racconti sui frati. Cambell scrive dunque che gli Actus sono composti nella provincia francescana della Marca, nel-la custodia di Fermo (a preferenza di quelle di Ascoli e di Ancona), spingendosi ad indicare anche il convento di Soffiano (oggi S. Libe-rato), a preferenza di Brunforte e Sarnano167. Il convento di Soffia-no era un luogo di Clareni:

È comunque probabile che il co-autore fosse un frate marchigiano, forse della cerchia degli amici di Angelo Clareno, che di proposito non volle rivelare il suo nome168;e si indovina facilmente il perché. Fra il 1331 e il 1337 la Curia papale non è tenera con i discepoli di fr. Angelo da Chiarino169.

Soffiano è a sei chilometri da Sarnano, si può pensare che Ugolino

165 Oggi Montegiorgio, diocesi di Fermo, provincia di Ascoli Piceno.166 Su questo personaggio si veda Edith Pásztor, Il processo di Andrea da Gaglia-no (1337-1338), in «Archivum Franciscanum Historicum» 48 (1955), pp. 252-297 (ora in Eadem, Intentio beati Francisci. Il percorso difficile dell’Ordine francescano (secoli XIII-XV), a cura di F. Accrocca, Roma, Istituto Storico dei Cappuccini, 2008, pp. 15-55); Eadem, voce Andrea da Gagliano, in Dizionario biografico degli Italiani III, Roma 1961, pp. 96-98.167 Introduzione, p. 38.168 E. Menestò, Introduzione, pp. 2077-2078.169 J. Cambell, Introduzione, p. 46. La Curia era ovviamente in Avignone, nel nostro periodo i papi furono Giovanni XXII (1316-1334) e Benedetto XII (1334-1342).

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dal suo convento di Sarnano... ami superare i sei chilometri che lo se-parano da Soffiano per raccontare i suoi ricordi a un clareno che chie-de di scriverli170.

Se si sono potuti identificare autore, data e luogo di composi-zione, va definito il contesto storico-ideologico degli Actus. Va det-to subito che la situazione storica in cui l’opera è composta è mol-to evoluta rispetto a quella in cui furono scritte le opere fin qui esa-minate, dal De inceptione (1240) alle cronache di frate Tommaso da Eccleston (1259) e di frate Giordano da Giano (1262), passan-do o partendo dal Sacrum commercium (1227-1240). Molte cose so-no successe nell’ultimo quarto del secolo XIII: l’emergere della fi-gura di Pietro di Giovanni Olivi, il problema della povertà vista co-me usus pauper dalla parte più rigorista dell’Ordine, la bolla Exiit qui seminat di Niccolò III (1279); e poi il formarsi di una minoranza ben individuabile che chiamiamo spirituali, divenuti, dopo la con-danna al rogo per eresia di quattro di essi a Marsiglia nel 1318, frati-celli de paupere vita, la crisi degli anni 1322-1324 tra papa e gruppo dirigente francescano, fino alla ribellione ed alla fuga da Avignone in Germania, presso l’imperatore Ludovico il Bavaro, del ministro generale Michele da Cesena, con Bonagrazia da Bergamo e Gugliel-mo d’Ockam, da cui nacquero i fraticelli de opinione171.

Lo scontro verteva ancora sulla teoria e sulla pratica della po-vertà; la teoria proponeva il problema se Cristo e gli Apostoli, oltre a non possedere nulla in proprio, avessero posseduto qualcosa in co-mune; la negazione francescana di tale possesso da parte del capito-lo generale di Perugia del 30 maggio 1322 e delle gerarchie dell’Or-dine, che pure avevano partecipato alla condanna degli spirituali, fu ritenuta eretica da Giovanni XXII nelle bolle Ad conditorem cano-

170 J. Cambell, Introduzione, p. 46.171 Gratien de Paris, Histoire de la fondation; G.G. Merlo, Nel nome di san France-sco. Molto è stato scritto sugli Spirituali francescani, Manselli ad esempio vi è tor-nato varie volte fino alla sua scomparsa. Per un’agile esposizione si può oggi con-sultare un suo libretto, che ha il limite ma anche il fascino di un’opera incompiuta, pubblicata a vent’anni esatti dalla sua morte, I primi cento anni di storia Francesca-na, a cura di A. Marini, Cinisello Balsamo, San Paolo, 2004, ed anche la voce di Giu-lia Barone, Spirituali, in Dizionario degli istituti di perfezione, VIII, Roma 1988, coll. 2034-2040, ripubblicata in Eadem, Da frate Elia agli Spirituali, Milano, Biblioteca francescana, 1999, pp. 173-179.

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num dello stesso anno e Cum inter nonnullos del 1223172. Questo è uno di quei punti di disputa che ha fatto parlare di «povertà pen-sata». Ma il contesto storico può essere abbozzato qui soltanto per sommi capi. Va aggiunto che gli spirituali ebbero una volontà conti-nuata di raccogliere testimonianze su Francesco assenti e cancella-te nella Legenda maior, connettendosi soprattutto a frate Leone che, morto nel 1271, fu personalmente noto a non pochi di loro.

Gli Actus derivano quindi dal contesto spirituale-fraticellesco ma, se le posizioni sono chiare, la polemica è sfumata rispetto ai to-ni di Angelo Clareno, anche se l’autore-compilatore si serve della sua Historia septem tribulationum. Le Marche erano una delle zone di maggior concentrazione dei frati radicali, spirituali e fraticelli. Attorno al 1330 appartenevano ai clareni 173, nelle Marche, i conven-ti di Soffiano, Grotta dei frati e lo Scoppio di Amandola.

2.5 Caratteristiche interne degli Actus

Gli Actus sono un’opera compilatoria, ma anche composita – cioè la compilazione non è del tutto unitaria nella scelta dei brani – e riportabile non ad un autore unico. Tuttavia è ben riconoscibile l’ispirazione spirituale-fraticellesca, a partire dallo spazio dato alla contemplazione, all’ascesi, alla vita solitaria dei frati, fino all’aspet-to eremitico, elemento che gli spirituali avevano accentuato (si ri-cordi che a Francesco risale anche una Regula pro eremitoriis), nelle persecuzioni subite al passaggio tra Duecento e Trecento174. La con-templazione non è soltanto preminente per i frati della Marca, ma è sottolineata anche in Francesco e nei suoi primi frati, fin dai capito-li iniziali. Ad es. nel cap. II si racconta che Bernardo per ben tre vol-te non rispose alla chiamata di Francesco perché «stava nella selva

172 Andrea Tabarroni, Paupertas Christi et Apostolorum. L’ideale francescano in di-scussione (1322-1324), Roma, Istituto Storico Italiano per il Medio Evo, 1990.173 Derivati dai pauperes heremitae domini Coelestini. Si veda Gian Luca Potestà, Angelo Clareno dai poveri eremiti ai fraticelli, Roma, Istituto Storico Italiano per il Medio Evo, 1990; ed anche l’agile F. Accrocca, Angelo Clareno. Seguire Cristo pove-ro e crocifisso, Padova, Messaggero, 1994. Angelo Clareno francescano. Atti del XX-XIV Convegno internazionale (Assisi, 5-7 ottobre 2006), Spoleto 2007.174 Eremitismo nel francescanesimo medievale. Atti del XVII convegno internazio-nale della Società Internazionale di Studi francescani (Assisi, 12-14 ottobre 1989), Assisi 1991.

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nella contemplazione divina, tutto attratto ed unito al Signore»175, tanto da non sentire nemmeno la voce dell’amico e padre.

Al cap. III (Fioretti IV) un angelo appare prima «in quadam lo-co176 deserto» a frate Masseo e a frate Elia, mentre Francesco sta-va a sua volta «in silva ad orandum»; subito dopo appare a Bernar-do sulla via del ritorno da Santiago de Compostela e «in un batter d’occhio»177, presolo per mano, gli fa attraversare un grande fiume dalle acque profonde.

E a Francesco – tra l’altro – appaiono i santi Pietro e Paolo a Roma nella basilica di S. Pietro178; Cristo appare in mezzo ai fra-ti mentre essi insieme a Francesco parlano di Dio179, e così France-sco, Chiara ed alcuni compagni furono rapiti in Dio alla Porziunco-la, con tale fervore che gli uomini di Assisi credettero vi fosse scop-piato un incendio nella chiesa (S. Maria degli Angeli), nel conven-to e nella selva ed accorsero a spegnerlo180. E ancora, Cristo appa-re a frate Rufino afflitto da una tentazione181, e così via. Tutto ciò in-dica non soltanto una tendenza dei frati spirituali verso la contem-plazione e l’eremo, ma anche un’evoluzione del racconto verso il leggendario – con elementi anche della fiaba, come nell’attraversa-mento del fiume di Bernardo con l’Angelo – ed una mitizzazione del fondatore e del gruppo delle origini; tale mitizzazione serve anche a rafforzare il valore degli ideali originari di povertà, umiltà, emar-ginazione, preghiera rispetto all’evoluzione dell’Ordine dei Minori, con i possessi, i successi, gli insediamenti urbani sempre più gran-di. In tal senso è fondamentale il capitolo iniziale:

Per prima cosa bisogna sapere che il beato padre nostro Francesco fu conforme a Cristo in tutti i suoi atti. Infatti come Cristo benedetto al prin-cipio della sua predicazione prese con sé dodici apostoli che abbandona-rono tutto, così il beato Francesco ebbe dodici scelti compagni che scel-

175 «stabat in silva in contemplazione divina, totus tractus et unitus ad Domi-num».176 Il termine locus indica l’abitazione dei frati, prima che si affermassero il termi-ne e la forma architettonica “convento”. In questo caso appare però più generico.177 «in ictu oculi», Actus III, 35.178 Cap. XIII (Fioretti cap. XIII).179 Cap. XIV (Fioretti cap. XIV).180 Cap. XV (Fioretti cap. XV).181 Cap. XXXIII (Fioretti cap. XXIX).

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sero l’altissima povertà. E come uno dei dodici apostoli si impiccò, così uno dei dodici compagni predetti, di nome frate Giovanni della Cappella, si impiccò. E come quei santi apostoli furono ammirabili a tutto il mon-do e pieni di Spirito Santo, così quei santissimi compagni di san France-sco furono uomini di tanta santità, che dal tempo degli apostoli il mondo non ne ebbe tali. Infatti uno di loro fu rapito fino al terzo cielo, come frate Egidio; uno fu toccato alle labbra da un angelo con una pietra infuocata come Isaia, cioè frate Filippo Longo; uno parlava con Dio come amico ad amico, cioè il purissimo frate Silvestro; uno volava alle luci della sapienza divina come un’aquila, cioè l’umilissimo frate Bernardo, che spiegava le scritture profondissime; uno fu santificato da Dio e canonizzato in cielo mentre ancora viveva in questo mondo, quasi santificato nell’utero, cioè frate Rufino, nobile di Assisi, uomo fedelissimo a Cristo. Così tutti rifulse-ro per una prerogativa speciale, come apparirà più avanti.182

Da questo brano che dà inizio agli Actus deriva che Francesco è sempre conforme a Cristo e che perciò ebbe dodici «electos socios», come Cristo prese dodici apostoli. Ciò cambia i dati delle fonti più antiche (a parte il De inceptione), che indicano il gruppo originario formato da dodici frati compreso Francesco 183. La simbologia è evi-dente: nelle prime fonti Francesco è uno degli apostoli, negli Actus Francesco è come Cristo e i suoi frati sono come gli apostoli. Di sei di questi dodici frati si sottolineano anche le prerogative particola-

182 «Primo ergo sciendum est quod b. p. n. Franciscus in omnibus suis actibus fuit Cristo conformis. Nam sicut Cristus benedictus in principio sue predicationis as-sumpsit sibi duodecim apostolos omnia relinquentes, ita b. Franciscus habuit duo-decim electos socios paupertatem altissimam eligentes. Et sicut unus de duodecim apostolis laqueo se suspendit, ita unus de duodecim sociis predictis, fr. Iohannes de capella nomine, laqueo se suspendit. Et sicut illi sancti apostoli fuerunt toti mundo admirabiles et pleni Spiritu sancto, ita illi ss.mi socii s. Francisci fuerunt homines tante sanctitatis, quod a tempore apostolorum mundus non habuit tales. Nam quidam eorum fuit raptus usque ad tertium celum, ut fr. Egidius; quidam tactus fuit labiis ab angelo calculo ignito sicut Isaias, videlicet fr. Philippus Longus; quidam loquebatur cum Deo ut amicus amico, videlicet fr. Silvester purissimus; quidam volabat ad divine sapientie lumina ut aquila, scilicet fr. Bernardus humilli-mus, qui scripturas profundissimas declarabat; quidam fuit sanctificatus a Domi-no et canonizatus in celo, dum adhuc viveret in hoc mundo, quasi sanctificatus in utero, scilicet fr. Rufinus, nobilis de Assisio, vir Cristo fidelissimus. Et sic omnes speciali prerogativa fulserunt, sicut infra apparebit», cap. I, 1-9 (Fioretti cap. I).183 Silvia Romanelli, Sequela, imitatio e conformitas in fonti francescane “non uf-ficiali”, in «Franciscana» 7 (2005), pp. 89-126.

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ri, che li avvicinano ad un apostolo (Egidio tratto fino al terzo cielo come san Paolo) o ad un profeta (Filippo Longo ad Isaia); e si crea addirittura un’analogia tra Giovanni della Cappella – ricordato co-me uno dei primi frati nelle fonti duecentesche – e Giuda, poiché si dice che Giovanni, «unus de duodecim sociis», si impiccò.

Negli Actus giunge a maturazione un concetto già presente nel-le legendae del Duecento, soprattutto in Bonaventura, che France-sco fu conforme a Cristo e quasi un secondo Cristo sulla terra184. La conformità di Francesco a Cristo tende però a diventare da interio-re ad esteriore, in azioni e avvenimenti al di là della volontà di Fran-cesco stesso, come si è visto per Giovanni della Cappella. L’evolu-zione ulteriore porterà dalla conformità (conformitas) alle confor-mità (conformitates), per cui Francesco sarebbe nato nella stalla della sua casa ed avrebbe chiesto di essere sepolto su quello che era il “colle dell’Inferno”, dove fu costruita la grande basilica, poiché là vi erano «le forche dei malfattori», il luogo delle esecuzioni capitali, ancora fuori dalla città quando Francesco era vivo185.

Gli Actus sono così la prima fonte a noi nota che definisce espli-citamente Francesco «quasi alter Christus», laddove alter – come detto sopra – significa non un altro come tanti (alius), ma altro fra due, quindi secondo. Ciò è nel cap. VI, ove si torna ad affermare che Francesco è conforme a Cristo per tre «manifestazioni»: il gruppo dei dodici compagni, il mistero delle stimmate della croce, un di-giuno totale in una quaresima trascorsa su un’isola del lago Trasi-meno, quindi per quaranta giorni come Cristo186.

184 Federico Fascetti, Sequela Christi, imitatio e conformitas nelle opere di Bona-ventura da Bagnoregio su san Francesco, in «Franciscana» 9 (2007), pp. 13-41. Si ve-da anche S. Romanelli, Sequela, imitatio e conformitas nell’opera di Tommaso da Celano, ibidem 11 (2009), pp. 49-93; Barbara Piraccini, Sequela, imitatio e confor-mitas nell’Arbor vitae di Ubertino da Casale, ibidem pp. 95-122.185 «Onde, quando poi el nostro patre sancto Francesco fo appresso a la morte, li soy compagni lo adomandaro dicendo: “Padre, dove voli essere sepellito?”. Et illo respuse: “Dove sonno le forche de li malefactori”. La qual cosa così poi fo facto, in-peroché dove è mo’ lo altare maiure, ivi era ià el locho della iustitia», Vita del pove-ro et humile servo de Dio Francesco dal ms. Capponiano-Vaticano 207, ed. M. Biga-roni, Introduzione di A. Marini, S. Maria degli Angeli – Assisi, Porziuncola, 1985, cap. 80, p. 273; quest’opera è databile alla metà del XIV secolo, quindi è di poco suc-cessiva agli Actus e precedente ai Fioretti.186 Cap. VI, 1 (Fioretti cap. VII). M. Espositi, Conformitas, sequela e imitatio Chri-sti negli Actus beati Francisci et sociorum eius.

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Si potrebbe notare una sorta di contraddizione sulla figura del traditore. Se si dice che come Giuda fu Giovanni della Cappella, per il fatto che si impiccò, non si spiega in cosa tradì. Invece il vero tra-ditore – anche se non è equiparato a Giuda – è raffigurato in frate Elia, secondo la tradizione dei frati spirituali, che ha il suo esempio più evidente in Angelo Clareno. Elia, però, non è tra i primi dodici compagni, quindi l’equipararlo a Giuda non avrebbe potuto costitu-ire una conformità del tipo esteriore indicato sopra.

Elia è iroso, tanto da trattare malissimo l’angelo apparso nel-l’aspetto di un giovane187, sicché Francesco lo rimprovera e predi-ce la sua morte fuori dell’Ordine188. Questa predizione è raccontata nuovamente al cap. LXII, insieme alla sua realizzazione189. Qui, inol-tre, Elia chiede devotamente a Francesco di pregare per lui affinché non si realizzi l’ulteriore predizione della sua dannazione. Grazie al-le preghiere di Francesco, Elia in punto di morte fu assolto e riebbe l’abito. La figura di Elia, invisa non soltanto agli spirituali, ma a tutti gli scrittori dell’Ordine, dopo la sua deposizione e la sua scomunica (1239), ha avuto una pessima fama fino agli storiografi relativamen-te recenti, come Paul Sabatier. È stata però rivalutata dagli studi de-gli ultimi decenni190. A parte il fatto che la scomunica gli venne tol-ta prima che morisse, certo non possono risalire a lui – molto lega-to a Francesco, anch’egli laico e non certo favorevole alla clericaliz-zazione dell’Ordine, che avvenne dopo la sua deposizione – decisio-ni come quella indicata dagli Actus che i frati non mangiassero car-ne, norma che sarebbe stata imposta quando Elia era «vicarius»191.

Il Pietro del gruppo dei dodici apostoli francescani – anche se non vi è una tale espressa conformità – comunque il più fedele se-guace di Francesco negli Actus è Bernardo di Quintavalle, suo pri-mo compagno, cui il santo dà la sua ultima benedizione indicando-lo come suo successore alla guida dei frati192. A Bernardo sono de-

187 Cap. III, 11-26 (Fioretti cap. IV).188 Cap. III, 27-28.189 Fioretti cap. XXXVIII.190 G. Barone, Frate Elia, in Eadem, Da frate Elia agli Spirituali, pp. 29-72; Ead., Frate Elia: suggestioni da una rilettura, ibidem pp. 73-86. Si veda anche Pietro Mes-sa, Frate Elia da Assisi a Cortona. Storia di un passaggio, Cortona, Accademia Etru-sca-Cortona francescana, 2005.191 Cap. III, 24.192 Cap. V, 12-16 (Fioretti cap. VI).

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dicati i primi cinque capitoli degli Actus193, egli diviene il principale protagonista, dopo san Francesco.

Da notare l’assenza completa di Pietro Cattani, mai nominato negli Actus, benché fosse – con Bernardo – anch’egli primo discepo-lo di Francesco e divenisse anche nel 1220, alle dimissioni di Fran-cesco, il suo primo “vicario” (o vero e proprio ministro generale), carica che tenne solo per sei mesi perché morì. Dopo di lui divenne vicario/ministro Elia.

La conformità di Francesco a Cristo e dei primi compagni agli Apostoli si coniuga di solito con l’equiparazione della regola mino-ritica al Vangelo, elemento evidentissimo ad es. in Angelo Clare-no. Ciò mi pare però assente, almeno in maniera esplicita, negli Ac-tus. L’accentuazione degli aspetti contemplativi e la mitizzazione del fondatore e del gruppo dei suoi primi compagni pone in secon-do piano la base normativo-giuridica dell’Ordine. Così non mi sem-bra mai citato il Testamento di Francesco, oggetto di contestazio-ne nell’Ordine fin dalla Quo elongati di Gregorio IX nel 1230 e te-sto fondamentale per i rigoristi. L’aspetto direttamente polemico è quindi sfumato negli Actus ed espresso a volte per allusioni, peral-tro chiare al lettore dell’epoca. Quindi nel parallelismo con Cristo e gli Apostoli si pone come caratteristica sia del gruppo apostolico sia di quello francescano la povertà:

Come Cristo benedetto al principio della sua predicazione prese con sé dodici apostoli che abbandonarono tutto, così il beato Francesco eb-be dodici scelti compagni che scelsero l’altissima povertà.194

Nella mitizzazione delle origini, i primi frati negli Actus sono dei santi, quindi scompaiono gli scontri diretti. La Legenda Perusi-na racconta due drammatici capitoli generali, quello delle stuoie, in cui vi è lo scontro di Francesco con i frati dotti che volevano as-sumere una delle regole già esistenti195; e quello in cui il santo si di-

193 I titoli dei primi cinque capitoli indicano sempre Bernardo (Fioretti cap. II-VI).194 «Sicut Cristus benedictus in principio sue predicationis assumpsit sibi duode-cim apostolos omnia relinquentes, ita b. Franciscus habuit duodecim electos socios paupertatem altissimam eligentes» (corsivi miei), cap. I, 2 (Fioretti cap. I).195 Compilatio Assisiensis, 18, il capitolo delle stuoie è forse del 1219, ma datato anche dopo il 1220.

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mise da ministro generale196. Ma negli Actus, che pure danno am-pio spazio al capitolo delle stuoie nel lungo cap. XX197, non c’è trac-cia dello scontro interno. Si racconta che era presente il cardina-le Ugolino e che Francesco gli predisse l’elezione a papa: si sottoli-nea dunque la soprannaturale capacità di predizione del santo inve-ce del suo scritturale voler essere «un nuovo pazzo nel mondo»198. Si racconta che fu presente anche san Domenico, che rimase molto edificato dalla povertà dei frati e della loro fiducia nella Provviden-za, notizia che non si trova nelle legendae duecentesche e che pone i Minori come esempio anche per i Domenicani. Si racconta – altra accentuazione del miracoloso – che Gesù stesso ispirò gli abitanti di Perugia, Spoleto, Foligno, Assisi e Spello a portare cibo ai frati, che erano in gran numero. L’unico antagonista è Elia, come si è visto, ma non si presenta il racconto delle dimissioni di Francesco.

Un altro piccolo esempio dell’attenuazione delle asperità nel-la vita dei santi si ha nel racconto della visione di Chiara nella not-te di Natale199. La santa, malata, non può recarsi al mattutino, men-tre tutte le sue sorelle vanno a celebrarlo nella basilica di S. France-sco. Lei è lasciata sola, «cum non parva... desolatione» da parte sua; ma miracolosamente vede ed ode tutto ciò che avviene nella chiesa, partecipando così al gaudio natalizio200. Il racconto è già presente nel processo di canonizzazione, narrato dalla testimonianza di tre monache di S. Damiano, e nella Legenda sanctae Clarae virginis at-tribuita a Tommaso da Celano201. La teste Balvina de messere Mar-tino da Coccorano e la Legenda raccontano non solo che Chiara re-sta molto dispiaciuta, ma anche che al ritorno delle sorelle (Balvi-na) o al mattino dopo (Legenda) espresse tale dispiacere con un de-licato rimprovero:

196 Ibidem 11 e passim, l’episodio è da collocarsi tra il 1220 ed il 1221.197 Fioretti cap. XVIII.198 «Et dixit Dominus michi, quod volebat quod ego essem unus novellus pazzus in mundo», Compilatio Assisiensis, 18, 6. Il rinvio è a san Paolo, che scrive spesso della “stoltezza” della croce, in particolare 1Cor 1, 23: «noi invece annunciamo Cri-sto crocifisso,, scandalo per i giudei e stoltezza per i pagani». 199 Cap. XLI (Fioretti cap. XXXV).200 Per questa visione da lontano Chiara è stata dichiarata patrona della tele-visione.201 L’attribuzione è dimostrata valida da Marco Guida, Legenda sanctae Clarae virginis. Analisi storico-critica di una fonte della spiritualità medievale, Roma, Ponti-ficia Università Gregoriana, 2008.

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Balvina: Voi me lassaste qui sola... ma lo Signore me ha ben provvedu-ta, perché non me poteva levare del letto202.Legenda: Benedetto il Signore Gesù Cristo che, mentre voi mi avete abbandonato, non mi abbandonò203.

Nemmeno di questo piccolo rimprovero rimane segno negli Actus:

Rendo grazie al signore mio Gesù Cristo benedetto, sorelle e figlie mie carissime, perché sono stata consolata più di voi per tutte le solennità di questa notte ed altre più grandi e devote... Per cui gioite della grazia così grande fattami e lodate con tutto il cuore Cristo Gesù benedetto204.

È da aggiungere anche in questo racconto degli Actus l’amplifi-cazione leggendaria: oltre che al mattutino, le monache partecipa-no alla messa della Natività e si comunicano devotamente. Ma an-che Chiara non si limita a vedere e udire da lontano: «in più nello stesso luogo [la basilica di S. Francesco] ho preso la santa comunio-ne», dice alle sorelle205.

Per comprendere quale visione e coscienza dell’Ordine – oltre che di Francesco e dei singoli frati – avesse Ugolino da Monte S. Ma-ria si possono esaminare tre capitoli.

Al cap. XIII la povertà è esemplificata nella penuria delle cose materiali e nella gioia di ricevere tutto in dono, anche la bellezza del creato. I toni sono molto simili a quelli del Sacrum commercium:

Il mirabile servo di Dio e vero discepolo di Cristo san Francesco, per conformarsi a Cristo in tutte le cose, come il Salvatore mandò i suoi

202 Processo di canonizzazione di santa Chiara, Settima testimonia, in Fonti fran-cescane2, p. 1863.203 «Benedictus Dominus Iesus Christus, qui me, vobis relinquentibus, non reli-quit», Legenda latina sanctae Clarae virginis Assisiensis, ed. G. Boccali, S. Maria de-gli Angeli, Porziuncola, 2001, cap. 19, 9, pp. 160-161 (i corsivi sono miei). In Fonti francescane2, p. 1920, il capitolo è il 29, seguendo la numerazione del primo edito-re della Legenda sanctae Clarae virginis Francesco Pennacchi, Assisi 1910; quest’ul-tima è riprodotta in Fontes Franciscani, pp. 2415-2451.204 «Gratias ago Domino meo Ihesu Cristo benedicto, sorores et filie mee carissi-me, quia ad omnia sollempnia huius noctis et ad maiora et devotiora quam vos ex-titi consolata... Unde de tanta gratia michi facta gaudete et Cristum Ihesum bene-dictum toto corde laudate», Actus cap. XLI, 7, 9, p. 410.205 «insuper ibidem sacram communionem suscepi», ibidem v. 8.

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discepoli a due a due in ogni città e luogo nel quale egli stesso sareb-be andato, così san Francesco, dopo che ebbe alcuni compagni, arri-vati al numero di dodici, li disperse per il mondo a due a due per predi-care. E per mostrare agli altri l’esempio di vera obbedienza in sé, egli per primo sull’esempio di Cristo benedetto cominciava a fare piutto-sto che insegnare. Così una volta, assegnando con gli altri compagni le varie parti del mondo, egli, scelto come compagno frate Masseo, prese la strada verso la provincia di Francia.Andando insieme, arrivarono ad alcune abitazioni di fedeli, per cui, per la necessità del corpo dovevano mendicare, come dice la regola, co-sicché san Francesco andò per una contrada e frate Masseo per un’al-tra. San Francesco, che era spregevole e piccolo e perciò tra persone sconosciute veniva quasi disprezzato da tutti, perché l’occhio dell’insi-pienza umana giudica non le cose di dentro ma solo quelle di fuori, rac-colse perciò bocconi e piccoli pezzi di pane secco; invece a frate Mas-seo, che era un uomo bello e grande, ne furono dati di più e di migliori.Essendosi poi ritrovati in un luogo fuori dall’abitato per prendere il ci-bo insieme, non trovavano che il suolo di terra dove poter appoggiare le elemosine raccolte, perché quella regione era del tutto priva di pietre. Alla fine per volere divino arrivarono ad una fonte, nel cui margine c’era una pietra bella e grande; rallegrandosi molto di ciò, posero su quella pietra i pezzetti di pane procuratisi. Quando san Francesco vide che i pezzi di pane di frate Masseo erano più belli e di più dei suoi, esultando nello spirito per il desiderio di povertà disse: «O frate Masseo, noi non siamo degni di un così grande tesoro». E ripeté ciò più volte, alzando gradatamente la voce. Rispose frate Masseo: «Padre carissimo, come si può parlare di tesoro dove c’è tanta penuria: perché qui non c’è tovaglia né coltello né altro per tagliare né scodella né casa né tavolo né servo né serva?». Rispose san Francesco: «Ed io reputo ciò un grande tesoro, do-ve non c’è niente di ciò che prepara l’operosità umana. Ma tutto ciò che c’è è servito dalla provvidenza divina, come appare chiaramente nel pa-ne ottenuto, nella pietra così bella e nella fonte tanto limpida. Per cui voglio che preghiamo Dio che ci faccia amare con tutto il cuore il tesoro tanto nobile della santa povertà, che ha Dio per amministratore».Ed avendo preso di quei pezzetti e della fonte, di cibo e bevanda con gioia e con lodi di Dio, si alzarono per dirigersi verso la Francia206.

206 «Mirabilis Dei servus et verus Cristi discipulus s. Franciscus, ut Cristo se in omnibus conformaret, sicut Salvator misit discipulos suos binos in omnem civita-

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Nel cap. XXV c’è una nota visione, comune ad altre fonti fran-cescane, con alcune varianti: quella della statua raffigurante l’Ordi-ne e la sua decadenza progressiva. Il riferimento è alla statua appar-sa in sogno a Nabucodonosor in Daniele 2, 31-35; la visione è pre-sente in Clareno, che però parla di un angelo207. L’aveva riportata brevemente anche Tommaso da Celano208, parlando di una donna o signora (domina) ed indicando varie interpretazioni, ma negando esplicitamente quella della storia dell’Ordine. A Francesco, mentre pregava a S. Maria degli Angeli, apparve una grande statua con la testa d’oro ed una faccia bellissima, il petto e le braccia d’argento, il

tem et locum quo erat ipse venturus (Luca 10, 1), ita postquam s. Franciscus aliquos socios habuit, ad duodenarium numerum congregatos, binos per mundum ad pre-dicandum dispersit. Et ut exemplum aliis in se monstraret de vera obedientia, ipse prior exemplo Cristi benedicti incipiebat facere quam docere. Unde quodam tempo-re cum ceteris sociis partes orbis varias adsignans, ipse, electo sibi fr. Masseo pro so-cio, versus provinciam Francie iter arripuit. Cum vero irent pariter, pervenerunt ad habitationes quasdam fidelium: unde pro necessitate corporis oportebat eos, prout dicit regula, mendicare; ita quod s. Franciscus ivit per unam contratam, fr. vero Masseus per aliam. Sanctus vero Franciscus, qui erat despectus et parvus, et prop-terea inter ignotos quasi despiciebatur ab omnibus, quia humane insipientie oculus non illa que intus sed solum illa que foris iudicat, ideo ipse sanctus quosdam bolos vilis panis et frusta parvula conquisivit; sed fr. Masseo, qui erat pulcher homo et ma-gnus, dati fuerunt plures et pulcriores. Cum autem ambo extra terram in quodam loco, ut simul cibum sumerent, convenissent, non inveniebant nisi solum terre ubi locarent elemosinas conquisitas, quia regio illa erat omnino nuda lapidum. Tandem nutu divino pervenerunt ad quemdam fontem, in cuius margine collocatus erat la-pis pulcher et latus; de quo valde gavisi, super lapidem illum acquisita panis frag-mentula posuerunt. Cum vidisset autem s. Franciscus quod frusta panis fr. Massei essent pulcriora et plura quam sua, exultans in spiritu pro desiderio paupertatis, ait: “O fr. Massee, nos non sumus digni de tam magno thesauro”. Et hoc, elevando vo-cem gradatim, pluries replicavit. Respondit fr. Masseus: “Pater carissime, quomodo potest dici thesaurus, ubi est tanta penuria: quod nec est ibi tobalia nec cultellum nec incisoria nec scutella nec domus nec mensa nec famulus nec ancilla?”. Respon-dit s. Franciscus: “Et hoc ego reputo magnum thesaurum, ubi nichil est de hiis que preparat humana industria. Sed quicquid adest, totum a providentia ministratur di-vina, sicut manifeste apparet in pane acquisito, in lapide tam pulcro et in fonte tam limpido. Unde volo quod rogemus Deum, ut thesaurum s. paupertatis tam nobile, qui habet administratorem Deum, faciat nos toto corde diligere”. Et de illis frustulis et fonte, cibo et potu gaudenter et cum laudibus divinis assumpto, surrexerunt ut versus Franciam pergerent», Actus cap. XIII, 1-14, pp. 208-212 (Fioretti cap. XIII).207 Sia nel Liber chronicarum, Prologus, pp. 148-152, sia nell’Expositio super regu-lam fratrum minorum, ed. G. Boccali, Introduzione di F. Accrocca, S. Maria degli Angeli, Porziuncola, 1995, pp. 298-304.208 Vita II, 82.

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ventre e le cosce (femora) di bronzo, le gambe (tibias) di ferro, i piedi in parte di ferro ed in parte d’argilla. Era vestita di sacco e sembra-va vergognarsi molto di tale veste. Al santo, che restò molto meravi-gliato, la statua disse: «Perché ti meravigli? Dio ti ha mandato que-sto esempio perché tu in me possa imparare ciò che avverrà circa il tuo Ordine»209. I vari materiali di cui è composta la statua mostrano chiaramente una decadenza attraverso cinque stati dal capo, le ori-gini, i primi frati, fino a quelli più tardi, con elementi dettagliati per i singoli periodi, ad es. nel secondo stato, quello d’argento, prezioso ma inferiore all’oro, ci saranno frati preziosi nella conoscenza del-le Scritture, splendenti per santità e sublimi, tanto che molti saran-no chiamati all’episcopato, uno al cardinalato ed uno al papato. Ma nell’ultimo stato i frati arriveranno, tra i vari abomini, a vergognarsi della povertà simboleggiata dalla veste di sacco, benché la povertà sia «decoro e specchio di tutto l’Ordine e custodia singolare e coro-na e fondamento di ogni tipo di santità»210. «Ma beati saranno quel-li, che in quei pericolosi giorni torneranno ai moniti del prezioso ca-po, perché il Signore li proverà come oro nella fornace e come olo-causti del cuore li incoronerà e li accoglierà in eterno»211.

Una visione discendente dell’Ordine, dunque, all’opposto di quel-la di Bonaventura, che aveva paragonato positivamente lo sviluppo dell’Ordine a quello della Chiesa, dai pescatori ai grandi dottori212.

Il cap. V, De morte gratiosa fr. Bernardi, è non soltanto un’esaltazio-ne del primo compagno di Francesco, ma l’investitura della successio-ne del fondatore a lui ed attraverso di lui ai frati fedeli all’aureo capo. Ciò è in netta contrapposizione a frate Elia, anche se non si può affer-mare che sia in contrapposizione alla linea gerarchica dei ministri ge-nerali. Si inizia sottolineando la santità di Bernardo, del quale a Fran-

209 «Quare miraris? Deus hoc exemplum misit ad te, ut in me disceres que circa tuum Ordinem sint futura», cap. XXV, 4.210 «totius Ordinis decor et speculum et custodia singularis et corona et funda-mentum omnimode sanctitatis», cap. XXV, 34.211 «Beati autem erunt, qui in illis periculosis diebus ad pretiosi capitis monita re-verterentur, quia tanquam aurum in fornace probavit illos Dominus et quasi holo-causta medullata coronabit et accipiet in eternum (Sap. 3, 6)», cap. XXV, 33.212 Epistola de tribus quaestionibus, in S. Bonaventurae Opera omnia, VIII, Qua-racchi 1898, p. 336 ab; cfr. Giovanni Miccoli, Di alcuni passi di Bonaventura sullo sviluppo dell’ordine francescano, in Idem, Francesco d’Assisi. Realtà e memoria di un’esperienza cristiana, Torino, Einaudi, 1991, pp. 264-280 (la citazione specifica a p. 272 e in nota a pp. 279-280).

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cesco fu rivelato che sarà «unus de commensalibus regni Dei»; si ricor-di la predizione di Francesco sulla dannazione di Elia, che poi non av-venne per le preghiere del santo. Il quale, sottolineano gli Actus, nutri-va un grande affetto per Bernardo. Centrale in questo contesto è la be-nedizione di Francesco morente a Bernardo, invece che ad Elia, vica-rio/ministro presente anch’egli al capezzale del santo; una benedizione che è anche un’elezione di Bernardo a suo successore, con ogni potere.

Per cui alla morte del beato Francesco, come il patriarca Giacobbe il santo disse ai figli presenti e che lacrimavano devotamente per l’allonta-narsi del padre tanto amabile: «Dov’è il mio primogenito? Vieni, figlio, perché l’anima mia ti benedica prima di morire». Allora frate Bernar-do disse in segreto a frate Elia, che era vicario dell’Ordine: «Padre, va’ al-la destra del santo perché ti benedica». Ma quando frate Elia si pose al-la sua destra e san Francesco, quasi cieco a causa delle lacrime, pose la mano destra sul capo di Elia, disse: «Questo non è il capo del mio pri-mogenito frate Bernardo. Allora frate Bernardo andò alla sua sinistra. Allora san Francesco, scambiando le mani con le braccia incrociate, po-se la sinistra sul capo di frate Elia e la destra sul capo di frate Bernardo, dicendo a frate Bernardo: «Ti benedica il Padre del signore Gesù Cristo di ogni benedizione spirituale nei cieli in Cristo. Così come sei il primo eletto in questo Ordine a dare l’esempio evangelico, ad imitare Cristo nell’evangelica povertà, perché non solo donasti liberalmente i tuoi beni e per amore di Cristo li desti via integralmente, ma offristi anche te stes-so come sacrificio in odore di soavità; sia dunque benedetto dal signo-re Gesù Cristo e da me, suo servo poverello, con le benedizioni eterne, entrando ed uscendo, vegliando e dormendo, vivendo e morendo. Chi ti benedirà sia ripieno di benedizioni e chi ti maledirà non sarà impunito. Sii il signore dei tuoi frati e tutti siano sottomessi al tuo comando. E tut-ti quelli che vorrai accogliere in quest’Ordine, siano accolti; e tutti quelli che vorrai cacciare, siano cacciati; e nessuno dei frati abbia potere su di te; e tu possa liberamente andare o restare dovunque vorrai»213.

213 «Unde in morte b. Francisci, tanquam patriarcha Iacob, astantibus filiis et devote lacrimantibus pro recessu tam amabilis patris, dixit s. Franciscus: “Ubi est primogeni-tus meus? Veni, fili, ut benedicat tibi anima mea priusquam moriatur”. Tunc fr. Bernar-dus dixit fr. Helie secreto, qui erat tunc vicarius Ordinis: “Pater, vade ad dexteram san-cti, ut te benedicat”. Cum autem fr. Helias se posuisset ad dexteram eius et s. Franciscus, pre lacrimis cecutiens, manum dexteram super caput fr. Helie posuisset, dixit: “Istud non est caput primogeniti mei fr. Bernardi”. Tunc fr. Bernardus accessit ad sinistram

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Segue il racconto della morte di Bernardo, il quale dà ai frati il mandato di amarsi vicendevolmente, come Gesù nell’ultima cena e come se fosse davvero, se non il capo, almeno un’autorità nell’Ordi-ne214. Il titolo del cap. V quindi è riduttivo ed anch’esso attenua il to-no polemico e “di parte” del passo centrale del capitolo stesso. Mol-to più esplicito il titolo del corrispondente capitolo dei Fioretti: «Co-me santo Francesco benedisse il santo frate Bernardo e lasciollo suo vicario215, quando egli venne a passare di questa vita»216. Actus V è l’esaltazione del gruppo primitivo dei compagni di Francesco at-traverso l’esaltazione di colui che, dopo il fondatore, ha più spazio nell’opera, appunto Bernardo. Lui è indicato come primo discepolo del santo, tanto che ci si dimentica di Pietro Cattani, che con lui di-stribuì i beni e con lui e Francesco assisté alla triplice apertura del Vangelo, che indicò ai tre una sorta di regola da seguire. Lui è mo-strato santo e beneamato da Dio, oltre che da Francesco; parteci-pe degli ideali e della prassi originaria di povertà e di contemplazio-ne, quindi un esempio; sicché la continuità di Francesco passa per Bernardo, non per Elia, visto dagli spirituali come prototipo e cau-sa dello sviluppo dell’Ordine in senso negativo.

Questo capitolo degli Actus ha dato vita ad un confronto inter-pretativo tra gli storici e si pone a conclusione di differenti raccon-ti nelle fonti duecentesche sulla benedizione di Francesco morente. Nella Vita I Tommaso da Celano dice esplicitamente che Francesco benedì Elia, con una benedizione ampia e circostanziata, persona-

eius. S. autem Franciscus manus, cancellatis brachiis, commutando, sinistram posuit super caput fr. Helie, dexteram vero super caput fr. Bernardi, dicens fr. Bernardo: “Be-nedicat te Pater D. Ihesu Cristi in omni benedictione spirituali in celestibus in Cristo (Efe-sini 1, 3). Sicut primus electus es in Ordine isto ad dandum exemplum evangelicum, ad imitandum Cristum in evangelica paupertate, quia non solum tua liberaliter obtulisti et pro Cristi amore autem integre dispersisti, sed etiam temetipsum in odorem suavitatis sacrificium obtulisti; benedictus ergo sis a D. Ihesu Cristo et a me, pauperculo servo eius, benedictionibus sempiternis, ingrediens et regrediens, vigilans et dormiens, vi-vens et moriens. Qui benedixerit tibi benedictionibus repleatur, et qui maledixerit tibi non erit immunis. Esto dominus fratrum tuorum et tuo imperio cuncti subiaceant (Gen, 27, 29). Et quoscumque volueris recipere ad Ordinem istum, recepti sint; et quoscumque emittere, emittantur; et nullus fratrum habeat potestatem super te; et quocumque vo-lueris, possis libere pergere vel morari”», cap. V, 8-16 (Fioretti cap. VI).214 Cap. V, 17-23.215 “Vicario” è termine che non viene mai usato per Bernardo né negli Acrus né nei Fioretti.216 In Fonti francescane2, p. 149.

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le; poi benedise tutti i frati. Compare subito il racconto delle braccia incrociate di Francesco217, Elia era alla sua sinistra, e lui,

poiché frate Elia sedeva alla sua sinistra, con gli altri figli seduti intor-no, incrociate le mani pose la destra sul suo capo e, privato della luce e dell’uso degli occhi esteriori, disse: «Su chi tengo la mia destra?». Ri-spondono: «Su frate Elia». «Ed io così voglio», disse.218

Il particolare delle braccia incrociate è posto a richiamo del-la benedizione di Giacobbe ai figli di Giuseppe, Manasse, primoge-nito, ed Efraim; il primogenito era posto alla destra del patriarca, Efraim alla sinistra; Giacobbe pose la mano destra volutamente su Efraim, ripresentando la consuetudine biblica di preferire il mino-re al maggiore. Per fare ciò, dovette incrociare le braccia (Gen. 48, 12-20). La Legenda Perusina219 presenta la scena diversamente; Elia non è nominato, Francesco manda a chiamare Bernardo per gusta-re con lui i dolci preparati da frate Jacopa ed il compagno gli chie-de esplicitamente una benedizione, «perché, se dimostrerai verso di me l’amore con affetto paterno, credo che Dio stesso e gli altri frati della Religione mi ameranno di più»220. Francesco stende la destra verso di lui, ma, benché cieco, si accorge che la testa che tocca non è quella del primo compagno221. Senza che debba incrociare le brac-cia, sposta allora la destra sul capo di Bernardo e gli dà una benedi-zione che non configura alcuna successione gerarchica:

«Per cui voglio ed ordino, come posso, che chiunque sarà ministro ge-nerale, lo ami e lo onori come me stesso e che anche gli altri ministri provinciali ed i frati di tutta la Religione lo tengano in mia vece»222.

217 Presente già nella Episola encyclica de transitu sancti Francisci di Elia, in Fon-tes Franciscani, pp. 249-256.218 «cumque a sinistris ipsius resideret frater Helias, circumsedentibus reliquis fi-liis, cancellatis manibus dexteram posuit super caput eius, et exteriorum oculorum lumine privatus et usu: “Super quem”, inquit, “teneo dexteram meam?”. “Super fra-trem Heliam”, inquiunt. “Et ego sic volo”, ait», Vita I, 108.219 Compilatio Assisiensis 12.220 «quoniam, si paternali affectione in me ostenderis dilectionem, credo quod ip-se Deus et ceteri fratres de Religione amplius me amabunt», ibidem, 12,4.221 È la testa di Egidio, «qui fuit tertius primus frater», ibidem 12, 5.222 «Unde volo et precipio, sicut possum, ut quicumque fuerit generalis minister, ipsum diligat et honoret tamquam meipsum ac etiam alii ministri provinciales et

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Nella Vita II Tommaso da Celano si trova con un Elia non più ministro generale, ma deposto e scomunicato. Tuttavia non con-traddice il fatto che Francesco benedisse proprio lui, ma corregge l’interpretazione del gesto (ed ovviamente non si dilunga come nel-la Vita I sulle lodi di Elia da parte di Francesco):

Sedendo intorno tutti i frati, stese su di loro la sua destra e comin-ciando dal suo vicario la pose sulle teste dei singoli... Nessuno usurpi per sé questa benedizione che diede ai presenti per gli assenti; come è scritta altrove, suona come qualcosa di speciale, ma piuttosto è da ri-volgere alla carica.223

Elia fu quindi il primo ad essere benedetto, seguito da tutti i frati presenti, ma la benedizione era stata data alla carica, non alla persona. Bonaventura, che non aveva bisogno di confronto con al-tre legendae, dato che tutte le precedenti andavano condannate al-la distruzione, risolve parlando di una benedizione a tutti i frati pre-senti ed assenti. La Legenda maior reintroduce il gesto delle braccia incrociate di Francesco, ma dà ad esso il valore simbolico di forma-re una croce: «incrociate le braccia a forma di croce, perché sempre amava questo segno»224.

Gli Actus, come si è visto, rendono la benedizione a Bernar-do un mandato di governo dell’Ordine, ma nello stesso tempo non escludono la figura di Elia, come invece fanno la Legenda Perusina e la Legenda maior, anzi mostrano che il santo pone sulla sua testa la mano sinistra, riprendendo il modello della benedizione di Giacob-be ai figli di Giuseppe.

Come interpretare questa diversità? Ogni fonte aggiusta a suo modo il fondamentale gesto del fondatore morente? Indubbiamen-te la Vita I esalta il ministro generale in carica, mentre le leggen-de successive devono fare i conti con la sua scomunica. Ciò non av-

fratres totius Religionis ipsum teneant vice mea», ibidem 12, 11.223 «Circumsedentibus vero omnibus fratribus, extendit super eos dexteram suam et incipiens a vicario suo capitibus singulorum imposuit... Nullus sibi hanc benedictionem usurpet quam pro absentibus in praesentibus promulgavit; ut alibi scripta est aliquid insonuit speciale, sed potius ad officium detorquendum», Vita II, 216.224 «in modum crucis brachiis cancellatis, pro eo quod hoc signum semper ama-bat», Legenda maior XIV, 5.

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viene ancora con la Vita sancti Francisci di Giuliano da Spira, che ripercorre sinteticamente il racconto della Vita I riproponendone quasi le stesse parole, con le braccia incrociate di Francesco: «in-crociate le mani come una volta il patriarca Giacobbe»225, France-sco impone la mano destra al frate che stava alla sua sinistra, Elia, della cui identità chiede conferma; «benedisse dunque prima lui, poi nella sua persona tutti i frati»226. La Legenda Perusina esalta Ber-nardo, ma non lo pone come successore gerarchico di Francesco; tace sul ministro generale. Nella Vita II Tommaso non vuole con-traddire il suo primo racconto, quindi rimane una benedizione per-sonale, in nome della sua carica, al ministro generale/vicario, che comunque non si nega che fosse Elia (però non nominato). Bona-ventura glissa su tutto, Elia e Bernardo, mano destra e sinistra. Gli Actus invece mettono insieme tutti gli elementi precedenti: le brac-cia incrociate (Vita I, Giuliano da Spira, Bonaventura), l’errore di porre la mano destra sul capo di un altro frate (Legenda Perusina), che però non è Egidio, bensì Elia, riproposto presente ed in qual-che modo benedetto ad oltre ottant’anni dalla Vita II. Evoluzione del racconto? Tradizione più veritiera, aggiustata nelle fonti prece-denti e rispuntata fuori nel terzo decennio del Trecento? Si tenga presente che la Historia del Clareno non parla affatto di Elia, ma di una benedizione data prima a tutti i frati:

Stese a forma di croce su di loro le mani, segnate dalle stimmate di Ge-sù Cristo, ed incrociate le braccia, benedisse tutti i frati presenti ed as-senti nella forza e nel nome di Cristo Gesù crocifisso227.

Segue la benedizione particolare a Bernardo, ma nella forma della Legenda Perusina, senza alcuna attribuzione di autorità gerar-chica al primo compagno. Quindi nel giro di pochissimi anni l’au-

225 «sicut quondam patriarcha Iacob, manibus cancellatis», Fr. Iulianus de Spira, Vita sancti Francisci, 68, in Analecta Franciscana X, p. 367 (tutta pp. 335-371). Que-sta Vita è riprodotta in Fontes Franciscani, pp. 1025-1096. La sua composizione si colloca negli anni Trenta del Duecento.226 «Primum igitur illi, ac deinceps universis in eius persona fratribus benedixit», ibidem.227 «Extensisque manibus in modum crucis super eos, Christi Iesu stigmatibus consignatis, cancellatisque brachiis, omnibus fratribus praesentibus et absentibus in Christi Iesu crucifixi virtute ac nomine benedixit», Liber chronicarum, Prima tri-bulatio, 579, p. 278.

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tore degli Actus si inventa una forma di benedizione nuova rispetto sia alla tradizione ufficiale sia a quella non ufficiale.

Raoul Manselli ritenne che questa fonte tarda riportasse in lu-ce la realtà di una doppia benedizione; lo storico pone in Francesco la compresenza di un elemento carismatico e di un elemento gerar-chico, evidenziati dalla sua rinuncia alla carica di ministro generale ma non appunto al ruolo di capo carismatico (fu lui ad es. che com-pose la regola); inoltre il santo, come avrebbe composto il Testa-mento, testimonianza spirituale ed esempio di vita, da porre accan-to alla regola, testo giuridico, così avrebbe lasciato due successioni dopo la sua morte, una giuridica, quella dei ministri generali a par-tire dal vicario del momento, Elia; l’altra di un capo carismatico che restasse d’esempio degli ideali originari, Bernardo. Manselli sotto-linea poi alcuni episodi nei quali Bernardo avrebbe realizzato que-sto compito lasciatogli da Francesco, di correzione di Elia compiu-ta non a parole ma – come lo stesso Francesco – a gesti228.

Jacques Dalarun in un primo momento riprese questa inter-pretazione di Manselli229, ma successivamente, nel 1996, tornò sulle proprie posizioni ed affermò che in nessun modo gli Actus propon-gono lo svolgimento originario dei fatti. Ci si trova di fronte a due tradizioni che la stratificazione del racconto fa convergere negli Ac-tus, bisogna scegliere semmai tra quella che pone la benedizione su Elia e quella che la pone su Bernardo. Probabilmente, secondo la tradizione monastica della benedizione del fondatore morente230, la benedizione fu data a tutti i frati, a cominciare da Elia231.

Nel frattempo era intervenuta Giulia Barone, che a frate Elia ha dedicato più di uno studio, ritenendo improponibile la doppia be-

228 R. Manselli, L’ultima decisione di S. Francesco. Bernardo di Quintavalle e la be-nedizione di Francesco morente, in «Bullettino dell’Istituto Storico Italiano per il Medio Evo e Archivio Muratoriano» 78 (1967) 137-153, ripubblicato in Idem, Scrit-ti sul Medioevo, Roma, Bulzoni, 1994, pp. 263-279.229 Integrandola con nuove fonti e rafforzandola: J. Dalarun, La dernière volonté de saint François. Hommage à Raoul Manselli, in «Bullettino dell’Istituto Storico Italiano per il Medio Evo e Archivio Muratoriano» 94 (1988) 329-366.230 Idem, La mort des saints fondateurs. De Martin à François, in Les fonctions des saints dans le monde occidental (III2-XIIIe siècle). Actes du colloque organisé par l’École française de Rome avec le concours de l’Université de Rome “La Sapienza” (Rome, 27-29 octobre 1988), Rome 1991, pp. 193-215 (Collection de l’École françai-se de Rome, 149).231 Idem, La malavventura di Francesco d’Assisi, pp. 41-52.

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nedizione: «l’ipotesi di un Francesco d’Assisi che, sul letto di morte, accetta l’idea che i suoi frati possano essere divisi tra loro, in Mar-te e Marie, come dice Dalarun, in uomini di azione e uomini di con-templazione, con punti di riferimento diversi ed opposti, ...è trop-po contraria al desiderio del santo di Assisi che voleva innanzitut-to l’unità e la fraternità, nel senso più forte del termine, fra i suoi discepoli»232. C’è tuttavia da osservare che la Barone propone que-sta interpretazione in riferimento «alla propria idea di Francesco», senza un riesame delle fonti, e che la distinzione proposta da Da-larun, cui lei si riferisce, non corrisponde del tutto a quella indica-ta da Manselli, il quale poneva non una duplicità nelle funzioni dei frati, ma una bipolarità nell’Ordine tra funzione istituzionale-gerar-chica e funzione carismatica, in una tensione primariamente perso-nale, dato che lo storico napoletano vedeva presenti entrambe nello stesso Francesco. Manselli ribadì questa interpretazione nella sua biografia di Francesco d’Assisi del 1980: il santo sente la preoccupa-zione della perdita del suo ideale da parte dell’Ordine e propone va-rie realtà, tra cui la Porziuncola come convento esemplare. «Si ha, quindi, di nuovo la proposta non di decisioni giuridiche, ma di si-tuazioni concrete di esistenza: lo slancio individuale, alla Porziun-cola, doveva allargarsi ed esprimersi in slancio comunitario, perché servisse, non ai singoli, ma a tutti i frati. Lentamente, ma in svilup-po continuo, noi vediamo così, in modo sempre più netto e con pro-positi sempre più chiari, profilarsi l’ultimo piano di Francesco per la salvezza del suo ideale originario nell’Ordine che egli stesso ave-va creato. Se sempre aveva non contrapposti, ma coordinati la nor-ma e lo slancio, la regola come complesso di disposizioni giuridi-che e l’attuazione della regola come una vita religiosa che ne muo-vesse per andare sempre oltre seguendo l’esempio vivo, trascinante e reale del Cristo, ora sentiva che bisognava rendere concreto e ope-rante questo coordinamento, perché potesse continuare, durare, ol-tre l’umana presenza ed esistenza di Francesco stesso»233. «In parti-

232 G. Barone, Frate Elia: suggestioni da una rilettura, p. 86 (pubblicato per la pri-ma volta in I compagni di Francesco e la prima generazione minoritica. Atti del XIX Convegno internazionale della Società Internazionale di Studi francescani, Assisi, 17-19 ottobre 1991, Spoleto 1992, pp. 59-80, la citazione è a p. 80).233 Cito dall’edizione postuma curata da M. Bartoli: R. Manselli, San Francesco d’Assisi. Editio maior, Cinisello Balsamo, San Paolo, 2002, p. 432 (l’editio minor, senza note e senza introduzione sulle fonti, ma per il resto uguale a quella maior, è

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colare dovette causargli preoccupazione il fatto che il Testamento non avesse la forza trascinatrice dell’esempio vivente, sotto gli oc-chi. Di qui, l’ultima, straordinaria, “invenzione” di Francesco, quel-la di creare un continuatore di se stesso, da affiancare come un nuo-vo se stesso alla gerarchia dell’Ordine, a cominciare dal ministro ge-nerale per giungere a tutti i frati; e questi, poi, appunto fu designato in frate Bernardo»234.

Filippo Sedda, riprendendo in mano il problema ed estenden-do l’analisi alle varie benedizioni date da Francesco a singoli fra-ti, a Chiara o a tutti i frati, sostiene «la bontà del primo agiogra-fo» (Tommaso), «con una fedeltà letterale alle parole di France-sco, come conferma l’uso di formule liturgiche di quel tempo, che ricorrono anche nei suoi scritti»; non si trattò però «di una bene-dizione “speciale”» per frate Elia, «ma di una benedizione-asso-luzione generale, gesto che Francesco mediò dalle consuetudini monastiche»235. Si potrebbe lasciar cadere la questione, come po-co rilevante, o come legata alle polemiche due-trecentesche inter-ne all’Ordine, o dichiarando l’impossibilità per lo storico di andare al di là dei racconti delle singole fonti. Ma penso che una proposta si possa avanzare. Seguendo le argomentazioni di Sedda e gli esem-pi da lui portati delle diverse benedizioni date da Francesco in mo-menti diversi, ma tutti non lontani dalla morte, penso che si possa accettare sia la benedizione particolare ed in qualche modo ufficia-le, nel quadro della benedizione generale a tutti i frati presenti ed assenti, data ad Elia in quanto ministro generale/vicario, che Fran-cesco aveva scelto e che probabilmente amava, stando alle fonti an-teriori alla sua scomunica; sia la benedizione a frate Bernardo, sicu-ramente carissimo a Francesco, benedizione per di più – stando alla Legenda Perusina – richiesta da Bernardo stesso236. Così Francesco

di molto precedente: San Francesco d’Assisi, Roma, Bulzoni, 1980). I corsivi sono tutti nel testo.234 Ibidem, p. 439. 235 F. Sedda, Il gesto della benedizione-assoluzione di san Francesco. Ancora sulla benedizione a frate Elia, in «Biblioteca Francescana Sarda» 10 (2002), pp. 187-188 (tutto pp. 161-188).236 Non ritengo probanti le argomentazioni in senso contrario avanzate da Dala-run, dovute al fatto che la benedizione a Bernardo, che la fonte narra fatta scrivere dal santo, non si trovi negli Opuscula di Francesco né sia stata trovata in un fogliet-to personale, come quelli dati a frate Leone; varie cose di Francesco non sono state conservate o non vennero materialmente scritte. Anche della benedizione a Chiara

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fece con Chiara, che gli chiese una benedizione, inviatale per scrit-to237. Sostanzialmente a queste stesse conclusioni è arrivato Felice Accrocca nel 2003238 e non mi pare che le fonti – senza voler utiliz-zare metodi combinatiori – vi si oppongano. Si tenga anche presen-te che le benedizioni ad Elia e a Bernardo sono poste da Tomma-so da Celano e dalla Legenda Perusina in due momenti e luoghi di-versi, nel palazzo vescovile di Assisi la prima, alla Porziuncola – do-ve Francesco volle essere condotto per morire – la seconda. Ipotiz-zate dunque le due benedizioni – o le benedizioni plurime – tende-rei a non accantonare del tutto la vecchia ipotesi di Manselli, legata non soltanto ad una doppia benedizione per una doppia successio-ne “istituzionale-carismatica”, ma ad una serie di lasciti esemplari: una persona, un testo, un convento. L’accettabilità di questa ipotesi si lega alla concezione che lo storico può avere dei rapporti di Fran-cesco con l’istituzione ecclesiastica e con l’Ordine (per lui sempre e solo fraternitas) e del grado maggiore o minore di insoddisfazione (o preoccupazione) rispetto allo sviluppo preso dai suoi frati.

Quello cui è difficile dar credito è il racconto degli Actus, che attribuisce a Bernardo una successione gerarchica. Qui si nota la stratificazione e l’evoluzione della narrazione, che ancora una vol-ta mi sembra andare non soltanto verso la polemica a favore del-le posizioni degli spirituali, ma anche verso l’accentuazione del leg-gendario: nessuna fonte, nemmeno il contemporaneo Clareno – co-me si è visto – ha indicato in Bernardo qualcosa di diverso dal testi-mone dei valori originari. Gli Actus propongono una notizia difficil-mente difendibile tra chiunque avesse avuto un minimo di frequen-tazione della tradizione delle legendae francescane. Come scrive Da-

(cfr. nota successiva) non conserviamo non solo alcun foglio singolo, ma nemmeno un testo in prima persona nelle leggende. L’inserimento del racconto della benedi-zione a Chiara, in terza persona singolare, tra gli Opuscula dictata da parte di Es-ser, Gli scritti di S. Francesco d’Assisi. Nuova edizione critica e versione italiana, Pa-dova, Messaggero, 1982, p. 592, mi sembra una grande forzatura filologica. Si vedano altre lettere ed altri testi di Francesco ricavati dalle leggende in Esser, pp., 589-604, e in Scritti, pp. 550-560. Si noti che invece la benedizione a Bernardo è ri-portata dalla Legenda Perusina in prima persona singolare, con parole attribuite a Francesco.237 Compilatio Assisiensis 13.238 F. Accrocca, La benedizione di Francesco morente, in «Frate Francesco» n.s. 69 (2003), pp. 209-232. Non torna su questo problema A. Vauchez, Francesco d’Assisi.

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larun, gli Actus «sono un libro da “combat”»239, ma da un combatti-mento che appare a volte ingenuo, lo stesso storico corregge la sua prima definizione: gli Actus sono una cronaca dalla clandestinità240. L’amplificazione del ruolo dato a Bernardo, a circa ottant’anni dal-la sua morte ed a quasi sessanta da quella di frate Leone, potrebbe sembrare ormai inutile, spiegabile solo con l’esaltazione di un fra-te ritenuto santo, vicinissimo al fondatore, dal quale si fa discen-dere per il primo compagno una prerogativa leggendaria (in senso moderno). Non si spiegherebbe, sennò, la presenza dello stesso rac-conto nel celebrativo De conformitate di Bartolomeo da Pisa, di fi-ne Trecento241. Anche questa amplificazione può iscriversi in quel-lo che Vauchez chiama «racconti immaginifici», «processo di fol-klorizzazione del gesto francescano» in cui si esprime sia la nostal-gia del paradiso perduto... sia il desiderio degli autori di esaltare la grandezza della rivoluzione spirituale avviata da Francesco»242.

Di questa evoluzione leggendaria del racconto sono prova al-tri due esempi – tra i tanti – riscontrabili negli Actus e resi celebri dai Fioretti: il racconto della perfetta letizia e quelli sui rapporti di Francesco con gli animali, in particolare la predica agli uccelli.

Il brano sulla perfetta letizia è tra i più noti, diffuso ampiamente dai Fioretti, cap. VIII, che lo riprendono dagli Actus, cap. VII. La pri-ma parte si può riassumere. Francesco sta tornando insieme a fra-te Leone da Perugia a S. Maria degli Angeli in una giornata d’inver-no fredda e piovosa e per due miglia parla al compagno indicandogli in un crescendo varie virtù e capacità anche prodigiose, nelle quali Leone deve scrivere che per il frate minore non è perfetta letizia: da-re esempio di santità ed edificazione; sanare ciechi, contratti, sordi, zoppi e muti, cacciare demoni e resuscitare morti da quattro giorni; conoscere le lingue, le scienze e le scritture, profetizzare, saper rive-

239 J. Dalarun, La malavventura di Francesco d’Assisi, p. 49.240 «Les Actus sont une chronique de la clandestinité plus qu’un livre de combat; ils se résolvent dans une échappée mystique hors de l’histoire», J. Dalarun, Intro-duction a Les Actes du bienheureux François, p. 24.241 J. Dalarun, La malavventura di Francesco d’Assisi, p. 51.242 A. Vauchez, Francesco d’Assisi, p. 223. Si veda anche il giudizio di Roberto Ru-sconi, Francesco d’Assisi nelle fonti e negli scritti, Padova, Editrici francescane, 2002, p. 104: «Negli Actus frammenti di memorie a fondamento storico erano cala-ti all’interno di un’atmosfera favolistica e irreale, in cui la narrazione veniva forte-mente condizionata dalle contemporanee polemiche dell’ala radicale dei frati mar-chigiani nei confronti della dirigenza dell’ordine francescano».

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lare il futuro e le coscienze; parlare le lingue degli angeli, conoscere i corsi delle stelle e le virtù delle erbe ed aver rivelati tutti i tesori del-la terra, conoscere le virtù degli uccelli, dei pesci, degli animali e de-gli uomini, degli alberi, delle radici, delle pietre e delle acque; saper predicare in modo tanto solenne da convertire alla fede tutti gli infe-deli. Alla fine Leone lo prega di dirgli in cosa consista la perfetta le-tizia e Francesco risponde che quando arriveranno al convento ba-gnati e congelati e il frate portinaio, pur riconoscendoli, li tratterà da ribaldi che rubano le elemosine dei poveri, lasciandoli fuori nel-la neve e nell’acqua, e alle loro insistenze per entrare risponderà con maggiori insulti, fino a picchiarli con un bastone nodoso ed a roto-larli nella neve e nel fango, riempiendoli di piaghe, allora,

se sopporteremo con gioia tanti mali, tante ingiurie e percosse, pen-sando che abbiamo dovuto sopportare le pene di Cristo benedetto, o frate Leone, scrivi che qui è perfetta letizia. Ascolta perciò la conclu-sione, frate Leone. Fra tutti i carismi dello Spirito Santo che Cristo ab-bia concesso e conceda ai suoi amici, è vincere se stesso e sostenere volentieri le offese per Cristo e per amore di Dio. Infatti in tutte le cose mirabili dette sopra noi non possiamo gloriarci, perché non sono no-stre, ma di Dio. Cos’hai infatti che non hai ricevuto? Se poi l’hai ricevu-to, perché te ne glori, come se non l’avessi ricevuto? Ma nella croce della tribolazione e dell’afflizione ci possiamo gloriare, perché quello è no-stro. Perciò dice l’Apostolo: Per me invece non sia da gloriarmi, se non nella croce del nostro signore Gesù Cristo, al quale sia lode nei secoli dei secoli. Amen.243

Questa versione della perfetta letizia è di alto valore spirituale, ma, per così dire, scarnificata e destoricizzata. Sopportare pazien-temente e senza mormorare ingiurie e violenze ingiuste, imposte da

243 «si tot mala, si tot iniurias et verbera com gaudio toleremus, cogitantes quod penas Cristi benedicti nos tolerare debuimus, o fr. Leo, scribe quia ibi est perfecta letitia. Quia audi conclusionem, fr, Leo. Inter omnia carismata s. Spiritus, que ami-cis suis Cristus concesserit et concedat, est vincere semetipsum et libenter propter Cristum et caritatem Dei obprobria sustinere. Nam in omnibus mirabilibus supra-dictis nos gloriari non possumus, quia non sunt nostra sed Dei. Quid enim habes, quod non accepisti? Si autem accepisti, quid gloriaris quasi non acceperis (1 Cor. 4, 7)? Sed in cruce tribulationis et afflictionis possumus gloriari, quia illud est no-strum. Ideo dicit apostolus: Michi autem absit gloriari, nisi in cruce D. n. Ihesu Cri-sti (Gal. 6, 14), cui sit laus in secula seculorum. Amen», Actus, VII, 17-20, p. 164.

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un compagno, non da un nemico, come prova voluta da Dio, quale attuazione personale delle sofferenze della croce di Cristo, gloriar-si di tutto ciò è davvero perfetta letizia. La storia delle stratificazioni di questo brano mostra una sua diversa contestualizzazione. Tom-maso da Celano nella Vita II propone un racconto simile. Francesco dice ad un compagno che se, predicando ai frati in capitolo genera-le come loro prelato, venisse respinto perché illetterato e disprezza-bile, al punto che i frati gli dicessero: «non vogliamo che tu gover-ni sopra di noi, perché sei privo di eloquenza, semplice e ignoran-te», e lo cacciassero tutti con obbrobrio e vilipendio, «ti dico, se non ascolterò queste parole con lo stesso volto, con la stessa letizia del-la mente, con lo stesso proposito di santità, non sono affatto un fra-te minore»244. La sostanza è simile, bisogna mantenere la medesi-ma letizia della mente di fronte agli insulti ed ai rifiuti che vengono proprio dai confratelli; ma il contesto è molto più incarnato e stori-cizzato, non presenta una teoria generale della sopportazione e ma-nifesta reali problemi di rapporti di Francesco con i suoi nuovi fra-ti, letterati, colti, spesso chierici, quegli stessi che nel capitolo del-le stuoie gli chiedevano di assumere una delle regole già approva-te dalla Chiesa, ai quali il santo rispose con una certa durezza, di-chiarando di essere stato chiamato da Dio ad essere «unus novellus pazzus in mundo»245. Notiamo en passant che l’ipotesi Manselli sul-le preoccupazioni di Francesco per il futuro dell’Ordine erano ben presenti ed hanno vari echi anche nella Vita II.

Tommaso da Celano probabilmente riassume più in breve l’epi-sodio appena narrato conosciuto dalle testimonianze dei compagni riunite nella Legenda Perusina, che presenta alcuni elementi ancora più vicini al brano sulla perfetta letizia degli Actus:

Una volta, mentre si avvicinava il capitolo dei frati, che si doveva fa-re presso la chiesa di S. Maria della Porziuncola, disse il beato Fran-cesco al suo compagno: «Non mi sembra di essere un frate minore, se non sono in quello stato che ti dirò». E disse: «Ecco, i frati vengono da me con grande devozione e venerazione e mi invitano al capitolo con

244 «ideo nolumus te regnare super nos, quia elinguis es, simplex et idiota»; «dico tibi, nisi eodem vultu, eadem mentis laetitia, eodem sanctitatis proposito haec ver-ba audiero, frater minor nequaquam sum», Vita II, 145. Il racconto torna pressoché uguale in Legenda maior VI, 5.245 Compilatio Assisiensis 18, 6, già cit. supra.

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loro. E, riunitisi, mi chiedono di annunciare in mezzo a loro la parola di Dio; ed alzandomi, predico loro come mi insegnerà lo Spirito San-to. Finita la predicazione, mettiamo che considerino e dicano contro di me: “Non vogliamo che tu governi su di noi; infatti non sei eloquen-te e sei troppo semplice e ci vergognamo molto di avere su di noi un prelato così semplice e spregevole; per cui d’ora in poi non presume-re di chiamarti nostro prelato”. E così mi buttano fuori offendendomi. Non mi sembra di essere frate minore, se non gioisco nello stesso mo-do quando mi offendono e con vergogna mi buttano fuori, non volen-do che io sia il loro prelato, come quando mi onorano e mi venerano, considerando ugualmente un vantaggio nell’uno e nell’altro loro at-teggiamento. Infatti se ho gioito del loro favore e della loro devozione, quando mi esaltano e mi onorano, dove può esserci pericolo per l’ani-ma, conviene di più che debba rallegrarmi e gioire del mio vantaggio e della salvezza dell’anima, quando mi vituperano, buttandomi fuori con vergogna, dove è vantaggio per l’anima»246.

Il racconto della Legenda Perusina è più vicino a quello degli Ac-tus nella sottolineatura finale del guadagno per l’anima quando si è disprezzati e rigettati e nello stesso tempo ancora più contestua-lizzato nella realtà dei Minori negli ultimi anni di Francesco. Il san-to qui non propone l’ipotesi di un qualsiasi capitolo generale duran-te il quale potrebbe essere respinto dai frati, ma parla nell’imminen-za di uno specifico capitolo, durante il quale lui pensa di sapere co-

246 «Quodam tempore, cum appropinquaret capitulum fratrum, quod debebat fieri apud ecclesiam Sancte Marie de Portiuncula, dixit beatus Franciscus socio suo: “Non videtur michi quod sim frater minor, nisi essem in statu quem dicam ti-bi”. Et ait: “Ecce, fratres cum magna devotione et veneratione veniunt ad me et in-vitant me ad capitulum cum ipsis. Et, ipsis congregatis, rogant me ut verbum Dei annuntiem inter ipsos; et surgens predico eis sicut docuerit me Spiritus Sanctus. Finita ergo predicatione, ponatur quod considerent et dicant adversus me: ‘Nolu-mus te regnare super nos; non enim es eloquens et es nimis simplex, et nimis vere-cundamur habere ita simplicem et despectum prelatum super nos; unde de cetero non presumas vocare te nostrum prelatum’. Et sic eiciunt me vilipendendo. Non igitur videtur michi quod sim frater minor, si eodem modo non gaudeo, cum me vi-lipendunt et cum verecundia me eiciunt, nolentes ut sim prelatus eorum, sicut quando honorant et venerantur, eorum profectu utrobique equaliter se habente. Nam si gavisus sum de profectu et devotione ipsorum, cum exaltant me et hono-rant, ubi periculum anime esse potest, magis convenit quod debeam letari et iocun-dari de profectu meo et salute anime, cum vituperant me, cum verecundia eicien-do, ubi lucrum est anime”», ibidem 109, pp. 358-362.

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sa verosimilmente potrebbe accadere, perché i frati si vergognano di avere lui come prelato.

Non si può affermare che il racconto della perfetta letizia di-scenda da questo della Legenda Perusina, che è assente negli Actus. Si può parlare solo di similitudine e di contesti più o meno storiciz-zati e storicizzabili. C’è però una versione proprio della perfetta leti-zia, ritenuta da molti storici più antica della nostra. È contenuta in un unico manoscritto conservato presso la Biblioteca Nazionale di Firenze; riportata già dal Wadding, è inserita tra gli Opuscula dicta-ta da Esser247. Il racconto è riferito da frate Leonardo, che fu compa-gno di Francesco quando tornò d’Oltremare.

Lo stesso [frate Leonardo] riferì nello stesso luogo che un giorno il be-ato Francesco presso S. Maria degli Angeli chiamò frate Leone e disse: «Frate Leone, scrivi». Lui rispose: «Ecco, sono pronto». «Scrivi – dis-se – qual è la vera letizia. Viene un messaggero e dice che sono venu-ti nell’Ordine tutti i maestri di Parigi, scrivi, non è vera letizia. Ancora, tutti i prelati ultramontani, arcivescovi e vescovi; ancora, il re di Fran-cia ed il re d’Inghilterra: scrivi, non è vera letizia. Ancora, che i miei fra-ti andarono presso gli infedeli e li convertirono tutti alla fede; ancora, che ho tanta grazia da Dio che risano gli infermi e faccio molti miraco-li: ti dico che in tutte queste cose non è vera letizia. Ma qual è la vera le-tizia? Torno da Perugia e di notte fonda vengo qui ed è inverno fango-so e tanto freddo che all’estremità della tonaca si formano ghiaccio-li di acqua congelata che percuotono sempre le gambe e da queste fe-rite esce sangue. E tutto nel fango nel freddo e nel ghiaccio vengo alla porta e dopo che ho battuto e chiamato a lungo, viene un frate e chie-de: “Chi è?”. Io rispondo: “Frate Francesco”. E lui dice: “Vattene, non è un’ora decente di andare, non entrerai”. E di nuovo a me che insisto lui risponda: “Vattene, tu sei un semplice ed un ignorante; non verrai af-fatto da noi. Noi siamo tanti e tanto importanti, che non abbiamo biso-gno di te”. Ed io di nuovo sto alla porta e dico: “Per amore di Dio, acco-glietemi per questa notte”. E lui risponda: “Non lo farò. vai al luogo dei Crociferi e chiedi là”. Ti dico che se avrò pazienza e non sarò turbato, in ciò è la vera letizia e la vera virtù e la salvezza dell’anima».248

247 K. Esser. Gli scritti di S. Francesco d’Assisi, p. 602; Scritti, p. 538; cito da quest’ultima ed.248 «Idem retulit ibidem quod una die beatus Franciscus apud Santam Mariam vocavit fratrem Leonem et dixit: “Frater Leo, scribe”. Qui respondit: “Ecce, paratus

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Questa versione della vera letitia mette insieme la cornice di un ipotetico ritorno da Perugia nell’inverno molto simile a quella degli Actus (che raccontano di un ritorno in atto), ma in un contesto del tutto simile a quello del racconto della Legenda Perusina e di Tom-maso da Celano sul rifiuto di Francesco da parte dei frati dotti ed affermati che ormai non hanno più bisogno di lui. Negli ultimi an-ni di vita di Francesco i maestri parigini non erano ancora entrati nell’Ordine, ma già i frati si recavano nelle Università per studiare teologia; e già vi erano le prime missioni verso i musulmani, iniziate con il martirio dei cinque Minori in Marocco; vi è poi un riferimen-to a poteri taumaturgici del santo, che sicuramente gli erano attri-buiti già in vita. In tutto ciò non c’è vera letizia. La risposta del frate che non vuole fare entrare Francesco niente meno che alla Porziun-cola è diversa da quella degli Actus. Non insulti generici, non botte e ferite inferte a Francesco, ma il rifiuto temuto da Francesco nel ca-pitolo generale: «sei semplice, ignorante, noi siamo tanti ed impor-tanti, non abbiamo bisogno di te»249. Il finale ha la stessa valenza spirituale del racconto degli Actus, privo però di citazioni scrittura-li, e richiama il brano della Legenda Perusina nell’ultima parola, ani-

sum”. “Scribe -inquit – que est vera letitia. Venit nuntius et dicit quod omnes magi-stri de Parisiis venerunt ad Ordinem, scribe, non vera letitia. Item quod omnes pre-lati ultramontani, archiepiscopi et episcopi; item quod rex Francie et rex Anglie: scribe, non vera letitia. Item, quod fratres mei iverunt ad infideles et converterunt eos omnes ad fidem; item quod tantam gratiam habeo a Deo quod sano infirmos et facio multa miracula: dico tibi quod in his omnibus non vera letitia. Sed que est ve-ra letitia? Redeo de Perusio et de nocte profunda venio huc et est tempus hiemis lu-tosum et adeo frigidum, quod dondoli aque frigide congelate fiunt ad extremitates tunice et percutiunt semper crura et sanguis emanat ex vulneribus talibus. Et totus in luto et frigore et glacie venio ad ostium et postquam diu pulsavi et vocavi, venit frater et querit: ‘Quis est?’. Ego respondeo: ‘Frater Franciscus’. Et ipse dicit: ‘Vade, non est hora decens eundi, non intrabis’. Et iterum insistenti respondeat: ‘Vade, tu es unus simplex et idiota; admodo non venis nobis. Nos sumus tot et tales, quod non indigemus te’. Et ego iterum sto ad ostium et dico: ‘Amore Dei recolligatis me ista nocte’. Et ille respondeat: ‘Non faciam. Vade ad locum Cruciferorum et ibi pe-te’. Dico tibi quod si patientiam habuero et non fuero motus, quod in hoc est vera letitia et vera virtus et salus anime”».249 Ovviamente non è detto che il brano attribuito alla testimonianza di frate Leo-nardo – sempre che riporti davvero un detto di Francesco – non abbia subito anch’egli modifiche dopo la morte del santo, con il riferimento all’entrata nell’Ordi-ne dei maestri di Parigi (il primo fu Alessandro di Hales nel 1236, 1231 secondo Gratien de Paris, Histoire de la fondation, p. 131) ed ai poteri taumaturgici di Fran-cesco, che ebbero un incremento di fama dopo la morte e la canonizzazione.

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ma, in entrambi i racconti al genitivo singolare: «lucrum... anime» e «salus anime».

Ancora una volta dunque gli Actus presentano un brano che può suonare polemico, ma che lo è molto di più nella tradizione precedente. Francesco, il grande santo fondatore, dà negli Actus un’ammonizione sulla capacità di restare sereni nelle difficoltà, nei dolori, subiti come la propria croce, un’esortazione spirituale vali-da al di fuori di specifici contesti, che invece appaiono molto chia-ri nei brani delle precedenti fonti che abbiamo analizzato. Il san-to con il suo insegnamento si è librato al di sopra delle contingenze della storia.

L’ultimo ambito – fra i tanti possibili – che intendo presentare è quello dei racconti su Francesco e gli animali. Gli Actus presentano per la prima volta il racconto del lupo di Gubbio250, noto, poetico, in-terpretato spesso come allegoria della conversione di un uomo vio-lento, ma anch’esso con una notevole evoluzione del meraviglioso: Francesco non solo parla al lupo, ma intesse un dialogo con lui, che risponde con evidenti segni del corpo e del capo, fino al patto stipula-to stringendogli la zampa anteriore destra che lui stesso offre. Per in-dicare un solo elemento ulteriore di meraviglioso, il lupo minaccioso chiude la sua bocca spalancata, «mirabile dictu», non appena Fran-cesco traccia un segno di croce. Ho parlato di evoluzione del meravi-glioso, in realtà non abbiamo una versione diversa di questo raccon-to, che si possa reputare più antica. Ma si nota un’evoluzione rispetto ai racconti di rapporti di Francesco con gli animali presenti nella Le-genda Perusina ed anche nelle tre opere di Tommaso da Celano, dove c’è già in piccola parte una accentuazione del miracoloso. Per citare me stesso, «il santo, oltre al suo smisurato amore per esse [le crera-ture inanimate ed animate], ebbe una straordinaria capacità di rela-zione, soprattutto con quelle viventi [gli animali]. Una capacità non comune, ma che per questo non va necessariamente né sempre cata-logata come “soprannaturale”»251. Non voglio dilungarmi su questo aspetto, avendo già rinviato al mio libro di vari anni fa, nel quale esso è stato trattato con una certa ampiezza e specificità252. Mi soffermo

250 Actus cap. XXIII, Fioretti cap. XXI.251 A. Marini, Sorores alaudae. Francesco d’Assisi, il creato, gli animali, S. Maria degli Angeli-Assisi, Porziuncola, 1989, p.172.252 Su Francesco e gli animali, successivamente al mio libro, si vedano i due stu-di di Felice Moretti, Francesco d’Assisi. Un santo che giocava con gli animali, in «Il

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sul solo episodio della predica agli uccelli di Alviano, raccontato fin dalla Vita I, 58 di Tommaso da Celano, poi nel suo Tractatus de mira-culis 20, nella Legenda maior XII, 3, negli Actus XVI, 14-34 e nei Fio-retti XVI. Ne trattai ovviamente nel mio volume citato per le fonti più antiche253, mi servirò di una ampia nota che a tale volume fece Mar-co Bartoli, che analizzò proprio l’evoluzione del racconto sino ai Fio-retti254. La Vita I narra che, mentre l’Ordine aumentava di numero, Francesco presso Bevagna trova un grande numero di uccelli di varie specie che non fuggono al suo avvicinarsi. Lui stesso se ne meraviglia e rivolge loro una predica di esortazione alla lode di Dio, «che vi die-de piume per vestirvi, penne per volare e tutto quanto vi è necessario. Dio vi fece nobili tra le sue creature e vi diede una casa nella purezza dell’’aria»255. Gli uccelli fecero alla fine vari segni col corpo per mani-festare la loro gioia. Infine Francesco, che si muoveva liberamente in mezzo a loro, «li benedisse e, fatto il segno della croce, diede loro li-cenza di volare in altro luogo»256. Una ventina di anni dopo Tomma-so riprende il racconto per il Tractatus de miraculis, con una versione più breve in cui si accentuano alcuni elementi miracolistici. Questi si accentuano ulteriormente nella Legenda maior, ad es. «tutti gli uccel-li lo [Francesco] aspettavano e si voltavano verso di lui, così che quel-li che erano sui rami, mentre gli si accostava, chinavano il capo per ascoltarlo»257: si è passati, a cominciare già dal Tractatus, ad utilizza-re l’episodio soprattutto come esempio della forza della predicazio-ne di Francesco. Gli Actus collegano anch’essi l’episodio alla predica-zione, in maniera particolare. Francesco è nel dubbio se scegliere la vita di contemplazione o quella apostolica di predicazione, chiede a Chiara ed a Silvestro di pregare il Signore per ottenerne risposta ed i

Santo» 46 (2006) 103-148; Idem, Dal ludus alla laude. Giochi di uomini, santi e ani-mali dall’Alto Medioevo a Francesco d’Assisi, Bari, Edipuglia, 2007.253 A. Marini, Sorores alaudae, pp. 89-94.254 M. Bartoli, Sorores alaudae. In margine ad un recente libro di A. Marini, in «Studi e materiali di storia delle religioni» 55 (1989), pp. 285-290.255 «qui dedit vobis plumas ad induendum, pennas ad volandum et quidquid ne-cesse fuit vobis. Nobiles vos fecit Deus inter creaturas suas et in puritate aeris vobis contulit mansionem», Vita I, 58.256 «Benedixit denique ipsis et, signo crucis facto, licentiam tribuit ut ad locum alium transvolarent», ibidem.257 «Omnibus vero expectantibus et convertentibus se ad eum, ita ut quae in ar-bustis erant, inclinatis capitibus, cum appropinquaret ad eas, insolito modo in ip-sum intenderent», Legenda maior, XII, 3.

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due, unanimemente ma senza sentirsi reciprocamente, la ottengono, nel senso della predicazione. Allora Francesco andò a Cannara, dove ebbe l’idea di fondare il Terz’Ordine258 «per procurare universalmen-te la salute di tutti259». In questo contesto, Francesco nota la moltitu-dine degli uccelli e va a predicare loro, laddove la predica nella Vita I non è affatto programmata, ma è improvvisata di fronte all’atteggia-mento che il santo riscontra negli uccelli. Il racconto prosegue senza distaccarsi troppo da quello del primo biografo, semmai accentuan-do gesti, risposte e canti degli uccelli.

Compiuta la predicazione e l’esortazione alla lode di Dio, [Francesco] fece a tutti quelli uccelli il segno della croce e, licenziandoli, li ammo-nì alla lode continua di Dio. Allora tutti quelli uccelli si levarono insie-me in alto e nell’aria fecero insieme un canto grande e meraviglioso, e, finito il canto, secondo la croce fatta dal santo padre, si divisero a for-ma di croce e diressero il volo in quattro parti. Ed ogni parte levando-si in alto con un canto mirabile, si diresse ad una delle quattro par-ti del mondo: una verso oriente, un’altra verso occidente, la terza ver-so mezzogiorno e la quarta verso aquilone; mostrando che, come era stato loro predicato dal santissimo e futuro signifero della santa croce, così si divisero in forma di croce e cantando volavano in forma di cro-ce per le quattro parti del mondo260.

La particolare capacità di Francesco di rapportarsi agli animali che compare nella Vita I è diventata progressivamente dominio mi-racolistico su di essi, soprattutto con l’inserimento del volo a croce:

258 Cosa che le fonti duecentesche non inseriscono, dato che il Terz’Ordine risale canonicamente a Niccolò IV nel 1289.259 «ut salutem omnium universaliter procuraret», Actus XVI, 16.260 «Completa vero predicatione et laudis Dei exhortatione, fecit omnibus illis avibus signum crucis et, eas licentians, de laude Dei instanter admonuit. Tunc om-nes ille aves simul in altitudine se levaverunt et in aere simul fecerunt magnum et mirabilem cantum; et, completo cantu, secundum crucem a s. patre factam se cru-ciformiter diviserunt et in partes quatuor iter direxerunt. Et quelibet pars in altum cum cantu mirabili se levando, ad unam de quatuor partibus mundi se direxit: una versus orientem, aliam versus occidentem, tertia versus meridiem et quarta versus aquilonem; ostendentes quod, sicut eis erat predicatum a sanctissimo et futuro s. crucis signifero, sic se in crucis modum diviserunt; cantando vero cruciformiter per quatuor mundi partes volabant», Actus cap. XVI, 29-32.

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il processo agiografico si è completamente impadronito dell’episodio. La sostanza del racconto è rimasta inalterata, ma alcuni particolari gli danno un colore tutto nuovo: la magnificenza della scena (gli uccelli sono diventati una «infinita moltitudine»), e la più completa umaniz-zazione del comportamento degli uccelli immettono in un’atmosfera «magica» del tutto diversa da quella giocosa e un po’ casuale della Vi-ta Prima.E soprattutto l’ultima aggiunta del volo a forma di croce, che non era presente nelle fonti più antiche, finisce per essere la conferma più au-torevole del meraviglioso prodigio operatosi per bocca di Francesco261.

261 M. Bartoli, Sorores alaudae. In margine, p. 290.

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Conclusioni

Con le loro significative diversità, Sacrum commercium ed Ac-tus ricercano le origini francescane come modello ideale e normati-vo, respingendo l’evoluzione della Comunità e la concezione di Bo-navantura che «legge la storia francescana nella linea di un conti-nuo progresso»262. Nel santo dottore il raffronto del francescanesi-mo non è con la Chiesa primitiva, ma con tutta la storia della Chie-sa, che nasce da umili pescatori per arrivare ai grandi dottori263.

Gli Actus – abbiamo detto – proiettano le origini quasi nel mi-to, a partire da Francesco alter Christus (cap. VI=Fioretti VII), con dodici compagni come gli apostoli (cap. I=Fioretti I). Alcune parole chiave che possiamo sottolineare – soprattutto per gli spirituali, ma non solo – sono fedeltà a Francesco, intentio di Francesco, equipara-zione della regola al Vangelo.

Il modello ideale e normativo di Francesco e delle origini dell’Or-dine vuol dire che si guarda al passato? Si tratta di rimpianto o di co-scienza della propria identità? Si elabora un mito delle origini (al di là della mitizzazione dei personaggi) o si sottolinea la normatività di un ideale incarnato in una prassi? Queste domande vanno al di là della storia dei secoli XIII e XIV e toccano da vicino anche le nostre espe-rienze e la nostra sensibilità. Si rimprovera da alcuni storici agli spi-rituali di essere contro la storia; ma lo storico non dovrebbe esprime-re giudizi definitivi, tanto meno di condanna. Come si può coniuga-re un simile giudizio – ad es. – con il valore che si dà oggi alla memo-ria? Non è una domanda anacronistica, siamo di fronte a fonti che vogliono ricercare e conservare la memoria dei protagonisti, dei te-stimoni (ad es. frate Leone). «Ora corrono tempi diversi»264. È un ri-tornello da un lato utile per comprendere ed accettare i cambiamen-ti, ma dall’altro non può non coniugarsi alla fedeltà ad un progetto265.

262 F. Accrocca, Introduzione al Sacrum commercium in Fonti francescane2, p. 1276.263 Cfr. supra.264 Sacrum commercium cap. 54 («nunc alia tempora currunt», Brufani, cap. 27, 14).265 Rinvio alle parole di domina Paupertas nel cap. 55 del Sacrum commercium (Brufani cap. 27), cit. supra.

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Per Cambell gli Actus sono «anzitutto un grande catechismo in immagini... Fortunatamente le immagini di questo grande catechi-smo sono generalmente belle. Nell’insieme è ben riuscito»266.

Potremmo dire, un po’ ad effetto, che nella varietà delle fon-ti francescane, se ci sono quattro vangeli di Francesco (in realtà di più; ed è questa la forza e la dinamicità della storia del francescane-simo), il Sacrum commercium è il Cantico dei Cantici, l’amore ar-dente per l’amata della giovinezza, cantato in poetica simbologia267: «num quam diligit anima mea vidistis?»268, la domanda di France-sco è ripetuta da tanti suoi figli che a torto sono visti fuori dalla sto-ria. Gli Actus sono una sorta di Acta Apostolorum apocrifi. Apocri-fi per l’aspetto leggendario e l’evoluzione del racconto, per l’equipa-razione definitiva di Francesco a Cristo, infine perché la continuità gerarchica di Francesco è ribaltata ed identificata in Bernardo.

Voglio tornare su un tema del Sacrum commercium che è tra-sversale alle fonti francescane del Duecento, il tema del chiostro, o meglio della sua assenza e della sua identificazione con il mondo per i frati, ampliando quanto scritto sopra a proposito del cap. 63269. Esso, come si è visto, si trova in Giordano da Giano, dove i frati ar-rivati in Germania non sanno cosa sia. In Tommasao da Eccleston il ministro provinciale di Inghilterra, Alberto da Pisa, fa distrugge-re un chiostro edificato per il convento di Southampton270. Il tema si trova anche in Giacomo da Vitry, amico dei Minori ma non fra-te egli stesso, vescovo poi cardinale; nella sua Historia occidentalis, forse antecedente al 1221, quindi importante per la sua precocità cronologica, si dice che il mondo è l’ampio chiostro dei frati271. La diffusione di questo tema è dunque utile per delineare una cronolo-gia non tarda per il Sacrum commercium, ma sicuramente è impor-tante per delineare la spiritualità e la visione religiosa di molti fran-cescani nel Duecento.

266 Introduzione, pp. 69 e 73.267 Si veda ad es. il cap. 5, ove il Cantico è esplicitamente citato e parafrasato.268 Cantico, 3, 3, cit. in Sacrum commercium cap. 5, Brufani cap. 1, 2.269 Brufani cap. 30, 25.270 De adventu fratum minorum in Angliam, ed. A.G. Little, Paris 1909, XIV, 97 (Collection d’études et de documents sur l’histoire religieuse et littéraire du Moyen Âge, 7).271 Giacomo da Vitry, Historia occidentalis, libro II, cap. 32, 17, ed. J.F. Hinne-busch, Fribourg 1972, p. 163.

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Anche Bartoli nota l’importanza di questo tema e vi aggiunge la constatazione che anche Chiara d’Assisi, pur vivendo una vita re-clusa in monastero, nei suoi scritti usa una volta sola la parola clau-strum: «e sembra di capire che sia un termine che lei non amava usare»272. Probabilmente perché era legato alla clausura, che la san-ta accettò ma che probabilmente nei suoi intenti non era un punto ispiratore. Su ciò vi è l’episodio narrato nel cap. XV degli Actus273, su Chiara che con una compagna si reca a pranzo da Francesco alla Porziuncola; qui i due santi, con gli altri compagni, invece di man-giare si mettono a parlare di Dio ed il loro fervore è tanto grande che sembra un fuoco, tanto che gli abitanti della zona credono che stia bruciando la foresta ed accorrono per spegnere l’incendio. Il rac-conto, non presente nelle fonti precedenti, conferma l’aspetto leg-gendario /fiabesco degli Actus e dovrebbe risultare non verosimile perché la clausura avrebbe impedito a Chiara di uscire dal suo mo-nastero di S. Damiano. A meno che la santa non avesse pensato che incontrare Francesco, di cui lei si riteneva la pianticella274, non fos-se un motivo utile, ragionevole, manifesto e probabile»275. Ma que-sta, più che un’ipotesi poco fondata, è una suggestione.

Piuttosto, davvero in conclusione, prendiamo dagli Actus la do-manda su Francesco, che già vari storici hanno citato nei loro studi sul Poverello, colui che è all’origine di tutte le opere di cui si è trat-tato in questo volume. L’episodio è narrato per la prima volta dagli Actus, al cap. X276, ed è la nota domanda rivolta al santo dal compa-gno Masseo:

272 M . Bartoli, Il “gioco” del Sacrum commercium, p. 146. L’unica ricorrenza di claustrum è nella terza lettera di Chiara ad Agnese di Boemia, versetto 19, ed è in un contesto ed un significato assolutamente estraneo all’ambito di un edificio: si parla infatti del «piccolo chiostro del sacro utero» nel quale Maria portò Gesù, «ip-sa parvulo claustro sacri uteri contulit et gremio puellari gestavit», in Opuscula s. Francisci et scripta s. Clarae Assisiensium, ed. G. Boccali, Assisi, Porziuncola, 1978, p. 432. Cfr. Bartoli, Chiara d’Assisi, Roma, Istituto Storico dei Cappuccini, 1989, p. 123.273 Fioretti cap. XV.274 Si veda ad es. Chiara d’Assisi, Regula, cap. 1, 3: «Clara indigna ancilla Christi et plantula beatissimi patris Francisci», in Opuscula s. Francisci et scripta s. Clarae, p. 344.275 Chiara d’Assisi, Regula, cap. 2, 13: «Deinceps extra monasterium sine utili, ra-tionabili, manifesta et probabili causa eidem exire non liceat», ibidem, p. 348.276 Fioretti cap. X.

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«Da dove a te? da dove a te? Da dove a te?». Rispose san Francesco: «Che disse frate Matteo?». «Perché tutto il mondo sembra venire die-tro te; e tutti vogliono vedere te, ascoltare te ed obbedire a te. Tu non sei un uomo bello; tu non sei di grande scienza o sapienza; tu non sei nobile! Da dove dunque a te, che tutto il mondo viene dietro a te?»277.

Francesco risponde con grande umiltà che Dio ha scelto lui per-ché era tra i più grandi malvagi e peccatori, per compiere un’opera mirabile e confondere grandi e sapienti del mondo, mostrando che tutto viene da Dio. Ma la domanda interpella ancora oggi ognuno di noi, così come si pone anche agli storici.

277 «“Unde tibi? Unde tibi? Unde tibi?”. Respondit s. Franciscus: “Quid dixit fr. Masseus?”. – “Quia totus mundus videtur venire post te; et omnes querunt te videre, te audire et tibi obedire. Tu non es pulcher homo; tu non es magne scientie aut sa-pientie; tu non es nobilis! Unde ergo tibi quod totus mundus veniat post te?”», Ac-tus cap. X, 2-3, p. 194.

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Indice

Da Assisi al mondo.Storie e riflessioni dei frati del primo secolo francescano. . . » 5

Premessa . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 5

PrimA PArteil De inceptione Ordinis, la Chronica di Giordano da Giano,il Tractatus de adventu fratrum minorum in Angliam ditommaso da eccleston . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 7

di Marco BartoliIntroduzione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 7

1. il De inceptione vel fundamento Ordinis et actibusillorum fratrum Minorum qui fuerunt primi in religione et socii Beati Francisci . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 11

1.1 L’autore . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 131.2 La data di composizione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 161.3 Il contenuto e il genere letterario . . . . . . . . . . . . . . . . . » 171.4 Le fonti . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 191.5 Quale idea di Francesco? . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 191.6 La conversione di Francesco . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 201.7 Francesco penitente . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 231.8 La povertà . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 241.9 La morte di Francesco . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 271.10 La vita dei frati . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 291.11 La qualità della vita fraterna . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 301.12 Tra i frati al primo capitolo: i primi problemi . . . . . . . » 331.13 I poveri e la povertà . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 361.14 La predicazione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 411.15 La missione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 421.16 La missione al di là dell’Italia . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 431.17 I cambiamenti istituzionali . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 44

2. La Chronica di Giordano da Giano . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 612.1 L’autore . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 622.2 La data di composizione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 632.3 Il genere letterario . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 642.4 Le fonti . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 642.5 Idea generale dell’opera . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 642.6 Quale idea di Francesco . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 652.7 La vita dei frati . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 68

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2.8 I poveri e la povertà . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 682.9 La predicazione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 712.10 La missione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 722.11 I cambiamenti istituzionali . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 79

3. il Tractatus de adventu fratrum minorum in Angliam ditommaso da eccleston . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 93

3.1 L’autore . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 933.2 Data di composizione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 943.3 Il genere letterario . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 943.4 Le fonti . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 943.5 Quale idea di Francesco . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 953.6 La vita dei frati . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 973.7 Penitenza . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 993.8 Miracoli . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 1013.9 La povertà . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 1023.10 La predicazione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 1063.11 I cambiamenti istituzionali . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 115

Conclusioni . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 125

SeConDA PArteSacrum commercium sancti Francisci cum domina Paupertate e Actus beati Francisci et sociorum eius . . . . . . . . » 129

di Alfonso Marini . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 129

1. Sacrum commercium . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 1311.1 Genere letterario, datazione, attribuzione. . . . . . . . . . » 1311.2 L’interpretazione della storia . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 1391.3 Povertà e polemica . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 1521.4 Sacrum commercium, scritti di Francesco e prime legendae francescane . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 157

2. Actus beati Francisci et sociorum eius . . . . . . . . . . . . . . . . . » 1692.1 Genere letterario . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 1702.2 Struttura . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 1712.3 Titolo . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 1722.4 Datazione, autore, luogo di composizione . . . . . . . . . » 1762.5 Caratteristiche interne degli Actus . . . . . . . . . . . . . . . » 179

Conclusioni . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 209

L’esigenza di un ritorno alle fonti francescane, in particolare dei testi di e su Francesco e Chiara di Assisi, ha spinto la Provincia dei Frati Mino-ri di Sicilia a promuovere annualmente una Settimana di francescane-simo. L’idea di mettere a disposizione di un pubblico più vasto i contri-buti che vengono offerti durante queste Settimane è all’origine di que-sta Collana. Lo scopo è di aiutare il lettore a comprendere la “proposta cristiana” di Francesco e Chiara e mostrare in tal modo quanto sia ancora attuale il loro messaggio evangelico, offrendo uno strumento di formazione per tutti coloro che vivono – o guardano con interesse – la spiritualità fran-cescana.

1. Marco Bartoli

La libertà francescana Francesco d’Assisi e le origini del francescanesimo nel XIII secolo

2. antonio ciceri

Theologia pauperum Il racconto della conversione e della morte di San Francesco nel

corpus delle legendae francescane Saggio analitico di stratigrafia teologica

3. Marco Bartoli - alfonso Marini

Da Assisi al mondo Storie e riflessioni del primo secolo francescano

Finito di stampare nel mese di settembre 2010per conto dell’editore Il Pozzo di Giacobbe