"cluster creativi per i beni culturali"
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Ministero dell‟Istruzione, dell‟Università e della Ricerca
ACCADEMIA DELLE BELLE ARTI DI NAPOLI
Diploma accademico di I livello
In Didattica dell‟arte
Corso di Beni Culturali
“Cluster Creativi per i Beni Culturali”
Candidata:
Francesca Daniele
Mat. 36616
Relatore:
Prof.ssa De Rosa Federica
Relatore Progetto Artistico:
Prof. re Luigi Affuso
Anno Accademico 2014/2015
INDICE
Premessa ............................................................................................................................................... 4
Introduzione ......................................................................................................................................... 6
Capitolo 1 I BENI CULTURALI
1.1 Il Patrimonio ed i Beni Culturali. Definizione e Classificazione ................................ 10
1.1.1 Atti ed attori tradizionali dei beni culturali .................................................................. 24
1.1.2 Ministero ed enti territoriali. Le Regioni ........................................................................ 26
1.1.3 La Santa Sede .......................................................................................................................... 32
1.1.4 Organizzazioni Internazionali. Unione Europea ed UNESCO ................................. 37
1.2 Le criticità del sistema .............................................................................................................. 44
1.2.1 Sovrapposizione di competenze e crisi economica .................................................. 45
1.2.2 Frammentazione del corpo normativo ........................................................................... 46
Capitolo 2 CLUSTER CREATIVI
2.1 L‟atmosfera Creativa ................................................................................................................. 47
2.2 Cambia l‟approccio ed evolve il modello ......................................................................... 49
2.3 Dal Distretto culturale al Cluster Creativo ........................................................................ 51
2.3.1 Il Distretto culturale creativo. Un cluster creativo per i Beni Culturali ................ 53
2.3.2 Richard Florida e la Creative Class ................................................................................... 55
2.3.3 Il Crowdfunding per i Beni Culturali ................................................................................ 59
Capitolo 3 OGGETTO DI STUDIO E PROGETTO DI CROWDFUNDING
3.1 La Chiesa della Congregazione “Immacolata Concezione” ........................................ 62
3.1.1 Il culto Mariano nella Terra di Lavoro e gli Ordini di Congregazione della città di Maddaloni ........................................................................................................................... 65
3.1.2 Analisi storico-artistica della Chiesa della Concezione ........................................... 70
3.2 Progetto di Crowdfunding per il restauro della Chiesa della Concezione ........... 86
3.2.1 “Abbi Cultura di Te” ............................................................................................................... 87
Conclusioni .......................................................................................................................................... 91
Bibliografia .......................................................................................................................................... 93
Sitografia .............................................................................................................................................. 95
Ringraziamenti ................................................................................................................................... 97
Appendice elettronica A. “Chiesa della Concezione”
Appendice elettronica B. “Arte e Storia tra le strade della città di Maddaloni
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Premessa
Durante la mia esperienza Erasmus, vissuta in Turchia presso la Maltepe Univeristy
di Istanbul, ho avuto la possibilità di ampliare i miei orizzonti, di aprire la mia
mente, di accrescere le mie conoscenze, ma, soprattutto ho vissuto una
indimenticabile esperienza di crescita. Nel periodo trascorso in quella che da
sempre è la porta tra Occidente e Oriente, ho partecipato a diverse iniziative
artistico-culturali e di altrettante sono stata spettatrice. Io che sono cittadina
Italiana, cittadina Europea, registravo con ammirazione e stupore la partecipazione
di una popolo alla propria cultura in tutte le sue forme: arte, religione, lingua, cibo
e molto altro ancora. Una cultura millenaria saldamente ancorata alla proprie
radici e al tempo stesso evoluta, pronta a cogliere le sfide tecnologiche ed
antropologiche che il progresso ha da offrire. I prodotti di tale processo,
soprattutto quelli che concernono le diverse forme d‟arte, si raccolgono in “spazi”
quasi impossibili da catalogare, in cui la partecipazione della popolazione, aldilà di
sesso, età e provenienza socio-culturale, metaforicamente ricorda un formicaio.
Osservando e successivamente partecipando a tale febbrile accadimento, cresceva
in me la sensazione di essere parte di un qualcosa che necessitava di essere
analizzato e denominato. Ho dunque cominciato ad interrogarmi circa quale tipo
di processo storico-culturale avesse prodotto tali “spazi”, quali erano gli organi che
li gestivano, secondo quali metodologie e risorse. Risposte sterili a quesiti tecnici,
a cui pochi sapevano dare risposta. Ho custodito nella mia mente la curiosità e nel
mio cuore la meraviglia, accantonando nel rientro l‟idea di un approfondimento.
Un giorno, fortuitamente, mi sono imbattuta in una piccola Chiesa, locata nei
pressi del centro storico della mia città, Maddaloni, una cittadina Campana in
provincia di Caserta, bella in un tempo trascorso e narrato nei libri impolverati
della biblioteca comunale. Affascinata dai manufatti artistici ho cominciato a
studiarli, valutato al contempo che questa Chiesa era spesso chiusa al pubblico e
non ha mai beneficiato d‟interventi di restauro. Ricerca ed accumulo di materiale
bibliografico di rilevanza storico-artistica, architettonica e urbanistica, eppure c‟era
dell‟altro. Questo monumento, un bene culturale, mai tutelato e poco fruito, era
stato impedito nello svolgere la sua principale funzione d‟essere, ovvero quella
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culturale. Mi sono interrogata su quali potevano essere le iniziative, le soluzioni
alle criticità, analizzando le ultime misure adottate in materia ed affrontando gli
aspetti storici e burocratici dei beni culturali, inciampando spesso in retorica e
polemiche sterili. Solo a quel punto ho capito che spesso non sono le risposte ad
essere errate ma i quesiti e forse i punti di vista circa la faccenda. Studio, metodo e
ricerca hanno contribuito alla mio sovvertimento di prospettiva circa la disciplina,
donandomi finalmente la giusta chiave di lettura circa ciò che avevo visto e vissuto
in Turchia. Gli “spazi”, gli oggetti in essi contenuti e le attività a cui la società turca
si affaccendava a partecipare con entusiasmo, erano il prodotto unico di un
processo antropologico fondato su: senso di appartenenza, consapevolezza del
proprio corredo culturale e progresso. Una risposta, scritta non troppo tra le righe
anche nel nostro DNA, nel Codice dei Beni Culturali e del Paesaggio e nella
Costituzione. In conclusione? La Creative Class in cui mi sono imbattuta aveva
prodotto dei Cluster Creativi, innovativi e funzionali soprattutto per i beni culturali,
ed io cercavo di fare lo stesso. Semplicemente!
6
Introduzione
Il cluster, parola originariamente di lingua inglese, è spesso tradotta in italiano con
la locuzione agglomerato o raggruppamento. Fin dal principio questo termine è
stato collegato a campi semantici tecnici ed impiegato in discipline scientifiche
come ad esempio la chimica, la medicina, la biologica o l‟informatica. Il termine
clustering fu coniato nel 1939 dallo psicologo Robert Choate Tryon nei suoi studi
circa la psicometria, cioè la misura della conoscenza, delle abilità, degli
atteggiamenti e delle caratteristiche della personalità di un individuo. Nel corso XX
secolo la parola cluster, è sempre più divenuta protagonista di una disciplina
scientifico-economica, la statistica, in cui viene intesa come una serie di tecniche
d‟analisi mirate a selezionare un insieme omogeneo di dati. Negli ultimi anni la
disciplina economica, intreccia sempre di più i suoi studi scientifici con ambiti
umanistico-antropologici, dato il ruolo fondamentale ricoperto dal capitale umano
e dalle sue capacità in questo ambito. Nel 2002 un‟economista statunitense,
Richard Florida, concentrandosi esattamente sulle capacità del capitale umano,
teorizzò un‟innovativa ipotesi di sviluppo economico secondo cui sono: la
creatività, la presenza di un imponente patrimonio storico-culturale ed un capitale
umano Threet-T, cioè una società caratterizzata da tolleranza, talento e tecnologia,
le principali motivazioni della crescita economia di un paese. Per la prima volta,
quindi, fu ipotizzato che la capacità creatività del capitale umano, cioè
dell‟individuo come singolo ma soprattutto come comunità, ed il retaggio
culturale, fossero elementi fondamentali per lo sviluppo sociale, culturale e quindi
economico di una nazione. In questo millennio abitato, secondo Florida, da una
peculiare terza generazione, sono fattori competitivi la Cultura capace di attivare le
risorse sia identitarie che innovative, la Comunicazione come potente strumento
strategico e la Cooperazione in grado di stimolare la comunità ad un processo di
corresponsabilizzazione. La peculiarità della terza generazione a cui l‟economista si
riferiva è la creatività. Senza ombra di dubbio la società contemporanea è più che
mai dipendente dal fattore creativo, un concetto posto al servizio dei più svariati
campi: economica, arte, medicina, tecnologia, cultura e molto altro.
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Style of life di successo planetario, forma prevalente dello stare al mondo che si
tramuta sempre più in una growth machine dello sviluppo sociale, culturale ed
economico di una comunità e quindi di una nazione. La creatività è divenuta icona
della contemporaneità, strumento per definire progetti, guidare attività in qualsiasi
ambito e spesso retorica per disegnare filosofiche nuove visioni d‟umanità. Si può
definirla semplicemente, un‟attitudine all‟innovazione necessaria per essere al
passo con i tempi, perché intrinseca nell‟ingegno umano, nell‟abilità di generate
nuove idee, tecniche, tecnologie e soprattutto nel suo logos culturale. La cultura,
non è un concetto di facile definizione, ma al fine di comprendere come essa
concorre fattivamente al processo di rinnovamento del patrimonio ed i beni che lo
compongono, il testo qui redatto comincia proprio da qui. Un‟idea universale,
intesa come testimonianza identitaria di un popolo, come eredità da consegnare ai
posteri e sempre più spesso motivo di grande “interesse” soprattutto per i paesi
emergenti che mirano a dotarsi di cultural hub in grado di rendere il patrimonio
un prodotto al servizio di cluster sociali e dei nuclei geografici di conseguenza più
vivibili, dinamici e maggiormente attrattivi per futuri investimenti economici.
Sempre secondo Florida, insieme alla creatività, la cultura è prerogativa di una
classe sociale emergente, la creative class, abitante delle città 3.0, capace di
innovare tutti i campi produttivi ed alimentare quello economico. Un dinamismo,
quello della creative classe atavico nell‟ambito culturale, ma che nel secolo
presente più che mai, concorre al progresso e all‟innovazione dell‟idea di
patrimonio culturale e dei beni che lo compongono.
Nell‟attuale situazione di crisi – ormai non più solo finanziaria – con il Pil mondiale
in calo e con il ripensamento dei modelli di sviluppo e dei profili di welfare, appare
necessario anche nell‟ambito dei beni culturali un passo evolutivo, urgenza
necessaria perché questo continui ad essere capace di produrre effetti
moltiplicativi e rigeneranti per lo sviluppo individuale e sociale. L‟evoluzione,
operata dalla creative classe, permette alla cultura di essere la principale
generatrice di nuovi agglomerati, cioè cluster, urbani, sociali ed economici.
Pertanto Il patrimonio culturale e i beni che lo compongono non possono più
essere motivo di retorica dialettica, ne essere intesi passiva categoria di cose
interpretata da storici e studiosi dell‟arte (prima generazione) o da legislatori ed
economisti (seconda generazione). Il progresso chiama all‟azione la terza di
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generazione, la creative classe, detentori della capacità creativa, decisori e
progettisti innovativi, perché solo gli individui e quindi le società che
affronteranno creativamente il global change riusciranno ad assicurare una
trasmissione del cultural heritage e di conseguenza un sviluppo eterogeneo della
nazione ed il benessere sociale delle comunità. Il rinnovamento del concetto e
delle metodologie d‟approccio ai beni culturali nell‟loro insieme, è un impegno
indifferibile per giovani governanti, pianificatori e progettisti, promotori e
comunicatori, imprenditori ed investitori, perché questo è legato alla necessità di
ripensare alla eredità culturale, al retaggio da consegnare ai posteri. Non è solo il
cosa, cioè i beni culturali, ed il chi, ovvero i cluster creativi, ad interessare il
dibattito intrapreso in questo documento, ma soprattutto il perché, cioè quali
sono le motivazione che hanno condotto a questo processo evolutivo, ed il come,
cioè quali sono metodologie messe in campo dai cluster creativi per i beni
culturali. Concorrendo a trattare in modo esaustivo l‟argomento, questa tesi si
prefigge l‟obiettivo di illustrare tramite un percorso organico il nuovo scenario che
concerne i beni culturali ed i suoi attori. Al fine di comprendere quali sono le
dinamiche di mutamento, quali sono gli approcci della società contemporanea a
questi ultimi ma soprattutto quali sono i “nuovi agenti creativi” dei beni culturali e
le iniziative messe in campo da questa particolare categoria generazionale, è
possibile intraprendere la lettura di tale tesi. Quel che segue è una panoramica, il
più possibile ampia e lontana dalla retorica, del processo di rinnovamento vissuto
dal patrimonio culturale nel nostro secolo e nello specifico nel nostro paese. Il
testo si articolerà in tre macro fasi, con l‟ausilio di materiale di tipo antropologico
e legislativo per la prima parte del documento, si approfondirà il concetto di
patrimonio e bene culturali, procedendo con una breve panoramica di quali sono
gli attori tradizionali che concorrono alla gestione e le principali azioni di tutela e
valorizzazione, per concludere con un approfondimento circa nel criticità
sistematiche emerse nell‟analisi del sistema gestionale del patrimonio culturale.
Nella seconda fase, invece, tramite articoli esteri e materiale attuale si tratteranno
quelli che sono i nuovi attori dei beni culturali, cioè i cluster creativi prodotto della
creative class e della teorizzazione dell‟economista statunitense Florida. Infine nel
terzo capitolo sarà analizzata una modalità di partecipazione dei cluster creativi al
processo d‟innovazione del patrimonio culturale innovativa e che recentemente si
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fa largo nel nostro Paese, il crowdfunding. Al fine di illustrare al meglio il
fenomeno, sarà proposto un progetto di crowdfunding per i lavori di restauro
della Chiesa della Immacolata Concezione, sita nella città di Maddaloni in
Campania provincia di Caserta.
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Capitolo 1
I BENI CULTURALI
1.1 Il Patrimonio ed i Beni Culturali, definizione e classificazione
“Le patrimoine est une part de nos reves et meme temps la marque d‟ un passè,
parfois rejetè”
Audrerie Dominique, “La notion e la protection du patrimoine”, Paris, 1997.
I beni culturali sono un complesso indivisibile di “cose”, presenti in un luogo, in
una città, sparse su un territorio o distribuite in un intera nazione, avente valore di
civiltà. Sono la testimonianza tangibile della cultura, intesa come quell‟insieme di
tratti - storia, tradizioni, lingua ecc. - che distinguono un popolo da un altro. Il loro
insieme costituisce il patrimonio culturale cioè l‟identità, il retaggio, il lascito dei
padri ai propri figli perché questi ultimi lo tutelino e a loro volta lo trasmettono
alle generazioni future. La medesima etimologia della parola patrimonium, dal
latino proprietà del pater e della famiglia, rievoca il senso di appartenenza ad un
ceppo, parla di un insieme di ricchezze come un‟eredità familiare ed impartisce la
fondamentale lezione del rispetto e salvaguardia per la storia. Perché la Storia è
quello che siamo.
Secondo lo storico francese Audreirie Dominique, il concetto moderno di
patrimonio culturale1 è una consuetudine occidentale, una definizione ambigua e
paradossale risultato di un evoluzione storia discendente dalla Rivoluzione
Francese. In effetti in diritto romano, base giuridica della cultura occidentale, il
patrimonio è un insieme di beni di proprietà della famiglia, essi però non sono
1 ”Il Patrimonio è una parte dei nostri sogni e nello stesso tempo il segno di un passato, a volte respinto”.
Audrerie Dominique, La notion et la protection du patrimonie, Paris,1997.
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materiali, bensì intesi come rivendicazione identitaria, discendenza. Di
conseguenza l‟erede non è il proprietario del bene, ma il depositario del sapere. In
un articolo, Jean Pierre Babelon e Andrè Chastel2, affermano che la formazione di
un patrimonio risale al culto dei morti, e di conseguenza alla memoria, che diventa
in tale senso una dimensione fondamentale del concetto di patrimonio. La visione
storica del patrimonio si può quindi ripartire in sei momenti: quello religioso,
monastico, familiare, nazionale, amministrativo e scientifico. All‟origine della
formazione del concetto di patrimonio i due autori collocano il momento
religioso, perché il primo esempio di bene patrimoniale è la santa reliquia, la cui
funzione espositiva e votiva, ha influenzato la costruzione delle architetture e tutta
l‟arte occidentale3 in genere.
Dopo la Rivoluzione Francese, dal momento familiare si passa a quello della
nazione, cresce così nella coscienza collettiva l‟idea secondo cui i patrimonio è un
bene che non appartiene solo ad un gruppo ristretto di persone, ad una famiglia
ma è un bene comune e quindi proprietà della nazione. Possiamo quindi affermare
con certezza che il patrimonio culturale è il DNA di una nazione e del suo popolo,
mentre i beni culturali i suoi cromosomi, delle “cose” che in quanto fatte di
materia sono deperibili ma certamente inimitabili. Il loro valore è trasversalmente
percepito dalla moltitudine, perché per taluni come per altri il patrimonio culturale
è Res-pubblica, il “luogo comune” a cui tutti posso accedere liberamente, secondo
il principio di pubblica fruibilità e nei confronti del quale tutti adempiono agli
stessi doveri, secondo il principio di tutela. Un concetto, quello di patrimonio
culturale strettamente legato ad altri come, il senso di appartenenza e
d‟identificazione dei membri di una società nei medesimi valori. Nel corso del
tempo questo concetto si è ampliato, si è legato alle vicende della storia umana e
si è succeduto nei provvedimenti burocratici fino ad oggi. Nell‟era della
globalizzazione e della multimedialità l‟argomento sembra non aver ancora
esaurito la dialettica, le domande più frequenti riguardano la rilevanza che esso ha
per la società, l‟utilizzo che ne facciamo e soprattutto la sua funzione. Il ruolo del
nostro patrimonio e delle unità che lo compongono, beni culturali e paesaggistici,
oggi più che mai sono messe in discussione e sottoposto alle “quote di mercato”, 2 Babelo J.P. Chastel A.” La notion de patrimonie”, Reveu de l’Art.,1980, n.49, pag.5-32.
3 Recht.R “Penser le patrimonie. Mise en scene et mise on ordre de l’art”, Hazan pag.6, Paris, 1998.
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oscillano tra l‟essere considerati un deposito della memoria storico-artistica e
culturale, uno stimolo creativo per marketing contemporanei e una forza motrice
per i progetti futuri. Altri due sono gli aspetti, sempre più spesso al centro di
discorsi ed interventi politico-economici, la proprietà, che come abbiamo detto è
utopicamente pubblica, e il valore monetario. La proprietà in questa disciplina,
come in molte altre, la sfera pubblica e quella privata coesistere, avvicendarci e
intrecciarsi a campi come la storia, l‟etica ed il diritto. Il secondo aspetto
probabilmente è collegato alla maggior parte della locuzioni utilizzate per
intendere le unità che compongono il nostro patrimonio culturale. In francese si
usa il termine “patrimoine”, mentre nei testi tradotti in lingua inglese si usa in
modo equivalente “propriety” e “heritage”, è necessario sottolineare che anche in
lingua francese si usa il termine “hèritage” ma quest‟ultimo acquista una
connotazione diversa. Infatti si intende per “hèritage”, solo quei beni ricevuti in
eredità e non anche a quelli aggiunti in seguito dalla persona, secondo Desvallèesy
ciò comporta duplice: verticale e orizzontale. La visione verticale è quella ereditaria
perché si riferisce solo alle cose trasmette, mentre la visione orizzontale è quella
patrimoniale perché si riferisce ad una visione collettiva, ampia tanto da includere
altro oltre a ciò che è stato ereditato. Nella lingua italiana bene, cose e patrimonio
sono tutte parole utilizzate in modo equivalente e spesso legate al valore venale, è
forse qui che si nascondono molti degli equivoci relativi all‟idea che esso sia una
sorta di “tesoretto”. Non a caso il primo termine adoperato in riferimento a alla
definizione di beni culturali è stato “cose”. Nonostante questa terminologia oggi
risulti alquanto obsoleta, diremmo superata, si continua a considerare, spesso con
grande leggerezza, i beni culturali come quel che abbiamo, e non quel che siamo.
Una società evoluta avverte il proprio patrimonio come parte di se stessa, in
quanto esso concorre alla qualità nostra vita, alla dignità della popolazione e al
senso di responsabilità sociale. Da tali considerazioni si può evincere che tanto più
sarà diffusa nella società la consapevolezza che: il patrimonio culturale è fonte di
ricchezza inestimabile in cui riversare tutta la creatività, le risorse e non una
miniera d‟oro da sfruttare, tanto più essa agirà come elemento di coesione civica,
sarà fabbrica di tolleranza e cooperazione.
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Escludendo la Carta di Atene del 19314, che enuncia il concetto d patrimonio e di
tutela senza definirlo con certezza, è possibile ripercorrere il cammino intrapreso
dal cultural heritage mondiale cominciando da quei momenti di forte difficoltà che
caratterizzarono la storia dell‟uomo; forse perché è nelle situazioni d‟emergenza
che emerge la coesione sociale e la sensibilità della nazioni verso temi
fondamentali. La Seconda guerra mondiale era appena terminata, ma sull‟Europa
spiravano ancora venti d‟orrore e distruzione, e la fase di ricostruzione rivelo tra le
ferite più gravi anche quella inferta al patrimonio artistico-culturale. In ambito
internazionale La Convenzione internazionale per la protezione dei beni culturali in
caso di conflitto5 armato firmata all‟Aja il 14 maggio 1954 formulo norme, in
ambito di diritto internazionale, per la protezione del patrimonio in caso di guerra,
e utilizzo per la prima volta la locuzione di Bene culturale. Nel medesimo anno la
Convenzione Culturale Europea di Parigi, riprende le tematiche della Convenzione
Dell‟Aja, insistendo sull‟importanza del patrimonio culturale quale strumento di
conoscenza reciproca tra i popoli. Dagli anni 50 in poi, è possibile riscontrare un
incremento dell‟attenzioni, tipologiche e tangibili, preposte nei confronti del
patrimonio culturale e nello specifico dei beni che lo compongono. Nel 1964 la
Carta Internazionale di Venezia, si occupò di temi come la conservazione dei
monumenti e i dei siti enunciando una primordiale definizione di patrimonio:” (...)
recanti messaggio spirituale del passato, rappresentano, nella vita attuale, la viva
testimonianza delle loro tradizioni secolari. L‟umanità che ogni giorno prende atto
dei valori umani, la considera patrimonio comune, riconoscendosi responsabile
della salvaguardia di fronte alla generazioni future. Essa si sente in dovere di
trasmetterle nella loro completa autenticità”. In questo documenti si tenta di
stabilire secondo quali criteri di valutazione un bene può essere considerato tale, e
cosa s‟intende per valore storico, artistico e culturale. La locuzione, beni culturali,
verrà citata nelle Raccomandazioni dell‟UNESCO, come ad esempio quella del
1962, e nella Convenzione di Parigi del 14 novembre 1970. Le preoccupazioni
4 In questo documento inizialmente si parla di conservazione del patrimonio artistico e archeologico,
successivamente di opere d’arte e monumenti, ma senza definire a monte il concetto di patrimonio culturale. 5 Nella convenzione scritta dalle Nazioni Unite al termine della Seconda guerra mondiale, nell’articolo 1 si
specificava la categoria di beni che la comunit internazionale si impegnava a proteggere, a prescindere dalla loro origine e dalla loro proprietà.” beni mobili e immobili di grande importanza per il patrimonio culturale dei popoli, come (..) le collezioni scientifiche, gli archivi, i centri comprendenti un numero considerevole di beni culturali”
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espresse durante questi incontri e nei documenti che ne derivavano, erano
soprattutto riferiti alla necessità di salvaguardia di alcuni beni culturali fino a quel
momento mai catalogati nella loro specificità. Parliamo dei beni paesaggistici o
ambientali, cioè creati dall‟uomo che avevano un valore estetico, culturale o
d‟insieme. Un punto di svolta per l‟intera disciplina, visto che ciò introdusse in
primo luogo il concetto di proprietà pubblica6 e in secondo luogo la necessità di
ampliare e specificarle categorie di beni, al fine di salvaguardare il diritto
universale, la fruibilità. In Italia la prima legge in cui chiaramente si evince un
interesse per il patrimonio artistico fu quella del 1976, con essa si sancivano le
norme per la redazione del primo censimento del patrimonio nazionale, un
inventario di tutte “le cose mobili ed immobili che erano d‟interesse storico,
artistico ecc.”. La casistica si allargo con la prima legge7 dedicata alla tutela del
patrimonio artistico Italiano, in cui però si parlava ancora di cose di interesse
storico-artistico-nazionale-archeologico” e non di beni. Attendiamo per una svolta
significativa la Commissione Franceschini istituita nel 1963 dal Parlamento per
svolgere un‟indagine sulle condizioni del patrimonio, allora definito artistico
ambientale, e proporre riforme amministrative circa l‟antichità e le belle arti.
La relazione redatta dalla commissione, dal titolo “Per la salvezza dei Beni Culturali
in Italia”, fu stampata a Roma nel 1968, ed affermava per la prima volta che
sottoposti ad iniziative di salvaguardia dovevano essere non sono le “cose” avente
valore d‟unicità ma” i beni avente valore di civiltà”. Due anni dopo nacque l‟Ufficio
Centrale per Catalogo dei Beni a cui afferì Il Ministero per i Beni Culturali8 e
ambientali scorporato dal Ministero per l‟Istruzione, mentre ufficialmente il D.L. del
1974 fu il primo documento legislativo ad utilizzare la parola Bene Culturale.
Furono questi i primi passi mossi verso la considerazione che attualmente
abbiamo del patrimonio culturale Italiano, un caso eccezionale ed unico nel suo
genere, soprattutto per la morfologia geo-politica del territorio. L‟alta percentuale
di beni presenti su una superfice alquanto ridotta, la stratificazione etneo-
antropologica, le vicende storiche e soprattutto artistiche che ha visto la maggior
6 Commissione parlamentare istituita con la l.310/1964, cui fu affidato il compito di svolgere un lavoro
d’indagine sugli organi dell’amministrazione, oltre al censimento del patrimonio italiano. 7 D.L. del 14 dicembre 1974 n.657, convertito in legge nel 1975.
8 Decreto legislativo 657/1974, convertito in dpi 805/1975 che istituiva l’allora Ministero per i beni culturali
e ambientali.
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parte degli artisti lavorare in modo diffuso tra le strade, nelle città, nei piccoli
centri abitativi delle regioni del nostro Paese sono solo alcuni dei motivi che ci
fanno essere cittadini del nostro patrimonio. Un vero e proprio museo naturale9,
condizione singolare che quindi necessità di azioni di tutela e valorizzazione
specifiche. Secondo l‟articolo 9 della Costituzione: “La Repubblica tutela e valorizza
il patrimonio culturale” mentre Il comma 2 del primo articolo, del Codice dei beni
culturali e del paesaggio enuncia:” la tutela e la valorizzazione del patrimonio
culturale concorrono a preservare la memoria della comunità locale e del suo
territorio”. Una lettura unica dei due corpi legislativi, socchiude tra le proprie righe
il significato profondo di patrimonio culturale, cioè quello di essere cultura a tout
court, ricchezza comune, memoria individuale e collettiva mediata dagli oggetti
(patrimonio culturale materiale) e dalle espressioni umane (patrimonio culturale
immateriale). Considerare il patrimonio culturale ripartito in differenti unità, beni
culturali e paesaggistici, materiali e immateriali, concorre a determinare una più
ampia e globale nozione di cultura e del prodotto culturale che, per sua natura,
tende a superare la connotazione di diversità ed indirizzarsi verso quella di
universalità. Sono queste riflessioni che inducono ad affermare che il patrimonio
culturale comprende anche aspetti intangibili, cioè quell‟insieme di espressioni,
conoscenze, pratiche, rappresentazioni umane che hanno valore di civiltà per ogni
cultura. Sono parte di tale patrimonio: il linguaggio, le tradizioni orali,
consuetudini sociali, le arti dello spettacolo e l‟artigianato locale. Il non sussistere
di per sé rende questi beni più fragili, perché un manufatto sopravvive al suo
autore ma quando un popolo si disperde o muta velocemente le consuetudini di
vita, le tradizioni il folklore si dissolvono. A cogliere, prima di altri, questo
particolare aspetto del patrimonio culturale fu l‟UNESCO, organizzazione delle
Nazioni Unite posta a salvaguardia della Pace. Essa intraprese questo percorso nel 9 Possono essere consultati a riguardo di Bruno Toscani e Andrea Emiliano (1974 A.pp207-208). ” La realtà Italiana è quella di un immenso territorio culturale di oltre 300 mila chilometri quadrati (...) con una sedimentazione storica capillare, una stratificata culturale fittissima e una cultura, che si voglia o non si voglia, profondamente innestata in questa stratificazione.” CHASTEL (1980):” l’Italia, che non ha conosciuto né le Riforme, né le violenze rivoluzionarie di cui ha sofferto, per esempio, il patrimonio francese”. Ha potuto preservare:” in una maniera generale e notevole(...) qualche cosa di essenziale della soluzione del passato”. Non essendo stato qui” pregiudicato radicalmente, come altrove, codesto curioso privilegio storico di continuità (...) si deve considerare la penisola come il logo per eccellenza del museo naturale”.” L’Italia si è trovata cosi disseminata di luoghi, originali e densi, come se la storia avesse distribuito nello spazio i suoi contrassegni maggiori(...) è questo un privilegio di cui è normale stancarsi, ma questa attitudine a integrare l’arte alla cultura e la cultura al quotidiano, offre ai vicini d’Occidente un esempio semplice e meraviglioso al quale è utile pensare quando si percorrono i musei d’Italia.
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1972 con la Convenzione sulla protezione del patrimonio mondiale culturale e
naturale, passando per la Raccomandazione alla salvaguardia della tradizione e del
folklore come del 1989, fino alla Convenzione per la salvaguardia del patrimonio
culturale intangibile del 17 ottobre 2003. In quest‟ultima occasione furono redatte
diverse liste, in cui vi erano elencati i patrimoni immateriali, quelli minacciati dal
rischio di estinzione ed infine l‟insieme di programmi, progetti ed attività
patrocinati dalla ONG. Al 2012 l‟elenco dei patrimoni culturali immateriali
dell‟umanità arrivò a contare 257 unità, di cui 31 rientrano nella lista dei patrimoni
culturali immateriali a rischio di estinzione e 10 figuravano tra le attività di
patrocinio.
Nonostante da quel giorno Parigino siano trascorsi diversi anni, il percorso appare
ancora lungo e tortuoso dato che non ci sono strumenti di salvaguardia unilaterali,
non esiste una normativa internazionale univoca in materia di beni culturali e la
compatibilità tra dettami teorici, la materia giuridica e diritti umani è spesso
incongruente.
Questa breve introduzione al patrimonio culturale, espone implicitamente le
caratteristiche fondamentali dei beni che lo costituiscono, i criteri che ne
determinano l‟inclusione o l‟esclusione e la loro catalogazione. La dicitura “bene
culturale”10 è un‟endiadi scomponibile in due diverse polarità, rappresentate dalle
parole che la compongono e dai rispettivi campi semantici.
Bene: Secondo la definizione, valida anche per l‟ambito pubblicistico del nostro
ordinamento11, “sono beni le cose che possono formare oggetto di diritti”12. I beni
culturali, proprio in quanto beni, anche se ne costituiscono una tipologia peculiare,
non sono oggetto di un tipo di proprietà diversa da quella ordinaria11. Affinché
assumano rilevanza sotto il profilo giuridico, devono essere riconosciuti come tali
dall‟ordinamento, distinguendo però i beni appartenenti a soggetti pubblici, a
persone giuridiche private senza fine di lucro o a soggetti privati13.
Infine, allo stato attuale del diritto, sono beni necessariamente materiali.
10 L’endiadi è una figura retorica che esprime con due termini coordinati un unico concetto. 11
FALCON, G., Lineamenti di diritto pubblico, Padova, 2008, pp. 68-69. 12
Art. 810 Codice Civile. 13
Gli artt. 10 e 11 d.lgs. 42/04 indicano, rispettivamente, ciò che è bene culturale e ciò che è cosa oggetto di specifica disposizione di tutela.
17
Culturale: È evidente che, data la polisemia 14 del termine “bene”, spetta
all‟attributo “culturale” la determinazione della caratterizzazione topologica.
L‟antropologo Britannico Edward Burnet Tylor nel 1871 affermava che:” La cultura,
o civiltà, intesa nel suo senso etnografico più ampio, è quell'insieme complesso
che include le conoscenze, le credenze, l'arte, la morale, il diritto, il costume e
qualsiasi altra capacità e abitudine acquisita dall'uomo in quanto membro della
società». Aldilà di tale definizione e superando la retorica, è possibile individuare il
senso del termine “culturale” chiedendosi cosa ha condotto all‟individuazione di
una tale categoria di beni. Coglierne l‟utilità e cioè la funzione di testimonianza,
tangibile dei tutto ciò che concerne l‟ingegno umano e la civiltà di cui è parte. Il
valore culturale di un bene, testimonia i valori propri di un collettività e catalizza la
memoria di un patrimonio comune, permette all‟individuo un costante confronto
con se stesso e ciò alimenta il proprio desiderio di conoscenza15.
In conclusione l‟attributo “culturale” del bene, espresso dal Codice nelle parole: “la
tutela e la valorizzazione del patrimonio culturale concorrono a preservare la
memoria della comunità nazionale e del suo territorio e a promuovere lo sviluppo
della cultura”, è una connotazione particolare che rende determinati beni,
necessariamente, d‟interesse pubblico o di interesse per il pubblico. Procedendo
con l‟analisi topologica dei bene culturale, è possibile, in primo luogo, individuare
delle caratteristiche comuni a tutte le categorie di beni culturali e paesaggistici,
mobili e immobili, materiali ed immateriali. Sono esse il tempo e significatività. Il
tempo è propriamente inteso come lo scorrere di un lasso temporale significativo
per sottoporre all‟attenzione della comunità il valore culturale del bene, la
significatività, invece, si divide in unicità e valore documentale. Questa peculiarità,
è ulteriormente declinabile in tre livelli, dal più basso, il valore d‟insieme, al più
alto, il valore l‟unicità.
14
Polisemia in semantica indica la proprietà che una parola ha di esprimere più significati. 15
Si veda, per incisività, MERRYMAN, J. H., The public interest in cultural property, in California Law Review, vol. 77, 1989, pp. 353.
18
Al vertice della significatività troviamo l‟unicità, cioè l‟irripetibilità del manufatto e
l‟inestimabile contributo volto miglioramento del patrimonio culturale
dell‟umanità. Occupa il secondo livello il valore documentale, cioè la rarità di un
bene che non eccelle dal punto di vista artistico ma è fortemente rappresentativo
di un‟epoca storica. Infine, alla base della piramide si posiziona il valore d‟insieme,
tipico di quei beni più comuni il cui valore risiede nell‟insieme di cui fanno parte.
Una prima macro classificazione dei beni culturali è quella che li vedi ripartiti in
beni mobili ed immobili. Questa locuzione è utilizzata per distinguere quei
manufatti trasportabili da quelli non trasportabili, tale dicitura compare già nella
prima legge di tutela16 al fine di sottoporre alla disciplina un numero maggiore di
soggetti. Convenzionalmente, per beni mobili si intendono i dipinti, i suppellettili e
qualsiasi altro manufatto artistico dislocabile dal luogo in cui è locato, mentre si
inscrivono nell‟elenco dei nei beni immobili gli edifici, i monumenti, le fontane, i
paesaggi ecc. Il patrimonio culturale è quindi costituito da beni culturali e beni
paesaggistici, mobili ed immobili, circoscrivibili in tale ambito tramite i criteri di:
unicità, valore documentale e valore d‟insieme. La catalogazione dei beni culturali
e paesaggistici è disseminata all‟interno del recente corpo legislativo, Il Codice dei
beni culturali e paesaggistici del 2006, è quindi possibile consultare il seguente
testo per avere un immediato ed esaustivo inventario delle principali categorie di
beni analizzati secondo i criteri di tempo e significatività.
16 Legge 185 del 12 giugno 1902
Valore d'insime
Valore documentale
Unicità
19
Beni storico-artistici: La categoria include tutte le opere mobili ed immobili che
abbiano un interesse dal punto di vista artistico. Tra le opere mobili bisogna
annoverare le opere d‟arte figurate come: i dipinti, gli affreschi, le tavole, le
incisioni (con relative matrici), i disegni, i suppellettili (porcellane, argenti,
maioliche), sculture, arredi (arazzi, monili e corredi). Tra le opere immobili
rientrano le dimore storiche, le ville, i parchi, i giardini, le piazze, le opere
d‟architettura contemporanea avente particolare valore artistico. Dal punto di vista
del tempo, sono escluse tutte le opere degli autori viventi o la cui esecuzione
risalga ad oltre cinquant‟anni.
Beni storici: In questa categoria prevale l‟aspetto documentale, si tratta infatti di
documentazione materiale che testimonia, illustra e talvolta celebra gli eventi
rilevanti per la storia politica, militare, della letteratura, dell‟arte e della cultura.
S‟includono in tale categoria le vestigie ed i cimeli della Prima guerra mondiale e
gli studi d‟artista, mentre per la Seconda guerra mondiale e la Storia più
contemporanea è possibile prendere in considerazione il materiale fotografico, gli
audio e le opere filmiche. Soprattutto per queste ultime il limite temporale
necessario è di almeno venticinque anni.
Beni etnografici: Rientrano in questa categoria le testimonianze materiale che
permetto una ricostruzione delle tradizioni e delle culture umane che nel tempo si
sono avvicendate sul territorio. Ne fanno parte i reperti materiali come gli
strumenti agricoli e gli utensili, il materiale fotografico, audio e i filmati ma anche i
siti minerari, le architetture di tipo rurale, le navi e i galleggianti. Anche in questa
categoria di beni, come per quella precedente, il limite temporale necessario è di
venticinque anni, soprattutto per le opere audio, fotografiche e filmografiche.
Beni archeologici: Fanno parte di tale categoria tutti i beni mobili ed immobili -siti
archeologici compresi- della preistoria, dell‟antichità e dell‟epoca Medioevale
riportati alla luce tramite scavi o individuati in un dato luogo, ma non ancora
rinvenuti. Il patrimonio archeologico costituisce una delle fonti documentarie
storiche più ricche di notizie riguardanti le tradizioni dei popoli che hanno abitato
il territorio nazionale. In questo caso non sono specificati termini temporali.
Beni librari: Rientrano nella categoria tutte le opere librarie conservate nelle
biblioteche di Stato, degli altri enti pubblici, morali e di particolare pregio anche
20
nel caso siano di privati cittadini. Sono beni librari: i manoscritti, i libri, le stampe,
le incisioni rare e di pregio, le carte geografiche, gli spartiti musicali rilevanti per
rarità o pregio artistico. Non sono specificati limiti temporali per tale categoria di
beni culturali.
Beni Archivistici: Tale categoria di beni include i documenti d‟archivio, le raccolte
pubbliche destinate alla conservazione degli atti e i documenti sia pubblici che
privati. Questa tipologia di beni chiarisce il concetto di proprietà. Come si è
precedentemente detto i beni culturali ed il patrimonio tutto è di pubblica
proprietà e al contempo privata. Nonostante il diritto di proprietà dei soggetti
privati, essi sono tenuti a garantire la conservazione dei beni, e nel caso specifico
dei beni archivistici, ritenuti di particolare interesse storico, essi sono comunque di
competenza statale.
Beni d‟interesse per la storia della scienza e della tecnica: In questa categoria
rientrano tutti i beni raccolti nei musei e spazi espositivi, che illustrano il percorso
evolutivo della scienza e della tecnica. Sono quindi gli strumenti usati per condurre
esperimenti, macchine, i messi di trasporto e dispositivi; il limite temporale per i
mezzi di trasporto è di settantacinque anni, per i beni d‟interesse pe la scienza e la
tecnica invece cinquanta.
Beni architettonici: Tale categoria di beni comprende tutti gli edifici, le opere
architettoniche, gli agglomerati urbani, i monumenti di cui è riconosciuto il valore
documentario e d‟insieme. Non ci sono specifici termini temporali per questa
tipologia di beni.
Centri Storici: Questa categoria di beni è sottoposta a tutela, soprattutto in
riferimento a quei nuclei urbani dalla rilevanza storica, che nel corso del tempo
potrebbero essere modificati e quindi dissipati a causa dell‟intervento umano. Il
dibattito circa la conservazione di tale tipologia di beni sembra lontano
dall‟esaurirsi, fino ad oggi si sono seguite due direzioni: una che prevede la
protezione incondizionata di questi luoghi, l‟altra che invece realizza interventi di
restauro, o in specifico caso, di risanamento dei edifici e dell‟impianto urbano.
Beni paesaggistici: Tale tipologia di beni tradizionalmente è considerata come
quell‟insieme di beni immobili, parte del nostro patrimonio culturale, secondo
21
giudiz estetici condivisi come la bellezza naturale, la rarità geologica ed il valore
documentale circa le tradizioni di un popolo. Le bellezze naturali, i paesaggi, le
vedute panoramiche, i belvedere accessibili al pubblico sono alcuni esempi dei
beni paesaggistici.
Quest‟ultima categoria di beni è strettamente collegata alla particolarità
morfologia del territorio Nazionale, alla sua bellezza ed unicità. Abitare il proprio
patrimonio, camminare in un Museo all‟aperto ha spinto la comunità a maturare, in
modo naturale, il concetto secondo cui il paesaggio è “una manifestazione
identitaria percettibile” della propria cultura. L‟articolo 9, comma 2 della
Costituzione del 1948, sancisce tra i principi fondamentali “la tutela del paesaggio
e dei beni...” perché la tutela del paesaggio non è, cioè, fine a se stessa, ma diretta
allo sviluppo culturale e quindi imprescindibile condizione della evolutiva della
società civile.
In materia legislativa il percorso dei beni paesaggistici attraversa tutto il secolo
scorso, dapprima la legge n.778 del 1922 in cui le bellezze naturali avevano un
significativo valore estetico, poi la legge n.1497 del 1939 in cui è più forte la
volontà di salvaguardare i beni paesaggistici non solo per il loro valore estetico,
ma soprattutto per il valore d‟unicità e documentazione scientifici. Negli anni
sessanta in Italia i beni ambientali furono oggetto d‟attenzione della Commissione
Franceschini, che s‟impegno, in primo luogo, a distinguere il concetto di ambiente
e da quello di paesaggio. Quest‟ultimo è inteso come l‟intervento dell‟uomo
sull‟ambiente naturale, e quindi testimonianza tangibile di civiltà, stratificazione
culturale significativa per la comunità di quel determinato territorio. Il Testo unico
delle disposizioni legislative in materia di beni culturali e ambientali17 stabiliva che
fossero principalmente due le tipologie di beni paesaggistici:” le bellezze
individue” cioè quei paesaggi che aventi valore d‟unicità e le “bellezze d‟insieme”
cioè quei paesaggi che aventi valore in quanto parte di un contesto unitario.
Il Codice legislativo18 vigente specifica che per paesaggio s‟intende” le parti di
territorio in cui caratteri distintivi derivano dalla natura, dalla storia umana e dalle
reciproche interrelazioni e dichiara che” sono beni paesaggistici gli immobili e le 17
ART.131, comma I.
18 ART.138-165, titolo III
22
aree(...)costituenti espressione dei valori storici, culturali, naturali, morfologici ed
estetici del territorio(...)”. Tali corpi legislativi stabiliscono quindi che i beni
paesaggistici sono: le cose immobili che hanno cospicui caratteri di bellezza
naturale o di singolarità geologica, le ville, i giardini e i parchi che si distinguono
per la loro non comune bellezza, i complessi di cose immobili che compongono
un caratteristico aspetto avente valore estetico e tradizionale, le bellezze
panoramiche considerate come quadri e così pure quei punti di vista o di
belvedere, accessibili al pubblico dai quali si goda lo spettacolo di quelle bellezze.
Come per i beni culturali, cosi per i beni paesaggistici è possibile individuare due
macro tipologie, le bellezze individue e d‟insieme. Nel primo caso parliamo del
valore di unicità, della pregevolezza intrinseca ed irripetibile del bene, nel secondo
caso, invece, ci si riferisce ad un bene avente valore d‟insieme cioè tale perché
parte di un tutto. Sono inoltre sottoposti a tutela: territori costieri e i terreni elevati
sul mare, i territori contermini ed elevati sui laghi, i fiumi, i torrenti, i corsi d'acqua,
le montagne, i ghiacciai e i circhi glaciali, i parchi e le riserve nazionali o regionali, i
territori coperti da foreste e da boschi, le zone umide e i vulcani. A quest‟ultima
categoria appartengono i beni considerati demaniali19, beni culturali di proprietà
pubblica, ossia appartenenti al patrimonio della comunità” fino a prova
contraria” 20 . Sottoposti a vincolo 21 e tutela come i beni culturali e i beni
paesaggistici, beneficiano di un corpus legislativo più ampio e ad un‟maggior
numero di organi competenti. Si può evincere dagli atti giuridici sopracitati che il
paesaggio ed i beni paesaggistici sono sottoposti a tutela dello Stato e del MIBAC,
ma l‟articolo 117 della Costituzione, sancisce che il “territorio” deve essere
regolamentato e pianificato non dallo Stato centrale ma dalle Regioni e dai
Comuni, mentre “ambiente” è competenza dello Stato centrale e di un Ministero
denominato proprio dell‟Ambiente. Questo dovrebbe significare per la categoria,
19
Il demanio è un insieme di beni comuni destinati all’uso diretto dei cittadini oppure ad una fruizione pubblica. Codice Civile ART.822-824.” Appartengono allo stato e fanno parte del demanio pubblico, il mare, la spiaggia(...)”.” Fanno parte del demanio pubblico, se appartengono allo Stato (...) gli immobili ritenuti d’interesso storico, archeologico e artistico(...). 20
Ossia fino a quando un piano paesaggistico non dica altrimenti. Il piano paesaggistico come controllo dello sviluppo territoriale è un aspetto trattato nell’ART.134 del Codice. Responsabilità di tale mansione è sottoposto all’attenzione Regioni e non dello Stato. 21
Per vincolo s’intende la “dichiarazione dell'interesse culturale” ART. 10 del Codice. Al termine della procedura, effettuata dalla Soprintendenza, per i beni vincolati è previsto l’obbligo di conservazione, il divieto di demolizione, di modifica o di uso non compatibile con il loro carattere storico od artistico.
23
maggiori attenzioni ed azioni di salvaguardia, invece sempre più spesso si traduce
in conflitti di competenze ed enormi svantaggi di cui la principale vittima è l‟intero
patrimonio culturale nazionale.
24
1.1.1 Atti ed attori tradizionali dei Beni Culturali
“La Repubblica promuove lo sviluppo della cultura e la ricerca scientifica e tecnica.
Tutela il paesaggio e il patrimonio storico e artistico della Nazione “.
Articolo 9 della Costituzione della Repubblica Italiana.
Dalla fine del secolo XX il patrimonio culturale ha accresciuto il suo valore
multidimensionale e multifunzionale, cioè la capacità appartenere a diverse
dimensioni (sociale, economia, cultura), ed acquisire differenti significati e
funzionalità. Sia in ambito nazionale che internazionale la letteratura ne sottolinea
il ruolo di bene comune, di portatore di valori universali, attributo di sovranità
popolare, strumento di libertà, ingrediente di democrazia, mezzo di promozione di
solidarietà sociale e di dignità individuale. La funzione civile del patrimonio e dei
beni che lo compongono è quindi divenuta sempre più un aspetto essenziale della
vita sociale come della crescita individuale. Hanno contribuito all‟accrescimento di
tale aspetto, il progresso tecnologico e la crescita economica, perché direttamente
proporzionali alla circolazione del patrimonio culturale e alla sua fruibilità. La
crescita d‟interesse di fasce sempre più ampie di popolazione nei suoi confronti ha
seguito un aumento della domanda e un conseguente incremento di beni, servizi e
prodotti culturali; non è quindi possibile discernere la funzione civile e culturale
del patrimonio, da quella di risorsa economica.
Aspetti, quelli trattati dalla letteratura che concerne la disciplina, tutti saldamente
ancorati alla sua conoscenza. Studiare, educare e favorire la circolazione del
patrimonio e del suo valore civile, vuol dire renderlo fruibile e anche
salvaguardarlo. La consapevolezza della identità culturale concorre realmente alla
conoscenza, alla partecipazione attiva e quindi al rispetto, alla tutela e alla
valorizzazione. La fruibilità, cioè la possibilità di “usare” e quindi di godere dei
beni, siano culturali o paesaggistici, materiali o immateriali, mobili o immobili, è
strettamente collegata al concetto di proprietà. Il patrimonio culturale e i beni che
25
lo compongono sono “spiritualmente pubblici”, cioè su di essi la comunità tutta
esercita il diritto di libera godibilità. Nonostante ciò quando si parla di cosa o di
bene ci si riferisce al regime di proprietà, vale a dire alla eventualità che esso
appartenga allo Stato e agli enti pubblici o a privati.
Una utopica concezione di Res-pubblica, quindi, che attraversa la materia
legislativa prefiggendosi gli obiettivi di tutela e valorizzazione e legiferando su
tutte le unità che lo compongono, senza dimenticare il diritto di proprietà privata
sancito dal Codice Civile.22
Un dibattito controverso affrontato in due diversi articoli del Codice dei beni
culturali e paesaggistici. Il comma 1 dell‟articolo 10 dice, sono beni culturali: “le
cose mobili ed immobili appartenenti allo Stato, alle regioni, agli altri enti pubblici
territoriali, nonché ad ogni altro ente ed istituto pubblico persone giuridiche
private senza fine di lucro (...)”. In altre parole, i beni culturali sono di pubblica
proprietà, fino a prova contraria. Quest‟ultimo concetto è ribadito nell‟articolo 11
di Codice, che circoscrive anche i beni non vincolati in una categoria oggetto di
specifiche disposizioni di tutela. Questa particolare condizione, la presunzione
d‟interesse culturale, permette ai beni di essere parzialmente tutelati anche in
mancanza di una certezza burocratica di rilevanza culturale, che potrebbe
sopraggiungere in un secondo momento. Al fine di chiarire le ambiguità scaturite
nel tentativo di analizzare il concetto, è possibile prendere in prestito le parole
dello giurista Giannini23: “(...) Il bene culturale sarebbe quindi un bene immateriale
la cui caratteristica più significativa è di essere un bene fruibile collettivamente. La
responsabilità giuridica di questa situazione ricade sullo Stato che detiene il
potere necessario per proteggere questo interesse collettivo. Esso può essere
perfettamente separato dalla cosa che pure costituisce un bene patrimoniale, e
che in base al diritto di proprietà, può avere un altro titolare o un numero infinito
di titolari. Il bene culturale è pubblico non in ragione della proprietà. Una
proprietà privata e un bene fruibile (in base alla proprietà collettiva) hanno il
medesimo supporto fisico ma una differente tutela giuridica e una diversa
appartenenza, che nel primo caso è attribuita ad un proprietario e nel secondo allo
Stato.” Dunque aldilà della proprietà, nel caso specifico dei beni culturali, la sfera 22
Il proprietario ha diritto di godere e disporre delle cose in modo pieno ed esclusivo, entro i limiti e con l'osservanza degli obblighi stabiliti dall'ordinamento giuridico [Cost. 42, 43, 44]. 23
Giannini M.S., “I Beni Culturali”, Rivista trimestrale di diritto pubblico, n.1 pag.25, 1963.
26
pubblica e quella privata coesistono nell‟interesse della salvaguardia fisica del
bene e della pubblica fruibilità del patrimonio storico-artistico, senza dimenticarne
la diffusione ed il controllo, soprattutto della circolazione di questo. Il dibattito
affrontato circa la proprietà, permette una prima macro distinzione tipologica,
pubblico o privata, degli attori che si adoperano per l‟adempimento ottimale delle
principali funzioni relative al patrimonio culturale e dei suoi prodotti. Sono essi lo
Stato, le Regioni e gli enti pubblici territoriali, la Santa Sede e le organizzazioni
Sovranazionali, in cui è possibile distinguere una pluralità di individui, di istituzioni
e di organizzazioni senza scopo di lucro.
1.1.2 Ministero ed enti territoriali, le Regioni.
L‟articolo 9 della Costituzione rimette alla competenza del Ministero per i beni e le
attività culturali24 la disciplina della tutela, mentre l‟articolo 177 ripartisce tra Stato
centrale e Regioni la disciplina della valorizzazione, promozione ed organizzazione
di attività culturali. Una competenza quella in materia di beni culturali, riservata
allo Stato, poiché è necessaria una regolamentazione unitaria e attinente alla
condizione giuridica del bene, alla sua fruizione e conservazione in quanto
patrimonio culturale nazionale. Nel caso specifico della giurisdizione Italiana,
come precedentemente detto, l‟azione principale svolta nei confronti del
patrimonio culturale, ovvero la tutela, è compito asserito dallo Stato. L‟organo
chiamato a garantire la corretta esecuzione dell‟articolo 9 della Costituzione è il
Ministero, i cui principali presupposti d‟esistenza sono:
La salvaguardia della memoria. Nel duplice significato di tutela intesa come
integrità fisica delle cose aventi testimonianza di civiltà, e di valorizzazione
ossia assicurare ed impedire eventuali ostacoli alla libera godibilità.
Garanzia della promozione. Questo secondo presupposto è correlato alla
competenza del Ministero in materia di attività culturali quali il cinema, il
teatro, la musica, la danza e lo sport. Esso svolge la funzione di garante” del 24
Dicitura corretta, rispetto a “Ministero della cultura”. In ciò si manifesta il timore che a un governo della cultura possa conseguire come di fatto avvenne col Minculpop,” Ministero della cultura popolare”, istituito dal regime fascista nel settembre 1937, divenne un poderoso organo di propaganda durante il periodo bellico
27
pluralismo ed equilibrato sviluppo in relazione alle diverse aree territoriali e ai
diversi settori”.25
Nella storia d‟Italia in materia di patrimonio culturali, primo organo deputato alla
salvaguardia del patrimonio fu quello del Ministro Bonghi nel 1875, con il nome di
Direzione generale degli scavi e dei monumenti, tardi denominata Direzione
generale delle antichità e delle belle arti ed ancora nel 1926 affidata alla Direzione
generale delle accademia e biblioteche per la diffusione della cultura. Tutte le
Direzioni citate facevano capo al Ministero per L‟Istruzione Pubblica, che per più
di un secolo ebbe competenze in materia di tutela del patrimonio storico artistico
e naturalistico della nazione, ad eccezione degli scavi archeologici di cui, invece, si
occupava il Ministero degli Interni. Erano gli anni Sessanta e in pieno boom
economico la svolta arrivò con le Commissioni Franceschini, di cui si già discorso,
e Papaldo, chiamate ad intervenire in materia di Beni culturali data l‟urgenza di un
intervento coordinato e tempestivo circa la definizione d misure programmatiche
nei confronti del nostro patrimonio. L‟intervento partì dalla riunione delle
competenze, fino a quel momento sparse tra Direzioni, Commisioni e Ministeri, si
prosegui negli anni Settanta, precisamente negli anni 1973 e 1974, alla istituzione
delle Regioni a statuto ordinario e alla attribuzione della governance dei Beni
culturali a tre Ministri senza portafoglio26. I primi a ricoprire questa carica furono
Ripamonti, Lupis e Spadolini, quest‟ultimo nel 1975 assume la direzione del neo
Ministero dei beni culturali e ambientali, nel medesimo atto costitutivo furono
precisate anche le strutture amministrative interne del Ministero: i tre Uffici
centrali (per i beni ambientali, architettonici artistici e storici; ed archivistici; per i
beni librari e gli istituti culturali), una Direzione generale per gli affari
amministrativi e del personale, ed infine gli organi di riferimento territoriale, le
Soprintendenze.
Il decreto legge 368/1998 e le successive modifiche avvenute con il d.lgs. 3/2004,
enunciano i principi costitutivi del Ministero, ma anche le specifiche competenze e
l‟organizzazione. Come precedentemente detto, i principi costitutivi del Ministero
sono l‟amministrazione, la gestione e l‟esecuzione di disposizioni dettate dal
25
Decreto Legislativo 368|98, articolo 1. 26
Ministro senza immediate responsabilità amministrative, che svolge funzioni delegate dal Presidente del Consiglio. Fa dunque parte del Consiglio dei Ministri, ma non è titolare di un Ministero, in senso stretto.
28
governo, che nel caso specifico dei Beni culturali sono la tutela e la valorizzazione
del patrimonio nazionale. Le competenze del Ministero comprendono i beni
architettonici, archeologici, storico e artistici, paesaggistici, librari ma anche le
attività e le istituzioni dall‟elevato valore culturale, come lo spettacolo, la musica,
la danza e lo sport. Specificati questi aspetti possiamo discorrere circa
l‟organizzazione ministeriale, principalmente ripartita in modo binario, ossia divisa
in organi centrali e territoriali. Sono organi centrali le Segreterie, le Direzioni
generali e gli Istituti centrali, mentre sono organi territoriali le Direzioni territoriali,
le Soprintendenze ordinarie e speciali entrambe preposte alle diverse categorie di
beni culturale, gli Archivi di Stato, le biblioteche e i Poli museali dotati di
autonomia. L‟organizzazione istituzionale, nel caso specifico dei beni culturali, è
strettamente legata al processo di decentramento avviato dalla pubblica
amministrazione e avvenuto nel nostro Paese negli anni Novanta. Al fine di
rispondere più efficacemente ai bisogni della cittadinanza ed evitare interventi
burocratizzanti della pubblica amministrazione, che poco hanno a che vedere con
risultati effettivamente conseguiti, si è proceduti con una progressiva ripartizione
di competenze, ovvero al un riconoscimento del ruolo decisionale ricoperto dagli
organi periferici o territoriali.
In considerazione di ciò il compito degli organi centrali è quello di supervisionare
e garantire supporto tecnico ed organizzativo agli enti territoriali, mentre a questi
ultimi spetta l‟esecuzione di tutto ciò che in materia è deciso dallo stato centrale.
Stabilendo standard operativi, fornendo flussi documentali e sistemi informativi
automatizzati, provvedendo alla gestione delle risorse umane, curando i rapporti
istituzionale come ad esempio quelli con gli altri Ministeri, gli organi centrali
assicurano le condizioni necessarie affinché il lavoro sul territorio possa
concentrarsi solo su questioni di stretta competenze e generale gestione del
patrimonio. Gli organi territoriali, sono quindi gli indiscussi protagonisti
dell‟immane lavoro di management del patrimonio culturale, effettivi assicuratori
della conservazione di un prezioso retaggio, alle generazioni future. Il compito più
ampio spetta alle Soprintendenze, che ricoprono un duplice incarico garantista
per la comunità e per lo Stato centrale, entrambi mediante l‟osservanza di ciò che
è previsto nel Codice. Suddivise in Soprintendenze Regionali, Speciali ed Archivi di
Stato, si occupano di vincolare e catalogare i beni, vegliano sui proprietari e gli
29
obblighi imposti loro per legge, autorizzano gli interventi sui beni culturali,
l‟acceso ai monumenti, ai musei e alle gallerie, autorizzano la rimozione di opere
d‟arte, controllano le esportazioni e molto altro ancora. In sintesi essi vigilano
direttamente o indirettamente su tutto ciò che concorre a trasmettere
materialmente l‟eredità culturale e a goderne in modo legittimo. In apparenza, a
questo punto, potrebbe sembrare evidente che questi apparati periferici
possiedano maggiore rilevanza rispetto agli organi centrali, in realtà essi sono
imprescindibili gli uni dagli altri, perché la loro coordinazione e cooperazione è
necessaria al fine di concretizzare le misure preposte in materia di Beni culturali.
Le soprintendenze sono simili ad una magistratura, intervengono in modo più
evidente nella vita della cittadinanza e nella gestione del patrimonio, instaurano
spesso un proficuo dialogo con la società, sono questi aspetti a rendere il loro
contributo maggiormente riconosciuto e criticato dall‟opinione pubblica.
Rientrano nell‟entourage degli enti territoriali o enti pubblici, che concorrono alle
azioni concernenti i beni culturali, le Regioni, amministrazioni il cui esordio
ufficiale risale agli anni Settanta, nonostante fossero già presenti nelle
articolazione essenziali della Repubblica già nell‟lontano 1948. La loro tardiva
istituzione è ricollegabile al processo di decentramento, temuto in un primo
momento dalla giovane repubblica perché avrebbe potuto porre tendenze “in
contrasto con l‟interesse nazionale”27. Al principio, nell‟ambito dei beni culturali,
solo due furono competenze affidate alle Regioni, quelle riguardanti i musei e le
biblioteche degli enti pubblici e l‟urbanistica. Il controllo e l‟attenzione preposta
nei confronti dell‟urbanista, affidato agli enti regionali, non fu una bizzarria ma la
necessità di arginare uno scempio perpetuato ai danni delle bellezze e delle
tradizioni locali del nostro Paese, rase al suolo dalla speculazione edilizia, davvero
celere nei due decenni post-bellici. Discende da questo peculiare aspetto, la
competenza delle Regioni in materia di una particolare categoria di beni culturali,
quelli paesaggistici. A ridosso del Secondo conflitto mondiale la riforma Bottai,
superava la stretta concezione d‟impostazione estetica della legge 778/1922 e
aggiungeva al criterio di bellezza naturale quello di rilevanza scientifica28; mentre
27
Articolo 117 della Costituzione della Repubblica Italiana 28
L’approccio scientifico stenta ad imporsi nella normativa italiana, eppure osserva è Pio Baldi nel suo libro “Uno Paese spaesato.”: “Il significato del termine paesaggio, e quindi di ciò che è oggetto di tutela, è andato rapidamente modificandosi dall’epoca delle prime leggi (1992,1939) ad oggi. Da una concezione puro-
30
nel 1939 i beni paesaggistici furono riportati in due principali categorie: le
bellezze individue e le bellezze d‟insieme 29 . Le prime sottoposte a vincolo
attraverso la dichiarazione di notevole interesse pubblico, le seconde tutelate
dalla Soprintendenze attraverso i piani territoriali paesaggistici. Questa eredità
pre-repubblicana, è la punta di un iceberg legislativo che dagli anni Settanta in
poi ha cercato di definire le competenze degli enti regionali in materia di beni
culturali. Il ripetersi nel corso del tempo di interventi di tipo giuridico-
amministrativo e la fabbricazione di disposizioni spesso inadeguate a fronteggiare
in modo attuativo la disciplina, ha reso nella maggior parte dei casi complicate o
inattuate la mansioni di tale tipologie di enti pubblici nei confronti del nostro
patrimonio culturale. Al fine di comprendere meglio il ruolo che le Regioni
ricoprono, le funzioni che esse ottemperano nei confronti dei beni culturali, è
bene proporre un breve ma significativo riassunto del percorso normativo che ha
contribuito a creare il corpus leggi attuale e a definire le competenze degli enti
locali in materia. Come si è detto precedentemente, sono gli anni Settanta il
periodo in cui vengono preformate le Regioni, quale ente territoriale volto
all‟esecutivo dei provvedimenti governativi. Nell‟ambito giuridico dei beni
culturali, gli enti territoriali acquisiscono competenze tramite un‟estensione dei
poteri dello Stato centrale prevista nel Decreto del Presidente della Repubblica
616/1977, in esso si enuncia:” Il trasferimento delle funzioni amministrative in
ordine alla tutela e alla valorizzazione del patrimonio storico-artistico, librario,
archeologico (...)”. Provvedimento disatteso visto che nel 1979 fu emanata una
legge per regolamentare l‟attuazione di quella precedente e decidere il da farsi in
merito alla salvaguardia dei beni culturali. Nei medesimi anni alle Regioni viene
conferita la gestione dell‟urbanistica, fino a quel momento esercitata dallo Stato
centrale, il Governo emana in tempi brevi una serie di decreti legislativi volti a
conferire alle Regioni e gli enti locali “le funzioni ed i compiti relativi alla cura
visibilità ed estetizzante, attraverso un passaggio eco-ambientalista, si sta approdando a significati più complessi che, senza rinnegare le componenti concettuali precedenti, le integrano con ulteriori contenuti di carattere urbanistico, gestionale, economico e sociale. 29
Nella legge 1497/1939 sono definite bellezze individue:” le cose immobili che hanno cospicui caratteri di bellezza naturale o di singolarità geologica. Le ville, i giardini, e i parchi che non contemplati dalle leggi di tutela delle cose d’interesso storico artistico, si distinguono per la loro non comune bellezza.” Sono bellezze d’insieme: “i complessi di cose immobili che compongono un caratteristico aspetto avente valore estetico, tradizionale. Le bellezze panoramiche considerate dei quadri naturali e così pure quei punti di vista o di belvedere accessibili al pubblico, da cui si goda lo spettacolo di quelle bellezze.” (Ibidem)
31
degli interessi della promozione dello sviluppo delle rispettive comunità”,
ribadendo però che ciò non concerne il patrimonio culturale.
Sono gli anni Novanta a dettare il cambio di passo. La svolta sopraggiunge con
un cambio di panorama politico-istituzionale, precisamente fu la legge Bassanini30
del 1997 ad assumersi il compito di disciplinare il conferimento alle Regioni e agli
enti locali le funzioni e i compiti amministrativi in tema di urbanistica e territorio,
protezione della natura e dell‟ambiente, gestione e valorizzazione dei beni e delle
attività culturali, delegando molte delle funzioni fino a quel momento possedute
dallo Stato. Solo un anno dopo, si giunge ad una nuova definizione delle
competenze dello Stato e delle Regioni per quanto riguarda la salvaguardia del
retaggio culturale nazionale, distinguendo la nozione di tutela da quella di
gestione, di valorizzazione da quella di promozione, si cerca così di individuare e
ripartire vecchie competenze tra nuovi enti pubblici territoriali. In questo modo si
giunge a definire che è lo Stato a doversi occupare della tutela, del
riconoscimento, della conservazione e protezione del patrimonio; mentre le
Regioni e gli enti locali spetta il controllo della fruizione o pubblica godibilità.
Nonostante questi emendamenti stabiliscano nettamente le competenze in
materia di salvaguardia e valorizzazione, gli enti locali e le Regioni concorrono
effettivamente ad entrambi, soprattutto alla tutela di un particolare tipologia di
Beni, dettata dall‟art. 154 del Decreto. Nella formulazione di proposte ed
apposizioni di vincolo, nell‟espropriazione e nell‟esercizio di prelazione, nella
definizione di metodologie comuni per le attività di catalogazione e restauro, le
Regioni intervengono mediante organi istituzionali Commissioni Regionali per i
beni e le attività culturali. Esse perseguono lo scopo armonizzare e pianificare “(..)
le iniziative dello stato e delle regioni, degli enti locali ed altri possibili soggetti
pubblici o privati” per la valorizzazione dei beni culturali e la promozione delle
30
La legge Bassanini all’ art.148 precisa che si intendono per beni culturali:” a) quelli che compongono il patrimonio storico artistico, monumentale, demoetnoatropologico, archeologico, archivistico, librario, ed altri che costituiscono testimonianza avente valore di civiltà cosi individuati in base alla legge. b) beni ambientali, individuati in base alla legge quale testimonianza significativa dell’ambiente nei suoi valori naturali o culturali. c) la tutela è ogni attività diretta a riconoscere, conservare e proteggere i beni culturali e ambientali. d) la gestione è ogni attività diretta mediante l’organizzazione di risorse umane e materiali, ad assicurare la fruizione dei beni culturali e ambientali concorrendo al proseguimento delle finalità di tutela e valorizzazione. e) la valorizzazione è ogni attività diretta a migliorare le condizioni di conoscenza e conservazione dei beni culturali e ambientali e ad incrementarne la fruizione. f) attività culturali sono quelle rivolte a formare e a diffondere espressioni della cultura e dell’arte. g) promozione è ogni attività diretta a suscitare e a sostenere le attività culturali.
32
relative attività. L‟ultimo atto di riforma istituzionale volto alla definizione delle
funzioni e delle competenze di questi organici nei confronti del patrimonio,
sancito dalla II parte, titolo V, del Codice dei beni culturali e del paesaggio è la
pertinenza alle Regioni della tutela dei beni paesaggistici.
1.1.3 La Santa Sede
In una disamina intorno agli attori principali e le politiche di tutela e
valorizzazione in Italia, non è possibile omettere il ruolo della Santa Sede, Stato
sovrano di un piccolo territorio le cui sorti sono strettamente connesse a quelle
della nostra nazione. Indispensabile è chiarire, quando si parla di beni culturali
ecclesiastici in genere si fa riferimento a tre categorie:
Le aree e gli immobili sottoposti a diretta giurisdizione della Santa sede
I beni di proprietà degli enti ecclesiastici italiani, in quanto persone giuridiche
private senza fini di lucro.
I beni, a chiunque appratenti, di interesse culturale e religioso.
Non è tutt‟oggi possibile definire quanti sono i beni culturali ecclesiastici in Italia,
dal momento che l‟inventario è in corso e per ora è limitato ai beni mobili, quei
beni cioè soggetti ad un rischio maggiore di sottrazioni illecite. Le ultime due
categorie di beni sopracitati, ossia quelli appartenenti ad enti ecclesiastici e quelli
d‟interesse religioso, sono sottoposti all‟ordinamento di tutela dello Stato
Italiano, in base a ciò che è previsto nel Codice. Esso considera la questione da
un duplice punto di vista, sia sul versante del regime proprietario31, sia su quello
dell‟interesse attribuito alle cose:” quali testimonianza dell‟identità e della storia
delle istituzioni pubbliche, collettive o religiose.32 La duplice natura culturale e
religiosa dei beni ecclesiastici conseguono problemi gestionali di non poco
conto, non è infrequente entrare in un luogo sacro e scorgere, allo stesso tempo,
31
“Sono beni culturali le cose mobili e immobili appartenenti(..) a persone giuridiche private senza scopi di lucro, che presentano interesse artistico, storico, archeologico o etnoantropologico.” 32
Idibem, comma 3.
33
persone raccolte in preghiera ed altre che passeggiano ammirando pregiati
manufatti artistici. Questo concorre alla retorica incongruenza tra l‟esercizio
devozionale e la fruizione laica dei beni, che a propria volta non può prevalere
sulla originaria destinazione culturale dei beni. Ancor più greve risulta la
questione della salvaguardia del patrimonio ecclesiale, il livello di sicurezza,
manutenzione e custodia spesso non è adeguato e inoltre va considerato che
tutt‟ora non è possibile consultare un capillare censimento dei beni.
Nonostante le divergenze di tipo amministrativo, legislativo e quindi gestionale
del patrimonio culturale verificatesi tra organi dell‟uno e dell‟altro Stato, questi
sembrano aver trovato una particolare intesa. Negli ultimi anni si possono
vantare segnali di nuovo corso, nei lavori di catalogazione mediante le
convenzioni sottoscritte dal Ministero e Cei, nella nuova pianificazione degli
organi ecclesiali preposti alla gestione del patrimonio, nella disponibilità di
maggiori fondi ed infine nell‟opportunità di formare figure specializzate in
materia. Prima di procedere con l‟analisi delle funzioni e delle competenze degli
organi ecclesiastici preposti alla salvaguardia e la valorizzazione del patrimonio,
come è avvenuto per lo Stato Italiano, è possibile scorrere brevemente la storia
normativa di questo Stato in materia. La Santa Sede prima di ogni altro Stato
pre-unitario ha elaborato il senso antropologico, materiale e sociale del
patrimonio culturale, anche se sin dal secolo Quattrocento apparendo più come
simbolo di potere e privilegio si sono offuscati gli alti valori universali quali sono,
invece, i principi essenziali del patrimonio culturale. La storia, gioca un ruolo più
che cruciale in quelle fondamentali vicende dibattute tra Stato Italiano e
Pontificio in materia di beni culturali, nell‟ Italia posto-unitaria il Regno Sabaudo
prosegue con un‟iniziativa che fu definita la “legislazione eversiva dell‟asse
ecclesiastico”. Con le leggi Siccardi e Cavour-Rattazzi si giunge ad una quasi
completa soppressione degli istituti ed ordini religiosi e alla confisca dei loro
beni, le proprietà confiscate vengono affidate al Fondo per il culto33, a cui
compete la mansione di mantenimento del clero, salvaguardia degli edifici
ecclesiastici e spirituali. Naturalmente tra questi si celano gli innumerevoli beni
culturali di proprietà fino a quel momento ecclesiale. Nel 1861, Roma, viene
proclamata capitale del Regno d‟Italia, assediata dalla truppe italiane lo diviene a
33
Fa capo dapprima al Ministero della giustizia e dei culti, dal 1932 al Ministero dell’interno.
34
pieno titolo nel 1870, è allora che si stabilisce con un atto unilaterale quali sono
le azioni e i limiti concessi allo Stato Pontificio. Ha inizio cosi la “questione
romana”, che si conclude dopo sessant‟anni con la firma dei Patti Lateranensi,
avvenuta l‟11 febbraio del 1929 e sottoscritta da Benito Mussolini e il Cardinale
Gasparri segretario di Stato di Papa Pio XI. Il documento è fondamentale perché
regola i rapporti tra Stato e Chiesa, anche per quando riguarda il patrimonio
culturale ecclesiastico, prima di tale importante provvedimento bisogna ricordare
che ci furono altre novità di rilievo in tema di patrimonio. Nel 1918 fu emanato il
Codice di diritto canonico, che contiene una disciplina generale circa gli archivi
ecclesiastici, la conservazione di arredi, la costruzione ed il restauro di
monumenti ecclesiali, la distinzione tra beni sacri e preziosi e molto altro ancora;
altra novità in materia fu quella della istituzione, nel 1924, della Commissione
Pontificia per l‟arte sacra Italiana. Tenendo conto del processo di trasformazione
politica e sociale verificatosi in Italia negli anni Ottanta, e degli sviluppi promossi
nella Chiesa dal Concilio Vaticano II, fu redatto un nuovo testo 34 quale
aggiornamento reale del Concordato lateranense del 1929. Nel 1985, a pochi
mesi dalla ratifica dell‟accordo, un‟intesa stipulata in materia di beni ecclesiastici
e sostentamento del clero cattolico, fino a quel momento assicurata dallo Stato,
trasforma il Fondo per il culto in Fondo edifici per il culto. Esso gode ancora di
piena autonomia nell‟ambito del Ministero degli interni, ma ad oggi si occupa
solo della tutela e della valorizzazione degli edifici sacri, che restano comunque
proprietà dello Stato Italiano. Tracciando a grandi linee il quadro storico ed i
provvedimenti normativi, che hanno caratterizzato il percorso dello Stato
Pontificio in materia di salvaguardia del patrimonio culturale, è semplice
discernere quali sono gli organismi ecclesiastici preposti alla sua gestione.
Innanzitutto la Pontificia commissione per la conservazione del patrimonio
storico artistico della Chiesa, prevista dalla Costituzione apostolica del 1988,
organico a cui, dal 1993 in poi, fu affidato il compito di coordinare tutte le
diocesi del mondo, con una particolare priorità ad intraprendere azioni in materia
di patrimonio ecclesiastico. I compiti di questo organo sono: “enucleare le 34
Art.12 “La Santa Sede e la Repubblica Italiana, nel rispettivo ordine, collaborano per la tutela del patrimonio storico e artistico. Al fine di armonizzare l’applicazione della legge italiana con le esigenze di carattere religioso, gli organi competenti delle due parti concorderanno opportune disposizioni per la salvaguardia, la valorizzazione ed il godimento dei beni culturali, d’interesse religioso appartenenti a enti e istituzioni ecclesiastiche (...)”
35
principali attività circa tali beni, individuandole nell‟impegno di restaurali,
custodirli, catalogarli e difenderli” deve dare impulso a una “valorizzazione che
ne favorisca una conoscenza e un adeguato utilizzazione nella catechesi quanto
nella liturgia”; infine deve incoraggiare, in vista di nuove committenze ”una
rinnovata alleanza fra artisti e Chiesa”, intesa a sostenere la creatività dei primi
con “stimolanti contenuti teologici, liturgici e iconografici”.35 Le funzioni sono
quelle di un vero e proprio Ministero della cultura, alla Commissione è attribuita
la responsabilità dell‟organizzazione generale dei beni culturali della Chiesa, con
particolare attenzione a temi come la salvaguardia e soprattutto la valorizzazione
il cui fine prioritario è quello di dare risalto alla irrinunciabile ed originaria ragion
d‟essere del patrimonio ecclesiale, ovvero la sua funzione pastorale e liturgica.
Esattamente come un Ministero, gli organi ecclesiasti competenti sono divisi in
centrali e locali, su scala nazionale ed internazionale. La Commissione Pontificia
per i beni culturali è l‟organo centrale, mentre i suoi indirizzi sono attuati, su
suolo nazionale, dalle Conferenze Episcopali. In Italia la Cei (Conferenza
Episcopale Italiana) il referente diretto dello Stato Italiano in materia di
salvaguardia, ovvero tutela e valorizzazione del patrimonio culturale. Nel 1989,
essa istituisce la Consulta nazionale per i beni culturali ecclesiastici e procede alla
revisione di un testo del 1974 concernente Norme per la tutela e la
conservazione del patrimonio storico artistico della Chiesa in Italia; un
provvedimento inevitabile vista l‟ampia atmosfera di cambiamento dettata da
eventi come: le Regioni che diventano il fondamentale attore nella gestione del
territorio, l‟attività del Ministero per i beni culturali (1975) e l‟entrata in vigore del
Codice di diritto Canonico (1983). Si susseguono una serie di documenti che
fanno da sfondo alle intese con lo Stato Italiano, ad esempio “I beni culturali
della Chiesa in Italia. Orientamenti a integrazione del documento del 1974”
(1992), “Orientamenti per la costruzione di nuove chiese” (1993),” Orientamenti
per l‟adeguamento liturgico delle chiese esistenti “(1996). In quest‟ultimo anno, il
1996, la Cei sottoscrive la prima intesa ufficiale con il Ministero, il testo stabilisce
regole essenziali per l‟avvio di una collaborazione, su piano centrale e periferico,
tra lo Stato e la Santa Sede. A livello centrale fu prevista una diretta
35
Giovanni Paolo II, “L’importanza del patrimonio artistico nell’espressione della fede e nel dialogo con l’umanità”, “Osservatore Romano”, 1993.
36
interlocuzione tra ministro, direttori generali ed il presidente della Cei durante
apposite riunioni di programmazione. A garanzia dei rapporti tra i due Stati, è
tutt‟oggi assegnato all‟Osservatorio centrale per i beni religiosi di proprietà
ecclesiastica, il compito di verifica dell‟attuazione delle forme di collaborazione
proposte durante le riunioni di programmazione. A livello periferico, i
rappresentati legali dei beni ecclesiastici sono i diretti responsabili di questi, si
attribuisce ai vescovi delle diocesi il compito di rispondere dal punto di vista
giuridico e gestionale ed interloquire con le Soprintendenze. Agli ordinari
diocesani, invece, è affidato il compito di supervisionare direttamente sugli
interventi e le attività preposte in materia di beni culturali. Altro organo locale,
dell‟apparato istituzionale ecclesiale competente in materia è la Commissione
episcopale regionale, apparsa sulla scena in concomitanza con riassestamento
federale operato dallo Stato Italiano negli anni Novanta, evento che porto alla
nascita delle Regioni. Le funzioni di quest‟organo, precisate anni dopo la sua
fondazione, è quella di essere membro delle Commissioni regionali per i beni e le
attività culturali in previsione di armonizzare e coordinare “le iniziative dello
Stato, delle regioni, degli enti locali e altri possibili soggetti pubblici o privati”36.
Similmente alla competenza e alla relativa giurisdizione delle Regioni in materia
di quella particolare categoria di beni culturali, quali sono i beni paesaggistici, la
Santa Sede affronta con il Ministero la questione del patrimonio archivistico e
bibliografico della Chiesa, precisamente negli anni 2000 con un‟intesa.37 L‟intento
era quello di garantire, ove possibile, il mantenimento delle sedi originali degli
istituti, conservarne l‟inventariazione e la catalogazione secondo criteri omogenei
ed originali, estendere la fruizione, uniformare i regolamenti per la consultazione
e disporre adeguati canali di finanziamento. Nella medesima casistica dei beni
ecclesiastici citati precedentemente, anche i beni che compongono il patrimonio
archivistico e bibliografico della Chiesa, prevedono l‟intervento di organi a livello
centrale e periferico. Nel primo, quello centrale, opera L‟Ufficio nazionale per i
beni culturali ecclesiastici il cui compito è quello di inventariare l‟elenco delle
biblioteche e gli archivi di particolare interesse storico, decidere i finanziamenti da
destinare ed intrattenere rapporti periodici d‟aggiornamento con il Ministero. Nel
36
Ibidem, art 155. 37
Decreto del Presidente della Repubblica 189/2000.
37
secondo livello, quello periferico, l‟attuazione dei comuni obiettivi sanciti
nell‟Intesa spetta alle dirette autorità delle biblioteche e degli archivi, con la
supervisione delle diocesi. A questo punto è facile intuire che il corretto
funzionamento dipende molto della capacità organizzativa e gestionale delle
diocesi, a tal proposito nel 2001 con una circolare l‟Ufficio nazionale per i beni
culturali ecclesiastici, si sottopongono all‟attenzione dei vescovi delle diocesi
alcuni suggerimenti. Ad esempio l‟istituzione di un Ufficio ed una Commissione
diocesana per i beni e l‟arte sacra, che sovraintendano anche archivi e biblioteche,
l‟individuazione di poli territoriali in cui locare biblioteche ed archivi diocesani ed
infine l‟assegnazione a persone qualificate della direzione di questi luoghi. Sono
questi gli enti periferici a cui l‟organo centrale ecclesiastico, ovvero la Cei, si affida
per la gestione il più possibile ottimale del patrimonio culturale ecclesiastico; dal
canto sul il Ministero assicura supporto tecnico e finanziario mediante le
Soprintendenze che s‟impegnano ad assistere, coordinare e supervisionare gli
organi dello Stato Pontificio preposti alla salvaguardia del patrimonio.
1.1.4 Organizzazioni Internazionali: Unione Europea ed UNESCO
Sin ora si è proceduto con la disamina delle principali istituzioni preposte alla
salvaguardia del patrimonio culturale, le istituzioni Italiane e il loro principale
interlocutore in materia, lo Stato Pontificio. In questa era di globalizzazione e del
progresso in cui ci accingiamo a vivere, agevolati nelle relazioni dall‟azzeramento
delle barriere, è più che doveroso trattare il ruolo che le comunità internazionali e
gli organi preposti alla trasmissione del patrimonio culturale universale. Le sorti
del nostro Paese sono sempre più legate a quelle di altri paesi Europei e comunità
intercontinentali, tramite la globalizzazione delle politiche economiche e sociali.
Indubbiamente tra queste, il tema della salvaguardia del patrimonio, inteso come
tutela e valorizzazione, ritaglia per se un posto di non poco rilievo, in
38
considerazione di ciò nella trattazione che segue ci occupa di quali sono gli attori
internazionali e in che modo questi intervengono nella disciplina.
Le dinamiche della produzione e del consumo, sostenute dall‟innovazione
tecnologica hanno contribuiscono a trattare “i luoghi” come un tutt‟uno unico,
mentre la possibilità di una maggiore e facilitata mobilità ha giovato
all‟ampliamento degli orizzonti e alla eliminazione delle diversità tra identità
culturali ed interessi. Non è più possibile circoscrivere i tesori interiori, l‟attitudine
allo share ha assottigliato i confini, ed ogni qualvolta ci si appresta alla loro soglia
si è più propensi al chiedersi quali sono le cose che ci accomunano piuttosto che
quelle che ci rendono differenti. Questi aspetti della contemporaneità e l‟idea di
bene universale, portatore di un‟età che non è più e nonostante ciò in continuo
pantrarei, insita nel precetto antropologico di patrimonio culturale, hanno
partecipato alla nascita del retaggio universale. Un nuovo insieme di “cose”, in cui
anche la natura e l‟intangibile contribuiscono al retaggio di tutta l‟umanità.
Coinvolti nell‟lavoro di salvaguardia del patrimonio culturale internazionale sono
organi quali L‟Unione Europea e L‟UNESCO, che concorrono con azioni a tout
court alla capacità delle culture di trarre beneficio e di partecipare attivamente
alla trasmissione di un retaggio, quale matrice di un futuro comune. Nonostante
ciò la definizione di bene, già difficilmente circoscrivibile, si complica e divine più
instabile al difuori del confine nazionale, e dedurne le conseguenti categorie, sia
esso mobile o immobile, artistico o storico, è complicato e ha ben poco a che
vedere con la teoria. Aldilà dell‟aspetto materiale, è necessario constatare che le
categorie di beni culturali sono in primo luogo aspetti sociali e “limiti di
tolleranza”, e in quanto tali potenzialmente sottoposti a tutela. Questi aspetti
immateriali del patrimonio variano in modo spesso notevole da un Paese all‟altro
per ragioni sociali, economiche ed etiche, per cui ciò che in un determinato
contesto nazionale è accettabile per l‟altro non è tollerabile e viceversa.
Oltrepassare un confine può trasformare il patrimonio, ossia quel bene, in
qualcosa che ad un tratto distingue e non accomuna. Molte delle difficoltà
d‟intervento internazionali nella disciplina del patrimonio culturale, dipendono
dalla mancanza di una definizione di bene condivisa e dalla mancanza di un
corpus legislativo altrettanto concorde. Una circostanza che dal Secondo
dopoguerra ad oggi vede un intensivo impegno dei Paesi Europei e di alcune
39
comunità internazionali, al fine di riconoscere che la salvezza dei tesori nazionali
dipende certo dall‟impegno istituzionale ma soprattutto dal intervento attivo delle
culture, ossia la capacità di avvertire i benefici della eredità ricevuta
nell‟immanente. Tutto ciò è possibile se ogni cultura riconosce le proprie
differenze, e al contempo, la pari dignità delle altre, impegnandosi nel dialogo e
nell‟apertura; in altre parole il patrimonio cultura, non ha futuro se non crediamo
più che ciò sia possibile.
Discorrendo di atti ed attori dei beni culturali in ambito internazionale, è
interessante partire dalla fondazione di uno degli esponenti maggiormente
impegnati, L‟Unione Europea. Il 5 maggio 1949 dieci nazioni sottoscrivono a
Londra il Trattato istitutivo della Commissione Europea, il cui l‟articolo I prevede
che il Consiglio elabori accordi tra gli Stati membri in materia economica, sociale,
amministrativa e culturale. Riguardo quest‟ultima gli Stati membri sottoscrivono,
la Convenzione culturale Europea38, in cui si concorda che ogni Paese si appropri
di misure dirette al bene comune del patrimonio culturale Europeo. Il senso di tale
compartecipazione, non traversa la definizione di bene, di “testimonianza avente
valore di civiltà” o di “cosa”, bensì predilige aspetti culturali quali la lingua, la
storia e la cultura. Ossia, sembrava vi fosse già in un primo momento, la
consapevolezza di un percorso di sviluppo comune, fondato su istanze fortemente
identitarie come quelle rappresentate dai differenti patrimoni immateriali
nazionali. Al fine di costruire un plurale intesa, gli Stati della Unione Europea
anzitutto aderiscono ai valori generali di democrazia, libertà e diritti umani, e in
seguito si occupano d‟intese economiche, sancite nel 1957 con il Trattato di
Roma, atto d‟istituizione della Comunità economica europea o Cee. L‟intento
principale del Trattato era quello di costituire un mercato comune in cui le merci
potessero circolare liberamente, ovvero si proponeva l‟abbattimento delle barriere
doganali. Il patrimonio culturale rientra in questa ultima categoria d‟interventi, ma
inibito nella libera circolazione perché inteso come risorsa condivisa sottoposta a
tutela nell‟ambito specifico “della protezione del patrimonio artistico, storico e
archeologico nazionale”. Inoltre nel medesimo documento si sancisce la
38
19 dicembre 1954, La Convenzione culturale Europea è un Consiglio Europeo da distinguere da altri organismi dell’Unione, essa elabora accordi tra i membri ma anche fra Stati terzi.
40
compatibilità del libero mercato comunitario con “gli aiuti destinati a promuovere
la cultura e la conservazione del patrimonio”. 39
Significative novità circa le politiche culturali europee sono riconducibili al Titolo
XII del Trattato di Roma, che afferma: “La Comunità contribuisce al pieno sviluppo
delle culture degli Stati membri nel rispetto delle loro diversità nazionali e
regionali evidenziando nel contempo il retaggio culturale comune” ed ancora
“L‟azione della Comunità è intesa ad incoraggiare la cooperazione tra Stati
membri e, se necessario, ad appoggiare e ad integrare l‟azione di questi ultimi
(...)40”. Negli anni Sessanta e Settanta il processo di formazione della Unione si
concentra soprattutto su aspetti economici ed amministrativi, con la fondazione
degli organi istituzionali, quali i Consigli, le Comunità ed il Parlamento, per
l‟integrazione di competenze settoriali di ogni nazione. Non mancano, però, le
iniziative dedicate al settore culturale, nel 1964 le Convenzioni europee per la
tutela del patrimonio archeologico ed appelli del Parlamento europeo, nel 1974,
sollecitano gli Stati membri ad un comune impegno per la conservazione del
patrimonio. Come per tutti gli altri ambiti d‟interesse comunitario quali la
giustizia, l‟istruzione, gli affari interni, la cultura attende la nascita ufficiale della
UE, sancita dal Trattato di Maastricht il 17 febbraio 1992. Provvedimenti come
l‟Accordo di Schengen41, i Trattati di Amsterdam e Nizza42, la moneta unica ed
infine l‟ammissione, negli anni Duemila, di 12 nuovi Stati membri, sono tutti
aspetti che hanno contribuito a svelare il volto dell‟Europa che tutti noi oggi
conosciamo.
Conclusa la fase costitutiva dell‟Unione la comunità s‟impegna nell‟arduo compito
di plasmare una coscienza comune, senso di cittadinanza ed appartenenza ad un
luogo, una cultura, fondamentale per la sussistenza di una nazione e del proprio
popolo. Un concetto quest‟ultimo che rimanda, in modo chiaro e diretto, al
patrimonio culturale che si ripropone come uno dei massimi simboli identitari di
comunità locali e nazionali. Un insieme di beni, il patrimonio di singoli Paesi la cui 39
A patto che questi “non alterino le condizioni di scambio e concorrenza nella Comunità, in misura contraria all’interesse comune.” Art 92, comma II. 40
Nei seguenti campi: miglioramento della conoscenza e della diffusione della cultura e della storia dei popoli europei; conservazione e salvaguardia del patrimonio culturale di importanza europea; scambi culturali non commerciali; creazione artistica letterati compreso il settore audiovisivo. 41
Accordo circa la libera circolazione delle persone entro i confini dell’Unione Europea. 42
Trattati che modificano ed integrano documenti costitutivi europei.
41
frammentarietà sembrerebbe, al tempo stesso, punto di forza e debolezza della
costruzione di una integrazione identitaria comune. A suggerire un‟interessante
panoramica dell‟argomento è Settis, che dibatte circa la straordinaria possibilità
che l‟Unione Europea ha di costruire una forte identità nazionale comune, proprio
tramite il patrimonio culturale ed i beni che lo compongono. Evitando di
cancellare le singole identità nazionali, di enunciare principi teorici e generici c, di
seguire una politica esclusiva e non inclusiva, e infine di puntare su una politica
eurocentrica e non europea, afferma Setti, è il giusto percorso da intraprendere
per conseguire l‟obiettivo prefisso dalla UE. Quest‟ultimo infatti, per natura, è un
“luogo di sedimentazioni di processi secolari di osmosi e di interscambio tra
culture”, di conseguenza non è ragione di conflitto anzi motivo di interrelazione.
Esso ci insegna che le culture non si delineano considerando i singoli elementi
che le compongono, ma sottolineando quelli ibridi e condivisi con altre culture. In
altre parole l‟identità culturale è un insieme unico e scomponibile, le cui
dissomiglianze in realtà sono punti di forza, motivo di coesione.
Nell‟ultimo decennio il patrimonio culturale internazionale, si libera sempre più
delle attribuzioni ordinarie e teoriche, si allontana dall‟essere considerato causa di
esclusione o impedimento economico, per trasformarsi in rispetto per le diversità,
impegno comune, risorsa e prospettiva per le generazione future. Un ribaltamento
confutabile nelle iniziative culturali della Unione Europea come ad esempio la
Convezione sul valore del patrimonio culturale per la società, elaborato nel 2005
dal Consiglio Europeo. In esso, sono enunciate le posizioni ed i planning della
Unione in materia di patrimonio, inteso come: strumento di promozione, risorsa
per lo sviluppo, input per il progresso tecnologico. In primo luogo, il patrimonio è
la cultura, quindi la sua diffusione in Europa è necessaria al fine di veicolare civiltà,
l‟integrazione e la consapevolezza individuale e collettiva. In secondo luogo, il
patrimonio è matrice dello sviluppo sociale ed economico. Nell‟era postindustriale
le peculiarità locali possono essere motivo di sana competizione e la “tradizione”,
se adeguatamente valorizzata, un marchio di qualità, una risorsa dei mercati
internazionali. Infine, il patrimonio è motivo di sviluppo tecnologico, l‟ingerenza
del campo informatico e l‟impiego di nuove tecnologie ne facilitano la fruizione,
concorrendo al conseguimento del principio più importante del patrimonio
culturale, la libera accessibilità. Il patrimonio quindi è veicolo di un‟messaggio di
42
civiltà che deve perdurare nel tempo, perché risultato cangiante di un lungo
processo sociale e non mero accumulo di semplice materia. A tal proposito, ci
apprestiamo a concludere la trattazione del presente paragrafo, introducendo
l‟organo internazionale ad auspicare e operare per il riconoscimento e quindi la
salvaguardia di un particolare aspetto del patrimonio culturale, immaterialità.
Vicino all‟operato del Vecchio Continente, in materia di beni culturali
internazionali, poniamo l‟UNESCO organizzazione culturale, scientifica ed
educativa delle Nazioni Unite. A pochi mesi dalla conclusione del conflitto
mondiale 37 nazioni a Londra cercano di arginare, con l‟impegno civile ed
istituzionale, il delirio di potenza delle Nazioni che barbarizzò il mondo intero. Lo
statuto di questa Organizzazione, che nel 1950 diventerà agenzia dell‟ONU,
ragiona tra i suoi articoli di rispetto universale, di diritti umani e libertà
fondamentali; concorrendo attivamente alla pace e alla sicurezza nel mondo
tramite iniziative in settori come l‟educazione la scienza e la cultura, oltre
all‟impegno concreto “nella conservazione dell‟eredità mondiale di libri, opere
d‟arte e monumenti della storia e della scienza”.
La funzione dell‟Organizzazione è quella di patrocinio e garanzia, al fine di
estendere oltre i confini dei singoli Paesi il diritto di libera godibilità di un bene
universale, evitando un intervento diretto nelle giurisdizioni nazionali. Il
patrimonio culturale, quindi, amplia i propri orizzonti fino ad essere un insieme di
beni, di “cose d‟interesse universale” che necessitano di preservazioni dagli abusi
della guerra e dai caotici arbitri politico-sociali.
Il dato storico, come spesso accade, gioca un ruolo fondamentale nella nascita e
nella definizione delle competenze di un organo. L‟UNESCO vive con la
popolazione mondiale, l‟irreversibilità del danno provocato dalla guerra e la
consapevolezza che nessun tipo d‟impegno potesse riportare indietro le lancette
di un orologio guastato. Possibile, invece, fu lavorare ad una nuova nozione di
responsabilità mediante nuove regole, da concordare in tempi di pace. In questo
contesto s‟inserisce il primo intervento dell‟UNESCO in materia di patrimonio
culturale, la Convenzione per la protezione dei beni culturali in caso di conflitto
armato del 1954 auspica concordati sovrannazionali al fine di tutelare il
patrimonio culturale mondiale poiché:” il danno alle cultural properties
43
appartenenti a qualunque popolo equivale al danno del cultural heritage di tutto
il genere umano, dal momento che ogni popolo contribuisce alla cultura del
mondo”. Nonostante la conquista di rinnovata responsabilità, l‟ambivalente
impegno della locuzione cultural properties, in italiano beni culturali, rinvia al
concetto di proprietà e possesso di cui ampiamente si è dibattuto
precedentemente. Una situazione di conflitto internazionale, collegata soprattutto
alla problematica dei traffici illeciti, in cui l‟UNESCO ha cercato di intervenire
tramite una Convenzione. In primo luogo si è proceduti con la sostituzione della
locuzione cultural properties con cultural objects, successivamente suggerendo
politiche gestionali circa la cessione e la circolazione di beni culturali in ambito
internazionale. Inoltre sono d‟attribuire a tale Organizzazione, l‟attenzione per
particolari questioni o categorie di beni culturali, come ad esempio quelli
immateriali o ad alto rischio come quelli naturalistici. Apprestandosi alla
conclusione, è necessario chiarire quali sono le funzioni e le metodologie
dell‟UNESCO in materia di patrimonio culturale. L‟organizzazione funge da fronte
di sostegno interno per gli Stati membri, includendo su richiesta di questi, un
bene nel patrimonio mondiale assicurandone così la protezione comunitaria. A tal
proposito è operativo un Fondo per la protezione del patrimonio culturale e
naturale di valore universale43, un Comitato del patrimonio mondiale44 composto
da rappresentati dell‟ICCROM45, ICOMS46 e IUNC.47 Spetta al Comitato il compito
di stabilire criteri d‟inserimento dei siti d‟interesse culturale o naturale, proposti
dagli stati aderenti, in due distinte liste: World Heritage List, Lista del Patrimonio
Mondiale, o List of World Heritage in Danger, Lista del Patrimonio Mondiale a
rischio. Fase iniziale di un processo, guidato dal Comitato, finalizzato a decretare
43
World Heritage Found, che raccoglie donazioni volontarie ed obbligatorie dei Stati aderenti. 44
World Heritage Committee, comitato intergovernativo per la protezione del patrimonio cultura e naturale di valore universale. 45
L’ICCROM ovvero centro internazionale per lo studio, la conservazione e il restauro di beni culturali, è un organizzazione internazionale fondata dall’UNESCO nel 1959 per promuovere la salvaguardia nel mondo di ogni tipologia di bene culturale. Persegue i propri fini istituzionali con iniziative di formazione, informazione, ricerca e comunicazione. Oggi conta l'adesione ‘di 110 Stati, ha sede a Roma. 46
ICOMOS, Istituto per la conservazione dei monumenti e dei siti, fu fondato a Varsavia nel 1965 per diffondere i principi enunciati nella Carta Internazionale di Venezia nel 1964, circa il restauro e la conservazioni di monumenti e siti storici. Impegnata nella conservazione, protezione e ripristino di monumenti, gruppi di edifici, siti storici a livello internazionale e nazionale. Ha sede a Parigi e consegue i propri obiettivi tramite elaborazione di nuovi standard e tecniche, diffondendo informazioni su innovativi principi di conservazione, su tecniche e politiche in materia e offrendo supporto ad istituzione e centri specializzati di documentazione. 47
International Union for Conservation of Nature and Natural Resources.
44
le misure e le modalità con cui le organizzazioni governative e non, nazionali ed
internazionali, assistono i beni culturali. Tale procedimento non ricopre solo un
ruolo burocratico e teorico, esso si propone come passo irrinunciabile per ogni
Nazione che riconosce nella diversità del proprio patrimonio, una ricchezza
d‟inestimabile valore. Simile nei dettami e nella metodologia è l‟intervento messo
in campo dall‟UNESCO per quella particolare categoria di beni patrimoniali, gli
immateriali. I Paesi aderenti, anche in questo caso, sono tenuti a sottoporre al
Comitato delle testimonianze redatte in due liste: la Lista del patrimonio culturale
intangibile dell‟umanità e la Lista del patrimonio culturale intangibile che
necessita di urgente salvaguardia. In base a tali elenchi si stabiliscono,
programmatici interventi e stanziamenti di fondi, dando priorità ai paesi in via di
sviluppo. In queste ultime righe, è più che mai chiaro che il concetto di
patrimonio culturale, introdotto al principio del presente capitolo, è eredità,
retaggio e ricchezza comune che procede verso quello che superficialmente può
apparire un paradosso, ovvero il futuro. Dalla sopravvivenza delle identità, i beni
culturali, e dall‟loro insieme, il patrimonio, dipende la prospettiva di sviluppo
dell‟umanità. Questa è una certezza.
1.2 Le criticità del sistema
L‟approfondimento circa le competenze ed i protagonisti, operanti nel settore del
patrimonio culturale universale, ha certamente sottolineato quanto l‟argomento
beni culturali e cultural heritage, sia stata ed è di fondamentale importanza per
l‟umanità e la sua Storia. Nonostante sia chiaro che l‟impegno economico,
gestionale e burocratico di organi Istituzionali e non, nazionali ed internazionali,
pubblici e privati perpetuato nel corso dei secoli fino ai giorni nostri abbia:
concorso alla salvaguardia del patrimonio culturale, mediante programmatici
interventi di tutela e valorizzazione, garantito “la libera godibilità”, promosso la
conoscenza, l‟educazione e la consapevolezza al fine di assicurarne una corretta
trasmissione alle future generazioni; è più che mai chiaro che il patrimonio
culturale vive un momento di profonda crisi. Un parossismo la cui esacerbazione,
45
che affonda le proprie ragion d‟essere in aspetti economici, finanziari e gestionali,
finora non ha lasciato spazio a segnali di evidente ripresa. Eludendo lo spettro di
un‟discorso sterile e retorico, si propone un‟analisi sintetica e bifida, ovvero
nazionale ed internazionale, delle circostanze che hanno indotto le criticità del
sistema culturale.
1.2.1 Sovrapposizione di competenze e crisi economica
Profondi cambiamenti strutturali del sistema finanziario, hanno contribuito a
partire dagli anni 80 alla profonda crisi economica, palesatasi nel 2008. Il
fenomeno conosce almeno due fasi principali, la prima legata al fallimento della
banca d‟affari statunitense Lehman Brother nel 2008, la seconda derivante dalla
crisi del debito sovrano in Europa nel 2011. La crescente liquidità disponibile per
investimenti, la liberalizzazione della circolazione dei capitali e l‟allentamento dei
vincoli posti dagli Stati in materia sono solo alcuni degli eventi che hanno gettato
le basi quella instabilità interconnessa del sistema internazionale. In America la
Federal Reserve ha incoraggiato l‟acquisto di abitazioni da parte di soggetti con
ridotte capacità finanziarie, inducendo cosi le banche a concedere numerosi muti.
Un comportamento patologico degli istituti finanziari condannò lo scoppio di una
bolla speculativa, il tracollo di diverse istituzioni finanziarie Statunitensi e
l‟indebolimento del patrimonio finanziario Europeo. L‟impatto fu tale da esigere
politiche strutturali finalizzate a mitigare una recessione mentre i Paesi come
l‟Italia, la Spagna e la Grecia, economicamente deboli, con crescita lenta e scarsa
competitività cominciarono a mostrare tutte le loro fragilità. In Italia la pubblica
amministrazione, principale responsabile gestionale del patrimonio culturale
nazionale ha proceduto con pesanti tagli delle risorse destinate ai beni culturali ed
un blocco del turnover di personale qualificato in materia. Figura tra le criticità
citate anche una sorta di “accanimento terapeutico”, sovraffollamento di leggi
dalla difficile osservanza, la cui sedimentazione approssimativa e spesso
incoerente contribuisce a conflitti di competenze, soprattutto tra Stato centrale e
46
regioni in materia di beni paesaggistici.48 Nonostante spetti al nostro Paese il
prestigio di esser stato pioniere in materia, di aver plasmato l‟ammirato” Modello
Italia” e seguito almeno fino allo scorso decennio, un percorso in “crescendo” è
necessario sottolineare, senza mezzi termini, che questo complesso sistema oggi
funzioni sempre meno bene.
1.2.2 Frammentazione del corpo normativo
Sin dal primo grido d‟allarme circa il rischio di estinzione dei patrimoni nazionali,
in seguito a processi come la globalizzazione e la post-produttività, si è sollevato il
contagioso intervento di organizzazioni internazionali in materia di salvaguardia
del patrimonio culturale universale. Unione Europea, UNESCO e Stati membri
ispirati anzitutto dal rispetto dei diritti umani e delle libertà fondamentali, hanno
contribuito alla politiche nazionali spesso incomplete in ragione delle insufficienti
risorse economiche, tecniche e scientifiche. Il richiamo delle comunità
internazionali ad un impegno comune, necessario data l‟esistenza di beni culturali
e naturali il cui inestimabile valore non è ristretto ai singoli confini nazionali,
implica un‟estensione del concetto di patrimonio che in quanto proprietà
mantiene di fatto l‟appartenenza al proprio contesto nazionale e al contempo, in
via di principio utopico, appartiene alla umanità intera. De facto l‟ingerenza diretta
di tali organizzazioni negli affari nazionali non è reale, data la mancanza di una
definizione universalmente riconosciuta di bene culturale, aldilà dei singolo
significato etimologici e linguistici, si è risolta in una inefficiente attività di
patrocinio.
48
Vedi paragrafo 1.1.1
47
Capitolo 2
I CLUSTER CREATIVI
2.1 L‟Atmosfera creativa
“La creatività si esprime nell‟abilità e nell‟attitudine ad intuire in modo immediato
possibili relazioni formali, prima ancora di saperle dimostrare in un orizzonte logico»
J.BRUNER, “La mente a più dimensioni”, Roma, 1988.
Un fenomeno congenito ad ogni grande fase di sviluppo di una società nel tempo
e nello spazio, l‟atmosfera creativa è frutto di un‟intensa circolazione di idee circa
prodotti, stili, espressioni artistiche, bisogni dei consumatori, innovazioni
tecnologiche, modelli di business e ricerca di qualità industriale. L‟atmosfera
creativa è quindi segnale d‟esistenza di una massa critica intellettuale prodotta
dalla combinazione di diversi fattori ed intuita per la prima volta in attente
osservazioni circa cluster creativi territoriali, ovvero le città. Peter Hall, H.Taine e
G.Tornqvist sottolineano tutti e in diverse epoche storiche il fattore di
coagulazione di questi luoghi. Taine lo chiama “l‟artistic milieau”, mentre secondo
Tornqvist ci si riferisce al “cultural mileau” ovvero l‟ambiente creativo manifesto
tramite quattro componenti fondamentali: l‟intenso scambio interpersonale,
l‟accumulazione di conoscenze, l‟acquisizione di competenze, il know-how in
specifiche attività ed infine la capacità creativa degli individui e delle
organizzazioni nell‟utilizzare le tre sopracitate risorse. La preformazione e
l‟addensamento dell‟atmosfera creativa è un processo cumulativo che richiede
tempo a causa della necessità degli attori coinvolti di sviluppare competenze,
conoscenze e propensione alla sperimentazione. Quando il “sistema delle idee”
raggiunge una massa critica, l‟atmosfera creativa diventa operativa e visibile
48
, dacché ogni cultura ha una propria storia evolutiva e su di essa si fondano i
fenomeni di path dependency, 49 condizionati, a loro volta, dalla capacità di
trasmettere alle generazioni successive elevati tassi di creatività sociale. In grado di
autoalimentarsi mediante la produzione di esternalità positive, l‟attrazione dei
talenti esterni al territorio ed ai vantaggi competitivi che offre alle comunità locali,
l‟atmosfera creativa si addensa in una circolazione continua accresciuta da nuove
idee e frequenti relazioni umane. Ciò fino a raggiungere una sostenibilità della
massa critica che, per rimanere nella metafora, si agglomera in forme sociali ed
istituzionali che regolano la vita, la produzione ed il consumo al proprio interno.
Esse possono essere di tipo giuridico, di tipo economico, connesse alla
salvaguardia del patrimonio, alla circolazione di nuove idee, alla innovazione
tecnologica, all‟interesse per il patrimonio immateriale al funzionamento dei
mercati, all‟esito di un percorso artistico-estetico. Sono queste forme che di fatto
accolgono e sviluppano il contributo di nuovi talenti e che rendono visibili i fattori
competitivi di un luogo a livello internazionale. L‟atmosfera creativa è il prodotto
dinamico di relazioni pubblico e priva di attori impegnati in sistemi locali di
produzione culturale interdipendenti da fattori di natura economico-sociale. In
conclusione, non è possibile determinare un‟atmosfera creativa ex-ante, perché
essa dipende dalla combinazione e dalla qualità delle relazioni, delle idee, delle
strutture gestionali, essa si rivela, come in seguito esplicitato, soltanto ex-post,
ovvero quando le energie creative sono diventate proprietà endogena del sistema
post-produttivo. Nondimeno può essere ricercata favorendo lo sviluppo dei suoi
elementi costitutivi, certamente un aspetto importante sono le trasformazioni
sociali in atto e il fattore d‟incertezza, inteso nell‟accezione positiva come
generatore di nuove opportunità e predisposizione alla sperimentazione. Tale
approccio è immanente nel divenire moderno favorisce una innovativa visione di
retaggio culturale.
49
La path-dependence è la concezione secondo la quale («dipendenza dal percorso») piccoli eventi passati, anche se non più rilevanti, possono avere conseguenze significative in tempi successivi, che l’azione economica può modificare in maniera limitata. Tale idea non è circoscritta al campo economico. Fonte Enciclopedia Treccani on-line.
49
2.2 Cambia l‟approccio ed evolve il modello
L‟idea di patrimonio culturale, inteso nella sua visione globale ed integrata a
processi sociali ed economici, è sempre più riconosciuta come fenomeno
realmente condizionante dell‟agire umano contemporaneo. Questo moderno
approccio, è naturalmente frutto di un processo evolutivo di tipo storico, in cui il
concetto antropologico di cultura, patrimonio culturale ed unità che lo
compongono, ovvero i beni culturali, si è evoluto a “passo d‟uomo”. La trattazione
conclusasi nel capitolo precedente, circa il patrimonio culturale ed i suoi principali
attori, è propedeutica alla chiarificazione di un nuovo approccio alla materia, una
innovativa ipotesi secondo cui l‟uomo non può far altro che correre verso il
progresso e portare con se i prodotti materiali ed immateriali del proprio ingegno,
che un giorno saranno essi stessi riconosciuti come medesimo patrimonio. Nodo
dei nostri tempi è quindi il paradosso di un‟eredità futura, occasione in cui la
vitalità delle culture, ovvero la capacità residua di ciascuna di esse di attingere
nuove energie, di affrontare e rinnovare l‟omologazione del presente, finisce per
trasformare gli ostacoli in nuove opportunità. Vera potenza generatrice
dell‟intelletto umano, la creatività.
La creatività è un processo di scoperta che richiede capacità cognitive e ricettive
degli stimoli esterni, intuizione e propensione al “problem solving”, poiché grazie
ad essa si generano nuove idee, processi, tecnologie, prodotti e servizi che
possono trasformarsi in innovazioni, se incontrano bisogni e preferenze dei
fruitori. In questo nuovo approccio, la cultura e la creatività stanno diventando due
fattori fondamentali per comprendere l‟identità e lo sviluppo delle società. In
senso funzionale, esse sono da sempre servite per generare beni e idee che nella
storia hanno prodotto valore simbolico, estetico, economico e sociale, ma solo
negli ultimi anni si è iniziato ad enfatizzarne il ruolo quali fattori intangibili per lo
sviluppo economico e sociale. Da un lato, è cresciuta la consapevolezza del valore
economico generato dalle industrie rivolte alla produzione di beni e servizi
culturali e del loro potenziale in termini di crescita rispetto ad altri settori
50
dell‟economia (Scott, 200050; Howkins, 200151). Dall‟altro, si riconosce come il
capitale culturale e la concentrazione di talenti creativi possa generare nuove
opportunità di sviluppo, dove la crescita economica si coniuga con la qualità
sociale e la produzione di valore culturale (Throsby, 200152; Florida, 2002). Il
panorama impone quindi all‟attenzione, la cultura e la creatività come nuovi fattori
di crescita e sviluppo, per motivi disparati. In primo luogo, è in atto un‟espansione
della sfera culturale nell‟economia, intesa come produzione e consumo di simboli
e significati; nella nuova fase del capitalismo post-fordista, il valore d‟uso e la
funzione dei beni diventa secondario rispetto al loro valore simbolico. Le industrie
e i beni culturali diventano quindi importanti non solo per il loro peso economico,
ma anche per il loro contributo a diffondere il capitale simbolico, l‟immagine di
una comunità. In secondo luogo si procede sempre più verso la considerazione e
lo studio del ruolo della creatività come pre-condizione dell‟innovazione. In altre
parole, cultura e creatività sono due elementi estremamente interconnessi che
pongono l‟uomo al centro della nozione di sviluppo. La creatività serve a produrre
cultura, ma anche la cultura può essere un attivatore sistematico di creatività ed
innovazione, poiché contribuendo ad incrementare la propensione delle persone
ad investire nelle loro capacità e nelle competenze cognitive si concorre
all‟accrescimento del patrimonio culturale universale. Infine, incorporare questi
due fattori in un modello unico significa rispettare la sostenibilità, ossia lavorare
pensando alle generazioni future non solo in termini di infrastrutture e risorse
culturali che saranno loro trasmesse, ma anche in termini di equità e difesa della
diversità culturale. A dispetto dell‟ampia attenzione tesa a queste intangibili
risorse, è difficoltoso provare con modelli teorici e soddisfacenti, l‟evidenza
empirica causa della relazione che intercorre tra cultura e creatività. In letteratura è
possibile identificare due gruppi di studi che hanno provato a misurare l‟impatto
della cultura e delle attività culturali sullo sviluppo locale, il primo è riferito alle
conseguenze delle attività culturali sulla economia mentre il secondo si basa sulla
costruzione di indicatori creativi per misurare l‟outcome della creatività in processi
sociali. L‟economico impatto su studi d‟arte e cultura rappresentano oggi
l‟estensione di un corpo letterario della disciplina economica in corso fino dagli 50
Scott Allen J. (2000), the Cultural Economy of Cities, Sage Publications, London: UK. 51
Howkins, John. 2001. The Creative Economy: How People Make Money from Ideas. London: Allen Lane. 52
Throsby D. 2010The Economics of Cultural Policy, Cambridge University Press, Cambridge.
51
anni Settanta. Utilizzando diverse metodologie si è riusciti a valutare l‟impatto
finanziario generato in un‟area da differenti attività culturali come ad esempio: i
nuovi investimenti in progetti culturali, le attività delle istituzioni culturali, i festival
egli eventi al servizio della valorizzazione del patrimonio. Vi sono quattro criteri
per definire il potenziale sviluppo delle attività culturali: la permanenza, la
partecipazione della popolazione locale in aggiunta ai turisti, l‟interrelazione tra
differenti attività culturali ed infine la capacità del territorio di produrre benefici e
servizi. Questa ultima condizione suggerisce che gli effetti delle attività culturali
sono migliori in territori con ampi spazi e una maggiore densità di popolazione.
2.3 Dal Distretto Culturale al Cluster Creativo
Nuove forme d‟approccio alla disciplina, quelle trattate nel precedente paragrafo,
che non potrebbero sussistere senza la fondamentale presenza della comunità. Il
verificarsi di una evoluzione filosofia e performativa del modello di cultural
heritage, presuppone un insieme di individui profondamente radicati nel loro
contesto territoriale, nei confronti del quale hanno maturato senso di
appartenenza ed identificazione. Aspetti convenzionalmente considerati “capitale
marshalliano” dall‟economista Alfred Marshall padre del modello distrettualistico
industriale53, punto di partenza per la definizione del distretto culturale. Il capitale
sociale e umano fondamentali alla sussistenza del distretto, sia esso industriale o
culturale, contribuiscono a creare nuovo capitale, non solo economico, assumendo
la capacità di autogovernarsi e di evolvere autonomamente, il tutto grazie alle
relazioni di fiducia e collaborazione che vengono ad instaurarsi tra gli individui. ll
distretto culturale è in sintesi un modello ricavato da organizzazioni industriali ed
applicato, nelle ultime decadi, al management dei beni culturali, naturalmente non
53
La teoria di distretto industriale esposta nelle sue opere The Economics of Industry (1879) e Principles of Economics (1890) delinea le caratteristiche fondamentali di tale modello, sostenendo che i vantaggi della produzione a larga scala possono essere conseguiti sia raggruppando in uno stesso distretto un gran numero di piccoli produttori, sia costruendo poche grandi imprese.
52
è possibile ridurre il distretto culturale ad un logico passaggio semantico, poiché il
carattere distintivo del distretto industriale è la creazione del valore economico,
mentre nell'altro caso è la cultura il fondamento del processo. Geneticamente
definibile come una rete di relazioni tra organizzazioni pubblico-private che
concentrate in un area geografica fondano la propria collaborazione su
connessioni storiche, culturali e socio-economiche. I contributi teorici che hanno
concorso alla evoluzione del concetto di distretto culturale sono molteplici, ad
esempio i sistemi ibridi e trasversali esemplificati da Valentino (2003)54, cosi come i
distretti Museali ed Istituzionali calati nella realtà Italiana da Santagata (2002)55 ed
i modelli dinamici basati sul processo di “distrettualizzazione” della Lazzeretti
(2009) 56 . Nonostante la vasta letteratura a riguardo alimenti complessità, è
possibile implementare aspetti differenti ma comuni, al fine di comprendere il più
possibile a tout-court l‟argomento. In primo luogo il distretto culturale è un
sistema indissolubilmente legato al territorio, che necessità soprattutto in Italia, di
una maggiore flessibilità, tale da poter superare i semplici concetti di
conservazione e fruizione del patrimonio. Luogo d‟integrazione tra processi di
valorizzazione culturale, sia essa materiale che immateriale, infrastrutture e settori
produttivi, il cui obiettivo è quello di rendere più efficiente ed efficace la
produzione di una cultura basata sulla conoscenza. Fattori necessari al palesarsi di
un distretto culturale sono: l‟esistenza di una base imprenditoriale sensibile alla
valorizzazione culturale, un crescente orientamento all‟innovazione, la conoscenza
del proprio patrimonio ed infine la capacità di creare network di realtà culturali
territoriali. Questo modello di sviluppo deve essere necessariamente supportato
da strategie gestionali che interessino più stakeholder57 come ad esempio: le
istituzioni, le forze politiche, quelle imprenditoriali e sociali, al fine di giungere ad
una “massa critica” che consenta ai medesimi di identificarsi con i luoghi in cui si
insediano e di attrarre maggior pubblico, con conseguenti ricadute positive sulla
54
Valentino P., Le trame del territorio, Politiche di sviluppo dei sistemi territoriali e distretti culturali, Sperling & Kupfer, Milano, 2003. 55
Santagata S., I distretti culturali museali. Le collezioni sabaude di Torino, Ebla Center Wp, n. 8, Torino, 2002. 56
Lazzeretti L., (2009), “The creative capacity of culture and the New Creative Milieu”, forthcoming in Becattini G., Bellandi M, De Propris L. (eds), The Handbook of Industrial Districts, Cheltenham (UK), Edward Elgar. 57
Il termine stakeholder significa letteralmente “portatore d’interesse e individua in tutti i soggetti o categorie che sono nella posizione di rivendicare un diritto nei confronti di dato, in quanto hanno un interesse rilevante in gioco alla conduzione di quest’ultimo. .
53
economia reale. Indefinitiva, il distretto culturale è legato in simbiosi ad un luogo,
abitato da una comunità in cui il sistema d‟informazione favorisce la
trasformazione della creatività in cultura e quest‟ultima in prodotti e servizi aventi
valore economico e sociale. Il crescente interesse di teorie economiche nei
confronti di fattori quali la cultura e la creatività, hanno favorito il passaggio dal
modello di Distretto Culturale e quello di Cluster Creativo.
2.3.1 Il Distretto culturale evoluto. Un Cluster Creativo per i beni
culturali
La cultura, come ribadito più volte in precedenza, si propone come privilegiata
artefice dell‟innovazione, tale è il frutto di un ampliamento della competenze
concernenti la disciplina del patrimonio culturale. Quest‟ultima non è più intesa
solo come quell‟insieme di politiche di salvaguardia dedicate a “cose d‟interesse
storico artistico”, al “paesaggio”, oppure a “qualsiasi prodotto dell‟ingegno umano
con carattere di eccezionalità (..)”. Un‟accezione estemporanea e più ampia
considera la cultura al pari di aspetti intangibili come: la libertà, la tolleranza, la
creatività dell‟individuo e la qualità della vita, quali fattori realmente concorrenti
allo sviluppo delle economie post-industriali di alcuni Paesi. Invero, gli aspetti
tangibili della cultura non sono i soli a concorrere allo sviluppo economico e
sociale della comunità, sono tali le supposizioni che hanno traghettato l‟ultimo
step evolutivo del distretto culturale ovvero il Distretto Culturale Evoluto, verso la
teorizzazione del Cluster Creativo. Parimenti a ciò che accadde con la teorizzazione
del distretto culturale, scaturito dal concetto di distretto industriale operato
dall‟economista Marshall, il modello di cluster culturale scaturisce da osservazioni
di tipo macro-economiche. Difatti la letteratura recente sottolinea che la tipologia
di Distretto Culturale Evoluto è declinabile in tre visioni di sviluppo:
Il livello della qualità della vita, la serendipity, fattore strettamente dipeso
dalla localizzazione di talent-worker in cluster, membri della creative class
teorizzata da Richard Florida.
54
L‟orientamento all‟innovazione, la competitività, intesa dall‟economista
M.Poter sia come elemento abilitante della crescita economica di un Paese
che come attivatore del miglioramento dello standard di vita sociale.
La capacitazione motivazionale, ovvero la liberta di realizzare la sostanziale
scelta del “cosa fare e chi essere”, intesa dall‟economista Indiano Amartya
Sen come motore dello sviluppo di un Paese, poiché quest‟ultimo è
direttamente proporzionale alla espansione delle libertà reali di cui godono
i cittadini.
Il primo canale d‟articolazione del distretto culturale evoluto, ha subito negli ultimi
decenni un‟interessante approfondimento, che solo recentemente ha condotto alla
teorizzazione del Cluster Creativo per i beni culturali. Il termine d‟origine inglese
cluster klḁ′stë <s. ingl. (propr. «grappolo»; pl. clusters ‹klḁ′stë∫> 58 , significa
grappolo, ammasso, gruppo. In diversi settori, come ad esempio quello scientifico
o informatico, per clusters si intendono agglomerati di unità vicine per posizione o
composizione. In materia economica si chiamano clusters quei agglomerati di
persone, clienti o imprese segmentati in relazione ad un criterio. L‟economista
statunitense Richard Florida ne parla per la prima volta, innescando non pochi e
accesi dibattiti, riferendosi ad una innovativa costante economica della cluster
analysis: la creatività. In particolari casi di patrimonio culturale come quello del
Modello Italia, la letteratura ha cercato di calare nel dato reale la trattazione
teorica con conseguente parcellazione e costruzione ad hoc di modelli di distretti
culturali. Contrariamente a ciò, il C.C. non è settoriale e predilige un approccio
antropologico rispetto al fenomeno, trova e stabilisce relazioni inattese tra
ambienti e fenomeni apparentemente distinti, abilità influenzata positivamente
della prossimità geografica o cognitiva delle unità che lo compongono. Si
verificano processi di cross-fertilisation tra diverse abilità professionali all‟interno
del medesimo cluster, relazioni che trovano nel network moderno una
opportunità, talora inaspettata, di contaminazione tra differenti competenze dal
punto di vista produttivo e sociale. Tre macro fattori guidano il processo di auto-
determinazione del fenomeno: 1) Esercitare attrazione verso l‟esterno. 2) Produrre
innovazione. 3) Rio-rientare il livello di attenzione degli individui verso attività ad
58
VOCALOBARIO TRECANI ONLINE.
55
alto contenuto esperienziale, che permettano una strutturazione della personalità
individuale e collettiva. Il capitale umano ricopre, quindi, un ruolo fondamentale
nella determinazione del Cluster Creativo, poiche le congetture e le conseguenti
attività sono dirette ad un incremento del reddito quanto al miglioramento della
qualità della vita. Quel che fu ostacolo all‟evoluzione del distretto culturale, ovvero
la diversità, si propone come elemento cardine per l‟avvento della competitività e
quindi della crescita del Cluster Creativo. Quest‟ultimo ambisce a superare i confini
generati dalla semplice attenzione alla fruizione del patrimonio culturale, ed
intende muoversi verso uno sviluppo complessivo in grado di combinare
management integrato con aspetti produttivi e di innovazione. La diversità, in tal
senso, viene recepita con le sue applicazioni- cambiamento ed assunzione del
rischio- come attivatore di processi basati su tolleranza e apertura, tradotti in
trasparenza, equità e partecipazione, affiche l‟avversità si trasformi in risorsa.
Nell‟ambiente del C.C. la connessione tra diversità, creatività e sviluppo, opinione
attualmente supportata da studi teorici ed empirici, accresce la capacità di creare
network relazionali, di incrementare il capitale culturale e favorire competenze bi-
culturali. Tutti aspetti peculiari, quelli sopracitati, di una classe sociale ovvero la
Creative Classe ipotizzata da Richard Florida.
2.3.2 Richard Florida e la Creative Class.
In questa era di grandi trasformazioni il be creative è sempre più una prerogativa
necessaria, un aspetto cardine dell‟agire umano posto al servizio di svariati campi
quali ad esempio: l‟economia, la scienza, la tecnica, l‟educazione e l‟arte. Inteso
come propulsore d‟idee, input per l‟innovazione, motivo di crescita economica e
culturale, il fattore creativo, concorre ad una significazione univoca in cui gli
aspetti tangibili e intangibili che lo caratterizzano contribuiscono realmente al
miglioramento della vita individuale e sociale. Una caratterizzazione analitica,
questa, di difficile trattazione che sempre più spesso cede alla sterile retorica.
Nonostante ciò, nell‟ultimo decennio la creatività è sempre più oggetto d‟interesse
56
di ambiti come le industrie creative, l‟economia creativa e la creative class,
contribuendo così ad alimentare letteratura di genere, articoli accademici, dibattiti
tra organizzazioni internazionali ed agende politico-istituzionali. Considerata per
la prima volta da discipline tecniche come fattore realmente concorrente al
processo evolutivo, si è recentemente declinata in due distinti modelli: la creatività
per l‟innovazione e la creatività per la qualità sociale. Il primo modello considera la
creatività in relazione alla sua capacità di generare innovazione, quale spinta per la
produzione di cultura che trova la sua applicazione più naturale nei mercati, nel
business e nella commercializzazione di prodotti e servizi ad alto contenuto
intellettuale. Il secondo modello, al contrario, considera la creatività per la qualità
sociale che ha un riscontro sul piano del vivere individuale e comunitario tramite
gli effetti che le manifestazioni culturali hanno sulla vita reale. Questi modelli
tendono ad escludersi vicendevolmente, generando: impatti economici;
innovazione di prodotti e processi, impatti sociali; rafforzamento dell‟identità
comunitaria e del capitale socio-culturale; impatti simbolici, rafforzamento
dell‟immagine e dell‟attrazione internazionale del territorio. Diversamente
dall‟approccio tecnico economico, la letteratura della creatività indica,
recentemente, che non è facile stabilire la relazione la creatività e l‟impatto reale
che questa ha sullo sviluppo economico e socio-culturale di un Paese. Gli
indicatori di creatività rischiano di misurare un fenomeno in assenza di robuste
teorie, che necessariamente devono essere chiarite prima di procedere verso un
emergere dinamico della materia di studio. Un primo esempio della una chiave di
lettura empirica ed un usufrutto di aspetti intangibili come le idee, le relazioni ed i
fenomeni sociali, per la trattazione di argomentazioni tecnico-scientifiche sono gli
studi di Richard Florida.
Nel 2002 l‟economista Statunitense, Richard Florida, pubblica The Rise of Creative
Class, un‟opera sperimentale che guarda alla creatività come ad fattore di sviluppo
altamente concorrente alla crescita economica, oltre che sociale e culturale, di una
nazione. Innovazione, conoscenza ed informazione sono gli strumenti che la
creatività utilizza per donare valore aggiunto al business, creando di conseguenza
un fenomeno detto economia creativa, medesimo frutto di un processo sociale
verificatosi in Paesi di capitalismo avanzato, ovvero l‟ascesa della creative class. Un
processo multidimensionale e sperimentale, quello della economia creativa,
57
favorito da menti che si sono arricchite con esperienze e stimoli diversi, che sono
vicine al multiculturalismo e alla trasversalità linguistica, culturale e sociale
contemporanea. Una teoria scaturita dalla osservazione dello human behavoir
creativo, visibile secondo Florida ad ogni passaggio epocale della storia umana,
poiché proprio quest‟ultimo è determinato dalla capacità creativa dell‟individuo
che non sintetizza ma sovverte il tradizionale processo della gestalt. Gli individui
capaci di ciò sono membri della Creative Class, una classe sociale in grado di
manipolare idee e simboli, caratterizzata da individui “independent-minded”
capaci di creare “meaningful new forms”, scambiando volentieri la sicurezza dei
vecchi modi di lavorare e produrre per la “self-expression”. In passato fu teorizzata
da altri, con denominazioni differenti e caratteristiche piuttosto affini, ovvero
Robert Reich e la “symbolic analysts”, Fuessel e gli “X people”, entrambe
inevitabilmente associabili alla “X Generation” dello scrittore Douglas Coupland. A
seconda del processo creativo posto alla base dell‟loro agire è possibile dividere
tale classe sociale in due macro gruppi:
Il nucleo super-creativo: Sono essi figure del mondo culturale capaci di
lavorare ad un livello creativo superiore, caratterizzato dalla produzione di
nuove forme o soluzioni facilmente riproducibili e largamente utilizzate.
I professionisti creativi: Sono essi personalità ad alto impiego di
conoscenza, chiamati a produrre soluzioni nuove con approcci classici, a
perfezionare tecniche esistenti o realizzarne di autonome.
Le analisi di Florida circa il grado di creatività calcolato per ogni regione
geografica Statunitense, ebbero inizio negli anni Duemila con l‟individuazione
della classe creativa e la misurazione dell‟indice del capitale creativo. Confutando
la tesi della New Economy che annunciava “la morte della geografia”, l‟autore
rivendica l‟importanza dell‟luogo geografico e in particolare della città, scelto dalla
classe sociale creativa come spazio organizzato fondamentale per l‟avvento del
clustering culturale. La scelta di un determinato luogo geografico, da parte di tale
classe sociale, non è determinato dalla offerta di servizi o infrastrutture, bensì
dall‟alta qualità delle esperienze e delle opportunità realmente concorrenti alla
58
crescita culturale individuale e collettiva. Florida quindi procede con la
realizzazione di un modello statistico, in cui si propone di validare il rapporto tra la
creative class e un determinato luogo geografico tramite tre valori chiamati
ThreeTs ovvero: Tecnologia, Tolleranza e Talento. S‟intende per Tecnologia l‟alto
tasso d‟imprese hi-tech, di brevetti robotici, software prodotti ed investimenti
destinati alla ricerca; per Talento, invece, s‟intende la presenza di un numero
elevato di persone con un livello d‟istruzione alto ed infine per Tolleranza ovvero
la capacità di una società d essere cosmopolita, aperta e tollerante verso le
minoranze. Entrambi, ovvero Il contesto urbano e la classe creativa sono in
possesso di questi tre fattori, ognuno dei quali è necessario all‟altro ed
insufficiente nella propria singolarità. Le TheerTs sono valori utilizzati per la prima
volta come indice statistico da Florida, ma già in passato furono oggetto
d‟interesse di altri esperti come ad esempio il reporter Pascal Zaghary del Wall
Street Journal e del Global Me in cui suppose che l‟immigrazione e l‟aspetto
cosmopolita della società Statunitense fossero i principali motivi della crescita
economica del Paese, mentre ,nell‟lontano 1990, l‟Istituto Gary Gates ed alcuni
economisti come Dan Black e Lowell Taylor identificarono nella presenza di
individui con un orientamento sessuale differente un vantaggio per la crescita
cultura ed economica di alcune città. Nel momento in cui la teorizzazione di
Florida diveniva sempre più concreta, cresceva la curiosità e la necessità di
espandere tale approccio analitico a realtà differenti da quella Statunitense.
Evitando termini di paragone e concentrandosi sempre più sulla localizzazione del
clustering creativo, Florida realizza lavori come Europe in Creative Age, in cui si
confrontano 14 Paesi del Vecchio Continente e The Global Creativity index,
un‟analisi che coinvolge 45 Paesi di tutto il mondo e che viene presentata nel
nuovo libro dell‟economista, The Flight of Creative Class. In questo ultimo lavoro,
l‟autore e la sua equipe di esperti comparano i valori delle ThreeTs con il GCI
(Global Creativity Index), stabilendo non solo che quest‟ultimo dato è utile alla
misurazione della competitività economia globale ma che grazie ad esso è
possibile misurare l‟indice di soddisfazione della popolazione, ovvero la felicità. La
teoria della economia creativa muove un‟ulteriore passo avanti, Richard Florida
dimostra con indici e calcoli statistici non solo che la crescita economica di un
Paese dipende è sono direttamente proporzionale all‟alto livello di Serendipity tra
59
la popolazione ma che entrambi questi fattori sono determinati dalla capacità
creativa di individui coagulati in una nuova classe sociale, la creative class. In
conclusione Florida afferma che in qualsiasi ambito organizzato attorno ad una
progettualità culturale, le persone nate all‟interno di un contesto post-produttivo
tenderanno a mettere in discussione sistemi di attribuzione del valore, ad operare
un sovvertimento intellettuale facendo così emergere delle problematiche che
verranno affrontate con strumenti concettuali nuovi.
2.3.3 Il Crowdfunding per i beni culturali
Il fenomeno del Cluster Creativo, come precedentemente affermato, deve al
capitale umano la principale ragion d‟essere. Nonostante risulti un accadimento
contemporaneo, in divenire e analizzabile solo ex-post, è possibile individuare lo
strumento, messo in campo dalla classe creativa per il compimento del Cluster
Creativo. Il progresso della tecnologia Web 2.0, ha rappresentato un terreno
fertile per la nascita del Crowdfunding, termine, che letteralmente indica
“finanziamento dalla folla”, definendo lo sforzo comune di un gruppo di
individui, facenti parte di una comunità virtuale, di sostenere e rendere
realizzabili, con piccoli ma preziosi contributi, progetti e/o iniziative di persone e
di organizzazioni. Laddove il concetto di colletta non è di certo nuovo, ciò che
rende il Crowdfunding una vera innovazione è la sua ineguagliabile forza di
aggregare, non solo idee, ma soprattutto persone. Dunque, il crowdfunding non
è esclusivamente una raccolta fondi, sottende forti implicazioni sociali e
antropologiche che si sviluppano on-line, trovando esplicazioni in una serie di
processi che potrebbero innovare il modo stesso in cui classicamente intendiamo
la relazione tra ideazioni, produzione e consumo. S‟inserisce allorquando i
tradizionali sistemi di finanziamento e gestione del patrimonio culturale non
sono più in grado di accogliere o recepire il valore di un‟iniziativa, ponendosi
come effettiva modalità di raccolta di capitali preziosi e partecipazione della
collettività.
60
La folla (crowd) è l‟anima del processo di Crowdfunding come del Cluster
Creativo, un‟aggregazione spontanea di individui, normalmente su piattaforme on-
line dedicate, che si identifica in un‟iniziativa o in un progetto, o semplicemente ne
sposa la filosofia, decidendo di contribuire alla realizzazione dello stesso.
Applicazioni interattive, piattaforme di condivisione dei media e social media sono
gli habitat naturali della folla, luoghi virtuali dove i processi di aggregazione di
idee e di fondi si realizzano in tempo reale, permettendo un scambio diretto ed
immediato di contenuti ed informazioni relativo a progetti, attività commerciali,
eventi sociali e culturali. Pertanto il fenomeno del crowdfunding ha guadagnato
nel tempo un luogo virtuale dedicato, le piattaforme, ove chiunque, persona fisica
o associazione, può presentare la propria iniziativa. Le piattaforme di
crowdfunding sono siti web che facilitano l‟incontro tra la domanda di
finanziamenti da parte di chi promuove dei progetti e l‟offerta di denaro da parte
degli utenti. In tali siti ogni iniziativa è presentata con un format descrittivo degli
scopi, dei temi di raccolta, delle eventuali ricompense e del relativo budget. Ogni
proponente può pubblicare la propria idea, arricchendo la stessa di contenuti
multimediali quali immagini, video o “pitch” di presentazione del team.
La pratica del crowdfunding e le sue evoluzioni costanti hanno portato
all‟individuazione, generalmente accettata, di quattro categorie di modelli :
Donation-based: Nel modello Donation-based le iniziative proposte fanno
riferimento soprattutto al terzo settore, organizzazioni no-profit, enti a
scopo sociale e associazioni, che si rivolgono alla massa affinché questa
aderisca e contribuisca ad una causa sociale o etica. Il donatore in tal caso è
spinto sostanzialmente da un movente caritatevole, egli non ottiene nessun
vantaggio economico dal finanziamento dalla causa.
Reward-based: La formula del reward crowdfunding è largamente utilizzata
grazie alla sua capacità di remunerare, seppure simbolicamente, i
crowdfunders senza disperdere risorse utili al progetto. Le ricompense non
61
sono mai costituite da somme di danaro, ciò nonostante suscitano nella
folla un interesse notevole grazie al valore che la stessa attribuisce a piccoli
gesti di ringraziamento quali mail, citazioni personali e Vip ticket.
Lending-based: Il lending crowdfunding è un modello attraverso il quale si
realizza il prestito tra privati, senza dunque il ricorso ad intermediari
specializzati. Le piattaforme di tipo lending pongono in contatto coloro che
hanno necessità di raccogliere denaro con coloro che sono potenzialmente
interessati a prestarlo.
Equity-based: Il modello equity rappresenta sicuramente la più recente
evoluzione della pratica del crowdfunding, nonché quella maggiormente
discussa, in quanto eleva il finanziamento della folla a modalità di acquisto
di quote di capitale sociale in start-up. Attraverso le piattaforme equity,
progetti ad alto valore innovativo e contraddistinti da buone capacità di
crescita possono accedere ad un mercato parallelo per la raccolta di
capitale. Si tratta del modello di crowdfunding maggiormente strutturato,
soprattutto rispetto alle relazione intercorrenti tra gli attori. Quest‟ultimi,
infatti, non si configurano più come semplici sostenitori che liberamente
scelgono di ricorrere al finanziamento della folla, ma si assiste alla
qualificazione di soggetti privati come investitori. Indubbia, quindi, è la
necessità di opportune normative e regolamentazioni che disciplinino
compiutamente il fenomeno, normative che in Italia non sono tardate ad
arrivare.
62
Capitolo 3
OGGETTO DI STUDIO E PROGETTO CROWDFUNDING
3.1 Chiesa della Congregazione ”Immacolata Concezione”, sita nella città di Maddaloni (CE).
Nel corso dei secoli la città di Maddaloni è stata luogo geo-politico strategico,
rilevante crocevia economiche e florido bacino culturale la cui dedizione al culto
religioso è radica in profondità. Non a caso la cittadina presenta un gran numero
di Chiese, congreghe e confraternite a testimonianza del legame popolare con il
sacro. Le confraternite nacquero come associazioni laiche dedicate al bene
comune e al fine di fornire assistenza spirituale e materiale alle persone poste ai
margini della società. Laiche perché i membri di tali libere associazioni non
prendevano voti e non vivevano in comunità, e non adempivano ai sacramenti.
Stabilire con esattezza quali sono le origini delle confraternite, non è semplice,
possiamo però rintracciarne primordiali esempi all‟interno delle prime comunità
cristiane vicine al culto di Cristo e della dottrina evangelica. Bisogna attendere il
Medioevo, per incontrare gruppi di persone propriamente detti confraternite, cosi
come lo intendiamo noi oggi. Nel corso dei sec. XI e XII impellente fu il bisogno
della popolazione di riunirsi in gruppi di aiuto sociale, perché eventi come
epidemie, guerre carestie colpivano insistentemente la popolazione, soprattutto
quella più indigente. Le origini storiche, dunque, illustrano i compiti annoverati da
queste aggregazioni che inizialmente si limitavano all‟ assistenza spirituale e al
suffragio per le anime dei defunti appartenenti a famiglie povere. Col tempo poi
questi gruppi cominciarono ad occuparsi anche di compiti più “terreni”, come
63
l‟assistenza ai ammalati, alle fanciulle in età di matrimonio e ai condannati;
naturalmente queste ultime iniziative necessitavano di un sostegno economico
che si ricavavano dalle offerte dei devoti, dai lasciti testamentari ottenuti dai
defunti e dai redditi sui beni immobili di proprietà.
L‟impegno di queste associazioni divenne gradualmente un sostegno reale per la
popolazione locale contribuendo ad attenuare il divario sociale, ciò accrebbe il
numero di fedeli sino alla sostanziale trasformazione di tali associazioni in
Congreghe. Le Congreghe ottennero, in accordo con gli organi ecclesiastici, sedi in
cui incontrarsi, celebrare gli uffici, pregare e fare orazioni. Solitamente questi
luoghi erano le Cappelle locate nelle principali Chiese della città, ognuna di esse
era dedicata ad un Santo o un Sacramento “guida” della Confraternita. Nella città
di Maddaloni la maggior parte delle Confraternite sono dedicate alla Madonna,
culto fortemente radicato nella tradizione popolare di queste terre, nelle diverse
denominazioni come: la Madonna del Soccorso, del Carmine, del Rosario e della
Immacolata Concezione. Altre sono dedicate ai Santi come S.Giovanni o
L‟Arcangelo S.Michele, patrono della città, oppure sono offerte al SS. Sacramento e
alla Carità. Ogni congrega aveva uno statuto ed un organo collegiale, in esso i
rapporti di supremazia e subordinazione erano regolati da un ben precisa
gerarchia con al vertice il Priore rappresentante di tutta la Confraternita, i
Consiglieri che rivestivano ruoli differenti come l‟Economo, il Cassiere o l‟addetto
alla cura degli infermi e così via. Tale organizzazione gerarchica permetteva un
buon funzionamento dell‟organico, che per la guida spirituale si affidava ad un
sacerdote, che però non interferiva nella gestione materiale della confraternita. Le
regole ferree stabilite e seguite dai membri non erano uguali per tutte le
confraternite, perché ognuna di esse viveva in autonomia e svolgeva un„ attività
differente. Nonostante ciò vi erano dei compiti asseriti da tutte le congreghe
cittadine come ad esempio presenziare alle manifestazione pubbliche, come le
processioni che in antichi tempi venivano fatte per placare “l‟Ira di Dio” oppure
ravvivare il sentire comune nei confronti del culto sacro. Durante questi eventi la
posizione assegnata a ciascuna confraternita ne determinava il prestigio,
l‟importanza che rivestivano per la comunità e i meriti acquisiti nel corso del
tempo. La celebrazione e la necessità di distinguere una confraternita dall‟altra,
soprattutto durante gli eventi pubblici, passavano attraverso l‟abito indossata dai
64
membri dell‟ordine di fratellanza. Per eliminare differenze di qualsiasi tipo, i
membri indossavano un cappuccio che copriva il volto, mentre anonimato e umiltà
erano rappresentati dall‟indosso del saio. Sin dai tempi antichi questo indumento
era realizzato con sacchi di juta ricoperti con uno strato di calce, che garantiva
un‟azione disinfettante permettendo così ai confratelli di assistere i malati,
specialmente durante le epidemie. Lo scorrere del tempo non fece che donare
lustro alle confraternite e senso di appartenenza ad un gruppo, entrambe le cose
passarono attraverso una miglioria dell‟abito indossato dagli ordini religiosi. Fu
così che al saio, realizzato il tessuto rozzo e di scarso valore, si sostituì con la
cappa o sacco, indumento ispirato alla veste indossata da Cristo durante i
momenti della Passione. Questo indumento benedetto e donato al confratello
durante la vestizione, momento che sanciva l‟entrata del nuovo membro
nell‟ordine di fratellanza, era uguale per tutti e d‟uso esclusivamente personale sia
in vita che in morte. Infatti la cappa era indossata dai membri delle confraternite
durante le celebrazioni liturgiche, le manifestazioni di pietà popolare come le
processioni e i pellegrinaggi ma soprattutto nell‟ultimo saluto alla vita. Il cambio
d‟abito comportò l‟aggiunta di accessori come: il copricapo, la mantellina, il
cordone e lo stemma distintivo di ogni confraternita. L‟abbigliamento aveva una
funzione pratica e distintiva, di fatti, il cordone cingeva la vita mentre il copricapo
era segno d‟umiltà e garante dell‟anonimato. La mantellina e la sua cromia erano
rappresentanza dei valori su cui si fondava la confraternita, ad esempio il colore
rosso simbolo del sangue di Cristo e della Passione, l‟azzurro colore della Vergine
Maria simbolo celeste, il nero colore della terra, il verde o il bianco simboli di
speranza e rinascita. Infine il “signum”, stemma e il sigillo dell‟ordine religioso
solitamente apposto sul cuore, raffigurava le effige del Santo o del Mistero a cui
era dedicata la Confraternita. Soleva avere la forma di medaglione o di croce, ed
era segno di prestigio per membri che la indossavano e la popolazione che
identificava l‟appartenenza ad una càsàtìà o casaccia.59
59
Antico modo in uso nell’linguaggio parlato locale, per intendere Congregazioni o Confraternite.
65
3.1.1 La Congrega della Immacolata Concezione.
La storia di questo monumento, La Chiesa della Concezione, e dei suoi custodi, i
confratelli della Congrega della Immacolata Concezione, ha radici profonde ed
antiche che corrono lungo secoli addietro ed arrivano fino al periodo delle lotte
reali che si consumarono in Italia Meridionale nel primo trentennio del 1300, tra
Gli Angioini e gli Aragonesi. Il definitivo insediamento a Napoli, della reale casata
Aragonese influì sulla situazione politica e culturale della Terra di Lavoro60, in
particolare del feudo di Maddaloni donato da Alfonso d‟Aragona alla famiglia
Carafa che nel 1465.
Iniziò così una dinastia che e guidò per circa trecentocinquanta anni la
popolazione di questi luoghi; la città di Maddaloni era già un centro
dall‟importanza strategica soprattutto grazie alla posizione geografica ”a controllo
della viabilità che attraverso le valli Caudina e Telesina conducevano fino in Puglia
e Molise”61; ma con l‟insediamento dei Carafa beneficiò di una re-configurazione
dei luoghi e degli interessi politico-economici che contribuirono soprattutto ad
innalzare il livello qualitativo culturale. I Carafa, divenuti prima Conti e poi Duchi di
Maddaloni con il diploma reale del 6 Aprile 1558, erano legati alla Chiesa di Roma
tanto da avere nella loro stirpe un Papa, Pio IV, Cardinali, Vescovi oltre che religiosi
e valenti condottieri. Il primo conte Diomede, economista di prestigio e rilevante
personaggio politico della corte Reale sommo i suoi precedenti feudi a quello
Maddalonese tra il 1465 e il 148362 , si impegno nell‟accogliere nuovi ordini
religiosi come ad esempio quello dei Carmelitani nella Chiesa della SS. Annunziata
(7 Aprile 1498) e a rivitalizzare culti religiosi dismessi come ad quello di S. Barbara.
Nella prima metà del Quattrocento si diedero inizio ai lavori per la costruzione del
palazzo feudatario a confine tra i due antichi borghi cittadini La Pescaria e
l‟Oliveto. Notizie circa il palazzo e gli interventi architettonici, le dependance, i
giardini, i lavori a pavimentazione e la costruzione di una fontana nel 1558 ci sono
pervenuti solo attraverso documenti 63 , dato che i successivi interventi di
60
P.VUOLO, “Maddaloni nella Storia di Terra di Lavoro”, Maddaloni, 2005 61
R.Carafa, “Gli interventi nel centro urbano (..)” cit. pg49. 62
IDEM, pg50(Formicola, Pontelatone, Sasso, Guardia Sanframonti, S. Lorenzo, Cerreto, Pietrastornina, Massalubrense, Vico Equense). 63
L.GIORGI, Caserta e gli Acquaviva-Storia di una Corte dal 1509 al 1634, Caserta2004,” Quaderni storici della città di Caserta”, p.28.
66
soppressione feudale avvenuti nel 1806 cancellarono definitivamente quasi tutto.
Unica testimonianza pervenutaci è il “palazzotto”, una dependance dallo stile
architettonico civile tardo cinquecentesco ricco, sulla volta a padiglione, di
affreschi e decorazioni a stucco di gusto manierista64. Lo spirito paternalista fu una
costante di questa dinastia durante tutta il periodo di reggenza, ma è soprattutto
durante il sec. XV, epoca storica in cui anche nel resto d‟Italia le grandi famiglie
patrizie si impegnavano nell‟ abbellimento delle città, che investì le strade della
città di Maddaloni. In questo medesimo periodo i lasciti testamentari, le donazioni
ed il crescente peso politico della Ecclesia incrementarono a dismisura le
committenze d‟arte. Maestranze territoriali e non furono chiamate a decorare le
strade cittadine, le chiese ed palazzi nobiliari quale pubblica glorificazione di una
potenza privata.
Alle soglie dell‟età contemporanea il ceto gentilizio e quello ecclesiastico,
emergenti classi sociali legate da interessi economici e culturali, stipularono un
tacito accordo creando in ogni chiesa Maddalonese un “capitolo di donazione”
ovvero somme ingenti di denaro perlopiù impegnate in prestito, spesso secondo
criteri di favoritismo e future opportunità. Al proposito di arginare tale
speculazione su capitoli ecclesiastici sfuggiti all‟amministrazione statale, tra il 1769
e il 1771, fu emessa una serie di dispacci che vanno sotto il nome di legge”
dell‟Ammortazione”; con lo scopo di impedire l‟accumulo di nuovi capitali
ecclesiastici apparentemente amministrati dalle chiese ma in effetti gestiti dalle
famiglie gentilizie. Sigillo di questi contratti non furono solo” i monti di
beneficenza” ma anche blasoni, nuovi portali, pozzi, balconi6 e le edicole ancora
oggi visibili sulle mura esterne di antichi palazzi cittadini. Questi interventi sono le
ultime testimonianze della tradizione Maddalonese della lavorazione artigianale
della creta e della maiolica, viva e radicata sul tettorio da tempi interminati, ma
certamente alimentata nel sec. XIII. La fama dei cretaioli “delli Pignatari”65 giunse
all‟orecchio di Carlo III, tanto da far associare queste maestranze locali alla Real
Fabbrica S. Carlo di Caserta ed impiegarle nella costruzione della Reggia.
Nonostante ciò gli artigiani locali non riuscirono mai ad organizzarsi in
64
G.SARNELLA PALMESE, La pittura manierista a Maddaloni, horatio de carluccio –pompeo landolfo pittore, Maddaloni 1998, pp. 8-9. 65
A.M.ANDREUCCI, Caratteristiche tipologiche ed architettoniche di Maddaloni, in: Maddaloni, il centro storico...cit., pp.49-59.
67
corporazioni, cosi nel sec. VIII mentre l‟agricoltura diventava a Maddaloni l‟attività
principale le botteghe d‟arte cadevano in crisi antiche le forme artigianali
intraprendevano la lunga strada dell‟estinzione. Gli eventi storico-politici del
tempo si intrecciarono, come di consuetudine, con quelli di matrice artistico-
culturale. Nei primi anni del sec. XVII il feudo Maddalonese governato dalla
famiglia Carafa fu scosso da eventi sismici devastanti, dopo l‟ultimo verificatosi nel
173266 cominciò una riorganizzazione urbana ed architettonica dell‟intera città. Il
vivace rinnovamento impregnò il programma stilistico di stucchi, opere
pittoriche67, sculture e manufatti d‟artigianato locale votato all‟ unisono ad un
nuovo senso armonico. Furono rigenerati i complessi conventuali più rilevanti
come quello francescano e domenicano, entrambi risalenti al secolo Cinquecento,
ed impreziosite con nuovi interventi artistici alcune delle più importanti chiese
cittadine come ad esempio quella della SS. Annunziata. Le cinque antiche
“Congreghe Laiche” costruiscono e si trasferiscono nelle loro sedi autonome,
parliamo delle chiese: di S.M dei Raccomandatis, Della Concezione, Del Soccorso,
di S.Giovanni e del SS. Corpo di Cristo decorate con manufatti artistici di pregio
come: gli stalli lignei scolpiti e dorati, prerogativa delle sedi di congregazione, le
pitture parietali e gli altari marmorei, i ricchi corredi ricamanti, i candelabri ed i
preziosi corredi in argento.
Tra le suddette chiese e le corrispettive congreghe, poniamo particolare attenzione
alla Congrega della Concezione e all‟omonima chiesa. La fondazione di
quest‟ordine di fratellanza non ha ancora datazione certa, mentre è certo che
prima del 1709 tale Congrega avesse sede nella Chiesa di S. Antonio parte del
complesso conventuale di S. Francesco68, soppresso con le leggi napoleoniche del
30 maggio 1807 e oggi Convitto Nazionale” G.Bruno”. Dai documenti notarili del
1558 conservati tutt‟oggi nell‟Archivio di Stato si evince che questo complesso
conventuale fu sede di due differenti Congreghe quella di S. Giovanni e della
Concezione fino al primo decennio del secolo Settecento; in particolare pare che
66
Per la storia della fabbrica di maiolica di Maddaloni cfr. M.R.RIENZO-G.SARNELLA, De antiquitatibus urbis Magdaloni-La fabbrica settecentesca delle maioliche in Maddaloni: le fornaci e i mulinelli, in: MADDALONI ARCHEOLOGIA...cit., pp. 245-266. 67
G.MERCALLI, Storia speciale di alcuni terremoti Italiani, in: G.FLORES, Il terremoto, Milano 1981, pp.119 e seg. 68
Per una conoscenza sommaria delle opere pittoriche settecentesche cif.CC PALMA, Presenze pittori a Maddaloni-Studi preliminari, in: Maddaloni Archeologia (..) cit.p.161.
68
quest‟ultima officiasse nella Cappella S. Michele della chiesa di S. Antonio e che
avesse diritto di congregazione in una sala situata nei pressi al campanile della
medesima. Le radici comuni di queste due istituzioni ecclesiastiche e dei loro
ordini religiosi, parliamo del complesso conventuale di S. Francesco e la Chiesa
della Congregazione, spiegano le affinità artistiche dei monumenti e del prestigio
culturale che esercitavano sulla comunità locale. Il Convento francescano la cui
data e motivo della fondazione alimentano un dibattito tutt‟oggi acceso, secondo
alcuni è attribuibile al Concilio di Trento del 1545-63 secondo altri è molto più
antica dato che il convento risulta in costruzione già nel 1536 mentre la chiesa
nuova (S. Antonio) risulta già funzionate nel 1533. Non vi sono invece dubbi circa
l‟evidenza che fu centro di prestigio per la comunità locale, non solo per la
gestione di ingenti risorse finanziarie ma anche e soprattutto per il valore culturale
acquisito durante i secoli. Per volere dei frati francescani del convento nell‟anno
175669, mentre a Caserta i lavori della Reggia precedevano a pieno regime, fu
chiamato il pittore Giovanni Funaro per predisporre la pittura di una grande tela
destinata al soffitto del Salone Principale. L‟opera incarna i dettami della religione
cattolica riformata e celebra il dogma dell‟immacolata concezione, tradizione
popolare fortemente radicata nel substrato culturale di questa area geografica.
Pittore ornamentista, il Giovanni Funari, formatosi nella sfera della pittura
illusionista, decorativa e scenografica ricca di quadrature e prospettive dal timbro
emiliano. Nativo di S. Maria Capua Vetere, residente a Napoli e domiciliato a
Maddaloni in Piazza Grande70, della sua attività professionale sappiamo poco ma
certa è la sua qualifica specifica registrata al catasto del 1754 conservata presso la
Biblioteca di Maddaloni71. Alla data del contratto l‟artista aveva 44 anni, e nelle
documentazione relativa ai pagamenti conservati nell‟Archivio della Diocesi di
Caserta, appariva come il coordinatore di diverse personalità e iniziative artistiche
69
G.SARNELLA – E.SCOGNAMIGLIO, “Storia dell’evoluzione costruttiva del complesso conventuale di S. Francesco in Maddaloni” in: Architettura e Religione del Convento di S. Francesco oggi Convitto Nazionale “Giordano Bruno”, Maddaloni, 2003, pp10-13. 70
Appalto e quietatio dell’opera, Archivio di Stato di Caserta(A.S.C.), notaio Vincenzo Quintavalle, atto dell’anno 1756.Trascizione documento riportata in appendice A e B.
71 Il Funaro sposava la maddalonese Angela Rispoli con dote in corredo principesco di tele ricamate anche
con “pizzilli”, gioielli, 500 ducati e una casa con diversi membri superiori ed inferiori con ampio cortile e giardino murato sito al Trivice S.Andrea. (Cfr.A.S.C., capitoli matrimoniali del 30 maggio 1735 per notaio Aniello de Roberta di Maddaloni).
69
che per un intero anno alimenteranno il processo di rinnovamento del Convento
di S. Francesco.
Parliamo della Grande Tela dipinta sul soffitto dell‟antico corridoio settentrionale
(fig.1-2 AppendiceB), delle opere affrescate nei tre nicchioni (fig.3) e dei 12 ritratti
di Papi e Cardinali posti al disopra delle porte che si aprono sul Salone Principale
(fig.4-4a). Tra queste maestranze fu ufficialmente impegnato il fratello di Giovanni,
Giuseppe Funari72 oggi noto agli studiosi del settecento napoletano per lavori di
pittura di un certo rilievo; infatti nel 1751 Giuseppe realizzava ornamenti di pittura
in diversi palazzi partenopei come quello del Duca di Castelvecchio73e di Giovanni
de Martiis74. Dopo circa 16 anni dai lavori Maddalonesi, l‟artista lavoro insieme a
Giovanni Aveta e Giacinto Diana agli affreschi della volta della sala dell‟Udienza di
Palazzo Ricca75, divenuta poi sede del Sacro Monte e Banco dei Poveri, oggi sala di
studio dell‟archivio del Banco di Napoli. Studi recenti sul settecento napoletano
mettono in evidenza il nome di certo Giacomo Funaro, figlio di Giovanni 76
operante dopo il 1780 nel Palazzo Reale di Caserta, nel Palazzo Doria d‟Angri77 e
villa di Posillipo del Marchese Ottavio Costa. Giacomo Funaro raccolse l‟eredità
artistica di famiglia di chiara derivazione solimanesca, oltre che chiaramente
inspirata alle inquadrature architettoniche di Pozzo e del tardo Seicento Romano.
Nonostante la mancanza di attenzione, e quindi di documentazione, degli storici
per questa storia dell‟arte è possibile avanzare ipotesi circa l‟inquadramento della
personalità di Giovanni Funari. Gli affreschi ornamentali della Cappella Carafa, sita
nella Chiesa della SS.Annunziata di Maddaloni realizzati nel 1751 sono collegabili
per contenuti formali e segno pittorico alle opere del convento di S.Francesco,
mentre un documento catastale78 ci testimonia la presenza a Maddaloni di un
pittore forestiero ricco possidente e residente a Napoli. Ultimati i lavori nel 72
Biblioteca Comunale di Maddaloni, Primo foglio del Catasto della città di Maddaloni fatto per ordine della Maestrà del Re e nostro Signore che Dio.... Luglio1754, foglio 1127 73
A.S.C., vedi nota 11, foglio 26 “si obbliga il suddetto Sig.Giovanni di fatigare con suo fratello Sig.Giuseppe Funaro in tuta l’opra sintanto che sarà perfezionata(..)”. 74
V.RIZZO, Notizie su artisti e artefici dei giornali copia poizze degli antichi banchi napoletani, in AA.VV.” Arti figurative del Settecento”, Napoli1979, pag.236, doc. 66. 75
G.FIEGO, Documenti per la storia dell’Architettura e l’Urbanistica napoletana del Settecento, Napoli 1977, pag. 63. 76
E.NAPPI, Il palazzo e la cappella del Sacro Monte e Banco dei Poveri, in AA.VV. “Le arti figurative a Napoli nel Settecento”, pag.176, doc.n.100. 77
A.S.C, Atto testamentale di Giovanni Funaro del 19 gennaio 1786 e successivo codicillo dell’anno 1790 per notar Andrea de Roberto di Maddaloni. I figli menzionati nel testamento sono Giacomo, Felice, Tommaso, Gennaro, Domenico e Francesca. 78
G.GARZYA, Interni neoclassici a Napoli, Napoli 1978, pag.155.
70
Convento Francescano il Funari si stabilisce definitivamente a Maddaloni, fatto
documentabile fino al 1790, di conseguenza i lavori successivi possono solo essere
ipotizzati; ci si riferisce ad esempio al soffitto della biblioteca del Convento dei
Cappuccini (oggi O.M.I), alla volta a botte lunettata e al presbiterio della Chiesa
della Concezione (che riportano data 1758) ed infine alla Chiesa privata della
Madonna del Carmine le cui pitture ad affresco potrebbero essere datate 1773.
Agli interventi di committenza ecclesiastica realizzati dall‟artista si aggiungono
anche altri due incarichi laici, parliamo di dipinti parietali a soggetto religioso
realizzati su volte a vela di cappelle di case private, site rispettivamente in Via della
Concezione e S. Antonio79.
3.1.2 Analisi storico-artistica della Chiesa della Concezione
La città di Maddaloni sorge alle pendici del Monte S. Michele, ultima altura della
catena Tifatina e sommità da cui primeggiano sulla città: il Santuario di San
Michele Arcangelo, che i documenti ricordano a partire dal sec. VII d.C., la torre di
epoca Longobarda, il castello Normanno e la seconda torre Angioina. Il complesso
delle fortificazioni cittadine ci suggeriscono l‟importanza militare che ebbe questo
luogo, posto tra due vie di comunicazione geo-politica: L‟Appia e la Sannitica.
Aldilà della cinta muraria del castello si sviluppano a semicerchio lungo le falde
del monte, i nuclei abitativi più antichi, conosciuti con i toponimi dell‟Oliveto e la
Pescara, una situazione urbana determinata probabilmente della presenza in
pianura di una strada, quale antico collegamento commerciale tra diversi siti
Campani. L‟Oliveto è la zona urbana d‟espansione più recente, caratterizzata da
ville e palazzi sette-ottocenteschi, una cortina di case di tipo rurale e
un‟interessante casa a corte. Questo tipo di abitazione, la casa a corte, presenta
spesso un androne dal soffitto dipinto e uno spazio dedicato alla vita all‟aperto.
Un‟ edificio architettonico, di tipo plurifamiliare, che muta se guardiamo alla
79
La casa potrebbe identificarsi con quella del Mag.D.Fisico Francesco Andrea dello Monaco (cfr. B.C.M. Catasto Onciario fol.284). 79
Cfr. B.C.M. Catasto onciario fol.127.
71
Maddaloni Superiore, nel rione antico infatti il confine tra la casa a corte e la strada
è determinato da un alto muro entro il quale le case si sviluppano con un
andamento a C.
Nella zona dell‟Oliveto il confine tra la parte alta e bassa coincide con le pendici
del monte, dove sorge un portale d‟epoca catalana con arco a tutto sesto e una
cornice a ferro di cavallo, incontro tra lo stile iberico e la costruzione classica ad‟
opera di anonime maestranze locali. Il rione della Pescara, invece, presenta più che
altrove il senso della nobiltà e di potere, ne sono testimonianza l‟opulenza
architettonica del palazzotto Carafa, del palazzo seicentesco in via AltoMare, che
evoca suggestioni spagnole, e il complesso del Convitto Nazionale. Il toponimo
Pescara deriva molto probabilmente dalle peschiere, vasche d‟acqua piovana che
incanalata dalla montagna alimentava la cultura ittica. Dediti alla cura di queste
peschiere erano i Templari, ordine religioso che si adoperò soprattutto alla cura
degli infermi proprio in questa area cittadina, anche se l‟ubicazione esatta della
Chiesa Templare risulta tutt‟oggi sconosciuta. Questo episodio suggerisce
chiaramente che l‟evoluzione urbana della città è ricostruibile tramite le
testimonianze storico-artistiche ecclesiali e le stratificazioni abitative. Le fondazioni
religiose Benedettine e Verginiane come le Chiese di San Pietro, di Sant‟Aniello e
di San Martino erano al servizio dei due nuclei urbani collegati da una strada
pedemontana che scendeva fino a valle, dove le terre coltivate e la via Appia erano
utili ai commerci. Dopo la decadenza di Calatia, è stato ipotizzato un
accrescimento dei nuclei abitativi preesistenti e la formazione di nuovi, è pertanto
probabile che questi si siano congiunti formando un unico sito urbano.
Conseguente fu l‟esigenza dare vita a nuove fondazioni ecclesiali, che secondo il
“Privilegio di riconoscimenti della Diocesi Casertana rilasciata dall‟Arcivescovo di
Capua Sennete al Vescono Rainulfo” nel 1113 raggiungevano il numero di 25. Nel
corso del tempo alcune di queste scompaiono ma li loro toponimi restano sul
territorio, ed è il tempo in cui i nuovi edifici religiosi saranno costruiti con
materiale di spoglio di edifici pagani, alcuni dei quali ancora incassati nelle mura
di Chiese come S. Benedetto, il Monastero di S. Maria dei Raccomandatis e nel
campanile di S. Martino.
Camminando tra le lastricate strade del centro storico è consuetudine scorrere lo
sguardo su chiese, campanili e cappelle la cui stratificazione artistico-culturale
72
stupisce già al solo colpo d‟occhio. A confine tra questi due antichi rioni cittadini,
immersa in un‟atmosfera insolitamente silenziosa e posta leggermente in disparte,
sorge nell‟ omonima strada la Chiesa della Concezione. E‟ il 1719 e D. Giacomo
Stravino entra a far parte della Confraternita della Concezione donandole due
casette e mezzo moggio d‟orto per atto del notaio Giulio Quintavalle, Stravino
acquisisce così il diritto di attendere agli esercizi di pietà e congregazione ma al
diritto veto, presso la Cappella San Michele o de Persici nella Chiesa di S. Antonio.
La donazione forni la possibilità all‟ordine religioso di spostare la congrega in una
sede del tutto autonoma anche se a pochissima distanza da quella precedente.
Nonostante le notizie circa la nuova architettura ospitante ed il conseguente
spostamento sono tutte riferite ai primi decenni del Settecento, le informazioni
relative alla Congrega della Concezione sembrano risalire a tempi più antichi. Fin
dal 1634 la confraternita della Concezione guidata del patrono e rettore
Giovannangelo Persico ufficiava nella vicina Chiesa di S. Antonio parte del
complesso conventuale Francescano; da un atto del notaio Ovidio Quintavalle nel
1528 si evince che la confraternita occupava una cappella dedicata a S. Michele ed
una stanzetta nei pressi del campanile. Come le altre fratellanze presenti sul
territorio della città di Maddaloni sin dal Medioevo, anche questa della Concezione
era composta da un proprio organico: i confratelli, un padre spirituale che soleva
essere un canonico e un cappellano che per istituzione del 1749 era il sacerdote
più vecchio fra i confratelli. Secondo uno statuto i membri indossavano il sacco ed
una cappa di colore celeste sulla spalla sinistra con un insegna d‟argento e
occupavano il secondo posto, dopo il clero, nelle pubbliche processioni. Il compito
principale di quest‟ordine religioso era quello di amministrare le donazioni ed i
lasciti testamentari dei cittadini di Maddaloni alla chiesa, in particolare quelli che
confluivano nel Monte dei Morti delle Sorelle e dei Fratelli. Il rilievo politico e
culturale di questa confraternita, certamente legato al compito amministrativo che
svolgeva, non è immediatamente visibile nello stile semplice della struttura
architettonica e della facciata esterna della chiesetta. La pianta longitudinale
centralizzata ha una dimensione di 72 palmi per 23cm 80e si presenta come un
ambiente unico, interamente dedicato alla celebrazione del culto mariano, raccolto
in un atmosfera ricca di suggestione e misticismo anche nelle ore più luminose del
80
Ibidem.
73
giorno. I racconti della tradizione popolare tessono la tela di ricordi e racconti
inquietanti legati a questo luogo e ad uno strano effetto acustico dell‟organo
suonato, durante messe notturne celebrate dai fratelli congregati. L‟effetto ottico
generale dell‟edificio è quello di una dinamica spinta dell‟interno verso l‟esterno,
mitigata dalla facciata convessa che non riflette lo spazio absidale interiore,
dolcemente accennato da due pilastri, da alcune lesene e uno scalino. La facciata
(fig.1 Appendice A) in stile barocco e le caratteristiche architettoniche della chiesa
palesano il particolare rapporto che, in molte architetture Settecentesche, si
instaura tra lo spazio interno e ed esterno della struttura. Le piante quadrate,
rettangolari o comunque regolari sono in realtà elaborazioni di altre figure d‟
intersezione come: triangoli, cerchi, ellissi ecc. Pertanto l‟irregolarità di questi
perimetri spinge ad un‟antitesi degli spazi e ad una deformazione dell‟involucro
verso l‟esterno, che tende cosi a collegarsi con quello che c‟è aldilà dell‟edificio
medesimo, cioè lo spazio urbano.
Occorre considerare che gli architetti d‟epoca barocca ricercavano una nuova
modulazione spaziale, che, soprattutto nel caso delle Chiese, prevedeva la
modifica delle piante e delle facciate, considerandole non più come terminazione
diretta dell‟ambiente intimo ma sito passaggio e congiunzione tra due luoghi.
Talvolta, solo apparentemente, in questi edifici viene a mancare la corrispondenza
tra l‟invaso81 e l‟involucro, perché gli spazi interni appaiono chiusi in se stessi
mentre la forma aperta è prerogativa degli spazi esterni. Nel sec. VIII muta
l‟approccio tecnico al contesto urbano, le architetture si inseriscono al proprio
interno senza cercare di risolvere l‟irregolarità morfologica del territorio ma anzi
considerandola in modo organico, il risultato sono scorci più suggestivi e spazi
urbani più ricchi. Nel caso specifico della Chiesa della Concezione, il visitatore è
accolto da un frontespizio lineare, dove gli elementi architettonici come: l
bassorilievi in pietra, l‟arco a tutto sesto, le paraste e le lesene svolgono più una
funzione decorativa che strutturale. Il tratto verticale percorre l‟intera facciata fino
ad infrangersi contro il frontone triangolare con modanatura a listello, il cui
vertice sancisce la sommità dell‟edificio, e l‟oculo che incornicia un affresco
raffigurante la Madre Immacolata (fig.2). Purtroppo i segni del tempo e
81
In architettura è il volume spaziale di un ambiente chiuso, soprattutto se di notevoli dimensioni o di importanza monumentale. Vocabolario TRECCANI.
74
l‟esposizione dell‟opera alle intemperie e agli ad agenti inquinanti non ne
permettono chiara leggibilità, è infatti solo possibile intravedere la figura della
Madonna rappresentata secondo l‟iconografia dell‟Immacolata Concezione quindi
circondata da angeli e nuvole. Lo schema compositivo, che vede superfici concave
e convesse rincorrersi ritmicamente lungo tutta la superfice del frontespizio, si
ripete ancora una volta nelle decorazioni dell‟arco a tutto sesto posto al di sopra
del cancello e nell‟oculo sopracitato. Tali connotazioni sono possibili grazie alla
spessa struttura muraria che circonda e sostiene l‟architettura, essa permette di
passare da una forma all‟altra e di sostenere le parti superiori fino alla copertura
senza l‟ausilio di elementi architettonici portanti. Seguendo una logica che tende
a “togliere” e “scavare”, il monumento propone un modellato scenografico in cui
colonne, lesene e pilastri sono presenti ma come elementi decorativi e non di
sostegno al fabbricato. Sulla soglia della Chiesa un cancello di ferro ornato con il
Signum (fig.4), monogramma Mariano simbolo della Congrega della Immacolata
Concezione, introduce il visitatore ad un piccolo atrio a portico (fig.3) nel quale tre
tondi affrescati ornano le principali pareti. A destra San Gregorio Papa (fig.5) con
un libro in mano, un pastorale con il triregno e lo sguardo rivolto al cielo, sulla
parete sinistra invece San Lorenzo (fig.6) riconoscibile dalla graticola di ferro
posta nella mano sinistra e dall‟libro nella mano destra ed in fine sulla parete
centrale San Michele Arcangelo (fig.7) raffigurato a mezzo busto e con la spada in
mano. Il vestibolo offre tre ingressi, quello principale anticipato da pochi scalini e
due minori un tempo utilizzati dai confratelli come punto d‟accesso alla cantoria.
Approfondendo l‟analisi architettonica dell‟edificio, sovviene una spontanea
considerazione: la Chiesa della Concezione non presenta, rispetto ad edifici
similari, alcune caratteristiche strutturali determinanti di un monumento
ecclesiastico. La mancanza del campanile, di uno spazio absidale pronunciato e di
conseguenza una cupola suggeriscono che la Confraternita fosse più dedita a
mansioni di tipo amministrativo che sacramentali. Varcato l‟ingresso principale si
è istantaneamente colpiti dall‟opulenza della navata (fig.9), coperta da un soffitto
a cannucce, con volta ribassata, interamente affrescato e dieci rappresentazioni
incorniciate da quattro archi, in cui, a coppie di due, gli angeli sorreggono simboli
mariani: il sole (fig.10), la stella (fig.11), la fonte d‟acqua (fig.12) e l‟ostensorio
(fig.13).
75
Partendo dalla sezione centrale possiamo vedere la raffigurazione dell‟Arcangelo
San Michele (fig.14) impegnato nella cacciata degli angeli ribelli, simbolo del male
confinato all‟inferno rappresentato con questi ultimi a testa in giù e con in mano
un serpente. Il Santo sostenuto da piccoli angeli brandisce la spada in una mano e
lo scudo e nell‟altra, e presenta sotto di esso un‟iscrizione che recita:” QUIS UT
DEUS”. Nella parte centrale dell‟abside, l‟affresco rappresenta Dio Padre (fig.15)
con un triangolo sul capo, simbolo di trinità, avvolto da un turbinio di candida
luce, angeli e colombe. Procedendo verso sinistra, la seconda raffigurazione più
piccola e racchiusa in una cornice quadri-lobata rappresenta l‟Annunciazione
(fig.16): l‟Arcangelo Gabriele arriva su delle nuvole celesti ad annuncia a Maria,
posta seduta di lato in ginocchio su uno scanno, la nascita di Gesù. Alle spalle
della Vergine si intravede una colonna mentre tutta la composizione è
supervisionata da un gruppo di angeli ed una colomba, simbolo di Dio Padre. Se
invece procediamo verso destra, in una cornice altrettanto minore e quadri-lobata
è rappresentato il transito di S. Giuseppe (fig.17), quest‟ultimo è seduto in
meditazione quando un angelo sopraggiunge ad annunciargli che il momento del
trapasso è giunto. Procedendo sempre verso la soglia d‟entrata della chiesa,
incontriamo altre tre rappresentazioni rispettivamente incorniciate: S. Domenico
(fig.18) circondato da alcuni angeli che sorregge un ostensorio, un Vescovo (fig.19)
che impugna un pastorale ed infine l‟ultimo degli affreschi impossibile da decifrare
perché posto sulla cantoria e quindi totalmente coperto dall‟organo.
Sorge al centro dell‟abside della Chiesa della Concezione l‟altare maggiore (fig.20)
commissionato al mastro marmoraro Vincenzo Adamo82 nel 1769 e consacrato il
16 luglio del 1777 (fig.21). Non ci sono documenti che certificano la presenza di
corporazioni artigiane che si occupassero di tale attività, dunque tutti gli altari
marmorei conservati nelle chiese di Maddaloni sono tutti opera di maestranze
napoletane. Fino ai primi decenni del sec. VIII gli altari ecclesiali venivano ancora
realizzati in legno (fig.8 Appendice B) oppure in muratura, per poi essere ricoperti
di stucchi o maioliche. Il primo altare marmoreo della cittadina fu quello della
Chiesa della A.G.P o Annunziata, commissionato nel 1711 al maestro marmoraro
82
A.S.C, notaio M.A. Iorio, atto del 13 febbraio 1769. Per il “quietatio” vedere dello stesso notaio l’atto del 2 sett.1770.
76
toscano Fontana83, con bottega a Napoli. Da quel momento diversi furono gli altari
marmorei realizzati per le chiese locali, un esempio è quello Vanvitelliano del
1762, locato nella Chiesa del S. Corpo di Cristo. Tutte queste opere d‟arte rientrano
nella “Petra autem erat Christus” settecentesca tendenza al preziosismo, che
preferiva l‟impiego del materiale pregiato all‟unità compositiva. Si discosta da
questa “ricca creatività” l‟altare maggiore della Concezione, che invece presenta
una composizione rigida e un disegno lineare scandito da marmi policromi chiari e
scuri. Proprio in riferimento alle cromie, una clausola presente nel contratto
richiama ad altari già eseguiti dicendo:” (..) che tutto il verde sia verde antico come
quello della V.le Chiesa del SS. Corpo di Cristo di questa città”. La semplicità
dell‟altare è esaltata dall‟ornato baroccheggiante del paliotto e dalle sculture
(fig.22), anch‟esse marmoree, per opera dell‟artista Napoletano Giuseppe
Sammartino84. Egli permeo di puro realismo tutta la sua produzione, è infatti
conosciuto ai molti come l‟autore del Cristo velato, una scultura commissionata
dal Principe di Sangro di San Severo per Cappella Napoletana di Santa Maria della
Pietà o “Pietatella”. L‟eccezionalità dell‟arte scultorea di Sammartino risiede nella
capacità di plasmare i volumi e di proporzionare gli effetti luminosi fino alla
rappresentazione della realtà, sublimata e “perfettissima”.
Nel caso specifico della Concezione, gli inserti scultorei principali sono una
colomba, posta sul Tabernacolo (fig.23) quale simbolo dello Spirito Santo e due
angeli capo-altare, che non ci sono pervenuti perché trafugati da ignoti. Gli altri
fregi si inseriscono perfettamente nello stile Barocco dell‟ambiente creando un
tutt‟uno con le decorazioni presenti sugli stalli lignei, gli affreschi ed altri arredi
sacri. Primeggia sull‟altare marmoreo una un dipinto su di una pala lignea
raffigurante l‟immacolata Concezione (fig.24) e firmata dall‟artista Decio
Tramontano, come si può leggere lungo il serpeggiante cartiglio al bordo della
fontana. Di questo artista napoletano, tutt‟oggi quasi sconosciuto alle cronache
artistiche, ci è dato sapere che fu d‟origine campana e che lavorò certamente tra il
1556 e il 1599 tramite polizze bancarie risalenti all‟anno 157385. Queste polize,
tratte da un giornale conservato nell'Archivio di Stato di Napoli, sono riferite ad un
83
A.S.C, notaio F.A. De Roberto, atto dell’11 luglio 1711. 84
Elio Catello, Giuseppe Sanmartino (1720-1793), Napoli, Electa, 2004, ISBN 88-510-0225-8. 85
Fondo Banchieri antichi, voI. 52,1573-1 erroneamente riferito nell'inventario al Banco De Meli e da restituire invece al Banco Ravaschieri e Spinola
77
pagamento fatto da Cesare Miroballo all‟artista Decio Tramontano per la
realizzazione di una serie di opere nella sua abitazione, in un periodo compreso tra
il 02 Gennaio e il 21 Marzo. Purtroppo in questi documenti non sono citati soggetti
i delle opere, ne sono riportate informazioni di rilevanza artistica.
Nonostante le scarse notizie è possibile collocare con certezza Decio Tramontano
e la sua produzione nel contesto culturale Manierista, che vide in Italia
Meridionale, Napoli come uno dei centri di maggior rilievo. La diffusione del
Raffaellismo e del Michelangiolismo, le influenze lombarde, toscane, venete,
siciliane e i dettami scaturiti dalla controriforma religiosa napoletana plasmarono
“la nuova maniera”; particolarmente apprezzata dalla committenza religiosa
maddalonese. Queste riflessioni ci offrono un‟interessante spunto per una breve
digressione circa le vicende storiche ed il clima artistico della Terra di Lavoro
durante il sec. XV; La famiglia Carafa (fig.6 Appendice B) governo queste terre per
circa 350 anni durante i quali furono alimentatori di due grandi rivoluzione
culturali. La prima, di cui si è già dibattuto, avvenne nel secolo Settecento, la
seconda di cui ci apprestiamo a discutere è riferita al Secolo Cinquecento. In
concomitanza con la morte di Diomede III, primo duca di Maddaloni, avvenuta nel
1516, sopraggiunge per la Famiglia Carafa un cambio di discendenza
genealogica86e la perdita di alcune proprietà, come ad esempio il Palazzo in S.
Biagio dei Librai a Napoli. Nell‟attesa che giungessero al termine i lavori per la
nuova residenza napoletana, i Duchi, confinati nel piccolo feudo, diedero inizio ad
una serie di opere necessarie per rendere confortevole la permanenza. Gli
interventi urbanistico-architettonici87 ampliarono il Palazzo ducale e abbellirono lo
spazio esterno ed il giardino di “...pavimentazione a regiole” realizzata dai maestri
intagliatori e “(..)i parapetti con parasti e pilastelli intagliati con quattro arme di
casa carrafa (..)” dei mastri scalpellini Lombardi De Corona e Demalite. Nuove
cappelle di famiglia furono realizzate nelle principali chiese della città (fig.7
Appendice B), come ad esempio quelle nella Chiese dell‟A.G.P e della SS.
Annunziata, quest‟ultima medesima locazione del primo lavoro marmoreo di
86
Nel testamento Diomede Carafa stabiliva che l’eredità dovesse essere trasmessa per linea di primogenitura maschile al ramo dei conti di Maddaloni. Nel caso si fosse estinta quest’ultima sarebbe passata al primogenito del ramo collaterale. Diomede III suo successore, mori senza figli, e l’eredità passo al ramo cadetto fino al 1623. PALMESE, Palazzi Carafa a Napoli, Tesi di Laurea Uni. Orientale relatore Prof Abbate, 1990\91, p.47-48. 87
A.S.C., atto notaio De Liguori Nicola Antonio, vol932, 15 giugno 1572.
78
Giuliano Cioli. Mentre le chiese parrocchiali più antiche conservavano ancora
affreschi di età Tardo-Angioina, le nuove chiese conventuali si riempivano di
tribune88 e Icone89celebrando così il nuove valore d‟arredo rivestito dal quadro sul
finire del sec. Cinquecento. Particolare attenzione fu rivolta dalla famiglia Carafa
agli ordini religiosi e alle loro sedi ecclesiali, grazie al patrocinio economico-
culturale il monastero domenicano dell‟A.G.P e quello francescano di S. Francesco
si trasformano in veri e propri cantieri in cui maestranze locali ma anche
napoletane, toscane e romane contribuirono ad un rinnovamento della città;
trasformando così il feudo maddalonese in una cittadina dal prestigio culturale
notevole. Alla famiglia Carafa di devono anche committenze a noti artisti come il
fiorentino Balducci che realizzo i pannelli lignei inseriti nel cassettonato intagliato
e dipinto d‟oro zecchino della Chiesa della SS. Annunziata (fig.5 Appendice B) e la
tavola lignea della Madonna del Rosario, La Madonna delle Anime purganti per la
Chiesa del SS. Corpo di Cristo ed infine L‟Assunzione della Vergine nella Chiesa di
S. Francesco.
Tornando alla tavola lignea realizzata da D. Tramontano per la Congrega della SS.
Concezione di Maddaloni, si può esordire costatando che l‟opera dalle notevoli
dimensioni presenta la firma dell‟artista90e una datazione di non chiara leggibilità,
l‟anno potrebbe essere il 1534 o 158491. Originariamente la tavola era locata nella
Cappella S. Michele92 adiacente al pulpito della Chiesa di S. Francesco che, come si
è detto precedentemente, fu sede della Congrega della Concezione fino ai primi
decenni del secolo Settecento. Queste notizie ci sono pervenute grazie ad un
lungo elenco di atti notarili, che regolavano i benefici per la costruzione delle
cappelle gentilizie come ad esempio quello di Fabio Papa93corrispondente a 21
ducati, e ad acquisizioni che documentano una serie di beni legati alle diverse
cappelle sedi di differenti Congregazioni come ad esempio quella di S. Giovanni,
Della Concetione e di S. Maria de lo rito. Come si può evincere dal titolo il
88
“...una tribuna à lambia sopra la tribuna grande vecchia del’altar maggiore...”, la tribuna della chiesa A.G.P viene rinnovata ad opera dei mastri fabbricatori locali De Lucca, Mastroianne e De Rita. 89
Pur non conoscendo i singoli artisti è possibile dedurre dalla visita pastorale del 1627 che il numero di dipinti su legno, detto Icone, nelle chiese del luogo erano in totale una dozzina. A.D.C Visita pastorale di Mons. Giuseppe della Cornea, 1626-33, foll.90 e segg. 90
” (...)” posta sulla pergamena intorno alla fonte battesimale. 91
Non 1574 come proposto da Leone de Castris in “La Pittura del Cinquecento a Napoli dal 1540, p.297.
92 A.S.C., notaio De Simone Cesare, vol.778, atto del 14 aprile 1582.
93 A.S.C., notaio De Roberto Giovanni Vincenzo, vol.778, atto del 16 giugno 1574.
79
soggetto dell‟opera è la Vergine, che sospesa su una mezza luna si colloca in uno
spazio a metà tra cielo e la terra, costruzione compositiva ideale priva di atmosfera
e movimento. La fisionomia fanciullesca, la lunga e dorata capigliatura sciolta al
vento, la posizione delle mani giunte in preghiera, il colore rosso del abito e il blu
del velo sono solo alcune delle caratteristiche che collegano l‟iconografia di
quest‟opera d‟arte ai dettami approvati durante la quinta sessione del Concilio di
Trento nel “Decretum de peccato originali” (1546)94 e contenuti nel libro “El Arte
de la Pintura” di Francesco Pacheco del Riò (1544-1644), pubblicato postumo nel
1649. Lo sfondo di colore giallo illumina il paesaggio che si tramuta nell‟Orto
Sacro, Hortus Conclusus , nel quale crescono fiori di campo rossi e bianchi, Flos
campi , i cedri, Cedrus exaltata in Libano, la palma, Palma exaltata in Cades, il
cipresso, Cypressus in monte Sion, gli ulivi, Oliva Speciosa e dove si ergono la
Torre di Davide, Turris David, il pozzo delle acque vive, Puteus aquarum viventium
e la fonte della grazia o dell‟orto, Fons hortorum . Seguendo dal basso verso l‟alto
gli elementi compositivi, completano il quadro ulteriori attributi mariani: la Porta
del Cielo, Porta coeli, il Tempio dello Spirito Santo, Templum Spiritus sancti e lo
Specchio senza macchia, Speculum sine Macula.
L‟ultimo oggetto caratterizzante della simbologia dell‟Immacolata Concezione è la
corona (fig.25) , che posta sul capo di Maria, in questo eccezionale caso si presenta
come un‟aggiunta in metallo che sporge in modo tridimensionale dalla pala
lignea. La tavola doppiamente incorniciata dalla prima, quella che racchiude la
“Cona”95, è una cornice lignea color oro stondata negli angoli superiori, mentre la
seconda contorna quest‟ultima di affreschi parietali. Nonostante questa scelta
compositiva crei un chiaro sovraffollamento di linguaggi artistici, quello Manierista
del quadro e quello Barocco degli affreschi, il risultato crea un equilibrio armonico
singolare. Il quadro fulcro dell‟intero bene architettonico, è catalizzatore quasi
esclusivo dell‟attenzione di chi varca la soglia della piccola Chiesa della
Immacolata Concezione. La scelta di posizionarlo sulla parete principale e
circondarlo con una serie di elementi decorativi non una scelta che è stata
94
Dogma cattolico nella sua articolazione di peccato originale originante e peccato originale originato, che riprende le decisioni del sinodo di Cartagine del 1418 e di quello di Orange del 1529. 95
F. PISCITELLI, Dissertazioni per illustrare alcuni punti della storia di Maddaloni, Dissertazione VII, Maddaloni, 1885.
80
effettuata soltanto perché l‟opera è chiaro mezzo celebrativo della figura a cui è
dedicata la chiesa o la Congrega. L‟obiettivo, concordato dall‟ordine di fratellanza
e dalle maestranze impegnate nei lavori, fu quello di creare un ambiente riservato
in cui l‟atmosfera di raccoglimento donasse al visitatore la sensazione di essere
accolto e soprattutto ascoltato. Ai lati dell‟opera gli affreschi (fig.26) , attraverso lo
strumento pittorico del trompe-oil, amplificano lo spazio reale costruendo
ambienti fittizi rischiarati da una luce mattutina filtrata da una serie di finestroni; la
prospettiva dal sotto in su lascia intravedere un ligneo soffitto a cassettoni
ricoperto da foglie in lamina d‟oro (fig.27).
Quest‟ultimo elemento architettonico, indubbia citazione del medesimo intervento
realizzato nella Chiesa della SS. Annunziata, ci permette di attribuire quasi
certamente le decorazioni parietali a Giovanni Funari, che come abbiamo
precedentemente illustrato poté osservare il cassettonato durante i suoi interventi
nella Cappella Carafa. La prospettiva dal basso verso l‟alto, gli elementi
architettonici come le colonne, i capitelli in stile corinzio e gli archi a tutto sesto
guidano lo sguardo dello spettatore verso l‟alto dove la composizione si conclude
con una serie di pitture parietali raffiguranti un drappo e una corona sorretta da
due putti alati. La tradizione Barocca dell‟horror vacui è perfettamente ripresa negli
elementi che affollano la composizione come: gli stucchi bianchi e dorati, i finti
marmi, le linee curve e spiraleggianti delle decorazioni, i fiori stilizzati in gesso e la
testa di leone che funge da passpartout nella ripetizioni degli archi. Nonostante la
visione d‟insieme proposta dall‟autore, Giovanni Funari, ogni elemento è mostrato
in tutta la propria autonomia e curato in ogni minimo particolare, tali sono le
prerogative che contribuiscono alla realizzazione di un‟amabile ed armonioso
equilibrio compositivo. Le peculiarità dell‟intera opera si inseriscono certamente,
per cronologia forma e stile, nei dettami del gusto Barocco che si sviluppa a
Napoli dalla metà sec. VI ad oltre la metà del secolo successivo. Le colonne, in
questo particolare caso, svolgono una doppia funzione in quanto elemento
decorativo e modulo architettonico di costruzione volumetrica e spaziale; la loro
presenza edifica ai alti dell‟altare delle piccole cappelle custodi delle statue lignee.
Le nicchie ricavate da una rientranza nel muro, al confine tra un effetto
scenografico e la realtà, sono decorate da frontoni dorati dai motivi barocchi e
angeli avvolti in spiraleggianti drappi di colore azzurro e rosa.
81
Sulle pareti laterali sporgono tridimensionalmente due cornici in gesso color oro al
cui interno trovano locazione due dipinti su tela; quello a destra rappresenta
L‟Arcangelo San Michele (fig.29) o forse S. Giorgio che scaccia sotto i suoi piedi il
maligno raffigurato sotto forma di drago, quello a sinistra raffigura Sant‟Anna
(fig.30) seduta su una sedia camerale con in braccio la Madonna bambina mentre
entrambe rivolgono lo sguardo al cielo. Entrambe i dipinti versano in cattive
condizioni, le tele risultano danneggiate e una delle cornici ha perso
completamente la smaltatura dorata; le caratteristiche stilistiche e formali
concomitanti suggeriscono un‟unica committenza artistica, tutt‟oggi ignota.
Ulteriori manufatti artistici presenti nella chiesa della Immacolata Concezione sono
le statue lignee quale testimonianza tangibile di una tradizione, quella dell‟arte
sacra, fortemente radicata nella città di Maddaloni. La scultura lignea spesso ed
erroneamente considerata “arte popolare “, genere autonomo realizzato da
artigiani non specializzati, costituisce in realtà una delle varie attività di un artista
che lavorando su specifiche committenze era quindi “maestro di pietra e di
legname” 96 . La differenza tra l‟impiego dei riversi materiali era dettata
esclusivamente dalla funzione, infatti i marmi e le pietre venivano utilizzati per la
realizzazione per sculture o complessi sepolcrali mentre il legno era usato per
realizzare suppellettili, decorazione d‟arredi e immagini sacre. Queste ultime, in
particolare, destinante a esposizioni temporanee e scopi liturgici dovevano
possedere due requisiti fondamentali e complementari: leggerezza e quindi facilità
nella dislocazione. Casi esemplificativi di queste caratteristiche sono le statue
lignee delle Madonne Addolorare presenti nelle Chiese maddalonesi di S.
Francesco d‟Assisi e S. Maria dei Commendatis, le cui braccia articolate donano
una postura più naturale alla scultura. Questa tradizione artistica fortemente
radicata nella città Maddalonese e nei rituali liturgici territoriali trova tutt‟oggi
testimonianze all‟interno delle principali chiese come quella dell‟Annunziata, del
SS. Corpo di Cristo, dell‟Immacolata e di S. Francesco d‟Assisi ma anche nelle
minori come S. Benedetto, nelle Congregazioni di S. Giovanni, di S. Maria dei
Commentadis e dell‟Immacolata Concezione. Prima di approfondire quali sono le
peculiarità artistiche e i cenni storici riguardanti le statue lignee della Chiesa della
Immacolata Concezione, al fine di comprendere meglio il pregio di questo genere
96
Una delle arti minori, parte delle corporazioni delle arti e dei mestieri di Firenze.
82
d‟arte è necessario illustrare le fasi principali della manifattura di una scultura
lignea. Da fonti documentarie è possibile evincere che la realizzazione di una
scultura lignea dipinta era frutto di una collaborazione tra tre figure: lo scultore, il
raspinatore e l‟indoratore. Allo sculture spettavano le fasi più delicate quella
iniziale e finale cioè l‟intaglio e la policromia, infatti una volta completato l‟intaglio
la scultura veniva ricoperta da uno strato di gesso variabile e necessario per la
stesura del colore.
Spesso prima della stesura del gesso sulla statua veniva incollata, solo per le
suture, una tela, questa aveva la funzione di attenuare la differenza di elasticità
materica che si presentava tra il legno ed il gesso e spesso era la causa di
screpolature e cadute di colore. I colori utilizzati erano ad olio e se nella maggior
parte dei casi la policromia era compito dello sculture, spesso questa delicata fase
era affidata a specifici artigiani. Occasionalmente le statue presentavano
peculiarità singolari come una vano per le reliquie oppure ornate con pregiati
suppellettili come drappi di stoffa e gioielli, ne sono un esempio le statue delle
Madonne Addolorate conservate nelle Chiese di S. Francesco e Maria dei
Commendatis. Il numero ridotto di documenti che accertino l‟operosità di artigiani
locali o certifichino la presenza di maestri scultori napoletani non permette una
valida ricostruzione del percorso compiuto da questa attività artistica nella città di
Maddaloni. Alcuni incartamenti riportano date come il 1516, 1730 e il 1753, la
prima datazione è riferita alla commissione di tre figure di legno per un Presepe
da parte della Confraternita del Sacro Soccorso ad un certo Francesco Moccia o
Mozzia; All‟anno 1753 invece è riferita la commissione di alcune sculture, ancora
individuate, allo statuaro napoletano Saverio Donato Fortunato. Nel medesimo
contesto cronologico è possibile collocare due delle quattro sculture contenute
all‟interno Chiesa della Concezione, parliamo della statua lignea raffigurante
l‟Immacolata Concezione (fig.31) e di quella rappresentante la Sant‟Anna. La
Vergine anche in questo caso poggia i piedi su una mezzaluna sorretta da quattro
cherubini, ha le mani giunte, la chioma dorata e lo sguardo leggermente rivolto
verso il basso e una corona sul capo. Le medesime caratteristiche iconografiche
della pala lignea posta a capo altare alla quale quasi certamente l‟autore, tutt‟oggi
ignoto, si ispirò. Racconti tramandati di generazione in generazione narrano che
durante lo spostamento della Congrega della immacolata Concezione dalla
83
Cappella S. Michele alla sede ecclesiale attuale, due furono i manufatti che
viaggiarono insieme all‟ordine di fratellanza: il quadro dell‟Immacolata Concezione
e la scultura con il medesimo nome. Le variazione proposte al tema
controriformista dell‟Immacolata Concezione sono minime, la datazione del
manufatto artistico è collocabile nel primo ventennio del sec. XVII anche se per
modifiche successive acquisisce caratteristiche tipiche della statuaria
Settecentesca. Alta 150 cm. e ricavata da un unico blocco di legno presenta una
tecnica d‟intagli di gusto “roccaille”97, il panneggio delle vesti riproduce una
pregiata stoffa serica napoletana98 finemente decorata con fregi dorati che elargiti
sull‟abito e il manto della Madonna donano slancio e magnificenza all‟intera opera.
Durante un intervento di restauro avvenuto nel 1977, rivelò che le mani della
Madonna non sono quelle originali e che in origine la scultura fosse
completamente dorata. L‟altra statua lignea è quella di S. Anna anticamente
chiamata del Castello, perché probabilmente proveniva da una chiesa che
anticamente si trovava all‟interno del Castello Angioino. Quella che oggi è
possibile ammirare, in una teca murata nella parete sinistra dell‟altare, non è
l‟originale ma una copia del sec. XIX d‟autore ignoto. Alta 160 cm la scultura
raffigura S. Anna che con braccio sinistro sorregge Maria bambina, entrambe sono
abbigliate in modo semplice secondo uno schema iconografico tipicamente
settecentesco.
La Santa indossa un abito di colore verde vescica decorato con fiori neri, un
mantello bianco che le cinge il capo e dei sandali marroni. La Madonna bambina
invece indossa una tunichetta bianca, una camicia rosa con dei risvolti verdi e un
mantello azzurro. Entrambe hanno le mani giunte e lo sguardo rivolto al cielo, le
medesime caratteristiche formali che possiamo rintracciare nella tela incorniciata
esposta sulla stessa parete esattamente sopra la teca della scultura lignee.
Nonostante siano andata perse le dita della manina di Maria bambina e la vesta di
S. Anna presenti dei sollevamenti e buchi di colore, l‟opera si presenta nel
complesso in buone condizione, non ha mai beneficiato di interventi di restauro.
Le restanti statue due presenti nella Chiesa della Concezione, non sono sculture
lignee ma manifattura d‟artigianato locale non bene rifinito e quindi con scarso 97
Parola francese, che significa conchiglia o guscio, da cui deriva il nome dello stile ornamentale del sec. VIII, il Rococò. 98
Tessuto proveniente dall'Antico Opificio Serico di San Leucio.
84
valore artistico. Raffigurano S. Giuseppe con Gesù bambino in braccio ed il Sacro
Cuore di Gesù, di entrambe non si è a conoscenza ne dell‟autore né della
datazione, reale o presunta.
Avviandoci verso il termine dell‟illustrazione dei manufatti artistici presenti nella
Chiesa della Concezione ci apprestiamo ad affrontare l‟analisi degli stalli lignei,
distribuiti longitudinalmente lungo il perimetro rettangolare della chiesa, del
pulpito in noce e dell‟organo locato nella cantoria sopraelevata posta alla soglia
d‟entrata. Tutti questi manufatti artistici rientrano nella categoria delle arti
applicate e della lavorazione del legno, tradizione artigiana che nella città di
Maddaloni ebbe un forte sviluppo. Nel sec. VIII è possibile rintracciare la
produzione più significativa, di committenza ecclesiale, che raggiunse un livello
formale di prestigio e per questo inclusa in una più ampia produzione
napoletana99. Le opere lignee settecentesche che ancora oggi arredano le chiese
della città come gli armadi da sacrestia, i cori, i pulpiti, i balconi d‟organo, i
confessionali, i soffitti e via discorrendo sono tutte attribuibili alla corporazioni
artigiane Maddalonesi. Un particolare prodotto di quest‟arte è la realizzazione
degli stalli che insieme formavano i cori lignei tradizionalmente collocati nelle
zone presbiteriali, zona retrostante all‟altare. Le principali chiese cittadine, come
quella della SS. Annunziata (fig.9-10-11 Appendice B) e del Corpo di Cristo,
conservano le testimonianze più di maggior valore sia per la pregevole
manifattura che per l‟articolata composizione. Bisogna purtroppo dire che questi
manufatti artistici proprio per le loro peculiarità tecniche, ci riferiamo alla piuttosto
semplice possibilità di dislocazione, sono state oggetto di ladrocinio perpetuato.
Caso funesto fu quello verificatosi durante il secolo scorso nella chiesa del Corpo
di Cristo, dove il coro commissionato nel 1756 ai maestri falegnami maddalonesi
Giocacchino Mazzarella e Nicola Grauso, sede dell‟altare realizzato da Vanvitelli nel
1763, fu sistematicamente smembrato, venduto e mai più ricollocato.
Alle opere sopracitate sono affini, gli stalli lignei (fig.32-33) poste lungo le mura
delle chiese adibite a Congreghe e che per tale specifica funzione presentavano
sedili in cui presidiavano i confratelli. Proprio la Chiesa della Immacolata
Concezione ne conserva tutt‟oggi un esempio interessante, per la considerevole
99
La produzione napoletana ebbe il supporto della categoria artigiani, preparare e organizzata in corporazioni. Ad eccezione degli Intagliatori che avevano una posizione indipendente.
85
manifattura ma soprattutto per l‟unità spaziale che questo arredo ligneo regala
all‟ambiente architettonico. Anche in questo caso, il coro è stato soggetto a
sottrazioni che hanno interessato soprattutto i sedili, dove i confratelli solevano
accomodarsi durante celebrazioni, vestizioni e riunioni. Gli stalli ricoprono le pareti
lungo tutto il perimetro principale, e le membrature intagliate si alternano con
ritmo a lisci pannelli longitudinali. Foglie d‟oro e lesene (fig.34-35-36) decorano gli
spazi tra l‟uno e l‟altro, secondo il gusto settecentesco che prediligeva decorazioni
preziose e lavori ad intaglio. Altri riferimenti stilistici del medesimo tipo sono
rintracciabili nella Congrega di S. Giovanni dove l‟opera risalente al 1750-54, è
certamente attribuita a maestri falegnami maddalonesi Giovanni e Nicola Grauso( i
medesimi della chiesa del S. Corpo di Cristo).
Alzando leggermente lo sguardo e volgendolo verso destra è possibile ammirare,
addossato alla parte, un pulpito (fig.37) in legno di noce con le medesime
caratteristiche stilistiche e formali degli stalli lignei. Il ballatoio presenta una
struttura rettangolare con angoli stondati e dei pannelli lisci con sporgenti cornici
quadrilobate, modanature e decorazioni stilizzate color oro. La parte superiore del
pulpito invece propone una forma a baldacchino, il cui drappo sorretto da due
angeli (fig.38) si stende lungo la parete, lasciando cadere gli angoli con nappa
verso il basso. Il colore azzurro, le decorazioni dorate ed il bordo d‟orato sono una
chiara citazione del manto celeste indossato dalla Vergine Maria, protettrice e
ispiratrice della Congrega. Nel medesimo stile è il ballatoio, che posto sulla porta
d‟ingresso della chiesa, ospita la cantoria e l‟organo a canne (fig.39). Il virtuosismo
di quest‟ultimo, ma non meno importante, esempio d‟arte applicata, è al
contempo motivo di grande meraviglia e riassunto del dell‟intero repertorio
artistico custodito all‟interno della Chiesa della Immacolata Concezione. Se
osserviamo con attenzione la parete della cantoria è possibile notare
immediatamente che quest‟ultima è un‟evidente continuazione dell‟opera parietale
che decora il solaio della chiesetta. Infatti, come accennato precedentemente, lo
strumento musicale copre l‟ultimo dipinto del ciclo di affreschi, lasciando
intravedere solo qualche piccola sezione pittorica. I motivi barocchi dalle
sfumature dorate, partono dalle pareti per poi espandersi verso le modanature
lignee dei pannelli e delle lesene del ballatoio. Quest‟ultimo è ritmicamente
percorso da spazi bi e tridimensionali, da superfici reali e illusorie le cui differenti
86
volumetrie modulano la luce proveniente dalla porta d‟ingresso e dalle finestre
poste rispettivamente sul lato destro e sinistro della struttura architettonica. Anche
in quest‟opera come in tutte le altre manifatture artistiche ed interventi
architettonici della Chiesa della Concezione, lo schema compositivo è denso ma
equilibrato, una magistrale riproposizione dello stile Barocco.
3.2 Progetto crowdfunding per i lavori di restauro della Chiesa della
Concezione
La Chiesa della Congrega della Concezione, locata nella omonima strada del
centro storico della cittadina Campana di Maddaloni(CE), è un monumento
architettonico, un prezioso gioiello Barocco ma soprattutto un bene comune a
lungo semi-abbandonato alla deturpazione del tempo e dell‟incuria. Nel corso
della sua lunga storia questo bene, dalla rilevanza storica e culturale strategica per
il territorio, ed i manufatti in esso custoditi non hanno mai beneficiato di interventi
di ordinaria manutenzione o di restauro. Interrotta nell‟esercizio della propria
funzione culturale e civile, oggi, la Chiesa della Congrega della Concezione rischia
sempre più di restare muta pietra, assopita tra il caotico landscape urbano, in
bilico tra la noncuranza e l‟inconsapevolezza della collettività.
Tuttavia, qualcosa sta per cambiare.
87
3.2.1 ” Abbi Cultura di Te”
Ricevere denaro da istituzioni tradizionali si configura spesso come un puro
processo di trasferimento di denaro, impersonale e privo di coinvolgimento
emozionale, dimostratosi nella maggior parte dei casi inconcludente. La mancanza
del network è il principale motivo del disinteresse e quindi dell‟abbandono
operato ai danni patrimonio culturale, soprattutto locale. Una lezione, questa,
chiaramente assimilata dalla Creative Classe contemporanea costantemente
impegnata nella elaborazione di nuove modalità d‟intervento più efficaci, più
dirette e soprattutto più social.
Estendere oltre la trattazione finanziaria intessendo con la folla una serie di
relazioni, concorre alla creazione di una comunità che ruota attorno alla vicenda,
consentendo ai proponenti di coltivare nel medio lungo termine un network
relazionale che gratifica anche il consumatore, il quale essendo coinvolto in un
pieno scambio collaborativo si appresta a divenire un supporter della vision
piuttosto che mero fruitore.
In considerazione di ciò, il Comitato per il restauro della Chiesa della Concezione
progetta il lancio di “Abbi Cultura di Te” campagna Crowdfunding per la Chiesa
della Concezione. Una iniziativa, anzitutto finalizzata alla raccolta di fondi per i
lavori di rifacimento del tetto ed il planning degli interventi di restauro delle tele
adagiate sulle pareti est ed ovest della chiesa. Al contempo, un‟occasione per
richiamare l‟intera collettività a riappropriarsi della propria storia e del proprio
patrimonio culturale, partecipando attivamente alla vita della città.
L‟obiettivo prefisso è raccogliere 10.000€ tramite donazioni, sponsorizzazioni ed
altre iniziative scegliendo un modello crowdfunding reward, l‟innovativa tipologia
di raccolta fondi sul web (ma non solo!) che permette a tutti di contribuire
attivamente a un progetto in base alle proprie possibilità e di ricevere in cambio
una gradita ricompensa. Il Tutor della campagna, in questo caso il Comitato
appositamente fondato per i lavori di restauro della Chiesa della Concezione,
definirà i livelli delle donazioni e le corrispettive ricompense, affidando al tempo
stesso il progetto alla piattaforma web più adatta alla tipologia e agli obiettivi
della iniziativa. Ad esempio sarà possibile partire da un livello di donazione
minimo pari all‟importo di €10, offrendo come ricompensa una cartolina
elettronica della Chiesa della Concezione ed il ringraziamento digitale menzionato
88
in una sezione del sito-web, a loro dedicata, fino ad arrivare ad un importo
massimo di €1000, ricompensato con la disponibilità ad usufruire della Chiesa
come location per attività o iniziative a scopo culturale.
La campagna di durata giorni 45 opterà per la tipologia take it all, modello di
raccolta non vincolato al raggiungimento totale del budget e la piattaforma
Produzioni dal Basso. Una scelta determinata dal tasso di successo delle iniziative
dedicate alla categoria Arte&Cultura pari al 40% e da una percentuale di 2,179€ di
finanziamenti per ciascun progetto, inoltre la natura generalista e l‟elevato numero
di follower che raggiunge la piattaforma permetterà ad “Abbi Cultura di Te” di
avere una maggiore visibilità, tripartita su livello:
i. Locale: A livello locale la campagna ambirà alla creazione di un cultural
network territoriale, offrendo collaborazioni e possibilità d‟interazione tra
attori socio-culturali operanti sul territorio come fondazioni ed associazioni,
soprattutto giovanili. Lo sharing d‟idee, progetti e risorse permetterà un
aumento delle probabilità di successo dei corrispettivi progetti, un
coinvolgimento trasversale della comunità ed una maggiore comprensione
dei benefici che tali attività esplicano sul territorio e sulla comunità di
riferimento.
ii. Regionale: A livello regionale la campagna si occuperà della divulgazione
del progetto al fine di raccogliere consenso ed eventuali proposte di
supporter, come patrocinio e sponsorizzazioni. Tramite canali istituzionali e
non, come ad esempio enti locali e istituti scolastici, sarà possibile
assimilare un numero sempre maggiore di stakeholder, siano questi
direttamente o indirettamente interessati all‟iniziativa.
iii. Nazionale: A livello nazionale la campagna lavorerà al conseguimento,
anzitutto, di un obiettivo di tipo promozionale, virando su una piattaforma
con un ampio bacino d‟utenza e attivando canali di comunicazione di massa
quali appunto i social network. La esposizione mediatica dei contenuti
aumenta in maniera esponenziale le possibilità di divulgazione presso la
folla, attirando così, soprattutto nei mercati di nicchia, sostenitori e
89
supporter altrimenti non raggiungibili causa la mancata affermazione del
progetto, che per l‟appunto è in fase di lancio.
I traguardi della campagna saranno, quindi, principalmente di tipo economico e
culturale, giacché il crowdfunding è essenzialmente una raccolta fondi tramite la
folla e al tempo stesso una modalità di contribuzione particolarmente appagante,
democratica e aperta. Un‟ ambivalenza, che la trasforma in uno dei fattori
maggiormente favorevoli alla nascita di un‟atmosfera creativa e di conseguenza di
Cluster Creativi, poiché tra i principali effetti positivi dispiegati dalla pratica del
crowdfunding vi è sicuramente la centralità della persona e della sua identità, che
indissolubilmente si lega all‟appartenenza ad una comunità.
Le comunità che si aggregano sulle piattaforme, i crowdfunders, le interazioni e
l‟osservazione delle reciproche azioni in spazi virtuali condivisi genera una
dinamica comportamentale collettiva. Un comportamento di massa non
istituzionalizzato e completamente spontaneo per cui ogni individuo,
inconsapevolmente, reagisce ad uno stesso stimolo, che in tale caso specifico è la
instaurazione di una relazione di finanziamento a supporto di un progetto.
Altro aspetto delle campagne crowdfunding realmente concorrente alla creazione
di Cluster Creativi e il palesarsi della intelligenza collettiva. Termine che indica la
capacità di una comunità, attraverso la collaborazione, di evolvere verso una
capacità superiore a quella individuale circa la risoluzione di problemi e/o la
definizione di azioni da intraprendere. Il ruolo del consumatore nel processo di
ideazione e sviluppo di un prodotto e/o servizio è sempre più accentuato,
soprattutto nelle campagne di crowdfunding. Nell‟ambito di tali campagne i
sostenitori possono essere invitati a condividere le loro capacità creative e
conoscenze tecniche, il coinvolgimento è tale che il finanziatore veste anche il
ruolo di consumatore, pre-ordinando il bene o il servizio cui egli stesso ha
contributo. Si tratta indubbiamente di un effetto indiretto che si spiega sulla folla
che ruota attorno alle piattaforme, le quali attratte dal successo intravedono nuove
90
possibilità di espressione di se stessi e delle proprie idee, sono così incoraggiate a
intraprendere nuovi percorsi di vita e sperimentazione.
“From any standpoint, my goal is to be a part of this community of creatives.”100
100
Gerber E.M, Hui J.S, Kuo P.Y., “Crowdfunding: why people are motivated to post and fund projects on crowdfunding platforms”, Northwestern University Creative Action Lab, Sheridan Drive, Evanston, 2011.
91
Conclusioni
La trattazione svolta fin qui sottolinea come, nell‟era della grande globalizzazione
e della diffusa multimedialità, è sempre più chiaro che nelle economie post-
industriali la cultura può contribuire realmente a migliorare la sostenibilità e
l‟innovatività dei modelli di sviluppo sociali, economici e culturali.
Il progresso umano, inarrestabile panta-rei, coinvolge, nonostante l‟universalità e
la complessità del concetto, la tradizionale concezione di patrimonio culturale e
delle unità che lo compongono, i beni culturali, oggi proiezione agglomerata di
relazioni intessute da un‟emergente classe sociale, la creative class.
Attraverso una molteplicità di percorsi -la percettibilità della atmosfera creativa,
l‟avvento dei cluster creativi, l‟apporto della creatività e della cultura a disparati
settori dell‟agire umano, la consapevolezza dell‟identità singola e collettiva e la
coesione sociale- queste personalità hanno contribuito alla realizzazione di
network, reali o virtuali, esito di quel cambio di filosofia, approccio e quindi
modello che ha interessato la disciplina dei Beni Culturali.
La ricerca esperienziale, le modalità partecipative e la propensione al
cambiamento sono bisogni e preferenze espressi nella domanda della Classe
Creativa contemporanea, sempre più spesso non soddisfatta dalla offerta del
sistema gestionale e burocratico dei Beni Culturali, soprattutto Italiano.
Nonostante l‟invidiato “Modello Italia”, tutt‟oggi, risulti il più rispettoso e completo
approccio alle necessarie azioni di salvaguardia, ovvero tutela e valorizzazione,
dedicate all‟inestimabile “bene comune”, questo soffre, sempre più spesso
d‟incuria e svalutazione. La ripetizione delle motivazioni delle criticità di un
sistema, amaramente analizzato anche da massimi esponenti del settore come ad
esempio lo storico dell‟arte ed archeologo Salvatore Settis, creerebbero equivoci e
tramuterebbero la qui presente trattazione in quel metaforicamente si dipinge
come: “un cane che morde la coda”. Inoltre l‟applicazione del modello di Cluster
Creativo alla particolare condizione del patrimonio culturale Italiano, museo
diffuso, mito del “il 50% del patrimonio culturale mondiale è Italiano”, solleva non
pochi dubbi e quesiti tecnico-burocratici, dalla non semplice risposta. Tuttavia, la
92
chiave di volta dell‟intera vicenda si nasconde tra i palustri e difficili confini di una
feroce critica e di un punto di vista erroneamente troppo tecnico, circa
l‟argomento. Il cittadino, aldilà dei confini geografici, etno-antropologici e culturali
opera un sovvertimento, in Italia come nel resto del mondo, della classica
relazione domanda-offerta; poiché non è più l‟offerta a proporre, ovvero le
Istituzioni tradizionali, ma la domanda a chiedere, cioè i membri della creative
class. Secondo la teoria del Long Tail, il consumatori complesso è un individuo
consapevole, che non si accontenta più di ciò che gli viene offerto ma contribuisce
a creare ciò che vuole, egli ascolta, interagisce, partecipa e condivide, vive,
produce e quindi crea. Arte.
Auspicabile, data l‟importanza dell‟integrazione tra le filiere che contribuiscono alla
comunicazione e conservazione del patrimonio culturale universale, pensare a
nuove forme di equilibrio e collaborazione operanti nel settore, inaugurando
prassi e metodi gestionali non più appartenenti né alla logica pubblicistica tipica
della delega gestionale allo Stato, né a quella privatistica strettamente orientata
alla congrua remunerazione del capitale investi. Svincolarsi e lasciarsi contaminare
dalla Cultura dei Cluster Creativi, poiché il progresso è inarrestabile.
Fortunatamente.
93
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97
Ringraziamenti
Desidero ringraziare la Prof.ssa Federica De Rosa, anzitutto, per avermi
appassionato alla Storia dell‟Arte e al tema dei Beni Culturali, nonchè per la
costante cortesia e disponibilità sempre mostrata nei miei confronti.
Un ringraziamento particolare al Prof.re Luigi Affuso per il supporto tecnico e per
l‟interesse sincero e costante fornitomi durante questo lungo percorso.
Il più importante e sincero ringraziamento è rivolto alle persone senza le quali non
sarei qui oggi, pronta ad un traguardo cosi importante. La mia famiglia.
A loro devo molto più di quello che le parole riescono ad esprimere.
Ringrazio i miei genitori, poichè sono per me il più semplice e prezioso esempio di
amore e temerarietà.
Ringrazio mio padre Luigi per i molti e pazienti insegnamenti, per aver nutrito, fin
dalla tenera età, i miei occhi ed il mio cuore con l‟inestimabile bellezza delle arti e
mia madre Marianna per l‟impagabile dedizione, l‟operosità ed i leali confronti,
lezioni di vita, ricche di rispetto e libertà.
I miei fratelli Olindo e Lucia, perchè confronto, sostegno ed affetto sono da
sempre gli ingredienti fondamentali per la riuscita di questa perfetta ricetta di
famiglia.
Rivolgo un pensiero speciale a mia sorella Lucia. La sua presenza, la certezza del
suo supporto, qualsiasi sia la sua natura, l‟ammirazione e l‟orgoglio che nutro per
lei sono essenza dei miei giorni.
Nella vita non avrei potuto chiedere di meglio. Grazie Sorella.
Infine, vorrei ringraziare colui che reputo molto più che il mio fidanzato. Giuseppe.
A te, caro compagno di questo pezzo di vita che ci vede camminare fianco a
fianco, dico grazie per il sostegno materiale ed affettivo che mai mi è mancato,
sopratutto durante l‟elaborazione del presente lavoro.
La beltà d‟animo nutre il cuore d‟amore profondo e d‟altri tempi.
Quel medesimo sentimento che fù rinosciuto da occhi sconosciuti e carichi di anni.