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ANDREA CZORTEK CHI è IL VESCOVO DI CITTà DI CASTELLO A CUI SI RIFERISCE PIER DAMIANI (MAGGIO-GIUGNO1045)? * La domanda posta nel titolo contiene un interrogativo sul qua- le la storiografia locale discute ormai da oltre centosessant’anni e che forse è destinato a rimanere senza risposta. La questione storiografica – sicuramente di interesse locale, ma non priva di un certo rilievo d’ordine più ampio – nasce da un riferimento di Pier Damiani al vescovo di Città di Castello, accomunato a quelli di Pesaro e Fano come testimone negativo di una situa- zione di degenerazione che richiede, a detta del priore di Fonte Avellana, l’intervento del papa. Il più recente, e completo, studio sull’episcopato di Città di Castello nell’XI secolo si deve a Gian Paolo Scharf, che si oc- * Il testo è parte della relazione presentata dall’autore al convegno di studi damia- nei tenutosi a Gubbio nel febbraio 2008 con il titolo I vescovi dell’attuale Umbria nel secolo di Pier Damiani. Un itinerario bibliografico e qualche pista di ricerca, i cui atti sono in corso di stampa. Ringrazia il prof. Nicolangelo D’Acunto, cura- tore scientifico del convegno, per averne autorizzato la pubblicazione su «Pagine altotiberine» – permettendone così un più facile accesso ai cultori di storia altoti- berina – e il prof. Pierluigi Licciardello, per la pazienza e l’attenzione con cui ha riletto la stesura finale del testo, offrendo importanti indicazioni bibliografiche e scambiando con l’autore riflessioni e opinioni.

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andrEa czorTEK

CHI è IL VESCOVO DI CITTà DI CASTELLOA CUI SI RIFERISCE PIER DAMIANI

(MAGGIO-GIUGNO1045)? *

la domanda posta nel titolo contiene un interrogativo sul qua-le la storiografia locale discute ormai da oltre centosessant’anni e che forse è destinato a rimanere senza risposta. la questione storiografica – sicuramente di interesse locale, ma non priva di un certo rilievo d’ordine più ampio – nasce da un riferimento di Pier Damiani al vescovo di Città di Castello, accomunato a quelli di Pesaro e Fano come testimone negativo di una situa-zione di degenerazione che richiede, a detta del priore di Fonte Avellana, l’intervento del papa.

Il più recente, e completo, studio sull’episcopato di Città di Castello nell’XI secolo si deve a Gian Paolo Scharf, che si oc-

* Il testo è parte della relazione presentata dall’autore al convegno di studi damia-nei tenutosi a Gubbio nel febbraio 2008 con il titolo I vescovi dell’attuale Umbria nel secolo di Pier Damiani. Un itinerario bibliografico e qualche pista di ricerca, i cui atti sono in corso di stampa. Ringrazia il prof. Nicolangelo D’Acunto, cura-tore scientifico del convegno, per averne autorizzato la pubblicazione su «Pagine altotiberine» – permettendone così un più facile accesso ai cultori di storia altoti-berina – e il prof. Pierluigi licciardello, per la pazienza e l’attenzione con cui ha riletto la stesura finale del testo, offrendo importanti indicazioni bibliografiche e scambiando con l’autore riflessioni e opinioni.

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cupa dell’argomento all’interno di un saggio, di carattere più ampio, su Città di Castello e il suo territorio nell’Alto Medio Evo (dal periodo longobardo all’XI secolo) 1. lo studioso mette bene in luce i segnali della ripresa della vita cittadina che si verificano dagli inizi dell’XI secolo, collegandoli con il ruolo propulsore avuto dal vescovo:

Abbiamo del resto molti indizi che inducono a pensare a un nuovo corso della storia di Città di Castello: in questo caso sembra confermata la generale tendenza a una svolta nell’XI secolo […]. La figura da cui sembra prendere impulso questo clima è certamente quella del vescovo, che in città aveva sem-pre rappresentato in qualche modo un punto di riferimento, per quanto appannato in certi periodi. Potrebbe sembrare riduttivo inserire questi cambiamenti sotto la generale etichetta di rifor-ma ecclesiastica, ma come ormai è stato mostrato da numerosi studi la riforma fu un clima generale di grande innovazione, che coinvolse tutta la società e di cui la cosiddetta riforma gre-goriana fu solo un aspetto 2.

Un processo, questo, promosso dai vescovi e che lo Scharf riconduce solo parzialmente “nell’alveo della riforma gregoria-na” 3. Questo “nuovo corso” della storia cittadina sollecitato dal vescovo riapre l’interrogativo su chi sia il vescovo promotore

1 G. P. G. scharF, Città di Castello e il suo territorio nell’Alto Medio Evo (dal periodo longobardo all’XI secolo), in San Crescenziano di Città di Castello. sto-ria e culto di un martire dalle origini all’età moderna. Atti del convegno (Città di Castello 2003), a cura di A. Czortek-P. licciardello, Città di Castello 2005, pp. 64-90.2 Ivi, p. 80.3 Ivi, p. 81.

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del rinnovamento, dal momento che proprio un testo di Pier Da-miani ha fatto pensare alla presenza di un presule non proprio riformatore.

Si tratta della lettera 13, indirizzata a Gregorio VI e scritta da Pier Damiani tra fine maggio e giugno 1045 per chiedere al papa di rimuovere il vescovo di Pesaro, definito adultero, incestuoso, spergiuro e predatore. A quello di Pesaro Pier Damiani paragona i vescovi di Città di Castello e di Fano, tutti “presuli indegni per il peccato di concubinato e per la simonia” 4. Questo il testo5:

Lettera 13,3

4 G. andEnna, Pier Damiani, Fonte Avellana, il papato e l’impero, in Fonte Avella-na nel secolo di Pier Damiani. Atti del XXIX Convegno del Centro Studi Avellani-ti (Fonte Avellana 2007), a cura di N. D’Acunto, San Pietro in Cariano 2008, p. 34; l’episodio è segnalato anche da S. zucchini, Dall’eremo all’episcopato: i monaci di Fonte Avellana vescovi di Gubbio al tempo di Pier Damiani, ivi, p. 91.5 PiEr damiani, Lettere, 1, a cura di G. I. Gargano-N. D’Acunto, Roma 2000 (Ope-re di Pier Damiani, I/1), pp. 290-293.6 Citazione da Mt 18, 15-16 (Si autem peccaverit in te frater tuus vade et corrige eum inter te et ipsum solum si te audierit lucratus es fratrem tuum; si autem non te audierit adhibe tecum adhuc unum vel duos ut in ore duorum testium vel trium stet omne verbum [Se tuo fratello ha peccato contro di te, và e convincilo fra te e

Verumtamen utrum ista, quae scribimus, mundo sperare sit licitum, primo Pensau-rensis aecclesia bonae spei clarum dabit indicium. Nisi enim praedicta aecclesia de manu illius adulteri, incestuosi, periuri atque raptoris auferatur, omnis populorum spes, quae de reparacione mundi erecta flierat, funditus enervatur. Omnes siquidem ad hunc finem oculos tendunt, omnes ad hanc unam vocem aures erigunt. Et si ille tot criminibus obvolutus ad episcopatus arcem restituitur, ab apostolica sede boni aliquid ulterius posse fieri, penitus denega-

Nondimeno, se sia permesso al mondo aver buona speranza su ciò che scrivo, ne sarà chiaro indizio in primo luogo la Chiesa di Pesaro. Infatti, se la suddetta Chiesa non verrà tolta dalle mani di quell’adultero, incestuoso, spergiuro e predatore, svanirà del tutto quella speranza sulla restaurazio-ne del mondo che si era levata nei popoli. Giacché tutti mirano a questo fine, tutti ten-dono gli orecchi per udire questo annunzio. E se costui, avviluppato in tanti crimini, verrà restituito alla cattedra episcopale, si negherà in modo assoluto che la Santa

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Dei vescovi di Fano e di Pesaro Pier Damiani si lamenta an-che con l’arcivescovo di Amalfi, al quale scrive tra il settembre 1044 e l’aprile 1046 qualificandoli come “reprobi” 7. Scrivendo al papa, aggiunge anche il vescovo di Città di Castello e c’è da credere che sull’elenco dei vescovi da rimuovere abbiano inciso elementi di natura locale, che però al momento sfuggono.

Fin dall’assunzione della carica nel 1043 il priore di Fonte Avellana si interessa della riforma della Chiesa, preoccupando-si delle Chiese diocesane dell’area appenninica attorno al mo-nastero: è in contatto con i vescovi di Urbino, Assisi, Gubbio (città dove si reca anche a predicare in occasione di particolari festività liturgiche) e Fossombrone e si dimostra “severo giudi-ce” nei confronti di altri, come quelli di Osimo, Fano, Pesaro e, appunto, Città di Castello 8. la lettera si inserisce nel numero

lui solo. Se ti ascolta, avrai guadagnato tuo fratello; ma, se non ti ascolta, prendi con te ancora una o due persone, affinché ogni parola sia confermata per bocca di due o tre testimoni]).7 PiEr damiani, Lettere cit., 1, pp. 240-243. Per un commento a questa lettera cfr. r. BEnEricETTi, L’eremo e la cattedra. Vita di san Pier Damiani, Milano 2007, pp. 58-61.8 BEnEricETTi, L’eremo e la cattedra cit., p. 56. Al tempo di Pier Damiani, Fonte Avellana non possiede ancora pertinenze nella diocesi di Città di Castello. Il primo possedimento avellanita in diocesi è un terreno in loca-lità Monte Ameno, “in lo ranco de lo poio de Orso”, donato al monastero nel maggio 1078 da Quinico, figlio del fu Atto (Carte di Fonte Avellana, 1, a cura di C. Pierucci - A. Polverari, Roma 1972, doc. 41, pp. 105-106). Una sessantina di anni dopo, il 24 maggio 1139, papa Innocenzo II con-

tur. tres equidem sunt, quae testimonium dabunt, Castellana sedes et Phanensis et Pensaurensis, ut in ore duorum vel trium testium stet omne verbum6. In his tribus patenter ostenditur, quid spei de caetero relinquatur.

Sede possa fare in seguito qualcosa di buo-no. Ci sono tre autorità che potranno dare testimonianza di questo: le sedi vescovili di Città di Castello, di Fano e di Pesaro, per-ché ogni cosa sia risolta sulla parola di due o tre testimoni. Sulla base di tale triplice testimonianza, apparirà chiaro cosa resti da sperare per tutto il resto.

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di quelle scritte dal Damiani fino al 1045 e che, pur eviden-ziando il precoce sostegno alla causa della riforma 9, secondo il D’Acunto “rispecchiano la relativa angustia degli orizzonti esi-stenziali e culturali dell’ancor giovane Pier Damiani. Da Fonte Avellana, da Pomposa e da San Vincenzo al Furlo la sua azione si irradiava soltanto su scala locale, senza ancora coinvolgerlo nelle grandi questioni che travagliavano la Cristianità” 10. la lettera 13 è la prima scritta a un papa da Pier Damiani, che sta iniziando “a tessere la sua trama di relazioni con Roma” senza però distaccarsi da interessi locali 11. Nel 1047 Pier Damiani continuerà a lamentarsi con il papa, Clemente II, di “quel ladro

ferma al priore Benedetto e ai suoi monaci un nutrito elenco di possedi-menti e diritti, tra cui alcune proprietà nel comitatum Castellanum, che sono: il castello di Monte Maggiore con il monastero di Santa Croce, la chiesa di San Pietro di Aggiglioni, il monastero di Santa Croce di Citerna e alcune case in Città di Castello (ivi, doc. 190, p. 410). Sui rapporti cul-turali e liturgici tra Fonte Avellana e Città di Castello cfr. P. LicciardELLo, Il culto dei santi a Fonte Avellana nel medioevo, in Fonte Avellana nel se-colo di Pier Damiani cit., pp. 383-456 e in «Benedictina» 54/2, 2007, pp. 267-323, che tra l’altro segnala un sacramentario del XII secolo nel quale sono presenti le celebrazioni della dedicazione della cattedrale di Città di Castello e quella dei santi Florido e Amanzio (ivi, pp. 285-286). Edizione in Patrologia Latina, 151, coll. 897-898 (In dedicatione basilicae Sancti Floridi) e 899 (In festo sanctorum confessorum Floridi et Amantii).9 Cfr. D. viTaLi, La Chiesa da riformare: l’ecclesiologia damianea, in Pier Da-miani. L’eremita, il teologo, il riformatore (1007-2007). Atti del XXIX Convegno del Centro studi e ricerche antica provincia ecclesiastica ravennate (Faenza-Ra-venna 2007), a cura di M. tagliaferri, Bologna 2009, p. 199.10 n. d’acunTo, Introduzione, in PiEr damiani, Lettere cit., 1, pp. 122-123.11 Ivi, p. 125. Secondo Ruggero Benericetti, con questo testo il Damiani “entra co-raggiosamente nella storia dei papi. la sua autorità presso di loro aumenta poiché in questa lettera egli esprime anche consigli non richiesti. la lettera 13, dunque, documenta l’inizio del rapporto diretto di san Pier Damiani con i papi, rapporto che si prolungherà per tutta la sua vita” (BEnEricETTi, L’eremo e la cattedra cit., p. 62).

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che è vescovo a Fano” e del vescovo di Osimo, “inviluppato in tante e così inaudite colpe”, ma non più del vescovo di Città di Castello 12.

Dal momento che l’Avellanita ne tace il nome, c’è da doman-darsi chi sia il vescovo di Città di Castello in questo periodo, e cosa abbia fatto mai per meritarsi la riprovazione del Damia-ni. In mancanza di studi moderni sull’argomento, ci soccorro-no due buoni prodotti dell’erudizione otto-novecentesca, quali sono le Memorie ecclesiastiche di Giovanni Muzi e la Storia di Giovanni Magherini Graziani, che ci indicano il nome di un vescovo Pietro. Di costui il Magherini Graziani non dice molto, ma evidenzia comunque l’importanza dell’ampia donazione alla canonica del 1048, della quale entrambi gli studiosi offrono la trascrizione 13. Proprio durante l’episcopato di Pietro ha origine il collegio canonicale della cattedrale, strumento di riforma del clero basato sull’osservanza di una regola – quella di sant’Ago-stino – che prevede la vita comune e la comunanza dei beni dei canonici.

Una tappa importante e della riorganizzazione della presenza vescovile in città e della fissazione della memoria del patrono san Florido è data dalla consacrazione della nuova cattedrale, appunto intitolata al santo vescovo, nel corso di una liturgia alla quale partecipano vari presuli. Commenta ancora lo Scharf:

la consacrazione della nuova cattedrale costituì poi un impor-tante appuntamento per i vescovi che ne furono artefici: da un

12 PiEr damiani, Lettere, 2, a cura di G. I. Gargano-N. D’Acunto, Roma 2001 (Opere di Pier Damiani, I/2), pp. 98-101.13 G. muzi, Memorie ecclesiastiche di Città di Castello, II, Città di Castello 1842, pp. 19-29; G. maGhErini Graziani, Storia di Città di Castello, II, Città di Castello 1910, pp. 55 e 279-280.

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lato essa serviva a cementare rapporti ad alto livello fra presuli vicini, come abbiamo visto, anche per simili concezioni della riforma ecclesiastica, favorendo la circolazione di modelli più incisivi per la penetrazione nella società urbana, ma d’altro can-to essa forniva ai vescovi la possibilità di affermare la propria importanza all’interno della comunità, mostrando con il lustro di ospiti di alto livello la propria figura di indispensabile me-diazione con il culto del santo patrono. Anche da questo punto di vista tuttavia va rimarcata una notevole differenza fra i due appuntamenti che si susseguirono nelle due diocesi confinanti a pochi anni di distanza: se ad Arezzo erano presenti non solo i vescovi delle diocesi vicine ma anche il marchese di tuscia con la sua curia, a indicare un pieno inserimento del presule aretino nelle strutture del regnum, a Città di Castello la componente laica di alto livello mancava completamente, anche per quel-l’oggettivo vuoto di potere che si era venuto a creare nella città e nel suo territorio 14.

Di recente Pierluigi licciardello ha ripercorso le tradizioni relative alla data di consacrazione della cattedrale castellana,

14 scharF, Città di Castello e il suo territorio cit., p. 82.15 P. LicciardELLo, Culto e agiografia di san Crescenziano da Città di Castello a Urbino, in San Crescenziano di Città di Castello cit., pp. 116-117; questa opzione è ribadita in P. LicciardELLo, Un codice della canonica di S. Florido e altri mano-scritti liturgici da Città di Castello, in «Bollettino della Deputazione di Storia Pa-tria per l’Umbria», CIV/1, 2007, p. 56. Dal canto suo, A. maiarELLi, L’episcopato perugino e le istituzioni ecclesiastiche, in La Chiesa di Perugia nel primo millen-nio. Atti del convegno (Perugia 2004), a cura di A. Bartoli Langeli-E. Menestò, Spoleto 2005, pp. 368-369 non si sbilancia, limitandosi a rinviare al 1032 come alla datazione che ha ottenuto maggior seguito tra gli studiosi. Il problema nasce dalla citazione del vescovo Andrea di Perugia (1032-1038) tra i vescovi presenti alla consacrazione della cattedrale, che sarebbe avvenuta al tempo dell’imperatore Enrico II (1001-1024); Licciardello ritiene più plausibile un errore sul nome del vescovo perugino che non su quello dell’imperatore.

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che parlano di 1012, 1023 e 1032, indicando nel 1023 la data più probabile 15. la consacrazione della cattedrale è uno dei capisal-di dell’azione pastorale di Pietro, che fa della rinnovata chiesa il nuovo centro, anche simbolico, della vita diocesana traslandovi le reliquie di san Crescenziano e di altri antichi martiri fino ad allora conservate nella pieve di Saddi. Alla liturgia sono presen-ti pure i vescovi di Arezzo, chiamato a presiederla, Perugia e Gubbio: “la ricostruzione della chiesa cattedrale e il cambio del-l’intitolazione (da San Lorenzo o Santo Stefano a San Florido)” – commenta il licciardello – “testimoniano la rinascita della vita cittadina, tipica dell’XI secolo, ma soprattutto la crescita dell’autorità vescovile sulla città e sulla diocesi” 16. E proprio la crescita di questa autorità è testimoniata, a livello simboli-co, dall’intitolazione della cattedrale al santo vescovo 17 e dalla traslazione delle reliquie dei martiri Crescenziano e compagni dalla pieve rurale di Saddi alla chiesa madre, che in tal modo rafforza il suo ruolo di “luogo simbolo” della città e diocesi.

Gli studi di licciardello e Scharf mettono in luce una fase di ripresa della vita cittadina a ogni livello, nella quale il vescovo esercita un ruolo di primo piano. Fino al punto di cercare in san Florido il modello cui rifarsi: il santo che aveva ricostruito la ci-vitas dopo la distruzione dei Goti, adesso ne diviene il patrono. Nel momento in cui la città e il vescovo “affermano la propria supremazia sul comitato” 18 segno evidente di questa supremazia diventa la cattedrale, nella quale vengono concentrate le reliquie

16 LicciardELLo, Culto e agiografia cit., p. 117.17 la fase di rilancio del culto dei santi Florido e Amanzio si sviluppa dal 1023 al 1077 circa (cioè tra la consacrazione della cattedrale e la redazione della Vita sancti Floridi); nel pieno medioevo il culto dei santi castellani si estende anche alle vicine Arezzo e Perugia (LicciardELLo, Un codice cit., p. 56).18 LicciardELLo, Culto e agiografia cit., p. 117.

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dei martiri in precedenza conservate nella pieve rurale di Saddi, adesso custodite insieme a quelle del patrono, allo stesso tempo vescovo e cittadino, Florido: “nel luogo sacro per eccellenza il santo sacralizza la sua persona, ponendosi in una prospettiva di continuità con i martiri antichi” 19. Una fase, questa, che si apre proprio con l’episcopato di Pietro (1015-1048/1049) e si con-clude con quello di Tebaldo (1071-1101). Un arco cronologico nel quale emerge il legame di Città di Castello con Arezzo, evi-denziato dalla presenza del vescovo aretino alla consacrazione della cattedrale di Città di Castello nel 1023 circa e poi dalla presenza del vescovo castellano alla traslazione dei resti di san Donato nella nuova cattedrale di Arezzo nel 1032 20. Pietro, inol-tre, è presente all’assemblea di cardinali e vescovi nel corso della quale, nel 1037, il vescovo Andrea di Perugia rinuncia a papa Be-nedetto IX i diritti sul monastero perugino di San Pietro 21, segno di un certo legame di Pietro anche con il confratello perugino.

Una figura, dunque, di tutto rilievo, per cui c’è da chiedersi il motivo della polemica lanciata contro di lui da Pier Damiani. l’interrogativo se lo pose già il Muzi, che nel 1842 affermava

Che poi non debba intendersi per il Vescovo Castellano di S. Pier Damiani il sullodato già Vescovo Pietro II lo persuade

19 Ibidem.20 scharF, Città di Castello e il suo territorio cit., p. 82; P. LicciardELLo, Agio-grafia aretina altomedievale. Testi agiografici e contesti socio-culturali ad Arezzo tra VI e XI secolo, Firenze 2005, p. 188; P. LicciardELo, La Vita sancti Floridi di Arnolfo diacono (BHL 3062), in «Bollettino della Deputazione di Storia Patria per l’Umbria», CI/1, 2004, p. 192.21 D. mansi, Sacrorum conciliorum nova amplissima collectio, XIX, Venezia 1774, col. 582 («Petrus Castellensis»). Sul monachesimo in Umbria nell’XI seco-lo cfr. G. sPinELLi, Il monachesimo benedettino in Umbria nell’età di sant’Ubal-do, in Nel segno del santo protettore: Ubaldo vescovo, taumaturgo, santo. Atti del convegno (Gubbio 1986), Perugia 1990, pp. 51-69.

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l’età decrepita, che non è sì facile ad accadere, mentre era già Vescovo nel 1012, e S. Pier Damiani lo nomina nel 1044 e mol-to più perché si è veduto sedere in varj Concili Romani e avea sostenuto molte commissioni ragguardevoli, lo che non sembra convenire ad una persona screditata 22.

Nessuno però, neanche Pier Damiani, ha mai accusato espres-samente Pietro di simonia e un’ipotesi in tal senso è da escludere alla luce di quanto conosciamo. Infatti, il vescovo teodaldo di Arezzo 23, che in occasione di una festa di san Donato pronuncia un discorso polemicamente e ironicamente antisimoniaco, non avrebbe accettato di andare a consacrare la cattedrale di un ve-scovo simoniaco, ricambiando poi il favore invitando lo stesso vescovo alla traslazione delle reliquie del proprio patrono nella propria cattedrale. Insomma, il legame tra teodaldo di Arezzo – che arriva a dire che avrebbe usato la simonia per diventare papa e come tale combattere i simoniaci 24 – e Pietro di Città di Castello è troppo forte per poter pensare a un Pietro simoniaco. Pur restando incerta la data di consacrazione della cattedrale ca-stellana (1023 o 1032), un contatto tra i due vescovi è probabile

22 muzi, Memorie ecclesiastiche cit., II, p. 26. In precedenza non aveva sollevato nessun dubbio sull’argomento F. I. Lazzari, Serie de’ vescovi e breve notizia di Città di Castello, Foligno 1693, p. 37 che però, sulla base dell’Ughelli, conosce solo il documento del 1048.23 Si tratta di Teodaldo degli Attoni di Canossa, figlio del marchese Tedaldo il Vecchio e fratello di Bonifacio, duca di toscana; vescovo di Arezzo dal 1022 al 1036 (LicciardELLo, Agiografia aretina altomedievale cit., pp. 182-188); nel 1027 partecipa al concilio romano che assegna ad Aquileia la sede patriarcale (mansi, Sacrorum conciliorum cit., col. 479).24 LicciardELLo, Agiografia aretina altomedievale cit., p. 185. Il riferimento è alle parole dell’elogio di teodaldo scritto da Donizione, biografo della contessa Matilde, sua nipote: “Mille libras certe pro papatu dare vellem, | Ut, quod ego glisco, Simoniacos maledictos | Eiicerem cunctos per totum denique mundum”; ivi, p. 184).

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La cattedrale di Città di Castello e, sotto, l’entrata laterale (Fototeca Tifernate On Line, www. archiphoto.it).

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almeno nel 1029, quando Pietro, insieme ai vescovi di Porto e di Volterra, è legato di papa Giovanni XX nella controversia tra i vescovi di Arezzo e di Siena per il possesso di alcune pievi 25. Gli altri atti sono qualcosa di ben più profondo di una semplice ‘cortesia liturgica’: non si va a consacrare la cattedrale di un vescovo simoniaco quando si predica contro la simonia; né, in questo caso, si invita un simoniaco alla traslazione delle reliquie del santo patrono della propria città. Gli episcopati di Pietro a Città di Castello e di Teodaldo ad Arezzo presentano signifi-cativi parallelismi: entrambi, ad esempio, coagulano attorno al santo patrono un’embrionale coscienza civica 26.

Scartata l’ipotesi dell’identità del vescovo Pietro con quello cui si riferisce Pier Damiani, il Muzi elimina anche la possibi-lità che esso sia un altro vescovo Pietro, indicato come il terzo con questo nome e documentato nel 1048, quando emana un atto largamente favorevole alla canonica della cattedrale: “un Vescovo così disinteressato e propenso a provvedere gli eccle-siastici addetti al divino servizio” – commenta il Muzi – “non fu certamente quel Vescovo anonimo Castellano indicato da S. Pier Damiani” 27.

Quindi, giudicate insostenibili le ipotesi di identificare con uno di questi vescovi Pietro quello cui si riferisce Pier Damiani, il Muzi ipotizza l’esistenza, tra i due, di un altro vescovo, di cui non conosciamo il nome e che sarebbe stato rimosso o avrebbe

25 Ivi, p. 183.26 In proposito cfr. le osservazioni di LicciardELLo, La Vita sancti Floridi cit., pp. 202-203 (“Nel secolo XI il vescovado aretino, e con lui la canonica, sembrano preoccuparsi di costruire l’unità della città nel nome del santo protettore, unità di cui la figura del vescovo-conte diventa emblema e garante. Un’analoga situazio-ne di ricostruzione urbana è osservabile per lo stesso periodo anche per Città di Castello”).27 muzi, Memorie ecclesiastiche cit., II, p. 29.

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eliminato la situazione di scandalo, dal momento che il Damiani poi continua a riferirsi polemicamente ai vescovi di Pesaro e di Fano, ma non più anche a quello di Città di Castello 28. Questa ipotesi è accolta, nel 1873, da Pio Bonifacio Gams 29.

la teoria di due vescovi omonimi intervallati da un terzo vescovo anonimo è stata recepita e riproposta, oltre un secolo dopo il Muzi, da Angelo Ascani 30 in un elenco che, pochi anni dopo la sua pubblicazione, ha assunto veste ufficiale quando è stato scritto su due grandi epigrafi collocate ai lati dell’ingresso laterale della basilica cattedrale.

Ciononostante, il complesso degli avvenimenti, oggi assai meglio noto rispetto a quando scriveva il Muzi, induce a riget-tare questa ipotesi e a credere che Pier Damiani si rivolga pro-prio contro Pietro, per i motivi che si possono ipotizzare come segue.

Una prima risposta al problema potrebbe venire dal rapporto del vescovo castellano con il suo omologo perugino. Come det-to sopra, infatti, un altro vescovo con cui Pietro si mostra legato è Andrea di Perugia, che proprio a ridosso degli anni in cui Pier Damiani scrive la sua lettera, cioè tra 1046 e 1049, perde il fa-vore del papa che aveva goduto in precedenza 31. Un personag-gio, quindi, il vescovo castellano, dal quale il Damiani avrebbe potuto volere prendere le distanze.

Alla luce degli studi più recenti, la censura rivolta a Pietro da Pier Damiani induce poi a pensare a linee riformatrici diverse. Se il vescovo censurato fosse proprio Pietro, come sembra, ci

28 Ivi, pp. 24-26.29 P. B. Gams, Series episcoporum Ecclesiae Catholicae, Ratisbona 1873, p. 683.30 a. ascani, La Cattedrale tifernate, Città di Castello 1969, pp. 104-105.31 Cfr. maiarELLi, L’episcopato perugino cit., pp. 391-395.

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troveremmo di fronte a “un interessante contrasto fra due anime della stessa riforma, come a dire che essa era possibile anche al di là delle stesse intenzioni del pontefice e del suo stretto entou-rage” 32. Così inteso, il caso di Città di Castello si pone in linea con quanto già evidenziato da Giovanni tabacco e ripreso da Giuseppe Sergi, e cioè il superamento della “netta contrapposi-zione fra conservatori e riformatori” 33, l’abbandono dell’idea di “netta contrapposizione di monasteri riformatori contro vescovi imperiali e simoniaci” 34.

Per dirla ancora con il Sergi, l’XI secolo “fu periodo speri-mentale in cui i vescovi espressero la volontà restauratrice di un impianto diocesano efficiente, mentre i monasteri si fecero portavoce di un impegno religioso più aspro ed esclusivo”; sia stato o meno un preciso disegno di collaborazione – cosa negata dal tabacco – ci troviamo comunque di fronte a “un gioco delle parti, in cui non mancarono casi di contrapposizione, ma non mancarono neppure precisi impegni vescovili in direzione filo-monastica” 35. E soprattutto, non mancano “orientamenti di vera riforma “vescovile” che, pur da posizioni più moderate, si inse-riscono nel grande movimento riformatore non tanto per eman-

32 scharF, Città di Castello e il suo territorio cit., p. 81.33 G. TaBacco, Spiritualità e cultura nel Medioevo. Dodici percorsi nei territori del potere e della fede, Napoli 1993, p. 90 (prima edizione del saggio 1971).34 G. sErGi, Vescovi, monasteri, aristocrazia militare, in Storia d’Italia. Annali, IX. La Chiesa e il potere politico, torino 1986, p. 89; cfr. inoltre G. sErGi, L’ari-stocrazia della preghiera. Politica e scelte religiose nel medioevo italiano, Roma 1994, p. 19.35 sErGi, Vescovi, monasteri, aristocrazia cit., p. 90 e sErGi, L’aristocrazia della preghiera cit., p. 20. Sulla sperimentalità istituzionale dell’XI secolo cfr. G. sEr-Gi, Le istituzioni politiche del secolo XI: trasformazioni dell’apparato pubblico e nuove forme di potere, in Il secolo XI: una svolta? Atti della XXXII settimana di studio dell’Istituto storico italo-germanico (Trento 1990), a cura di C. Violante-J. Fried, Bologna 1993, pp. 73-97.

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cipare le strutture ecclesiastiche dall’influenza laica […] quan-to soprattutto per combattere “l’irrazionalità dell’intero sistema ecclesiastico postcarolingio”36. Una riforma, quella vescovile, che troppo a lungo ha vissuto in una sorta di ‘limbo storiografi-co’, ma che ha avuto un notevole peso, tanto da fare affermare a Glauco Maria Cantarella: “la riforma, la grande riforma, è quel-la aperta dalle chiese episcopali. È la riforma episcopale” 37.

In questo senso a Città di Castello la riorganizzazione della canonica 38 costituisce “solo un aspetto di un processo più ge-nerale, che con la ricostruzione della cattedrale e la fissazione della memoria di Florido volle proporre una nuova immagine di centralità della chiesa nella vita della città e un nuovo modello di santità vescovile, funzionale oltretutto a un irrobustimento politico dell’episcopio, proponendo Florido come pater della civitas”. “Strategie”, queste, che lo Scharf riconduce a modelli circolanti nell’area compresa tra Perugia, Gubbio e Arezzo più che “a impulsi romani” 39. Ci troveremmo, dunque, non tanto a un caso di indegnità morale del vescovo, quanto a un esempio di quel fenomeno che Pierluigi Licciardello definisce “complesso intreccio di poteri concorrenti”, di quella “fluidità di orienta-menti” di cui parla Giovanni tabacco 40; a una di quelle ten-

36 sErGi, Vescovi, monasteri, aristocrazia cit., p. 90 e sErGi, L’aristocrazia della preghiera cit., p. 20; cfr. anche TaBacco, Spiritualità e cultura cit., pp. 75-95).37 G. m. canTarELLa, La riforma ecclesiastica in Romagna, in Pier Damiani e il monastero di San Gregorio in Conca nella Romagna del secolo XI. Atti del con-vegno (Marciano di Romagna 2007), Spoleto 2008, p. 32.38 La canonica di San Florido è documentata a partire dal 1012 (maGhErini Gra-ziani, Storia di Città di Castello cit., II, pp. 52 e 55).39 scharF, Città di Castello e il suo territorio cit., p. 81.40 P. LicciardELLo, I Camaldolesi tra unità e pluralità (XI-XII sec.). Istituzioni, modelli, rappresentazioni, in Dinamiche istituzionali delle reti monastiche e ca-nonicali nell’Italia dei secoli X-XII. Atti del XXVIII convegno del Centro Studi

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denze che Nicolangelo D’Acunto colloca nel contesto “di una pluralità di orientamenti per nulla concorrenti alla definizione o addirittura alla realizzazione di un programma e forse nemme-no disposti lungo quella che potremmo chiamare una linea di tendenza” 41. Una pluralità, questa, già evidenziata dallo stesso tabacco, che analizzando i casi di collaborazione tra vescovi e monasteri nell’ottica della riforma non escludeva i casi di con-flitto legati all’esenzione, alla cura d’anime e al crescente in-tervento papale nelle diocesi 42. Il tabacco sottolineava anche come l’inserimento dei monasteri nella città vescovile “median-te lo stanziamento delle comunità presso basiliche già cattedrali e in sostituzione del clero secolare” avvenga nel quadro di “una prospettiva di conservazione, contrapposta alle “tendenze mona-stiche nuove”, di tipo cluniacense o vallombrosano”. Situazioni, queste, nelle quali lo studioso individuava una contraddizione della presunta concomitanza “fra il potenziamento delle diocesi e il rinnovamento dei monasteri entro una tradizione comune” e il segnale di una tipologia di rapporti tra diocesi e mondo mona-stico ben più complessa e segnata anche da “gravi divergenze e contraddizioni” 43. È ancora il tabacco che permette di formu-lare un’ipotesi nuova, capace di superare la precedente teoria dei due vescovi omonimi intervallati da un vescovo indegno. Nel caso del vescovo Pietro e Pier Damiani, infatti, potremmo essere di fronte a quella che il tabacco, pur nella “impossibilità

Avellaniti (Fonte Avellana 2006), a cura di N. D’Acunto, San Pietro in Cariano 2007, p. 177; TaBacco, Spiritualità e cultura cit., p. 90.41 N. d’acunTo, Considerazioni introduttive, in Riforma o restaurazione? La cri-stianità nel passaggio dal primo al secondo millennio: persistente e novità. Atti del XXVI convegno del Centro Studi Avellaniti (Fonte Avellana 2004), San Pietro in Cariano 2006, p. 10.42 TaBacco, Spiritualità e cultura cit., p. 84.43 Ivi, p. 85.

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di costruire schemi al riguardo”, chiama “impressione di crisi delle circoscrizioni diocesane”, apertamente contrastante con “la realtà della ricostituzione delle diocesi in termini di potenza ecclesiastica” 44.

Più che tra vescovi e monasteri la dialettica pare svilupparsi tra una riforma incentrata sulla Chiesa locale – e i vescovi di questi anni dedicano una grande energia a coagulare la città at-torno al vescovo, alla cattedrale e al santo patrono (vescovo an-ch’esso) – e una che privilegia la dimensione universale del pa-pato. Apparentemente può sembrare una lotta di potere, e questa connotazione non si può escludere del tutto dallo scenario, ma in profondità ci troviamo di fronte a modelli ecclesiologici diffe-renti. Così diversi che, nel nostro caso, possono motivare la cen-sura di un modello da parte dei sostenitori dell’altro. la stessa donazione alla canonica della cattedrale nel 1048 potrebbe esse-re vista – ma è solo un’ipotesi – come una sorta di ‘testamento’, uno degli ultimi atti del vescovo che, ormai in tarda età, vuole assicurare il futuro dell’opera di riforma intrapresa, nell’ambito della quale proprio la canonica riveste un ruolo centrale.

la Chiesa castellana dell’XI secolo mostra, dunque, una ten-denza di riforma basata sulla rivalutazione dell’autorità episco-pale e la valorizzazione della canonica della cattedrale (quindi su di una concezione ecclesiologica diversa da quella di Pier Damiani) più che sull’apertura a correnti monastiche innova-tive. È, forse, questo che Pier Damiani rimprovera al vescovo

44 Ivi, pp. 86-87 e 89. Lo stesso studioso afferma: “diviene persino difficile, a un dato momento, usare i concetti di restaurazione, rinnovamento e riforma senza confonderli […]. Si consideri in special modo che la pluralità delle formule mo-nastiche si complica con la molteplicità degli orientamenti vescovili possibili, in relazione col vigore delle singole tradizioni diocesane e con la cultura e l’efficien-za politica dei singoli vescovi” (ivi, pp. 89-90).

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Pietro 45, per il quale non è da escludere la volontà di mantenere il controllo vescovile sul mondo monastico, al pari di quanto avviene con la canonica. Potrebbe attribuirsi a questa linea la lentezza con la quale correnti monastiche riformate (camaldo-lesi e vallombrosani) si inseriscono in diocesi 46, ma non è da trascurare il fatto che Pier Damiani si muova insieme al papato. I vescovi non accettano di buon grado la sua azione non tanto per fastidio del monachesimo riformato, quanto perché vedono chiaramente come dietro di lui ci sia molto di più, capiscono che il monachesimo è uno strumento usato dai papi per estendere la loro linea di riforma centralistica e il controllo sulle diocesi. Potremmo essere, dunque, di fronte a un complesso confronto tra due linee ecclesiologiche, l’una incentrata sul papa e l’altra sul vescovo.

Particolare importanza, poi, assume lo stretto rapporto tra i vescovi di Città di Castello e Arezzo, legati all’imperatore per tutto l’XI secolo 47. Un elemento, questo, che però viene a com-

45 tuttavia non è da trascurare l’attenzione che il Damiani riserva alla vita canoni-cale comunitaria (cfr. viTaLi, La Chiesa da riformare cit., p. 218-220).46 Sulla presenza del monachesimo riformato di matrice centro-italiana in diocesi cfr. le osservazioni di G. casaGrandE-a. czorTEK, I vallombrosani in Umbria: i monasteri di Città di Castello, in L’Ordo Vallisumbrosae tra XII e XIII secolo. Gli sviluppi istituzionali e culturali e l’espansione geografica (1101-1293). Atti del II Colloquio vallombrosano (Vallombrosa 1996), a cura di G. Monzio Compagnoni, II, Vallombrosa 1999, pp. 854-846. Il primo insediamento vallombrosano, quello di Santa Maria di Oselle, risale al 1090-1101 (ivi, p. 859). Di qualche decennio posteriore la penetrazione camaldolese, con l’acquisizione dei monasteri di Dic-ciano e di Sansepolcro (ma in questo caso l’inserimento camaldolese sarà lento) tra 1133 e 1137 (LicciardELLo, I Camaldolesi tra unità e pluralità cit., pp. 188 e 197 e G. vEdovaTo, Camaldoli e la sua congregazione dalle origini al 1184. Sto-ria e documentazione, Cesena 1994, pp. 96-97).47 Ad Arezzo la riforma del clero, introdotta dai vescovi della prima metà dell’XI secolo, si appoggia fedelmente all’imperatore, e questo è garanzia dell’assenza di divisioni tra il clero almeno fino agli anni ’80 del secolo (LicciardELLo, La Vita sancti Floridi cit., p. 202).

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plicare ulteriormente la questione, dal momento che l’ecclesiologia damianea non si oppone alla Reichskirche (cioè la Chiesa impe-riale) e considera l’impero come un garante della libertà eccle-siastica 48.

Proprio da Arezzo viene un elemento utile a comprendere la vicenda del vescovo Pietro. Nella città toscana alla metà dell’XI secolo il vescovo Arnaldo è il primo vescovo-conte su delega imperiale 49. Se tebaldo era stato un vero riformatore, per intuito suo personale, Arnaldo agisce più politicamente, interessandosi poco alla riforma e, per questo, attirandosi la polemica di Pier Damiani, che lo descrive come “securus, hilaris ac iocundus”. Una personalità certamente complessa la sua: uomo “mondano, carnale e spregiudicato”, secondo Giovanna Nicolaj 50, ma an-che “acuto, vivace, prudente”, secondo Pierluigi licciardello 51. Attento uomo politico, Arnaldo non è simoniaco e non ha gravi colpe contro la Chiesa; ciononostante Pier Damiani dice che è finito all’inferno per un crimine tutto sommato di scarso rilievo, come la sottrazione di un calice a un monastero 52. Apparente-

48 Cfr. viTaLi, La Chiesa da riformare cit., pp. 200-202. “E, tuttavia, queste con-vinzioni non scalfiscono in nulla l’idea – e l’ideale – che competa all’Ecclesia romana il compito di guidare la riforma della Chiesa” (ivi, p. 226); “l’Ecclesia romana non è la Chiesa universale, ma una Chiesa particolare che ha un compito universale” (ivi, p. 228).49 Su di lui cfr. LicciardELLo, Agiografia aretina altomedievale cit., pp. 204-214.50 G. nicoLaj, Storie di vescovi e di notai ad Arezzo fra XI e XII secolo, in Le memorie delle Chiese. Cancellerie vescovili e culture notarili nell’Italia centro-settentrionale (secoli X-XIII), torino 1995, p. 101.51 LicciardELLo, Agiografia aretina altomedievale cit., p. 211. “È un uomo politico che non ha nulla dell’asceta e come uomo politico, tutto dedito ad interessi mondani e incurante della sua anima, l’austero cardinale eremita lo condanna” (ibidem).52 l’episodio è analizzato anche da N. d’acunTo, I laici nella Chiesa e nella so-cietà secondo Pier Damiani. Ceti dominanti e riforma ecclesiastica nel secolo XI, Roma 1999, pp. 221-222.

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mente la condanna è eccessivamente severa, ma probabilmen-te nasconde proprio la diversità di approcci nei confronti della riforma, e il Damiani vuole condannare il vescovo non tanto per l’atto riferito, quanto perché schieratosi su una linea diversa dalla sua. Arnaldo, infatti, è un politico più sensibile al prestigio della sua diocesi e che alla riforma promossa da Pier Damiani, il quale inutilmente si reca spesso ad Arezzo per coinvolgere questa potente Chiesa nella riforma. In lui, infatti, è l’ideale di Chiesa a determinare le scelte “di soluzione pratica” 53.

tutto ciò fa maturare l’ipotesi sopra abbozzata, e cioè che con Pietro di Città di Castello – come poi nel caso dell’aretino Arnaldo, pur diverso – ci si trovi di fronte non tanto a un prelato indegno, quanto a atteggiamento nei confronti della riforma dif-ferente dalla linea damianeo-pontificia 54. Siamo comunque – è bene ribadirlo – nel campo delle congetture, di piste di ricerca ancora tutte da percorrere. Quello presentato in questa sede è solo il tentativo di dare risposta a una questione storiografica forse – come detto all’inizio – destinata a rimanere ambigua an-cora a lungo. le nuove acquisizioni sulla riforma ecclesiastica dell’XI secolo, infatti, se da una parte non permettono di giun-gere a risposte certe a proposito della domanda contenuta nel titolo dell’articolo, dall’altro permettono di seguire una strada diversa da quelle percorse in passato.

53 viTaLi, La Chiesa da riformare cit., p. 198.54 Il coinvolgimento della Chiesa castellana nella riforma è testimoniato dalla pre-senza del successore di Pietro, Ermanno (1050-1059), ad Arezzo nel 1057, quan-do papa Alessandro II lavora a un concilio riformatore per le diocesi dell’Italia centrale; oltre al presule castellano sono ad Arezzo i vescovi di Fiesole e Perugia e due importanti personaggi della linea riformatrice-papale, quali Ildebrando di Soana (che come Gregorio VII sarà destinato a dare il proprio nome alla rifor-ma stessa) e Federico di Montecassino (poi Stefano IX). Sulla presenza di questi personaggi ad Arezzo cfr. LicciardELLo, Agiografia aretina altomedievale cit., p. 212, nota 652.