(2015) - marmi pubblici e marmi privati note in margine ad un recente volume di ben russell

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NUOVA SERIE Rivista del Dipartimento di Scienze dell’antichità Sezione di Archeologia Fondatore: GIULIO Q. GIGLIOLI Direzione Scientifica MARIA PAOLA BAGLIONE, LUCIANA DRAGO, ENZO LIPPOLIS, LAURA MICHETTI, GLORIA OLCESE, DOMENICO PALOMBI, MASSIMILIANO PAPINI, MARIA GRAZIA PICOZZI, FRANCESCA ROMANA STASOLLA Direttore responsabile: DOMENICO PALOMBI Redazione: FRANCA TAGLIETTI, FABRIZIO SANTI Vol. LXVI - n.s. II, 5 2015 «L’ERMA» di BRETSCHNEIDER - ROMA

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nuova serie

Rivista del Dipartimento di Scienze dell’antichità

Sezione di Archeologia

Fondatore: giulio q. giglioli

Direzione Scientifica

maria paola baglione, luciana drago, enzo lippolis, laura michetti, gloria olcese, domenico palombi,

massimiliano papini, maria grazia picozzi, francesca romana stasolla

Direttore responsabile: domenico palombi

Redazione:franca taglietti, fabrizio santi

Vol. LXVI - n.s. II, 52015

«L’ERMA» di BRETSCHNEIDER - ROMA

ISBN CARTACEO 978-88-913-0923-5ISBN DIGITALE 978-88-913-0926-6

ISSN 0391-8165

© COPYRIGHT 2015 - SAPIENZA - UNIVERSITà DI ROMAAut. del Trib. di Roma n. 104 del 4 aprile 2011

Volume stampato con contributo di Sapienza - Università di Roma

Archeologia classica : rivista dell’Istituto di archeologia dell’Università di Roma. - Vol. 1 (1949). - Roma : Istituto di archeologia, 1949. - Ill. ; 24 cm. - Annuale. - Il complemento del titolo varia. - Dal 1972: Roma: «L’ERMA» di Bretschneider. ISSN 0391-8165 (1989)

CDD 20. 930.l’05

Comitato Scientifico

pierre gros, sybille haynes, tonio hölscher, mette moltesen, stéphane verger

Il Periodico adotta un sistema di Peer-Review

p. 1

» 189

» 41» 225

121» 253

» 319» 345

» 75

» 289

» 377

» 417

» 547

» 493

» 615» 519

» 429

acconcia v., Riflessioni sullo sviluppo degli spazi funerari nell’Abruzzo inter-no in età preromana (con un’appendice di ferreri s.l.) ..............................

ambrogi a., Marmi riscolpiti: da rilievo funerario tardo-classico a ritratto tole-maico ...............................................................................................................

biagi f., camilli a., magliaro t., milletti m., neri s., pitzalis f., Un’area di culto nella necropoli etrusca di San Cerbone a Baratti (Populonia-LI) .........

ghisellini e., Due ritratti di bronzo tolemaici nel Museo Archeologico di Firenze .....lejars th., L’épée laténienne du sanctuaire de Junon à Gabies. Les témoigna-

ges archéologiques d’une présence celtique dans le Latium (avec la collabo-ration de bernadet r., conservateur-restaurateur) .......................................

palombi d., Gabii, Giunone e i Cornelii Cethegi ................................................papini m., Augusto tra testi e monumenti: gli ornamenti del santuario di Apollo

Palatino e un serpente sull’Ara Pacis..............................................................pavolini c., La musica e il culto di Cibele nell’Occidente Romano ...................poli n., Per una definizione dello stile tarantino di età arcaica: la piccola plastica

fittile ................................................................................................................vallori márquez b., cau ontiveros m.á., orfila pons m., The Tuscan

temple of Pollentia (Mallorca, Balearic Islands) ............................................Weissl m., «Fuori dalle solite rotte già tracciate». Emanuel Löwy dopo

il 1915..............................................................................................................

NOTE E DISCUSSIONI

anzalone r.m., Kretikon Keimelion. Nota su una testa fittile da Agrigento ...... battistin f., Abitare nella Roma dei Severi. Studio delle tipologie abitative dai

frammenti della Forma Urbis marmorea ........................................................bevilacqua g., Phileros e gli altri: una nuova defixio greca da Roma (con

un’appendice di colacicchi o.) ...................................................................de leonardis v., Ferdinando Mariani: note archeologiche relative all’area set-

tentrionale della pianura subaventina ..............................................................fusco u., A New Mithraic Relief from Veii (with an introduction by boitani f.) ....gilotta f., Da Capua a Marzabotto. Qualche (discussa) testimonianza della

civiltà urbana di epoca tardo-arcaica in area etrusco-italica ...........................

INDICE DEL VOLUME LXVI

articoli

indice del volume lxvi

p. 511» 447» 441

» 575

» 467

» 481» 407» 595

» 661

» 650» 653

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» 655

» 666

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» 643

» 678

» 646

» 683

giovagnoli m., Due nuove iscrizioni urbane relative al mondo degli apparitores ..graells i fabregat r., Herakles’ Thorax .........................................................paolucci g., Un canopo semiedito al Museo Archeologico Nazionale di Atene ......pensabene p., Marmi pubblici e marmi privati. Note in margine ad un recente

volume di Ben Russell ....................................................................................piccinini j., Between Epirus and Sicily: an Athenian Honorary Decree for Alcetas,

King of the Molossians? ......................................................................................pulcinelli l., Monete e circolazione monetaria in Etruria Meridionale nel

III sec. a.C. .............................................................................................sassatelli g., Noterelle su Felsina .....................................................................vismara c., Dalla cremazione all’inumazione (?) ..............................................

RECENSIONI E SEGNALAZIONI

acconcia v., Ritualità funeraria e convivialità. Tra rigore e ostentazione nell’Abruzzo preromano (g. melandri) .......................................................

babbi a., peltz u., La tomba del Guerriero di Tarquinia. Identità elitaria, con-centrazione del potere e networks dinamici nell’avanzato VIII sec. a.C.; Das Kriegergrab von Tarquinia. Eliteidentität, Machkonzentration und dynami-sche Netzwerke im späten 8. Jh. v. Chr. (P.G. guzzo) ...................................

barbet a., Peintures romaines de Tunisie (I. bragantini) ...............................benseddik n., Esculape et Hygie en Afrique, vol. I: Recherches sur les dieux

guérisseurs; vol. II: Textes et images (c. vismara) ......................................boislève j., dardenay a., monier fl. (éd.), Peinture murale et stucs

d’époque romaine. De la fouille au musée. Actes des 24e et 25e colloques de l’AFPMA (I. bragantini) ............................................................................

boldrighini f., La casa di Properzio ad Assisi. Aristocrazie municipali e cul-tura urbana tra la fine della Repubblica e i primi anni dell’età imperiale (f. zevi) ......................................................................................................

brandon c.j., hohlfelder r.l., jackson m.d., oleson j.p. et Al., Buil-ding for Eternity. The History and Technology of Roman Concrete Enginee-ring in the Sea (E. felici) ..............................................................................

cornini g., lega c. (a cura di), Preziose antichità. Il Museo Profano al tempo di Pio VI (B. palma venetucci) .................................................................

pera R. (a cura di), Il significato delle immagini. Numismatica, arte, filologia, storia, Atti del secondo incontro internazionale di studio del Lexicon Icono-graphicum Numismaticae (A. polosa) ..........................................................

spadea r. (a cura di), Kroton. Studi e ricerche sulla polis achea e il suo territo-rio (F. zevi) ....................................................................................................

zuchtriegel g., Gabii I. Das Santuario Orientale in Zeitalter der Urbanisie-rung. Eisenzeitliche und archaische Funde der Ausgrabungen 1976/77 (l. cerchiai) .......................................................................................................

Pubblicazioni ricevute ............................................................................................

MARMI PUBBLICI E MARMI PRIVATINOTE IN MARGINE AD UN RECENTE VOLUME DI BEN RUSSELL

Il volume di Ben Russell, The economics of the Roman stone trade (Oxford 2013), da cui nasce l’occasione di questa nota segna un punto di passaggio nello studio dei marmi usati nel mondo romano: da una storia degli studi prevalentemente incentrata sui marmi “imperiali” cioè sui marmi utilizzati a Roma soprattutto nell’architettura pubblica e nei palazzi imperiali e provenienti da cave controllate dallo stato, si è passati infatti ad una linea ricerca che studia il rapporto tra le città e le proprie cave, non privilegiando dun-que la presenza di marmi “imperiali” nelle varie località dell’impero, ma ponendo sullo stesso piano dal punto di vista dell’analisi storica sia i marmi di importazione che quelli locali: entrambe le categorie concorrono a definire dinamiche socio-economiche ugual-mente importanti, connesse con gli appalti e i rapporti con le amministrazione imperiali e/o quelle locali, la distribuzione e il commercio, la messa in opera, le officine, gli atti di evergetismo imperiale o delle élites locali. Per ricostruire la storia di una città, di un ter-ritorio, di una regione è basilare conoscere anche le condizioni di proprietà delle cave, il tipo di contratti con gli appaltatori che assumevano il compito dell’estrazione, le modalità di approvvigionamento del cantiere, non ponendo una eccessiva distinzione tra le pietre da decorazione e quelle da costruzione, in quanto in molti casi le due categorie si sovrappon-gono. Tutto ciò implica naturalmente uno studio dei sistemi di trasporto ed è noto come proprio la vicinanza di una cava al luogo di impiego ne determini spesso la scelta. Anzi, solo conoscendo le condizioni geologiche di un territorio e le possibilità che esso offriva di pietre di maggiore o minore qualità si ha un aiuto per capire il significato storico che ha l’importazione di marmi da altre regioni o addirittura da altre province. È in questa prospettiva che la presenza o meno di marmi “imperiali” in una determinata città o villa o altro insediamento dell’impero acquista un significa storico.

Nel corso degli ultimi cinquant’anni si è affermata, dunque, la necessità di utilizzare nella ricerca storica del mondo grecoromano anche il contributo che nasce dalla conoscen-za dei marmi: essi rappresentano uno strumento indispensabile per capire come dinamiche storiche, sociali ed economiche si fondino sul prestigio conferito dall’uso dei marmi e delle pietre colorate. La quantità e la qualità dei marmi impiegati sia in architettura sia in scultura consentivano alle città e alle élites di distinguersi per ricchezza e di autrorappre-sentarsi sulla scia della imitatio Augusti.

Ma anche i marmi e le pietre colorate di maggiore qualità non avevano tutti lo stesso prestigio e valore economico: questi erano direttamente dipendenti dalla fama e dalla tra-dizione che li accompagnavano, spesso legate all’uso che se ne era fatto in tempi remoti in Egitto – vd. i graniti, i porfidi e gli alabastri – e in Grecia – vd. il pentelico di Atene e i marmi insulari. È per queste ragioni che la ricerca sui marmi ha avuto come primo obietti-vo quello di determinarne la provenienza: essa è innanzitutto essenziale per la definizione delle officine, delle committenze e più in generale del valore connesso all’uso delle varie qualità. Se per le pietre e i marmi colorati è sufficiente per l’identificazione l’ispezione

ArchCl, LXVI, 2015, pp. 575-593

576 note e discussioni

visuale, in quanto variano notevolmente per colore e composizione, al contrario per i marmi bianchi si è ormai consapevoli come non sia più sufficiente l’osservazione visuale e occorra invece ricorrere all’uso di analisi di tipo archeometrico: esse sono indispensabili perché simili sfumature di bianco e simili dimensioni di cristalli si incontrano in marmi di regioni geografiche differenti. Citiamo ad esempio i marmi bianchi a grana grossa del Pro-conneso (Turchia) e quelli della cava di Almaden de la Plata e di Mija nella provincia della Betica (Spagna) che sono indistinguibili allo sguardo; lo stesso vale per i marmi bianchi a grana piccola delle qualità del pentelico e del Carrara destinati alla statuaria.

Affitti, AppAlti, trAsporti

Il lavoro di Ben Russell si pone dunque in una nuova fase di ricerca sui marmi che valorizza tutti i vari aspetti connessi alla produzione e distribuzione: sono analizzati a fondo i temi delle modalità del trasporto, dell’organizzazione del lavoro nelle cave e nelle officine e del ruolo delle ordinazioni da parte di città, privati e commercianti nel determi-nare stock di manufatti nelle cave, testimoniati da giacenze che secondo l’A. rappresente-rebbero gli “invenduti” e più difficilmente manufatti prodotti in previsione della domanda. Ma l’attenzione su questi aspetti non precludono all’autore problematiche connesse spe-cificatamente al sistema amministrativo e di sfruttamento delle cave messo in moto dallo stato e alla distribuzione dei marmi “imperiali”: essi tra l’altro sono in grado di fornire informazioni utili anche per capire i marmi “non imperiali”, in quanto i blocchi e i fusti destinati a Roma presentano incisi – talvolta anche solo dipinti – marchi di cava costituiti spesso da sigle complesse, che permettono di capire i vari passaggi attraverso i quali i marmi giungevano a destinazione. In tal senso la sua attenzione è particolarmente volta alla nota pratica della locatio conductio, dove appunto è possibile ricostruire attraverso le sigle il sistema con cui le cave funzionali all’edilizia pubblica di Roma erano amministrate per verificare poi quanto tali informazioni aiutano a capire anche la gestione delle cave private o delle città.

Per i distretti marmiferi controllati direttamente dallo stato la ricerca si è diretta fin dagli inizi del secolo passato (basti citare i lavori di Friedländer e di Dubois1) all’apparato amministrativo e alle modalità dell’organizzazione del lavoro, di pari passo avvertendo la necessità di distinguere quando un settore di cava in un determinato distretto era dato in appalto (locatio conductio operis) o invece era dato in affitto a singole imprese (locatio conductio rei): nel primo caso l’appaltatore era incaricato dall’amministrazione di sfrut-tare un particolare settore formato da diversi loci per cui riceveva un compenso, mentre il prodotto era destinato a Roma: tale compenso poteva essere costituito dallo stesso marmo, cioè da una parte della produzione. Nel secondo caso invece l’intero distretto marmifero o parte di esso – a seconda dei periodi o della collocazione delle cave – veniva dato in affitto a personaggi in grado di assumersi la responsabilità finanziaria dei lavori: è da riconosce-re in questi personaggi la figura dei conductores rei che probabilmente disponevano dei marmi estratti e pagavano un canone – si crede costituito di nuovo da parte della merce estratta – allo stato, se era il diretto proprietario del distretto marmifero, o alle città o a privati, se le cave sorgevano nel loro terreno (anche se la proprietà nominale dei prodotti del sottosuolo apparteneva sempre allo stato). Vedremo come in entrambi i casi si possano riconoscere i meccanismi con cui il marmo “imperiale” era immesso nel mercato privato, la cui commercializzazione risulta evidente dalla loro menzione nell’Editto dei prezzi.

1 dubois 1908.

note e discussioni 577

In effetti non è sempre facile distinguere i due differenti sistemi di conduzione, che possono ugualmente incontrarsi in uno stesso distretto marmifero, anche se in differenti periodi e in diversi settori. Innanzi tutto va rilevato che l’imperatore con la sua ammini-strazione, come proprietario del terreno, agiva come locator che autorizzava i conduc-tores a estrarre una certa quantità di marmo, di cui un parte sostanziale era direttamente riservata all’amministrazione. Questa si avvaleva del controllo di procuratores marmorum che supervisionavano i distretti marmiferi, ma che, allo stesso tempo, dipendevano da un procurator capo residente nella statio marmorum a Roma. Altre importanti figure erano i rationarii, generalmente schiavi o liberti imperiali (noti dalla sigla ex ratio seguita da un nome, incisa nei blocchi di cava), che in particolari periodi di necessità di marmi per le costruzioni imperiali a Roma organizzavano in tempi ristretti la raccolta di blocchi e fusti: essi non operavano direttamente sui luoghi di estrazione, ma sia in depositi presso le cave dove erano accumulati i blocchi e i fusti in attesa di essere trasportati, sia ancora nei depositi dove i prodotti delle cave erano stoccati, come quelli di Roma e Porto, o come quelli dei porti da cui le navi partivano per Roma (come Efeso, Alessandria, Cartagine). Il guadagno dei conductores e dei rationarii proveniva dalle rimanenze disponibili della produzione, e consisteva dunque in parte del materiale estratto che non era siglato non essendo destinato a Roma. Tutto ciò spiega perché i marmi delle cave imperiali servivano non soltanto alle necessità della casa imperiale e dell’architettura monumentale di Roma, ma anche a quelle del mercato, evidentemente controllato nel senso che usufruiva di quan-titativi di volta in volta predeterminati: è a tale mercato che le élites si rivolgevano per le attività costruttive nelle province. La relazione tra amministrazione centrale e gruppi di senatori di origine provinciale crebbe grandemente d’importanza sulla base di questi interessi economici, in quanto le élites provinciali agivano a Roma come portavoce presso l’imperatore delle esigenze dei territori da cui esse provenivano

È dall’insieme di tali fenomeni che nasce la necessità di distinguere con precisione l’origine dei marmi usati sia in architettura, sia in scultura: i più prestigiosi – spesso coin-cidenti con quelli che per il periodo romano chiameremo marmi “imperiali”– non erano usati solo nelle regioni in cui si trovavano le loro cave, ma venivano trasportati via mare su navi adattate a tale scopo. Tali trasporti riguardano tutto il Mediterraneo, il Mar Nero, ma anche, in quantità minori, le coste atlantiche da Gibilterra fino alla Britannia.

La trasportabilità dei marmi ha significato la possibilità per le varie officine italiane e provinciali di impiegare marmi anche provenienti da regioni molto lontane dalla loro sede, insieme naturalmente a marmi locali. La scelta di marmi di importazione era dunque dovuta a ragioni di prestigio e quindi alla maggiore disponibilità finanziaria del commit-tente: si citano ad esempio i sarcofagi attici e microasiatici a colonnette prodotti nelle cave della Frigia (Turchia) trasportati in gran numero nella parte occidentale del Mediterraneo. Anche le città collocate all’interno e lontane dal mare, pur disponendo di pietre locali adatte alla decorazione, importavano i marmi più famosi per ragioni di prestigio: fre-quentemente esse investivano grandi somme per le spese di trasporto via terra, i cui costi erano molto maggiori rispetto al trasporto marittimo e fluviale. Questo spiega la grande diffusione di colonne in cipollino dell’Eubea (Grecia), in granito della Troade (Turchia), in breccia corallina dalla Bitinia (Turchia) e soprattutto in granito d’Assuan un po’ ovun-que nell’impero romano: basti citare i tetrapili in granito d’Assuan di Gerasa e di Palmira nell’antica Siria (ora rispettivamente Giordania e Siria) e i propilei in granito d’Assuan e granito della Troade del grande santuario di Baalbek (Libano).

Si è ormai configurato nella storia degli studi un forte interesse per i “carichi di mar-mi”, in quanto forniscono una diretta evidenza non solo delle vie e modalità di trasporto, ma della grandiosità del fenomeno del marmo nell’impero romano. Ben Russell vi dedica particolare attenzione aggiornando il numero dei naufragi finora noti, circa settanta.

578 note e discussioni

Suddivide i carichi di marmi per tipi di manufatti trasportati e propone provvisoria-mente una distinzione per fasi cronologiche:

- in età tardorepubblicana i carichi trasportavano sculture ed elementi architettonici rifiniti o quasi nelle officine attiche produttrici: erano destinati direttamente al commit-tente, senza subire quindi un completamento sostanziale della lavorazione da parte delle officine locali (Mahdia, Spargi); a tale tipo di carichi P. Arata ha dedicato un volume che ne raccoglie le testimonianze. Per questo periodo apparentemente non sono noti carichi solo con blocchi grezzi di cava.

- in età imperiale, invece, sono documentati a partire dall’età giulioclaudia (Porto Nuovo, Saint Tropez) in prevalenza carichi naufragati con blocchi e fusti semilavorati, spesso anche basi e capitelli in varie fasi di lavorazione a seconda del periodo e della destinazione.

trAsporti viA mAre del mArmo lunense

Abbiamo scelto di analizzare in questa sede il caso del marmo lunense a cui Ben Rus-sell dedica particolare attenzione resa possibile dall’intensa attività di ricerca subacquea degli ultimi decenni nella Francia meridionale. Per capire l’ampiezza assunta dalla rete del trasporto e distribuzione dobbiamo considerare che a Roma fino a circa la metà del II sec. d.C. i marmi da destinare all’architettura provenivano in maggioranza dalle cave di Luni, pur essendo iniziata già dal periodo tardoflavio l’importazione del proconnesio che diviene sempre più massiccia a partire da Adriano. Insisterei sul fatto che nelle cave di Luni alcuni settori si erano specializzati nella produzione anche di grandissimi blocchi per creare monoliti adatti ad essere utilizzati come fregi e architravi in templi con inter-columni di più di tre metri, come tra l’altro è attestato da uno dei blocchi rinvenuti nelle cave e trasportati nel museo dell’Accademia di Carrara di m 3,15 × 0,82 × 0,722. Anche in Italia, ove si utilizza il marmo bianco nelle architetture pubbliche, prevale di gran lunga il lunense, ma le importazioni di proconnesio cominciano a registrarsi a partire dall’età tardo neroniana (Pompei) e soprattutto flavia (Aquileia)3. Nelle province occidentali ho potuto riscontrare come sia il periodo augusteo e giulioclaudio quello del massimo utilizzo del lunense, anche se presto inizia lo sfruttamento delle risorse locali di marmi bianchi.

Tale situazione determina continui invii per mare di carichi di lunense, tra i quali giustamente Ben Russell distingue quelli che trasportavano notevoli quantità di blocchi spesso di enormi dimensioni e quelli invece con trasporti di quantità minori, se non di un singolo blocco insieme ad altre merci, e con l’utilizzo di piccoli battelli. Il trasporto poteva avvenire sia tramite navi di grandi dimensioni che potevano essere caricate fino a 300-350 tn e generalmente impiegate per lunghi percorsi – dai porti del Mediterraneo orientale a Roma, o dal porto di Luni alle province occidentali – sia da battelli che trasportavano piccoli carichi da 20 a 100 tn consistenti in un numero limitato di blocchi, talvolta di un solo grande blocco e di lastre.

Possiamo citare nell’area tirrenica settentrionale i blocchi e una colonna per un totale di 50 tn del naufragio di Meloria C4, l’enorme tamburo trovato nel mare di Lerici presso La Spezia5, forse i naufragi di Ladispoli B e Torre Flavia A, se le colonne del loro cari-

2 Cfr. dolci 2003; id. 2006.3 pensAbene 1987; id. 2005.4 bArgAgliotti, cibecchini, gAmbogi 1997.5 dolci 2006, pp. 211-212.

note e discussioni 579

co erano di lunense, e di Capraia D con un carico di blocchi in marmo bianco non ben identificato6. Nelle acque più turbolente delle Bocche di Bonifacio, tra Sardegna e Corsica, che costituivano la rotta più diret-ta tra Italia e Spagna, si hanno i naufragi di Porto Nuovo (Corsica) con 9 blocchi in lunense per 138 tn, di Santa Maria (a est Bocche di Bonifacio) con un ampio cari-co di blocchi di marmo bianco probabil-mente lunense, e di Punta del Francese (a ovest Bocche di Bonifacio) con un altro grande carico di marmi bianchi (di nuovo probabilmente lunense) per almeno 270 tn venendo così a costituire il carico più grande in questa parte del Mediterraneo7. Nelle acque del sud della Francia si ha il naufragio già citato di St. Tropez, con sei enormi tamburi di colonna per un peso di 230 tn. (Fig. 18).

Al secondo gruppo, dei piccoli battel-li, appartengono invece i naufragi di Sain-tes-Maries-de-la-Mer che avrebbero dovu-to risalire il Rodano e distribuire blocchi di lunense ad Arles e in altri centri della Gal-lia, i naufragi di Beausejour (Marsiglia) con un carico di cinque blocchi lunensi per ca 24 tn, di Séte con una colonna e molti blocchi lunensi per 10 tn. Va ancora citato il naufragio di Porticcio A che trasportava una serie di ritratti della famiglia imperia-le, insieme ad un carico di anfore e di vetri da finestra9.

Abbiamo voluto notare la particolare concentrazione dei carichi di piccola e media gran-dezza che si riscontra sulle coste della Francia meridionale perché ci restituisce il quadro di un ampio mercato gallico alimentato con navi di piccolo cabotaggio che trasportavano da Luni, lungo le coste della Liguria, marmi10 per soddisfare le esigenze di un mercato del lunense fortemente in crescita nel I sec. d.C. Anzi, per facilitare le vendite anche di piccole quantità, venivano spesso trasportate lastre direttamente segate che inoltre completavano con la loro relativa leggerezza il carico: lo testimoniano numerosi naufragi da cui risulta che i blocchi erano accompagnati anche da lastre già segate (La Mirande)11.

In quest’area nel tratto di mare tra Port Camargue e Saintes-Maries-de-la-Mer davanti alle Bocche del Rodano, a partire dal 1989 sono stati rinvenuti almeno una trentina di naufragi di navi dal II secolo a.C. al III d.C. (ricerche del DRASSM) che avevano tentato

6 pArker 1992, p. 127.7 gAlAsso 1997.8 Tutte le figure sono ad opera dell’autore. 9 mAssy 2013, pp. 110-114.10 russel 2011, p. 146; id. 2013a, p. 331.11 Ibid., p. 149.

Fig. 1. frejus, giardini. Basi e rocchi di colon-na dal naufragio di St Tropez.

580 note e discussioni

l’entrata nell’imboccatura oggi scomparsa dell’antico Rodano chiamata, come sap-piamo da Plinio (plin., N.H., III, 5) Ostium Metapinum (Rhône de Saint Ferréol), per dirigersi ad Arles e anche per risalire il Rodano. Trasportavano soprattutto anfore, lingotti di piombo, barre di ferro (trovate in 11 naufragi), arredi bronzo, ma tre di essi, rinvenuti a 16-18 m di profondità pro-prio di fronte a Saintes-Maries-de-la-Mer (SM 18, 21, 22) presentavano un carico da cinque a sette blocchi da quattro tonnellate ciascuno; un altro naufragio (rinvenuto a 3 km a largo, ad una profondità di m 14), del I secolo d.C., oltre a blocchi di marmo lunense trasportava un carico di lingotti di piombo e di ferro. Sempre in quest’area, in corrispondenza del naufragio SM 4 è stata rinvenuta nel 1987 ad una profondità di 17 m la testa (h. cm 82) di una statua gigante-sca di Augusto del tipo di Prima Porta (20 a.C. ca.) o dell’Augusto trovato nel teatro di Arles, lavorata in pezzi separati in lunen-se, che si ritiene facesse parte di un carico inviato da Roma (Fig. 2)12. Risulta dunque l’importanza della via fluviale del Rodano nella diffusione dei marmi in Gallia duran-te il I sec. d.C., ma ancora di più emerge l’importanza delle cave di Luni in questo periodo che spiega l’attenzione dell’ammi-nistrazione imperiale ai suoi marmi, per i

quali, presso la statio marmorum di Roma esistevano appositi contabili (tabularii mar-morum lunensium), specializzati dunque nel conteggio e nel controllo dei suoi prodotti13.

produzioni destinAte Alle città e Ai privAti

Affrontiamo ora la distribuzione dei marmi sul mercato privato nel corso dell’età imperiale. Dobbiamo di nuovo considerare i modelli di distribuzione dei marmi, che abbiamo detto variano, a seconda se i marmi erano destinati allo stato o invece alle città e ai privati. Insistiamo come solo in questi ultimi casi i marmi erano acquistati seguen-do le leggi di mercato. Nel caso di una destinazione rivolta all’architettura pubblica di Roma e alle residenze imperiali o nel caso di donazioni imperiali si deve invece pensare soprattutto ai costi del trasporto e del pagamento delle officine marmorarie affrontati dal-lo stato, ma meno a leggi di mercato che regolavano la domanda e l’offerta di manufatti marmorei.

12 long 1999; long et Al. 2008, p. 263.13 Cfr. mAischberger 1997, passim.

Fig. 2. Arles, Museo, dalle “bocche del Rodano”. Testa di Augusto.

note e discussioni 581

Nel caso di marmi acquistati nel mercato, abbiamo potuto rilevare che vi è una diffe-renza tra quelli destinati ai monumenti pubblici delle città e quelli invece alle residenze private. Infatti le relative officine sono diverse in quanto una committenza privata poteva usufruire più facilmente di prodotti disponibili nel mercato locale o provinciale e chiamare un’officina marmoraria composta da poche unità. Una committenza pubblica, invece, per l’arredo e la costruzione dei suoi monumenti, doveva rivolgersi ad officine di una certa grandezza in grado di soddisfare le richieste e spesso affidare l’organizzazione dei lavori ad un curator in genere appartenente alle élites delle città. Vanno distinte le città sul mare da quelle dell’interno poiché le seconde, pur obbligatoriamente o più frequentemente, facevano ricorso alle risorse litiche locali, dati i costi del trasporto, mentre le prime più agevolmente potevano ricorrere ad importazioni: in entrambi i casi gli edifici pubblici, soprattutto delle capitali provinciali e delle città più importanti, implicavano la richiesta di un tale quantità di materiali architettonici e scultorei, di lastre di rivestimento e altro che poteva essere soddisfatta solo da un’organizzazione di officine in collegamento con le cave e, nel caso dei marmi “imperiali” con i centri di distribuzione commerciale da collocare nei porti principali o nei depositi presso le cave. Per i templi erano necessarie colonne ed elementi di trabeazione di grandi dimensioni e in questo senso i casi limite rappresentati dagli elevati giganteschi di città ispaniche e galliche del periodo giulioclau-dio, o microasiatiche del periodo flavio fino a quello severiano, ci testimoniano quanto le grandi dimensioni fossero un importante obiettivo a cui aspiravano le committenze pubbliche; per i teatri si richiedevano colonne di colori diversi da disporre nella scena su due o tre ordini sovrapposti ed è ormai assodato che i fusti monoliti in pietre colorate sono gli elementi più costosi di un arredo architettonico. A ciò si aggiungono capitelli, basi, ele-menti di trabeazione con fregi figurati, ecc., che presuppongono l’ordinazione in cava di blocchi con dimensioni già conformi alla loro destinazione, se non di manufatti, come basi e capitelli, già semilavorati. In questo senso di nuovo giocano un ruolo essenziale le cave “imperiali” dove esisteva più frequentemente la pratica di produrre direttamente manufatti architettonici, non solo colonne (sbozzate direttamente al momento dell’estrazione secon-do una prassi comune nelle cave di marmi adatti ai fusti), ma anche altri elementi come basi e capitelli (cave di Luni – Fig. 3 –, del Proconneso – Figg. 4-5 – ecc.).

Ma qual è più specificatamente il ruolo del curator rispetto a quello dell’architetto e di altri personaggi, come i redemptores, di alcuni dei quali si conoscono i nomi, che si pren-dono cura di un edificio specifico o s’incaricano del rifornimento dei materiali (redempto-res marmorum)? Su tutto ciò Ben Russell, se inizialmente sembra tendere verso un certo modernismo nel presentare la figura dell’architetto come centrale nel processo costruttivo, mostra in realtà di essere ben consapevole di quanto importanti siano i committenti, i vari appaltatori per il rifornimento dei materiali e della manodopera e ancora i curatores operum publicorum nel prendere decisioni che condizionano fortemente la costruzione. D’altronde il ruolo dell’architetto non è sempre lo stesso nel corso dell’età repubblicana e imperiale e sappiamo ad esempio come nelle cave del deserto orientale egiziano esso fosse limitato soprattutto a progettare le macchine di sollevamento dei grandi monoliti.

Non è quindi possibile paragonare la figura dell’architetto romano con quella attuale, anche se in molti capitoli del libro gli stretti paralleli condotti con pratiche del mondo moderno si sono rivelati utili come strumento per capire vari aspetti legati al cantiere, come tempi e costi dei trasporti, della messa in opera, della lavorazione dei manufat-ti, ecc. È vero che talvolta paragonare le condizioni di un trasporto di materiali o altro nell’Irlanda o nell’Inghilterra del XVIII e XIX secolo con quanto presumibilmente avve-niva nell’antichità può sconfinare nel perdere il senso delle diversità dei sistemi politici e sociali tra realtà storiche distanti: si corre il rischio di trascurare quanto l’organizzazione amministrativa imperiale, pur avvalendosi di appalti, affitti di mezzi di trasporto privati,

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varie forme di affidamento dei lavori che interessavano lo stato o le città, controllasse su base “internazionale” e imprimesse le sue regole su tutte le attività lavorative, anche su quelle concernenti i cantieri. È noto come forme effettive di controllo fossero esercitate sui collegi professionali tramite il culto imperiale e il sistema clientelare che li collegava alle élites per mezzo della figura dei patroni,

Tornando al marmo, va ancora distinto il caso di città che dispongono nelle vicinan-ze di cave di marmo in grado di soddisfare le loro esigenze, vedi ad esempio Efeso e le vicine cave dell’area di Belevi, o Italica e le cave di Almadèn de la Plata, e quelle invece

Fig. 3. cArrArA, Museo. Dalle cave, capitello corinzio semilavorato.

Fig. 4. proconneso, lapidario. Dalle cave, base di colonna semilavorata.

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in regioni prive di marmi, come molte delle città della Cilicia, della Lidia, della Siria e della Tripolitania e Cirenaica, o ancora della Sicilia e dell’Italia meridionale, dove erano quasi soltanto cave di calcari e altre pietre locali. Vanno ancora considerati i casi di città nelle quali le intense attività edilizie richiesero un tal numero di marmi e di officine da non potere essere soddisfatte da risorse locali o regionali o all’interno della provincia in cui le città si trovavano. In questo senso è da considerare Roma, che a partire dalla fine del I sec. d.C. ebbe bisogno di ricorrere per l’architettura dei suoi monumenti anche al marmo proconnesio e a officine orientali, non essendo sufficiente per varie ragioni il rifor-nimento di lunense; al pentelico si ricorse per l’architettura pubblica di Roma soprattutto nel periodo flavio, mentre ne continua ininterrottamente l’uso nella statuaria. Ricordiamo anche come la monumentalizzazione di Leptis Magna, Oaea e Sabratha in Tripolitania che si verifica dall’età antonina a quella severiana fosse caratterizzata da un drastico cambia-mento di qualità dei marmi: il pentelico e il proconnesio sostituiscono il Carrara e gli stili decorativi architettonici sono ora dovuti a officine attiche e nicomediensi. Sono dunque abbandonati l’uso dai marmi italici e delle pietre locali e lo stile delle officine di tradizione cartaginese e locale che aveva caratterizzato l’architettura di queste città dall’età augustea a quella adrianea. I rifacimenti dei teatri di Taormina e di Catania nell’ultimo quarto del II secolo segnano ugualmente un radicale cambiamento nella provenienza dei marmi e delle officine (ora di nuovo proconnesio, pentelico e officine attiche e microasiatiche) che si avverte solo dall’osservazione della qualità dei marmi e dello stile della decorazione architettonica, in quanto anche qui, come nella maggioranza dei casi, mancano fonti scritte che informino delle modalità delle ricostruzioni.

La qualità del marmo non è dunque il solo mezzo per meglio conoscere le modalità di scelta delle committenze, ma sono da esaminare lo stile delle sculture e naturalmente il contesto di ritrovamento.

Negli ultimi decenni, a cominciare dagli studi di Ward Perkins, è stata enfatizzata l’importanza di tre principali centri produttori di manufatti scultorei: Atene, Afrodisia e

Fig. 5. proconneso, lapidario. Dalle cave, capitello corinzio semi-rifinito.

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Docimio14, che si erano specializzati nella produzione ed esportazione di sculture di vario genere (statue, trapezofori, bacini, fusti e soprattutto sarcofagi) rivolte al mercato privato: sono noti naufragi che trasportavano sculture attiche (statue e rilievi testimoniati dalle fonti e dai ritrovamenti nelle acque del Pireo) e docimene (carico di Punta Scifo presso Crotone in Calabria).

Iscrizioni indicherebbero che gli artefatti erano prodotti in officine collegate alle cave sia direttamente, sia indirettamente:

- il primo caso si ha in quelle di Docimium e del Proconneso dove le officine lavorava-no in distretti marmiferi interconnessi all’amministrazione imperiale e ai processi estrat-tivi, e nelle cui cave sono stati trovati casse e coperchi sbozzati di sarcofagi. Diversa era però il prestigio e la qualità dei marmi dei due distretti, maggiori per il docimeno, con costi elevati sia del marmo, sia dei trasporti, per una buona parte via terra (dato il peso dei gran-di sarcofagi docimeni a colonnette, dovevano essere utilizzate le stesse vie di trasporto dei fusti di colonna), minori per il proconnesio, anche perché le cave erano sul mare. Questa è una delle cause per le quali si verifica il fenomeno dell’enorme diffusione di marmi archi-tettonici e scultorei provenienti dal Proconneso: i manufatti architettonici prodotti nelle sue cave, sono inoltre facilmente riconoscibili in quanto spesso presenti in regioni dove le forme decorative microasiatiche erano estranee alle tradizioni locali.

- il secondo caso si ha per le officine la cui attività si svolgeva prevalentemente in città dipendenti per il marmo da cave vicine, come Atene e Afrodisia, ma anche Nicomedia in rapporto con le cave del Proconneso. Sono centri questa volta caratterizzati da una produ-zione prevalentemente statuaria e di sarcofagi di lusso, con una predominanza di Atene per il prestigio derivante dalle sue tradizioni

Non si hanno evidenze epigrafiche che le cave di Atene, Afrodisia e Proconneso subis-sero un forte controllo da parte dello stato anche se il pentelico e soprattutto il proconnesio sono utilizzati nell’architettura pubblica di Roma. Solo nel caso delle cave di Goktepe s’in-contrano le tipiche iscrizioni sui blocchi che indicano l’appartenenza o il controllo dello stato: nonostante la loro lontananza da Afrodisia (ca. 70 km), vi è una connessione con gli scultori afrodisiensi rivelata dal fatto che sculture di Roma (gruppo delle Sette Sale dalle Terme di Traiano) attribuibili ad essi si sono rivelate del marmo di Goktepe, ben distinguibile da quello delle cave di Afrodisia per la grana piuttosto fine. Rimane aperta la possibilità che scultori afrodisiensi si siano trasferiti a Goktepe in occasione di ordinazioni della casa imperiale.

Ma anche a proposito del marmo di Goktepe vanno fatte alcune osservazioni. Sono stati resi noti recentemente15 nuovi distretti marmiferi presso Afrodisia, con varie qualità tra cui una simile al pavonazzetto con grana fine e sembra che fonti di marmo nero a grana fine sia-no stati anche disponibili nel territorio di Afrodisia, ad esempio nella regione attorno il vil-laggio di Kirköy, 14 km a SO di Afrodisia, ma pure in altre cave, sebbene non ci siano prove fosse sfruttato nell’antichità: comunque è stata sottolineata la possibilità di altre cave antiche nel territorio di Afrodisia non scoperte finora, il che mi sembra importante per rendere meno rigide le conclusioni dell’uso generalizzato del Goktepe in vista di possibili altre scoperte.

il modello WArd perkins

Da quanto siamo andati dicendo è chiaro che uno dei temi messi in discussione nel volume di Ben Russell è l’esame del modello di Ward Perkins sulla produzione in serie

14 dodge, WArd-perkins 1992, passim.15 long 2012, p. 191.

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di manufatti scultorei in previsione della domanda, che si verifica in particolari periodi storici di enormi richieste rivolte alle maggiori cave16: si tratta di un modello che è stato formulato per spiegare come alcuni tipi architettonici, in particolare i capitelli corinzi ad acanto spinoso che Ward Perkins definiva «marble style capitals» (da me poi denominati capitelli corinzi asiatici), abbiano avuto un tale successo da essere copiati uguali per molti decenni e risultare diffusi in forme e dimensioni spesso identiche un po’ ovunque: le ragio-ni di questo successo sono da ricercare nella facilità della lavorazione e nell’effetto quali-tativo elevato cioè conforme ai canoni decorativi dell’architettura ufficiale. Basandosi su tale diffusione e sulle proporzioni uguali il Ward Perkins ritenne che essi non solo caratte-rizzassero lo stile asiatico, ma fossero stati prodotti in serie nel Proconneso, sviluppando vecchie teorie già enunciate dallo Strigowski, dal Kautzsch e dal Kähler sull’origine da queste cave di esemplari rinvenuti in Occidente. Le officine delle cave, cioè, avevano fatto proprie tradizioni decorative microasiatiche, in particolare vigenti a Efeso e Pergamo, pro-ducendo direttamente nelle cave i capitelli rifiniti e non limitandosi a scolpire semilavora-ti. Il numero di esemplari quasi rifiniti ritrovati nelle cave ne dimostrerebbe la lavorazione non lontano dai siti estrattivi.

Ma la produzione in serie di capitelli e delle basi e la presenza in tantissimi siti del mediterraneo di un numero limitato di tipi non si verifica solo nell’ampio arco cronologico che va dal II alla metà del III secolo, ma anche tra il tardo IV e tutto il V secolo e in età giustinianea quando si affermano nuovi tipi, a dimostrare la stretta relazione tra serialità e programmi architettonici patrocinati dalla casa imperiale. In questi tipi di produzione si registrano come costanti modalità di lavorazione meccaniche e stereotipate volte ad acce-lerare la produzione, ma che non perdono di vista uno standard stilistico confacente alle esigenze dell’architettura di prestigio.

L’esame dei non finiti in cava porta invece Ben Russell, che mi pare non tenga conto dell’enorme diffusione di capitelli corinzi asiatici rifiniti in aree dell’impero prive di cave di marmo, a preferire un altro modello d’interpretazione che nega l’accumulo dei manufat-ti nei magazzini presso le cave in attesa di essere venduto, ma propone che gli esemplari trovati in cava costituiscano degli avanzi di ordinazioni che venivano immagazzinati nelle cave stesse o in depositi strettamente connessi.

Diciamo subito che vanno differenziati i casi degli elementi architettonici e dei sar-cofagi da quello delle sculture figurate. Fusti, basi, capitelli e anche le casse e i coperchi dei sarcofagi erano sbozzati più facilmente in cava in quanto obbedivano nel complesso ad un limitato numero di misure standard e potevano dunque più facilmente essere messi a disposizione degli acquirenti, siano questi officine presso le cave stesse e nelle città vici-ne, dove erano rifiniti, siano invece negotiatores marmorum o gli appaltatori al servizio dei curatori di edifici pubblici che dunque avevano la possibilità di acquistare manufatti semilavorati o anche rifiniti. Le statue, invece, più difficilmente potevano essere prede-terminate in cava in quanto forma, misure e stato più o meno rifinito delle superfici erano maggiormente condizionate dalla destinazione. Per queste Ben Russell, pur accettando l’opinione che non tutte le statue prodotte in cava o in officine dovevano rispondere a precise ordinazioni, ritiene utile distinguere i modi con cui si era formato uno stock intro-ducendo le categoria di accumulazione intenzionale e inintenzionale17: la seconda doveva essere abbastanza comune nelle officine (mancati pagamenti, materiali di seconda mano, stock avanzati comprati da una nuova officina); la prima, invece, presuppone una scelta commerciale basata su una domanda di statue con particolari soggetti mitologici o da

16 Cfr. WArd perkins 1980a, pp. 325-336; id. 1980b, pp. 23-69; fAnt 1993; russell 2013, p. 357.17 russell 2013, p. 313.

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adattare agli standard dei ritratti onorari, in primis quelli degli imperatori, e per una serie di ragioni (prima tra tutte che non sarebbe una operazione economicamente vantaggiosa), si esprimono dubbi sulla “production-to-stock”. All’interno delle sculture prodotte in cava hanno inoltre modalità differente di distribuzione le statue di grandi e medie dimensioni, quelle di piccole dimensioni (comprendenti anche i trapezofori), e ancora i sarcofagi, in quanto le dimensioni e il peso condizionano il trasporto, i costi, i tempi di lavorazione, la disponibilità e le scelte dei compratori. Infatti gli oggetti di piccole dimensioni sono facil-mente trasportabili e più economici anche per l’impiego di una quantità piccola di marmo. In questo caso è possibile pensare ad una produzione in serie, precedente all’ordinazio-ne, se si pensa alla diffusione delle Afroditi nude o di altre divinità ed eroi come Ercole che sicuramente avrebbero trovato un mercato favorevole sia per uso votivo, di arredo, per edicole domestiche, ecc.: lo dimostrano i ritrovamenti di piccole Afroditi sbozzate di giallo antico nella manifattura rinvenuta presso le cave di Chemtou in Tunisia. Per le statue di grandi dimensioni e per i sarcofagi, il loro peso era tale da implicare grosse spese di trasporto, soprattutto quando le cave erano lontane dal mare, come nel caso di quelle frigie, che avrebbero reso sconsigliabile un invio a centri di distribuzione senza un’ordi-nazione preliminare. Il caso può essere diverso nelle cave del Proconneso dove il numero dei sarcofagi semilavorati rinvenuti nelle cave (utilizzati come sepolcri dai marmorari locali) è tale da far ritenere che una produzione in serie di casse semilavorate destinate ai negotiatores marmorum potesse essere una pratica corrente.

Tuttavia la ricostruzione di Ward Perkins riguardava soprattutto la distribuzione dei sarcofagi e degli elementi architettonici e si basava molto sull’osservazione delle dimen-sioni standard dei capitelli, delle basi e delle colonne per cui cave diverse producevano elementi utilizzabili insieme (ad esempio capitelli del Proconneso e fusti di cipollino o di troadense). Inoltre si è detto come la conoscenza delle evidenze archeologiche delle città del Mediterraneo soprattutto orientale, di Roma e dell’Italia meridionale e Sicilia, di Car-tagine ecc., consistenti in centinaia di capitelli e basi uniformi che vanno dal II al III secolo gli avesse permesso di enucleare alcuni tipo ricorrenti in località molto distanti (si veda Siria, Campania, Roma): sono rappresentati da un tal numero di pezzi delle stesse dimen-sioni da far propendere per una produzione serie. Se non possiamo stabilire una relazione puntuale con la produzione di vasellame da mensa, certamente prodotta in previsione della domanda e non su ordinazione (si pensi alla sigillata africana), è forse possibile, ritengo, un accostamento alla produzione laterizia a Roma in particolari momenti storici, quan-do la mole dei progetti edilizia era tale da giustificare una continua attività produttiva e l’utilizzo di mattoni di una stessa figlina e di uno stesso periodo in edifici diversi e di diversa committenza. Questi paralleli portano a ritenere che anche la produzione in serie coincidesse con periodi particolari (vedi ad esempio il rifacimento di quasi tutti gli edifici di spettacolo nel II secolo) e che proprio tale produzione ha determinato il costituirsi di depositi presso le cave dove erano raccolte le eccedenze.

Questo non significa che i settori delle cave del marmo proconnesio o di altre dove era avvenuta tale manifattura fossero direttamente controllati dallo stato. Il presupposto era che il controllo diretto avveniva nel caso di marmi e manufatti destinati all’architettura pubblica di Roma. Nel caso invece di capitelli, come anche di altri manufatti destinati alle città, ai privati (ad esempio sarcofagi) si è di fronte ad un altro tipo di distribuzione, questa volta su canali commerciali: i settori di cave da cui provengono sono probabilmente affit-tati o privati. Questo spiega perché a Roma capitelli corinzi asiatici non sono quasi mai utilizzati nell’architettura pubblica (salvo poche, anche se importanti eccezioni), mentre in altre città italiane si hanno nel II e nel III secolo edifici pubblici o parti di essi del tutto con capitelli asiatici (mercato di Minturno, Tempio di Giove Toro a Canosa, teatri di Taormina e Catania).

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Si è detto come proprio a proposito della “production-to-stock model” Ben Russell sollevi dubbi rilevando come una produzione anche di elementi architettonici non su ordinazione, ma su previsione della vendita poteva rivelarsi antieconomica se poi i manu-fatti non erano venduti. Vanno però fatte alcune considerazioni: innanzitutto il numero abbastanza alto dei manufatti architettonici testimoniati in alcune cave “imperiali” (ma si è detto che anche in queste vigeva il sistema degli appalti e degli affitti a privati), che tra l’altro sono da considerare la punta dell’iceberg in quanto unici superstiti di una pro-duzione molto più ingente. Citiamo ad esempio i fusti di colonne nelle cave di pavonaz-zetto in Frigia, più di un centinaio (dove però finora sono noti solo 3 capitelli sbozzati), i fusti di granito nella Troade e di cipollino in Eubea, i tronconi di fusti, i 17 capitelli e le 6 basi in vari stadi lavorazione nelle cave di Luni18 e i capitelli – almeno 43 – e le basi, di nuovo in vari stadi di lavorazione, del Proconneso19. Tali presenze permettono di sospettare che si è di fronte ad un fenomeno che non rientra esattamente nel concetto moderno di ordinazione, in quanto si deve tener conto del ruolo del governo imperiale nel gestire il flusso delle richieste per poterle soddisfare. In tal senso si può forse citare la corrispondenza tra Plinio il Giovane e Traiano che riguarda l’invio di ritratti imperiali e anche l’invio di architetti per le terme di Claudiopoli20, o il Periplo di Arriano dove si riporta la richiesta a Adriano d’inviare statue di culto di migliore qualità (ne vengono specificate le altezze, di 4 e di 5 piedi) per un tempio di Trapezus sul mar Nero21, in quanto dimostrano la continua attenzione anche su particolari quali la qualità dei ritratti, delle statue di divinità e dei luoghi di culto imperiali che esercita l’imperatore nel campo dell’approvvigionamento dei materiali e delle costruzioni. Le rimanenze nelle cave non sono genericamente da attribuire solo a difetti della pietra in genere testimoniati solo per i fusti più grandi (ad esempio quelli di Kilindroi e di Aetoi in Eubea, del Mons Claudia-nus nel Deserto orientale egiziano, di giallo antico a Chemtou), ma a particolari momenti storici, in cui l’attività edilizia monumentale di alcune parti dell’Impero era talmente intensa da produrre un’accelerazione della produzione su direttive centrali del governo imperiale: è in questi periodi che il confine tra ordinazione e previsione si stempera di fronte alla necessità di far fronte alle richieste delle città che evidentemente dovevano investire forti finanziamenti per l’acquisto e il trasporto dei marmi. La grande espansione monumentale nel Mediterraneo occidentale (Hispania e Gallia) in età augustea e giulio-claudia e nel Mediterraneo centrale e orientale in età antonina e severiana non avrebbe potuto aver luogo, se non fosse stato esercitato da parte dell’amministrazione centrale un certo dirigismo nella produzione, d’altronde nella tradizione del controllo che caratteriz-za il governo imperiale.

Quando invece la destinazione dei manufatti marmorei riguardava soltanto i privati, per le loro residenze e per i monumenti funerari, si può allora parlare maggiormente di tematiche commerciali legate alla domanda e all’offerta e non in previsione della doman-da. Ci si può chiedere se era conveniente per un negoziante di marmi di disporre prima della effettiva richiesta di acquisto da parte di un privato di stock presso i magazzini pronti ad essere lavorati in caso di ordinazione e, dunque, non pagati in anticipo, o se invece gli stock erano radunati solo in funzione di commissioni già ricevute. Ma anche in questo caso la produzione di piccoli gruppi statuari o singole statue in funzione di trapezofori o di arredo di nicchie e absidi dei giardini e delle fontane – di cui esempi sono stati trovati

18 dolci 2006, pp. 220-221.19 AsgAri 1990, pp. 106-126.20 plin., N.H., X, 40. Cfr. mAcmullen 1959, pp. 207-235.21 Arr., Periplus, 1.4-2.1.

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in Grecia, nelle cave di Docimium e nelle officine di Afrodisia – farebbero pensare che una certa produzione di piccoli oggetti avveniva già ad opera di officine presso le cave o nei centri produttori in previsione delle richieste, tanto più se si pensa che la manodopera poteva essere libera tra una commissione e l’altra, e poteva essere utilizzata per produr-re oggetti di misure e tipologie standardizzate, come le piccole sculture, suscettibili di immagazzinamento per una successiva vendita non su commissione. Il piccolo formato di queste statue non richiedeva una grande investimento finanziario e poteva essere facil-mente affrontato dalle officine e dai negotiatores che le compravano. In questo ambito di produzione destinata ai privati l’autore indaga in modo specifico i ruoli del “costumer” e del “carver” proprio sul processo di ordinazione. Per ciò che riguarda il cliente, questi utilizza non necessariamente solo le officine locali, ma anche centri di produzione famosi collocati in località distanti: tale scelta è collegata alla qualità delle opere prodotte, al costo o al prestigio derivante dall’acquisto di sculture rinomate, come ad esempio quelle delle officine attiche. Nel caso di richiesta di sculture ad un’officina locale, il cliente poteva recarsi direttamente da esse. Nel caso invece di officine collocate in famosi centri produt-tori lontani dalla residenza del cliente come Atene o Afrodisia, questi compiva un viaggio apposito o, più frequentemente si rivolgeva a uno “specialist art dealer” (negotiator artis lapidariae). Tuttavia è possibile che presso le officine sia locali che dei centri più famosi si fossero accumulati stock di manufatti sia semilavorati sia semirifiniti, come si può ritenere con una certa sicurezza per quanto riguarda i sarcofagi. Per le statue si deve distinguere tra la presenza di blocchi acquistati dalle officine più spesso sulla base dell’ordinazione, ma talvolta anche in previsione della domanda, da sculture invece da un “secondhand market”, su cui insiste molto Ben Russell. Si tratta cioè di statue di reimpiego che pote-vano essere facilmente rilavorate e derivanti dalla rimozione nel corso del tempo di sta-tue onorarie o anche funerarie dai loro contesti originari22. Nel corso dell’età imperiale inoltre si afferma un processo di produzione differenziato nel tempo. Infatti i corpi delle statue potevano essere scolpiti molto prima dei ritratti, che venivano eseguiti al momento dell’acquisto del cliente che voleva farsi rappresentare o che voleva far rappresentare un determinato personaggio. Lo stesso vale per i sarcofagi di lusso, come gli attici e i doci-meni (prodotti presso le cave di Docimium in Frigia), dove si riscontra che le teste ritratto rimasero non finite, in quanto evidentemente in un primo momento i sarcofagi erano del tutto lavorati tranne che per le teste ritratto che dovevano essere ultimate solo al momento della consegna del manufatto.

Che le officine non producessero soltanto in funzione dell’ordinazione, ma anche in determinate occasioni in previsione della domanda è dimostrato dall’aver rinvenuto durante lo scavo di una grande officina ad Afrodisia dietro l’Odeion, repliche dello stesso gruppo statuario, come quello del Satiro e Dioniso bambino (Figg. 6-7), ma anche statue di divinità: la loro presenza si può giustificare solo se vengono considerati i resti di una produzione in serie, non ancora ordinata da specifici clienti e ritenuta appetibile perché le stesse sculture, in materiali più pregiati, arredavano le residenze imperiali: se ne ha la prova proprio per il gruppo del Satiro e Dioniso bambino ritrovato in due copie di diversa grandezza a Villa Adriana, dove erano scolpite in rosso antico; un’altra viene invece da alcune statue dell’Esquilino databili nel II sec. d.C., ma con firme di Afrodisiensi di IV secolo che giustamente sono stati interpretati come rimanenze di magazzino vendute due-cento anni dopo la loro esecuzione. La nave richiamata nella vita di Apollonio di Tiana23 e molte volte citata nella storia degli studi, che si apprestava a partire dal Pireo carica di

22 russell 2013, p. 314.23 phil., Vita di Apollonio di Tiana, V, 20.

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statue di divinità, dovrebbe testimoniare un’ordinazione di commercianti di sculture fatta alle officine attiche in previsione della domanda: qui però s’inserisce il tema del rapporto tra centri produttori e mercatores, se cioè siano entità del tutto separate o se in determinati periodi la loro relazione era più stretta.

Se si vogliono applicare comparazioni antropologiche con il mondo moderno – ma si è detto è pericolosa questa via – basti osservare come i negozi di statue religiose presso i cimiteri delle città moderne o i negozi di sculture destinate ai presepi (come quelli della via di S. Gregorio Armeno a Napoli) presentino stock di sculture prodotte indipendente-mente da una specifica richiesta, ma in funzione dei gusti della clientela: esse riproducono sempre tipi standard, tradizionali, e mai iconografie poco note.

Ma certamente, quando si tratti di statue fortemente connesse con i miti di fondazio-ne, le divinità, o altro (vedi i ritratti di personaggi locali) di una specifica città non si può che pensare a specifiche ordinazioni a officine esperte e spesso anche alla loro presenza

Figg. 6-7. AfrodisiA, Museo. Dall’officina dietro l’Odeion, due esemplari di satiro con Dioniso bambino.

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nelle città: una statua a grandezza naturale come quella di Antinoo ritratto come Androclo, l’eroe fondatore di Efeso, ritrovata nelle terme-ginnasio di Vedio, non può che essere stata commissionata espressamente (Fig. 8), mentre un’altra statua del Museo di Aquileia, rin-venuta nel deposito di Beligna, di giovane nudo non rifinito, con ancora i punti di riporto del copista24 (Fig. 9), può aver fatto parte di un carico simile a quella della nave del Pireo vista da Apollonio di Tiana e ritenersi un manufatto destinati a negotiatores di statue. Come esempio invece di statue di piccole dimensioni, la cui produzione poteva avvenire presso le cave o nelle officine in previsione della domanda, si possono citare due raffinate sculture alte ca. 40 cm, che hanno sfruttato un stesso blocchetto di marmo bicromo, bianco e blu, che è stato scolpito facendo coincidere la diversità dei colori con parti diverse del corpo: una è stata rinvenuta ad Afrodisia da un’officina presso l’Odeion e rappresenta Europa sul toro (Fig. 10), l’altra a Costantinopoli dai dintorni dell’acquedotto di Valente e rappresenta un gigante anguipede (Fig. 11)25.

24 fAvAretto 1970, p. 186, figg. 18, 19.25 gregArek 1999, p. 143, fig. 7.

Fig. 8. smirne, Museo. Da Efeso, terme-ginnasio di Vedio, Antinoo ritratto come l’eroe Androclo.

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Libro, dunque, importante, questo di Ben Russell, perché rivede, mette in discussione molti dei modelli epistemo-logici con cui era affrontato lo studio dei marmi fin dall’epoca del famoso lavoro di Bruzza del 187026.

Un certo modernismo, a sprazzi inevi-tabilmente permeato di forme di continui-smo dei fenomeni economici, ne pervade il lavoro, che è costellato da una miriade di confronti con altre epoche, da Michelan-gelo al periodo fascista. Tuttavia è anche vero che solo in tal modo si poteva rom-pere una catena di interpretazioni date per assodate per una buona parte della storia degli studi – compresi i miei lavori – del secolo passato.

Si è detto che si sarebbe preferito comunque che nel libro s’insistesse anche sulle modalità con cui l’amministrazione imperiale esercitava il suo controllo non solo sulle attività estrattive, ma anche su quelle relative al trasporto, alla distribu-zione e alla commercializzazione, dato il ruolo dei marmi bianchi (ma ora sappiamo che erano colorati al momento dell’impie-go) e dei marmi e pietre colorati in natu-ra nell’immagine che il potere pubblico e privato voleva dare di sé. L’uso dei marmi consentiva ai fruitori dei monumenti un riconoscimento, diciamo immediato, delle architetture e delle sculture come appro-priate agli standard di prestigio e di lusso, in una parola al decor corrente.

Credo inoltre che non avrebbe nuociu-to estendere in modo articolato i paragoni a realtà non solo post-antiche, ma anche contemporanee all’uso delle cave, in parti-colare a quelle relative alla produzione dei mattoni nelle figline, dove nuovamente si presenta il rapporto tra proprietà imperia-li, dell’élites urbane e i conductores che si occupavano direttamente della produzio-ne, con i relativi temi delle clientele alla base della distribuzione; anche potevano essere ricercate analogie con la produzione della ceramica da tavola e dei contenitori

26 bruzzA 1870; cfr. anche Id. 1877.

Fig. 9. AquileiA, Museo. Dalla Beligna, torso di atleta.

Fig. 10. AfrodisiA, Museo. Da officina presso l’Odeion, Europa su toro in marmo bicromo.

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anforici, dove avviene la commercializ-zazione di prodotti spesso provenienti da praedia imperiali o senatoriali.

Per tutte queste ragioni, rispetto all’impostazione più “liberista” di Ben Russell, preferiamo ancora la formula di un’organizzazione nella distribuzione del marmo controllata dallo stato, ma lasciata nelle mani di privati, che, secondo noi, era alla base della commercializzazione del marmo.

In ogni caso la messe d’informazioni, la loro esposizione vivace, piena di spunti e attenta alle moderne suggestioni nel cam-po non solo specificatamente economico, ma antropologico, cantieristico, anche giu-ridico, fanno dell’opera di Ben Russell un punto di arrivo importante della storia della ricerca sui marmi e dunque di riferimento per i prossimi studi.

pAtrizio pensAbene

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SUMMARY

The aim of this article is to discuss Roman trade and the distribution of marble from the ancient quarries. The first point to consider is the distinction between public and private ownership of the quarries, which is relevant to the acquisition of information on the history of building activities and building promoters in the society of Roman provincial cities. In the course of history a number of studies have stated or taken for granted that the presence of marble coming from workshops associated with the imperial administration in the provincial cities indicated imperial patronage alone. Now, however, new studies on the marks identifying the blocks transported from the quarries, and also the epigraphic documentation available in the quarries, have lead us to believe that the quarry exploitation system was based on the juridical mechanism called locatio conductio rei (the administration leases out the right to quarry to private contractors) or locatio conductio operis (the administration hires private contractors for specific sectors to quarry). For a better understand-ing of the quarry exploitation system the Romans created we also have to distinguish the “impe-rial” marbles, which came from quarries controlled directly by the imperial administration, and the “local” marbles, used for column shafts and decorations, from quarries of private ownership. In the book by B. Russell we observe a certain modernistic view in interpreting phenomena associated with the ancient marble market, but that does not diminish the value of his extensive and deep research.