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DISPENSA DI MICROBIOLOGIA E FERMENTAZIONI

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DISPENSA DI MICROBIOLOGIA E FERMENTAZIONI

Introduzione

Questa dispensa ha lo scopo di fornire strumenti valutativi, metodiche e competenze pratiche di laboratorio finalizzate a svolgere indagini di tipo microbiologico su soggetti ( batteri, lieviti, muffe, microorganismi, ecc…) che sempre più sono utilizzati a livello industriale in processi fermentativi.

La natura dei soggetti che studieremo a livello di dimensioni è tale da non consentirne quasi mai una osservazione diretta. Le dimensioni microscopiche che risultano avere (nella tabella sono riportate le dimensioni di alcune famiglie di microrganismi) richiedono, ai fini di una accurata indagine conoscitiva, una osservazione mediante l’utilizzo di appositi strumenti quali i microscopi e di sovente anche dell’ausilio di tecniche di accrescimento che rendano visibili ad occhio nudo le colonie di tali microorganismi.

Da quanto detto si deduce che, ai fini di un corretto approccio delle indagini di laboratorio, preliminarmente bisogna conoscere e saper utilizzare il microscopio al fine di trarre tutte le informazioni necessarie.

Nonostante esistano diversi tipi di microscopio che riescono via via ad evidenziare particolari di dimensioni sempre più ridotte, noi ci limiteremo allo studio di quello che utilizzeremo in laboratorio: il microscopio composto con o senza il contrasto di fase.

Microscopio

Cenni generali di ottica

Ai fini di una specifica comprensione dei principi che regolano il funzionamento di un microscopio composto e quindi del suo utilizzo consapevole è necessario richiamare alcuni concetti che ce ne spieghino il funzionamento. Visto che tale strumento presuppone l’interazione fra l’oggetto da osservare e la luce, il primo concetto da affrontare riguarda la natura stessa della luce. Secondo i limiti di approccio teorico utilizzati, la natura della luce risulta essere duale: corpuscolare ed ondulatoria.

In una visione ondulatoria la luce risulta essere caratterizzata dai seguenti parametri:

• Lunghezza d’onda λ di solito misurata in nm • Frequenza ν misurata in Hz o s-1

I due risultano legati dalla relazione generale:

c = λν

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che esprime la velocità di propagazione dell’onda considerata in uno specifico mezzo; se tale mezzo è il vuoto o in buona approssimazione l’aria allora c è pari alla velocità della luce per antonomasia pari approssimativamente a 3 108 ms-1.

Propagandosi in un altro mezzo, diverso dall’aria, e più denso di quest’ultima la velocità diminuisce per il diminuire di uno solo dei suoi parametri caratterizzanti, la lunghezza d’onda.

La frequenza rimane la medesima in ogni mezzo attraversato e pertanto risulta essere l’unico parametro che caratterizza univocamente un’ondo che lungo il suo tragitto incontri materiali differenti.

Il raggio r che propagandosi incontri due materiali a differente omogeneità ha nei due materiali velocità diverse come schematizzato nella figura sottostante

aria/vuoto vetro

c v

il rapporto fra le due velocità, di cui c risulta sempre il maggiore, definisce un parametro di notevole importanza, l’indice di rifrazione assoluto del mezzo che indichiamo con n; si ha pertanto

n = c / v

che esprime l’entità del “rallentamento” che una radiazione luminosa subisce nell’attraversare un mezzo denso. Se la radiazione che attraversa mezzi a differente densità incide sulla superfice di separazione dei due perpendicolarmente allora si rallenta solamente ma mantiene la medesima direzione, altrimenti se rispetto alla normale al punto d’incidenza della superficie si forma un piccolo angolo allora il raggio luminoso non prosegue per la medesima direzione ma viene deviato.

Tale fenomeno prende il nome di rifrazione ed è in grado di spiegare le proprietà di molti apparati ottici.

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La legge che ne quantifica gli effetti è quella di Snell

n1sin i = n2 sin r

dove n1 è l’indice di rifrazione del mezzo da cui proviene l’onda, i è l’angolo d’incidenza di tale raggio rispetto alla retta normale alla superficie in cui il raggio colpisce il mezzo, n2 l’indice di rifrazione del mezzo in cui il raggio si rifrange e r l’angolo che assume la nuova direzione del raggio rispetto alla normale prima definita.

Queste considerazioni sono sufficienti per giustificare l’effetto indotto sui raggi luminosi che attraversano ad esempio le lenti di vetro di un microscopio.

Quello che accade infatti è una serie di due rifrazioni successive che avvengono rispettivamente fra la prima superficie di separazione aria/vetro e a seguire sulla superficie vetro /aria; ciò provoca l’effetto complessivo di deviare il raggio originario dalla sua direzione ad una nuova con le conseguenze che ora discuteremo e che schematizziamo come segue utilizzando una lente biconvessa:

Valutiamo ora gli effetti che tale fenomeno comporta. Per fare questo utilizziamo gli strumenti interpretativi che ci fornisce l’ottica geometrica una teoria che, limitata a precisi ambiti, spiega con sufficiente semplicità e precisione la fenomenologia trattata.

I presupposti di validità di tale teoria, che solo fra l’altro la principale causa dei suoi limiti. sono:

• assenza di fenomeni di diffrazione (caratteristici delle onde) • assenza di fenomeni d’interferenza (caratteristici delle onde) • monocromaticità della radiazione ( medesima frequenza) • permanenza del comportamento rifrattivo nell’attraversamento di materiali differenti

da quanto detto si capisce bene che i fondamenti di tale teoria presuppongono una visione della luce di natura corpuscolare e non ondulatoria e che un raggio luminoso sia da considerarsi come un treno di piccoli corpuscoli che si muovono seguendo una direzione rettilinea in un mezzo omogeneo come palle da biliardo in moto, l’unico caratteristica che tradisce il carattere ondulatorio rimane la rifrazione.

Tutti i presupposti sopra citati mantengono la loro validità nell’ambito fenomenologico da noi trattato, tanto da consentirci di poter applicare proficuamente i contenuti di tale teoria alle osservazioni condotte al microscopio.

direzione raggio incidente direzione raggio incidente perduta

normale alla sup. nel punto d’incidenza

direzione raggio incidente sulla lente

direzione raggi rifratti

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Infatti gli ambiti operativi prevedono:

• Interazioni luce-materia con oggetti di dimensioni decisamente più grandi rispetto alla lunghezza d’onda delle radiazioni luminose incidenti pertanto nulli i fenomeni diffrattivi, interferenziali e diffusivi.

• Omogenità e quindi isotropicità dei mezzi in cui le radiazioni luminose si propagano.

L’ottica geometrica può essere considerata come un metodo per la costruzione delle immagini quando i raggi luminosi generati da una sorgente interagiscono con lenti o specchi.

Definiamo allora alcuni concetti che ci serviranno più avanti.

Sorgente: oggetto puntiforme che irradia luce propria o riflette quella che lo colpisce. Un qualunque oggetto di dimensioni finite si può sempre rappresentare come un insieme continuo di oggetti puntiformi ognuno dei quali emette o riflette la propria immagine nella regione di spazio che gli è consentita. A fini puramente esemplificativi tratteremo il caso più semplice di un oggetto puntiforme che emette radiazioni e considereremo poi un oggetto complesso come una generalizzazione di quanto ricavato da questo caso considerandolo un insieme di tante sorgenti puntiformi emettitrici. Nel caso rappresentato la sorgente S irradia in tutte le direzioni ed un osservatore

che si trovasse a girarle intorno la vedrebbe da ogni posizione. Le frecce nere che abbiamo tracciato rappresentano i raggi luminosi che trasportano nel loro tragitto l’immagine di quello che li ha originati e pertanto nel nostro caso la sorgente S. date le caratteristiche della sorgente tutti i raggi hanno un’origine in comune e sono pertanto omocentrici. Chiunque intercetti questi raggi percepisce l’immagine che essi trasportano dell’oggetto che a monte li ha generati.

Applichiamo quanto detto ad un oggetto reale fatto da infiniti punti ognuno dei quali immaginiamo si comporti come una singola sorgente . Individuiamo per semplicità i soli tre punti che chiamiamo S,S1,S2 che irradiano nella zona circostante ad esso. Identificando per essi una sola direzione di propagazione fra le molteplici di emissione luminosa e rappresentiamola con una freccia blu. Per i tre punti individuati avremo r, r1, r2 ognuno dei quali trasporta l’informazione della sorgente che lo ha generato. L’intera l’immagine dell’ oggetto si ottiene ricomponendola punto per punto. Definiamo ora con più precisione cosa intendiamo per immagine di un oggetto; infatti oggetto e immagine non sono da considerarsi sinonimi poiché uno costituisce una entità tangibile che genera radiazioni luminose e le propaga nello spazio circostante, mentre l’immagine possiamo considerarla come la” percezione” nello spazio dell’oggetto che l’ha generata. Essa comunque si forma ed è nitida solo quando tutti i raggi che

S

x

x

s

s2

s3

r

r2

r3

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trasportano le informazioni della sorgente che li ha generati convergono in un solo punto. Se quanto detto vale per ogni dell’oggetto allora l’immagine è nitida altrimenti risulterà sfuocata. Facciamo un esempio utilizzando l’immagine riflessa di una sorgente puntiforme posta davanti ad uno specchio come in figura. Nel caso riportato la sorgente reale O emette in tutte le direzioni i raggi (frecce arancioni) che colpiscono la superficie dello specchio e si riflettono giungendo all’occhio di un osservatore che li percepisce e li identifica con la sorgente. In realtà quello che l’osservatore vede è la percezione di una immagine che proviene oltre la superficie dello specchio ove realmente c’è il muro. L’immagine percepita è quella che si ottiene prolungando i raggi che si riflettono fino al punto in cui tutti convergono. In questo modo il comportamento è identico a quello di una sorgente posta in quel punto, nel senso che se si togliesse lo specchio e lo si sostituisse con una sorgente reale posta in quella posizione la percezione sarebbe la medesima. Una immagine di questo tipo, che si ottiene prolungando la direzione dei raggi anche in senso contrario al verso di propagazione fino a giungere al punto in comune dove tutti convergono prede il nome di immagine virtuale.

Definiamo ora le lenti che sono sede di fenomeni rifrattivi. Una lente è un sistema diottrico in cui il primo e l’ultimo mezzo sono uguali (generalmente aria, n≈1) e il mezzo intermedio (vetro ottico, n > 1) è limitato da due superfici sferiche (una delle quali può anche essere piana).

In figura sono schematicamente disegnati vari tipi di lenti. In alto, da sinistra: lente biconvessa, lente piano-convessa, menisco convergente; lente biconcava, lente piano-concava e meniscodivergente. La lente che utilizzeremo negli esempi che seguono è perlopiù la biconvessa con i raggi che definiscono la curvatura delle sue superfici molto più grandi rispetto allo spessore della lente stessa e che presenta un asse di simmetria longitudinale che la taglia idealmente a metà che chiamiamo asse ottico. Della lente ora descritta immaginiamo sia attraversata da un fascio di raggi paralleli all’asse ottico come in figura e osserviamo ciò che avviene:

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F A causa dell’effetto rifrattivo tutti i raggi convergono in un unico punto detto fuoco F della lente che rappresenta il punto sull’asse ottico dove un osservatore percepirebbe l’immagine di un oggetto sorgente puntiforme posto all’infinito. Pertanto il fuoco è il punto in cui si forma l’immagine reale di un oggetto posto a distanza infinita. Una lente ha per simmetria sempre due fuochi F1 e F2 posti da parti diametralmente opposte ad una certa distanza (eguale per i due fuochi) sull’asse ottico dal centro della lente. Tale distanza, chiamata distanza focale, aumenta con l’aumentare dello spessore della lente. In una lente posso sempre trovare due punti in cui le tangenti alla superficie della lente sono parallele. Congiungiamo questi due punti e chiamiamo O il punto di intersezione con l’asse ottico. Essendo parallele le tangenti, saranno paralleli anche i raggi e quindi anche il raggio entrante e quello uscente. O è il centro ottico: i raggi passanti per O non vengono deviati ma solo spostati. Per lenti sottili, quali sono le nostre, si può ritenere che il centro ottico si trovi centro della lente punto d’intersezione fra l’asse di simmetria trasversale e l’asse ottico, e che i raggi passanti per esso non vengano ne’ deviati ne’ spostati. Costruzione grafica delle immagini Per costruire l’immagine di un oggetto si possono usare soltanto tre degli infiniti raggi che una sorgente irradia: quello parallelo all’asse ottico che ha come immagine il raggio passante per il secondo fuoco (1), quello che passa per il centro ottico, che non viene deviato (2) e quello passante per il primo fuoco che ha

come immagine il raggio parallelo all’asse ottico (3). Con la stessa lente l’immagine è reale o virtuale a seconda della posizione dell’oggetto. Quanto specificato per il punto che definisce la punta della freccia si puà ripetere per qualunque altro punto ottenendo così l’intera immagine dell’oggetto.

Da notare che nel punto che caratterizza la punta della freccia gialla (immagine reale) convergono tutti i raggi che, emessi dalla punta della freccia oggetto, attraversano la lente. L’immagine nitida si può solo

O O

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formare in quel punto a quella particolare distanza rispetto al centro ottico lungo l’asse ottico, se si provasse a spostare uno schermo più avanti o più indietro non si otterrebbe un’immagine coerente ma bensì sfuocata dell’oggetto per la mancata convergenza di tutti i raggi che trasportano l’informazione

della sorgente comune da cui sono partiti. Ingrandimento degli oggetti Consideriamo ora alcuni casi particolari di oggetti osservati attraverso lenti posti a diverse distanze dal

centro ottico sull’asse ottico. Caso A in cui l’oggetto è posto ad una distanza superiore al doppio di quella focale l’immagine percepita risulta essere reale rimpicciolita e capovolta. Più ci si allontana dal centro ottico e più l’immagine si

rimpicciolisce. Caso B in cui l’oggetto si trova ad una distanza doppia rispetto a quella focale lungo l’asse ottico. Otteniamo per costruzione geometrica un’immagine che è reale capovolta con le medesime dimensioni

dell’oggetto che l’ha prodotta. Caso C in cui l’oggetto è posto fra 2F e la distanza focale. In questo caso quello che si ottiene è un’immagine reale capovolta ed ingrandita dell’oggetto. Questa sicuramente è una condizione vantaggiosa ai nostri fini perché “ amplifica “ la visione dell’oggetto

mettendo in risalto i dettagli di cui è costituito e consentendone così una visione ingrandita. In questo modo erano costituiti i primi microscopi cosiddetti semplici perché appunto costituiti da una sola lente. Successivamente l’evoluzione è stata quella di accoppiate l’effetto d’ingrandimento combinato di due lenti e la situazione di questo caso risulta essere

l’obiettivo del microscopio composto. Caso D in cui l’oggetto si trova ad una distanza precisamente uguale a quella focale. In questo caso la costruzione geometrica porta ad evidenziare che i raggi che oltrepassano la lente non convergono mai perché paralleli e pertanto non si può avere nessuna formazione d’immagine su nessuno schermo posto a qualunque distanza ( sempre sfuocata). Rimane un ultimo caso E in cui l’oggetto è posto ad una distanza minore di quella focale, ciò porta alla

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formazione di una immagine virtuale ingrandita dell’oggetto che risulta trovarsi nel medesimo semispazio dell’oggetto che l’ha generata. Questa evenienza viene sfruttata nel microscopio composto e ne costituisce l’oculare. L’effetto combinato di obiettivo ed oculare portano alla visione successivamente ingrandita che ci consente di visualizzare particolari decisamente microscopici degli oggetti che si vogliono osservare. Meccanismo di visione oculare Per comprendere bene quale risulti esere la visione di un oggetto non si può prescindere dal comprendere come funzionano i nostri ricettori visivi gli occhi.

Semplificando l’occhio puo essere visto come una lente a distanza focale variabile con uno schermo su cui le immagini si percepiscono, la lente è costituita dal

cristallino che attraverso i muscoli ciliari ne producono l’inspessimento o l’assottigliamento variandone così la distanza focale. Lo schermo sul quale si materializzano le immagini è costituito dalla retina che grazie ai ricettori visivi di cui è costituito invia al cervello la percezione visiva catturata. Schematicamente la situazione è quella riportata in figura dove si mostra il caso di un oggetto di dimensioni definite posto a due differenti distanze e se ne evidenzia l’immagine percepita. Da quanto detto si comprende che l’mmagine che si forma sulla retina è capovolta e che noi non ce ne accorgiamo perché il cervello la rielabora raddrizzandola. La capacità dell’occhio di variare la distanza focale ha un limite che ha come effetto quello di non poter mettere a fuoco oggetti posti ad una distanza inferiore a quella limite, tale distanza prende il nome di punto prossimo ed e la ragione per la quale un oggetto microscopico non può essere percepito ad occhio nudo. Infatti per essere visto dovrebbe essere avvicinato al’’occhio ben olte il punto prossimo e pertanto il cristallino non riesce ad adattare la propria distanza focale per produrre un’immagine sulla retina. La spiegazione del meccanismo che porta alla visione di un oggetto mediante una lente diviene quindi quella riportata qui a fianco dove si comprende bene l’entita dell’ingrandimento prodotto.

Accopiando poi i due sistemi visti in precedenza dati da obiettivo e d oculare si ottiene una visione ulteriormente ingrandita nella quale l’immagine prodotta dall’obiettivo viene ulteriormente

F

F

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ingrandita dall’oculare producendo un ingrandimento complessivo pari al prodotto dei due ingrandimenti quello prodotto dall’obiettivo e quello ulteriore che

produce l’oculare. Per ingrandimento si intende il valore numerico del rapporto fra la dimensione dell’immagine percepita e quella dell’oggetto reale. La visione che si ha dell’oggetto è quella di un’immagine virtuale ingrandita secondo lo schema indicato. Sugli obiettivi è sempre riportato il valore dell’ingrandimento assieme ad altri che ne definiscono le caratteristiche salienti. Una di queste è sicuramente il potere di risoluzione, tale parametro specifica la capacità di vedere distinti due particolari microscopici osservati che effettivamente lo sono. Infatti obiettivi con un basso potere di risoluzione producono un’unica immagine di due particolari che nella realta sarebbero distinti fra loro. Il valore numerico che esprime la risoluzione indica la minima distanza che il sistema ottico riesce a risolvere. Oggetti posti ad una distanza minore non sarebbero distinguibili. Il potere di risoluzione è definito da:

2𝑛 𝑠𝑖𝑛 𝜗𝜗𝜆𝜆

dove: 𝜆𝜆 lunghezza d’onda della radiazione utilizzata per illuminare il campione; essa deve essere inferiore alla distanza tra due oggetti affinché essi possano essere visti separati, cioè risolti; n sen 𝜗𝜗 apertura numerica, AN, della lente obiettivo; n indice di rifrazione del mezzo interposto fra il campione e la lente obiettivo; 𝜗𝜗 metà dell’ampiezza angolare del cono di luce raccolto dalla lente obiettivo. Per aumentare il potere di risoluzione, cioè per far sì che il suo

valore numerico sia il più grande possibile, occorrerà dunque: ridurre il denominatore, cioè usare radiazioni a bassa lunghezza d’onda, compresa nell’estremità blu dello spettro luminoso (intervallo 450-500 nm); a tal scopo si può utilizzare la luce violetta o frapporre un filtro violetto davanti alla radiazione visibile emessa dalla sorgente luminosa del microscopio. Non è invece possibile utilizzare una sorgente che emetta radiazioni nel campo dell’ultravioletto perché verrebbero completamente assorbite dal vetro con cui sono costruite le lenti dei normali obiettivi; aumentare il nominatore, cioè aumentare l’apertura numerica dell’obiettivo (n sen 𝜗𝜗), agendo sulle due grandezze n ed 𝜗𝜗 che la determinano: per aumentare l’angolo 𝜗𝜗 è possibile diminuire la distanza frontale o distanza di lavoro, cioè la distanza tra l’obiettivo e il campione sul portaoggetti, come mostra la seguente figura:

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per aumentare l’indice di rifrazione n è possibile frapporre fra il vetrino coprioggetto e l’obiettivo un mezzo avente un indice di rifrazione maggiore di quello dell’aria (n aria ~ 1,00). Infatti, dato che sen 𝜗𝜗 non può essere superiore a 1 (il valore massimo di 𝛼𝛼 è 90° e sen 90° è 1), nessuna lente che opera in un mezzo di propagazione come l’aria può avere un’apertura numerica superiore a 1. Il solo modo per ottenere un’apertura numerica superiore a 1 è quello di mettere tra il coprioggetto e l’obiettivo un olio da immersione (in genere si utilizza olio di legno di cedro) avente un indice di rifrazione pari a 1,515 che, essendo molto vicino a quello del vetro (circa 1,550), consente ai raggi che lo attraversano di non deviare eccessivamente, minimizzando così l’effetto di riflessione delle radiazioni quando passano da un mezzo più denso, vetro, ad un mezzo meno denso, aria. Si utilizzano per questo scopo i cosiddetti obiettivi ad immersione in olio. Su di un obiettivo sono posti altri valori numerici che qui sotto nella figura sono schematizzati.

Solitamente la lunghezza fisica degli obiettivi è differente al variare del loro ingrandimento e ciò è dovuto al fatto che si vuole ottenere la parafocalità dell’immagine. Ciò significa che se si osserva un oggetto con un obiettivo e si vuole passare alla visione con un altro con un differente ingrandimento non è necessario rimettere a fuoco l’immagine. Altro particolare di estrema importanza è la dimensione del campo ottico che risulta essere collegata all’ampiezza del superficie osservata con un particolare obiettivo. Il campo ottico passando da obiettivi a basso ingrandimento a quelli ad ingrandimento via via maggiore diminuisce e pertanto conviene sempre partire con le osservazioni da obiettivo con basso ingrandimento ( detti

per questo motivo esplorativi) per poi successivamente, una volta centrato il particolare che si vuole osservare passare ad un ingrandimento superiore, evitando il rischio che possa andare fuori campo.

Quanto detto e ben schematizzato nella figura dove si riportano i vari campi ottici di un particolare osservato quale la superfice superiore di un parallelepipedo a vari ingrandimenti. Lo schema mostra come la messa a fuoco di un oggetto a differenti profondità di campo riveli la sua struttura. Se osservate un preparato spesso ad alto ingrandimento (40x o 100x), potete usare questo procedimento per esaminarne la struttura a varie profondità di campo.

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Elementi costitutivi di un microscopio 1. Sostegno a piede - Base di metallo pesante su cui poggia tutto lo strumento e ne assicura una perfetta stabilità. Al suo interno è collocato il sistema di illuminazione. 2. Tavolino portaoggetti - Piano mobile posto tra due morsetti, con la funzione di sostenere il preparato da esaminare posto sopra ad un vetrino per microscopia. ha un’apertura centrale che consente il passaggio dei raggi luminosi provenienti dalla sorgente. 3. Traslatore - Congegno a vite situato a sinistra del tavolino che consente di spostare il preparato sul piano orizzontale lungo l’asse x (vite inferiore) e lungo l’asse y (vite superiore).

4. Tubo portalenti – Sostegno metallico sulla cui parte superiore sono collocati gli oculari, mentre nella parte inferiore è fissato il revolver portaobiettivi. 5. Regolazioni di messa a fuoco - Sistema di manopole coassiali situate sia a destra che a sinistra del tubo portalenti, il cui movimento sposta il tavolino portaoggetti in senso verticale, che, avvicinandosi od allontanandosi dall’obiettivo permette la messa a fuoco del preparato collocato sul tavolino lungo il percorso luminoso. Si distinguono: vite macro metrica: manopola esterna più grande, la cui rotazione in senso orario alza verticalmente il tavolino e lo abbassa in senso antiorario di grandi spostamenti fino a raggiungere approssimativamente il fuoco dell’immagine; vite micrometrica: manopola interna più piccola, la cui rotazione in senso orario alza verticalmente il tavolino e lo abbassa in senso antiorario di piccoli spostamenti fino a raggiungere la perfetta messa a fuoco (fochettare l’immagine). Sistema di illuminazione Comprende tutti quei dispositivi atti a illuminare il preparato collocato sul tavolino portaoggetti e a controllare la misura del cono di luce che entra nell’obiettivo. È costituito da: 6. Trasformatore – serie di bobine accoppiate e raddrizzatori che trasformano la tensione di rete (220 V) nella tensione con cui è alimentata la lampadina (6V).

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7. Sorgente luminosa - Lampadina con filamento di tungsteno (emette radiazioni luminose nel campo del visibile) ad intensità luminosa regolabile mediante apposito potenziometro situato vicino all’interruttore di accensione. 8. Specchio riflettente - Superficie speculare che raccoglie i raggi luminosi provenienti dalla sorgente e li dirige verso il tavolino portaoggetti. 9. Diaframma di campo – Condensatore - Lenti collocate tra lo specchio riflettente e il tavolino portaoggetti che hanno lo scopo di concentrare il fascio di luce proveniente dallo specchio sul piano dell’oggetto da osservare sotto forma di con luminoso. 10. Diaframma ad iride - Posto tra lo specchio e il condensatore, serve a regolare la quantità di luce utile che entra nell’obiettivo. Accensione e regolazioni iniziali

• Premere il pulsante di accensione e, osservando attraverso gli oculari, regolare l’intensità luminosa attraverso il potenziometro posto nelle vicinanze del pulsante di accensione.

• Regolare gli oculari in base alla propria distanza inter pupillare allargandoli o restringendoli fino a quando, avvicinando gli occhi agli oculari, i due campi luminosi non si sovrappongono perfettamente.

Collocazione del vetrino

• Pulire il tavolino portaoggetti con carta inumidita di alcool etilico denaturato. • Aprire il gancio di fissaggio e collocare il vetrino sul tavolino porta oggetto con il preparato rivolto

verso l’alto. • Ruotare le viti di traslazione del tavolino sul piano orizzontale poste sulla sua sinistra (vite inferiore:

traslazione lungo l’asse x; vite superiore: traslazione lungo l’asse y) fino a quando la sezione del preparato che deve essere esaminata si trovi il più accuratamente possibile sul foro al centro del tavolino attraversato dal fascio luminoso.

Messa a fuoco con l’obiettivo a secco a basso ingrandimento

• Alzare completamente il condensatore sotto al portaoggetti. • Aprire il diaframma di apertura a iride fino a quando il bordo del diaframma non scompaia dalla

vista. • Ruotare il revolver portaobiettivi fino a portare sul percorso ottico l’obiettivo a più basso

ingrandimento possibile (generalmente 3,2x o 4x), facendo attenzione a non toccare le lenti con le dita.

• Osservare l’obiettivo lateralmente e alzate il tavolino mediante la vite macro metrica (in senso orario il tavolino si alza; in senso antiorario il tavolino si abbassa) fino a quando l’obiettivo si trova a circa 2 cm dal vetrino portaoggetti.

Attenzione: si può indifferentemente agire sia sul comando destro, sia su quello sinistro della vite macro metrica, ma essi non devono mai essere ruotati contemporaneamente in direzioni opposte.

• Osservare ora attraverso gli oculari e lentamente abbassare il tavolino con il comando micrometrico fino a quando il campione sia approssimativamente a fuoco. Mai mettere a fuoco verso il basso mentre si osserva attraverso gli oculari.

• Ruotare ora la regolazione micrometrica fino a mettere esattamente a fuoco il campione. • Regolare nuovamente l’intensità della sorgente luminosa attraverso il potenziometro posto nelle

vicinanze del pulsante di accensione, in modo tale da osservare il campione a fuoco senza però affaticare troppo la vista.

• Per migliorare ulteriormente la visione, soprattutto per gli osservatori con difetti visivi, è ora possibile regolare le diottrie dell’occhio destro e di quello sinistro (diottria, D, indica l’entità del difetto visivo che la lente corregge).

• Chiudere l’occhio sinistro e, guardando nell’oculare destro con l’occhio destro, regolare nuovamente la messa a fuoco del campione con la vite micrometrica.

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• Chiudere ora l’occhio destro e, guardando nell’oculare sinistro con l’occhio sinistro, regolare nuovamente la messa a fuoco del campione ruotando la ghiera posta sull’oculare sinistro.

Messa a fuoco con gli obiettivi a secco ad ingrandimento maggiore • Esaminare il campione con l’obiettivo a basso ingrandimento ed accertarvi che la porzione del

campione che si vuole esaminare sia esattamente centrata nel campo visivo. Ciò risulta necessario perché il diametro del campo microscopico ad alto ingrandimento è molto più piccolo di quello a basso ingrandimento.

• Ruotare il revolver portaobiettivi fino a portare sul percorso ottico l’obiettivo a ingrandimento superiore (generalmente 10x), facendo attenzione a non toccare le lenti con le dita.

• Il campione dovrebbe essere quasi a fuoco: osservare attraverso gli oculari e regolare lentamente il fuoco con il comando macro metrico fino a quando il campione non sia approssimativamente a fuoco; mettere poi esattamente a fuoco l’immagine con la regolazione micrometrica.

• Ripetere le operazioni sopra indicate con gli obiettivi a secco a ingrandimenti superiori, 40x e 100x a secco.

Messa a fuoco con l’obiettivo ad immersione in olio La messa a fuoco dell’obiettivo a immersione in olio richiede più cura rispetto alla messa a fuoco degli altri obiettivi, ma la procedura è sostanzialmente la stessa. Le seguenti operazioni devono comunque essere eseguite dopo aver messo a fuoco il campione con l’obiettivo a secco a basso ingrandimento, in modo tale che la porzione del campione che deve essere esaminata sia ben localizzata al centro del campo visivo a basso ingrandimento, poiché con l’obiettivo a immersione in olio il diametro del campo visivo è inferiore a quello di qualsiasi altro obiettivo a secco.

• Ruotare completamente in senso antiorario la regolazione macrometrica fino ad abbassare completamente il tavolino portaoggetti.

• Ruotare il revolver portaobiettivi fino a portare sul percorso ottico l’obiettivo a immersione in olio a ingrandimento 100x.

• Porre una goccia di olio per immersione sulla porzione del campione che si vuole esaminare. • Guardando l’obiettivo di lato, alzare lentamente il tavolino portaoggetti ruotando con cautela la

vite macro metrica in senso orario senza però che l’obiettivo tocchi il campione. • Osservate ora attraverso gli oculari e mettete lentamente a fuoco ruotando in senso orario la

regolazione micrometrica fino a quando l’immagine non appaia: essa apparirà molto velocemente poiché la distanza di lavoro dell’obiettivo a immersione in olio è relativamente breve.

• Dopo che l’immagine è apparsa, renderla più dettagliata possibile mettendo a fuoco accuratamente con la regolazione micrometrica e modulando l’intensità della luce e il diaframma a iride per ottenere un’illuminazione ottimale. Se si hanno difficoltà nel visualizzare l’immagine, ruotare le viti di traslazione orizzontale del tavolino portaoggetti in modo continuo avanti e indietro mentre si mette a fuoco: il movimento rende più facile la percezione dell’immagine mentre quest’ultima viene messa a fuoco.

VETRINI PER MICROSCOPIA L’allestimento di un preparato su un vetrino da microscopia prevede sempre l’utilizzo di due vetrini: 1. VETRINO PORTAOGGETTO: è rettangolare e piano, ad angoli smussati, e può essere: a) VETRINO PORTAOGGETTO SEMPLICE: tutta la superficie utile è piana e rettangolare, perciò è detto anche a goccia schiacciata perché la goccia di preparato viene completamente appiattita dal vetrino copri oggetto. b) VETRINO PORTAOGGETTO DI KOCH: al centro della superficie piana rettangolare si trova un incavo, perciò è detto anche a goccia pendente perché la goccia di preparato resta sospesa all’interno dell’incavo. È più indicato del precedente per osservare la mobilità delle cellule poiché questa può essere falsata anche da minime pressioni del copri oggetto sul vetrino semplice. 2. VETRINO COPRIOGGETTO: è un sottilissimo vetrino quadrato, molto tagliente, che va disposto sopra al vetrino porta oggetto: fra i due vetrini si deposita una goccia di preparato liquido o una sottilissima sezione di preparato solido immersa in una goccia di acqua da osservare al microscopio. L’uso del coprioggetto è necessario per mantenere il più fermo possibile il preparato durante l’osservazione, per non danneggiare gli obiettivi del microscopio e per evitare l’eccessiva evaporazione dell’acqua in cui il preparato è immerso in caso di protratta osservazione al microscopio.

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PRIMA DELL’USO I VETRINI devono essere lavati con alcool denaturato, asciugati prima con carta assorbente e poi con la fiamma del bunsen, passandoli velocemente su essa (molto velocemente, altrimenti si rompono!!!!). DOPO L’USO I VETRINI COPRIOGGETTO vanno smaltiti all’interno dell’apposito sacchetto per la raccolta dei rifiuti di natura biologica. DOPO L’USO I VETRINI PORTAOGGETTO devono essere lavati con alcool denaturato e spugna, risciacquati con acqua distillata, asciugati con carta assorbente e depositati nel loro contenitore. PER CONSERVARE VETRINI GIÀ ALLESTITI, è necessario siglare ogni vetrino portaoggetto ad un’estremità con pennarello indelebile, avvolgerlo con parafilm e conservarlo in frigorifero. Allestimento del vetrino semplice con campioni di vegetali

• Pulire e sgrassare con alcool denaturato un vetrino semplice portaoggetto e un vetrino coprioggetto ed asciugarli con carta assorbente.

• Depositare al centro del vetrino portaoggetto 1-2 gocce di acqua e sopra ad essa i seguenti campioni uno per volta utilizzando diversi vetrini, oppure affiancando diversi campioni sullo tesso vetrino:

• 1 sezione sottilissima di foglia verde, • 1 sezione sottilissima di carota, • 1 lembo di epidermide di cipolla (è lo strato trasparente che si trova tra uno spicchio e l’altro). • Tenere il vetrino coprioggetto in mano e depositarlo in modo esattamente parallelo sulla sezione di

preparato: occorre evitare la formazione di bolle d’aria tra i due vetrini. Tutte le osservazioni fatte vanno annotate in una scheda di osservazione nella quale si riporta una preve descrizione di ciò che è osservato, dei parametri di lavoro utilizzati e si correda il tutto da un disegno che rappresenta quanto osservato. Di seguito si riporta un esempio di scheda riassuntiva da poter utilizzare dove a seconda dell’osservazione fatta le intestazioni tabellari possono essere modificate opportunamente.

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