diario missionario n.33

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1 M i s s i o n a r i o 33 Ottobre 2009 Foglio di corrispondenza con i missionari Voglio “nuovamente confermare che il mandato d’evangelizzare tutti gli uomini costituisce la missione essenziale della Chiesa”,compito e missione che i vasti e profondi mutamenti della società attuale rendono ancora più urgenti. È in questione la salvezza eterna delle persone, il fine e il compimento della storia umana e dell’universo. Ricordo nella preghiera coloro che della loro vita hanno fatto un’esclusiva consacrazione al lavoro di evangelizzazione. (dal discorso del Papa per la Giornata Missionaria) Suor M. Cristina Pesavento Cairo Egitto Mons. Camillo Ballini Vic.Apost. Kuwait Fra Giuseppe Prandina Dirzamba Guatemala Don Giuseppe Pettenuzzo Lulù Cameroun Indirizzo: Diario Missionario C/O Parrocchia San Lorenzo piazza Prandina – 35010 San Pietro in Gu – (PD) - ITALIA email: [email protected]

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Diario Missionario n.33

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M i s s i o n a r i o

n°33 Ottobre 2009

F o g l i o d i c o r r i s p o n d e n z a c o n i

m i s s i o n a r i Voglio “nuovamente confermare che il mandato d’evangelizzare tutti gli uomini costituisce la missione essenziale della Chiesa”,compito e missione che i vasti e profondi mutamenti della società attuale rendono ancora più urgenti. È in questione la salvezza eterna delle persone, il fine e il compimento della storia umana e dell’universo. Ricordo nella preghiera coloro che della loro vita hanno fatto un’esclusiva consacrazione al lavoro di evangelizzazione.

(dal discorso del Papa per la Giornata Missionaria)

Suor M. Cristina Pesavento Cairo Egitto

Mons. Camillo Ballini

Vic.Apost. Kuwait

Fra Giuseppe Prandina

Dirzamba Guatemala

Don Giuseppe Pettenuzzo

Lulù Cameroun

Indirizzo: Diario Missionario C/O Parrocchia San Lorenzo piazza Prandina – 35010 San Pietro in Gu – (PD) - ITALIA

email: [email protected]

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Invio un articolo per l'ottobre missionario e allego alcune foto. L'articolo descrive il nostro impegno educativo con i rifugiati sudanesi, le foto illustrano gli studenti in fase di esame e ricreativa. Auguri! Sr.M.Cristina

I R i f u g i a t i S u d a n e s i i n E g i t t o L’Egitto, che nella sua tradizionale ospitalità, in tutti i tempi è stato luogo di rifugio per individui e gruppi umani (tra cui il profeta Geremia, i “famosi tre” della Sacra Famiglia), continua ad ospitare gruppi etnici di diverse nazionalità: eritrei, asiatici, europei, rifugiati irakeni, palestinesi,ecc. In una societá multietnica, per un ecumene (vivere in una “casa comune”) di giustizia e vita, il dialogo interculturale ed ecumenico, si pone nel contesto Egiziano come urgenza e sfida educativa, affinchè la convivialitá delle differenze sia ritmata sulle note dei valori evangelici: dell’accoglienza dell’“altro”, dell’amore fraterno e della giustiza. I dati ufficiali dell’Alto Commissariato per le Nazioni Unite (ACNUR) rivelano che, nel solo 1999, 16.217 persone hanno trovato rifugio in Egitto e fatto richiesta di asilo politico. Il numero dei richiedenti asilo si è mantenuto elevato anche in seguito: 13.180 nel Agosto 2008 e 10.000 rifugiati sudanesi. La grande crescita numerica della comunità sud-sudanese al Cairo si è verificata per una serie di fattori concomitanti:

• La riapertura della frontiera via terra fra Egitto e Sudan • Il peggioramento della situazione e della persecuzione religiosa in Sudan. • Il notevole ampliamento dei programmi di accoglienza per i rifugiati sostenuti

dei governi di Stati Uniti, Canada e Australia. • Il flusso costante di profughi sud-sudanesi da Khartoum al Cairo, è continuato

ininterrotto - seppure con intensità minore – anche dopo l'accordo di pace firmato 2006

I maggiori problemi che devono affrontare sono:

� L’alloggio: un appartamento costa in media tra i 100 e 200 dollari al mese; spesso più famiglie convivono nello stesso appartamento.

� L’istruzione: la mancanza di un regolare permesso di soggiorno impedisce l’accesso alle scuole pubbliche.

� La salute: molti i malati di TB, le donne che devono essere assistite durante la gravidanza e casi di vario genere.

� Assistenza Legale: difficoltà burocratiche e legali per ottenere l’asilo politico

Su questi fronti diversi sono impegnate le chiese, spesso in collaborazione con il MECC (Consiglio delle Chiese per il Medio Oriente).

Numerose attività di tipo culturale (teatro, danza, etc.) e formativo (corsi di alfabetizzazione, lingua, computer, etc.) hanno la loro sede nelle comunitá cristiane: Chiesa Cattolica - Sacro Cuore – Sakakini; Chiese Protestanti: Holy Trinity, St. Andrew, Centro Educativo African Hope.

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Educazione e prospettive di fututo

F a m i g l i a C o m b o n i a n a e

c o l l a b o r a z i o n e c o n l e C h i e s e L ’ a m b i t o e d u c a t i v o p r i v i l e g i a l a c o l l a b o r a z i o n e e c u m e n i c a t r a i c e n t r i e d u c a t i v i , a l c u n i d e i q u a l i g e s t i t i a n c h e d a l l a F a m i g l i a C o m b o n i a n a . L a c o l l a b o r a z i o n e a v v i e n e a t t r a v e r s o a l c u n e i n i z i a t i v e c o m u n i r e a l i z z a t e s i i n q u e s t i a n n i :

• Un programma estivo per i ragazzi • Un programma di alimentazione per i ragazzi delle scuole: ogni

giorni viene data la colazione ai ragazzi che frequentano i diversi centri scolastici

• La recente applicazione del Curriculum Sudanese in Cairo, La presenza dei rifugiati Sudanesi in Egitto, da diversi anni ha visto la Famiglia Comboniana seriamente impegnata nel processo educativo che ha seguito, in ambito scolare, i percorsi di studio proposti dal Ministero dell’Educazione egiziano, con l’intento di favorire l’inserimento degli studenti nelle scuole locali e facilitare l’integrazione dei sudanesi nella societá egiziana, di diverse religioni e confessioni cristiane. A tal riguardo, itinerari di educazione interculturali si realizzano tra le scuole comboniane con studenti sudanesi ed egiziani. L’educazione all’apprezzamento e valorizzazione della diversitá, il superamento dei pregiudizi culturali e la conoscenza-scoperta dell’ereditá culturale e valoriale dell’altro, è quanto sottostá alle attivitá interculturali svolte nelle nostre scuole. Con l’evolversi delle situazioni, diversi fattori hanno reso difficile l’accedere agli esami nelle scuole pubbliche dei bambini sudanesi. Il bisogno di dare un certificato scolastico ufficialmente riconosciuto ha determinato la svolta educativa che ha visto l’adottare il curriculum di studi Sudanese agli studenti rifugiati in Cairo. Il nuovo curriculum é stato applicato a tutte le classi: dalla prima elementare alla 3 superiore. Nonostante le difficoltá degli inizi, l’adottare il curriculum sudanese ha rinforzato il senso di indentitá culturale e di appartenenza alle proprie radici, oltre che alla stessa conoscenza – riscoperta di esse. Il contributo offerto dalla Chiesa Cattolica nella cordinazione tra i centri educativi e nelle trattative con l’Ambasciatore Sudanese in Cairo é stato realmente riconosciuto ed apprezzato. Tale impegno ha determinato il realizzarsi dell’evento: per la prima volta dopo 20 anni di servizio educativo agli studenti rifugiati sudanesi, nell’anno scolastico 2008-9, nel compound della Chiesa del Sacro Cuore, dal 15 Marzo al 14 Aprile 2009, per oltre

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400 giovani musulmani e cristiani di diverse confessioni, si é realizzato il sogno di poter conseguire un titolo di studio ufficialmente riconosciuto dal Ministero dell’Educazione. Gli studenti provenienti dai diversi centri educativi per rifugiati sudanesi hanno potuto fare gli esami di 3ª Media Inferiore e 3ª Media Superiore. Cosi si esprime una degli studenti:

“È stata un’occasione bella e un regalo fatto dalla Chiesa Cattolica e dall’Ambasciata Sudanese in Egitto a noi studenti, rifugiati sudanesi in Cairo. Ringraziamo per il grande impegno, segno di un forte

sentimento di benevolenza nei nostri confronti. Siamo il primo gruppo che ha fatto gli esami per il certificato degli studi elementari e secondarie. E’ stato un segno di attenzione significativa da parte dei responsabili che hanno dimostrato di non aver dimenticato di avere figli fuori Patria e così ci hanno manifestato il loro amore e la cura verso di noi. Di conseguenza in noi hanno seminato lo spirito patriottico e l’amore/appartenenza al nostro paese d’origine. Questo ci ha fatto pensare al nostro futuro e al futuro della patria che siamo chiamati a costruire con le nostre mani. Uniamoci insieme!” Abok Agostino Il nuovo processo educativo, rinforza la collaborazione tra le chiese e apre la speranza ad una prospettiva di futuro che garantisce la realizzazione piú piena dei talenti dei giovani. “Questa la strada nuova apertasi per il cammino futuro, dice Butros Ambrose, preside del Centro Educativo in Sakakini; l’attesa è stata lunga, travagliato il percorso, fatto di tentativi, successi ed insuccessi, rifiuti e riprese......, oggi il nostro grazie alla Chiesa di Sakakini e alla Famiglia Comboniana, che in tutti questi anni ha creduto al valore dell’educazione, ha reso possibile l’esistenza della scuola e la realizzazione del sogno fattosi realtá, che il fine ultimo: il bene dei nostri ragazzi, possa continuare a promuovere la collaborazione e il progresso nella vita scolastica dei centri educativi per Rifugiati Sudanesi e l’unitá tra le chiese”.

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CARISSIMI/E/

siamo sempre carichi di notizie, ma penso che una in piu' non ci faccia male,

anzi ci aiuta semmai ad allargare i nostri orizzonti.

Saluti a tutti e tutte !

Sr.M.Cristina

I N T E R V I S T A

Il Kuwait è stata la prima nazione del Golfo ad ospitare la Nunziatura Apostolica. A che punto è l’apertura di questo paese verso altre fedi e il dialogo con i cristiani? In genere in Kuwait c’e’ rispetto per tutte le religioni e specialmente per quelle che loro considerano le tre religioni rivelate: giudaismo, cristianesimo e islam. Sia in casa che soprattutto fuori casa io porto sempre la veste talare e la croce pettorale. Non ho mai avuto problemi particolari, ho sempre incontrato rispetto. Tuttavia, non amano che la mia croce pettorale porti il corpo di Gesu’ crocifisso, preferiscono chiaramente che ci sia solo la croce. Una volta all’aeroporto mi stavo avviando verso la partenza ed ero vestito in clergiman, quindi la croce pettorale era nel taschino della camicia, come si usa quando si e’ con quel vestito. Mi si avvicino’ un ex-ministro del petrolio e mi disse: “Perche’ nasconde la croce? La croce e’ il vostro onore!”. La situazione palestinese ha portato ad un irrigidimento palpabile? Cosa si potrebbe fare per tentare di risolvere tale crisi? Non mi pare che ci sia stato un irrigidimento particolare a causa della questione palestinese. Nei primi giorni della crisi ci fu una dimostrazione contro il presidente dell’Egitto, ma fu una cosa ridotta come numero e molto isolata. Difficilmente i paesi arabi raggiungono un accordo concreto, anche a causa della grande diversita’ fra di loro e di tante situazioni precarie che ogni paese arabo deve affrontare nel suo interno. Potrebbe delineare un profilo sociale, politico,religioso di questo paese? Dal punto di vista sociale il Kuwait e’ un paese che ha bisogno degli stranieri. I kuwaitiani sono un milione, gli stranieri sono due milioni. Il che vuol dire che ogni tre persone, due sono straniere. Questo comporta che la societa’ del Kuwait e’ multietnica e multilingue. Tuttavia non c’e’ una frequentazione reciproca. Nelle diwaniye (salotti per ricevere la gente, ognuno ha un giorno fisso nella settimana in

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cui riceve nella sua diwaniya) ci sono solo kuwaitiani. In altre sedi ci sono solo indiani e tra questi solo di una certa zona dell’India. Oppure solo filippini. Quindi quella del Kuwait e’ una societa’ composita ma nello stesso tempo divisa per settori nazionali e linguistici. Dal punto di vista politico, il Kuwait e’ governato da due famiglie reali: Jaber e Salem (i loro antenati erano due fratelli). Se l’emiro e’ della famiglia Jaber, il vice-emiro deve essere della famiglia Salem. Quando muore l’emiro, il vice diventa immediatamente emiro. Quindi non c’e’ un vuoto di potere neanche per un istante. Tuttavia, attualmente abbiamo che l’emiro, il suo vice e il primo ministro sono tutti e tre della famiglia Jaber. Piuttosto strano. Il Kuwait e’ governato anche da un parlamento, dove le meta’ meno due sono fondamentalisti. Hanno un ruolo importante anche i grandi mercanti perche’ sono loro che fanno entrare soldi nel paese. La stabilita’ politica del paese e’ data dalla chiaroveggenza dell’emiro. Il kuwait e’ nel Golfo e quindi e’ molto piu’ legato ai paesi della penisola araba (soprattutto all’Arabia Saudita, con cui e’ confinante) che ai paesi arabi del Medio Oriente. Ma questo non vuol dire che il Kuwait o gli altri paesi del Golfo siano completamente separati dal Medio Oriente. Per esempio, e’ stato decisivo il ruolo dell’emiro del Qatar per la soluzione del problema dell’elezione del presidente della repubblica del Libano. Dal punto di vista religioso, il Kuwait e’ formato da musulmani e appartenenti ad altre religioni. I kuwaitiani sono tutti musulmani, eccetto circa 200 persone kuwaitiane cristiane, tra le quali quattro piccole famiglie cattoliche. I musulmani in Kuwait sono il 70% sunniti e il 30% sciiti. I cristiani sono in grande maggioranza cattolici. La Chiesa cattolica conta non meno di 350.000 fedeli. Segue quella copto-ortodossa con 70.000 fedeli, quindi quella protestante con meno di 10.000 fedeli, piu’ altre Chiese con circa 2000 fedeli o anche di meno. Quali sono i gradi di libertà della Chiesa cristiana e cattolica in KW? In Kuwait abbiamo grande liberta’ di culto. Cioe’ all’interno del recinto della chiesa siamo completamente liberi di esercitare il nostro culto. Mai la polizia e’ intervenuta ne’ si e’ mai intromessa nella nostra area. Tuttavia ci sono delle limitazioni. Non si puo’ celebrare nelle case ma solo in chiesa. Per i 350.000 cattolici abbiamo solo tre parrocchie e non possiamo espanderci. Se in una delle nostre chiese succedesse un giorno un panico, avremmo delle centinaia di morti per accalcamento. Ho presentato la domanda per un terreno per un’altra chiesa, ma finora non ho ancora ricevuto nessuna risposta. Il Papa Benedetto XVI nel battezzare Magdi Allam davanti a tutte le televisioni del mondo ha voluto dare un segnale e cioe’ cosa si deve intendere per liberta’ religiosa: liberta’ che uno ha di dire a tutti che non e’ piu’ musulmano. Questo e’ praticamente impraticabile nei paesi arabi. Come è la vita di un vescovo in un paese islamico?

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E’ una vita di dedizione ai cristiani e a quanti, non cristiani, riesce ad avvicinare. Per i cristiani, il Vescovo deve cercare di aiutarli nel loro cammino di fede e di adesione sempre piu’ profonda a Gesu’ Cristo. Ma, nello stesso tempo, deve essere anche cosi’ umile da accettare di aver bisogno degli altri, del loro consiglio, della loro amicizia, della loro collaborazione e della loro preghiera. Con i non-cristiani, il Vescovo deve essere chiaro nell’esprimere i principi della sua fede, senza indulgere a compromessi magari per ottenere dei favori per la comunita’ cristiana. In Kuwait si e’ formato, su iniziativa degli Sciiti, un comitato formato da sciiti e da rappresentanti delle principali comunita’ cristiane residenti in Kuwait. Sono membro di questo comitato. Inoltre, ho partecipato varie volte a Conferenze internazionali interreligiose, nelle quali quasi sempre sono stato richiesto di presentare un argomento. Quali iniziative sono permesse e quali sono in programma per la comunità cristiana residente? (incontri, conferenze, eventi anche di tipo culturale etc). Non ci sono limiti particolari per iniziative per le comunita’ cristiane. Possiamo far venire da fuori predicatori, formatori per i nostri gruppi cristiani (carismatici, Jesus Youth, comunita’ neo-catecumenali, per gli handicappati, ecc.). Noi non ci intromettiamo nelle questioni politiche, quindi siamo rispettati ed apprezzati. Ogni anno invitiamo parecchie persone a venire a predicare durante la Quaresima o in altri tempi o per altri scopi formativi. Non abbiamo nessun problema per questo. Chi sono e quanti sono i cristiani e i cattolici in KW? Quanti matrimoni e battesimi all’anno? E’ stato testimone di qualche conversione in ambedue i sensi? Sono possibili unioni miste? Sarebbe possibile aprire una scuola cristiana? Ho gia’ risposto alla prima domanda. Per i matrimoni e i battesimi, vorrei far notare che dopo le scuole superiori, gli stranieri che vogliono frequentare l’universita’ devono lasciare il Kuwait, dove l’universita’ e’ solo per i Kuwaitiani. Ne consegue che chi ha studiato per esempio in America, normalmente cerca un lavoro in quel paese. Da notare pure che uno straniero puo’ restare in Kuwait solo finche’ ha un visa, quindi un lavoro che gli permetta di ottenere il permesso di soggiorno. Ma, arrivato all’eta’ della pensione, deve lasciare il paese. Dovra’ ritornare nel suo paese di origine, a meno che nel frattempo non sia riuscito ad ottenere un’altra nazionalita’ (USA, Canada, Australia, Europa). Nonostante queste restrizioni, abbiamo molti matrimoni e battesimi, centinaia. Per esempio, i ragazzi nelle nostre classi di catechismo sono circa 3.000. Non sono mai stato testimone di conversioni dall’Islam al cristianesimo, anche perche’ queste non sono possibili nei paesi arabi e islamici in genere. Ho avuto, prima di venire in Kuwait, alcune richieste di conversioni ma ho sempre dubitato sul motivo di tale cambiamento. Ho visto che spesso erano spie del Governo o volevano farsi cristiani per essere facilitati a emigrare. Mi trovo nei paesi arabi

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esattamente da 40 anni e non ho mai battezzato ne’ catechizzato nessun musulmano. Le unioni miste sono sempre da scoraggiare in tutti i modi possibili. Ci sono troppe diversita’ di cultura, mentalita’, societa’, tradizioni, e quindi anche diversita’ religiose. E’ estremamente alta la percentuale di matrimoni simili finiti in tragedie a tal punto da spingere le persone coinvolte perfino al suicidio. Purtroppo tante ragazze, soprattutto in Europa, ci cascano e non sanno dove vanno a finire. Sono tragedie gravissime, ne sono testimone. In Kuwait ci sono tre scuole cattoliche tenute da altrettante congregazioni religiose, quindi non dipendono dal Vescovo. In tali scuole e’ obbligatorio insegnare l’islam ma e’ proibito insegnare il catechismo ai cristiani. Inoltre, non ci puo’ essere nessun locale, anche piccolissimo, che possa servire per riunioni per cristiani, ne’ si possono fare preghiere cristiane in pubblico prima o dopo la scuola. Piu’ che scuole cattoliche io le chiamo scuole dirette da cattolici. Quali sono le più frequenti richieste da parte della comunità cristiana e cattolica e le relative necessità? Ci sono casi di ingiustizie e soprusi tangibili? La comunita’ cristiana chiede soprattutto di avere gli spazi e il tempo per coltivare la propria fede cristiana. Gli spazi sono un problema enorme per noi, come ho accennato sopra. Il tempo e’ un altro problema. Infatti, molti impiegati o lavoratori in genere non hanno un orario normale. Molti, soprattutto le molte migliaia che lavorano nelle case private, devono essere a disposizione 24 ore su 24. Altri hanno 12, 13 o anche piu’ ore di lavoro al giorno. E il tempo oltre le 8 ore non viene pagato. Ingiustizie e soprusi si verificano soprattutto presso quelli che lavorano nelle case private come domestici. E’ un problema molto delicato nel quale, come Vescovo, non posso intervenire. Le nuove generazioni Kw, quelle che vanno all’estero a studiare e studiano la cultura occidentale, tornano piu’ aperte e tolleranti? Di solito c’e’ una dicotomia tra fede personale e interessi personali da raggiungere, benessere materiale da assicurare. A che punto è il processo di Euro-Arabia a cui lei accenno’? Non c’e’ bisogno di nessun piano di Propaganda Fide o di iniziative speciali per l’islamizzazione dell’Europa. Questo e’ un fenomeno che sta venendo di per se’ attraverso la demografia e le leggi democratiche dell’Occidente. Se poi si aggiunge a cio’ il disinteresse dell’Europa per le sue radici cristiane e i suoi valori religiosi, l’islam trova in Europa un vuoto spirituale che facilmente pensa di riempire con la sua fede islamica.

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Ritiene che l’Europa e l’Italia siano troppo condiscendenti verso l’Islam? Perché il cristianesimo non è più un faro di civiltà come in passato? Quali sono stati gli errori della Chiesa e come rimediare? Cosa propone per far si che l’Europa e l’Italia ritrovino e ribadiscano i loro principi cristiani? Non parlerei di “errori della Chiesa”. La Chiesa e’ aperta verso il dialogo interreligioso e nello stesso tempo chiara nelle sue posizioni di non compromesso. L’edonismo (fare cio’ che mi piace), il laicismo (rifiuto di Dio e disprezzo di chi non la pensa in questo modo), la ricerca affannosa del benessere materiale, l’indifferenza per la presenza di Dio nella vita della persona e del mondo, il mettere il proprio interesse personale e il proprio prestigio al di sopra di ogni cosa, anche a costo di mettere in pericolo o addirittura di tradire i principi cristiani della vita o di svendere il proprio paese ad altri, tutto questo porta ad un vuoto spirituale e umano gravido di conseguenze pericolose per l’Italia. Il cristianesimo non e’ basato sui crocifissi da mettere nei luoghi pubblici, ne’ sulle feste o sui presepi di Natale ma la decisione di togliere questi segni esterni per non urtare i musulmani fa capire che siamo in una politica di cedimento delle proprie tradizioni e convinzioni religiose. Perche’ non fare festa con tutti i bambini (cristiani e musulmani) a Natale e anche nelle feste islamiche usando le espressioni esterne di ciascuno dei due gruppi? I cristiani d’Italia (e d’Europa) devono fare ritorno alle loro radici cristiane, all’esperienza della persona di Gesu’. Deve essere incoraggiata la vita parrocchiale in modo che la comunita’ parrocchiale sia tale anche di fatto e non solo di nome, come si scrive nei vari bollettini parrocchiali. Per questo, sono un aiuto essenziale i movimenti ecclesiali (Azione Cattolica, carismatici, neo-catecumenali, focolarini, ecc.). Nessuno di questi movimenti e’ perfetto. Il movimento perfetto non esiste su questa terra ma solo in cielo. Pero’ dobbiamo saper prendere tutti gli aspetti positivi e lasciare allo Spirito Santo la liberta’ di chiamare le persone all’uno o all’altro di questi movimenti, tanto sostenuti da Papa Giovanni Paolo II e da Benedetto XVI. Questi due Papi, sulla scia di Paolo VI (un Papa profeta per i movimenti ecclesiali), hanno dato un tale impulso spirituale alla Chiesa che ne hanno assicurato la vita. Sono convinto che non ci sara’ piu’ in Italia una societa’ cristiana ma che la Chiesa cattolica in Italia (e in Europa) consistera’ in tante piccole comunita’ che mi auguro siano attive. La Chiesa cattolica non sara’ piu’ una Chiesa di massa. La massa sara’ per un’altra religione (islam, ateismo, ecc.). Nel rapporto Cristianesimo-Islamismo, che peso ha il Giudaismo? Non mi sembra che abbia un peso particolare. La Chiesa cattolica vuole mantenersi libera e non accetta strumentalizzazioni da nessuno, ne’ dall’islam ne’ dal giudaismo. Prevede qualche cambiamento con l’insediamento di Obama?

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Obama ha sempre annunciato il “cambiamento” ma non ha mai detto come avverra’ tale cambiamento e soprattutto in che cosa consista. Vuole ridurre gli aborti ma quello che ha gia’ deciso li fa solo aumentare, e per di piu’ alle spese dello Stato. Molti cattolici e anche riviste e bollettini cattolici in genere hanno esultato per l’elezione di Obama e alcuni vi hanno visto addirittura una “rinvincita” dell’Africa. Credo non si debba guardare alle origini africane o altro di un presidente o al colore della sua pelle ma ai suoi programmi. Obama ha dichiarato in campagna elettorale “Basta con politiche a favore di Israele”. E’ una questione politica nella quale non intendo minimamente entrare. Dico solo che, per i paesi arabi, questa dichiarazione di Obama dovrebbe comportare un cambiamento nella direzione americana. Quali sono i programmi e le strategie della Chiesa per i paesi del Golfo? Siamo una Chiesa cattolica formata di tante comunita’ cattoliche. Percio’ il nostro programma e’ formare una sola Chiesa cattolica nel Golfo e non tante Chiese cattoliche l’una accanto all’altra e che pregano nella stessa chiesa (edificio). Percio’ dobbiamo insistere molto sulla formazione cristiana dei nostri fedeli. E’ la loro seria e costante testimonianza di cristiani che facilita la convivenza e il dialogo con i musulmani. Quali strategie usiamo? Seguire i vari movimenti ecclesiali, i molti gruppi di preghiera, impegno nel catechismo dei ragazzi, cura particolare della Liturgia, che e’ il momento in cui i nsotri cristiani si sentono meno soli, lettere pastorali, incontri personali, visite di vario tipo, ecc. Quali sono le sue priorità e i suoi obiettivi come vescovo in KW? La mia prima priorita’ e’ formare una sola Chiesa cattolica in Kuwait. E’ questo un impegno che occupera’ non solo tutto il mio tempo di ministero in Kuwait ma anche quello dei miei successori. Quali sono le sue previsioni per una pacifica convivenza fra popoli di religione diversa in questa parte di mondo? E in Europa? Per il Golfo non prevedo tensioni particolari tra cristiani e musulmani perche’ i cristiani sanno che non sono a casa loro, che questa non e’ la loro patria, che se ne devono andare all’eta’ della pensione. Sanno che sono ospiti e che lo saranno per sempre. Diversa e’ la situazione in Medio Oriente (Egitto, Libano, Siria, Giordania, Palestina, Irak) dove cristiani e musulmani hanno lo stesso passaporto, appartengono allo stesso paese, sono tutti cittadini, di per se’, con uguali diritti e doveri. Sono convinto che solo una dittatura saggia ed equilibrata possa garantire la pace nel Medio Oriente, non la cosiddetta democrazia. Vedi il caso dell’Irak, dove si e’ voluto portare la democrazia, con le note conseguenze.

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In Europa pure non prevedo guerre di religione per il semplice fatto che l’Europa ha rifiutato di riconoscere le sue radici cristiane e, in nome della democrazia, si adatta a quello che sta arrivando. Quando si accorgera’ di dove sara’ cascata sara’ troppo tardi. Le piccole comunita’ cristiane che continueranno in Europa non faranno guerre perche’ si trattera’ di cristiani che si saranno confermati nella loro fede (altrimenti sarebbero passati ad altre religioni) e quindi non faranno mai guerre a nessuno, anzi si impegneranno ancora di piu’ nei due precetti fondamentali del cristianesimo: l’amore verso Dio e l’amore verso il prossimo. No, prevedo che la convivenza sara’ abbastanza pacifica. Tuttavia, non ne sono cosi’ convinto per quanto riguarda il Medio Oriente, dove se scoppia un focolaio possiamo avere dei grandi disastri, vedi la guerra in Libano per oltre 15 anni.

a destra del Celebrante Mons.Camillo Ballin, vicario apostolico del KUWAIT.

Comboniano originario di Fontaniva

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DAI CENTRI SOSTENUTI Fammi strumento della tua pace di Fra Giuseppe Prandina, ofm

Per l’anno 2009 la nostra scuola continua ad aprire le porte ai suoi alunni/e offrendo educazione e formazione integrale nei valori umani con la visione cristiana di un centro cattolico francescano. Si offre il sogno possibile di imparare a leggere, scrivere e soprattutto di avere l’opportunità di vincere la sfida: formarsi nella vita come una persona per bene per la comunità, rifiutando di aggregarsi a bande criminali, evitando l’avvicinamento a droga o alcol, non esponendoli all’abuso infantile, allontanandoli da una famiglia disgregata per la obbligata migrazione dei genitori alla ricerca di mezzi economici o a causa dell’irresponsabilità degli stessi o anche a causa delle difficoltà familiari a guadagnare qualcosa, lavorando giornalmente. Questo è il caso di Rosmary (12 anni) e Ri-cardo (11 anni) che frequentano la 5. Della loro famiglia sono i due fratellini più piccoli. Dopo aver fatto i loro compiti si preparano per lavorare con la stessa premura con cui si preparano al mattino, mettendosi l’uniforme, per andare a scuola. I loro strumenti da lavoro sono cesto, tovaglia e pane. Vanno di casa in casa, accompagnati dalla madre, offrendo il loro prodotto e ripetendo: “Qualcuno vuole pane?” La madre li vigila e controlla che vendano tutto e tornino a casa con ciò che hanno guadagnato e presto per riposare per la giornata successiva. Riescono a combinare il lavoro con lo studio, il lavoro non impedisce loro di frequentare regolarmente la scuola e distinguersi dagli altri: sono i migliori alunni della loro classe. Ora conosciamo Erwing Sebastian (12 anni) frequenta la quinta, lo scorso anno ha dovuto ripetere la classe e per lui è stato molto diffi-coltoso. E il secondo di tre fratelli: Sergio (16 anni) che frequenta il terzo anno delle scuole secondarie e lavora in un’officina meccanica e Laurita (7 anni) che risulta una delle migliori alunne della scuola. La madre è rimasta da sola ad accudire i figli e i soldi che

guadagna lavorando in zona franca non sono sufficienti. La giornata di lavoro di Erwing è molto pesante per un minore, lavora tutti i pomeriggi spostando grossi carichi di materiale da cantiere e conducendo il carro trainato dal cavallo in maniera molto ferma e sicura a dispetto del suo corpo esile e magari anche denutrito. Nonostante tutto frequenta la scuola, non è disposto ad abbandonare gli studi benché gli costi studiare, anche se deve recuperare o è stanco a causa del sole e della pioggia che prende lavorando tutti i pomeriggi quando depone il suo quaderno, prende in mano le redini e mette un sacco sulle spalle per proteggersi. Questi bambini combattono giorno dopo giorno per emergere dalla società, andare a scuola è l’unica opportunità che hanno per ri-tornare ad essere bambini con dei sogni. Essere studenti permette loro di riprendersi la dignità e mostra loro la possibilità di sperare in una vita qualitativamente migliore. VALE LA PENA STUDIARE!

Fra Giuseppe con alcuni studenti di Dirzamba. Tratto da : “I FMTELLI DIMMENT1CAT1” N° 111 Ott.-Nov.2009 pg -13

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la mia Africa...

don Giuseppe racconta la sua esperienza Don Giuseppe Pettenuzzo è rientrato in Diocesi dopo quasi tre anni spesi ad avviare con don Maurizio Bolzon la nuova missione di Lulu, in Nord Camerun. Gli abbiamo chiesto di raccontarci questi tre anni ed egli ci ha consegnato queste righe, che nascono servizio pastorale in diocesi Dopo i primi 20 anni passati in Camerun in tre progetti e in due aree geografiche differenti, rientrato per 5 anni a fare il parroco ad Albettone e Lovertino, nel 2006 il Vescovo mi chiedeva la disponibilità a ripartire ancora per il Camerun, sempre nell’estremo nord predesertico, e sempre nella diocesi di Marua per avviare la nuova parrocchia di Lulu tra i Gisiga. Si è trattato di sporcarsi le mani con una esperienza di lavoro in collaborazione con la gente del posto per dotare la nuova parrocchia delle prime strutture; e cominciare a cercare di dare insieme delle risposte ai complessi problemi legati al sottosviluppo nelle sue molteplici espressioni: istruzione, salute, cibo, acqua, agricoltura, allevamento, lavoro ed esodo rurale, promozione della donna, gestione delle risorse economiche e alimentari, desertificazione, alcolismo e così via... Ho iniziato questa nuova avventura accompagnato dal sostegno materiale, morale e spirituale delle due parrocchie che lasciavo, ma che non mi hanno mai lasciato e delle quali mi sentivo il braccio operativo per una missione che a nome loro anche andavo a compiere. Un legame ed un coinvolgimento che si manteneva e del quale godevo nei periodi del ritorno in vacanza, assecondati dall’amicizia e dall’accoglienza del loro nuovo parroco don Piero ‘Giuriato. Nei duri momenti iniziali di quest’ultima missione il primo gradito incoraggia-mento mi giungeva dai bambini gisiga: il bel sorriso che illuminava il loro volto accompagnato da grida di saluto a gola aperta ad ogni incontro o passaggio era il balsamo migliore per curare la nostalgia e lo scoraggiamento. Poi l’accoglienza

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piena di fiducia dei responsabili, cristiani e non, e la competente ed efficace collaborazione di Damiano e Gianni Lovato, esperti di costruzioni, permettevano di avviare e sviluppare in un clima di fiducia e di tranquillità l’intero pro getto. Una bella squadra di operai del posto, nuovi di edilizia e di lavorazione della pietra, messisi però con buona volontà al lavoro dietro a lavoratori più esperti formati nel tempo di Durum e Gerico, saranno anche a lavoro finito i più stretti collaboratori e dei grandissimi amici.

Dopo qualche mese mi raggiungeva don Maurizio, che con coraggio e buona volontà collaborava faticando nell’opera di costruzione delle strutture e nel servizio alle comunità, circondato spesso da tanti bambini che amava far giocare. A settembre 2007 il grosso delle strutture era in piedi e ci si poteva dedicare con più disponibilità di tempo e di mente all’organizzazione pastorale delle comunità, a curare la formazione e la collaborazione con i responsabili dei vari settori della parrocchia, migliorare la preparazione dei catechisti, accompagnare i catecumeni sulla strada dei sacramenti dell’iniziazione cristiana. Questo lavoro nei due anni successivi porterà già i suoi frutti con le centinaia di giovani e adulti che a Natale iniziavano il percorso catecumenale e il centinaio di battesimi e prime comunioni nella notte di Pasqua. E accanto a ciò, era bello mantenere il collegamento con la vita della gente condividendo con semplicità le gioie e le pene di questo popolo, un po’ sgan-gherato da tanti punti di vista, ma pacifico, gioioso, tanto solidale, paziente, sensibile, accogliente, assetato di consigli e proposte nuove e desideroso di essere aiutato a mettersi al lavoro per realizzarle. Per questo tutte le occasioni erano buone. Nelle riunioni convocate dal grande capo, un giovane carissimo amico musulmano, per riflettere sui tanti problemi che causano sofferenze, povertà e spesso miseria, si discuteva apertamente e con passione della scarsa scolarizzazione, soprattutto delle bambine, dell’inefficienza di certe scuole per la negligenza e la scarsa formazione di alcuni maestri e il disinteresse dei genitori. E a

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seguito delle riunioni si notava un cambiamento di comportamento dei genitori ed un maggiore impegno dei maestri. Si parlava della scarsa produzione dei campi, della poca voglia di lavorare e del lavoro non organizzato e programmato a casa e nei campi. Ci si convinceva della necessità di darsi lavoro da sé, dedicandosi ogni giorno dell’anno, a seconda delle stagioni, a cinque! sei ore di lavoro serio, ben organizzato per migliorare l’abitazione, alloggiare gli animali, ottimizzare il letame, preparare i campi per tempo tagliando i cespugli, costruendo piccoli argini per mantenere l’acqua sul campo e impedire l’erosione del suolo. E in seguito non si vedevano più tanti uomini seduti durante la giornata intenti a sorvegliare lo spostamento dell’ombra delle piante e attenti a non farsela scappare. Si rifletteva al problema dell’accesso alle cure in caso di malattia, della gestione delle risorse della famiglia: i soldi del cotone, il raccolto, gli animali. Veniva fuori il grosso problema dell’eccessivo consumo di bevande alcoliche. Trovandoci in ambiente semidesertico l’attenzione veniva attirata spesso sul problema dell’acqua.

L’acqua tanto attesa dopo 8 o 9 mesi di secco e caldo se arriva e cade in maniera regolare nei 3, 4 mesi della stagione delle piogge, permette di produrre risorse per vivere tutto l’anno; se non è fedele all’appuntamento, allora arriva l’anno della fame e non c’è scampo. Le piogge brevi e molto abbondanti provocano fenomeni erosivi sui terreni agricoli quasi mai livellati, il buon terreno viene lavato via e i campi diventano sempre più poveri. Di qui la necessità di proteggere i campi con piccoli argini che trattengano l’acqua sul posto e impediscano l’erosione del suolo. E’ necessario poi creare piccole dighe lungo i torrenti nei tratti un po’ pianeggianti per ottenere degli invasi che prolunghino la disponibilità d’acqua, rallentino la forza della corrente che ogni anno ingoia ettari di terreno coltivabile, ed alimentino le falde sotterranee dalle quali dipendono i pozzi. E gli alberi, una volta padroni del territorio oggi sono tanto rari. Un paese che fino a venti anni fa era coperto da foresta, oggi sta diventano un deserto. Le donne, quasi sempre con un bimbo o in pancia o sulla schiena, un tempo trovavano la legna alla porta di casa, ora devono andarla a tagliare a tre quattro chilometri

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lontano, per poi riportarsela sulla testa fino a casa in fasci che spesso superano i quaranta chili. Il cielo sempre più disertato dalle nuvole sembra voler copiare la terra sempre più desertificata dall’uomo. Di questi argomenti si alimentava la conversazione anche in incontri informali, al mercato, nel cortile di una famiglia, magari attorno ad una calebasse (mezza zucca che contiene uno, due, anche tre litri) di birra di miglio. Erano bei momenti di scambio nel confronto tra la maniera di vivere lì e la maniera di vivere in Italia. L’eldorado che loro sognano vedendolo anche nelle immagini televisive che mostrano l’Europa, e l’eldorado che io vedevo possibile a Lulu, già presente nelle tante meraviglie del paesaggio, della vita sociale, della cultura e delle potenzialità del paese gisiga, venivano in maniera scherzosa messe a confronto e l’immaginazione e la creatività ne erano positivamente stimolate.

Questa esperienza umana e cristiana aperta a 360 gradi sulla realtà nella vastità della sua complessità mi ha fatto vivere un periodo unico, molto ricco, e che mi ha profondamente marcato, forse più ancora delle precedenti missioni. L’amicizia, la solidarietà, il grosso capitale di fiducia che si erano consolidate ha reso più amaro questa volta il distacco, ed è immensa la gratitudine che debbo a Lulu. don Giuseppe Pettenuzzo

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