diario missionario n.26

14
D D D I I I A A A R R R I I I O O O M i s s i o n a r i o 26 Ottobre 2006 Foglio di corrispondenza con i missionari Il 15 Ottobre nella Chiesa parrocchiale di Zamelek - Cairo Sr.M.Cristina Pesavento celebrerà il 60° anniversario di consacrazione religiosa. Vogliamo ringraziare il Signore e ringraziare anche lei, per la testimonianza di carità e fedeltà, e al tempo stesso pregare Il Padre perché le doni ancora tanta salute, forza e fede per continuare la sua opera. Giappone P.Riccardo Magrin Egitto Sr. M.Cristina Pesavento. Guatemala Sr.A.Teresina Galdeman Brasile P.Giovanni Munari Indirizzo: Diario Missionario C/O Gino Marangoni- via Comboni – 35010 San Pietro in Gu – (PD) - ITALIA email: [email protected]

Upload: shark-junk

Post on 09-Mar-2016

234 views

Category:

Documents


0 download

DESCRIPTION

Diario Missionario n.26

TRANSCRIPT

Page 1: Diario Missionario n.26

DDDD IIII AAAA RRRR IIII OOOO

M i s s i o n a r i o n°26 Ottobre 2006

F o g l i o d i c o r r i s p o n d e n z a c o n i m i s s i o n a r i

Il 15 Ottobre nella Chiesa parrocchiale di Zamelek - Cairo Sr.M.Cristina Pesavento celebrerà il 60° anniversario di consacrazione religiosa. Vogliamo ringraziare il Signore e ringraziare anche lei, per la testimonianza di carità e fedeltà, e al tempo stesso pregare Il Padre perché le doni ancora tanta salute, forza e fede per continuare la sua opera.

Giappone P.Riccardo Magrin

Egitto Sr. M.Cristina Pesavento.

Guatemala Sr.A.Teresina Galdeman

Brasile P.Giovanni Munari

Indirizzo: Diario Missionario C/O Gino Marangoni- via Comboni – 35010 San Pietro in Gu – (PD) - ITALIA email: [email protected]

Page 2: Diario Missionario n.26

Giappone: il senso della nostra presenza Approfittando di due giorni di calma nell”eremo” della casa regionale di

Tokyo, mi sono deciso a scrivere qualche riflessione sul nostro lavoro in Giappone, forse per un segreto rimorso di fronte alle ricorrenti rimostranze che noi del Giappone scriviamo poco o niente.

I motivi di questi silenzi evidentemente ci sono e li posso riassumere così.

Motivi del nostro silenzio L’influsso della cultura giapponese, restia ad esprimere il proprio parere, a

volte per umiltà, a volte per la mancanza di idee “chiare e distinte”. Come ben conoscete, la religiosità giapponese si esprime col silenzio e il “vuoto” della meditazione zen. Il parlare, mentre cerca di circoscrivere la realtà, può anche deformarla, almeno agli orecchi di chi questa realtà la conosce poco.

La scarsità, per noi missionari in Giappone, di avvenimenti esternamente

eccezionali da raccontare: non ci sono guerre, rivoluzioni, carestie o grossi disastri, malattie o povertà diffusa, come nella maggior parte dei paesi di missione.

La perdita di agilità nell’uso della parola. Da una parte la difficoltà della

lingua, nonostante il quotidiano esercizio, non ci permette certo di diventare degli “scrittori” in lingua giapponese. Dall’altra la lunga separazione dall’uso della lingua

Page 3: Diario Missionario n.26

italiana e dalla mentalità corrente in Italia non ci mette in grado di essere dei brillanti “conferenzieri”. Insomma, in tutte e due le lingue ci troviamo ad essere un po' handicappati. Anche questo fa parte dei limiti e delle rinunzie che comporta la vita missionaria. La lingua giapponese poi tende a esprimersi in frasi le più brevi e standardizzate possibili (adatte alla civiltà dei computer). Anche a livello ecclesiale, i documenti della Chiesa giapponese sono limitati a volte ad una paginetta, là dove noi in Italia impiegheremmo diversi capitoli. L’importanza dei contatti personali

Nonostante questo, il vivere in Giappone ci obbliga sempre a riflettere sulle

diversità di tipi di vita spesso solo apparentemente simili: tecnica, traffico, stress, mass media, vita pubblica organizzata, problemi comuni della globalizzazione. Queste diversità emergono soprattutto a livello degli incontri individuali con le persone che ci circondano, cristiani e non. È qui che si gioca l’incrocio di influssi culturali che vengono tanto dal lontano passato quanto dai più recenti sviluppi. È qui che si esercita il vero “dialogo interreligioso” (più che a livello di bonzi sfaccendati o di teologi in cerca di notorietà) e l’inculturazione del cristianesimo nella modernità. Un esempio: l’amore fino allo scrupolo dei giapponesi alla pulizia e all’ordine (vedi l’accurata divisione per generi della spazzatura) trova le sue radici nel concetto di “purità” dello shintoismo e si combina con la diligenza nel lavoro e la mentalità tecnica e amante dei particolari.

Si trovano così assieme il passato e il presente. È nel contatto profondo con le persone, facilitato anche dal fatto che in

Giappone i catecumeni e i cristiani si contattano a uno a uno, non solo per la scarsità del numero, ma anche per la diversità delle situazioni e degli impegni di ciascuno, che si trova l’aspetto più interessante della nostra missione. Ma le persone, finché non si conoscono, sono anche le più difficili da capire e da presentare agli altri. È qui però che si “scrivono” i capolavori di Dio, destinati a rimanere anche quando le varie carte saranno ingiallite o bruciate, fenomeno accelerato dalla diffusione dei computer. La nostra speranza, come missionari è di collaborare a questa scrittura, anche se spesso presentiamo “righe storte”. Che cosa poi è stato scritto sarà rivelato alla fine.

Non dico con questo che il senso della nostra presenza non sia anche

nell’esistenza come “istituzione”. La presenza della Chiesa, quantunque numericamente esigua, rimane un parametro fondamentale nella storia del Giappone, come di qualsiasi altro paese.

Il Giappone di oggi, dove i cristiani sono ancora circa l’1 %, non si può pensare senza considerare gli influssi ricevuti dal cristianesimo nella sua storia come un punto di confronto, un modo diverso di vivere, di pensare e di amare. Anche quando non è accettato, il Vangelo agisce sempre come uno stimolo che cambia le persone e la società.

Anzi, è forse perché i giapponesi prendono il cristianesimo troppo seriamente, che non si sentono di accettarlo. È un fatto che, mentre molti stimano il cristianesimo, pochi chiedono il battesimo. E anche molti che gli si oppongono, è

Page 4: Diario Missionario n.26

perché non vogliono tutte le conseguenze che ci sarebbero ad accettarlo. Basta confrontare questo fenomeno con altri paesi “cristiani”, dove la fede è accettata in massa, senza preoccuparsi troppo delle sue conseguenze di vita e di morale. I giapponesi di fronte al cristianesimo

Si potrebbe dire anche che il cristianesimo in Giappone si è diffuso per via di

“contrasto”. I giapponesi, per i quali l’essere “giapponese è la maggiore religione, non accettano di rimanere inferiori agli altri in qualche cosa. Anche per questo, e non solo per motivi economici, tendono a “imitare”, come si diceva una volta, o, meglio, a “introdurre” qualsiasi elemento di cui ritengono essere mancanti, pur mantenendo la loro identità. Nel campo religioso, ad esempio, le cosiddette “nuove religioni” sono state anche un tentativo di introdurre gli elementi cristiani nell’ambito delle religioni tradizionali. Ricordiamo anche i matrimoni di non cristiani nelle chiese. In questo senso c’è stata una diffusione per osmosi del cristianesimo nella religiosità tradizionale. La cosa però non ha funzionato fino in fondo, proprio perché il cristianesimo esige un salto di identità, quando il battesimo ci incorpora a Cristo e ci fa “creature nuove”. Ma questa incorporazione a Cristo ci fa anche tutti partecipi dello stesso Corpo, mentre in Giappone la prima partecipazione è al Giappone stesso, tramite i legami che, attraverso l’imperatore, lo collega alle divinità ancestrali.

Il fatto che il Giappone sia stato un’isola “abbastanza” felice, impedisce

l’umiltà di sentire veramente “bisogno” di una salvezza, che non sia nell’ambito del Giappone stesso. Ciò rende i giapponesi molto autoresponsabili e attivi. La religiosità e mentalità prevalente (a parte il Buddismo Jodo), esorta a confidare solo nelle proprie forze. Ma ciò li porta ad un orgoglio di fondo (anche se non di facciata), che si trasforma poi in frustrazione e demoralizzazione anche fino al suicidio, quando si presentano degli ostacoli che non si possono superare.

Naturalmente questo atteggiamento si scontra con la crescente

globalizzazione e interdipendenza del mondo moderno. Ne sono sintomi le relazioni tese con la Corea e la Cina, e le contraddizioni circa l’accogliere o meno i lavoratori stranieri.

Mentre il buddismo è più universalista, lo shintoismo, che è più

profondamente radicato nella cultura giapponese, presenta un mondo religioso che è solo del Giappone, come lo è l’imperatore. Nel mondo cristiano-islamico Dio è invece il Dio di tutti, facendoci tutti fratelli. Di qui però i conflitti, quando questo unico Dio viene concepito in relazione a una Rivelazione e a una comunità diverse. Di questo i giapponesi accusano il monoteismo, di fomentare lotte religiose, preferendo essi rinchiudersi nella loro religiosità nazionale: che ognuno stia bene nel proprio brodo.

L’ecumenismo in Giappone non è difficile, ma neanche stimolante: a ognuno la sua chiesa. L’ex primo ministro Nakasone, un nazionalista, affermò che ci sono due persone che stimava più di tutte le altre: l’imperatore del Giappone e il Papa di Roma. Ma, aggiungo io, ognuno nel suo ambito: uno in oriente e uno in occidente.

Page 5: Diario Missionario n.26

La presenza della Chiesa rimane comunque, come dicevo prima, un fatto irrinunciabile, proprio come pura “presenza”. A volte sento un poco di invidia quando leggo relazioni dalle altre missioni dove si parla di grandi opere e di grandi numeri, e questo non solo nei paesi del terzo mondo, ma anche nella vicina Corea. Ma poi penso che la nostra presenza in Giappone si basa su fatti più essenziali, sulla “fede” nella presenza del Signore in mezzo a noi e nella storia dei popoli che, in tempi e modi diversi, conduce sulla via della salvezza. Per cui non farei facilmente il cambio.

Con questo non dico che non ci sia “lavoro” per i missionari in Giappone. La

Chiesa rimane, anche a livello locale, l’unico tipo di comunità aperta a tutti in una società strettamente divisa in settori specifici. Ciò comporta l’accoglienza di gente di tutti i tipi: poveri e ricchi, laureati e gente semplice, malati mentali anche, che non avrebbero altro luogo dove andare, stranieri di diversi paesi. Questi ultimi andranno sempre crescendo, in una economia affamata di forza di lavoro, in un paese la cui popolazione proprio l’anno scorso ha cominciato a decrescere (di 10.000 abitanti).

Il tipo di missione per i giapponesi

Questa varietà è unica nella società giapponese, e attira a volte la curiosità e

la collaborazione anche di non cristiani. Delle comunità quindi composite e interessanti.

I giapponesi, anche se all’inizio sono timidi, sono molto sensibili e gentili, per

cui è possibile creare ottimi rapporti umani, che danno poi occasione di raggiungere diversi ambienti e organizzazioni: dalle università e club culturali, fino ai bambini e alle mamme degli asili, agli homeless, agli anonimi alcoolisti e alle prigioni è possibile tessere una vasta gamma di rapporti, che a volte danno frutti di nuovi cristiani. È importante presentarsi in maniera gradevole e delicata, anche se semplice. Già il P. Valignano, arrivato in Giappone nel 1579 per verificare il modo di presenza dei missionari gesuiti, raccomandava la necessità di presentarsi bene, persino nel vestito.

Si può dire che i giapponesi apprezzano una cosa non tanto perché è “vera”

o “buona” (non avendo del resto criteri oggettivi per il vero e il buono, a parte le convenienze sociali), ma perché è “bella”: una bellezza però che non è solo esteriore, ma come rivelazione di una limpidezza d’animo. (La bellezza salverà il mondo?).

I giapponesi hanno un grande senso estetico, che riemerge sempre,

nonostante la soffocante e abbruttente diffusione del consumismo, nella cura dei giardini, nell’estetica delle piccole cose (anche i pacchetti spesso sono delle piccole opere d’arte), nel riconoscimento di tutte le cose “belle”.

Nella Liturgia amano la compostezza e il silenzio, più che l’abbondanza di parole, che non c’è, come accennavo prima, nello shintoismo, o che sono percepite, come nel buddismo, solo come suono solenne e misterioso, senza

Page 6: Diario Missionario n.26

capirne il significato. Per questo non pochi sono i cristiani che hanno nostalgia delle antiche Messe in latino.

Sono però contenti di partecipare anche a liturgie più vivaci, come quelle

offerte dalle comunità filippine o dell’America Latina, o da gruppi giovanili giapponesi.

Amano la ripetitività (vedi cerimonia del tè), In quanto assicura uno

svolgimento più pulito, tranquillo e ordinato, ma, dopo un primo smarrimento, sono contenti di essere liberati dagli schemi obbligati per un modo di fare più spontaneo e creativo.

I giapponesi non sono poi unilaterali, ma capaci di apprezzare la varietà delle

culture e delle espressioni. In fondo, è questione di educazione e di apertura a nuove esperienze.

A un vecchio negoziante che mi vendeva i pomodori e mi chiedeva di che

paese ero, quando risposi “italiano”, subito disse: “Ah! Al Capone... Sofia Loren”. Altri avrebbero detto: “Mussolini!”. Ma altri, soprattutto i meno anziani, apprezzano invece moltissimo non solo la cucina (è un vero boom di ristoranti italiani), ma anche la cultura italiana: la musica, l’arte rinascimentale (furono i giapponesi a pagare il restauro di diverse opere d’arte in Italia, prima fra tutte la Cappella Sistina), la bellezza delle città. Cresce sempre più il numero dei giapponesi che considerano l’Italia il paese ideale dove andare a vivere (una volta era l’America), nonostante che alcuni turisti tornino ancora... senza le valigie.

Anche per quanto riguarda l’aspetto intellettuale, è importante l’educazione. È vero che i giapponesi sono abilissimi nella matematica e nella fisica, ma è

anche vero quello che si dice che non hanno una mentalità speculativa e non si pongono alcuni dei problemi filosofici più elementari. Questo li porta a una vulnerabilità nella fede, quando non è più sorretta dal sentimento, soggetto agli alti e bassi e al logorio del tempo. Questo è un motivo per cui non pochi battezzati si perdono.

Ma gli stessi giapponesi sono contenti quando si presentano loro i problemi e

le relative risposte in categorie adeguate alla loro cultura, senza insistere troppo su schemi occidentali. I giapponesi sono molto intuitivi e sanno apprezzare una catechesi anche con risposte precise (lontane dalla vaghezza orientale), purché la si presenti in modo a loro comprensibile. In questo, più che negli aspetti esterni, sta il nostro maggior lavoro di “inculturazione”. A parte il fatto che la società, e le chiese in particolare, stanno diventando sempre più pluriculturali.

Molto da imparare e molto da dare

Per quanto riguarda la vita pratica poi, quasi sempre siamo noi che abbiamo da imparare. I giapponesi ci superano nella assiduità, coscienziosità, precisione

Page 7: Diario Missionario n.26

del lavoro. Hanno il gusto che tutte le cose siano fatte bene. Direi che il lavoro è la loro maggiore religione e via alla loro salvezza, se, come dice il Vangelo (Matteo 25,3 lss.), saremo giudicati soprattutto per le opere di carità.

È vero che in passato il governo era crudele verso i trasgressori (vedi anche

le persecuzioni e le torture contro i cristiani) e insensibile verso i poveri, i malati e gli handicappati. Ma ora, largamente per l’influsso del cristianesimo e delle sue istituzioni, abbondano i servizi sociali, e alcuni di noi hanno potuto apprezzare le cure ricevute negli ospedali giapponesi.

Quando però manca la gerarchia dei valori, anche il mito del lavoro crolla. Gli ambienti di lavoro e le istituzioni diventano a volte disumanizzanti, avendo per fine l’efficienza e non la persona. La disciplina e la volontà di collaborazione delle persone vengono sfruttate, obbligandole a un ritmo di lavoro impossibile, a cominciare dai lunghi trasferimenti su treni pieni fino ad essere schiacciati o in code interminabili di auto fino agli straordinari serali o notturni Una causa frequente di morte è il cosiddetto KAROSHI, cioè la morte per superlavoro o per stress, dovuto anche alla pressione psicologica e alla presa in giro cui è sottoposto chi non collabora adeguatamente.

Anche la maggior parte dei suicidi è dovuta al fallimento e alla frustrazione nel mondo del lavoro o, arrivati all’età della pensione, alla mancanza di altri motivi per vivere.

Soprattutto fra i giovani si fa sentire questa mancanza di ideali e di orientamenti adeguati per la vita. Molti rifiutano di entrare nel mondo del lavoro, e a volte anche della scuola; altri si chiudono in casa con il computer come unico interlocutore. Diffusa pure è la prostituzione giovanile, a partire a volte fin dalle scuole medie. Purtroppo la società non offre ai giovani le risposte che cercano.

Si potrebbe paragonare il Giappone a una nave attrezzatissima ed efficiente

che naviga nell’oceano, senza però sapere dove andare. È questo il compito principale di noi missionari: cercare di trasmettere dei

motivi e una speranza per cui vivere, motivi e speranza che possono essere dati unicamente dalla Rivelazione cristiana, da Dio solo che sa perché il mondo è continuamente creato, per che cosa e per quale futuro. Ed è questo che i catecumeni, col dono della Fede, riconoscono con gioia e ringraziano fino al punto di dire (e questo più di una persona): “Chissà come sarebbe stata disperata la mia vita, se non ti avessi incontrato e, attraverso la Chiesa, non avessi incontrato Cristo”.

Lasciando l’organizzazione della nave ai giapponesi, cerchiamo solo di aiutarli nella lettura della “bussola” e con qualche colpetto al timone.

Del Giappone non si finirebbe mai di parlare e anche con opinioni diverse, tanti sono gli aspetti da esplorare, nonostante la apparente uniformità. Anche questo è un “lavoro” che, a volte pure quasi inconsciamente, ci è continuamente richiesto.

p. Alberto Di Bello

Page 8: Diario Missionario n.26
Page 9: Diario Missionario n.26

3 settembre 2006

Carissimi amici di S.Pietro in Gù

Avvicinandosi la data che segna il mio 600 di Consacrazione Religiosa come

missionaria comboniana, non posso ignorare la mia Chiesa di origine dove la VERA VITA ha avuto inizio. V’invito quindi ad unirvi spiritualmente a me il 15 ottobre p.v., nella

Chiesa parrocchiale di Zamalek-Cairo dove da 35 anni lavoro nella Pastorale varia, per

dire grazie al Signore per avermi usata come strumento del suo Amore in questo lungo arco di tempo.

L’ambiente in cui vivo è tutto particolare poichè qui si ricevono persone da ogni parte

del mondo che trovano, nella grande Famiglia di bio accoglienza e forza, attraverso la

Parola di vita nella loro lingua ed i vari Sacramenti che ricevono, per vivere da fratelli

e sorelle fuori dalla loro Patria.

Cantate quindi con me il Magnificat della riconoscenza, a Dio che compie meraviglie nelle sue creature, e con esso sulle labbra e nel cuore fraternamente vi saluto.

Page 10: Diario Missionario n.26

Con il cuore pieno di riconoscenza

al Signore per quanto ha operato in

Sr.M.Sr.M.Sr.M.Sr.M. Cristina Pesavento Cristina Pesavento Cristina Pesavento Cristina Pesavento

nei 60 anei 60 anei 60 anei 60 anninninninni

vissuti in fedeltà alla sua vocazione missionaria comboniana

la Comunità di Zamalek vi invita a partecipare alla

S. Messa di ringraziamento che verrà celebrata

nella Chiesa Parrocchiale dì S. Giuseppe - Zamalek

Domenica 15 otto6re 2006 alle ore 18.00

Page 11: Diario Missionario n.26
Page 12: Diario Missionario n.26

Guatemala

Suor Teresina Galdeman

20-09-2006

Carissimi amici del Diario Missionario, vi comunico un'esperienza vissuta recentemente, in Sipacate e La Gomera, che è la nostra parrocchia.

Abbiamo celebrato la Settimana biblica Missionaria dal 11 al 17 c.m. Da Novembre 2005 nella diocesi di Escuintla abbiamo cominciato a studiare

la Bibbia con un triennio biblico missionario, fino al 2008. Ogni settimana in alcune famiglie si celebra il cenacolo biblico, in tutte le

parrocchie della diocesi. Per la conclusione in ogni parrocchia si celebra la Settimana biblica Missionaria.

Si celebra il Cenacolo nella famiglia destinata e poi in processione si porta la Bibbia nella chiesa. In Sipacate abbiamo celebrato il Cenacolo ogni giorno nella nostra Cappella, con la partecipazione della Comunità e le persone hanno risposto abbastanza. Qui siamo una minoranza i cattolici e ogni sforzo di partecipazione merita essere valorato. Tutto è riuscito con l'animazione di Ivan, nostro protagonista fedele e ottimo artista.

La domenica 17 abbiamo partecipato numerosi alla chiusura, nella parrocchia de La Gomera,presentando una carrozza, ossia un camion, con scene bibliche. Noi abbiamo presentato la pesca miracolosa Lc 5,1-11, essendo molti abitanti pescatori, vivendo in riva al mare.

La preparazione della carrozza ha riunito le persone, offrendo ognuno il meglio di se, con idee, contributi vari, tempo, lavoro. Tutto questo è servito per integrare maggiormente le persone che hanno partecipato e alla fine si son maritate il premio, con grande soddisfazione di tutti.

Stava presente il nostro Vescovo, un grande missionario, Victor Hugo Palma Paùl, alla sfilata delle 12 carrozze allegoriche e ha presieduto la celebrazione della Santa Messa. È stata una festa di colori bianco e giallo, di suoni della numerosa banda e di allegria in onor della Parola di Dio.

Aveva piovuto tutta la notte e, grazie a Dios, la mattina l’abbiamo incontrata un poco fresca.

Sicuramente Dio, nostro Padre, ha colmato de benedizioni la parrocchia intera e in conseguenza, questo va a animare più persone a partecipare nel Cenacolo per l'anno prossimo.

Ringraziamo il Signore per tanta bontà e generosità con noi. Molti cari saluti e un Buon mese Missionario per tutti.

Suor A.Teresina Galdeman

Page 13: Diario Missionario n.26

Brasile P. Giovanni Munari

Carissimi, Sono mancato tante volte all´appuntamento del Diario Missionario. Mi sento in obbligo di partecipare questa volta, per tre motivi: primo, per ristabilire i contatti con amici, parrocchia e tante persone che mi sono vicine nel lavoro missionario; poi perché é il mese missionario e forse una parola nostra puó servire ad aprire le finestre e guardare lontano (siamo sempre cosí tentatiti di chiuderci nel nostro piccolo mondo e pensare solo a noi stessi!); e finalmente perché siamo nei giorni della festa di San Daniele Comboni (10 ottobre), particolarmente importante nella nostra famiglia religiosa. É una figura straordinaria che la Chiesa ha accolto come modello di vita e santitá. Sento che siamo soprattutto noi comboniani che dobbiamo presentarlo e farlo conoscere. Con semplicitá mi pare di rispondere alle tre cose raccontando un pó quello che sto vivendo. Questo é un tempo particolare per me, per la mia congregazione e per la Chiesa del Brasile. In settembre mi trovavo a Cittá del Messico, con altri responsabili comboniani che lavorano in varie parti del mondo, per riflettere la missione oggi (i cambi profondi che ci sono a tutti i livelli obbligano anche noi a rivedere scelte, prioritá e metodi di lavoro. Abbiamo alle volte l´impressione che quello che facciamo sia superato e abbia bisogno di un rinnovamento radicale) e tracciare qualche pista per il futuro. Come giá avviene da un certo tempo a questa parte, anche quest´ultimo incontro é stato segnato da avvenimenti por noi sconcertanti. Qui in Brasile é morto improvvisamente, travolto da una macchina, uno dei nostri vescovi, bresciano, 65 anni, senz´altro uno dei migliori del nostro episcopato. Tra l´altro, era responsabile di uno dei lavori che ci stanno piú a cuore, quello con gli indios. Sono rientrato prima che finisse l´incontro per poter partecipare in qualche maniera almeno della messa di 7º. Non sono riuscito perché ho dovuto andare a seppellire un altro confratello. Ripeto: é cosí da un pó di tempo a questa parte. Nei momenti in cui ci fermiamo e ci domandiamo che cosa sia veramente importante nella nostra vita personale e nel nostro lavoro missionario, siamo colti da notizie di questo tipo. É stato cosí un anno fa, due anni fa, nel 2003 e prima ancora... Nel momento in cui ci fermiamo per reimpostare il lavoro, perdiamo confratelli ancora giovani, dinamici e pieni di vita. Lo stesso avviene a livello ecclesiale. Qui in Brasile in pochi giorni sono morti tre vescovi molto bravi: il nostro confratello, poi un altro carbonizzato in un incidente stradale e un terzo che era un punto di riferimento per un sacco di gente, stroncato da un

Page 14: Diario Missionario n.26

tumore fulminante. Ci domandiamo cosa significano queste cose per noi, per la Chiesa, poiché sappiamo che niente succede per caso. Due lezioni le sento molto forti. La prima, che é fondamentale nel lavoro missionario e nella vita cristiana: noi siamo fatti per camminare nel segno della croce. Il nostro fondatore, Daniele Comboni, ricordava ai suoi missionari, in un´epoca molto piú difficile della nostra, che le opere di Dio nascono e crescono sempre ai piedi della croce. La croce é il principale segno del cristiano. Il distintivo. Paradossalmente, é segno che Dio ci vuole bene. Difficile da credere e da accettare, ma é cosí. Noi ripetiamo a noi stessi in questi giorni che Dio ci mette alla prova perché ci vuole bene. Vuole bene ai comboniani. Vuole bene alla Chiesa del Brasile. Per questo non permette che ci adagiamo, che andiamo avanti per inerzia e ci affidiamo appena al lavoro di qualche persona piú illuminata e brillante. Ci scuote, ci stimola, in molti aspetti ci corregge, ci purifica. Ci toglie pastori importanti per mostrarci che tutti forse dobbiamo fare un pó di piú per aiutare la Chiesa a essere fedele al messaggio ricevuto dal Signore... E poi un avviso: nel momento in cui discutiamo cosa “fare”, Dio sembra voler dirci che dobbiamo concentrarci di piú sull´essere. Niente di quello che si fa é veramente importante se non é accompagnato da una vita autentica, semplice, trasparente, evangelica. Essere piú che fare. Lezioni per me, per noi, credo anche per voi. Continuo il mio lavoro di coordinare il gruppo dei comboniani in Brasile (lo faccio ormai da cinque anni). Ricordo sempre a me stesso e agli altri che siamo missionari. Comboni ci voleva coraggiosi e insisteva che andassimo nei posti piú difficili, dove nessuno voleva andare. In questi ultimi tre-quattro anni noi, nel nostro gruppo (siamo poco piú di 60) abbiamo lasciato 7 impegni importanti per andare a ricominciare da capo in posti piú lontani, dove ci sembravano piú grandi i bisogni. Non é facile. C´é sempre qualcuno che resiste a questi spostamenti. Altri criticano dicendo che andiamo via esattamente quando potremmo goderci un pó il frutto del lavoro fatto. Proprio in questi giorni siamo in dialogo con alcuni vescovi perché vorremmo andarcene da un altro paio di parrocchie giá consilidate per iniziare qualcosa di nuovo in Amazzonia. Io spingo molto in questo senso. Mi sembra che la Chiesa dev´essere cosí, sempre in movimento, sempre alla ricerca di qualcosa in piú. Non é questo che il mese di ottobre ci ricorda? Una Chiesa missionaria, perché il Vangelo arrivi dappertutto e il maggior numero possibile di persone trovi la strada della vita e della fraternitá. Vivo un tempo di grazia. Vi ricordo tutti e domando a tutti una preghiera anche per il mio Istituto. Un abbraccio P. Giovanni Munari