di sandro scandolo e raymond jeanloz -...

5
del sis mente misteriosa: a differen ti e delle brulicanti luci dei spetto dei pianeti appare sempre pa te. E, di fatto, i pianeti sono oggetti misteriosi; per certi versi, di essi non sappiamo molto di più di quan- to ne sapessero gli antichi che li adoravano come di- vinità. In particolare, abbiamo pochissimi indizi su come sia fatto l'interno di un qualsiasi pianeta, com- preso il nostro. utti quelli che amano seguire il moto dei pianeti hanno avuto una rande occasione all'inizio dell'e- quando Venere ha solcato il el Sole dopo un'assenza di lo. Anche visti «da i altri pianeti aria quieta- e scintillan- abitati, l'a- mente iner- di Sandro Scandolo e Raymond Jeanloz di. Questa copertina illustra la vita a Pellucidar, un «mondo al centro della Terra» di cui parla in van romanzi scritti tra il 1913 e il 1944. Nella fantasia di Burroughs, da un'apertura in prossimità del Polo nord si può accedere a una grande cavità interna dove regna una natura incontaminata. Esperimenti di laboratorio e simulazioni al computer ci permettono di osservare il comportamento della materia a pressioni e temperature estreme, facendoci capire ciò che accade nelle viscere dei corpi planetari 4-6 LE SCIENZE 432/ agosto 2004

Upload: trandan

Post on 17-Feb-2019

212 views

Category:

Documents


0 download

TRANSCRIPT

Page 1: di Sandro Scandolo e Raymond Jeanloz - download.kataweb.itdownload.kataweb.it/mediaweb/pdf/espresso/scienze/2004_432_2.pdf · come sia fatto l'interno di un qualsiasi pianeta, com-preso

del sis

mente misteriosa: a differen

ti e delle brulicanti luci dei

spetto dei pianeti appare sempre pa

te. E, di fatto, i pianeti sono oggetti misteriosi; per

certi versi, di essi non sappiamo molto di più di quan-

to ne sapessero gli antichi che li adoravano come di-

vinità. In particolare, abbiamo pochissimi indizi su

come sia fatto l'interno di un qualsiasi pianeta, com-

preso il nostro.

utti quelli che amano seguire il

moto dei pianeti hanno avuto una

rande occasione all'inizio dell'e-

quando Venere ha solcato il

el Sole dopo un'assenza di

lo. Anche visti «da

i altri pianeti

aria quieta-

e scintillan-

abitati, l'a-

mente iner-

di Sandro Scandolo

e Raymond Jeanloz

di.

Questa copertina illustra la vitaa Pellucidar, un «mondo al centro

della Terra» di cui parla in van

romanzi scritti tra il 1913 e il 1944.

Nella fantasia di Burroughs,da un'apertura in prossimità del

Polo nord si può accedere a una

grande cavità interna dove regna

una natura incontaminata.

Esperimenti di laboratorio

e simulazioni al computer

ci permettono di osservare

il comportamento

della materia a pressioni

e temperature estreme,

facendoci capire ciò

che accade nelle viscere

dei corpi planetari

4-6

LE SCIENZE 432/ agosto 2004

Page 2: di Sandro Scandolo e Raymond Jeanloz - download.kataweb.itdownload.kataweb.it/mediaweb/pdf/espresso/scienze/2004_432_2.pdf · come sia fatto l'interno di un qualsiasi pianeta, com-preso

Idrogeno molecola reIdrogeno Crosta

molecolare,

Nettuno elio, meta"

GIOVE E SATURNO, I GIGANTI GASSOSI, sono costituiti da idrogeno ed elio;

esperimenti recenti hanno però confermato che in condizioni di alta

pressione l'idrogeno diventa un fluido metallico. Si ritiene che il centro di

Giove contenga un nucleo roccioso a pressioni estreme. La composizione

di Urano e Nettuno comprende acqua, ammoniaca e metano. Esperimenti

e simulazioni suggeriscono in questo caso che tali

molecole si dissocino, creando un oceano ionico

tra lo strato esterno gassoso e il nucleo solido.

Infine, nei pianeti di tipo terrestre, un mantello

di rocce silicatiche lascia il posto a un nucleo

perlopiù ferroso che, nel caso della Terra,

si articola in un nucleo interno solido

circondato da un nucleo esterno liquido.

Idrogeno metallico

Nucleo

Giove Terra

PV

Nucleo roccioso

Oceano ionico

Nucleo esternoNucleo interno di ferro liquidodi ferro solido

Mantello

Ciò che sappiamo per certo è che l'interno di un pianeta nonè un luogo idilliaco. Dagli elementi in nostro possesso, possiamodedurre che le regioni interne dei pianeti sono soggette a pres-sioni milioni di volte superiori a quella dell'atmosfera terrestre, eche le temperature del nucleo raggiungono molte migliaia digradi. Si può pensare all'interno di un pianeta come a un'imma-ne fornace specializzata nella lavorazione di un particolare com-posto chimico in condizioni estreme. Questi composti varianodalla semplice miscela idrogeno-elio di Giove e Saturno alla piùcomplessa miscela di «ghiacci» (di acqua, ammoniaca e metano)che compongono Nettuno e Urano, fino alle strutture interne«solide» (silicati più ferro in forma solida e qualche volta liquida)dei pianeti di tipo terrestre: Matte, Venere e, naturalmente, laTerra. L'aggettivo «solide» è un po' forzato: su scale di tempogeologiche gli oggetti di dimensioni planetarie fatti di roccia,metallo o ghiaccio si deformano e mostrano moti di convezioneproprio come i fluidi. Così pure, quelli che chiamiamo ghiaccinon sono strettamente solidi: hanno anche forma di gas nelleatmosfere esterne dei pianeti giganti e di fluidi al loro interno.

L'interno dei pianeti è totalmente inaccessibile: ciò che sap-piamo ci deriva da misurazioni e analisi indirette, come le ondesismiche rilevate sulla superficie terrestre. Analogamente, le mi-surazioni della massa e delle anomalie gravimetriche (variazionidella forza di gravità in differenti posizioni sulla superficie di unpianeta), dei campi magnetici e di alcune altre grandezze fisiche,effettuate per mezzo di sonde spaziali o di telerilevamento, ciconsentono di dedurre i profili di densità e la dinamica internadei pianeti del sistema solare. La stimadella pressione è qualcosa di relativamen-te semplice, poiché disponiamo di equa-zioni affidabili per calcolare la pressione apartire dalla massa e dalla profondità: lestesse equazioni che dicono a un subac-queo quanto rapidamente aumenta lapressione durante un'immersione. Osser-vazioni di superficie sulla composizionechimica e lo spessore dell'atmosfera pos-sono dare altre utili informazioni.

Sfortunatamente, tutto ciò basta a ma-lapena per stime approssimative. Ed è dif-ficile immaginare una sonda in grado dipenetrare sotto l'epidermide di un pianetafino a profondità di chilometri per racco-gliere campioni del suo interno. Nel 1996la sonda Galileo ha fatto un tuffo di 600chilometri all'interno di Giove, rivelandocaratteristiche inaspettate degli stratiesterni. Ma 600 chilometri sono appenaun graffio sulla superficie di Giove, che ha un raggio di 70.000chilometri. La massima profondità finora raggiunta sulla Terrada un pozzo di perforazione è di 12 chilometri: lo 0,2 per centodella distanza tra la superficie e il centro. E ci sono buone ra-gioni per aspettarsi che i campioni raccolti da sondaggi così li-mitati possano essere tutt'altro che rappresentativi dell'internodi un pianeta.

Sconfortato dalla mancanza di sforzi coordinati per effettua-re sondaggi in regioni più profonde della Terra, David Steven-son del California Institute of Technology ha recentementeavanzato una «modesta proposta». Secondo Stevenson, con unafrazione degli investimenti finanziari richiesti per il lancio diuna missione spaziale, un milione di tonnellate di ferro liquidopotrebbero essere riversate in una frattura artificiale della super-ficie terrestre. 11 ferro, lentamente ma inesorabilmente, tendereb-be a farsi strada verso il centro della Terra, e potrebbe portarecon sé sonde insolubili in grado di inviare informazioni di primamano da profondità mai raggiunte. Con il suo suggerimento un

po' provocatorio, Stevenson ha dato un'idea della frustrazionedei geofisici, che muoiono dalla voglia di sondare direttamente imisteri profondi del nostro pianeta.

Stevenson non è il primo a proporre soluzioni creative. Difatto, una vasta comunità internazionale sta esplorando unastrada completamente diversa per studiare le regioni interne deipianeti. Anziché tentare l'accesso diretto all'interno della Terra,fin dagli inizi del XX secolo alcuni scienziati provano a simula-re le condizioni di pressione e temperatura che caratterizzanol'interno dei corpi planetari. I micromondi creati in laboratorioaprono una finestra spettacolare sulla composizione, la dinami-ca e l'evoluzione dei pianeti, e permettono perfino di dare un'oc-chiata alla storia del sistema solare, per comprendere in che mo-do esso si sia evoluto.

Non è facile produrre pressioni di milioni di atmosfere e tem-perature di qualche migliaio di gradi tra le pareti di un laborato-rio, per non parlare di che cosa significhi mantenere queste con-dizioni per un tempo sufficientemente lungo da consentire mi-

LE CELLE A INCUDINI DI DIAMANTE comprimono minuscoli campioni di

materia tra una coppia di gemme fino a raggiungere pressioni vicine a

quelle presenti all'interno dei pianeti: milioni di volte quella dell'atmosfera

terrestre. Nel dispositivo, pistoni e viti di pressa applicano pressioni

che talvolta sono abbastanza grandi da fratturare il diamante, il più duro

materiale conosciuto. Un raggio laser o un fascio di raggi X (in blu) viene

disperso (in verde) per leggere informazioni dettagliate dal campione,

rivelando alterazioni nel materiale che sono spesso sorprendenti.

surazioni. Fortunatamente, gli esperimenti trovano conforto neicalcoli teorici fondati sulla meccanica quantistica e sulla mecca-nica statistica, che permettono di simulare al computer le condi-zioni esistenti in profondità all'interno dei pianeti.

Un diamante non è per sempre

Nelle buie stanze del Laboratorio di geofisica della CarnegieInstitution di Washington, Dave Mao e Russell Hemley si avvi-cinano ogni giorno di più al traguardo di riprodurre in modocontrollato le condizioni estreme tipiche dell'interno dei pianeti.Mao ed Hemley sono maestri nell'uso delle celle che sfruttanoincudini di diamante per creare pressioni estreme. Per la sua du-rezza, il diamante è infatti il materiale più adatto a comprimeresostanze a pressioni milioni di volte superiori a quella atmosfe-rica. A questo scopo, una coppia di gemme tagliate a brillante,ciascuna del peso di circa un quarto di carato, viene incorporatain una potente pressa. Purtroppo, quanto più intensa è la pres-

IN SINTESI

L'interno dei pianeti è totalmente inaccessibile, e ciò che

sappiamo deriva da misurazioni e analisi indirette: per

esempio, le onde sismiche rilevate alla superficie della Terra.

L Da diversi anni si tenta di produrre in laboratorio le pressioni

di milioni di atmosfere e le temperature di qualche migliaio di

gradi tipiche dei nuclei dei pianeti.

Gli esperimenti eseguiti mostrano che la temperatura e la

pressione possono interagire per creare stati insoliti della

materia all'interno dei pianeti e corroborano l'ipotesi secondo

cui gran parte di Giove consisterebbe di idrogeno metallico.

Simulazioni al computer hanno mostrato che peri pianeti

terrestri la situazione è più complessa. Sembra però verosimile

che il centro della Terra possa essere altrettanto caldo della

superficie del Sole, raggiungendo i 5000-6000 kelvin.

sione esercitata da pistoni e viti della pressa, tanto maggiore è laprobabilità che uno dei due diamanti che comprimono il cam-pione (del diametro di pochi millimetri) si rompa. Mao ha man-dato in pezzi centinaia di diamanti. Piccoli, per fortuna. Ma lacosternazione dovuta a una rottura occasionale è più che com-pensata dalle scoperte permesse da questo minuscolo dispositi-vo. Quando i diamanti riescono a sopportare il carico a cui sonosoggetti, la pressione che può essere raggiunta al centro dellapunta dell'incudine, in uno spazio di poche decine di microme-ffi, è sufficiente a riprodurre le condizioni che si ritrovano lungouna notevole frazione del raggio di un pianeta.

La compressione della materia a pressioni planetarie ne alteradrasticamente le proprietà macroscopiche, alcune delle quali so-no essenziali nell'elaborazione di modelli dei pianeti: densità,resistenza meccanica, viscosità e conduttività elettrica. Le variesostanze possono cambiare stato sotto pressione estrema: l'ac-qua e molti altri liquidi, per esempio, solidificano. In rari casipuò accadere l'inverso. I solidi possono passare da una struttura

cristallina a un'altra, così da ottimizzare l'impaccamento degliatomi. Sali trasparenti si convertono in neri metalli. Materialimagnetici come il ferro perdono il loro magnetismo. Più alta è lapressione, più si allunga la lista delle sorprese. Sotto pressioneestrema i legami chimici cambiano profondamente, ed emergeuna tavola periodica del tutto diversa: il potassio diventa unmetallo di transizione, e l'ossigeno un superconduttore.

Il lavoro di Mao ed Hemley è nel quadro di un ritorno di inte-resse per gli esperimenti ad alta pressione, membri di una secon-da generazione di ricercatori in un campo che si riteneva giuntoa maturità con l'assegnazione del premio Nobel a Percy W.Bridgman nel 1946. Bridgman aveva compresso centinaia di so-stanze fino a pressioni che superavano le 100.000 atmosfere. Isuoi successori hanno ottenuto nuovi risultati sia con i metodidi compressione statica, come la cella a incudini di diamante, siacon il perfezionamento dei metodi di compressione dinamicabasati su onde d'urto. Nel 1976, Mao e Bell hanno sfondato labarriera del milione di atmosfere. Ma non si è trattato solo di unevento simbolico: significava che si era riusciti a riprodurre lepressioni alla base del mantello terrestre, corrispondenti a unaprofondità ragguardevole all'interno dei pianeti giganti.

Idrogeno metallico

Già nel 1935 Eugene Wigner, uno dei padri della meccanicaquantistica e all'epoca professore alla Princeton University, ipo-tizzò che l'idrogeno, gas molecolare inerte in condizioni am-bientali, potesse trasformarsi in un solido metallico, simile al li-tio o al sodio, a pressione sufficientemente alta. L'ipotesi di Wi-gner implicava una notevole complessità per il primo elementodella tavola periodica, la specie chimica più semplice, un elettro-ne legato a un protone.

Dal momento che l'idrogeno, a quanto si sa, costituisce circail 90 per cento del volume di Giove e Saturno, la comparsa diuno stato metallico dell'idrogeno ad alta pressione potrebbe se-riamente alterare la nostra comprensione dell'interno dei piane-ti. I campi magnetici planetari e stellari sono prodotti, tramiteun meccanismo simile a quello della dinamo, da correnti elettri-

4-8

LE SCIENZE 432/agosto 2004

www.lescienze.it

Page 3: di Sandro Scandolo e Raymond Jeanloz - download.kataweb.itdownload.kataweb.it/mediaweb/pdf/espresso/scienze/2004_432_2.pdf · come sia fatto l'interno di un qualsiasi pianeta, com-preso

5o

10.000 —

Giove

8.000 - et>

\e

6.000 -

0".........'''''.......—psl el<3 Satu rn o

oote«3 - - —

1~ 1.1- Rocce

Urano M.4. 03 e Nettuno

A

2.000 -

Idrogeno liquido

Proiettile

Placchein zaffiro

Elettrodi

1,c

'Tt>

8.000

LE AURORE PLANETARIE, gli stupefacenti spettacoli di luce prodotti dalla

collisione tra gli elettroni carichi del vento solare e l'atmosfera,

illuminano le linee di forza del campo magnetico generato dai nuclei

dei pianeti. Sulla Terra le aurore si manifestano in prossimità del Polo

nord e del Polo sud. Una delle prime, l'aurora boreale, si vede a sinistra

in un'immagine ripresa dallo Space Shuttle. Le aurore di Giove, una

delle quali è raffigurata nell'immagine dello Hubble Space Telescope qui

sotto, sono più complesse, rivelando la presenza di una magnetosfera

molto intensa e potente tutt'intorno al più grande dei pianeti.

L'esistenza di questa magnetosfera è una delle prove che indicano

come all'interno di Giove debba esserci una regione in cui l'idrogeno

si trova in uno stato metallico fluido.

2.000 4.000 6.000

Pressione (migliaia di atmosfere)

GLI ESPERIMENTI HANNO INIZIATO A FAR LUCE

su come la temperatura e la pressione possano

interagire per creare stati insoliti della materia

all'interno dei pianeti. Si pensa che nei giganti

gassosi la temperatura svolga un ruolo

particolarmente significativo. Gli esperimenti

di onda d'urto indicano che una temperatura

elevata determina la metallizzazione

dell'idrogeno a una frazione della pressione

necessaria per causare la stessa transizione a

temperatura ambiente, corroborando le ipotesi

secondo cui gran parte di Giove dovrebbe

consistere di idrogeno metallico. Non si ritiene

che le temperature raggiungano valori simili

nelle regioni interne di Urano e Nettuno, le quali

possono essere riprodotte grazie

agli esperimenti con incudini di diamante

e alle simulazioni al computer. Allo stesso

modo, le condizioni di pressione e temperatura

al centro della Terra sono alla portata

degli esperimenti con le incudini di diamante

che comportano il riscaldamento laser del ferro.

Tuttavia, alcune questioni tecniche fanno sì

che prosegua il dibattito sull'interpretazione

dei risultati sperimentali.

che che fluiscono nelle regioni metalliche interne. 11 campo ma-gnetico terrestre, per esempio, ha origine dal nucleo esterno me-tallico liquido. 11 campo magnetico di Giove, misurato per la pri-ma volta dalla sonda Voyager, è dieci volte più intenso di quellodella Terra, e la sua configurazione è ben più complessa. Parte diquesta complessità potrebbe essere dovuta al fatto che la sorgen-te del campo si trova molto più lontana dal centro, in termini re-lativi, di quanto non lo sia quella del campo terrestre. La previ-sione di Wigner dell'esistenza dell'idrogeno metallico si basavasu un'analisi semplificata dello stato fondamentale dell'elettrone,ma la pressione che aveva calcolato per la transizione allo statometallico, circa 250.000 atmosfere, corrispondeva a una profon-dità di meno di un ventesimo del raggio di Giove. In altre parole,la maggior parte del gigante gassoso, il pianeta più grande del si-stema solare, avrebbe dovuto trovarsi allo stato metallico, perquanto l'idrogeno metallico avrebbe dovuto essere un fluido,piuttosto che un solido, per poter produrre un effetto dinamo.

I risultati di Mao e Bell con la cella a incudini di diamantehanno indotto gli scienziati che lavorano sulle alte pressioni amettere alla prova la previsione di Wigner e a cercare lo statometallico dell'idrogeno. Sfortunatamente, un quarto di secolopiù tardi, e quasi 70 anni dopo l'ipotesi di Wigner, nessuno èstato in grado di dimostrare in modo inoppugnabile di saperconvertire l'idrogeno in un solido metallico sotto compressionestatica in laboratorio.

Per quanto probabilmente corretta a pressioni molto più alte,l'ipotesi di Wigner non era dunque del tutto esatta per quanto ri-guarda il modo e il punto di conversione in metallo. La spiega-zione si trova nella sottile zona di confine tra chimica e fisica.Nella tavola periodica degli elementi, l'idrogeno viene tradizio-nalmente disposto nell'angolo in alto a sinistra, appena sopra illitio e il sodio. La colonna I della tavola è quella in cui DmitriMendeleev collocò gli atomi alcalini, ossia gli atomi con un soloelettrone di valenza. E lo stato atomico dell'idrogeno si conformacertamente a questo criterio. Tuttavia, l'aggiunta di un elettrone aun atomo di idrogeno dà origine a uno ione piuttosto stabile, uncriterio che Mendeleev ha usato per collocare atomi come lo io-dio sul lato opposto della tavola periodica, nella colonna XVII.

L'ipotesi di Wigner si basava su questa ambiguità chimica Abassa densità, lo stato biatomico dell'idrogeno (H2), in cui cia-

scun atomo di idrogeno manifesta il comportamento di un ele-mento della colonna XVII, è nettamente preferito. Ma a unacompressione sufficientemente alta l'idrogeno salta athaverso latavola alla colonna I, dove lo aveva messo Mendeleev. Sfortu-natamente, una precisa determinazione della pressione a cui siverifica la transizione richiede la risoluzione delle equazioniquantomeccaniche per gli elettroni e il confronto della loroenergia nei due stati: lo stato isolante biatomico e lo stato me-tallico monoatomico. Nel 1935 le equazioni di base della mec-canica quantistica erano state appena definite, e già risolte esat-tamente per un certo numero di casi estremamente semplici, tracui quello dell'atomo di idrogeno. Ma la loro risoluzione in uncaso complesso come l'idrogeno metallico solido di alta pressio-ne imponeva forti approssimazioni. Così Wigner aveva finitocon il sottostimare la pressione di transizione.

Oggi, i perfezionamenti della teoria e le estrapolazioni dai ri-sultati sperimentali indicano che l'idrogeno diviene metallico apressioni che superano i quattro milioni di atmosfere, appenaentro la portata delle celle a incudini di diamante. Si ritieneinoltre che la metallizzazione dell'idrogeno possa essere un affa-re più complesso di un semplice salto attraverso la tavola perio-dica. Esperimenti recenti hanno dimostrato che lo iodio divienemetallico mentre è nello stato biatomico (I2), e si trasforma in unsolido monoatomico di tipo alcalino solo a pressioni più alte. Inaltre parole, la strada verso l'idrogeno metallico potrebbe nonessere lineare, e anzi comportare una sequenza di transizioniche devono ancora essere scoperte.

Una soluzione da shock

11 fatto che l'idrogeno sia restio a metallizzarsi per compressio-ne ha sollevato alcune questioni circa le nostre teorie su Giove:forse l'idrogeno metallico non è così diffuso su quel pianeta, maè limitato ad aree vicine al nucleo, a pressioni e temperatureestreme? Uno sguardo al grafico nella pagina a fronte suggeri-sce una possibile risposta. Le parti interne dei pianeti giganti so-no effettivamente soggette a pressioni e temperature estreme.Forse, si è pensato, la temperatura potrebbe svolgere un ruoloinaspettato nella metallizzazione. Purtroppo, questa congetturanon poteva essere verificata dagli esperimenti con le celle a in-

Tubo della pompaPistone

Ignizione della polvere

da sparo

GLI ESPERIMENTI A ONDA D'URTO generano pressioni e temperature

elevate grazie a un impulso laser o a un proiettile. A metà degli anni

novanta, al Lawrence Livermore National Laboratory è stato costruito

un dispositivo in grado di sottoporre un campione di idrogeno a una

pressione di 1,8 milioni di atmosfere e una temperatura di 2900 kelvin.

Nel «fucile» a onda d'urto, un campione di idrogeno liquido raffreddato

viene posto in un appropriato contenitore. I gas prodotti dall'esplosione

di una cartuccia spingono un pistone che comprime l'idrogeno gassoso

presente nel tubo; il gas sfreccia lungo la canna per spingere un proiettile

verso il campione. Lo shock dell'impatto sottopone per un istante

il campione a condizio^ ; simili a quelle dell'interno di un pianeta.

GLI AUTORI

SANDRO SCANDOLO è senior staff member all'Abdus Salam In-

ternational Centre for Theoretical Physics di Trieste, dove la sua

ricerca comprende simulazioni di transizioni di fase di alta

pressione in sistemi covalenti, molecolari e metallici oltre alle

proprietà delle superfici, i polimeri e l'ottica non lineare. Dal

2002 è professore associato alla SISSA di Trieste. In precedenza

ha trascorso un periodo sabbatico presso la Princeton Univer-

sity. RAYMONDJEANLOZ insegna scienze della Terra e planeta-

rie all'Università della California a Berkeley, dove il suo gruppo

studia la natura e l'evoluzione dell'interno dei pianeti.

Questo articolo è stato originariamente pubblicato sul numero

di novembre-dicembre 2003 di «American Scientist».

Valvolaa rottura Canna

Idrogeno gassoso

cudini di diamante. Riscaldare materiali all'interno di una cella aincudini di diamante è difficile, soprattutto nel caso dell'idroge-no. L'idrogeno ad alta temperatura tende a reagire con la guar-nizione che lo tiene tra le punte dei diamanti, e anche con i dia-manti stessi. Per questo motivo, la più alta temperatura che siastata raggiunta in una cella a diamanti contenente idrogeno èancora inferiore a 850 kelvin.

La compressione dell'idrogeno con onde d'urto è un approc-cio più promettente? Gli esperimenti con onde d'urto soffronodel problema opposto. Pressioni dell'ordine dei milioni di atmo-sfere sono raggiungibili solo con un'onda d'urto intensa, del ti-po di quelle generate quando un proiettile di metallo o un im-pulso laser estremamente intenso colpiscono un campione. Ma,quanto più intenso è l'urto, tanto più alta è la temperatura fina-le del campione. Se viene direttamente compresso per urto finoa un milione di atmosfere, l'idrogeno si riscalda a temperaturesuperiori ai 20.000 kelvin, ben oltre le temperature stimate perle corrispondenti profondità all'interno di Giove.

Nel 1995, Bill Nellis, Sam Weir, Arthur Mitchell e i loro colla-boratori al Lawrence Livermore National Laboratory sono riu-sciti a progettare e a far funzionare un dispositivo a onde d'urtomigliorato. Per prima cosa raffreddavano il campione in mododa aumentarne la densità e portarlo più vicino al valore bersa-glio. Quindi, predisponevano il dispositivo in modo che l'ondad'urto riverberasse tra il proiettile e le pareti della camera.

I calcoli facevano prevedere che con uno shock riverberantesi potessero raggiungere pressioni molto più alte senza vistosi

50 LE SCIENZE 432/agosto 2004

www.lescienze.it

51

Page 4: di Sandro Scandolo e Raymond Jeanloz - download.kataweb.itdownload.kataweb.it/mediaweb/pdf/espresso/scienze/2004_432_2.pdf · come sia fatto l'interno di un qualsiasi pianeta, com-preso

E

aumenti di temperatura. A differenza dell'esperimento con leincudini di diamante, dove il campione può essere mantenutoin uno stato compresso per un tempo illimitato, in un esperi-mento a onda d'urto le misurazioni vanno eseguite rapidamen-te: in meno di un microsecondo il campione viene distrutto, in-cenerito dallo scoppio. Ma il gruppo di Nellis è riuscito a misu-rare la conduttività elettrica dell'idrogeno a 1,8 milioni di at-mosfere e 2900 kelvin (condizioni molto vicine a quelle che do-vrebbero dominare al centro di Giove), scoprendo che l'idroge-no diventa metallico a 1,4 milioni di atmosfere e 2600 kelvin,meno della metà della pressione necessaria per farlo metallizza-re a temperatura ambiente. Né Wigner né gli scienziati dellecelle a incudine di diamante avrebbero potuto immaginare uneffetto così drastico della temperatura. Ma il quadro finale diGiove che emergeva era molto nitido. La conduttività misuratae le nuove stime della pressione di transizione allo stato metal-lico si accordavano con l'intensità e la configurazione del cam-po magnetico superficiale di Giove. Ogni tessera del modellostava andando al suo posto, dalla scala microscopica degliesperimenti con onda d'urto alla scala planetaria della genera-zione dei campi magnetici.

Diamanti nel cielo

Nettuno e Urano sono vicini ai confini del sistema solare, e sitrovano a qualche miliardo di chilometri di distanza dal Sole.Non sorprende, pertanto, che i primi seri tentativi di descriverele parti interne di questi pianeti con un modello teorico sianoiniziati solo in occasione del passaggio ravvicinato di VoyagerII, meno di 20 anni fa Tuttavia, in base alla densità e alla di-stanza dal Sole, gli scienziati hanno a lungo ipotizzato che gliinterni di Nettuno e Urano avessero una composizione più variarispetto a Giove e Saturno: acqua, ammoniaca e metano, i co-siddetti ghiacci planetari, avrebbero contribuito per l'80 per cen-to alla loro massa. Di fatto, gli studi spettroscopici confermanoinequivocabilmente la presenza di queste molecole nelle atmo-sfere esterne dei due pianeti, come pure nelle atmosfere di pic-cole stelle conosciute come «nane brune».

Prima che si iniziasse a riprodurre in laboratorio le pressionie le temperature di Nettuno, si sapeva ben poco sullo stato rea-le di questi ghiacci molecolari nelle profondità dei pianeti. Cosìtutti rimasero strabiliati quando Marvin Ross, analizzando nuo-vi dati di onda d'urto su metano ottenuti dai suoi colleghi a Li-vermore, annunciò nel 1981 che nel nucleo di Nettuno potevacelarsi una gigantesca miniera di diamanti. Il metano è compo-sto da un atomo di carbonio e quattro di idrogeno (CH 4), ma

l'estrema compressione, sosteneva Ross, avrebbe fatto sì che lamolecola si dissociasse e che i suoi atomi di carbonio si riag-gregassero nella forma più stabile in quelle condizioni: il dia-mante. Per quanto non vi fossero dubbi che questo dovesse ne-cessariamente essere il destino del metano nelle regioni piùprofonde di Nettuno, restava tuttavia possibile che il metanonon appartenesse proprio alla lista dei componenti dell'internodel pianeta. Una possibile risposta al quesito si è avuta nel1996, e non da esperimenti con onde d'urto o incudini di dia-mante, ma da un modo radicalmente diverso di simulare l'in-terno planetario.

La raccolta di informazioni sulla composizione a grande scaladi un pianeta grazie a uno shock che dura per meno di un milio-nesimo di secondo, cui viene sottoposto un campione che pesaun milionesimo di grammo, era un'estrapolazione quanto maiazzardata. Ma dal momento che le leggi di natura continuano aessere valide fino alla scala atomica, non vi è ragione che l'espe-rimento non possa essere miniaturizzato ancor più, fino a uncampione di poche molecole. Questa è la scala a cui capacità dicalcolo e modelli teorici attuali consentono di risolvere le equa-zioni di base che governano il comportamento degli elettroni edegli atomi nella materia e offrono un quadro dettagliato di co-me gli atomi rimbalzino l'uno contro l'altro, vibrino e venganocompressi sotto l'azione combinata di pressione e temperatura.

L'idea di simulare il comportamento della materia a scala ato-mica è vecchia come il computer. Enrico Fermi, Stanislaw Ulame John Pasta furono probabilmente i primi a riconoscere le po-tenzialità del computer, nel 1955, per risolvere le equazioni delmoto di Newton: risolsero la dinamica in tempo reale di una seriedi masse puntiformi interagenti accoppiate con molle, un sistemacerto molto idealizzato. Ma l'evoluzione dei modelli quantisticidell'interazione fra atomi e l'incremento della potenza dei com-puter ci consentono oggi di studiare il comportamento di un pu-gno di atomi risolvendo esattamente le leggi della meccanicaquantistica e classica. Così nel 1996 uno di noi (Scandolo), con isuoi colleghi di Trieste, iniziò a simulare il destino del metano al-le condizioni di pressione e temperatura del centro di Nettano.

Nettuno virtuale

In linea di principio, una simulazione del comportamento delmetano in condizioni planetarie non differisce molto da ciò cheavevano fatto Fermi, Ulam e Pasta. Il gruppo di Trieste preseuna manciata di molecole, 16 era il massimo che ci si potessepermettere con i supercomputer dell'epoca, le mise in una celladi simulazione e lasciò evolvere le posizioni degli atomi secondo

le equazioni di Newton, vale a dire con un'accelerazione ugualealla forza divisa per la massa atomica.

Le equazioni di Newton vengono risolte in questo caso divi-dendo il tempo in brevissimi intervalli, ciascuno di meno di unfemtosecondo (10- 15 secondi), calcolando le forze a ogni passotemporale e aggiornando le posizioni degli atomi. Un picose-condo (10- 12 secondi) di dinamica richiede di ripetere questaoperazione per più di un migliaio di volte. Avevamo bisogno diun supercomputer perché la forza esercitata da un atomo su unaltro atomo non può essere semplicemente simulata da unamolla, come Fermi, Ulam e Pasta avevano ipotizzato. Le intera-zioni tra atomi sono mediate dalla presenza delle loro nubi elet-troniche. Gli elettroni si ridispongono istantaneamente a ognivariazione di posizione degli atomi e, a seconda delle condizio-ni esterne applicate al sistema, possono o tenere insieme gli ato-mi come una sorta di collante (un legame chimico) o causarne laseparazione, come nel caso della dissociazione molecolare.

Seguire il riarrangiamento delle nubi molecolari, e quindi cal-colare le forze che agiscono sugli atomi, è un compito estrema-mente difficile, che comporta la risoluzione della meccanicaquantistica di centinaia di elettroni simultaneamente e la ripeti-zione dell'operazione tante volte quante ne sono richieste dalladinamica atomica. Non fu quindi una sorpresa constatare che alsupercomputer servivano due settimane per simulare cinque so-li picosecondi della dinamica «reale» di 16 molecole di metano.

IL NUCLEO DI NETTUNO È PIENO DI DIAMANTI? Esperimenti

di onda d'urto indicano che pressioni estreme potrebbero causare

la dissociazione del metano (CH 4), cioè la separazione degli atomi di

carbonio e idrogeno. In tali condizioni ci si attenderebbe che gli atomi

di carbonio si aggreghino per formare diamante, la forma più stabile

del carbonio. L'ipotesi è confermata da simulazioni al computer. Uno

degli autori (Scandalo) e i suoi colleghi dell'Abdus Salam International

Centre for Theoretical Physics di Trieste hanno simulato la dinamica di 16

molecole di metano, scoprendo che alle condizioni di pressione

e temperatura di Nettuno si possono formare diamanti. A pressioni

intermedie, però, il metano si dissocia parzialmente, e forma catene

di idrocarburi. Nella pagina a fronte sono mostrate due schermate della

simulazione. A sinistra le 16 molecole di metano (gli atomi di carbonio

sono in verde e quelli di idrogeno in bianco) sono viste in condizioni

di temperatura e pressione relativamente basse. Dopo un picosecondo a

400 kelvin di temperatura e 100 gigapascal di pressione (circa un milione

di atmosfere), le molecole si sono dissociate e ricombinate, formando

due molecole di metano, quattro di etano (C 2 H 6 ) e due di propano (C3H8),

con gli idrogeni in eccesso legati a formare molecole biatomiche.

Reazioni chimiche come la dissociazione avvengono però assairapidamente, sulla scala dei femtosecondi, sicché non le avrem-mo mancate se fossero avvenute nel nostro ambiente simulato.

Scavando in questo piccolo mondo virtuale, abbiamo trovatoi diamanti di Ross. I nostri risultati confermavano l'ipotesi che idiamanti si formassero nelle condizioni delle regioni più profon-de di Nettuno. Ma i calcoli, inaspettatamente, diedero un quadrodiverso alle pressioni intermedie, quelle corrispondenti al grossodel volume del pianeta. Invece di dissociarsi del tutto nei suoicostituenti atomici, nella simulazione il metano si dissociava so-lo parzialmente, e finiva con il formare catene di idrocarburi:catene formate da due o tre atomi di carbonio circondati da ato-mi di idrogeno. La scoperta corroborava l'idea di Ross che il me-tano dovesse essere depennato dalla lista dei «ghiacci» e impli-cava che la chimica profonda di Nettuno dovesse essere piùcomplessa di quanto ritenuto. In particolare, la produzione diidrocarburi all'interno dei pianeti poteva spiegare l'anomala ab-bondanza di alcuni di essi nell'atmosfera del pianeta, dove pote-vano essere giunti per l'azione di correnti convettive.

Una conferma sperimentale diretta sia della formazione diidrocarburi sia di quella del diamante dal metano in condizioniplanetarie si è avuta solo tre anni più tardi, nel 1999, da esperi-menti con incudini di diamante eseguiti a Berkeley, in Califor-nia, da uno di noi (Jeanloz), con Robin Benedetti e altri. Quandoun campione di metano fu riscaldato al di sopra di 2500 kelvin ecompresso a oltre 200.000 atmosfere da un bagno di idrocarbu-ri fluidi saltarono fuori, fluttuando, diamanti reali.

Questi valori di pressione e temperatura erano anche più bassidi quelli predetti dalla simulazione al computer per la dissocia-zione del metano, il che implica che forse non vi sia affatto me-tano nelle profondità di Nettuno. Ma non solo. La separazionedel metano in idrogeno che risale e diamante che sprofonda pro-duce abbastanza energia gravitazionale da azionare i moti collet-tivi nell'interno fluido del pianeta. L'entità di quest'energia sem-bra notevole, confrontabile con il calore in eccesso - quello cioèche supera il calore ricevuto dal Sole - liberato dall'interno diNettano secondo quanto indicano le emissioni infrarosse.

La disputa più rovente del mondo

Il nostro viaggio virtuale nell'interno dei pianeti ci conducefinalmente a casa, sulla Terra. Per quanto la Terra sia il più stu-diato di tutti i pianeti, il suo interno è ancora misterioso e inac-cessibile. Eppure è lì che sono custodite le informazioni fonda-mentali per capire in che modo il nostro pianeta si sia formatoed evoluto. Una delle questioni che si pongono per prime è: che

52 LE SCIENZE 432/agosto 2004

www.lescienze.it 53

Page 5: di Sandro Scandolo e Raymond Jeanloz - download.kataweb.itdownload.kataweb.it/mediaweb/pdf/espresso/scienze/2004_432_2.pdf · come sia fatto l'interno di un qualsiasi pianeta, com-preso

1 Profondità (chilometri] 6.371 5.1150 . 6510-i670

UNA CONFERMA SPERIMENTALE del fatto

che idrocarburi e diamanti possano formarsi

dal metano in condizioni planetarie proviene

da un esperimento con incudini di diamante

eseguito presso l'Università della California

a Berkeley da uno degli autori (Jeanloz)

e i suoi collaboratori. Un campione

di metano è qui mostrato in microfotografie

riprese prima (a sinistra) e dopo compressione

e riscaldamento laser nella cella a incudini

di diamante. In successive misurazioni

dello spettro di assorbimento infrarosso

la firma del metano si è attenuata, ed è stata

sostituita da bande di assorbimento

caratteristiche di doppi e tripli legami

del carbonio negli idrocarburi.

Al centro del fascio laser, dove il riscaldamento

era massimo, si aveva l'evidenza

della formazione di diamante.

temperature raggiunge l'interno della Terra? È il calore del man-tello e del nucleo terrestre a causare l'attività geologica, dalleeruzioni vulcaniche ai movimenti dei continenti, dai terremotialla formazione dei giacimenti minerari. Molto di quel calore èun residuo della formazione del nostro pianeta, 4,5 miliardi dianni fa; il calore ulteriore proviene dal decadimento di isotopiradioattivi di elementi come il potassio, il torio e l'uranio.

11 modo più diretto per rispondere alla domanda consiste neldeterminare la temperatura di fusione del materiale presente nelnucleo terrestre ad alte pressioni. La misurazione delle onde si-smiche che transitano affiaverso l'interno mostra come il nucleoesterno sia liquido (con una viscosità ritenuta confrontabile aquella degli oceani), mentre l'incremento della pressione con laprofondità fa sì che il nucleo interno sia solido. L'interfaccia tranucleo interno e nucleo esterno deve quindi essere alla tempera-tura di congelamento (o, se si preferisce, di fusione) del materia-le del nucleo a quella profondità. Data la natura fluida delle re-gioni profonde, oltre alle misurazioni sismiche si possono usarele equazioni della meccanica dei fluidi per calcolare la pressionein corrispondenza di questo limite: 3,25 milioni di atmosfere.

Se pensiamo alla Terra come a un'enorme pressa capace dimostrarci (se fossimo in grado di inserire un termometro) latemperatura di congelamento della lega che costituisce il nucleoad alte pressioni, possiamo immaginare di costruire una versio-ne da laboratorio di questa pressa per misurare le temperature difusione e congelamento di leghe appropriate a pressioni fra i 3 ei 4 milioni di atmosfere. Potremo così determinare la temperatu-ra al limite tra nucleo esterno e nucleo interno. E, con un'estra-polazione relativamente modesta, quella al centro del pianeta.

Michael Brown, all'epoca dottorando all'Università del Min-nesota, si recò al Los Alamos National Laboratory alla fine deglianni settanta per lavorare con Robert McQueen, uno dei massi-mi esperti negli esperimenti di onda d'urto. Brown e McQueendimostrarono che il ferro fonde quando viene compresso a pres-sioni di circa 2,5 milioni di atmosfere e che, per quanto la velo-cità del suono nel ferro aumenti via via che il campione vieneportato a pressioni più alte, cade bruscamente a 2,5 milioni diatmosfere, esattamente nel modo che ci si aspetterebbe in casodi fusione. Dopo di che aumenta nuovamente via via che il fer-ro fuso è portato a pressioni ancora più alte.

Pubblicate nel 1982, queste scoperte si armonizzavano benecon quelle del sismologo danese Inge Lehman, che scoprì il nu-cleo interno nel 1936 appurando che la velocità delle onde si-smiche aumentava a una profondità che oggi identifichiamo co-me l'interfaccia tra le regioni solida e liquida del nucleo.

Purtroppo, la temperatura non poteva essere facilmente mi-

surata negli esperimenti con onda d'urto condotti a Los Alamos.E comunque la scoperta della transizione di fusione ad alte pres-sioni era un progresso di prima grandezza in grado di motivarealtri ricercatori. Per fortuna, a differenza dell'idrogeno, il ferropuò essere riscaldato in una cella a incudini di diamante usandoun fascio laser. In capo a pochi anni, Quentin Williams e uno dinoi (Jeanloz), all'Università della California a Berkeley, riusciva-no a misurare la temperatura del ferro riscaldato con il laser emantenuto ad alta pressione. Misurando lo spettro della luceemessa dal campione caldo, siamo risaliti alla temperatura congli stessi metodi che gli astronomi usano per determinare letemperature superficiali delle stelle. I risultati furono sorpren-denti: invece di fondere a circa 3000 kelvin, come ci si attende-va, sembrava che il ferro richiedesse temperature più vicine a4000 kelvin, per fondere a un milione di atmosfere.

Al tempo stesso, Thomas Ahrens, Jay Bass e i loro colleghi alCaltech erano riusciti a usare il metodo del gruppo di Berkeleyper misurare la temperatura del ferro compresso con onda d'ur-to a tre milioni di atmosfere. Anch'essi trovarono una tempera-tura sorprendentemente alta del punto di fusione a 2,5 milionidi atmosfere: 6500 kelvin, in buon accordo con gli esperimentiin cella a incudini di diamante con riscaldamento laser.

Ma c'era qualche problema. In primo luogo, un laser non è ingrado di riscaldare uniformemente un campione all'interno diuna cella a diamanti. Solo al centro del fascio si raggiungono letemperature di picco, e la temperatura crolla fino alla tempera-tura ambiente entro meno di 0,1 millimetri dal centro. Tipica-mente, la luce emessa varia dal «calor bianco» al centro al «calorrosso» e quindi al nero (nessuna emissione visibile) entro unabrevissima distanza attraverso il campione. Uno sperimentatoreche tenti di misurare lo spettro emesso da un minuscolo cam-pione compresso ad alta pressione tra diamanti relativamentespessi si trova di fronte a un problema arduo. Inoltre, la partepiù interessante del campione è ad alta temperatura, ed emetteuna luminosità così intensa da rendere difficile accertare se sia omeno passata allo stato fuso.

Vi erano problemi tecnici anche nell'interpretare i risultati de-gli esperimenti con onda d'urto, dato che il campione di ferrocaldo doveva essere contenuto abbastanza lungo ad alte pressio-ni, per poter misurare in modo affidabile la temperatura. Dovevaessere disposta una finestra sul lato posteriore del campione, alte-rando la pressione e la temperatura raggiunte durante il carico dishock. Inoltre, l'esperimento è così rapido che anche un campio-ne alla temperatura di fusione può non avere il tempo di fondere:la temperatura a cui la fusione effettivamente avviene potrebbedunque essere molto più alta della vera temperatura di fusione.

PER APPROFONDIRE

WILLIAMS Q., JEANLOZ R., BASS J., SVENDSON B. e AHRENS T. J.,

Melting Curve of lron to 250 Gpa: A Constraint on the Temperatu-re of the Earth's Center, in «Science» n. 236, 1987.

ANCILOTTO G., CHIAROTTI G. L., SCANDOLO S. e TOSATTI E., Dissocia-tion of Methane at Extreme (Planetary) Pressure and Temperatu-re, in «Science» n. 275, 1997.

BENEDETTI L. R., NGUYEN J. H., CALDWELL W. A., LIU H., KRUGER M.

e JEANLOZ R., Dissociation of CH4 at High Pressure and Tempera-ture: Diamond Formation in Giant Planet Interiors?, in «Science»

n. 286, 1999.

LOUBEYRE P., Une pluie de diamants à l'intérieur de Neptune?, in«La Recherche» n. 326, 1999.

NELLIS W. J., Come produrre idrogeno metallico, in «Le Scienze»

n. 383, luglio 2000.

SCANDOLO S., CHIAROTTI G. L. e TOSATTI E., Diamonds in the Sky?,in «Physics World» n. 13(10), 2000.

atmosfere]3

'59 3,25

(milioni di

ili

Temperatura (kelvin] 5.500 5.3i00

I iiiii~~0 ±1.000

QUALI TEMPERATURE SI HANNO al confine tra il nucleo esterno liquido della

Terra e il nucleo interno solido? Le pressioni ai limiti tra gli strati interni

della Terra sono note da prove sismologiche, ma le simulazioni sulle

temperature hanno dato risultati difformi. Sembra però verosimile che il

centro della Terra possa essere altrettanto caldo della superficie

del Sole (tra 5000 e 6000 kelvin). Qui sono mostrate stime di temperaturaderivate da recenti esperimenti ad alta pressione. Per ottenere stime più

precise saranno necessari modelli migliori sull'origine e l'evoluzione

dell'interno della Terra, che rivelino il ruolo degli elementi in lega.

La concordanza tra esperimenti statici e dinamici indicavache queste difficoltà erano state in qualche modo superate. Co-munque le temperature sorprendentemente alte spinsero altri atentare di riprodurre i risultati. Negli anni novanta, alcuni grup-pi in Germania, Svezia e Stati Uniti riferirono una varietà ditemperature di fusione ottenute al variare dei parametri speri-mentali. Sorsero controversie sulla possibile scoperta di unanuova forma cristallina di ferro ad alte pressioni. E, per dare unsenso a questa vasta e confusa serie di nuovi dati, i vari gruppihanno affinato i propri metodi applicando strumenti semprepiù sofisticati.

11 quadro del limite tra nucleo interno e nucleo esterno è de-stinato a evolvere via via che metodi differenti verranno impie-gati per controllare queste scoperte e che i miglioramenti delletecniche di laboratorio restringeranno il margine delle incertez-ze sperimentali. Bisogna sviluppare buoni standard di taraturadevono per misurare temperature fra 3000 e 5000 kelvin. Maquale precisione potrà bastare?

Potremmo esserci vicini. 11 fatto è che il nucleo della Terra nonè costituito da ferro puro, ma contiene circa il 10 per cento in pe-so di altri costituenti. Se si confronta la densità del nucleo ester-no ottenuta in base ai dati sismici con quella del ferro puro por-tato a pressioni e temperature confrontabili, la densità del nucleosi rivela essere inferiore del 10 per cento circa. Anche quando latemperatura di fusione del ferro puro è nota con precisione apressioni comprese tra due e quattro milioni di atmosfere, dob-biamo ancora apportare una correzione per l'effetto dei contami-nanti. Spesso la lega con altri elementi fa diminuire la tempera-tura di solidificazione di un materiale: per questo si può provoca-re la fusione del ghiaccio spargendovi sopra del sale. La tempera-tura di solidificazione reale al limite tra nucleo interno e nucleoesterno potrebbe così essere inferiore anche di un migliaio di kel-vin rispetto a quella del ferro puro.

L'esatta composizione della lega che costituisce il nucleo èimpossibile da determinare. Essa è il risultato dei processi chehanno condotto alla formazione della Terra e alla sua evoluzio-ne lungo i tempi geologici. Molte sono le idee in competizione:carbonio e zolfo, ossigeno e anche idrogeno sono stati proposticome candidati a principali componenti della lega. Al momentosono in corso studi sulla fusione ad alta pressione di queste le-ghe, e già è chiaro che l'aggiunta di idrogeno o zolfo possonofar diminuire significativamente la temperatura di fusione delferro, ma per altri componenti non avviene lo stesso. Sarà ne-cessario elaborare un buon modello per l'origine e l'evoluzionedella regione più profonda della Terra, prima che si possano de-terminare le composizioni rilevanti per lo studio sperimentale eprodurre una stima plausibile della temperatura in profondità.

L'attuale incertezza sulla composizione del nucleo è pertantoparallela a quella relativa ai vari esiti sperimentali, che pure so-no, in generale, concordanti. Solo una comprensione più raffi-nata dell'evoluzione e della composizione del nucleo potrà gui-dare nuovi esperimenti a determinare il comportamento di leghead alte temperature.

Una salsa a 6000 gradi

In ogni caso, questi esperimenti hanno riscritto i testi sul-l'interno della Terra. Prima degli esperimenti con onde d'urto ecelle a incudini di diamante, le stime della temperatura del nu-cleo erano poco più che scommesse. Da valori compresi fra3500 e 4300 kelvin, siamo arrivati a 5500-6000 kelvin, anchese, a dire il vero, l'incertezza di questo valore è enorme: circa1000 kelvin in difetto e in eccesso. Ma gli effetti delle leghe ele incertezze sperimentali vengono ora determinati sulla basemisure reali.

La temperatura al centro del nostro pianeta pare dunque para-gonabile a quella della superficie del Sole. In che modo la Terraha raggiunto queste temperature nelle fasi iniziali della sua for-mazione? E come ha potuto trattenere tanto calore? Nel corso deitempi geologici il mantello roccioso del nostro pianeta si rime-scola completamente, come una salsa sul fornello. Ma la fiammaè bassa: si ritiene che in profondità vi sia un riscaldamento piut-tosto modesto dovuto alla radioattività naturale. Perché il nostropianeta non si è raffreddato completamente e rimane geologica-mente vigoroso? Le sorprese più grosse potrebbero trovarsi nonall'interno dei misteriosi pianeti che osserviamo nel cielo, ma inquello che ribolle sotto i nostri piedi.

Pressione 1,34

I

0,21Ii _E

4.000 2.000i

±2001±500-1.000 500

5 4 LE SCIENZE 432/agosto 2004

www.lescienze.it 55