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la domenica DI REPUBBLICA DOMENICA 20 LUGLIO 2014 NUMERO 489 Cult Falcone e Borsellino sull’isola bunker Il racconto mai letto di quei lunghi venticinque giorni diventerà un film ATTILIO BOLZONI EL GIARDINO DI UNA VILLA sul mare è appena cominciata una festa. Sguardi, ragazze abbronzate che ballano. Dietro una siepe si muove un’ombra, poi un’altra ombra è già sul sentiero che por- ta alla spiaggia. Sono carabinieri in tuta mimetica, come in guerra. Non c’è più musica e non c’è più festa, solo silenzio. Un giovane capitano si avvicina a un uomo, che in mano ha ancora una coppa di vino bianco: «Dottore, lei i suoi familiari dovete fare le valigie: ho l’ordine di portarvi immediatamente in aeroporto per trasferirvi tutti in un luogo se- greto. Non chiedetemi dove perché non lo so». Si volta e gli mostra il blinda- to, metà jeep e metà carro armato. Butta fumo, ha i motori accesi, è pronto a partire. Tutti i ragazzi se ne sono andati, la villa è vuota, in mezzo al giardino è rimasto solo lui, il “dotto- re”, Paolo Emanuele Bor- sellino, giudice istruttore della settima sezione del Tribunale di Palermo, uno dei magistrati del pool an- timafia che stanno scriven- do la sentenza-ordinanza «Abbate Giovanni + 706». Il maxi processo a Cosa Nostra. È la seconda settimana di agosto del 1985, sette anni prima. Sette anni prima delle bombe di Capaci e di via D’Amelio. I due giudici sono in pe- ricolo. Con le loro famiglie, «per motivi di sicurezza», vengono deportati nel carcere dell’Asinara. Devono lasciare Palermo, il posto più sicuro per loro è una prigione. Questi lunghissimi venticinque giorni sull’isola del Diavolo verranno raccontati in un film di Fiorella Infascelli. Sceneggiatura che se- gue i ricordi dei familiari dei due magistrati, ricostruzione rigorosa dei fatti che a tratti — solo a tratti — si confonde fra emozioni e suggestioni. Interni ed esterni nel penitenziario più inattaccabile della Sardegna, alla vigilia di quella straordinaria vicenda giudiziaria che avrebbe per sempre cambiato la storia italiana della mafia e dell’antimafia. >SEGUE NELLE PAGINE SUCCESSIVE CON UN ARTICOLO DI FIORELLA INFASCELLI La vera storia Straparlando. Claudia Cardinale: “Non sono una diva” La poesia del mondo. L’amore troppo umano di Hafez L’attualità. Un arbitro mondiale: il diario della finale di Nicola Rizzoli Spettacoli. David Lynch: “Hollywood mi ignora. E allora faccio di tutto” Next. Acqua solida, uova vegetali e hamburger in vitro: ecco cosa mangeremo nel 2020 dell’Asinara N La copertina. Conflitto infinito: la meccanica del genio DA SINISTRA, PAOLO BORSELLINO, IL COLLEGA MAGISTRATO CLAUDIO LO CURTO E GIOVANNI FALCONE ALL’ASINARA NEL 1985

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la domenicaDI REPUBBLICADOMENICA 20 LUGLIO 2014 NUMERO 489

Cult

Falcone e Borsellinosull’isola bunkerIl racconto mai letto di quei lunghiventicinque giornidiventerà un film

ATTILIO BOLZONI

EL GIARDINO DI UNA VILLAsul mare è appena cominciata una festa.Sguardi, ragazze abbronzate che ballano. Dietro una siepe simuove un’ombra, poi un’altra ombra è già sul sentiero che por-ta alla spiaggia. Sono carabinieri in tuta mimetica, come inguerra. Non c’è più musica e non c’è più festa, solo silenzio. Un

giovane capitano si avvicina a un uomo, che in mano ha ancora una coppa divino bianco: «Dottore, lei i suoi familiari dovete fare le valigie: ho l’ordine diportarvi immediatamente in aeroporto per trasferirvi tutti in un luogo se-greto. Non chiedetemi dove perché non lo so». Si volta e gli mostra il blinda-to, metà jeep e metà carro armato. Butta fumo, ha i motori accesi, è pronto

a partire. Tutti i ragazzi sene sono andati, la villa èvuota, in mezzo al giardinoè rimasto solo lui, il “dotto-re”, Paolo Emanuele Bor-sellino, giudice istruttoredella settima sezione delTribunale di Palermo, unodei magistrati del pool an-timafia che stanno scriven-

do la sentenza-ordinanza «Abbate Giovanni + 706». Il maxi processo a CosaNostra. È la seconda settimana di agosto del 1985, sette anni prima. Setteanni prima delle bombe di Capaci e di via D’Amelio. I due giudici sono in pe-ricolo. Con le loro famiglie, «per motivi di sicurezza», vengono deportati nelcarcere dell’Asinara. Devono lasciare Palermo, il posto più sicuro per loro èuna prigione. Questi lunghissimi venticinque giorni sull’isola del Diavoloverranno raccontati in un film di Fiorella Infascelli. Sceneggiatura che se-gue i ricordi dei familiari dei due magistrati, ricostruzione rigorosa dei fattiche a tratti — solo a tratti — si confonde fra emozioni e suggestioni. Internied esterni nel penitenziario più inattaccabile della Sardegna, alla vigilia diquella straordinaria vicenda giudiziaria che avrebbe per sempre cambiatola storia italiana della mafia e dell’antimafia.

>SEGUE NELLE PAGINE SUCCESSIVE

CON UN ARTICOLO DI FIORELLA INFASCELLI

La verastoria

Straparlando. Claudia Cardinale: “Non sono una diva”La poesia del mondo. L’amore troppo umano di Hafez

L’attualità. Un arbitro mondiale: il diario della finale di Nicola Rizzoli Spettacoli. David Lynch: “Hollywood mi ignora.E allora faccio di tutto” Next. Acqua solida, uova vegetali e hamburger in vitro: ecco cosa mangeremo nel 2020

dell’AsinaraN

La copertina. Conflitto infinito: la meccanica del genio

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DOMENICA 20 LUGLIO 2014 26LA DOMENICA

lo Borsellino. «Consegnatemi le vostre pistole, questo è

il regolamento», ordina Massida ai due ma-gistrati che ormai sono ufficialmente rin-chiusi nel carcere sull’isola, settecentocin-quanta i detenuti, quattrocento liberi fra lecampagne e le capre fino al tramonto, uno so-lo segregato nel bunker di Cala d’Oliva, la cel-la riservata ai sepolti vivi.

La foresteria si affaccia su una baia con ilmare verde. Giovanni e Francesca si siste-mano in una stanza, Paolo e Agnese in un’al-tra, in fondo trovano posto Lina e poi i tre ra-gazzi. I due giudici sono ancora storditi, su-dati, si guardano, per qualche istante nonriescono a parlare. Poi uno chiede: «Ma comefacciamo con le carte?». E l’altro: «Le carte,prima o poi, ce le porteranno». Le carte. Quel-le del maxi processo, la sentenza-ordinanzache loro — insieme al consigliere Caponnet-to e ai giudici Leonardo Guarnotta e Giusep-pe Di Lello — stanno completando per rin-viare a giudizio centinaia di boss. È la primavolta che lo Stato trascina tutta Cosa Nostra

alla sbarra. A Palermo stanno costruendouna gigantesca aula per ammassare i capi ei loro soldati, anche a Roma si sono final-mente accorti che «bisogna fare la lotta allamafia». Si aspetta soltanto il deposito del-l’ordinanza. Ma i magistrati sono partiti perl’Asinara all’improvviso, non hanno le loroschede e i loro appunti, non hanno il loro ar-chivio.

Come faranno a ultimare l’istruttoria?Quando potranno visionare tutti i docu-menti? Quando torneranno in Sicilia? È unacorsa contro il tempo. Isolati, non possonocomunicare con l’esterno. Vietato telefona-re in Tribunale, vietato mettersi in contattocon il ministero. Troppe spie, troppi tradito-ri.

Giovanni Falcone è furioso, l’hanno tra-scinato lì come un pacco senza dirgli nulla.Paolo Borsellino è preoccupato, per sé e per isuoi figli. I giorni passano e loro — che nonpossono consultare le migliaia di pagine ri-maste nei sotterranei del Palazzo di Giusti-

zia di Palermo — sprofondano inun delirio di ansia e di paranoia.Falcone è sempre più teso, Bor-sellino sempre più cupo. La picco-la Lucia comincia a stare male:non mangia più. Dalla Sicilia nonarrivano notizie, da Roma nem-meno. Quanto dovranno restareancora sull’isola del Diavolo?

Mare verde e foresteria, fore-steria e mare verde. Nelle inter-minabili notti dell’Asinara c’èuna voce che proviene dal bunkere che porta inquietudine. È quel-la di un uomo, il detenuto sepoltovivo. Canta sempre una vecchiamelodia napoletana. Falcone eBorsellino scoprono che è Raffae-le Cutolo, il capo della Nuova Ca-morra Organizzata. È lì, a un pas-so da loro, il boss più pericoloso de-gli Anni Ottanta.

Ormai i due giudici sembranorassegnati, si sentono abbando-nati. Ma poi accade qualcosa chesconvolge tutto e tutti. Lucia stasempre più male, il padre la portain gran segreto a Palermo. Sono imomenti più drammatici della lo-ro “prigionia”. Dopo pochi giorniperò Borsellino ritorna all’Asina-ra e abbraccia Agnese: «Lucia haricominciato a mangiare». Poi sirivolge all’amico: «Guarda cosastanno scaricando dall’elicotte-ro». Sono centinaia di faldoni conin evidenza una grande scritta:“Abbate Giovanni + 706”. Tuttiesultano: sono arrivate le carte. Èla fine di agosto.

La foresteria dell’Asinara di-venta una succursale dell’ufficioistruzione del Tribunale di Paler-mo. Migliaia di fogli, la confessio-ne di Tommaso Buscetta, la docu-mentazione bancaria dei cuginiSalvo di Salemi, le perizie balisti-che sull’omicidio del generaleCarlo Alberto dalla Chiesa. Poi,

una mattina, arriva la comunicazione uffi-ciale: «Potete tornare in Sicilia».

Nemmeno qualche settimana dopo un mi-lione di pagine vengono trasferite nella can-celleria del Palazzo di Giustizia. È l’atto di ac-cusa contro la mafia di Palermo. Il maxi pro-cesso inizierà nel febbraio del 1986 e si con-cluderà nel dicembre del 1987 con 19 erga-stoli e pene per 2665 anni di carcere. Il primosuccesso dello Stato contro Cosa Nostra. Nelfrattempo a Giovanni Falcone e Paolo Bor-sellino sarà notificata in ufficio una fatturada saldare: 415.800 lire a testa per le bevan-de consumate durante i venticinque giorniall’Asinara. È il conto dell’amministrazionepenitenziaria, uno dei tanti “regali” delloStato italiano ai giudici del pool antimafia.

<SEGUE DALLA COPERTINA

ATTILIO BOLZONI

RIMA NOTTE.Il blindato sferraglia sull’autostrada, la vetta di MontePellegrino scompare nella foschia, sulla pista di Punta Raisi un ae-reo sta per alzarsi. Il vento di scirocco fa volare via il cappello diun’anziana signora, Lina, la madre di Francesca Morvillo. È la com-pagna di Giovanni Falcone. Ci sono anche loro sulla pista, France-sca e Giovanni. E intorno al giudice più amato e più odiato d’Italiasi stringono Paolo Borsellino, sua moglie Agnese, i figli Manfredi,Lucia e Fiammetta. Non hanno neanche il tempo di capire perchésono lì tutti insieme e l’aereo è già sopra Capo San Vito, mentre vi-ra verso la Sardegna. Qualche ora dopo, una costruzione bianca,mura spesse, torrette, filo spinato. Un uomo si presenta: «Non sose qui si può dire benvenuti, io mi chiamo Franco Massida». Il di-

rettore del carcere dell’Asinara è rientrato precipitosamente dalle ferie, davanti a sé ha idue magistrati. Un giorno prima una fonte riservata aveva annunciato un attentato «primacontro Borsellino e poi contro Falcone» al consigliere istruttore Antonino Caponnetto,un’informazione arrivata dall’Ucciardone in una delle estati più infami di Palermo. Il 6 ago-sto i macellai di Totò Riina avevano ucciso a colpi di kalashnikov il vicequestore Ninni Cas-sarà e l’agente Roberto Antiochia, il 28 luglio era caduto sul molo di Porticello anche il com-missario Beppe Montana. Poliziotti che indagavano sui misteri di mafia per conto del pool,cercavano latitanti, facevano parlare confidenti. Poliziotti amici di Giovanni Falcone e Pao-

“CONSEGNATELE PISTOLE”:

COSÌ ACCOLSEIL DIRETTOREDEL CARCERE

I DUE MAGISTRATI,SEMPRE PIÙ AMICI,SETTE ANNI PRIMADI ESSERE UCCISI.

L’ANSIA, LE LITI,LE MELODIE

NAPOLETANECANTATE DAL BOSS

E L’ATTESADELLE CARTE

PER PREPARAREIL MAXI PROCESSO.

CHE GIUNSEROINSIEME AL CONTO

DA PAGAREALLO STATO

PER LA “VACANZA”:415.800 LIRE

Nell’agosto del 1985 Falcone e Borsellino,minacciati dalla mafia, vennero costretti all’esilio con le famiglie sull’isola del DiavoloE anche per loro quel paradiso fu un inferno

La prigionedei giudici

LA COMMEMORAZIONE

GIORNATA RICCA DI INIZIATIVE IERIA PALERMO PER RICORDARE LA STRAGEDI VIA D’AMELIO DEL 19 LUGLIO 1992,QUANDO BORSELLINO E I CINQUE AGENTIDELLA SCORTA PERSERO LA VITA. IL CAPO DELLA POLIZIA ALESSANDROPANSA HA DEPOSTO UNA CORONA DI FIORI,IL MOVIMENTO DELLE AGENDE ROSSEHA ORGANIZZATO UN SIT-IN,L’ASSOCIAZIONE NAZIONALE MAGISTRATIUNA COMMEMORAZIONE UFFICIALE

IL FILM

“ABBATE GIOVANNI + 706”: IL FILMDI FIORELLA INFASCELLI, PRODOTTO DA FANDANGO E RAICINEMA, PRENDERÀLO STESSO NOME DELL’ORDINANZADEL MAXI PROCESSO ALLA MAFIA ISTRUITO,ANCHE ALL’ASINARA, DA GIOVANNIFALCONE E PAOLO BORSELLINO

LE IMMAGINI

GIOVANNIFALCONE E PAOLOBORSELLINOA DESTRA NEL 1985.A SINISTRA LA TARGA CHE RICORDAIL SOGGIORNO DEI DUE GIUDICINELLA CASADI CALA OLIVA(QUI IN BASSO)ALL’ASINARA SOTTO,BORSELLINOCON LA FIGLIAFIAMMETTASULL’ISOLA SARDA

© RIPRODUZIONE RISERVATA

La copertina. La vera storia dell’Asinara

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la Repubblica

DOMENICA 20 LUGLIO 2014 27

FIORELLA INFASCELLI

UTTO È COMINCIATO

all’Asinara qualche anno fa.Stavo girando undocumentario, Pugnichiusi. Ero all’interno del

vecchio carcere, dove gli operai delPetrolchimico si erano autoreclusi perprotesta. Un pomeriggio uno di loro miha portato a vedere quella casa rossa sulmare dove si diceva che Falcone eBorsellino, nell’85, avevano scritto partedell’ordinanza del maxi processo. Misono emozionata, e ho voluto saperne dipiù. Ho cominciato a documentarmi, aleggere tutto quello che trovavo sui duegiudici e sull’Asinara. Così ho scopertoun articolo di Antonino Caponnetto cheinvece rivelava come, in seguito a graviminacce, avesse dovuto mandare nelgiro di poche ore i due magistrati con lerispettive famiglie all’Asinara. E come sull’isola non avessero potutolavorare per settimane, non avendo con loro le carte. È stato questo dettaglio a farmi venirel’idea: raccontare la storia di queiventicinque giorni. DimenticarePalermo, le scorte, scene di morte,provare invece a immaginare quellastrana estate: di cosa parlavano? Cosapensavano? Durante quella reclusione sierano sicuramente conosciuti piùintimamente, quella convivenza forzataaveva per caso cambiato i loro rapporti?E in che modo? Come guardavano i figli,le mogli? Finalmente sottratti a una vitablindata, lo sguardo poteva spaziare,c’era il tempo per indagare sui loroaffetti, e amori. Però il maxi processo eraalle porte, l’ordinanza da finire, e lorocostretti in quell’esilio. Come hannoreagito? E Agnese Borsellino e FrancescaMorvillo come si sono sentite? Questoracconta il film: la loro intimità, Paolo eGiovanni che raccolgono i ricci e intantoparlano della morte, Paolo che recita laDivina Commedia, le liti, i conflitti, leironie e le allegrie, le freddure diGiovanni, Manfredi che scappa, le cenesul mare di quella meravigliosa isola, lepaure, e le notti insonni.Ho conosciuto per primo ManfrediBorsellino, insieme ci siamo tuffati nei suoi ricordi. Ed è statolui a farmi conoscere sua madre.L’incontro con Agnese è statoimportante, pieno di emozioni. È stata leia farmi capire come andare avanti, adirmi di non aver paura, di essere liberadi inventare all’interno di una storiavera. Ho conosciuto Maria Falcone, ilprocuratore Alfredo Morvillo, Lucia eFiammetta Borsellino. Con losceneggiatore del film, Antonio Leotti,abbiamo cominciato a scoprire gli aspettipiù profondi di quelle due famiglie. Cosìstudiando, leggendo, dopo lunghechiacchierate con Giammaria Deriu,l’agente che aveva condiviso con loro la“reclusione” nella foresteria, mi è statosempre più chiaro che non avrei fatto unfilm su Falcone e Borsellino, ma la storiadi Paolo e Giovanni.

Recitare Dantee cercare ricciparlandodi morte

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la Repubblica

DOMENICA 20 LUGLIO 2014 28LA DOMENICA

tro, nonposso risponde-re a tutti. Smetterà so-lo quando in Italia sarannole due di notte. Circa quattrocento messaggi.Decido di parlare con Howard Webb, l’arbitroinglese che ha diretto la finale precedente, e ilprimo consiglio che mi dà è proprio «ora di-mentica il telefono, meglio spegnerlo».

Sembrerà singolare, ma io non ho mai pro-blemi a dormire. Mi sdraio e dormo, sono fattocosì, e così o fatto anche quella notte e la suc-cessiva, quella del giorno prima della partita. Èuna vigilia lunghissima da reggere, ma di natu-ra faccio fatica a essere agitato. La felicità è cosìtanta che compensa la tensione creando unostrano equilibrio che mi consente di arrivare se-reno all’appuntamento. Sereno, vabbè, nonesageriamo.

Il sabato trascorre tra palestra, allenamento,preparazione tattica. Mi confronto con tutte lepersone che possono aiutarmi a preparare almeglio la partita, ovviamente con Massimo Bu-sacca, il capo degli arbitri mondiali, e gli istrut-tori presenti, ma anche con Sergio Gonella, l’i-taliano che diresse nel ’78 la finale di Buenos Ai-res, che mi chiama per felicitarsi. Poi PierluigiCollina che mi dà “due dritte”. Lui ha arbitrato

la finale del 2002 a Yokohama. Su venti arbi-tri nella storia del calcio che hanno fatto

una finale mondiale, tre sono italiani edue di questi bolognesi. Vorrà pur direqualcosa...

Prima di rimettermi a letto, compio lostesso rito che avevo fatto a Londra l’an-no scorso, per la finale di Champions Lea-

gue a Wembley. Mi cucio lo stemma uffi-ciale sulla maglietta con ago e filo, mi pia-

ce farlo come mi ha insegnato mia nonna. Lamattina della partita alle undici abbiamo l’ul-

timo briefing per definire la preparazione tec-

Il diariodellamia

finaleSOUVENIR/1

IN ALTO, I CARTELLINIUSATI NELLA FINALE DEI MONDIALI 2014 DA NICOLA RIZZOLI,42 ANNI (A DESTRA)COI NUMERIDI MAGLIADEI GIOCATORIAMMONITIQUI SOTTO,IL PALLONE DEL MATCH CHE IL FISCHIETTOBOLOGNESES’È PORTATO A CASA

MASCHERANOAMMONITO

AL 64’

AGÜEROAMMONITO

AL 65’

L’attualità. Numeri uno

Una frase di Agassicome mantra, il Vicks per calmarsi,la playlist per caricarsi.L’arbitro Nicola Rizzolirivive per noila partitapiù importantedel mondo

NICOLA RIZZOLI

BOLOGNA

ONTROLLAciò che puoi. Controlla ciò che puoi. Con-trolla ciò che puoi…”. Me lo ripeto come un man-tra, sotto la doccia della mia stanza di albergo.Mancano circa cinque ore al fischio di inizio del-la finale dei Mondiali. Questo è l’ultimo momen-to di solitudine. È così che entro in clima partita:pronunciando la stessa frase di André Agassi. Cisono molte analogie tra un tennista e un arbitro,l’ho scoperto leggendo il suo libro. In campo seisolo, dipende tutto da te, parli con te stesso. Cer-to ci sono gli assistenti, quelli che tutti chiamano

ancora guardalinee, siamo una squadra, ma ognuno di noi è comunque solo nell’istante in cui de-ve tirar su la bandierina, fischiare, decidere. Nel libro, Open, Agassi dice che quando ha troppe co-se da dover controllare, pensa solo a «controllare ciò che può». Io faccio uguale, mi ripeto sempre«controlla ciò che puoi», e se ti sei preparato bene, seriamente, quello che potrai controllare saràtantissimo... Si spera.

Non dimenticherò mai la voce del signor Jorge Romo che pronuncia il mio cognome. Venerdìmattina, 11 luglio, nell’aula dell’hotel annuncia: «Ora daremo la designazione dell’arbitro che faràla finale del Campionato del Mondo». Onesto? Quando sono partito dall’Italia, puntavo alla semi-finale. L’emozione è a mille, pur sapendo che le nostre chance sono minime. O almeno è quello checi siamo costantemente ripetuti, io e i miei “soci”, in questi giorni di attesa, un po’ per scaraman-zia, un po’ per consapevolezza e un po’ per pre-pararci alla possibile, anzi probabile, “delusio-ne”...

«Match numero 64: Alemania-Argentina,stadio Maracaná. Referee, R...». Quella R... cosìeterna sposta il mio sguardo sul collega uzbecoIrmatov, poiché il suo nome è Ravshan. «R... is-soli»! Irmatov non si è mosso, noto. Sento un do-lore alla gamba sinistra enorme. Stefani mi haappena rifilato un pugno sotto al tavolo. «Risso-li??? Rizzoli??? Io????». Guardo Andrea chequasi salta in piedi poi si accascia sulla sedia, migiro verso Renato Faverani, l’altro assistente,guardo l’aula che ci osserva e applaude. «...sia-mo NOI?!!!». Sono tutti in piedi ad applaudire.Faremo la finale del campionato del mondo inBrasile, al Maracanà. Mi metto le mani sul vol-

“Cto. «No, no, no... non tremate!»: parlo alle miegambe che stanno per traballare, fatico a con-trollarle. Proença e Irmatov, gli altri favoriti aquesta designazione, mi abbracciano sussur-rando parole di stima che mi lusingano. Cosìperò mi commuovo, e non voglio: voglio solo ur-lare di gioia.

Mi catapultano frastornato a registrare l’in-tervista che verrà trasmessa un’ora dopo allaconferenza stampa ufficiale. Sono molto emo-zionato. Non è facile restare “normali” e direqualcosa di sensato e lucido per di più in inglesecon tutto il frastuono che ho in testa.

Quando la notizia arriva in Italia, alle 19.50circa, il telefono esplode. Vibra in continuazio-ne, un sms dietro l’altro, non riesco a stargli die-

SCHWEINSTEIGERAMMONITO

AL 29’

HÖWEDES AMMONITO

AL 34’

la Repubblica

DOMENICA 20 LUGLIO 2014 29

CONTROLLA CIÒ CHE PUOI,CONTROLLA CIÒ CHE PUOI...ME LO RIPETO SOTTOLA DOCCIA. QUANDO MANCANO

CINQUE ORE ALL’INIZIO,NELL’ULTIMO MOMENTODI SOLITUDINE PER ME. È COSÌCHE ENTRO IN CLIMA PARTITA.MARACANÀ... BASTA IL NOMEA FARE IMPRESSIONE

© RIPRODUZIONE RISERVATA

LA SERA PRIMA MI CUCIOLO STEMMA SULLA DIVISANELLA MIA CAMERA.AGO E FILO COME MI HA

INSEGNATO LA NONNA. È UN RITO.LA MATTINA DELLA GARA UN COLLEGASUDAMERICANO, PASTOREPROTESTANTE, INVITA TUTTIGLI ARBITRI A PREGARE INSIEME.BELLISSIMO ED EMOZIONANTE

«Ne ho dieci di più». Non faccio discorsi seri, i cal-ciatori in di una finale hanno così tante cose perla testa che sarebbe inutile aggiungere indica-zioni o pressioni ulteriori.

Si comincia. Be’, sarà poco credibile ma in nes-sun momento della partita pensi che sia una fi-

nale, troppa è la concentrazio-ne. Stefani è bravo a beccare Hi-guain in fuorigioco e annulliamoil gol. Lavezzi e Messi gli vannoincontro, sento le proteste nel-l’auricolare. Il maxischermo ri-propone il replay e Lavezzi si pla-ca: «Hai ragione tu, ti chiedo scu-sa». Nell’intervallo la tv dellospogliatoio è spenta. Ci scam-biamo informazioni sui movi-menti delle difese, sui duelli datenere sott’occhio, sui giocatoripiù nervosi. Rientriamo in cam-po, la tensione e le occasioni dagol aumentano nei supplemen-tari, ma la partita rimane gioca-ta ed entusiasmante. Com’è an-data, l’hanno visto tutti.

Alla fine del secondo temposupplementare svuoto i polmo-ni dentro il fischietto, mi impos-sesso del pallone e non lo mollopiù, mi abbraccio coi miei ragaz-zi. Ora possiamo guardarci in-torno, goderci lo spettacolo. Èuna situazione strana, devi con-gratularti coi vincitori ma avererispetto per il dramma deglisconfitti. Mi faccio portare il tri-colore che avevo affidato alquarto uomo. Salgo in tribunaper la premiazione con pallone etricolore tra le mani, anche i tifo-si argentini ci chiamano, ma percomplimentarsi.

Scendiamo le scalinate e con-tinuo a godermi lo spettacolo...abbiamo davvero arbitrato la Fi-nale dei Mondiali di Calcio.

Negli spogliatoi riprendo il te-lefonino. messaggi a raffica. Almattino dopo ne conterò oltremille. Comincio a rendermi con-to di cosa significhi dirigere unafinale mondiale, adesso posso ri-lassami. Il presidente degli arbi-

tri italiani Nicchi, venuto a Rio, dopo la gara mifa capire quanto sia importante avere fatto unabuona figura per tutti noi e questo mi riempie diorgoglio.

Sul volo di ritorno posso anche non dormire:un’ora in tutto, troppa ancora l’adrenalina incorpo. Quando sorvoliamo il centro di Bologna,prima dell’atterraggio, guardo il santuario diSan Luca, le torri, i tetti rossi, casa... Sono pas-sati quarantotto giorni, penso. Ora sì che è giu-sto commuovermi.

nica della partita, delle caratteristiche dei gio-catori alle tattiche delle due squadre. In circo-stanze particolari come questa, ai miei collabo-ratori dico una cosa: «È una partita importan-tissima, ma si gioca sempre in undici contro un-dici». È banale, lo so, ma è la verità. Stavoltachiudo il discorso con un’altra frase, la stessache dissi anche a Wembley. Una citazione di SunTzu da L’arte della guerra: «Non contare sulmancato arrivo del nemico, ma confida sulle tue

qualità per sconfiggerlo». Il nemico non sonoi giocatori ovviamente, ma il caso, l’impre-

visto, l’episodio che ti deve trovare pron-to ad affrontarlo in ogni momento. Spe-cie quello in cui pensi che stia andandotutto bene e non ci siano più rischi al-l’orizzonte.

Dopo il briefing, un arbitro suda-mericano, che è un pastore protestan-te, propone un momento di raccogli-mento e preghiera collettiva. Accettia-

mo volentieri. È bellissimo ed emozio-nante, non l’avevo mai fatto così. Poi, la doccia... «controlla ciò che puoi»,

un pranzo leggero, la borsa da prepararecon cura mettendo dentro sempre le stessecose da quando faccio l’arbitro. Tre ore pri-ma della gara partiamo dal Windsor verso lostadio. Due auto scortate dalla polizia a ve-

locità lenta ma costante. Fuori dal finestrinoscorrono le favelas. Andrea legge Agassi e ne

parliamo. Il profilo dello stadio da fuori non è im-pressionante. Ma quando ci sei dentro l’emo-zione è incredibile. Il Maracanà. Basta solo il no-me.

Abbiamo uno spogliatoio enorme, sarannocento metri quadri, le vasche idromassaggioche sembrano piscine. Lo schermo della tv tra-smette la cerimonia di chiusura, ce la guardia-mo. Poi, come sempre, a settanta minuti dall’i-nizio metto su la mia musica collegando l’alto-parlante portatile all’iPhone. Sempre la stessaplaylist che impongo alla terna. Parte lenta, conOne degli U2 cantata da Mary J. Blige e arrivaforte con Titanium di David Guetta per darci lacarica passando da Viva la Vidadei ColdPlay: «Iused to roll the dice... fill the fear in my enemy’seyes...». Quell’imprevisto di cui parlavo prima.Chiacchieriamo, facciamo battute per sdram-matizzare, combattiamo il silenzio. Durante ilriscaldamento sul campo i primi contatti con lesquadre, un saluto con Podolski, un cinque conAndujar. Memorizziamo, ci orientiamo, pren-diamo le misure al campo, mettiamo a punto ilcolpo d’occhio. Poi rientriamo per indossare ledivise. Come sempre, cinque minuti prima dientrare, tiro fuori dalla borsa il mio barattolinodi Vicks VapoRub. Mi siedo e me lo porto al na-so, respiro profondamente. Quel profumo bal-samico mi calma, mi rilassa da morire. Mi ricor-da quand’ero piccolo...

Nel tunnel incrociamo i giocatori, controllol’equipaggiamento, scambio due battute conMessi e Lahm, i capitani. Col tedesco scherzosull’età, pensa di essere mio coetaneo. Magari:

SOUVENIR/2

DALL’ALTO, LA DIVISAAUTOGRAFATA DA WEBB,CHE DIRESSE LA FINALENEL 2010, E DA RIZZOLI; IL PASS DELL’ARBITROITALIANO E, QUI SOTTO,IL MOMENTO DEL FISCHIOFINALE DI GERMANIA-ARGENTINA (1-0)

la Repubblica

DOMENICA 20 LUGLIO 2014 30LA DOMENICA

UN SUO zio all’inizio del Novecento, si era rifugiato a Parigi pernon sentire più i pesanti sarcasmi sulla sua omosessualità daparte degli stessi soci del suo circolo. Questo esilio era stata lasua fortuna: lavorando per Coco Chanel diventò il più grande di-segnatore di gioielli dei primi cinquant’anni del secolo.

Anche I.M. era partito per Parigi da giovane, e aveva dipintouna serie di quadri che si distinguevano per colori trasparentie luminosi messi sulla tela in forma leggera ed elegante similea note musicali che davano all’opera un ritmo di andante conbrio. Aveva giurato di non mettere mai più piede nell’isola. Maper le vacanze andava alle Eolie, un arcipelago a un passo dallaterra ferma. Era come qualcuno che non vuole andare in Sviz-zera e che si ferma a Chiasso, e tutti pensavano che prima o poisarebbe sbarcato nell’isola amata odiata. Ma l’arcipelago puressendo vicinissimo alla magna isola rappresentava un mondomolto diverso dalla Sicilia, regione terragna che svela il suoaspetto più intimo non sulla costa ma all’interno.

Nutrito di cultura anglosassone, I.M. aveva visto in Panareaun luogo che rappresentava meglio di ogni altro tutto quelloche si intende per Mediterraneo: un posto dove perdi i freni ini-bitori e sei pronto a sedurre o a essere sedotto. Qualcosa di si-mile all’isola della Tempesta di Shakespeare.

Probabilmente I.M. non si sarebbe mosso da quel suo para-diso se non fosse stato per la morte del fratello che lo costrinsea recarsi a Palermo per i funerali. Fu in quella occasione che ri-prese il contatto con il mondo siciliano. E nello stesso tempo,portato da un amico comune, arrivò al baglio di S.M, uno scrit-tore poco più giovane di lui e che viveva tre o quattro mesi l’an-no in questa fattoria di fronte al mare, rinfrescata da brezze ma-rine e con un panorama immenso che arrivava fino al promon-torio di gesso, splendente come un faro durante la luna piena.Il pittore rimase incantato dal baglio e diceva sempre che era ilposto più pagano che avesse mai conosciuto. E anche se si la-mentava per l’acqua ghiacciata del mare, dopo il bagno anda-va sdraiarsi in pineta dove sperava di incontrare il dio Pan in ag-guato durante le ore più calde dell’estate. Al baglio I.M si rilas-sava completamente. E, dopo anni di vituperi lanciati contro laSicilia, aveva avuto come un processo di regressione e appro-fittava di ogni momento per immergersi in una vasca colma fi-no al bordo di liquido amniotico detto tradizione, e non volevasapere altro. Questo comportamento non era un caso isolato efaceva parte di quella attitudine isolana di creare sempre unmondo parallelo fatto di mezze verità, di finti miti, di abitudininon veramente sentite ma simulate con grande abilità, chia-

UANDO i pri-

mi caldi co-

minciava-

no a farsi

sentire I.M.

cittadino milanese, come

Stendhal, iniziava i prepa-

rativi per andare al Sud.

Era originario della Sici-

lia, ma l’odiava con quella

intensità comune solo ai

siciliani perché credeva di

non essere ricambiato in

quella passione che lui le

portava. Diceva sempre

che era un paese ingrato,

popolato da invidiosi e da

tragediatori, tutti concen-

trati a osservare le loro

modeste esistenze come

se queste fossero l’eco del

mondo. Una regione che

era un continente, dove

ogni cinquanta chilome-

tri cambiavano dialetto,

abitudini e granite, e che

costringeva i migliori a

partire.

QSTEFANO MALATESTA

Il racconto. Un viaggio pericoloso

Pian pianoversoil burrone

la Repubblica

DOMENICA 20 LUGLIO 2014 31

mato Sicilia. Sostanzialmente un falso, ma che nel momento op-portuno assumeva l’aspetto che veniva fatto passare per la Si-cilia, in modo da scaricare ogni responsabilità su un modelloche non esisteva e che era stato inventato per deviare le inda-gini. La costruzione fittizia si reggeva su alcuni capisaldi e il piùnoto e il più citato, come un dogma, era l’immutabilità dell’iso-la e il suo essere sempre se stessa, rifiutando le rivoluzioni e ilpassare dei secoli: la Sicilia di ieri, di oggi e di sempre, come ave-va detto Tomasi di Lampedusa, era l’unica occasione in cui neaveva parlato nel suo romanzo appena finito. Anche se nessu-no sapeva dire che questo rifiutarsi a ogni cambiamento an-dasse visto come un merito o come un demerito, e se avvenisseper imperscrutabile volontà del fato o per cause più immanen-ti, ma ugualmente misteriose.

I.M. apparteneva a una delle più famose famiglie sicilianeche aveva dato numerosi Viceré alla Sicilia. Detestava esserechiamato principe e minacciava di ritorsioni a chiunque l’a-vesse fatto, ma in certi momenti, come quando chiamava dalontano i camerieri per l’ordinazione, lo faceva con un gesto im-perioso che ricordava il padrone delle ferriere.

Il padrone del baglio e l’ospite avevano legato a prima vista:uno di quei rapporti che nascono nei primi trenta secondi at-traverso uno scambio intenso di segnali simili a quelli del ra-dar da cui dipende il giudizio positivo o negativo che ci faccia-mo delle persone, e che continuano negli anni senza scosse:una vita in comune anche se praticata per pochi mesi. Pur nonconoscendo quasi nulla l’uno dell’altro, si sentivano grandiamici anche se nessuno dei due sapeva spiegare la ragione diquesta grande amicizia. Così trascorsero numerosi anni felici,quelli che si ricordano con nostalgia e con un certo rimpiantoquando sono finiti.

Gli acciacchi dell’età sorpresero tutti e due: partiti dalla gio-vinezza avevano raggiunto la vecchiaia senza passare dalla ma-turità, un fenomeno che ritenevano che riguardasse la frutta,e non la razza umana. Quando uno cominciò a zoppicare anchel’altro ebbe improvvisamente un blocco alle gambe che gli fa-ceva piegare il busto, a questo punto cominciarono a capire chegli Halcyon Days erano finiti. Ora stavano attraversando la ter-ra di nessuno e li aspettavano sorprese non liete. I due non po-tevano più fare quello che avevano fatto fino ad allora, come ba-gnarsi nel mare tempestoso lasciandosi trascinare nel fondodalle onde o fare passeggiate interminabili per raggiungerespiagge lontane. Ma questo declino dell’aspetto fisico non eramolto avvertito perché i neuroni funzionavano e pensavanoche il resto dovesse seguire come Napoleone diceva dell’Inten-dance. C’erano sempre belle ragazze in giro per il baglio, anchese loro giuravano di non toccarle e dicevano ironicamente «quici vorrebbe uno pratico».

Un giorno, quando stavano sempre al baglio, I.M. decise diprendere la piccola utilitaria, guidata sempre da un’autista edi andare a comprare un giornale allo spaccio del paese, di-stante uno o due chilometri, non di più. Non guidava da moltotempo, per paura di provocare un incidente. Ma lo spaccio erauna meta non lontana, la strada era comoda e sarebbe stato fa-cile arrivarci. Prima di partire chiese a I.M. se voleva accompa-gnarlo, e l’amico, che si era operato di cataratta all’occhio si-nistro da poco, accettò l’invito non troppo sicuro di quello chefaceva.

I due raggiunsero l’utilitaria zoppicando vistosamente. Do-po aver armeggiato qualche minuto, non riuscendo a trovaresubito tutti i comandi, S.M. finalmente diede il via spingendol’acceleratore. L’auto partì a razzo, come faceva sempre quan-do guidava S.M. anni prima. Ma dopo cento metri, i passanti vi-dero l’auto inchiodarsi sul pavé con uno stridio. S.M. aveva per-duto tutta la sensibilità ai piedi e per lui al tatto i pedali eranotutti uguali.

Inspirò profondamente cercando di darsi coraggio con un au-mento dell’ossigeno e poi partì in direzione dello spaccio. Madopo altri cento metri sbagliò di nuovo. Questa volta aveva spin-to fino in fondo il freno pensando che fosse l’acceleratore, e l’au-to fece due giri intorno a se stessa. S.M. rimase muto piegandola testa. Dall’auto scese I.M. e si mise al posto di guida dicendoal suo amico «adesso guido io». Intanto sulla strada, intorno al-l’auto, si era formato un gruppetto di ragazzini del paese che,vedendo i due in difficoltà, avevano pensato che fossero due co-mici del circo che aveva messo il suo quartiere là vicino, e sal-tellavano intorno all’auto suonando trombette, trovate chissàdove. Accomodatosi al posto di guida, I.M. si infilò un paio dimezzi guanti di pelle, obbligatori per gli autisti eleganti di unavolta, e partì guidando il volante con una mano sola. Ma l’ope-razione di cataratta aveva messo fuori combattimento l’occhiosinistro e non si rese conto che la macchina stava dirigendosiverso un burrone. Furono salvati da uno scatto di S.M. che sa-peva dell’operazione di cataratta di I.M. e lo teneva sotto sor-veglianza. Mentre l’auto stava per scivolare in basso, si gettòsul volante e fece una virata brusca sulla destra.

Per fare quel breve tragitto alla fine impiegarono quasi un’o-ra sempre seguiti da una banda di ragazzini che era diventatapiù rumorosa e festosa. Quando arrivarono dentro il cortile del-lo spaccio, i due grandi amici erano coperti di sudore e mortal-mente stanchi. Uscendo dall’auto, I.M. diede uno sguardo cir-colare a tutti i presenti poi con un tono più basso del solito dis-se rivolgendosi al suo caro amico: «Ti ricordi quando entrava-mo nei locali e nei ristoranti e tutte le ragazze ci guardavano?Adesso sembriamo i fratelli De Rege».

L’IMMAGINEENZO SELLERIO. PALERMO.“BAMBINI NEL COSTUMEDI COWBOY RICEVUTO DAI MORTI”2 NOVEMBRE 1959. SELLERIO ©

© RIPRODUZIONE RISERVATA

FOTO

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ZO S

ELLE

RIO

la Repubblica

DOMENICA 20 LUGLIO 2014 32LA DOMENICA

MARIO SERENELLINI

PARIGI

NONandava al cinema, non guardava la tv, leggeva poco. Ascoltava musica,ma con orecchio non fanatico. La sua vera passione da bambino a Missou-la, nel Montana, dov’è nato nel 1946, era il disegno: che non l’abbando-nerà mai. A spingerlo a mettere in mostra i suoi lavori («Non ci avevo maipensato», dice ora) furono alcune recensioni che nel 1986 vedevano inBlue Velvet “il film d’un pittore”. È stato quello il momento in cui, a qua-rant’anni, cineasta già di culto, David Lynch comincia a allargare a com-passo la sua intera personalità — arte, fotografia, musica — , fino allora re-clusa su grande schermo. L’”altro Lynch” oggi è una costellazione frasta-gliata: dischi e mostre in Francia (in Italia al decimo Lucca Film Festival insettembre) e un elettrico viavai tra Los Angeles, dove continua a vivere«in piena voluttà», e Parigi, dove due volte l’anno viene a acquattarsi nel-

l’antico atelier Mourlot in rue du Montparnasse, divenuto Idem Paris, per tirare le sue litografie. È quiche l’abbiamo incontrato: pacificato, persino etereo, dopo una delle sedute di meditazione quotidiane,grandi occhi blu cielo, capigliatura d’argenteo rocker, tra fil di fumo gentilmente consentiti dai servizidi sicurezza, concentrato nel suo caratteristico eloquio liquido e scandito.

Fotografie, lito, dipinti, come i film, emanano angoscia. Mr Lynch: paure e inquietudini che dovreb-

bero evaporare con la pratica della meditazione non tornano per caso a condensarsi nella sua arte?

«Penso di no. Son due piani diversi. La meditazione trascendentale libera il corpo da stress e preoc-cupazioni, che svaniscono nel nulla. È come togliersi di dosso un gran peso, fino a sentirsi di nuovo libe-ri. L’arte non è catarsi d’emozioni. Neanche il cinema. Ho le mie angosce, come tutti. Ma non ne faccio ilsoggetto dei miei lavori».

I momenti più allucinati del grande schermo tornano comunque in primo piano nelle sue opere in cor-

nice, con specularità ossessiva. A loro volta alcune di queste immagini potrebbero diventare il clic di

nuovi film?

«Sicuramente. Lavorando a un quadro o a una foto, può scattare un’idea cinematografica. Anzi, il ci-nema m’è apparso un naturale complemento quando a vent’anni seguivo i corsi di Belle Arti a Phila-delphia. Stavo dipingendo un giardino verde su una tela nera, che un colpo di vento ha fatto vibrare:avrei voluto che l’immagine continuasse a muoversi, su un’onda musicale. Da quel quadro, o da quellafolata, è nato il mio primo film d’animazione, Six Men Getting Sick».

Anche la meditazione trascendentale, o MT, come la sigla familiarmente, appresa da Maharishi

Mahesh Yogi, il guru dei Beatles, è per lei un laboratorio d’idee?

«È pazzesco come le illuminazioni s’affollino dopo una seduta di MT. John Lennon diceva di trovarsiogni volta immerso in un flusso infinito d’idee. Maharishi gli consigliò di uscire dalla meditazione, an-

notare e reimmergersi. Ho preso anch’ioquesta abitudine: ho sempre un block no-tes a portata di mano».

In Italia esce domani un suo strano do-

cumentario musicale: Duran Duran

Unstaged mentre la Francia rilancia

Twin Peaks in una leggendaria ver-

sione “director’s cut” di quasi quat-

tro ore. Ma tutti attendono, a sette

anni da Inland Empire, una nuova

fiction...

«Le idee non mancano. Ma l’indu-stria del cinema è molto cambiata. AiDuran Duran era piaciuto il mio re-mix di Girl Panic, canzone del loroalbum All You Need Is Now. Di quil’idea d’un film che restituisse ilconcerto live attraverso la patinad’altre immagini, colte al volo. Fi-nora era visibile solo sul web: èsempre più difficile garantirsi insala una proiezione di qualità,per me essenziale. Una voltac’era il circuito d’art et d’essai,dove circolavano i miei film.Oggi il cinema alternativo èsempre più in angolo, schiac-ciato dai blockbusters».

Intanto la rivedremo, at-

tore, accanto a Tim Roth,

in A Fall From Grace, il nuovo

film della sua figlia maggiore, Jennifer,

nata nel ‘68 dal matrimonio con la pittri-

ce Peggy Reavey. Ma che ne è di progetti

seducenti come The Goddess, sulla Mon-

roe, o Metamorfosi, l’amato Kafka, cui at-

tingono un po’ le sue prime opere, Era-

serhead e Elephant Man?

«La magia di Metamorfosi è il suo abissodi mondi diversi: quel che insegue da sem-pre il mio cinema. Marilyn è l’attrice che hosempre sognato come mia interprete ideale.

Un quarto di secolo fa il suo “Twin Peaks” ci sconvolse. Ora il regista più visionariodi Hollywood è tornato alle sue passioni“Anche perché non mi fanno fare più film”

Spettacoli. Incubi e deliri

INIZIÒ TUTTOA VENT’ANNIDIPINGENDO

UN GIARDINOSU TELA NERA

DA UN QUADROO UNA FOTO

PUÒ NASCEREUN’IDEA

CINEMATOGRAFICAE IO, DOPO L’ULTIMO

DOCUMENTARIOSUI DURAN DURAN,

NE AVREI ALTREMILLE: ANCHE

PER UN SERIAL TV

Io sono tantiGuru della meditazione trascendentale, cantante, musicista, attore, pittore, fotografo,

la Repubblica

DOMENICA 20 LUGLIO 2014 33

Volevo trarre un film dal libro che svela le re-sponsabilità dei Kennedy nella sua morte.Produttori sordi alla chiamata. Lo stesso perKafka. Non credo d’aver fama di regista dacassetta…».

Trova che la tv, di cui la saga Twin Peaks

rimane un mini-monumento, sia più di-

sponibile del cinema ai rischi della creati-

vità? Sta per caso meditando una nuova

serie?

«Ci sto pensando. Le tv a pagamento, al-meno in Usa, sono oggi in grado d’attrarrel’ex-pubblico d’art et essai. Permettono an-che quel che al cinema non è più possibile:sviluppare una storia nella sua interezza.Non che veda un futuro senza grande scher-mo, risucchiato dal piccolo schermo. Conti-nueranno a convivere: come i dipinti di for-mato quadrato o rettangolare».

Fellini diceva che il cinema si guarda dal

basso verso l’alto, ed è l’universo, la tv si

guarda dall’alto verso il basso, ed è una

scatoletta...

«Anche per questo amo Fellini. Quandoho visto da ragazzo 8 e ½, è stato comesprofondare in un altro mondo. Un film devefarmi sempre questo effetto, che non possoprovare con il naso appiccicato al computer,ma solo davanti a un grande schermo, nelbuio totale, trasportato da un suono eccel-lente: non forte, ma eccellente, come l’haprevisto l’autore. Un’interruzione e l’incan-to si spezza. Fellini è uno dei rari registi, conBergman e qualcuno della Nouvelle Vague,che guardavo con partecipazione da giova-ne. In realtà, non sono mai stato un gran ci-nefilo. I film degli Studios li trovavo ridicoli,Hitchcock escluso. Da una parte c’erano ifilm d’evasione, dall’altra gli altri. E io hosempre preferito gli altri».

Cuore selvaggio batte al ritmo di Elvis:

quanto è importante il rock nei suoi film?

«Presley è stato uno dei miei miti di gio-ventù. Insieme a Roy Orbison: Only The Lo-nelyè la canzone che “cammina con me”. Matutta la musica m’assorbe: dall’elettronicaalla dance music che per combinazioni inat-tese è finita nel mio primo album di solista,Crazy Clown Time, composto di brani da mescritti e interpretati. Mi accompagno anchecon la chitarra, che all’inizio non sapevonemmeno tenere in mano. Il disco è evolutonel tempo, per “incidenti” successivi, tantoche dovrebbe essere all’ospedale anziché incircolazione! È il risultato di varie jam ses-

sions che hanno via via coagulato anche i te-sti: ero convinto di arrivare a una raccolta dimodern blues, e invece ne è uscito tutt’altro.Ma il mio secondo “solo”, The Big Dream,uscito l’anno scorso, mi pare più blues. Ono?».

Ultimamente Parigi è diventata il suo co-

vo d’arte, in cui è corteggiato da mille

committenze (le Galeries Lafayette,

Dom Pérignon, il night Le Silencio…)?

«È stato dopo la grande mostra alla Fon-dation Cartier, The Air Is On Fire, che mi sonlegato a Parigi. Grazie anche a Patrice Fore-st, direttore della Galerie Item, dove ho poirealizzato la mostra Works On Paper. È unodei luoghi magici della città, da un secolo emezzo: vi lavorava Picasso, J’accuse di Zolafu stampato qui. Nelle tirature, mi aiuta ilvecchio assistente di Cartier-Bresson e Kou-delka. È la culla della mia grafica e delle miefotografie, come le Small Stories espostequest’anno alla Maison Européenne de laPhotograhie».

Lei si batte da anni, con la Fondazione

creata nel 2005, per diffondere la MT nel-

le scuole. In Italia è stato più volte, a Ro-

ma e in Sicilia, a questo scopo. Con quali ri-

sultati finora?

«Nel distretto di San Francisco, diversescuole, con allievi prima “difficili”, hannoadottato con profitto la MT: la violenza è ca-lata o sparita. M’incoraggiano registi e arti-sti amici. Paul McCartney e Ringo Starr si so-no esibiti insieme nel 2009 per una raccoltadi fondi al Radio City Music Hall di New York.Maharishi Mahesh Yogi, su cui ho realizzatoun documentario dopo aver assistito alla suacremazione nel 2008 in India, ci ha trasmes-so una tecnica antica, che lui ha rivitalizza-to. L’unica che abbia tradotto in realtà unprecetto rimasto per anni un miraggio: “Lavera felicità non è fuori ma dentro di te”».

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LE IMMAGINIDAVID LYNCH NELLO STUDIOIDEM PARIS. NELL’ALTRA PAGINA:BINDER WORKS (OPERA SU CARTA)E RITRATTO. DA SINISTRA,LE SUE FOTOGRAFIE:THINKING OF CHILDHOOD, INTERIOR #1,HEAD #15 E INTERIOR #11.QUI SOTTO A DESTRA: BINDER WORKS #1E #2. A LUCCA DAL 28 SETTEMBRESONO PREVISTE UNA RETROSPETTIVADEI SUOI FILM E UNA GRANDE MOSTRA

David Lynchdocumentarista, scenografo, sceneggiatore, produttore, montatore, scrittore...

la Repubblica

DOMENICA 20 LUGLIO 2014 34LA DOMENICA

E

gnocchigiovedì

ALESSANDRO LONGO

COMINCEREMO la giornata con una bella tazza di “latte più”.No, non quello di Arancia Meccanica di Stanley Kubrick.Ma un bel latte arricchito in un laboratorio del futuro, ingrado di aggiungervi proprietà che ci proteggano dallemalattie. Dicono i nonni che frutta e verdura non hannopiù il sapore di una volta, e hanno ragione, secondo gliscienziati: il cibo si è impoverito. Ma adesso mirano ad ar-ricchirlo con le sostanze perdute. Già che ci sono, prove-ranno ad aggiungerne altre e a rendere la produzione piùsostenibile. Tutto questo grazie ai progressi previsti nelprossimo decennio per le biotecnologie, sostenute da nuo-vi super computer e algoritmi software iperevoluti.

«Abbiamo due grossi problemi, con la nutrizione», dice Ettore Capoluongo, docente diBiochimica clinica e Biologia molecolare clinica all’Università Cattolica di Roma. È consi-derato uno dei massimi esperti europei. «Da una parte i cibi si sono impoveriti di sostanzesalutari, per via dello sfruttamento eccessivo di colture e allevamenti. Inoltre il grano è di-ventato troppo raffinato e quindi espone a malattie infiammatorie e intolleranze fino allascorsa generazione rare, come la celiachia. Dall’altra parte si è indebolito anche il nostrointestino: ha perso batteri importanti, causa sovrautilizzo di antibiotici». La soluzione a cuistanno lavorando i principali centri di ricerca mondiali è la biotecnologia. «Produrremo vi-tamine e proteine artificiali o scopriremo i batteri che ci sono più utili, per aggiungere il tut-to ai cibi». Sembra facile, ma c’è ancora un bel po’ di strada da fare. «Grazie al sequenzia-mento massivo del Dna, potremo scoprire il valore dei batteri: quali vanno inseriti e qualimancano al nostro intestino. Capiremo finalmente l’interazione tra le sostanze, le cellule,le persone e l’ambiente: solo così riusciremo a creare sostanze artificiali davvero equiva-lenti a quelle originarie».

La svolta è prevista dopo il 2020, ma già si vedono i primi tentativi. Mark Post, docentedell’Università di Maastricht, ha creato il primo hamburger in vitro, assemblato con pic-coli pezzi di tessuto muscolare (di bue) sviluppato in laboratorio. Per ora il metodo è speri-

mentale, tanto che il prodotto costerebbe tre-centomila dollari, ma è una scoperta promet-tente. «Se siamo noi a creare l’hamburger,possiamo renderlo più salutare: per esempiosostituendo i grassi saturi con polinsaturi ric-chi di omega 3», dice Joan Salge Blage, dell’a-mericana Academy of Nutrition of Dietetics,la maggiore organizzazione mondiale deiprofessionisti della nutrizione. Lo scopo è an-che ridurre l’impatto ambientale dell’ali-mentazione.

Il cibo del futuro è diventata così una nuo-va tendenza, californiana, che ha partoritonumerose startup. L’ultima novità è l’uovovegetale, della californiana Hampton Creek.In questo caso, la ricerca è servita per selezio-

Uova vegetalihamburger in vitromaiali clonatie grasso d’algaEcco il menùbiotecnologico

Next.Food

ANTIPASTO

BOCCONCINI DI ALGHEINGEGNERIZZATE PER FORNIRE GRASSI E PROTEINE. UN TAGLIERE DI FORMAGGI CREATI DALLE VERDURE

BIOTECNOLOGIA

TECNOLOGIAAPPLICATEALLA BIOLOGIA

SEQUENZIAMENTO

PROCESSO DI ANALISIDI UN FRAMMENTODI CODICE GENETICO

GENOMICA

STUDIA IL GENOMADEGLI ORGANISMIVIVENTI

POLINSATURI

ACIDI GRASSIENERGETICI COMEOMEGA-3 E OMEGA-6

GLOSSARIO

iper

la Repubblica

DOMENICA 20 LUGLIO 2014 35

nare proteine dalle piante che, messe tutteassieme, avessero consistenza, colore e ca-ratteristiche nutritive simili a quelle dell’uo-vo. Non è un caso che tra i nuovi finanziatoridi Hampton Creek ci sia, con trenta milioni didollari, il cinese Li Ka-Shing, il proprietariodel gruppo di telefonia mobile H3G. La Cinasi prepara infatti a un futuro in cui alimenta-re tutta la popolazione con la carne sarà ungrosso problema. È in Cina il più grande cen-tro al mondo per la clonazione dei maiali.

Il fenomeno è dunque partito: queste star-tup si moltiplicano e i loro prodotti comincia-no ad arrivare nei negozi americani. BeyondMeat e Sand Hill Foods fanno sostituti dellacarne e del formaggio basati su vegetali. So-

lazyme si concentra sulle molecole delle al-ghe per ricavarne grasso e proteine. ModernMeadow invece fa carne artificiale con lastampa 3D di cellule staminali. C’è poi chi osaproporre un beverone per sostituire tutti i pa-sti di un individuo: Soylent, azienda america-na creata da un ingegnere informatico, RobRhinehart, voleva un modo pratico per ri-sparmiare tempo a tavola. Assicura che unapersona può nutrirsi completamente, in que-sto modo, spendendo solo centocinquantadollari al mese. «Il cibo biotecnologico sarà sa-lutare, comodo ed etico — conclude Capo-luongo — . Forse persino economico. Ma sa-porito? Su questo, ho molti dubbi».

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PRIMO

PASTA STAMPATA IN 3DDIRETTAMENTENEL RISTORANTE,NELLA FORMA SCELTADAL CLIENTE: A ROMAMANGEREMO COLOSSEI

SECONDO

BISTECCA DI MANZOSINTETIZZATA IN LABORATORIO O HAMBURGER IN VITROASSEMBLATO CON PEZZETTIDI TESSUTO DI BUE

CONTORNO/1

UOVA STRAPAZZATE CHE VENGONO DA VEGETALI, COMPOSTIIN MODO DA AVERE GUSTO E CARATTERISTICHE UGUALIALLE UOVA VERE

CONTORNO/2

INSALATA ARRICCHITADI NANOPARTICELLECHE ESALTANO I SAPORI,VERDURE RINFORZATEDA BATTERI CHE AIUTANOL’ASSIMILAZIONE

L’IMMAGINEUNA SCENA DA “2001:ODISSEA NELLO SPAZIO”DI STANLEY KUBRICK(1968)

BEVANDE

L’ACQUA DEL FUTURO È SOLIDA, SERVITA SU UN PIATTO,DA MANGIAREAL CUCCHIAIO. LISCIAO EFFERVESCENTE

DESSERT/1

DOLCETTO CON FARINARICAVATA DALLA MICROALGA CON GOCCEDI CIOCCOLATO.È GIÀ PRODOTTODALLA SOLAZYME

DESSERT/2

CREME CARAMELCON LATTERINFORZATODA PROTEINEARTIFICIALIE UOVA VEGETALI

LICIA GRANELLO

O! IL FORNO NO!”, rispondeva terrorizzatala casalinga della pubblicità alla richie-sta di aprire lo sportello. Anche il frigori-fero è un elettrodomestico a rischio: piùche le incrostazioni di unto, conta il ciboammonticchiato tra ripiani e cassettoni.A maggior ragione quando i frigoriferisono quelli di tre fra i più prestigiosi cuo-chi italiani, che insieme valgono ottostelle Michelin. Nei loro ristoranti, il ciboè festa, arte, meraviglia di sapori. Ma acasa?

È un frigo importante, quello di Gennaro Esposito, cuoco della Torre del Saracino(Seiano) e di Mammà (Capri). A occuparsene, soprattutto la moglie Ivana, «che è unabrava cuoca e fa la spesa tutte le mattine. Infatti, nostro figlio Emanuele a nove mesi giàda tre mangia super pappe casalinghe. Siamo sulla stessa lunghezza d’onda: per noi ilfrigorifero non è un ripostiglio. Avere un frigo pieno significa quasi sempre sprecare, eper me buttare via il cibo è una vergogna. Nella miacultura, non si avanza nulla, né nel piatto né in di-spensa... Sono fortunato: mio padre Alberto cura l’or-to, i vicini allevano polli e conigli, il pesce mi arriva dapescatori fidati. Nel frigo tengo sempre un pezzettodi culatello, un salame di Spigaroli, del caciocavallodi Fernando De Gennaro e uno spicchio di provolonedel monaco, che insieme al pane biscottato di granoti salvano se arrivano amici all’improvviso. E poi lamarmellata di ciliegie che fa Ivana, buonissima. Bea-ta lei che se la può mangiare a cucchiaiate, io se co-mincio, mi finisco il vasetto».

A volte, la misura del frigo è ridotta. Come quellodi Valeria Piccini: «A casa siamo rimasti solo Mauri-zio e io e ci stiamo talmente poco, che ci serve solo perla colazione e il mercoledì, giorno di chiusura del ri-storante». Andrea Menichetti, degno figlio di tantamamma, ha lasciato le cucine di Caino per andare alavorare ad Aspen, Colorado. In compenso, nella ca-sa di Montemerano fa sosta spesso e volentieri la pic-cola figlia di Andrea, Vittoria, appassionata di pastaal pesto, «che preparo in quantità nella stagione delbasilico e congelo. In frigo, invece, abbiamo sempreuna buona bistecca fiorentina, da cuocere sulla gri-glia sotto il porticato. Lo yogurt industriale è un’e-mergenza: al ristorante lo facciamo noi, ma non sem-pre mi ricordo di portarlo a casa, mentre il pecorinoa latte crudo dell’Alto Lazio non manca mai». Pocaverdura in frigo, «perché la cogliamo tutti i giorni nelnostro orto. Con le zucchine piccole tagliate a ron-delle sottili sottili, scaglie di Parmigiano, extraver-gine e due gocce di aceto Balsamico Tradizionale pre-paro una tartare freschissima. In compenso, la frut-ta la mangio solo quando ho i rimorsi di coscienza, in-vece di pane e salame a merenda».

«Il frigo me l’hanno regalato, lo trovo magnifico,perché permette di vedere tutto, come la musicaascoltata da un impianto come si deve, che ti per-mette di apprezzare tutte le diverse sonorità». A ca-sa Bottura chi cucina è Lara, la moglie newyorkese diMassimo, che ha imparato la cucina emiliana dallasuocera. Quando le ha detto «Brava Lara, questo èproprio un buon ragù» ha capito di avercela fatta.«Lara è attenta all’alimentazione: verdura e fruttaarrivano dai mercati contadini, il pesce regna sovra-no insieme al puré, il piatto preferito di mio figlioCharlie, mentre mia figlia Alexia, è patita di passa-telli, che prepara alla grande. Condividiamo gli arti-giani tra casa e ristorante: dal Parmigiano dei casel-li di montagna alla colatura di alici di Pasquale di Tor-rente. E quando arrivano le pesche sciroppate, i vasidi pomodori e la pasta di Giovanni Assante facciamofesta tutti insieme. Il rapporto con il bottegaio è fon-damentale: se lo capisci, ti darà sempre la bisteccamigliore». E la bottiglia del Campari? «Colpa di Gen-naro Esposito, che lo scorso Natale ha offerto unCampari Orange fatto con le sue arance a mia suoce-ra Janet. È diventato il suo aperitivo preferito: ognivolta che arriva da New York dobbiamo farci trovarepronti».

Nel frigo degli chefAnche gli angelimangiano fagioli?

la Repubblica

DOMENICA 20 LUGLIO 2014 36LA DOMENICA

CASA BOTTURA

MASSIMO BOTTURA È IL TITOLARE DELLA “OSTERIAFRANCESCANA” DI MODENA,ELETTO TERZO MIGLIORRISTORANTE DEL MONDOQUEST’ANNO DALLA GUIDA “THE WORLD BEST 50 RESTAURANTS”. IN CASA PERÒ L’ARTISTA È LA MOGLIEAMERICANA LARA

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Sapori. Privati

È UN ELETTRODOMESTICO MAGNIFICO:COME UN IMPIANTO STEREOCHE TI PERMETTE DI APPREZZARETUTTE LE DIVERSE SONORITÀ.MA IN CUCINA COMANDA MIA MOGLIELARA, NEWYORKESE CHE HA SUPERATOL’ESAME RAGÙ DI MIA MADRE.L’IMPORTANTE È AVERE UN BUONRAPPORTO COL MACELLAIOE UNA BOTTIGLIA DI CAMPARIPER LA SUOCERA...

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CASA PICCINI

VALERIA PICCINI È L’ANIMADEL “CAINO” DI MONTEMERANOVICINO A MANCIANO NELLA MAREMMAGROSSETANA. A CASA VIVECON IL MARITO MAURIZIOMENTRE IL FIGLIO ANDREAMENICHETTI È EMIGRATO AD ASPEN IN COLORADOESPORTANDO LA SAPIENZA E LA TRADIZIONE FAMIGLIAREAI FORNELLI

LUCA BIANCHINI

IL MIO FRIGO mi assomiglia perchénon ama le mezze misure: o è ildeserto dei tartari o il regno diMaria Antonietta prima che letagliassero la testa. Vivo una vita

raminga che mi porta spesso a partireall’improvviso, e allora a ogni mio ritornoc’è sempre quel brivido misto a terrore incui, dopo aver posato il trolley, vado adaprire l’angolo più fresco della casa.Spalanco quella porta come se stessileggendo un thriller da classifica: prontoa tutto. Pezzi di formaggio dimenticati.Insalate di riso lasciate a decomporsi.Marmellate che cominciano adassumere superfici biancastre. Ma poi, adir la verità, ci sono anche le bellesorprese: rape a vapore non scadute,yogurt ancora buono per la colazione,frutta che è incredibilmentesopravvissuta alla solitudine e,soprattutto, due cose che nel mio frigonon devono mai mancare: una bottigliadi vino bianco e un pezzo di parmigiano.Vederli non solo mi rassicura, ma mi dàgioia. Perché è impensabile che nel miofrigo non ci sia una nota di festa se arrivaqualcuno. Anche se a volte esagero, nelsenso che quando invito a cena gli amicimi scappa sempre la mano, e siamoalmeno una ventina. E lì il mio frigo mostra tutte le suefragilità. Perché non è abituato allarazionalizzazione degli spazi; non èabituato ai vassoi col vitel tonnè;e non è abituato a essere aperto e chiusoogni due minuti. In quel momento scattal’ingegno. Le bottiglie di vino vengonoraffreddate a rotazione nel congelatore,mettendo una sveglia ogni quindiciminuti che mi dà un’ansia tremenda.Le pesche raggrinzite vanno a finiredentro una sangria improvvisata ofrullate last minute. Gli avanzimoribondi delle melanzane sott’olio dimia madre — olio che nel frattempo si èsolidificato — vengono salutaticaramente. E improvvisamente miritrovo a smontare i piani neanche fosseun mobile Ikea per farci stare unamagnum di Franciacorta. Man mano che la cena ha inizio e i vassoifiniscono sul tavolo, il mio frigo si rilassacome una casa invasa dai parenti, che aun certo punto se ne vanno via.Ce n’è solo uno che non vuole mai cederee resiste stoicamente, come un nonnoche ne ha viste troppe e non ha paura diniente: il limone. Un limone può esserelasciato solo nel frigo per settimane maavrà sempre un po’ di succo da regalartianche quando sarà senza forze. Non è uncaso se Montale gli ha dedicato una dellesue poesie più belle.

(Il suo ultimo libroè Io che amo solo te, Einaudi)

Una certezzanel buio:un limoneè per sempre

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la Repubblica

DOMENICA 20 LUGLIO 2014 37

NON È UN RIPOSTIGLIO, AVERLO PIENOSIGNIFICA SPRECARE CIBO E PER MEÈ UNA VERGOGNA: NELLA MIA CULTURANON DEVE AVANZARE NULLANEL MIO FRIGO NON MANCANO MAICULATELLO, SALAME, CACIOCAVALLOE PROVOLONE. DI QUELLI BUONI.OLTRE ALLA MARMELLATADI CILIEGIE CHE FA MIA MOGLIEE ALLE SUPERPAPPEPER MIO FIGLIO DI NOVE MESI

SIAMO RIMASTI SOLO IO E MIO MARITO:CI SERVE GIUSTO PER LA COLAZIONEO PER IL GIORNO DI CHIUSURADEL RISTORANTE.NON POSSIAMO FARE A MENODI FIORENTINE, YOGURTE PECORINOMENTRE NEL CONGELATORETENGO UNA BELLA SCORTADI PESTO PREPARATA DA ME:LA MIA NIPOTINA NE VA PAZZA

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CASA ESPOSITO

GENNARO ESPOSITO, CHEF DEL “TORRE DEL SARACINO” DI SEIANO, UNA FRAZIONE DI VICO EQUENSE SULLA COSTIERA AMALFITANA,E DEL “MAMMÀ” DI CAPRI. LA SPESA PER IL FRIGO DI CASAÈ AFFIDATA ALLA MOGLIEIVANA, LE VERDURE ARRIVANODALL’ORTO DEL PADRE,IL PESCE LO PORTANOFRESCO I PESCATORI

la Repubblica

DOMENICA 20 LUGLIO 2014 38LA DOMENICA

«Nessuno chiede ai ragazzi: cosa vuoi fare nella vita? Io sono stato

fortunato: da quando sentii mio padre suonare la fisarmonica, capii

che volevo fare quello. Lui, perché mi concentrassi sullo studio, mi

tolse le ruote alla bici». E così oggi è considerato l’erede del grande

Astor Piazzolla ed è l’unico solista di fisarmonica ad aver inciso per

la prestigiosa Deutsche Grammophone ben tre dischi. Viaggiatore

instancabile, stasera si esibisce

in Italia.«Quando mi fermo e tor-

no a casa, mi ammalo e mi depri-

mo. Ma la stanchezza è essenzia-

le per un artista».

RichardGalliano

BENEDETTA MARIETTI

NIZZA

SEÈVEROCHELECASEHANNOUN’ANIMAe rispecchiano intensamente i sen-timenti di chi le abita, l’appartamento di Richard Galliano nel centrostorico di Nizza, vicino all’Opéra e a pochi passi dal mare, sembra cor-rispondergli in tutto e per tutto: sobrio, essenziale ma pieno di vita ecalore. Seduto su una poltrona in pelle scura, il grande fisarmonici-

sta francese di origine italiana ripercorre con semplicità e naturalezza — gli oc-chi vivaci che brillano di soddisfazione — l’ultimo traguardo raggiunto, unicosolista di fisarmonica a incidere per la prestigiosa Deutsche Grammophone. Do-po aver dato dignità jazz, al pari di tromba e sassofono, a uno strumento popo-lare come la fisarmonica (soprattutto nella sua variante francese a tasti, l’ac-cordeon), l’erede del bandoneonista argentino Astor Piazzolla ha superato sestesso pubblicando con la prestigiosa etichetta classica ben tre dischi: uno de-dicato alle musiche da film di Nino Rota, gli altri a due mostri sacri della storiadella musica classica, Bach e Vivaldi, riarrangiati per fisarmonica e quintettod’archi. «È il sogno che avevo fin da bambino», confessa Galliano, di cui è da po-co uscito il cd e dvd Richard Galliano au Brésil. «Ho sempre cercato di aprire tut-te le porte possibili a uno strumento folkloristico come la fisarmonica, che nasceper la musica popolare. Ci sono voluti molti anni di studio e lavoro, ho lottato alungo per imporre uno strumento tipico, ma il fatto di suonare all’interno diun cartellone classico, com’è successo in Italia al Teatro Civico della Spezia,e allo stesso tempo di partecipare quest’estate al Festival jazz di Nizza midà una grande soddisfazione». Ma come si fa a passare dal jazz, basatosull’improvvisazione e l’inventiva, al rigore espressivo della musicaclassica? «Il jazz e la musica classica non sono due mondi distinti. Untempo anche la musica classica improvvisava, per esempio tuttala musica barocca, o compositori come Chopin e Liszt, o ancoragli organisti che improvvisano tuttora. E grandi compositori

classici come Bartok, Dvorák, Tchaikovsky si sono spesso ispi-rati alla musica popolare. Del resto improvvisare non vuol dire fa-re quello che si vuole, esistono regole anche lì. Io non mi sento néun concertista classico né un jazzista, sono un musicista e pen-so che le frontiere musicali vadano abbattute e che si deb-ba combattere contro i pregiudizi. Anche perché se lamusica classica rimanesse troppo attaccata alle note,sarebbe destinata a morire».

Richard Galliano ha da sempre cercato di met-tere in pratica un celebre motto dello scrittore

francese Alfred de Vigny, che campeggia sul suo sito Internet: “Una vita riusci-ta è un sogno di adolescente realizzato nell’età matura”. «Non so se la mia vitasia riuscita», prosegue Galliano che, tra l’altro questa sera suonerà in Italia perla chiusura della XIX edizione del Festival Pomigliano Jazz in Campania, un ve-lo di malinconia che scende sugli occhi vivaci. «Vivo in un modo ambivalente. Dauna parte ci sono i progetti continui, i viaggi, l’entusiasmo, i concerti, l’adrena-lina del pubblico. Dall’altra, quando mi fermo e torno a casa, per qualche giornoo per poche settimane, mi sento affaticato, il corpo si lascia andare, spesso miammalo e vengo assalito dalla depressione. È un andamento ciclico. Eppure cre-do che la fase di stanchezza sia essenziale per un artista. Fuggire in avanti puòessere pericoloso per chi crea. Claude Nougaro, cantante e autore molto cono-sciuto in Francia, scomparso nel 2004, nel suo Le chant du desertdescrive la fa-tica del comporre: “Nel deserto del foglio bianco / navigano i miei vecchi cam-melli di parole / incrociando talvolta le ossa / di un poema morto di fatica”. Ep-pure è la pesantezza dei giorni, la disperazione degli istanti, uno dopo l’altro, aconsentire la creazione, non certo il turbinio e la confusione dei momenti felici.Sta a noi approfittare di tutti gli stati d’animo e le emozioni, anche di quelli piùdifficili da sopportare. Un compositore dovrebbe cercare di lavorare ogni gior-no, io sento che non compongo abbastanza, preso come sono dal folle vorticaredi viaggi e concerti».

Nougaro è uno dei tre maestri riconosciuti da Galliano come suoi ispiratori,insieme al padre Lucien e all’amico Astor Piazzolla. È infatti Lucien, professoredi fisarmonica di origine italiana, che comincia a insegnare al figlio di soli quat-tro anni a suonare lo strumento che non avrebbe più abbandonato. «Da mio pa-dre ho imparato il gusto per l’accordo e soprattutto della canzone. Quando eropiccolo era rigoroso con me. Aveva tolto le ruote alla mia bicicletta per non far-mi trascurare lo studio. Ma lo ringrazio di avermi trasmesso questa passione.L’ha fatto non in modo pedagogico e didattico ma semplicemente dandomi l’e-sempio. Suona ancora adesso, a 87 anni, e insegna piano a uno dei miei tre ni-poti». Dopo aver frequentato il Conservatorio di Nizza e aver studiato l’armonia,il contrappunto e il trombone, Richard Galliano arriva nel 1973 a Parigi, vienenotato da Claude Nougaro («Da lui ho imparato a comporre») e comincia a inci-dere per diversi musicisti francesi: Barbara, Charles Aznavour, Juliette Greco.Nel 1983 l’incontro determinante con Astor Piazzolla. «Mi ha spinto a realizza-re mie composizioni personali. Secondo lui ogni musicista deve suonare la mu-sica della sua terra. È una questione di identità. Durante il nostro primo incon-tro Astor mi ha detto: “Accidenti, suoni come un argentino. Anzi no, come un ita-liano”. Per me è come un secondo padre perché mi ha aiutato a costruire un nuo-vo me stesso». Grazie a Piazzolla Galliano ritorna alle proprie origini e al reper-torio tradizionale di valse muzette, java e tango declinate secondo le sonoritàdel jazz, abbattendo così le prime barriere tra musiche. Poi, dopo aver suonatocon i più grandi musicisti jazz (da Chet Baker a Enrico Rava) e essere diventatolui stesso l’icona mondiale della fisarmonica, Richard Galliano — polivalente alpunto da riuscire a esprimersi in qualsiasi contesto, en solo, con terzetti, quar-tetti, quintetti o big band — è riuscito perfino a superare i rigidi confini della mu-sica classica. «Il fatto di incidere per la Deutsche Grammophone è stata una sor-ta di certificazione. Ma nella musica non si può mai essere i migliori, come inve-

ce nello sport. L’importante è esistere. Modugno non è il miglior can-tautore del mondo ma ha scritto una bellissima canzone come Vola-re. Quello che bisogna fare è impegnarsi, studiare, dare il meglio di sé.

Mi dispiace di aver frequentato solo il Conservatorio perché studia-re altre materie avrebbe potuto fare bene alla mia musica».

La parola che più ricorre nei discorsi di Galliano è senzadubbio “sogno”. «Nessuno chiede ai ragazzi: cosa vuoi fa-re nella vita? Io sono stato fortunato; da quando ho senti-to mio padre suonare la fisarmonica ho capito che vole-

vo fare il musicista. In fondo sono la dimostra-zione vivente che quello che si sogna può es-sere realizzato. Basta volerlo e mettere incampo tutti i mezzi per farlo. C’è sempre spe-

ranza, anche nei momenti di crisi». Gallianoporge il suo telefonino. Compare una frase di De-bussy: «La musica deve umilmente cercare didar piacere, l’estrema complicazione è il contra-rio dell’arte». Spiega: «Duke Ellington diceva disuonare al cinquanta per cento per sé e il restantecinquanta per il pubblico. Sono convinto che noimusicisti abbiamo il compito di donare al pubblicogioia e felicità. Il che non vuol dire comporre musi-ca semplice bensì rendere la composizione fruibile ealla portata di tutti. La musica assai melodica di Ba-ch è densa di formule matematiche». Qual è il pros-simo sogno di Galliano? Lui si fa serio: «Dedicarmisempre di più alla mia musica. In fondo tutte le mu-

siche che ho suonato finora — popolare, jazz e clas-sica — sono servite a crearmi un’identità che orapiù che mai, a sessantatré anni, ho il sogno di vo-ler esprimere».

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È LA DISPERAZIONE DEGLI ISTANTI,LA PESANTEZZA DEI GIORNI, A CONSENTIRELA CREAZIONE, NON CERTO LA CONFUSIONEDEI MOMENTI FELICI. STA A NOIAPPROFITTARE DI TUTTI GLI STATI D’ANIMO

LA FISARMONICAÈ NATA

PER LA MUSICAPOPOLARE.

DOPO MOLTI ANNI DI STUDIO E LAVORO

CE L’HO FATTA:È FINALMENTE

ACCETTATASIA NELLACLASSICA

CHE NEL JAZZPERCHÉ PENSO

CHE LE FRONTIEREVADANO ABBATTUTE

L’incontro. Esploratori

IMPROVVISARE NON VUOL DIRE FARE TUTTOQUELLO CHE SI VUOLE, ESISTONO REGOLE ANCHE LÌNELLA MUSICA NON SI PUÒ MAI ESSERE I MIGLIORI,COME NELLO SPORT. L’IMPORTANTE È ESISTEREMODUGNO NON ERA IL MIGLIORE, “VOLARE” È UNICA