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IN QUESTO NUMERO La iettatura, tra magia, superstizione e letteratura, di Nerio Bonvicini ................................................................... pag. 2 Riviste ricevute ...................................................................................................... pag. 7 Buon occhio contro malocchio, di Bruno Severi .................................................... pag. 8 Il 21° congresso internazionale di studi delle esperienze di confine a San Marino, il 14-15 ottobre 2015 .................................................... pag. 10 La matematica e il buon Dio: il catechismo di Odifreddi, di Pier Luigi Aiazzi .......................................................... pag. 11 Giampilieri marina, tra ordinario e... straordinario, di Giuseppe Nativo ............................................................ pag. 19 del Centro Studi Parapsicologici di Bologna Anno 2017, n. 58. Supplemento ai Quaderni di Parapsicologia. Direttore Responsabile: Massimo Biondi La storia in un click - L'addestrato- re di uno dei famosi cavalli sapientidi Elberfeld mentre indica su una lavagna le cifre con le quali lanimale avrebbe dovuto eseguire alcune operazioni ma- tematiche. I colpi che il cavallo avrebbe battuto con una zampa su unapposita pedana di legno avrebbero comunicato il risultato di quelloperazione. Poiché spesso gli animali sembravano dare risposte esatte (o quasi esatte), una schiera abbastanza nutrita di studiosi andò a cercare una convalida delle capacità intellettive di quegli animali, che si diceva fossero state sviluppate da un particolare addestramento cui erano stati sottoposti. Molti di coloro che si recarono a Elberfeld rimasero effettivamente convinti delle abiiltà psichiche degli animali, ma per altri competenti si trattava solo di una un'illusione, dovuta a minime trasmissioni di segnali che si verificavano tra addestratore e cavallo.

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IN QUESTO NUMERO

La iettatura, tra magia, superstizione e

letteratura, di Nerio Bonvicini ................................................................... pag. 2

Riviste ricevute ...................................................................................................... pag. 7

Buon occhio contro malocchio, di Bruno Severi .................................................... pag. 8

Il21°congressointernazionaledistudidelleesperienzediconfine

a San Marino, il 14-15 ottobre 2015 .................................................... pag. 10

La matematica e il buon Dio: il catechismo

di Odifreddi, di Pier Luigi Aiazzi .......................................................... pag. 11

Giampilieri marina, tra ordinario e...

straordinario, di Giuseppe Nativo ............................................................ pag. 19

NOTIZIARIOdel Centro Studi Parapsicologici di Bologna

Anno 2017, n. 58. Supplemento ai Quaderni di Parapsicologia. Direttore Responsabile: Massimo Biondi

La storia in un click - L'addestrato-re di uno dei famosi “cavalli sapienti” di Elberfeld mentre indica su una lavagna le cifre con le quali l’animale avrebbe dovuto eseguire alcune operazioni ma-tematiche. I colpi che il cavallo avrebbe battuto con una zampa su un’apposita pedana di legno avrebbero comunicato il risultato di quell’operazione. Poiché spesso gli animali sembravano dare risposte esatte (o quasi esatte), una schiera abbastanza nutrita di studiosi

andò a cercare una convalida delle capacità intellettive di quegli animali, che si diceva fossero state sviluppate da un particolare addestramento cui erano stati sottoposti. Molti di coloro che si recarono a Elberfeld rimasero effettivamente convinti delle abiiltà psichiche degli animali, ma per altri competenti si trattava solo di una un'illusione, dovuta a minime trasmissioni di segnali che si verificavano tra addestratore e cavallo.

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Notiziario n. 58 settembre 2017

La iettatura, tra magia, superstizione e letteratura

di Nerio Bonvicini

di scagliare con la psiche) con il quale si vuole indicare, come afferma Dèttore nell’enciclo-pedia L’uomo e l’ignoto, «La capacità, vera o presunta, di alcuni individui, o di alcuni ani-mali come il rospo, il gatto nero, o perfino di oggetti, di atti, di canzoni ecc., di portare disgrazia». Nell’uomo questa facoltà viene localizzata nello sguardo, da cui l’espressio-ne malocchio.

È antica usanza, non appena una persona muore, che le vengano subito chiusi gli oc-chi. Opinione comune è che ciò venga fatto per rispetto, o meglio per pietà. Per molti studiosi degli usi e dei costumi la pietà coin-cidere anche con la volontà di nascondere la paura della morte e, soprattutto, dello sguardo

Parliamo di un fenomeno che è anche costume, tradizione (più accentuata nei Paesi mediterranei, ma ben cono-

sciuta anche nel resto del mondo), che ha origini antiche visto che ci sono pervenute testimonianze di oltre settemila anni fa, sot-to forma di amuleti, sia dai Sumeri che dai Babilonesi e dagli Egizi. Nota è la frase: non è vero ma ci credo, oppure non ci credo ma è vero, che già fa intendere come l’argomento sia da prendere: ovvero, come si dice, “con le molle”. Con serietà, ma con distacco; con una punta di ironia, seppur rispettosa per-ché... “non si sa mai”; e comunque questo tipo di comportamento è già un modo di porre scongiuri.

Iettatura è parola squisitamente parteno-pea di origini latine (da jactare, gettare: il ma-locchio, naturalmente), ma mentre a Napoli si concentra su una figura di persona tutta particolare, il concetto sottostante, ovve-ro la possibilità di influire maleficamente attraverso lo sguardo, è conosciuto in tut-ta Europa. In tedesco è chiamato boser bli-ck, in inglese evil-eye, in francese mauvais-oeil, fascinum presso i Romani, elexiana presso i Greci). Psicobolia è termine scientifico più re-cente (dal greco bolè, atto di scagliare, e quin-

Testo della conferenza tenuta dall’autore il 27 aprile 2017 presso EPS Factory, via Castiglione 26, Bologna.

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del morto. Vi è il timore antichissimo che quello sguardo possa provocare malattie o comunque la fine più o meno imminente di coloro che lo fissano. Per lo stesso mo-tivo anche l’usanza di bendare i condannati a morte non sarebbe dovuta a un senso di misericordia, bensì allo scopo di evitare che costoro nell’attimo estremo possano tra-smettere un fluido malefico. Da qui deriva anche l’usanza “precauzionale” di incappuc-ciare il boia.

Seppur di origini antiche, il malocchio ebbe la sua epoca d’oro durante il periodo medievale, quando si riteneva che le perso-ne possedute dal demonio potessero con lo sguardo seminare dolori, malattie o disgra-zie. Accadde così che oltre alle streghe sul rogo finissero anche gli “jettatori”, nonché i gatti neri.

Passati i secoli bui anche le superstizioni andarono calando di popolarità; ovunque a parte Napoli, dove nel 1787 fu pubblicato un libretto intitolato Cicalata sul fascino, vol-garmente detto jettattura. Autore, un tal Nicola Valletta, docente di diritto civile all’Univer-sità di Napoli. Il testo era fra il serio e il fa-ceto, come si conviene per un intellettuale napoletano di impronta illuminista, ma la-sciava trapelare come l’autore fosse convin-to dell’efficacia del malocchio.

Quell’opera dette una certa ufficialità alla jettatura, al pun-to che anche i nobili dell’epoca comincia-rono a darle un certo peso. Si racconta che Ferdinando I si rifiutò per ben 15 anni di ri-cevere il canonico De Jorio perché ritenuto jettatore, ma che alla fine cedette e accettò l’incontro. Il mattino seguente Ferdinando I moriva per un collasso.

Lo psichiatra George Dumas (1866-1946) si occupò della materia e scrisse Le surnaturel et les dieux d’après les maladies men-tales, in cui fornisce il ritratto dello jettatore classico: «è di solito magro e pallido, ha il naso ricurvo e gli occhi grandi che ricorda-no quelli del rospo, che egli tende a copri-re con un paio di occhiali» (da notare che anche il rospo, come il gatto nero, rientra tra gli animali portatori di malocchio). «Se incontrate» continua Dumas «per le strade di Napoli una persona come quella che ho descritto, guardatevene: quasi sicuramente si tratta di uno jettatore. Se costui vi ha scorto per primo, il male è fatto e non c’è rimedio; chinate il capo e aspettate. In caso contrario presentategli il dito medio teso e le altre dita piegate. Il maleficio sarà scongiurato».

Il gesto apotropaico citato da Dumas, cioè il dito medio teso, ci ricorda come fin da tempi remoti detti gesti, ma anche

gli amuleti atti a scongiurare i malefici, rap-presentassero un oggetto appuntito – chio-di, corni o cornetti. Il dito medio teso, o l’in-dice e il mignolo (“far le corna”, che sembra fosse in uso presso gli Egizi e simboleggiava la mezzaluna che ornava la testa della dea Iside, considerata in grado di allontanare

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tutti gli influssi negativi), erano come rap-presentazioni di un’arma difensiva, se non addirittura un parafulmine atto a catturare gli “influssi” malefici.

Gli studiosi vedono in queste figure un’i-mitazione del simbolo fallico, anch’esso in uso come formula di scongiuro. Ricordiamo che nelle campagne romane quel simbolo era esposto a protezione dei raccolti e dei greggi. L’intenzione era preservare il ciclo produttivo della vita, poiché nelle credenze popolari il malocchio, scaturito dall’invidia, fungeva da ef-fetto castrante (ricordo che simboli falli-ci si usavano anche nelle città romane e in quelle gre-che: le famose erme). Di qui derivò l’usanza di mostrare le “fiche”, cioè il pugno chiuso con il pollice fra l’indice e il medio come segno di castrazione già in atto e, quindi, avviso di non infierire.

Seguendo questo concetto di blocco della fertilità, fra le vittime candidate al malocchio venivano considerate le donne in gravidanza o durante l’allattamento, i bambini in tenera età (specialmente se belli e in buona salute, tali da suscitare invidia), le future coppie di sposi, le messi e i germogli. Di contro, fra i possibili jettatori venivano annoverate le donne durante il periodo mestruale, quelle già anziane, i frati e i preti (tutti simboli di sterilità). Particolare e resa popolare dal cine-ma, l’antica usanza anglosassone di portare in braccio la sposa la prima volta che si passa la soglia di casa, perché l’eventuale maloc-chio scagliato su di essa, la soglia, per invidia o per gelosia può causare sterilità alla coppia.

L’usanza degli organi genitali maschili, quale amuleto, era diffusa in tutto il Mediter-raneo, e tanto più grottesca e spiritosa era la sua rappresentazione tanto maggiore la sua efficacia. In Sicilia, per scongiurare la sterili-tà, alle coppie in occasione delle nozze vie-ne regalata a famosa “minchia cu l’ali” (il pene con le ali). L’amuleto più famoso rimane in ogni modo la rappresentazione in caricatu-ra del re Priapo, con enormi organi genitali. Secondo la mitologia Priapo era figlio di Ve-nere e Bacco. La gravidanza di Venere dopo

il matrimonio fu subito no-tata da Giu-none la quale, invidiosa di qualunque dea capace di met-tere al mondo eredi, attese il momento della nascita per lanciare la sua maledizio-ne. Venuto il momento del parto, Giuno-

ne camuffata si presentò come levatrice e fu la prima ad avere fra le braccia il neonato Pri-apo, ma mentre stava per scagliare su di lui la maledizione, fissandolo con occhi collerici, si fermò stupefatta: non aveva mai veduto, anche in persone adulte, degli “attributi” così grandi. L’esitazione dovuta alla meraviglia e allo sbigottimento salvò Priapo, precé Bac-co ebbe il tempo di strapparlo dalle braccia di Giunone e di portarlo in salvo. Se, come affermano alcuni, la jettatura è nata nell’O-limpo, senz’altro gli organi genitali di Priapo sono stati il primo antidoto.

Approfondendo l’indagine sul feno-meno, si può riscontrare che spes-so la jattura non avviene per diretta

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volontà dello jettatore. Alcuni individui get-tano o portano disgrazia involontariamente, come fossero portatori sani di una malat-tia. Lo studioso Ernesto de Martino in Sud e Magia, parlando del Duca di Ventignano, scrive: «come la tradizione vuole, il nostro Duca inaugura la serie delle sciagure fin da quando viene al mondo: la madre rende l’a-nima nel partorirlo, la nutrice cui è affidato perde il latte, il padre è rimosso dalla cari-ca di ambasciatore in Toscana, perché alla notizia della nascita del figlio e della mor-te della moglie aveva abbandonato il posto senza autorizzazione sovrana ed era corso a Napoli. Il Duca mantenne per tutto il cor-so della sua vita questo potere: il fratello maggiore perì in duello proprio per difen-derlo dall’accusa di jettatore e il genero (che da scapolo era stato un libertino) non poté consumare il matrimonio con la figlia del nobile per effetto della benedizione paterna impartita alla coppia. Ma la funesta attività del Duca si allargava ben oltre la cerchia fa-migliare; spaziava nella società. Il giorno in cui il nobile entrò in seminario tutti i ragaz-zi della classe furono colpiti da tosse con-vulsa; né si salvarono i frati del convento di Camaldoli quando andò a farvi il noviziato, perché il giorno dopo il suo arrivo apparve l’ordinanza della Repubblica Partenopea che sopprimeva le comunità religiose». Tra gli al-tri involontari eventi provocati dal Duca di Ventignano si ricorda che proprio mentre si trovava a Parigi, si scatenò la Rivoluzione. Inoltre, fermatosi lungo il viaggio di ritorno a Roma, incontrò papa Pio vii che morì tre giorni dopo. Per Ernesto de Martino, la bio-grafia del Duca di Ventignano «appare come la negazione più radicale della stessa possi-bilità di una vita associata e assurge a sim-bolo vivente dell’irrazionalità, dell’inconscio e del male». È una definizione che si può applicare a tutti gli jettatori, persone con-dannate alla solitudine, all’emarginazione, ambasciatori involontari di malefici. Questo potere è solamente maschile, così come la

stregoneria è puramente femminile.Quindi se il malocchio può essere get-

tato anche inconsapevolmente diventa dif-ficile contrapporre lo scongiuro immedia-to. Ecco dunque la necessità di munirsi di amuleti: i corni e cornetti di cui sopra, i fer-ri di cavallo (si consideravano i maniscalchi protetti dagli dei), i gobbetti portafortuna o i simboli che richiamano la sfortuna come il numero 13 e così via.

La tradizione popolare ha inventa-to vari metodi per verificare se una persona fosse stata colpita da maloc-

chio o da una fattura. Alcuni sono tutt’oggi in uso come, per esempio, l’uso di versare in un catino o in un piatto fondo (scodella) colmi d’acqua alcune gocce d’olio: se questo si allarga a macchie, non c’è dubbio: è maloc-chio. In alcune casi di presunte fatture, nelle macchie d’olio si può intravedere una croce.

In parapsicologia la jettatura non è mai stata studiata a livello sperimentale e viene perlopiù considerata superstizione, folklore.

L’ammiraglio greco Angelos Tanagras, fondatore negli anni Venti della Società El-lenica per la Ricerca Psichica, di cui fu pre-sidente fino alla morte, e membro della So-cietà per la Ricerca Psichica di Londra, con la parola psicobolia tese ad associare la jetta-tura alla precognizione. Secondo Tanagras, portare fortuna o sfortuna e predire il futuro

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sarebbero aspetti di uno stesso fenomeno, per cui un individuo realizzerebbe i propri desideri inconsci su di sé o su altri provo-cando, attraverso fatti suggestivi, telepatici o psicocinetici, l’avverarsi di avvenimenti in-consapevolmente voluti (Ugo Dèttore).

Secondo alcuni, lo jettatore non sarebbe la causa della disgrazia, ma soltanto l’annun-ciatore. Un sensitivo che ha precognizione di una disgrazia sarebbe portato ad avvicinare la vittima per avvertirla. Alcuni casi sembra-no inquadrarsi in questa supposizione. Scri-ve ancora Dèttore: «avviene... abbastanza spesso che fra le varie persone minacciate di essere avvicinate da uno di questi soggetti di malaugurio una sola, la futura vittima, en-tra in uno stato angoscioso, mentre le altre rimangono relativamente tranquille. Si po-trebbe pensare anche a un fenomeno inter-personale e cioè il predestinato, sotto il ter-rore di un annuncio di disgrazia, diverrebbe a sua volta precognitore e si agiterebbe nel presentimento del pericolo incombente».

Va da sé che le persone suggestionabili, sensibili o neurolabili possono essere con-dizionate al punto che temendo la disgra-zia, per distrazione o per sbadataggine, o andandosela a cercare per “togliersi il den-

te”, commettono passi falsi che provocano “l’incidente”.

Concludendo, la jettatura si presenta come un fenomeno composto (è il caso di dire “una rondine non fa primavera”), in cui potrebbero intervenire, in dosi diverse, la suggestione, la chiaroveggenza, la telepa-tia, la precognizione, nonché una sensazione di minaccia da parte del prossimo. «Di qui» sempre citando Dèttore «l’atteggiamento scherzoso che si assume in genere di fronte al fenomeno, il riso che accompagna i ge-sti di scongiuro; tentativi tutti di sottrarsi a un’analisi più profonda, a un’autocritica che porterebbe al riconoscimento di motivi de-cisamente negativi annidati nell’intimo di noi stessi e, in definitiva, una gioconda ras-segnazione ad accettare noi stessi e la vita per quello che siamo e che è».

AAVV. L’uomo e l’ignoto. Enciclopedia di para- psicologia e dell’insolito, Armenia Editore, 1978.AAVV. Dimensione X. I misteri dell’uomo, della terra e dello spazio, Edipem, 1981-83.Buscaino G. A. Non è vero ma ci credo! Diva-gazioni, serie e facete, sulla jettatura. Quaderni di parapsicologia Anno 1 n. 1, 26 gennaio 1970.De Martino E. Sud e Magia, Donzelli, 2015.

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Successivamente alla conferenza di Nerio Bonvicini, il 27 aprile scorso, la compagnia teatrale Panta Rei ha messo in scena l’atto unico di Pirandello La Patente - la patente di jettatore, naturalmente!

Al termine della serata, sempre nella sede dell'EPS Factory, si è tenuta l’Assemblea Ordinaria dei Soci del CSP. La relazione relativa sarà a suo tempo inviata ai Soci, comprensiva del resoconto della riunione per la designazione della cariche sociali.

Uno sguardo sul mondo, a cura di Giulio CaratelliIl fascino erotico della medianità, di Michele DinicastroDon Giuseppe inviato speciale, a cura di Elio PastoreGoethe-Eckermann, di G. Caratelli e M. L. FeliciDal razionalismo allo spiritualismo, di P. L. Garavelli Dio amico mio, di Roberta Sartarelli La mente e i suoi poteri, di Stefano Mayorca Evolvenza, a cura di Vitaliano BilottaSe la medicina perde l'anima, di Claudio Pagliarail detective della scienza, di Massimo Valentini Dal sesto senso al settimo senso, di Nader ButtoLa fine dei viaggi spaziali, di Massimo Corbucci Colombo scoprì l'America... o la raggiunse duemila anni

dopo?, di Luciano Gianfranceschi Gli insorgenti, di Isidoro Sparnanzoni L'antica arte della curandera, di Elena Greggia Il vostro genosociogramma, a cura di Elisa PoliLe stelle nel nostro karma, di Susanna Rinaldi Riec-sur-Belon 1974, di Carlo PirolaFenomeni inspiegabili, a cura di Solas BoncompagniUfo news

Il Giornale dei Misteri - Luglio-Agosto 2017RIVISTE RICEVUTE

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Notiziario n. 58 settembre 2017

di Bruno Severi

Buon occhio contro malocchio

tempi, viene “validamente” contrastato da una speciale raffigurazione chiamata hamsa, khamsa o hamesh, consistente in una mano con al centro un occhio. È chiamata anche mano di Fatima.

In Turchia un occhio di vetro di colore blu, di nome nazar, è un amuleto infallibile contro le sventure e ogni buon musulmano ne possiede almeno uno. Due è meglio...

Facendo un salto in Egitto non po-tremo fare a meno di incontrare l’occhio di Horus il quale, come nel

buddhismo e nell’induismo, oltre a pro-fondi significati spirituali possiede anche la

Il pregevole articolo di Nerio Bonvici-ni sul tema del malocchio mi ha spin-to, come necessità o come impulso, a

chiedermi se esista un fenomeno contrario: il buonocchio, ossia qualcosa legato all’orga-no visivo che invece di portare disgrazie porti fortuna. Riordinando un po’ le idee e i ricordi, e facendo una veloce raccolta di informazioni tratte da libri e ancor più da Internet, le sorprese non sono mancate: in effetti l’occhio può essere considerato an-che simbolo di buona fortuna. Ad esempio, in India i sacri testi parlano del “terzo oc-chio”, quello di Shiva, il quale, oltre a pro-fondi significati filosofici e religiosi, è rite-nuto in grado di distruggere il male e i pec-cati. Sotto questa “ottica”, l’occhio di Shiva è venduto nelle gioiellerie come amuleto per tener lontane le disgrazie e attrarre il bene.

Parimenti, nel mondo tibetano esiste l’occhio di Buddha. Lo possiamo facilmen-te vedere nei luoghi sacri, dove sono spesso eretti enormi stupa, monumenti formati da una cupola al cui centro si erge una torre a pianta quadrata. Su ogni lato della torre è dipinto un grande occhio, attraverso il quale Buddha in persona guarda e controlla che nell’universo tutto proceda nel migliore dei modi. Un “buon occhio”, dunque, in grado di trasmettere sicurezza e protezione.

In Medio Oriente il malocchio, assai dif-fuso da quelle parti specialmente di questi

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9funzione di amuleto portafortuna. A quin-tali se ne trovano nei luoghi più battuti dai turisti occidentali, i quali se ne riempiono le tasche per fare regali a poco prezzo agli amici e ai parenti rimasti a casa. Di sicuro, da quel momento in poi arriderà loro una fortuna sfacciata.

Discendente dell’occhio di Horus è quel-lo della massoneria. Parimenti all’occhio di diverse religioni, tra cui quelle sopracitate, quello rappresentato dai massoni, spesso posto all’interno di un triangolo, simbo-leggia l’onniscienza del Grande Architetto dell’Universo che ha il potere di vedere ogni cosa, compresi i nostri pensieri. Da un lato questo controllo divino ci sembra rassicu-rante, ma da un altro punto di vista la cosa può apparire inquietante o imbarazzante.

Negli Stati Uniti, ove la massoneria è molto diffusa e influente, hanno pensato bene di porre l’occhio di Horus (o quello dei frammassoni) che dovrebbe rappresen-tare l’occhio della Provvidenza, sul retro del loro stemma nazionale, posizionato in cima a una piramide (e anche questa, oltre a ricordare l’antico Egitto, è un importante simbolo massonico). Come non bastasse,

l’occhio di Horus con piramide lo trovia-mo stampato anche sulle banconote da un dollaro.

È forse inutile parlare dell’occhio della Provvidenza diffuso tra noi cristiani, an-ch’esso compreso entro un triangolo (la Trinità) e con specificità simili a quelle qui sopra incontrate e accennate.

Approfondendo ulteriormente la ricerca, senz’altro potremmo trovare numerosi altri esempi di questo fantomatico buonocchio, a conferma di come questo sia un simbolo antichissimo e universale che in fondo, am-mettiamolo, testimonia la nostra incapacità ad affrontare gli strali di un’avversa fortuna con le nostre sole forze. A essere onesti, un “aiutino” esterno non si rifiuta mai.

Sarà certamente una superstizione ma, come nel caso del malocchio, anche per il buonocchio mi sento di affermare con as-soluta certezza che... non è vero, ma ci credo.

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Notiziario n. 58 settembre 2017

La matematica e il buon Dio.Il catechismo di Odifreddi

di Pier Luigi Aiazzi

prio così sicuro che lo strumento impiegato sia, nei confronti del tema religioso – nella conferma come nella smentita – in grado di dimostrare qualcosa? In effetti tutti, o molti, si saranno accorti che la pretesa di risolvere il problema con il puro ragionamento finisce immancabilmente per condurre al giro vizio-so di una discussione infinita. Forse perché non sono un matematico ma uno psicologo, ritengo che ciascuno, sul tema religioso, pri-ma di imbarcarsi in una qualche monumenta-le trattazione teoretica dovrebbe fare un pic-colo esame introspettivo su quel che è stato il proprio rapporto emotivo e pratico con la re-ligione. Il mio, lo dico subito per fugare ogni pretesa di imparzialità, è stato pessimo fin da ragazzo e probabilmente è per questo che sono adesso un non-credente che sul tema religioso si attiene a un agnosticismo alquan-to distaccato. In tal senso, di Odifreddi si di-rebbe significativa la notizia relativa a una sua esperienza adolescenziale di seminarista (chi

Per lo più i nostri lettori sapranno chi è Piergiorgio Odifreddi. A livello pro-fessionale, un brillante matematico,

docente universitario a Torino e alla Cornell University. A livello di notorietà spicciola, un “tuttologo” alla moda che disserta un po’ di tutto: di religione, letteratura, psicologia, po-litica, filosofia, scienza in generale. Il moti-vo per cui conviene fare qualche riflessione sul suo (chiamiamolo così) “pensiero” in una pubblicazione di prevalente argomento pa-rapsicologico è che, per capire la diffidenza e l’incomprensione – per lo più aprioristiche – verso il nostro lavoro occorre fare i conti con le contorsioni di un tipico modo di ragionare di cui Odifreddi è assiduo esponente. Nell’ul-tima parte dell’articolo faremo invece qualche breve riflessione sulle sue originali opinioni sulla parapsicologia.

Inquadriamo subito, molto schematica-mente, tale suo “pensiero”. C’è un argomento verso cui ha il dente avvelenato: la religione. E ce n’è uno per il quale, al contrario, mostra un amore sviscerato: la matematica. C’è un chiodo fisso per cui nei suoi scritti li coniu-ga in un abbraccio intenzionalmente mortale: distruggere il primo tramite una pretesa dia-lettica corrosiva del secondo. Questo, al di là di tutte le ironie, i preziosismi concettuali, i cervellotici sorrisi con cui condisce le sue ar-gomentazioni.

C’è un primo fondamentale dubbio da an-teporre a questa sua strenua lotta: ma è pro-

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se l’aspettava?). È un dato che spingerebbe a suggerirgli che, per capire il problema, una franca riflessione su tale esperienza forse gli sarebbe più utile di tanta profusione di equa-zioni e procedimenti logico-filosofici. Non importa essere psicologi per avere il forte sospetto che un ateo così appassionatamen-te dedito alla negazione del buon Dio sia in realtà un fervido, inconsapevole bigotto, che magari abbia una sua particolare, originale di-vinità da sostituire a quell’Ente.

Metafore o Modelli descrittivi

Limitiamoci tuttavia qui a considerare l’a-spetto razionale di questo negazionismo a

oltranza. Ciò che, esaminando i ragionamenti di Odifreddi, dà una certa irritazione è che tut-ta l’esondazione di formule e argomenti logici cela tra le righe piccole e grandi furberie, che non sono proprio l’ostensione migliore di un logically correct.

Per motivi di spazio esamineremo una sol-tanto di queste modalità, che è anche la prin-cipale sulla cui base confeziona i suoi anatemi: un distratto scambio di codici che trasfor-ma del tutto il senso di una certa asserzione. Iniziamo con un esempio banale del trucco, prendendo una delle sue tipiche algide fred-dure. Ironizzando sul dogma cristiano della Madonna “assunta in cielo”, ricorda il noto limite relativistico dell’impossibilità di un si-stema fisico di superare la velocità della luce. Sfoderando poi uno dei suoi melensi sorrisi si chiede: «dovremmo forse pensare che la Madonna sia al più a 1950 anni-luce, dedurre che il cielo sta da qualche parte nella nostra galassia, provare a localiz-zarla con il telescopio?»1 L’obiezione alla boutade

1) Piergiorgio Odifreddi, Il vangelo secondo la scienza, Einaudi, Torino 1999, p. 190.

è ovvia: via, professore, non faccia lo sbada-to! Tutti, lei compreso, sanno benissimo che quando un religioso parla di “cielo” lo intende nel senso metaforico di “paradiso”, una località alquanto inagibile, se è vero che è riservato a persone «corrette e oneste», per cui non esisto-no telescopi in grado di individuare alcunché. Dunque è lo scambio tra il senso metaforico e quello della descrizione fisica che gli consente la freddu-ra: uno scambio che del resto è usato in molti motti di spirito.

In modo un po’ più ambiguo l’espedien-te è usato anche per irridere certi matematici che in passato hanno temerariamente ceduto alla tentazione di dare una fondatezza logi-co-matematica al cristianesimo. Odifreddi se la prende ad esempio con un matematico inglese del Seicento, tal John Wallis, che pre-tese di dare un’idea del mistero della Trinità con l’immagine geometrica del cubo, il quale pur avendo tre dimensioni è evidentemente un oggetto unitario. Odifreddi bolla la meta-fora come “superficiale” e per smascherarla ritiene basti «sostituire il cubo a tre dimensioni con un ipercubo a quattro».2 Una sciocchezza simile è attribuita a Cartesio (proprio lui, l’enuncia-tore del cogito) quando afferma che l’essenza di Dio implica la sua esistenza tanto quanto l’essenza del triangolo implica che 180 gradi sia la somma degli angoli interni.3 Odifreddi avanza al riguardo l’obiezione che nelle geo-metrie non euclidee un triangolo può avere una somma di angoli superiore o inferiore a quel valore.

Occorre notare che Odifreddi stesso desi-gna questi pretesi attributi matematici come “metafore”. «Le loro lucide immagini formali» af-ferma «si sfocano nel passaggio attraverso il filtro di

2) Ibidem p. 164.3) Ibidem p. 140.

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balzane applicazioni metaforiche».1 Altrove le chia-ma più genericamente “figure”, “immagini”,2

evidentemente riferite sempre al linguaggio, quindi dotate di un implicito senso metafori-co. Direi che il nocciolo della furbizia è questo: chiamando in causa l’alternativa dell’ipercubo e delle geometrie non-euclidee, quell’autore non tratta più quelle immagini come metafore, ma come modelli descrittivi o funzioni dimostrative specifi-che. Odifreddi, cioè, assegna al matematico e al filosofo l’intenzione di usarle non come meta-fore ma come se intendessero il buon Dio, per qualche implicita caratteristica strutturale descrivibile con la fi-gura di un cubo o le proprietà geometriche del triangolo.

Domanda: c’è da credere che Wallis e Car-tesio intendessero realmente così l’uso delle rispettive immagini? Non conosco quel Wallis, ma, per quanto riguarda Cartesio mi sembra un insulto all’intelligenza del grande filosofo assegnarli un granchio così solenne.

Riflettiamo un attimo sulla differenza tra le due modalità descrittive, perché Odifred-di gioca sull’equivoco per impegni teorici ben più seri, che ora vedremo. Il criterio di una metafora è limitato al piano strettamen-te comunicativo ed è legato all’efficacia che ha in tale ambito. Se dico che “Giovanni è un vero leone” è perché l’equiparazione di Giovanni e un leone è, sul piano della rap-presentazione, molto più efficace di una for-male lista di virtù (forza, fierezza, coraggio, etc.) da assegnare a Giovanni per dare l’idea di una certa eccellenza del suo carattere. Se dovessimo tener conto della correttezza for-male, diremmo banalmente che è un errore, perché notoriamente c’è una bella differenza tra gli uomini e i leoni. C’è inoltre da tener conto di quanto la metafora si attiene al co-dice espressivo (non scritto) di una cultura e di un’epoca. Se uso l’espressione di “dea bendata” per designare il concetto di fortu-na, è chiaro che l’immagine fa riferimento a un contesto di simboli/significati formatosi convenzionalmente nella tradizione cultura-le di un popolo o di un gruppo di popoli,

1) Ibidem p. 155. 2) Ibidem pp. 161, 164.

ed è un’espressione che chi non vive in quel contesto può anche non capire.

Se invece affermo che “l’attrazione gravi-tazionale tra due corpi nello spazio è inver-samente proporzionale al quadrato della loro distanza” mi servo di un modello dedotto da procedure sperimentali specifiche implicanti delle misure. La sua comprensione compor-ta un percorso deduttivo obbligato, indipen-dente da ogni soggettivismo psicologico e da ogni particolarismo culturale o storico. C’e in tal senso, sempre ne Il Vangelo secondo la scienza, una dimostrazione di Odifreddi basata su que-sto distratto scambio di codici che è un auten-tico capolavoro di faccia tosta.

contorsionisMo decostruzionista: strategia di un deicidio

Si tratta di una dimostrazione condotta con criterio strettamente logico-filosofi-

co che si avvale di una serie di acrobazie dia-lettiche, per la verità ammonticchiate l’una sull’altra e non facili da ricomporre in uno sviluppo lineare. Per ottenere ciò conviene abbinarle ad alcune citazioni di cui si serve l’autore, anche se nel testo non si trovano nell’ordine in cui ora le proponiamo. Quella da cui conviene partire è di Leibniz, dal qua-le Odifreddi assume il concetto – preso dal Discorso di metafisica – secondo cui in ogni si-tuazione caotica, quale può essere quella dei punti segnati a caso su una carta, è sempre possibile far passare una curva geometrica, a sua volta descrivibile mediante un’equazio-ne. Secondo Odifreddi, per il filosofo delle monadi ciò era sufficiente per concludere che comunque Dio avesse creato il mondo gli avrebbe sempre fornito, volente o no-lente, un qualche ordine. Un passo ulteriore può essere abbinato alla citazione di un bra-no celebre di Galileo3 che assume la natura come un libro scritto in termini matematici. Odi-freddi prende alla lettera la (più che eviden-te) metafora e stabilisce che la natura può essere assunta sic et simpliciter come un libro e

3) Ibidem p. 211.

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che l’ordine che sta alla base del testo-natura è proprio un ordine matematico.

L’equiparazione della natura a un testo scritto potrebbe però, per la conclusione alla quale interessa arrivare Odifreddi, costitui-re un passo falso. Perché un libro esista, oc-corre qualcuno che lo scriva. Dato che per il testo-natura non si scorge nessuno che sia minimamente in grado di farlo, non resta che assegnarne l’opera al Padreterno in persona (in effetti per Galileo l’autore era proprio il Dio del cristianesimo). Dunque la metafora libre-sca porterebbe all’epilogo teista che appare tanto indigesto all’illustre professore

Odifreddi escogita allora questo trucco. Fa un blitz (assai temerario) in un settore di studio del tutto estraneo alle scienze naturali, quello dell’ermeneutica (un ramo della filosofia che si occupa della “decifrazione/interpretazione del testo”) e vi scova un concetto particolarmente utile alla sua cosmogonia matematica. È il con-cetto di “decostruzione”, una formula elabo-rata (con il contributo di autori quali Nietsche e Heidegger) da un celebre filosofo francese del secondo Novecento, Jacques Derrida. La “decostruzione” è una strategia di interpreta-

zione/lettura che assume il testo (filosofico o letterario) a oggetto essenziale ed esclusivo di analisi, ignorando intenzionalmente certi ele-menti contingenti esterni di cui per lo più si occupa la critica tradizionale. Per il metodo decostruzionista il testo è una pura traccia di simboli/significati caratterizzata – anche – da componenti irrazionali, da angoli bui, su cui occorre lavorare ai fini di una più profonda comprensione. Il metodo (di per sé molto opi-nabile e che in filosofia ha molti detrattori, tra i quali nientemeno che Michael Focault), Odi-freddi lo adatta ulteriormente operando quat-tro originalissimi interventi.

Primo: radicalizza all’estremo il concetto tramite la scoperta che la decostruzione am-mette un’interpretazione «ancora più forte... nel senso che il testo è effettivamente tutto ciò che esiste e anzi non c’è proprio nessun al di là»1 (ma non vie-ne detto da quali autori o teorie sia deducibile un così drastico principio). Secondo: prende a pretesto il concetto derridiano della ricusazio-ne (direi, limitata alla sua astratta e particola-rissima strategia di lettura) dei referenti esterni del testo (“non esiste niente al di là del testo”) e se ne serve per decretare la magica sparizio-ne dell’autore stesso, come vediamo dalle as-sunzioni successive di Odifreddi. Un testo, ogni testo, in qualche modo “si decostruisce da sé”. La decostruzione cioè, da strumento interpre-tativo applicato da un particolare lettore/inter-prete a un testo scritto, diviene qualcosa che il testo fa da sé in modo autogestito, sbarazzan-dosi – per una sorta di grottesca partenogenesi – di tutto ciò che gli ha consentito l’accesso all’esistenza, autore compreso.

Prima di passare al terzo punto della surre-ale “matematicogonia” di Odifreddi, conviene fare una precisazione. Nessuno, e ripeto nessuno, né Derrida, né alcun altro seguace della teoria, si è mai sognato di dare al metodo decostruzionista il valore di descrizione scientifica di qualcosa avente a che fare con il mondo reale. Di converso, nessun ricerca-tore scientifico, nel senso stretto del termine, si è mai servito allo stesso scopo del concetto di decostruzionismo. Odifreddi invece, con

1) Ibidem p. 201.

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estrema allegria deduttiva, lo prende proprio in questo senso e lo applica direttamente alla “natura”, dimodoché tutto si riduce a una de-scrizione, ovviamente matematica. Così «anche la fisica si decostruisce, abbandona la metafisica degli oggetti e riduce la realtà alla sua descrizione formale». Addirittura, è la stessa realtà ultima che «non solo è descritta matematicamente, ma è matematica».1

Quarto, l’autore traspone il frutto della sua travolgente serie di scoperte sul piano dell’ar-gomentazione teologica, scoprendo che «ogni riferimento a entità trascendenti viene lasciato cadere» (da chi? con quali argomenti?) «ed esse si riduco-no alle loro descrizioni».2 Tali descrizioni sono di carattere matematico, dimodoché Dio viene a essere nient’altro che la descrizione matema-tica del mondo. Con un’ultima analogia presa dall’informatica, l’illustre professore corro-bora il principio precisando che Dio è da in-tendersi non tanto come un programmatore, quanto come il programma del mondo.3

deus sive MatheMatica

Ecco dunque confezionato il Deus sive mathema-tica di Odifreddi. Con esso l’illustre professore ha evidentemente realizzato il classico acqui-sto dei due piccioni con una fava: si è sbaraz-zato del detestato Ente divino e ha piazzato al suo posto la sua divinità prediletta e personale, che per chi non l’avesse ancora capito è la ma-tematica. «Alla fine del nostro percorso riscopriamo dunque ciò che già Pitagora sapeva benissimo: che la vera religione è la matematica, e il resto è superstizio-ne».4 Aggiunge inoltre, con un’evidente punta di disprezzo, che in fondo «la religione è la mate-matica dei poveri di spirito».5 Come per ogni reli-gione che si rispetti è prescritta poi una specia-le catechesi che attui la redenzione degli stolti, la quale ovviamente non può che consistere nell’«insegnamento della matematica».6

Di fronte alla confezione di questo dio ma-

1) Ibidem p. 211.2) Ibidem p. 201.3) Ibidem p. 209.4) Ibidem p. 211.5) Ibidem.6) Ibidem.

tematico sono istintivamente assalito da molte obiezioni, che principalmente vertono su due aspetti di quella argomentazione: il metodo di elaborazione della teoria, e la specificità di ap-plicazione al mondo reale.

Riguardo al primo, sono colpito da due ca-ratteristiche della procedura. Primo, se è vero che il pensiero scientifico è caratterizzato dalla fondamentale e costante presenza del dubbio, c’è da dire che nei ragionamenti di Odifreddi non se ne scorge l’ombra; tutta la ponderosa argomentazione è condotta sull’onda di una trionfante certezza, in cui manca ogni forma di possibilismo. Secondo, il monoideismo, che è una caratteristica appartenente invece al pensiero mistico. L’illustre accademico batte sempre, monotonamente e assiduamente, sullo stesso tasto. Considerati insieme, e tenuta presente la notizia sull’esperienza adolescenziale, i due aspetti comunicano una netta impressione. È il seminarista che parla attraverso quelle argo-mentazioni, non lo scienziato, e ciò a dispetto di tutta l’esondante profusione di temi logi-co-matematici e filosofici.

Pur consapevole che non leggerà mai que-sto scritto, faccio presenti all’autore con un di-scorso diretto le obiezioni relative al secondo aspetto. E gli dico innanzi tutto: È sicuro che la natura, il mondo, sia assimilabile a una quantità – sterminata quanto si vuole – di punti casua-li in uno spazio? È sicuro che, se anche sono un miliardo, ci si possa sempre far passare una curva matematicamente descrivibile?

Per la verità, su quest’ultimo punto non in-sisto: non sono un matematico e mi attengo a quanto mi viene asserito, da lei o da Leib-niz non importa. Ma quel che proprio non mi quadra è che quell’insieme sia automatica-mente da considerarsi “ordinato” perché poten-zialmente ci si può far passare una curva geo-metrica che ne ricuce i punti. Il problema è la vecchia disequazione aristotelica tra potenza e atto. Non si passa mai spontaneamente dalla prima al secondo. Perché ciò avvenga deve ve-rificarsi la banalissima contingenza che ci sia un matematico che lo fa. E se quello non c’è, caro Odifreddi, le serve un Padreterno, una solu-zione a lei non proprio gradita. Che dire poi

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della metafora galileiana del testo-natura? Caro Odifreddi, se io dico che «Giovanni è un vero leone», Giovanni resta Giovanni, un uomo, non gli spuntano artigli e denti acuminati. Se io dico che la natura è un libro, la natura resta la natura, un flusso molto vario e complesso di eventi (tutt’altro che facile da decifrare); non si trasforma in una comoda edizione tascabile da mettere in borsa; non si lascia sfogliare e mostrare stupidaggini come il suo Dizionario delle stupidità. Sconvolgente è poi la sua acroba-zia decostruzionista che fa sparire l’autore di un’opera. Caro professore, lei può sbracciarsi in tutti i più ardimentosi decostruzionismi, ma un testo, natura o libro che sia, non spunta dal nulla. Detto “terra terra”: perché ci sia la Divi-na Commedia occorre un Dante, perché ci siano I miserabili occorre un Hugo.

Tornando poi al suo insieme di punti in cui automaticamente spunta la miracolosa curva, nonché ai suoi successivi sviluppi, mi viene in mente una serie di analogie concernenti il vec-chio, mille volte ripetuto, principio che la carta geografica non è il territorio. Rapportato alla sua mirabolante dimostrazione, è come dire che un territorio genera da sé (per il principio che qualunque stato caotico è potenzialmente descri-vibile con un qualche ordine, che il passaggio dalla potenza all’atto è in qualche modo auto-matico) la carta geografica che lo rappresenta, che poi quella carta, decostruendosi, faccia se-quenzialmente sparire: 1) il geografo che l’ha tracciata, 2) il territorio per la cui rappresenta-zione era stata creata, 3) il possibile Padreter-no che avrebbe creato quel territorio. Colpo di bacchetta finale, quella carta, restando l’unica realtà esistente, sarebbe concepibile come il buon Dio in persona.

MateMatizzate senza pietà

Abbattuto con la sua clava matematica il Dio cristiano, il professore dilaga e travolge enti e realtà che osino appena porsi al di fuori alla sua potenza descrittiva. Si abbatte sul misticismo orientale e attacca simboli e formule quali il mandala, lo yantra, il mantra, di cui scopre – dato che alcuni hanno una vaga struttura geometri-

ca, una certa simmetria figurale o sonora – che il contenuto matematico è il vero riferimento del significato sacrale di tali figure. In partico-lare, riferendosi al mandala, ne svaluta l’icono-grafia pittorica raffigurante le entità divine e gli preferisce quella geometrica dello yantra, che rimpiazza “le sguaiate e colorite divinità” con puri elementi geometrici.

Dato che sono uno psicologo, mi viene fatto di curiosare proprio su queste attribuite sguaiataggini. Per conoscenze legate ai miei passati studi sullo yoga e le pratiche meditative, so che le due divinità tantriche principalmente raffigurate nei mandala sono Shiva, il dio-ma-schio, e Shakti, l’energia cosmica primigenia di natura femminile. Nello yantra questi due enti sono spesso rappresentati come due triangoli sovrapposti, uno con la punta verso l’alto (è il fallo eretto del dio Shiva), l’altro con la pun-ta diretta verso il basso (equivalente organo femminile della dea Shakti). Caro Odifreddi, sicuro che questo simbolismo sia di caratte-re matematico? E soprattutto: sono queste le sguaiataggini che vuole matematizzare?

Ma l’imbracatura matematica di Odifreddi non si arresta. Squadrato in tal modo il mon-do dello spirito, la catechesi del professore punta verso quello letterario della poesia e del romanzo. Ma qui conviene passare alla sua ul-tima fatica editoriale, Il dizionario della stupidità. È un’autentica carrellata sulle (presunte) stupi-dità del mondo che possono essere rappresen-tate da persone, istituzioni, teorie, correnti cul-turali, concetti scientifici. Nel testo è ancor più

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accentuata l’assenza del sano valore scientifico del dubbio. Non si scorge l’ombra di qualcosa di vagamente definibile come ragionamento, pensiero, riflessione. Quelle di Odifreddi sono sentenze, proclami, benedizioni o condanne, emanazioni di verità folgoranti che il mondo deve ingozzare a forza, pena il marchio della stupidità. Se l’ombra di una spiegazione com-pare, è talmente fulminea e presuppone una tale caterva di conoscenze che il povero lettore che osi lo sforzo di comprenderle è sommerso all’istante da un cumulo di implicite stupidità.

Cominciando dalle persone, Odifreddi classifica come stupidi: Tolstoj, Dostoevskij, Pascal, Hegel, William James, Croce, papa Bergoglio, Oriana Fallaci, Sartre, Flaubert, Popper, Eco. Fra le teorie, bolla – per citarne alcune in ordine (molto) sparso, la psicoanalisi, il paranormale, il principio antropico (una te-oria della formazione dell’universo), l’esisten-zialismo. Per stabilire queste stupidità gli basta una paginetta, o anche soltanto mezza, o addi-rittura un paio di righe. Non avendo spazio per esaminarle una a una, ne prendiamo in esame due soltanto, relative alle incursioni nel mondo letterario: quelle su Dostoevskij e Leopardi. Leggendo del primo Il giocatore, capolavoro di indagine introspettiva del dramma esistenzia-le del giocatore incallito, perennemente diviso tra esaltazione e disperazione, tra sensazioni di fuga e di ritorno alla vita, Odifreddi si ricor-da che era un ingegnere e si accorge – ahimè, gaffe imperdonabile per la qualifica – che l’ope-ra contiene un errato calcolo di probabilità. È l’imperdibile occasione per un’immediata asse-gnazione di stupidità.1 Una dequalifica analoga attua per il cantore di Recanati. Spulciando su-gli scritti lasciati nella biblioteca paterna, si ac-corge – calcolatorino alla mano – che vi sono contenuti errori matematici e così titola soddi-sfatto su La Repubblica del 5 luglio di quest’an-no: «Leopardi, bocciato all’esame di matematica» (professore, pensa che di ciò freghi qualcosa a qualcuno?). Una bacchettata sulle dita, da maestrina elementare. Vien fatto di figurarsi

1 ) La Repubblica del 12 giugno 2017, p. 33. Ved. anche P. Odifreddi, Dizionario della stupidità, Rizzoli 2016, p. 93.

qual è il suo criterio di lettura di un romanzo o di una poesia. L’illustre matematico si met-te lì, davanti al libro, sempre calcolatorino alla mano, e appena trova la parvenza di un calcolo si butta su quello e lancia strali o benedizioni a seconda che sia giusto o sbagliato. Magari, dell’opera in sé non gli importa nulla.

C’è da chiedersi se ci sia un messaggio die-tro questo esasperato monoideismo. “Vi prego, ditemi che sono un imbecille”. Ossia: “Io do dell’im-becille a tanti (e di che livello!); tanti, o almeno alcuni, daranno dell’imbecille a me”. Si badi bene: non sto dicendo che a Odifreddi sia da assegnare un simile attributo. Dico solo che sentirselo affib-biare è, molto probabilmente, un suo profon-do desiderio. Si direbbe all’opera un sado-ma-so a oltranza: il che del resto appare il movente psicologico alla base delle tante baruffe intel-lettuali di cui è stato protagonista e per cui ha ricevuto anche qualche querela.

Sintetizzando, Odifreddi è fatto così. In spazi minimi, sulla base del mare magnum del-le sue cognizioni geometrico-algebriche, con-danna, assolve, atterra, resuscita, irride, esalta, benedice, condanna. Anziché un “matemati-co impertinente” o “impenitente”2 si direbbe un matematico “onnipotente”. Si direbbe che dietro l’osannato Deus sive mathematica ci sia in realtà un “Deus sive Odifreddi”. E in fondo è sempre stato così: gratta l’integralista fanatico di una qualche disciplina (ovviamente la sua) e scopri un bel narciso innamorato di sé.

Elencando dunque le qualità intraviste die-tro tanta teoresi filosofico-matematica (monoi-deismo, maniacalità, narcisismo, onnipotenza, sado-maso ad libitum, giustizialismo fatale) vie-ne istintivo un consiglio, a onta degli sberleffi dell’autore per la materia: professor Odifreddi, forse il consulto – magari ripetuto – di uno psicanalista non le farebbe male.

nebulosità parapsicologiche

Doverosa a questo punto una parola sui suoi rapporti con la nostra materia di indagine. Ov-viamente la parapsicologia è classificata nel Di-

2) Il riferimento è al titolo di due suoi lavori pubblicati.

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zionario come una stupidaggine (ma, messa ac-canto all’esistenzialismo, al principio antropico, alla dialettica hegeliana, alla psicoanalisi, etc., possiamo anche accettarlo). Nel suo giudizio c’è tuttavia un’ambiguità che mostra l’estrema confusione mentale del professore nel tratta-re tali temi. In una precedente pubblicazione troviamo (inaspettatamente) un’inequivocabile approvazione della “sincronicità” di Jung,1 in-tesa quale teoria particolare delle “coinciden-ze dotate di senso”. Dello psicologo svizzero Odifreddi apprezza gli scambi avuti sul tema con Wolfgang Pauli, fisico premio Nobel, che a quella teoria dette fondamentali contributi gra-zie alla sua competenza di ricercatore nel set-tore della meccanica quantistica. Del concetto junghiano evidenzia il legami con vari aspetti del “paranormale” e conclude sottolineando il valore di prova della sincronicità contenuto ne-gli sviluppi delle indagini di un fondamentale paradosso quantistico scoperto da Einstein, as-sieme ai due assistenti Podolsky e Rosen.

Nel Dizionario della stupidità troviamo quella teoria presentata in tono, diciamo, agrodolce e con una malcelata circospezione (l’autore, membro del Cicap, sembra consapevole di stare proponendo qualcosa che è segnato dal marchio infamante del “para-normale”). Ne divide i giudicanti in due gruppi: i creduloni, che la ritengono di origine sovrannaturale, gli “increduloni” (sic), che invece la ritengono dovu-ta a una causa del tutto naturale. I primi sono ovviamente degli stupidi patentati, i secondi (cui supporremmo spetterebbe la qualifica di non-stupidi) risultano invece degli “stupidini” (sic), perché non hanno capito che la sincroni-cità, come legame a-causale tra gli eventi, com-plementare a quello della causalità fisica, esiste davvero2 (il professore si rende conto, immagi-no, che tra questi “stupidini” ci sono molti suoi colleghi del Cicap).

In tema di curiose coincidenze viene fat-to di rilevare che un altro matematico, Rudy Rucker, docente alla San Josè State University,

1) P. Odifreddi, C’era una volta un paradosso, Einaudi, Torino 2001, pp. 126-129.2) Dizionario della stupidità, cit., p. 63.

fa lo stesso apprezzamento, pur in forma più seria. Dopo aver dichiarato il proprio scettici-smo su fenomeni come la telepatia e il “pa-ranormale”, Rucker dichiara con enfasi la sua ammirazione per il concetto junghiano: «Vi sono eventi che in mancanza di una parola migliore chiamiamo telepatia. Ma una parola migliore esiste ed è sincronicità... La telepatia è una fantasia paranoide, mentre la sincronicità è un fatto della vita».3 Come dire: anziché chiamarla telepatia o psicocinesi, la chiamo sincronicità, e là: è tutta un’altra cosa!

Come Monsieur Jourdain, quel personag-gio di Molière che aveva sempre parlato in prosa e non lo sapeva, così tanto Odifreddi che Rucker sono evidentemente sempre stati parapsicologi senza averne il minimo sospetto. Il problema, cari Odifreddi e Rucker, non è il nome da dare a una certa categoria di fenomeni, bensì l’accettazione o no della realtà della categoria stessa, o almeno della possibilità della sua realtà. Evidentemente entrambi non sanno, o fingo-no di non sapere, che all’interno della parapsi-cologia termini quali telepatia, psicocinesi, etc., sono pure etichette date ai modi di manifestarsi di un fenomeno di per sé complesso e plurivo-co e sfuggente, probabilmente unico nella sua origine profonda, un fenomeno la cui gestione diretta è ben lontana delle capacità delle menti individuali. Evidentemente, inoltre, Odifreddi e Rucker non sanno, o fingono di non sapere, che la sincronicità è uno dei riferimenti teorici fondamentali della parapsicologia, anche se di per sé richiede ulteriori elaborazioni e adegua-menti a quella che è la casistica rilevata. Perso-nalmente, nel mio lavoro sul poltergeist ne ho fatto uno dei cardini esplicativi della possibile facoltà con la proposta, direi vicina al pensiero di Rucker («L’universo in cui ci troviamo... è gravido di eventi simbolici, di significati profondi e di coinciden-ze importanti»4), per cui il significato, con tutta la sua implicita carica affettiva e con tutta la mol-teplicità di sfumature e varianti – simbolo, alle-goria, metafora, etc. – è l’attivatore centrale di quella strana cosa che chiamano “facoltà psi”.5

3) R.Rucker, La quarta dimensione, Milano 2001, p. 231.4) Ibidem p. 231.5) Pier Luigi Aiazzi, Il poltergeist: analisi di un linguaggio, Ed. Mediterranee, Roma 2015, pp.232, 249.

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Notiziario n. 58 settembre 2017

Giampilieri Marina, tra ordinario e... straordinario

di Giuseppe Natibo

Assurgere agli onori della cronaca, oggigiorno, non è difficile. Gossip e fake news (solo per citarne alcu-

ni) – redatti con informazioni ingannevoli o distorte – riempiono le cronache togliendo spazio alla trattazione di articoli che, talora, meriterebbero di essere approfonditi in ma-niera seria. Si verificano però vicende in cui il primo ad “accorrere”, per cogliere l’istan-te nelle sue varie espressioni, è proprio il giornalista che si trova a “osservare” e “an-notare” i momenti che hanno dato origine a un determinato fatto. Il giornalista, come il ricercatore, si rivela come una sorta di “sto-rico dell’istante”, cioè un professionista che non si ferma al rumore che gli eventi fan-no registrare in superficie, ma che piuttosto sente la necessità di indagare ciò che è oltre l’apparenza. Anche l’istante, allora, diviene la manifestazione di un brandello di realtà (personale o collettiva) che non di rado è difficile ricostruire in maniera oggettiva, perché entrano in gioco tantissimi elementi, non ultimi quelli umani. Fattori che indu-cono a riflettere su determinate discipline o ambiti scientifici per meglio spiegare e analizzare cosa c’è dietro “l’istante” di cui sopra. Vi sono dei luoghi che fanno parlare di sé più volte e per fenomeni diversi.

È il caso di Giampilieri Marina, frazione sulle rive dello Stretto di Messina, rientrante nel territorio del Comune di Messina, po-

sta a una quindicina di chilometri dal centro cittadino. La borgata marinara assurse agli onori della cronaca per la triste vicenda che coinvolse quel territorio la notte tra il 30 settembre e il 1° ottobre del 2009, quando un violento nubifragio colpì la costa jonica alle porte di Messina, rovesciando sul bor-go l’intero costone di una collina. Sotto il fango e le case crollate, tra la frazione mes-sinese e i centri di Scaletta Zanclea e Itala, trovarono la morte 37 persone. I lavori per il ripristino e la messa in sicurezza di quel che resta della collina sono stati completati soltanto qualche settimana fa.

Anche questa estate 2017, per gli incendi registrati nel territorio del messinese, è stata fatta qualche menzione di Giampilieri, dove sono intervenute squadre di Vigili del fuo-co. Ma la vicenda che, per così dire, ha cata-lizzato l’attenzione dei mass media (testate giornalistiche, trasmissioni televisive, rete internet, video postati su YouTube) è quella riguardante le presunte lacrimazioni di una sta-tua della Madonna a Giampilieri Marina.

Secondo varie fonti giornalistiche i fenomeni iniziarono nel 1989 con la lacrimazione di un’immagine di Cristo

su una forma metallica posta al capezzale del letto di certi coniugi Micali. Solo succes-sivamente delle statuette raffiguranti la Ma-

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donna («che le vicine avevano portato nella casa») hanno cominciato a “sanguinare”.

Nel 2013 (non è specificato il periodo) la famiglia Micali riceve in regalo una sta-tuetta raffigurante la Madonna, che lacrima nell’ottobre 2014 (ripresa delle lacrimazioni circa 25 anni dopo la prima).

L’Agenzia Ansa con un comunicato del 27 ottobre 2014, e successivo del 2 novem-bre 2014, diffonde notizie flash (di circa 4 righe ciascuna), poi diffuse e riprese (e non di rado sviluppate) da varie testate giornali-stiche cartacee e online, che forniscono un panorama sintetico dell’evento, ovvero la notizia della lacrimazione di una statua ripro-ducente l’effige della Madonna presso un’abita-zione nella frazione di Giampilieri Marina a Messina. Nel comunicato stampa è anche specificato che si tratta della ripresa di un fenomeno – per il quale «la Curia è cauta e non si è ancora pronunciata ufficialmen-te» – il cui inizio risale a 25 anni addietro (ot-tobre 1989), quando nell’abitazione in cui alloggia la famiglia Micali “cominciò a la-crimare un’immagine di Gesù». Le lacrime “diventarono di sangue, poi dal Crocefisso fuoriuscirono spine e alle pareti iniziarono a comparire croci di sangue”. Nel succes-sivo comunicato viene ripreso un pensiero della signora Pina Micali («Sono felice che anche oggi ci siano qui delle persone, spero che la Madonna ascolti le loro preghiere, ce n’è bisogno per la riconversione delle ani-me”), la quale si trova «davanti alla statua della Madonna addolorata che da più di una settimana avrebbe ricominciato a versare lacrime di sangue, attirando fedeli anche dal Nord». Il comunicato termina riferendo che «secondo i pellegrini, dalla tunica della statua scenderebbe un liquido simile a olio».

I comunicati stampa diffusi da varie te-state si susseguono a più riprese tra il 2015 e il giugno del 2017. La vicenda diviene og-getto anche di trasmissioni televisive a ca-rattere nazionale.

Articolata e nutrita si presenta la rasse-

gna stampa (con l’indicazione della testata, periodo e immagine complessiva del testo che, nella maggior parte dei casi, è poco leggibile) – relativamente all’intervallo di tempo che va da novembre del 1989 a set-tembre del 1998 – inserita nel sito dell’As-sociazione denominata Centro di Spiritualità L’Emanuele, istituita in data 8 marzo 1994 con proprio Statuto, poi divenuta “Onlus” il 4 dicembre 2000. Il sito web si presenta molto articolato (con menù a tendina, news da consultare, iscrizione a newsletter, appo-siti link per varie informazioni, nonché un link specifico per prenotare online la Visita a Giampilieri) e molto interessante per chi volesse leggere la cronologia dei fenomeni iniziati nell’ormai lontano 1989 (sequenza testuale, non di rado ripresa dalle testate giornalistiche che si sono occupate della vi-cenda in questi ultimi anni).

Ritengo che sia interessante cogliere tale cronologia anche attraverso la lettura degli articoli pubblicati nelle varie testate di quel periodo. Relativamente al quotidiano La Si-cilia, più volte citato nel presente articolo, ho attinto nel dat base in mio possesso (rif. articolo pubblicato il 3 novembre 2014, pag. 5, rubrica “I Fatti”, tomo regionale), mentre

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per quelli del 1989 e del 1994 ho estrapola-to i relativi file in formato digitale dall’Ar-chivio Storico del quotidiano, immesso in rete a marzo del 2016 e consultabile online. Il primo articolo di cui si è a conoscenza, e da cui è possibile trarre elementi utili a capi-re l’inizio dell’intera vicenda, è quello pub-blicato su La Sicilia domenica 19 novembre 1989, a pag. 14, nella sezione “Messina cro-nache” e a firma di Carmelo Caspanello. La notizia è collocata in posizione centrale nel-la pagina. Incuriosisce l’occhiello: «Il villag-gio è da qualche giorno in subbuglio per una notizia tutta da verificare». Invita alla lettura il titolo: Stupore a Giampilieri. Sembra interlocutorio il sottotitolo: Piange e suda un’immagine di Cri-sto Crocifisso?

Giampilieri Marina (Me), 21 ottobre 1989. Sembra una giornata come le altre, ma nell’abitazione in cui

alloggia, in locazione, la famiglia Mica-li – composta da papà Antonino (40enne, ferroviere), mamma Giuseppina Scutellà [meglio conosciuta, dalle cronache gior-nalistiche successive, come Pina Micali], 39enne, casalinga, e tre figli (Aleandro, 1 anno; Tiziana 12enne e Domenico di 14 anni) – sembra avvenire qualcosa di par-ticolare. «Il pomeriggio di quel sabato» spiega Antonino Micali, intervistato dal giornalista «mia moglie entrò in camera da letto, dove uno dei miei tre figli, Aleandro di un anno, stava dormen-do; subito si accorse che le federe dei cuscini e le lenzuola del letto erano bagnate».

«In un primo momento» continua il signor Micali «pensò a un guasto alle condutture idriche ma, da un esame più attento, scoprì che il liquido fuoriusciva dall’effige del Cristo che si trovava al capezzale del letto». Tale capezzale era rappre-sentato da un quadretto raffigurante il volto di Cristo coronato di spine (qualche testata specifica “volto dell’Ecce Homo”), in ottone, proveniente da Torre del Greco (Na), rice-vuto in regalo “quattro anni or sono” quando i

coniugi Micali «decisero di cambiare i mobili del-la camera da letto». Alla vista di quel fenome-no «spostammo il quadro, pensando che si potesse trattare di un fenomeno dovuto alla sua posizione» ma senza ottenere alcun esito. A quel punto si rivolsero al parroco di Giampilieri, don Biagio Cacciola, il quale «l’indomani mattina [...] constatò, assaggiandole, che erano gocce salate, come le lacrime umane».

La vicenda è seguita con estrema pru-denza ed “estremo riserbo” da parte della Curia di Messina. L’arcivescovo, monsignor Cannavò, “per accertarsi dell’accaduto” conferisce mandato a padre Federico, par-roco di Mili Marina, che insieme con il par-roco di Giampilieri (Biagio Cacciola) si reca in casa Micali “per visionare il capezzale”. Il testo dell’articolo prosegue annotando un particolare interessante: «Ben tre volte ci siamo recati a casa della famiglia – ci dice il delegato del vescovo. – La prima volta non abbiamo notato nes-sun particolare; soltanto durante la seconda visita ho potuto verificare la presenza del liquido sugli occhi del Cristo in ottone».

Un’ulteriore sequenza testuale, altrettan-to interessante, è quella pubblicata su La Si-cilia di mercoledì 6 aprile 1994 (articolo già citato) quando sono accennati ulteriori ac-certamenti che sarebbero stati eseguiti dal-la Curia messinese nel settembre del 1990, «quando sigillò il quadro per due mesi e mezzo e verificò che nessuno lo aveva manomesso. Lontano da casa Micali, il volto di Gesù smise di sanguina-re, ma ritornato alla sua originaria collocazione, ricominciò a lacrimare e scrivere messaggi».

La lacrimazione del capezzale, da quel pomeriggio di sabato 21 ottobre 1989, sa-rebbe stata “continua” anche se non quoti-diana (si sarebbe verificata “in maniera sal-tuaria”), protraendosi per circa cinque mesi. In prossimità di Pasqua, precisamente il 27 marzo 1990, i presunti fenomeni si accen-tuano: «succede qualcosa di ancor più eclatante» recita il testo de La Sicilia del 6 aprile 1994. Dal più volte menzionato capezzale, ovvero “dagli occhi, dal naso, dalle spine del capo”,

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inizia a sgorgare sangue “a gocce e a picco-li rivoli”. Inoltre nel corso del tempo «sulle pareti dell’abitazione dei Micali sono comparse nu-merose croci fatte di sangue» e non solo. «Tutte le statuette raffiguranti la Madonna, che le vicine avevano portato nella casa, hanno anch’esse comin-ciato a sanguinare». Lo stesso accade, sino a Capodanno del 1993, a un’immagine ripro-ducente il “bambinello Gesù”.

Ma c’è di più. La signora Pina Micali, «una donna di grande umiltà e di poche parole [...] durante la Quaresima rivive la Passione di Cristo». A far tempo dal 1992, «nel periodo pasquale, le si formano sulle mani, sui piedi e sulle ginocchia, ferite a forma di croce» che scompaiono oltre-passato tale periodo. «Non così per il palmo sinistro della mano, che si presenta costantemente ricoperto di croste, come una ferita che non si rimar-gina» e che la signora Pina «tiene coperto con un guanto». Sollecitata sul grado di sofferenza patita, la signora Micali risponde di essere oramai “abituata” e che i dolori erano “sop-portabili”. Come succede in questi casi, inarrestabile e cospicuo è l’afflusso di gente che si precipita in casa Micali per stazionare “in preghiera, dinanzi all’immagine sangui-nante”. Sarebbero anche stati registrati casi di «ammalati che sono tornati alle loro case com-pletamente guariti, utilizzando batuffoli di cotone

impregnati di lacrime provenienti dall’immagine in bronzo».

Sui “panni di cotone” – continua il testo de La Sicilia del 6 aprile 1994 – che si trova-no “ai piedi delle varie immagini lacrimanti” sono talora impressi “messaggi veri e pro-pri”. Si tratterebbe di scritti brevi e “di sen-so compiuto” con inviti alla preghiera, “ci-fre simboliche (JHS)”, frasi del tipo “Piango per i vostri peccati”, “Amore per la croce”, “Con la preghiera salverete il mondo”. L’articolo con-tinua con l’intervista alla signora Pina Mica-li la quale, alla domanda «Che cosa è cambiato nella sua vita?» risponde che prima dei feno-meni di lacrimazione non andava spesso in chiesa, «solo qualche volta, a Natale e a Pasqua, anche se credevo nel Signore. Dopo questi fatti, ho acquistato la fede, frequento regolarmente la Messa, dico il rosario, prego e leggo la Bibbia». In buo-na sostanza, sostiene di essere “migliorata” nel suo carattere, accorgendosi anche di essere “più disponibile verso il prossimo”, ricevendone un notevole “arricchimento spirituale”, accettando “questa missione” e aprendo “la mia casa alla gente”, sebbene suo marito “in un primo momento” fosse contrario. Casa Micali è aperta «il martedì e il venerdì, giorni in cui si celebra la Messa e si recita il rosario».

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Testimonianze delle vicende legate alla immagine del Cristo bronzeo sono riportate nel libretto L’Emanuele:

Dio con noi nel suo preziosissimo sangue, scritto da frate Giuseppe Raimondo (O.F.M. cap.), studioso di filosofia, il quale sin dall’inizio ha seguito gli avvenimenti nel loro evolv-ersi. In un’intervista pubblicata su Gioia (n. 193, del 6 aprile 1992, pag.14), a proposi-to delle presunte ferite che si formerebbe-ro sulla mano della signora Micali, il frate così si esprime: «È un fenomeno impressionane: nonostante questa donna continui a fare i lavori di casa, le macchie di sangue sulla mano non si cancel-lano». Il testo dell’articolo riporta anche una sua considerazione, ovviamente virgoletta-ta: «“Non è possibile attribuire questo fenomeno all’uomo, dato che qui non si può parlare di frode né di spiritismo”».

Frattanto le manifestazioni continuano e, ovviamente, anche i messaggi. Particolare molto interessante: ci sono scritte come “La fine e vicina”, senza accento posto sulla lettera e con un evidente errore grammaticale!

Da quanto si apprende dalla stampa, le lacrimazioni, a 25 anni dalla prima mani-festazione, sembrano avere una ripresa il 27 ottobre 2014. «Stamattina proprio davanti alle nostre telecamere» sarebbe stata registrata la «ripresa dei misteriosi eventi». Il comunicato, oltre a quello già menzionato dell’Ansa, è diffuso dalla Gazzetta del Sud online: «Erano le 11 quando la statua di Maria Addolorata ha cominciato a piangere sotto gli occhi di numerosi devoti. Le lacrime hanno cominciato a sgorgare da-gli occhi rigando il viso della statuetta. Il tam tam fra i fedeli in pochi minuti ha portato a casa della signora Micali decine di persone» che avrebbe-ro assistito al ripetersi del “misterioso av-venimento”. «Naturalmente» aggiunge il co-municato «sull’origine di questo fenomeno ancora nessuno ha saputo dare risposte certe. La Chiesa, come sempre accade in questi casi, è molto cauta e non si è pronunciata ufficialmente». La notizia trova ancora una volta ampia ripercussione sulle testate online e, subito dopo, su quelle

cartacee. Ai primi di novembre 2014 è già ampiamente diffusa.

È tornata a lacrimare la Madonna di Giam-pilieri. Così recita il titolo ad ampi caratteri pubblicato sulla testata online www.diretta-news.it di martedì 4 novembre 2014. Il testo continua specificando che le lacrimazioni sarebbero avvenute «domenica durante la visita di una famiglia di fedeli provenienti da Catania. Ad accorgersene, la piccola Karol, nipote della si-gnora Pina, che ha percepito una goccia cadere su una mano. La lacrimazione è continuata per più di un’ora rigando il volto della statua di Maria». La statua sarebbe stata donata alla famiglia Micali nel 2013 da un “sacerdote di Agri-gento”. Inoltre viene notato “un leggero profumo di rose”. Tra le notizie riportate vi è anche quella ripresa dall’Ansa: «Secondo i fedeli, dalla tunica della statua scenderebbe un liquido simile a olio».

Sul quotidiano La Sicilia è pubblicata una sorta di foto-servizio con un testo articolato che riporta, in estrema sintesi, l’intero feno-meno iniziato nel 1989 e aggiunge qualche interessante particolare anche attraverso l’intervista rilasciata dalla signora Francesca Gorpia “dell’Associazione L’Emanuele (che significa Dio è tra noi)”. «Nel corso degli anni» spiega la signora Gorpia «ci sono state sempre manifestazioni del genere, ma duravano uno-due giorni. Ora, invece, dopo tanto tempo la Madon-na ha ripreso a piangere ininterrottamente». Nel pomeriggio del 2 novembre 2014 e fino a tarda sera, davanti all’abitazione della fami-glia Micali si notava un nutrito numero di persone “che invadeva la stradina comuna-le”. «La gente è tornata nuovamente a pregare in questa casa» continua la signora Gorpia; «ne arriva tanta ogni giorno e in qualsiasi orario. Ora dovremo organizzarci meglio e fissare degli orari, perché in questa piccola casa vive la famiglia Mi-cali, che ovviamente va protetta». Alla domanda “E la Chiesa? Come giudica questi fenomeni?”, la signora Gorpia risponde: «Non è titubante, ma in merito a questi fenomeni si pronuncerà solo quando non ci saranno più e quando la signora

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Pina Micali non vedrà più la Madonna. Durante la Quaresima ha i segni di Gesù in tutto il corpo, negli altri giorni ha le stimmate in una mano».

Numerose sono le persone raccolte in preghiera davanti alla statua e «c’è chi chie-de una grazia, chi di poter parlare con la signora Pina». Quest’ultima però sta poco bene. «Si fa vedere solo per un breve saluto e chiede a tutti di pregare promettendo che se torneranno darà loro del cotone con l’olio che scende dalla tunica della statua della Madonna».

Sul già citato sito web dell’Associa-zione denominata Centro di Spiritua-lità L’Emanuele (link Chi siamo, con-sultato il 16 agosto 2017) è data la

seguente comunicazione.

Il terzo Statuto datato 08-11-2007, che attualmente disciplina la nostra Associa-zione, nasce dall’esigenza di osservare la volontà della Vergine Maria, la quale nei messaggi del 19-09-2000 e del 09-07-2001 ha espresso il desiderio di avere una “Cap-pella” riservata alla preghiera e uno spa-zio per accogliere i “bambini abbandonati e malati”. Per tale scopo l’Associazione ha provveduto:

A) Acquistare l’immobile di via Nazio-nale n. 112 con annesso terreno (in quanto era in affitto da parte della famiglia Micali), la compravendita è stata regolarizzata con proventi statutari e con l’accensione di un mutuo chirografario attualmente estinto.

B) Costruire una cappella facendo fron-te ai costi di costruzione ricorrendo in par-te a un mutuo della durata di anni 8, e in parte con entrate provenienti dalle libera-lità dei soci e non.

Leggo infine (16 agosto 2017) un ultimo comunicato stampa riguardante la “storia” dei fenomeni di Giampilieri Marina, nel quale si legge: «I fenomeni accaduti a Giampi-lieri non si limitano alle sole lacrimazioni, ma c’è

molto di più. Pina inizialmente aveva locuzioni interiori che invitavano alla preghiera, all’amore, alla penitenza e all’unità. Dopo cominciò a vedere Gesù, che dal 1992 ogni anno e prima dell’inizio della Quaresimale chiede se è disposta a rivivere la Sua Passione per la conversione dei peccatori. Le annunciò che ogni anno i dolori in lei sareb-bero aumentati: cosa che si è sempre verificata. In questi anni Gesù ha regolarmente chiesto a Pina la sua disponibilità a soffrire e quest’atteggiamen-to gentile di Gesù è già accaduto e accade a ogni Anima Vittima che si rende disponibile ad aiu-tare il Signore per salvare i peccatori. Gesù non obbliga, ma invita a partecipare alla Sua Passione [...] A lei la Madonna dal 1993 ha dato tanti messaggi, e sono messaggi che riguardano questi tempi. L’Arcivescovo di Messina è a conoscenza dei messaggi, ma fino al momento attuale non si è ancora pronunciato.»

Su link Testimonianze (pagina “Appro-fondimenti”, consultato il 22 agosto 2017) è data anche la seguente comunicazione: «Entra in campo la scienza. Dopo Pasqua il Sangue cominciò a uscire da una cartolina raffigu-rante l’Ecce Homo di Calvaruso, che ne è rima-sta tutta impregnata, come il quadro. P. Federico, osservandola, suggeriva di far analizzare quel liquido; Nino Micali rispose: “Se lei vuole e mi autorizza, l’analista c’è, disponibile”. Il Micali si rivolse all’Ufficio Comunale d’Igiene, che però dichiarò di non poter procedere, perché il liquido si era asciugato! Ma dopo qualche giorno il dr. Giovanni Raffone faceva personalmente un pre-lievo e fece le analisi nell’Ufficio della USL di Barcellona P.G., dov’era in servizio, ottenendo i seguenti risultati:

“N. 1 - Cartolina: Sangue umano. Presenza di globuli rossi, globuli bianchi. Formula leucocitaria normale.

“N. 2 - Quadro: Sangue umano. Presenza di globuli rossi, globuli bianchi, neutrofili mol-to maturi (invecchiati), con 4-5 lobature, cellule pavimentose (stranamente presenti, in quanto si dovrebbero osservare in caso di lacerazione di uno o più tessuti).”

Altre analisi di laboratorio poi venivano effet-

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Comunicato della curiaIn merito alle dichiarazioni della signora Pina Scutellà in Micali, intervistata dalla conduttrice Barbara D’Urso durante la tra-smissione “Pomeriggio Cinque”, andata in onda giovedì 31 maggio 2012 (ore 17.05-17.23), si precisa quanto segue: - l’unica autorità che in prima istanza può esprimersi sull’autenticità di apparizioni e altri eventi soprannaturali è l’Ordinario del luogo; - la Curia di Messina non si è mai pronun-ciata ufficialmente sull’autenticità delle ap-parizioni, né ha mai fatto dichiarazioni circa la natura delle lacrimazioni o delle presunte stimmate; - la Curia non ha mai concesso alcuna autorizzazione circa la costruzione di cap-pelle o altri luoghi di culto. L’Associazione Centro di Spiritualità L’Emanuele era stata espressamente invitata (cfr. lettera del Vica-rio generale del 10/10/2008) a desistere da iniziative simili. Pertanto il relativo sito, im-propriamente chiamato “cappella” o “chie-setta”, non è da considerarsi luogo di culto secondo la normativa canonica e civile. Tanto si precisa per la serenità dei fedeli e la custodia della fede.

Nel riportare, anche attraverso la rassegna stampa, la cronologia dell’intera vicenda vengono in mente due riflessioni che, allo stato, mi sembrano appropriate in attesa di ulteriori eventuali sviluppi.

Gianni Statera, sociologo: «La visione è la cosa meno oggettiva che ci sia. Spesso si vede ciò che si vuol vedere. In periodi di incertezze si vede il miracolo», 2 marzo 1995.

Luigi Bommarito, all’epoca arcivescovo di Catania: «In questi giorni, abbiamo avuto anche noi una statua lacrimante a Viagrande. Mi pare che in Italia ci sia una psicosi collettiva, una voglia di miracoli a tutti i costi. La Madonna avrebbe buoni motivi di piangere per noi, ma bisogna dire di no al miracolo, perché la salvezza viene dalle parole di Dio; il resto è secondario», 26 marzo 1995.

tuate dal dr. Giacomo Giovanni Basile, docente nel Dipartimento di Patologia Umana dell’Università di Messina, con i seguenti risultati:

“Nel preparato in esame si evidenziano: emazie in vario stato di conservazione, polimorfonucleati espressi in tutte le naturali serie: neutrofili, acidofi-li e basofili, leucociti, linfociti, monociti, piastrine; elementi midollari immaturi; probabili cellule di natura epiteliale e muco.”

Lo stesso dr. Basile, seguitando altre analisi a Padova in strutture più specializzate, ha potu-to ottenere questi ulteriori risultati: «Mi è stato riferito che il campione ematico raccolto su vetri-no porta-oggetto è stato prelevato da una imma-gine (bassorilievo in metallo) raffigurante nostro Signore Gesù Cristo, e precisamente dagli occhi (emoftalmo) e dal naso (epistassi). I vetrini con il preparato ematico strisciato, erano stati essiccati all’aria e successivamente fissati in alcol metilico e colorati con metodo di MayGrunwald-Giemsa e osservati in un microscopio fotonico con obiettivo a immersione. Nel preparato in esame si eviden-ziano: globuli rossi / leucociti polimorfonucleati espressi in tutte le serie, neutrofili, eosinofili, ba-sofili / linfociti / monociti / cellule midollari im-mature / piastrine / cellule di natura epiteliale / flora batterica mista.»

In relazione a tutto ciò, ho provveduto a interpellare l’Arcidiocesi di Messina Lipari S. Lucia del Mela, per il tramite

dell’Ufficio Diocesano per le Comunicazio-ni Sociali, con apposita richiesta formulata a mezzo di email dell’8 luglio 2017 e reite-rata in data 18 agosto 2017 (h. 9.55), al fine di ottenere eventuali ulteriori pareri e/o co-municazioni riguardo l’intera vicenda. Con mail del 18 agosto 2017 (h. 10.08) l’Ufficio Diocesano per le Comunicazioni Sociali provvedeva a inviare il testo del comunica-to che a suo tempo è stato diramato dall’al-lora Vicario Generale, monsignor Carmelo Lupò, “in merito alle vicende e alla situazio-ne di Giampilieri”.