croce benedetto, filosofia della pratica, economia ed etica (iii ediz. 1923)

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8/22/2019 Croce Benedetto, Filosofia Della Pratica, Economia Ed Etica (III Ediz. 1923) http://slidepdf.com/reader/full/croce-benedetto-filosofia-della-pratica-economia-ed-etica-iii-ediz-1923 1/412 FILOSOFIA COME SCIENZA DELLO SPIRITO III FILOSOFIA DELLA PRATICA

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    FILOSOFIACOME SCIENZA DELLO SPIRITO

    III

    FILOSOFIA DELLA PRATICA

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    BENEDETTO CROCE

    FILOSOFIA DELLA PRATICAEconomica ed Etica

    TERZA EDIZIONERIVEDUTA dall'autore

    BARIGIUS. LATERZA & FIGLI

    rlrOGRAFI-KDlTORI-LIBRAI1923

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    PROPRIET LETTERARIA

    mOBMBRK MCMXXII 61811

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    AVVERTENZADi questo libro soltanto alcuni capitoli della terza

    parte erano stati anticipati nella memoria: Riduzionedella Filosofia del diritto alla Filosofa dell'economia,letta all'Accademia Pontaniana di Napoli nelle tornatedel 21 aprile e 5 maggio 1907 {Atti, voi. XXXVII);ma li ho rifusi, ampliandone alcune pagine e altreabbreviando. Il concetto dell'attivit economica comeforma autonoma dello spirito, che riceve trattazionesistematica nella seconda parte del libro, fu propostola prima volta in alcuni saggi, scritti dal 1897 al1900 e raccolti poi nel volume: Materialismo storicoed economia marxistica,

    Napoli, 19 aprile 1908.

    Questa terza edizione, come la seconda pubblicatanel 1915, non differisce dalla prima se non per piccolecorrezioni e per la generale revisione letteraria a cui stata sottoposta.

    Napoli, 28 settembre 1922.B. C.

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    SOMMARIOPARTE PRIMA

    L'ATTIVIT PRATICA IN GENERALESEZIONE PRIMAl'attivit pratica nsllb sue rblazioni

    Il'attivit pratica comk forma dello spirito

    Vita pratica e vita teoretica Insufficienza delle distinzioni de-scrittive Insufficienza del metodo psicologico in filosofia Neces-sit del metodo filosofico L'osservazione e la deduzione Teorieche negano la forma pratica dello spirito La pratica come inco-sciente Critica Natura e attivit pratica Riduzione della formapratica alla teoretica Critica La pratica come pensiero che siattua. Riconoscimento dell'autonomia.

    IInegazione della forma spirituale del sentimento

    La pratica e la pretesa terza forma spirituale: il sentimento Vari significati di questa parola : il sentimento, classe psicologica Il sentimento come stato dello spirito Ufficio del concetto di sen-timento nella storia della filosofia: l'indeterminato Il sentimentocome preannunzio della forma estetica Nella Istorica: preannunziodell'elemento intuitivo Nella Logica filosofica: preannunzio delconcetto puro Analogo ufficio nella Filosofia della pratica Ne-gazione del concetto di sentimento L'esclusione deduttiva di esso.

    IIIrelazione dell'attivit pratica con la teoretica

    Precedenza della teoretica sulla pratica L'unit dello spirito, ela compresenzialit della pratica Rifiuto del prammatismo Cri-tica di obiezioni psicologiche Natura del precedente teoretico della

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    vili SOMMARIOpratica: la conoscenza storica Conoscenza storica e volizione Continua mutevolezza della base teoretica dell'azione Nessun altroprecedente teoretico, oltre quello storico I cosi detti concetti e giu-dizi pratici Posteriorit dei giudizi pratici all'atto pratico Po-steriorit dei concetti pratici Origine di dottrine intellettualistichee sentimentalistiche I concetti di fine e mezzo Critica del finecome disegno fisso La volizione e l' incognito Ci'itica del con-cetto di scienze pratiche e di una Filosofia pratica.

    IVINSCINDIBILIT DKLL'AZIONE DALLA SUA BASE REALE

    E NATURA PRATICA DELL' ERRORE TEORETICOCoincidenza d' intenzione e volizione Volizione in astratto e in

    concreto : critica Volizione immaginata e volizione reale : critica Critica della volizione con fondamento ignoto o mal noto Illusioninei casi che si adducono in esempio Impossibilit della volizionecon base teoretica erronea Forme dell'errore teoretico e problemacirca la natura di esso Distinzione tra ignoranza ed errore : genesipratica di questo Conferme e riprove Giustificazione della re-pressione pratica dell'errore Le distinzioni empiriche degli errorie quella filosofica.

    VIDENTIT DI VOLIZIONE E AZIONE

    E DISTINZIONE TRA VOLIZIONE E ACCADIMENTOVolizione e azione : intuizione ed espressione Spirito e natura

    Inesistenza di volizioni senza azione, e all'inverso Illusioni circala distinzione di questi termini Distinzione tra azione e successo,o accadimento La volizione e l'accadimento Azioni riuscite eazioni non riuscite: critica L'operare e il prevedere: critica Conferma della inderivabilit del valore dell'azione dal successo Spiegazione di fatti in apparenza contrastanti.

    VIIL GIUDIZIO PRATICO, LA STORIA E LA FILOSOFIA DELLA PRATICA

    Il gusto pratico e il giudizio Il giudizio pratico come giudiziostorico Logica di esso Importanza del giudizio pratico Diffe-renza del giudizio pratico dal giudizio dell'accadimento Il pro-gresso dell'azione e il progresso della Aealt Precedenza dellafilosofa della pratica sul giudizio pratico Conferma dell' incapacitfilosofica del metodo psicologico.

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    SOMMARIO II

    VIILA DESCUITTIVA PRATICA, LE REGOLE E LA CASISTICA

    Giustificazione del metodo psicologico e delle discipline empirichee descrittive La descrittiva pratica e la sua letteratura Esten-sione della descrittiva pratica Le conoscenze normative o regole :loro natura Utilit delle regole La letteratura delle regole e lasua decadenza apparente Relazioni tra le Arti (raccolte di regole)e le Teorie filosofiche La Casistica : sua qualit e utilit La giu-risprudenza come casistica.

    ViliCRITICA DELLE USURPAZIONI DELLA FILOSOFIA

    SULLA DESCRITTIVA l'RATICA E SUI DERIVATI DI ESSAPrima forma: tendenza al generalizzare Elementi storici persi-

    stenti nelle generalizzazioni Seconda forma: unione letteraria difilosofia ed empiria Tei;za forma: tentativo di metterle in intimonesso Scienza della pratica e Metafisica: significati vari di questarelazione Conseguenze dannose delle usurpazioni della filosofia sul-l'empiria l.a Dissoluzione dei concetti empirici Esemp: guerrae pace, propriet e comunismo, e simili Altri esemp Frainten-dimenti da parte dei filosofi Significato storico delle questioni an-zidette 2.a La falsa deduzione dell'empirico dal filosofico Afler-mazioni di carattere contingente, mutate in filosofemi Eagioni(Iella ribellione contro le regole Limiti tra filosofia ed empiria.

    IXANNOTAZIONI STORICHE

    l. Distinzione tra storia del principio pratico e storia della libera-zione dal trascendente II. La distinzione della pratica dalla teo-via III. I miscugli di Filosofia della pratica e di Descrittiva Vanitentativi di definizione dei concetti empirici Tentativi di dedu-zione IV. Questioni varie La natura pratica dell'errore Il gu-sto pratico V. Le dottrine sul sentimento I wolfiani Jacobie Schleiermacher Kant Hegel Oppositori della dottrina delletre facolt Krug Brentano.

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    X SOMMRIO

    SEZIONE SECONDAl'attivit pratica nella sua dialettica

    INECESSIT E LIBERT NELl'aTTO VOLITIVO

    Il problema della libert Libert del volere e libert dell'azione :critica di questa distinzione L'atto volitivo, necessario e libero in-sieme Paragone con l'attivit estetica Critica del determinismoe dell'arbitrarismo Forma gnoseologica di questa antitesi: mate-rialismo e misticismo I sofismi materialistici del determinismo Il misticismo dell'arbitrarismo La dottrina della necessit-libert,e l'idealismo La dottrina della doppia causalit, e il dualismo oagnosticismo Carattere di essa come transazione e transizione.

    IILA LIBERT E IL SUO OPPOSTO. IL BENE E IL MALE

    La libert dell'azione come realt dell'azione Inconcepibilitdell'assenza assoluta di azione La non-libert come antitesi e con-trariet Arbitrariet e nullismo della non-libert Il bene comelibert e realt, e il male come l'opposto Critica del monismoastratto e del dualismo di valori Le obiezioni all'irrealt del male Il male nella sintesi e fuori della sintesi I giudizi affermativi delmale come giudizi negativi Conferme della dottrina I poli delsentimento (piacere e dolore) e loro identit con gli opposti pratici Dottrine circa il piacere e la felicit: critica I concetti empiriciintomo al bene e al male Dover essere, ideale, potere inibitivo,imperativo Male, rimorso, ecc.; bene, soddisfazione, ecc. Inca-pacit di essi a servire da principi pratici Loro carattere.

    IIIl'atto volitivo E LE PASSIONI

    La molteplicit delle volizioni e la lotta per l'unit Molteplicite unit come male e bene Le volizioni escluse, e le passioni o de-sideri Passioni o desideri come volizioni possibili La volizionecome lotta coatro le passioni Critica della libert di scelta Si-gnificato della cosi detta precedenza dei sentimenti sull'atto volitivo

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    SOMMARIO XIPolipatismo a apatismo Erroneit di entrambe le opposte tesi Significati storici e contingenti di esse Il signoreggiamento dellepassioni e la volont.

    IVGLI ABITI VOLITIVI E l'INDIVIDUALIT

    Stato d'animo e passioni Le passioni intese come abiti volitiviImportanza e natura di questi Il signoreggiamento delle passioniin quanto abiti volitivi Difficolt e realt del dominarle Gli abitivolitivi e l'individualit Negazioni dell'individualit per l'unifor-mit, e critica di esse Temperamento e carattere. IndiiFerenza deltemperamento La scoperta del proprio essere L' idea di voca-zione Fraintendimenti del diritto dell'individualit L'indivi-dualit malvagia Le false dottrine circa il nesso di virt e vizi L'universale nell'individuale e l'educazione.

    LO SVOLGIMENTO E IL PROGRESSOMolteplicit e unit: lo svolgimento Il divenire come sintesi di

    essere e non essere La natura in quanto divenire. Sisoluzione diessa nello spirito Ottimismo e pessimismo: critica L'ottimismodialettico Concetto del progresso cosmico Obiezioni e critica diesse Gli individui e la Storia Fato, Fortuna e Provvidenza L' infinit del progresso e il mistero Conferma dell' impossibilit diuna Filosofia della storia Trasferimento illegittimo del concetto dimistero dalla storia alla filosofia.

    VIDUE CUIARIHBNTI ALLA ISTORICA E ALl' ESTETICA

    La relazione di desideri e azioni, e due problemi d'Istorica e diEstetica La storia e l'arte Il concetto di esistenzialit nella sto-ria Origine di esso nella filosofia della pratica: l'azione e l'esi-stente, i desideri e l'inesistente La storia come distinzione traazioni e desideri, e l'arte come indistinzione Il fantastico schiettoe l'immaginario L'arte in quanto lirica o rappresentazione di sen-timenti Identit tra realt ingenua e sentimento Gli artisti ela volont Le azioni e i miti L'arte come rappresentazione puradel divenire, e la forma artistica del pensiero.

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    XII SOMMARIOVII

    ANNOTAZIONI STORICHEI. Il problema della libert II. La dottrina del male III. Ar-

    bitrio e libert Coscienza e responsabilit IV. Il concetto deldovere Il pentimento e il rimorso V. La dottrina delle passioni Virt e vizi La dottrina dell'individualit: Schleiermacher Teo-rie romantiche e teorie modernissime VI. Il concetto dello svol-gimento e del progresso.

    SEZIONE TERZAl'unit del teoretico e del praticoDue risultamenti opposti: precedenza del teoretico sul pratico e

    del pratico sul teoretico Errore dei propugnatori dell'esclusiva pre-cedenza dell'ureo o dell'altro Problema dell'unit di questa dua-lit Non dualit di opposti Non dualit di finito e infinito Analogia perfetta delle due forme : teoretica e pratica Non paral-lelismo ma circolo Il circolo della Realt: pensiero ed essere, sog-getto e oggetto Critica delle teorie circa il primato della ragionteoretica o della ragion pratica Nuovo prammatismo : la Vita con-dizionante la Filosofia Conferma deduttiva delle due forme edesclusione deduttiva della terza (sentimento).

    PARTE SECONDAl'attivit PRATICA NELLE SUE FORME SPECIALI

    SEZIONE PRIMALB DUE FORME PRATICHE: l' ECONOMICA E L' ETICA

    IDI8TINZIONK DKI.LE DUR FOUMB NKLI.A COSCIENZA rUATICA

    La forma utilitaria o economica, o quella morale o etica Insuf-fioienea, anche qui, della distinzione descrittiva e psicologica LadeduElone, e necessit d' integrarla con l'induzione Le due formecome fatto di coscienza La forma economica La forma etica Impossibilit di negarle Conferme vario di esse.

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    SOMMARIO XIIIli

    CRITICA DELLE NEOAZIONI DELLA FORMA ETICAEsclusione delle critiche materialistiche e di quelle intellettuali-

    stiche Le due negazioni ancora possibili La tesi dell'utilitari-smo contro la realt degli atti morali Difficolt nascenti dalla pre-senza effettiva di questi Tentativo di spiegarli come prodotti didistinzioni quantitative Critica di esso Tentativo di spiegarlicome fatti o estranei alla pratica o irrazionali e stolti L'associa-zionismo e l'evoluzionismo. Critica Tentativo disperato: l'utilita-rismo teologico e il mistero.

    UTCRITICA DELLE NEGAZIONI DELLA FORMA ECONOMICA

    La tesi dell'astrattismo morale contro il concetto dell'utile L'utile come il mezzo, ossia come fatto teoretico Gli imperativitecnici e ipotetici Critica: l'utile fatto pratico L'utile comel'egoistico o l'immorale Critica: l'utile amorale L'utile comegruppo di fatti etici minimi Critica: l'utile premorale Ten-tativo disperato: l'utile come coscienza pratica inferiore. Confermadell'autonomia dell'utile.

    IVRELAZIONE TRA LE FORME ECONOMICA ED ETICA

    Economia ed etica come il doppio grado della pratica Erroriderivanti dal concepirle come coordinate Critica delle azioni disin-teressate Vana polemica, condotta sul supposto delle azioni disin-teressate, contro l'utilitarismo Critica delle azioni moralmente in-differenti, obbligatorie, supererogatorie, ecc. Paragone col rapportodi arte e filosofia Altre concezioni erronee di modi d'azione Ilpiacere e l'attivit economica, la felicit e la virt Piacere e do-lore, e il sentimento Coincidenza del dovere col piacere Criticadel rigorismo o ascetismo Belazione di felicit e virt Criticadella subordinazione del piacere alla moralit Nessun imperio dellamoralit sulle forme dello spirito Inesistenza di altre forme pra-tiche e impossibilit di suddivisione delle due stabilite.

    VLA FILOSOFIA DELl'eCONOMIA

    E LA cosi DETTA SCIENZA DELL'ECONOMIAProblema delle relazioni tra Filosofia e Scienza dell'economia

    Irrealt delle leggi e dei concetti della Scienza economica La

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    XIV SOMMARIOScienza economica, fondata su concetti empirici, ma non empirica odescrittiva Assolutezza delle sue leggi Indole matematica diessa Suoi principi, e carattere che essi hanno di postulati e de-finizioni arbitrarie. Utilit di tale scienza Paragone dell'Economiacon la Meccanica; e perch si sogliano escludere da essa i fatti etici,estetici e logici Errori del filosofismo e dello storicismo nell'Eco-nomia Le due perversioni : l'astrattismo estremo e il disgrega-mento empiristico Sguardo alla storia dei vari indirizzi dell' Eco-nomia Significato del giudizio di Hegel circa la Scienza economica.

    VICKITICA DELLE CONFUSIONI

    TRA SCIENZA ECONOMICA E FILOSOFIA DELL'ECONOMIAAdozione del metodo e degli schemi economici da parte della Fi-

    losofia Errori che ne derivano l.o Negazione della filosofia perl'economia 2.o Valore universale, attribuito a concetti empirici.Es.: liberismo e protezionismo 3 Trasformazione delle finzionidel calcolo in realt Il preteso calcolo dei piaceri e dei dolori, ele dottrine dell'ottimismo e pessimismo.

    VIIANNOTAZIONI STORICHE

    I. L'Etica greca e la sua ingenuit II. Importanza del Cristia-nesimo per l'Etica I tre indirizzi risultanti: utilitarismo, rigorismoe psicologismo Hobbes, Spinoza L'Etica inglese Filosofia idea-listica III. E. Kant, e sua affermazione del principio etico rigo-roso Contradizioni del Kant circa il concetto dell'utile, della pru-denza, della felicit, ecc. Errori che ne derivano nella sua EticaIV. Addentellati per una Filosofia dell'economia La facolt appe-titiva inferiore Il problema della politica e il machiavellismoLa dottrina delle passioni Hegel e il concetto dell'utile Fichtee l'elaborazione dell'Etica kantiana V. Il problema dell'utile edella moralit nei pensatori del secolo decimonono VI. Unioneestrinseca dell'Etica e della Scienza economica dall'antichit al se-colo decimonono Questioni filosofiche, sorte da una pi intimaunione tra le due Le teorie del calcolo edonistico: dal Maupertuisallo Hartmann.

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    SOMMARIO XV

    SEZIONE SECONDAIL PRINCIPIO BTICOI

    CHITICA dell' etica MATERIALE E DI QUELLA FORMALISTICASignificato equivoco dei termini formale e materiale Il

    principio etico come formale (universale) e non materiale (contin-gente). Utilitarismo dell'etica materiale Eiduzione dell'Etica ma-teriale alla utilitaria Esclusione di tutti i principi materiali intesiin questo significato Benevolenza, amore, altruismo, ecc. Dimostra-zione del carattere materiale e utilitario di questi concetti Mede-sima dimostrazione pei concetti di organismo sociale, Stato, interessedella specie, e simili Principi materiali religiosi. Critica di essiLa formalit come aflfermazione di mera esigenza logica Critica diun'Etica formale in questo significato: tautologismo Principi tau-tologici: ideale, sommo bene, dovere, ecc.; e critica di essi Signi-ficato tautologico di alcune formole, materiali in apparenza Con-versione dell'Etica tautologica in materiale e utilitaria In qualsignificato l'Etica debba essere formale, e in quale altro materiale.

    IILA FORMA ETICA COME ATTUAZIONE DELLO SPIRITO IN UNIVERSALE

    L' Etica tautologica, e sua connessione con la Filosofia o parzialeo discontinua Rigetto di entrambe queste concezioni La formaetica come volizione dell'universale L'universale come lo spirito(la Realt, la Libert, eco ) Gli atti morali come volizioni delloSpirito Critica dell'antimoralismo Tendenza confusa delle for-mole tautologiche, materiali, religiose, ecc., verso l'Etica dello Spi-rito L' Etica dello Spirito e l' Etica religiosa.

    IliANNOTAZIONI STORICHE

    1. Merito dell' Etica kantiana I predecessori del Kant Difettodi quell'Etica: l'agnosticismo Critica dello Hegel e di altri Kante il e ncetto della libert Fichte e Hegel II. L' Etica nel se-colo decimonono.

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    XVI SOMMARIO

    PARTE TERZALE LEGGI

    ILE LEGGI COME PRODOTTO DELL'INDIVIDUO

    Definizione della legge Concetto filosofico e concetto empiricodi societ Le leggi come prodotto individuale: i programmi dellavita individuale Esclusione del carattere di costrizione, e criticadi questo concetto Identici caratteri nelle leggi individuali e nellesociali Le leggi individuali come, in ultima analisi, le sole reali Critica della divisione delle leggi in giuridiche e sociali e delle sot-toclassi di queste. Empiricit di ogni divisione delle leggi Esten-sione del concetto di legge.

    IIGLI ELEMENTI COSTITUITIVI DELLE LEGGI

    CRITICA DELLE LEGGI PERMISSIVE E DPJL DIRITTO NATURALEIl carattere volitivo e il carattere di classe Distinzione delle

    leggi dalle cosi dette leggi della natura Implicazione delle secondenelle prime Distinzione delle leggi dai principi pratici Le leggie gli atti singoli Identit delle leggi imperative, proibitive e per-missive Carattere permissivo di ogni legge e impermissivo di ogniprincipio Mutevolezza delle leggi Concetti empirici circa i modidel mutamento Critica del Codice eterno o Diritto naturale Ildiritto naturale come il diritto nuovo Il diritto naturale come Fi-losofia della pratica Critica dei diritti naturali Giusnaturalismopersistente nei giudizi e problemi giuridici.

    IIIIRREALT DELLA LEGGE E REALT DELL' ESECUZIONE

    UFFICIO DELLA LEGGE NELLO SPIRrTO FRATICOLa legge come volizione antratta e irreale Inattuabilit delle

    leggi e attuazione dei principi pratici Chiarimento esemplifica-tivo Le dottrine contro Putilit delle leggi. Loro insostenibilit Ed erroneit delle confutazioni ohe se ne sono date Significati em-pirici di codeste controversie Necessit dello leggi Le leggi comepreparazione alPazlone Analogia tra lo spirito pratico e il teoretico :

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    SOMMARIO XVIIleggi pratiche e concetti empirici Il promovimento dell'ordine nellarealt e nella rappresentazione Origine del concetto di piano odisegno.

    IVCONFUSIONI TRA LEQOI E PRINCIPI PRATICI

    CRITICA DEL LEGALISMO PRATICO E DELLA MORALE GESUITICATrasformazione dei principi in leggi pratiche : legalismo Genesi

    del concetto del praticamente lecito e indifferente Conseguenze diesso: l'arbitrario Legalismo etico come semplice caso particolaredi quello pratico Critica del praticamente indifferente Contesedi rigoristi e lassisti, e loro comune errore La morale gesuiticacome dottrina della frode alla legge morale Concetto della frodelegale Assurdit della frode verso s stessi e verso la coscienza mo-rale La morale gesuitica, non spiegabile col mero legalismo Lamorale gesuitica, in quanto congiungimento del legalismo con l'uti-litarismo teologico Distinzione tra dottrina e pratica gesuitiche.

    Vl'attivit oicbidica

    COME attivit obnbricamentb pratica (economica)L'attivit legislatrice come genericamente pratica Vanit delle

    dispute circa il carattere, economico o etico, degli istituti: pena, ma-trimonio, Stato, ecc. L'attivit legislatrice come economica L'at-tivit giuridica: carattere economico di essa Anzi, identit di essacon l'attivit economica Il disconoscimento della forma economica,e il significato del problema circa la distinzione tra morale e diritto Teorie della coazione e dell'esteriorit, come caratteri distintivi: cri-tica di esse Teorie moralistiche del diritto: critica Dualit didiritto positivo e ideale, storico e naturale, ecc.; e assurdi tentatividi unificazione e coordinazione Pregi di tutte codeste teorie comeconfuso intravedimento del carattere amorale del diritto Confermedi questo carattere nella coscienza ingenua Il paragone tra dirittoe linguaggio. Grammatiche e codici Logica e linguaggio; moralee diritto Storia del linguaggio, come storia letteraria ed artistica;Storia del diritto, come storia politica e sociale.

    VIannotazioni storiche

    I. Distinzione tra morale e diritto, e sua importanza per la storiadel principio economico Indistinzione fino al Tomasio II. Tomasioe seguaci Kant e Fichte Hegel Herbart e Schopenhauer

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    XVIII SOMMARIOBosmini e altri III. Stahl, Ahrens, Trendelenburg Utilitaristi IV. Trattatisti recenti Contradizion stridenti. Stammler V. Ilvalore della legge Nell'antichit Diderot Eomanticismo Jacobi Hegel Dottrine recenti VI. Il diritto naturale e la suadissoluzione. La scuola storica del diritto Il paragone tra diritto elinguaggio VII. Il concetto di legge e gli studi del diritto compa-rato e della Dottrina generale del diritto VIII. Il legalismo e la ca-sistica morale Il probabilismo e la morale gesuitica La criticadel concetto di lecito Fichte Schleiermacher Kosmini.

    CONCLUSIONELa Filosofia dello spirito come il tutto della Filosofia Rispon-

    denza tra Logica e Sistema Insoddisfazione alla fine di ogni si-stema, e suo motivo irrazionale Motivo razionale: l'inesauribilitdella Vita e della Filosofia.

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    PARTE PRIMA

    L'ATTIVIT PRATICAIN GENERALE

    B. Croce, Filatofa della pratica.

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    SEZIONE PRIMAL'ATTIVIT PRATICA NELLE SUE RELAZIONI

    I

    l'attivit pratica come forma dello spirito

    u,no sguardo alla vita che ci circonda sembrerebbe, senza vita praticabisogno di particolare dimostrazione, pi che bastevole ^^^J*^ *^"*ad attestare la realt di una cerchia di attivit praticasvolgentesi accanto a quella teoretica. Nella vita, si vedonoquasi materialmente distinti uomini di pensiero e uominid'azione, contemplatori e operatori; di qua, fronti ampie eocchi tardi e sognanti ; di l, fronti strette e occhi mobilie vigili; poeti e filosofi da un lato; capitani e soldati dal-l'altro, dell'industria, del commercio, della politica, dellamilizia, della chiesa. E, come gli uomini, cosi appaionodiverse le opere loro; e mentre siamo intenti a una sco-perta annunziata di chimica o di fisica, a una filosofia cheviene a scuotere vecchie credenze, a un dramma o a unromanzo che recano un nuovo sogno di artista; ecco chec'interrompono e chiamano a s spettacoli di tutt'altraqualit: una guerra tra due Stati a colpi di cannone o ditariffe doganali; uno sciopero colossale, in cui migliaia emigliaia di lavoratori fanno sentire al complesso socialequanto essi valgano per numero e per forza, e quantol'opera loro pesi nell'opera comune; un'associazione po-tente, che raccoglie e stringe in fascio le forze della resi-stenza conservatrice, adoperando interessi e passioni, spe-

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    4 l'attivit pratica nelle sue relazioniranze e timori, vizi e virt, come il pittore adopera i co-lori e il poeta le parole, e facendo talvolta al pari diquesti un capolavoro, sebbene pratico. L'uomo d'azione preso, di tanto in tanto, dalla nausea di quella sua or^iadi sforzi volitivi, e guarda con invidia all'uomo dell'artee della scienza; al modo stesso che un tempo le personemondane guardavano ai monaci, i quali avevano saputoscegliersi la parte pi bella e riposata della vita: senon-ch, di solito, non va oltre questo fuggevole sentimento,e se si risolve a interrompere i suoi affari agl'idi, vi tornaalle calende. Ma anche l'uomo della contemplazione prova,a volte, la stessa nausea e la stessa aspirazione; e gli pard'essere ozioso dove tanti lavorano e sanguinano, e gridaai combattenti: l'armi, qua l'armi , e vorrebbe diven-tare minatore tra i minatori, navigante tra i naviganti,imperatore del carbone tra i re del carbone: senonch, ditutto ci, di solito non fa poi altro che una canzone o unlibro. Nessuno, per quanto si sforzi, esce dalla propriacerchia. Sembra che la natura fornisca uomini apposita-mente fatti per l'una o per l'altra forma di attivit, cosicome per la conservazione della specie fornisce maschi efemmine,

    insnfflcienza Ma questa esistenza quasi fisicamente delimitata coniioni descrh- ^* Qi!! l'attivit pratica si mostra, nella vita, distaccatatiTe. da quella teoretica, non ha certezza alcuna; e non nep-

    pure, come si crederebbe, un fatto che s'imponga da s6.I fatti non s'impongono mai da s, tranne che per meta-fora: soltanto il nostro pensiero se li impone, quando liha sottomessi alUi critica o ne ha riconosciuta la realt. Equell'esistenza e distinzione, che par di toccare con mano,in fondo non altro che il prodotto di una prima e superficialc riflessione filosofica, la quale pone come effettivamentedistinto ci che solo in grosso e alla prima apparenza tale. Infatti, continuando a meditare col metodo e coi pre-

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    I. l'attivit pratica come forma dello spirito 5supposti stessi di quella prima riflessione, le distinzioni me-desime, che essa aveva poste, vengono da essa medesimacancellate. Non vero che vi siano uomini pratici e uominiteoretici: l'uomo teoretico anch'esso uomo pratico; vive,vuole, opera, come tutti gli altri: l'uomo che si dettopratico, anch'esso teoretico; contempla, crede, pensa,legge, scrive, ama la musica e le altre arti. Le opere cheerano designate come prodotto del puro spirito pratico,viste un po' da vicino si svelano grandemente complessee ricche di elementi teoretici: meditazioni, ragionamenti,indagini storiche, contemplazioni ideali; eie opere, chesi adducevano come manifestazioni del puro spirito arti-stico filosofico, si mostrano prodotto insieme di volont,perch senza volont non si fa nulla: n l'artista si preparaper anni e anni al suo capolavoro, n il pensatore mena atermine il suo sistema. La battaglia di Austerlitz non fuopera anche di pensiero? E la Divina commedia non fuopera anche di volont? Da tali riflessioni, che si potreb-bero agevolmente moltiplicare, sorge sfiducia non solo nel-raff'ermazione dapprima posta, ma altres nella ricerca ini-ziata; come di chi si veda costretto, dopo avere riempitocon grande fatica una botte, a vuotarla subito di nuovocon eguale fatica, per ritrovarsi innanzi la botte qual'eraprima, vuota. Oppure ci si appiglia, tutt'al pi, alla conclu-sione che non esiste n il teoretico n il pratico come di-stinti; ma un atto solo, che o l'uno o l'altro dei due, oun terzo da determinare, e che si manifesta concretamentein infinite gradazioni e sfumature, le quali arbitrariamentevengono ridotte a due o pi classi, e non meno arbitraria-mente distaccate e denominate come se fossero distinte.Descrivendo questo procedere della comune riflessione iiisufficiemdinanzi alla realt, e mostrandone l'impotenza filosofica, "^^l ""*'*

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    6 l'attivit pratica nelle sue relazioniflci. Infatti la filosofia psicologica, sebbene si esplichi inponderosi trattati e in solenni lezioni. accademiche, non fan pi n meno di ci che fa quella comune riflessione, enon altro per l'appunto che quella stessa comune rifles-sione; e dopo avere ridotto a classi le immagini delle in-finite manifestazioni dell'attivit umana, ponendo, per es.,in queste classi, accanto al pensiero e all'immaginazione lavolont e l'azione, considera in ultimo queste classi comerealt. Ma le classi sono classi e non distinzioni filosofiche :chi le prenda troppo sul serio e le intenda in questa se-conda guisa, si trova poi inaspettatamente a doversi ac-corgere, un bel momento, che non hanno nulla di reale. Eallora si scopre e si grida l'inesistenza delle facolt del-l'anima, ossia l'esistenza loro come di mero artifizio men-tale, privo di rispondenza nella realt; ovvero si va pioltre e insieme con quelle distinzioni false si getta via ilcriterio stesso, la distinzione, e si asserisce che tutte lemanifestazioni spirituali si riducono a un'indistinguibileunit. E a siffatta unit viene innalzata, infine, una o altradelle medesime classi rifiutate; donde il tentativo di mo-strare i fatti volitivi come nient'altro che fatti di rap-presentazione, o quelli della rappresentazione come nien-t'altro che fatti di volizione, o gli uni e gli altri comenient'altro che fatti di sentimento; e via discorrendo.

    Necessit del Bisogna, dunque, rimanere del tutto indifferenti innanzimetodo filo- ^jjg affermazioni e negazioni di codesta filosofia psicolo-gica; e se essa asserisce la realt dell'attivit pratica, nonprestarvi fede se non quando l'abbiamo riconosciuta anchenoi merc il metodo filosofico; e se la nega, del pari. Ilmetodo filosofico richiede astrazione completa dai dati em-pirici e dalle loro classi, e un ritrarsi nell'intimit dellacoscienza per volgere ad essa sola l'occhio della mente. Estato detto che a questo modo la coscienza dell'individuoviene fatta tipo e misura della realt universale; e si

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    I. l'attivit pratica come forma dello spirito 7proposto, per correggere tale ristrettezza e sventare il pe-ricolo, di estendere l'osservazione alla psiche degli altriindividui, cosi del presente come del passato, cosi dellanostra come di altre civilt, e integrare (secondo la for-mola d'uso) il metodo psicologico con quello storico edetnografico. Ma il timore non ha luogo, perch la coscienzache forma oggetto dell' indagine filosofica non gi quelladell' individuo in quanto individuo, ma la coscienza univer-sale che in ogni individuo, base della sua individuale edi quella degli altri tutti. 11 filosofo, che si ripiega su sstesso, non cerca il s stesso empirico; n Platone filosofocercava in s il figliuolo di Aristone e di Perictione, nBaruch Spinoza, il povero giudeo malaticcio: essi cerca-vano quel Platone e quello Spinoza, che non sono pi Pla-tone e Spinoza, si bene l'uomo, lo spirito, l'essere in uni-versale. Onde il rimedio proposto apparir non solo inutile,ma addirittura nocivo, perch a un'indagine in cui biso-gna superare perfino l'empirico s stesso, ofi're l'inganne-vole sussidio di altri molteplici s stessi, accrescendo aquesto modo il tumulto e la confusione dove deve farsipace e silenzio, e porgendo in cambio dell'universale chesi domandava, peggio che un individuale, qualcosa di ge-li era le, che complesso arbitrario di mutilate indivi-dualit.

    Potrebbe sembrare, tutUivia, che il risultato di quella L'osservaaio-indagine circa la forma universale della coscienza serbasse " "^ ^ ^ "'pur sempre valore di mera osservazione di fatto, non di-versa da ogni altra osservazione, che oggi il tempo siapiovoso, o che Tizio abbia preso moglie. Se questi ultimidue fatti sono indubitabili perche bene osservati, simil-mente indubitabile sar, perch bene osservata, un'affer-mazione che concerna la coscienza in universale. E dicerto, essendo vere l'una e le altre affermazioni, non c',per questo rispetto, divario tra esse, ossia tra verit e ve-

    zione.

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    8 l'attivit pratica nelle sue relazionirit considerate in quanto tali. Ma poich i fatti singoli econtingenti, come i due recati in esempio, sono singoli econtingenti per ci appunto che non hanno in s stessi laloro ragione, e poich l'universale universale appuntoperch a s medesimo ragione sufficiente, risulta chiaroche di un aspetto universale della coscienza non potn\stimarsi definitivamente stabilita la verit, se non quandose ne sar intesa insieme la ragione, ossia quando quel-l'aspetto avr perduto il carattere di semplice enunciato easserzione. Affermare davvero l'esistenza della forma pra-tica dell'attivit accanto a quella teoretica, significa de-durre l'una dall'altra ed entrambe dall'unit dello spiritoe del reale. A questa esigenza e dovere non intendiamopunto sottrarci; e se qui in principio ci restringiamo adasserire l'esistenza e a mostrare che le ragioni addottecontro di essa non sono fondate, ci facciamo per ragionidi ordine didascalico, confidando di togliere in sguito al-l'affermazione quel che essa ora serba di meramente asser-torio e perci di provvisorio.

    Teorie che Le dottrine che negano la forma pratica come formaforina"pratN Peculiare dello spirito sono, e non possono non essere, dica dello spi- due specie fondamentali, secondo la doppia possibilit of-"^ *" ferta dalla proposizione stessa che esse mirano a negare.

    La prima dottrina afferma che la forma pratica non attivit spirituale; la seconda che, pur essendo attivitspirituale, non distinguibile in nulla dalla gi ri-conosciuta forma teoretica dello spirito. La secondale nega, per cosi dire, il carattere specifico; la prima, ad-dirittura il carattere generico.

    La prtic Dicono i sostenitori della prima tesi: Della volont,nel momc^nto in cui si vuole e durante lo svolgimento realedi essa, non si ha coscienza. Questa si acquista soltantodopo che si 6 voluto, cio dopo che l'atto volitivo si svolto. E coscienti si allora non gi della volont

    eome IncoMiente

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    l'attivit pratica come forma dello spirito 9stessa, ma della nostra rappresentazione della volont.Perci la volont, ossia l'attivit pratica, non attivitdello spirito; come incosciente, essa natura e non gispirito: spirituale soltanto l'attivit teoretica, che lesuccede.

    Senonch, se si lasciasse passare questo argomento, la Critica,conseguenza sarebbe che nessuna delle attivit dello spi-rito apparterrebbe allo spirito; che tutte sarebbero inco-scienti, e tutte perci natura. Infatti, l'attivit dell'arti-sta, nel momento in cui veramente tale ossia in quelloche si chiama della creazione artistica, non cosciente dis medesima: diventa cosciente solo nella mente del criticoo dell'artista che si faccia critico di s medesimo. E anchedell'attivit dell'artista stato pi volte aflfermata che essa incosciente, che forza naturale, o che mania, furore,ispirazione divina. Est Deus in nobis; e del dio agitante eriscaldante si diviene coscienti solo via via che l'agitazionecessa e il raffreddamento comincia. Ma, e quella del filo-sofo? Sembrer strano, ma nel filosofo accade proprio ilmedesimo. Nel momento in cui filosofa, egli non coscientedell'opera sua; anche in lui Dio o la natura; egli nonriflette sul suo pensiero, ma pensa; anzi la cosa pensa sstessa in lui, come un mici'obio che viva in lioi, si nutra,prolifichi e muoia; tanto che anche il filosofo apparso,talvolta, ossesso di mania. La coscienza della sua filosofianon in lui, in quel momento; ma nel critico e nellostorico, magari in lui stesso un momento dopo, in quantostorico e critico di s stesso. E il critico o lo storico, al-meno, sar egli cosciente? Neppure; perch del lavoro cri-tico-storico di lui cosciente chi ne far a sua volta la cri-tica, egli medesimo in quanto fa la critica di s stesso,e, oggettivandosi, si colloca nella storia della critica e dellastoriografia. Insomma, coscienza non si avrebbe mai in nes-suna forma di attivit spirituale.

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    10 l'attivit pratica nelle sue relazioniMa questa negazione si fonda sopra una falsa idea della

    coscienza: confondendosi quella spontanea con la riflessa,ossia quella intrinseca a un'attivit con l'altra intrinsecaa un'altra attivit, che supera la prima e la rende suooggetto. In tale significato, di certo, non si pu essere co-scienti della volont se non nella rappresentazione che lasegue; come non si coscienti di una poesia se non nelmomento in cui se ne fa la critica. Ma coscienza anchequella che nell'atto stesso di chi componga o legga unapoesia, e ha coscienza (non si pu dire altrimenti) delbello e del brutto, del come la poesia dev'essere e del comenon dev'essere: coscienza non critica, ma non per questomeno reale ed efficace, e senza la quale mancherebbe al-l'atto formativo del poeta la propria guida e freno. E cosi,parimente, coscienza nell'atto volitivo e pratico, in quantotale: quell'atto non si conosce in modo riflesso ma si sente,o, se piace meglio, si possiede, senza di che non avrebberealt; si svolge perci in momenti o alternative di be-nessere e di malessere, di contento e di scontento, di sod-disfazione e di rimorso, di piacere e di dolore. Se codesta incoscienza, bisogna dire che l'incoscienza la coscienzastessa.

    Natura e at- Natura, tuttavia, potr apparire l'attivit pratica ri-tivit prati- gpyjjjQ a^iijj teoretica; ma non gi come qualcosa fuori dello

    spirito, che a questo si contrapponga, si bene come formadello spirito, che venga contrapposta ad altra forma. Allostesso modo, come si gi detto, la contemplazione este-tica sembrata una forza naturale che crei il mondo del-l'intuizione, il quale poi l'attivit filosofica dell'uomo in-tenda e ricrei logicamente; onde l'arte potrebbe chiamarsi(ed stata chiamata infatti) natura, e la filosofia, per con-verso, spiritualit. Ci d luogo all'ulteriore problema: sesia corretto considerare come natura (e opportuno denomi-nare cosi) quel che stato riconosciuto, in sostanza, anche

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    I. l'attivit pratica come forma dello spirito 11attivit spirituale, o se piuttosto il concetto, e il nome, dinatura non sia da riserbare a ci che davvero e total-mente fuori dello spirito; e se poi ci sia davvero questoqualcosa, posto assolutamente fuori dello spirito. Tale pro-blema, a questo punto, non ci tocca; bench siamo assaidisposti ad ammettere che uno dei sostegni di quell'as-surda concezione della natura come extraspiritualit sia,per l'appunto, la forma pratica o volitiva dello spirito, cosispiccatamente diversa dalla forma teoretica e dalle sotto-forme di questa; e che perci non sono completamentenel torto quei filosofi che hanno identificato la natura conla volont, avendo essi scorto, a questo modo, almeno unaspetto del vero.

    Passando alla seconda tesi, la quale non mette la vo- Riduaionelont fuori dello spirito, ma neffa nello spirito la distin- '**'"*. ^"*^ ' " ^ pratica allazione tra forma pratica e forma teoretica ed afferma che teoretica,la volont pensiero, non e' nulla da obiettarle con-tro, allorch, come spesso accade, pensiero si adoperaquale sinonimo di spirito >. Perch in tal caso, comein quello in cui si afferma che l'arte pensiero, resta soloda ricercare quale forma di pensiero sia poi la volont,come si ricerca quale forma di pensiero sia l'arte. Questa,per es., non pensiero logico o storico; e la volont non pensiero n fantastico n logico n storico: se mai, sarpensiero volitivo.Ma la forma genuina di questa tesi si ha nell'afiFerraa-zione che la volont l'intelligenza stessa, che volere conoscere, che l'azione praticamente ben condotta verit. Tesi che non sorgerebbe se non trovasse appiglionella situazione reale delle cose (e quale quest'appiglio siasi vedr nello studiare il rapporto dell'attivit pratica conla teoretica e il complicato processo della deliberazione);ma che qui, saggiata in s medesima, si prova affatto insostenibile.

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    12 l'attivit pratica nelle sue relazioniGriticH. E non bisogna opporle le comuni osservazioni circa la

    mancata correlazione tra un grande svolgimento intellet-tuale e un grande svolgimento volitivo, e circa 1 teoriciche sono pessimi pratici, i filosofi che sono cattivi gover-natori di stati, i dottissimi che non sono uomini,e simili; per la ragione gi detta, che un'osservazione,nonch argomento filosofico, un fatto che dev'essere essostesso spiegato e, spiegato che sia, potr ben servire dariprova per virt della sua evidenza alla teoria filosofica,ma non mai sostituirlesi. Nondimeno giover richiaraan;alla memoria il carattere affatto peculiare che serba la vo-lizione e l'attivit pratica rispetto alla conoscenza. La luceintellettuale fredda, la volont calda. Allorch dallacontemplazione teoretica si passa all'azione e alla pratica,si ha quasi il sentimento del generare; e i figli non sifanno con pensieri e con parole. Nella maggiore chiarezzaintellettiva si resta inerti, se non interviene qualcosa chesvegli l'azione e sia analogo all'ispirazione, la quale facorrere un brivido di gioia e di volutt per le vene dell'artista. Ogni ragionamento, per plausibile che paia, ognisituazione, per nitida che appaia, rimane mera teoria, sela volont non appetisce. L'educazione della volont si fa,non gi in forza di teorie, di definizioni, di cultura este-tica e di cultura storica, ma merc l'esercizio stesso dellavolont: insegnando a volere come s'insegna a pensare,fortificando cio ed intensificando le naturali disposizioni,e perci con l'esempio che muove all'imitazione, con ledifficolt (problemi pratici) che si propongono, con lo sve-gliare l'energica iniziativa e col disciplinare alla jiersi-stenza. E quando una volont sorta, nessun ragionamentoriesce a spegnerla, al modo stesso che una malattia non8;uarisce per ragionamenti, ma per virt organica. Ragio-namenti e conoscenze potranno concorrere, anzi concor-rono di eerto nel cangiamento volitivo, ma non no costi-

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    I. l'attivit pratica come forma dello spirito 13tuiscono il momento determinante. Solo la volont operasulla volont; il che qui detto non gi nel significatoche sulla volont di un individuo possa operare la volontdi un altro individuo (la quale gli sta innanzi come unmero fatto, al pari degli altri fatti da lui percepiti), main quello che la volont propria dell'individuo, facendoentrare in crisi la volizione precedente, la dissolve e lasostituisce con una nuova sintesi pratica, con una nuovavolizione.

    L'evidente pai'adosso della tesi che identifica senz'altro La praticapensiero e volont, teoria e pratica, ha indotto a modifi- ^'" p^"* caria e a ripresentarla sott'altra forma, espressa con la tua. Ricono-definizione: che la volont il pensiero in quanto si tra- '^""*'"* *^i-'^ ^ r autonomia.duce in atto, il pensiero in quanto s'imprime nella na-tura, il pensiero tenuto fermo, cosi fermo innanzi allamente da diventare azione; e via dicendo. Ora, qualesia il rapporto tra pensiero e volont da determinare;e nel determinarlo si vedr anche quanto sia di esatto ed'inesatto nelle formole ricordate, del tradurre, dell'im-primere, del tener fermo, tutte logicamente vaghe sebbeneassai immaginose. Ma quel che importa qui notare che,col nuovo giro dato alla tesi negatrice della peculiaritpratica, si viene inconsapevolmente ad affermare tale pecu-liarit; perch quel tradurre, queir imprimere, quel tenerfermo, del quale nel caso della mera teoria non si parlava,nasconde appunto la volont. Per tal modo, l'ultima formoladella negazione viene a dare la inano a quella dell'affer-mazione; e si pu ritenere incontrastata la realt di unaforma particolare dello spirito, che l'attivit pratica, epassarne a esaminare il rapporto con l'altra forma, dallaquale stata da noi preliminarmente e genericamente di-stinta.

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    NEGAZIONEDELLA FORMA SPIRITUALE DEL SENTIMENTO

    La pratica Vu sembrare poco sicura o poco soddisfacente l'affer-e la pretesa jjjygone della realt della forma pratica, fondata sullaterza formaspirituale: il semplice distinzione di essa dalla forma teoretica dello spi-sentimento. ^-^^^^ perch vi sono, o potrebbero esservi, altre forme, e

    non teoretiche, nelle quali la pratica si potrebbe logica-mente risolvere. E, per non menare il discorso in lun^o,quella alla quale in questo dubbio si pensa la forma delsentimento, ultima o intermedia che sia delle tre formein cui si suole dividere l'attivit spirituale: rappresenta-zione, sentimento, tendenza; pensiero, sentimento, volont.N infatti sono mancati tentativi di ridurre la tendenzao volont al sentimento, o, come si dice, alla reazionesentimentale verso le percezioni e i pensieri; e quasi nonc' trattato di Filosofia della pratica che non studi neisuoi preliminari i rapporti tra volont e sentimento. Non dato dunque sfuggire al dilemma, o di riconoscere l'omis-sione in cui si caduti e affrettarsi a corregf^orla, ovverodi rendere esplicito il supposto che pu essere implicito inquella omissione (la quale sarebbe per tal modo intenzio-nale e consapevole), della irrealt di una terza formagenerale dello spirito, cio della forma del senti-mento. E poich quest'ultimo partito il nostro, ci corre

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    II. NEGAZIONE DEL SENTIMENTO 15l'obbligo di esporre succintamente le ragioni per le qualiteniamo che il concetto di sentimento debba essere espuntodal sistema delle forme o attivit spirituali.

    Il sentimento stato inteso in vari modi, alcuni dei var siffnifl-quali non concernono il problema qui proposto. Con quella *'*" ' *^"?|parola stata denominata, in primo luogo, una particolare sentimento,classe di fatti psichici, formata con metodo naturalistico J'**" p*"^'e psicologico. Epper si sono chiamate sentimenti tuttele manifestazioni rudimentali, tenui e sfuggevoli dello spi-rito: le piccole intuizioni (o sensazioni che si dicano), nonancora trasformate in percezioni, le piccole percezioni, lepiccole tendenze e appetizioni; tutto ci, insomma, che co-stituisce quasi il fondo della vita dello spirito. anche si dato quel nome a condizioni e processi psichici nei qualiintorno a una materia empiricamente delimitata varie formesi seguono e si alternano, e si parlato del sentimento della patria > o dell'amore o della natura o deldivino > . Niente vieta di formare codeste classi e adope-rare quella denominazione ; ma in conseguenza degli schia-rimenti gi dati circa il metodo psicologico esse non pos-sono servire alla filosofia, la quale non solo non le accoglienei suoi quadri, ma non entra con esse in relazione, altroche per respingerle quando si presentano come filosofiapsicologica o psicologia filosofica . Classificare non pensare filosoficamente; e la filosofia, da una parte, nonconosce criteri di piccolo e di grande, di debole e di forte,di pi e di meno, e un pensiero piccolo o piccolissimo,una tendenza piccola o piccolissima per lei pensiero etendenza e non gi sentimento; e dall'altra non ammetteprocessi complicati che non risolva nei loro componentisemplici: onde il sentimento dell'amore o della patria, egli altri addotti in esempio, le si svelano come serie diatti di pensiero e di volont, variamente intrecciati. Glipsicologi serbino, dunque, le loro classi, e le loro sotto-

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    to come statodello spirito.

    16 l'attivit pratica xklle sue relazioniclassi di sentimenti; che noi non pensiamo a spossessarlidi tanto tesoro, anzi continueremo ad attingervi anche noi,quando ci occorra, la moneta spicciola che adoperiamo nel-l'ordinaria conversazione.

    Il sentimeli- Un altro significato della parola sentimento , cheneppure ci tocca almeno per ora, si ha quando si designaa quel modo lo stato dello spirito o di una delle sueforme, o pi correttamente, gli stati, perch il sentimentocosi inteso si polarizza, com' noto, nei due termini oppo-sti, denominati di solito piacere e dolore. Questi duetermini possono essere presi anch'essi psicologicamente;onde accade che gli psicologi li concepiscano come gliestremi di una serie continua, nella quale si passi dall' untermine all'altro per accrescimenti e gradazioni insensibili.Ma questa rappresentazione psicologica non la sola pos-sibile, anzi non quella veramente reale, e i due termininella filosotia dello spirito, appunto perch opposti, nonsi differenziano per un pi e un meno, per un massimoe un minimo, ma per l'ufficio stesso che essi tengono di opposti ; la dottrina dei quali per altro non cade inquesto punto della nostra esposizione. Negando il senti-mento, qui si nega non gi la dottrina degli opposti, nquella psicologica degli stati dello spirito che sopra essasi fonda, ma la dottrina del sentimento, considerato qualeforma peculiare di attivit.

    Ufficio del La concezione del sentimento come attivit spiritualeconcetto di j^ adempiuto, nella storia della filosofia, a un bisogno disentimento r 70ella storia ricerca, che si pu chiamare l'escogitazione provviso-

    (leiia flioio- ^.^^ Q . ^j^j volta ci S trovati innanzi a una formafla: l'indeter- " ^minato o sottoforma di attivit spirituale, che non si riusciva n

    a eliminare n ad assorbire nelle forme gi riconosciute,si contrassegnato il problema da risolvere con quella pa-rola sentimento , che altri poi ha scambiato per unasoluzione. Il sentimento era l'indeterminato, o meglio

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    II. NEGAZIONE DEL SENTIMENTO 17il non ancora pienamente determinato, il semideter-minato.

    Di qui la sua grande importanza come accenno a nuoviterritori da conquistare e pungolo a non rimanere ostina-tamente chiusi in vecchie formolo insufficienti. Ma di quianche il suo destino: il problema non pu essere scam-biato per soluzione, l'indeterminato o semideterminatodev'essere determinato. Sempre che la determinazione delleforme o sottoforme dello spirito non data in modo com-pleto, risorger (e si prover, benefica) la categoria del sen-timento; ma risorger insieme il dovere d'indagarla eintendere che cosa le si celi dietro, e quale difficolt nonrisoluta l'abbia fatta sorgere di nuovo.

    Neil' investigare la filosofia dello spirito teoretico gi cisiamo incontrati pi volte col e sentimento >, proposto comeuna forma spirituale che soddisfi bisogni di conoscenzafuori e di sopra le forme teoretiche ammesse d'ordinario;e, ogni volta, l'esame attento T ha dissipato dinanzi ai no-stri occhi, ma insieme, nell'occasione di ciascuna di quellecritiche, ci accaduto o di scorgere qualche forma primaignota di determinare meglio quelle gi note.

    Per esempio, quando una speciale forma estetica non il sentimen-era ben riconosciuta, e si tentava di spiegare il fatto este- *

    '''*^JV" annunzio del-tico sia intellettualisticamente come nient'altroche forma la forma -

    inferiore di filosofia, sia storicisticamente come riproduzione '*"^*-del dato storico e naturale, sia utilitariamente come sod-disfazione di certi bisogni volitivi (teoria edonistica), fugran bene che l'arte venisse considerata come forma chenon era riducibile n all'intelletto n alla percezione nalla volont e conveniva rimandare al sentimento. Appro-fondendo questo punto, si fini con lo scoprire una formateoretica afiatto semplice e ingenua, priva di determina-zione cosi concettuale come storica: la forma dell'intui-zione pura, che quella propria dell'attivit estetica e ar-

    B. Crock, Filosofia della pratica. t

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    18 l'attivit pratica nelle sue relazionitistica. Ma, scoperta T intuizione pura, chi torna a trattarel'arte come prodotto di sentimento, ricade dal determinatonel semideterminato o indeterminato.NeUa Istori- Allo stesso modo, fu un progresso nella teoria della sto-

    ca: prean- pjoorrafia il chiaro riconoscimento che l'affermazione storicanunzio del- '^l'elemento non S possa dedurre da concetti, ma si fondi sovra l' imme-intmtivo. diato sentimento del reale, cio sull'elemento intuitivo,

    indispensabile a qualsiasi ricostruzione storica come a qual-siasi percezione. E in "un significato affatto diverso (cio,reagendosi contro la falsa idea di un'oggettivit storicache sia da riporre nella mera riproduzione del dato) benesi mise in luce che nessuna narrazione storica possibilesenza la reazione del sentimento verso il dato, per-ch si venne a riconoscere per mezzo di questa curiosa ter-minologia l'ufiicio dell'elemento soggettivo o intellettivonell'affermazione storica. Chi ora, dopo la teoria del giu-dizio storico come sintesi a priori, riparla del sentimentocome fattore della storiografia, torna dal chiaro al confuso,e dalla luce, se non proprio alle tenebre, al crepuscolo.

    Nella Logi- Importanza capitale il concetto di sentimento ebbe nel*^* **nnun2h) P''ogr

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    II. NEGAZIONE DEL SENTIMENTO 19come ragione, il pensiero come pensiero speculativo,quel sapere immediato che intrinseca e perpetua me-diazione. Chi ora, dopo la scoperta del concetto puro ospeculativo, torna al sentimento e lo ripropone organo dellafilosofia e della religione, battagliando in forza di esso con-tro le discipline naturali e matematiche, fa come colui chevolesse ai t^mpi nostri tornare al fucile a pietra, per labella ragione che questo fu un progresso sull'arco e sullabalestra. Gl'invocatori del sentimento nella filosofia sonoora alquanto ridicoli: il che non toglie che una volta fos-sero seri, e che quel concetto abbia assai giovato in quantoconcetto provvisorio e quasi bozzolo della nuova idea dellafilosofia.

    La medesima vicenda ci accadr di osservare nell'in- Analogo uffi-vestigazione che abbiamo iniziata circa i problemi della l^^J^^ ^ ,j'^forma pratica dello spirito, dove altres stato introdotto pratica,quel concetto, derivandone alcune proposizioni di cui in-dicheremo via via ai loro luoghi il significato vero. Percominciare anzi fin da ora (e restringendoci soltanto allaquestione gi delibata della realt di una forma peculiarepratica), facile intendere perch sia stato tante volte so-stenuto, contro gli esclusivi intellettualisti o teoreticisti,che la volont non consiste nella conoscenza ma nel senti-mento; che il principio dell'azione non principio intellet-tivo ma emozione sentimentale; che la ragione, le idee, ifatti percepiti non bastano a produrre un atto di volont,pel quale si richiede che tutte queste cose si trasforminoin sentimenti e s'impossessino dell'animo; che il fondodella vita vissuta, ossia dell'attivit pratica, non il pen-siero ma il sentimento; e via discorrendo. Con codeste for-mole si veniva riconoscendo la peculiarit dell'attivit pra-tica. La teoria sentimentalistica della pratica rappresentaun passo innanzi rispetto alla teoria intellettualistica, per-ch il germinare dell'indeterminatezza progresso rispetto

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    20 l'attivit pratica nelle sue relazionialla cattiva determinatezza e prepara una nuova e miglioredeterminatezza.

    Negaxione Ma In questa stessa nostra maniera d'intendere il va-dei concetto j^^.^ ^j quelle formole si racchiude la risoluta negazione didi sentimeli- ^ ^to. esse, ove tendano a persistere dopo aver adempiuto l'ufficio

    loro, e a mantenere accanto alla conoscenza e all'azioneuna terza forma generale dello spirito: il sentimento. Nes-sun fatto dello spirito, ossia nessuna manifestazione di at-tivit, si pu addurre che, esaminata non superficialmente,non si risolva in un atto di fantasia, d'intelletto e di per-cezione, cio di teoria (quando non si sveli addiritturacome astrazione o classe meramente psicologica di codestiatti); ovvero a un atto di volizione utilitaria o etica(quando non sia, di nuovo, classe psicologica designatavariamente come di aspirazioni, passioni, affetti e simili),cio di pratica. Cerchi chi vuole nel suo animo, e siprovi a indicare un atto solo che sia, a differenza dei so-praindicati, qualcosa di nuovo e originale, non teoretico enon pratico, e meriti la speciale denominazione di sen-timento

    L'eaciusione La quale osservazione di fatto (ripetiamo l'avvertenza)non se non l'avviamento alla dimostrazione, che unaterza forma non solo non c', ma non ci pu essere.Dimostrazione che sar chiara pili oltre e coincider colchiarimento della necessit delle due forme, teoretica epratica. Riconoscendo come legittima l'esigenza di una de-duzione filosofica delle forme dello spirito, e perci di unanegazione deduttiva delle forme spurie e falsamente am-messe, ci sembra che anche questo modo di negazione riu-scir pi semplice e persuasivo, se sar alquanto ritardato.

    deduttiva diesso

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    Ili

    relazionedell'attivit pratica con la teoretica

    Ddella teoreti-ca sulla pra-

    opo esserci liberati dairequivoco terzo termine del sen- Precedematimento, nel passare all'enunciato problema della relazionetra l'attivit teoretica e la pratica, dobbiamo stabilire an- tica.zitutto la tesi: che l'attivit pratica presuppone quellateoretica. Senza conoscenza non possibile volont; qualela conoscenza, tale la volont.

    Neil'affermare questa precedenza della conoscenza sulla L'unit* dei-volont non si vuol dire che sia concepibile un uomo ^p'"*"' "^ la compre-teoretico, e nemmeno un istante temporale teore- sensiaiittico, privo affatto di volont. Sarebbe codesta un'astra- '" p""**-' '^ ca.zione irreale, inammessibile nella filosofa, che opera sol-tanto con astrazioni reali, cio con universali concreti. Leforme dello spirito sono distinte e non separate; e quandolo spirito si considera in una delle sue forme ossia espli-cito in essa, le altre forme sono egualmente in lui, benchimplicite o, come si suole anche dire, concomitanti.Se l'uomo conoscitivo non fosse insieme volitivo, non po-trebbe neppure tenersi in piedi e guardare il cielo; e nonpotrebbe pensare, perch il pensare insieme un atto divita e di volont, che si chiama attenzione. Ogni cono-scenza sorge sul tronco di una volizione. La volont non certamente la teoria, come non la forza che fa germo-gliare il grano o guida il corso dei fiumi; ma come pr-

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    22 l'attivit pratica nelle sue relazionimuove Ih cultura del grano o infrena l'impeto distruttoredei fiumi, cosi promuove e infrena la forza della fantasia edel pensiero, facendo che essa operi nel miglior modo, cioche sia veramente quale dev'essere, fantasia e pensiero nellapi pura attuazione. Anzi, guardando sotto questo aspetto,l'attivit pratica impera; e non solo strappa lo scienziatodal suo gabinetto e l'artista dal suo studio se bisogni di-fendere la patria o vegliare accanto al letto del padre am-malato, ma nella cerchia stessa della scienza e dell'artecomanda all'uno e all'altro, indirizzandoli e tenendoli saldial loro fine particolare che il culto della scienza e dell'arte.

    Rifiuto del Tutti gli argomenti, che sono stati addotti in passatoprammati- ^ ^^^^ ^j ^dducono di presente per sostenere la dipendenzasino. r r irdell'attivit teoretica dall'attivit pratica, valgono (per queltanto di verit che recano con s) a dimostrare solamentecodesta unit delle forme spirituali e la necessit del volereper la salute dello stesso spirito conoscitivo. Ma nient'al-tro che sofisma fondato sai doppio significato della parola produzione il passaggio da questa tesi all'altra cheil vero sia produzione della volont, dovendo essere chiaroche altro promuovere merc la volont l'opera delpensiero, e altro sostituire la volont all'opera del pen-siero. Pretendere di sostituire il pensiero con la volontequivale a negare quella forza che si dovrebbe promuo-vere; ed , dunque, la pi aperta professione di scetti-cismo, la sfiducia pi completa nel vero e nella possibi-lit di conseguirlo. Tale pretesa si chiama ora pram ma-li srao, o almeno uno dei significati di questa parola,divenuta motto d'ordine della scuola pi confusionaria chaRia mai sorta in filosofia. II pramraatisrao, infatti, abbrac-cia i concetti pi disparati: la virt promotrice che lavolont ha sul pensiero; il procedere volitivo o arbitrariocol quale le percezioni e i dati storici sono ridotti a tipiastratti nelle discipline naturali o si enunciano i postulati

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    III. l'attivit pratica e la teoretica 23per costruire gli schemi delle matematiche; il pregiudiziobaconiano dell'esclusiva utilit delle discipline naturali ematematiche pel bene della vita; il pregiudizio positivi-stico che altro non sia dato conoscere se non ci che ar-bitrariamente comprimiamo nei tipi e schemi del natura-lismo e della matematica; l'esagerazione romantica delprincipio della potenza creativa dell'uomo, onde allo spi-rito universale si surroga il capriccio dell'individuo; l'as-serita utilit di foggiarsi illusioni e tenerle per vere; lesuperstizioni occultistiche e spiritistiche, e altre cose an-cora che omettiamo. Se il prammatismo ha avuto o serbaqualche attrattiva, deve ci alla verit di alcuni di questiconcetti (in particolare dei due primi); ma, quanto al restoe al significato generale della dottrina, sar bene ripeterecoi vecchi filosofi che chi nel pensare dice: voglio cosi perduto per la verit.

    Meritano appena breve menzione alcune riserve che si Critica di:o-fanno all'enunciata verit da quella maniera di filosofia ^'eiom psi-^ cologiciie.che si da noi denominata psicologica. Nei trattati diPsicologia si trova scritto che la conoscenza precede bensl'atto pratico, ma soltanto nelle forme alte della volizione,perch nelle forme basse si avrebbero semplicemente im-pulsi, tendenze, appetizioni, ciechi affatto di ogni cono-scenza, talch si potrebbe parlare perfino di forme invo-lontarie dell'attivit pratica, di una volont che non sa-rebbe volont, posto che la volont vera stata definitaappetizione rischiarata da precedente conoscenza. Da que-sto concetto, foggiato dagli psicologi, di un atto praticosenza intelligenza, sorta poi la cieca volont di alcunimetafisici, che, come accade, hanno dato valore di realta un rozzo tipo di classe. Ma una volont cieca incon-cepibile, e qualsiasi forma per rudimentale e povera chesia di attivit pratica presuppone sempre qualche cono-scenza, povera e rudimentale che sia. Anche negli ani-

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    24 l'aitiVITA PRATICA NELLE SUE RELAZIONImali? si domander. Anche negli animali, posto che questisiano, e in quanto sono, centri di vita, epper di perce-zione e di volont; e anche nei vegetali, e anche nei mi-nerali, sempre nell'ipotesi anzidetta. Come abbiamo allon-tanato dall'Estetica e dalla Logica ogni forma di aristo-craticismo, stimandola dannosissima all'intelligenza diquelle attivit, cosi dobbiamo allontanarla dalla Filosofiadella pratica. L'illusione aristocratica strettamente im-parentata con l'altra onde a noi, rinchiusi nell'egoismodella nostra individualit empirica, vuol parere che noisoli intendiamo la verit, noi soli sentiamo il bello, noisoli sappiamo amare. Ma la realt democratica.

    Dal punto di vista psicologico stata mossa ancheun'altra obiezione. La conoscenza (si osservato) non puessere base indispensabile della volont, se vero, com'vero, che uomini ignoranti siano praticamente pi efficacidi molti dotti e filosofi, ricchi di conoscenze e di buoneintenzioni, ma incapaci di condursi nella vita reale. Ma evidente che in questi casi il cosiddetto ignorante ha lecognizioni che fanno all'uopo e che mancano al dotto e alfilosofo, i quali sono da dire perci, proprio essi, veri igno-ranti: come di fronte a Giovanni dalle Bande nere eraignorante Niccol Machiavelli quando tenne gli spettatoriper due ore al sole a bada per ordinare tremila fanti se-condo quell'ordine che aveva scritto, e mai non gli vennefatto; e il signor Giovanni invece, in un batter d'occhio,con l'aiuto dei tamburini, li ordin in vari modi e forme,e condusse seco raesser Niccol a desinare, che altrimenti(conclude l'aneddotista) per quel giorno non si desinava*:

    MfttarA del La conoscenza che si richiede per l'atto pratico nonprecedente ^ ^a. conoscenza dell'artista e neppure quella del filo-teoretico del- ^ ^u pratica: la sofo, o, meglio, anchc queste duo, ma solo in quantooono)icenr.a _storica.

    i Bamdrli.o, Novlle, I, 4, intr.

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    III. l'attivit pratica e la teoretica 25si ritrovino entrambe quali elementi cooperanti nella cono-scenza ultima e compiuta, che quella storica. Se la primasi chiama intuizione, la seconda concetto e la terza perce-zione, e si fa della terza il risultato delle due prime, si dirche la conoscenza occorrente all'atto pratico la cono-scenza percettiva. Di qui il detto comune che loda nel-l'uomo pratico il colpo d'occhio sicuro: di qui anche lostretto legame che si pone tra senso storico e senso praticoe politico; di qui, infine, la giustificata diffidenza versocoloro che, impotenti ad affisare la realt eflFettuale, speranodi raggiungerla a furia di meri sillogismi e di astrazioni, ocredono di averla raggiunta quando hanno costruito unedificio fantastico, mostrando chiaro a questo modo di nonpoter diventare mai uomini pratici, almeno in quella sferad'azione cui mirano di presente.

    Siffatta conoscenza non di certo, per s, l'atto pra- Conooenttico. Lo storico come tale contemplatore, non uomo f.' *^* ^ ^'pratico e politico: se non scatta quella scintilla, che lavolizione, il materiale della conoscenza non s'infiamma enon si converte in alimento della pratica. Ma quella co-noscenza la condizione, e senza la condizione non nasceil condizionato: nel qual ultimo significato vero cheazione conoscenza e volont sapienza, cio che voleree operare, com' ben chiaro, suppongono conoscere e sa-pere. E in questo stesso significato, ossia quando si consi-deri solamente lo stadio dell'indagine conoscitiva che formala premessa dell'azione, la deliberazione pu anche esseredetta, per metafora, atto teoretico. Metafore sono anchele espressioni consuete di azioni logiche , razionali > giudiziose ; perch l'azione potr essere energica ofiacca, coerente o incoerente, ma non gi avere quei pre-dicati, che sono propri degli atti teoretici che precedono leazioni, e nei quali le metafore predette hanno il loro fonda-mento. Nondimeno, quali sono gli atti teoretici, tale nasce

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    26 l'attivit pratica nelle sue relazionil'atto pratico: tanto si pu quanto si sa. La volizione non il mondo circostante, che lo spirito percepisce; un'ini-ziativa, un fatto nuovo: ma questo fatto ha le radici nelmondo circostante, questa iniziativa iridata dei coloridelle cose che l'uomo ha percepito come spirito teoreticoprima di operare come spirito pratico.

    Continua E qui importa osservare (cosi per impedire un equivoco"*f^*"'^ in cui molti cadono, come per le conseguenze che ci av-QClift D&S6teoretica del- verr di trame) che non bisogna concepire la cognizionel'aaione. percettiva della realt che ci attornia, quale base ferma

    su cui si operi traducendo in atto la formata volizione,Perch cosi fosse, converrebbe supporre che il mondo cir-costante, percepito dallo spirito, si arrestasse con l'attopercettivo; il che non . A ogni attimo, quel mondo cangia,l'atto percettivo percepisce il diverso e il nuovo, e l'attovolitivo cangia secondo quel cangiamento reale e perce-pito. Percezione e volizione si susseguono a ogni attimo;per volere bisogna, a ogni attimo, toccare la terra e ri-pigliare forza e direzione.

    Nessun altro Percezione continua e continuamente cangiante: eccoprecedente j^ necessaria condizione .teoretica della volizione. Neces-teoretico, ol-tre quello saria e unica. Altro alto teoretico non occorre, perchstorico. ^gjjj ^jj.j.^ ^ incluso in quello, e di l da quello nessun

    altro pensabile.Ma se ci vero, se nessun altro atto teoretico fuoridi quello precede la volizione, nell'esposta dottrina si con-tiene la critica di una serie di altre teorie generalmenteammesse nei libri di Filosofia della pratica non meno chenel pensiero comune, e delle quali nessuna pu da noi ser-barsi senza correzioni e interpetrazioni.

    I colf detti Per dir meglio, non si tratta di pi teorie da criticare,.onootti e j^^ jIj ^^^ g^]^ ^^Y\e si presenta sotto diversi aspetti eKludixl pra- ^fici. prende nomi diversi, e secondo la quale nel complesso di

    cognizioni di cui si finora discorso (assomraantisi nel gi-

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    in. l'attivit pratica e la teoretica 27dizio storico) non si avrebbe tutto quanto occorre per pro-cedere alla volizione e azione, e dovrebbe sorgere ancorauna forma speciale di concetti e di giudizi (concetti e giu-dizi pratici), i quali, mediando tra il precedente giudi-zio storico e la volont, renderebbero essi soli possibilequest'ultima. Non sta di fatto forse che noi possediamo con-cetti pratici, ossia di classi di azioni e di direttive supremedi azioni, concetti di beni, d'ideali, di fini, e che pro-nunciamo giudizi valutativi, applicando quei concetti al-l'immagine di determinate azioni? Non cosa indubitabileche quei giudizi e quei concetti si riferiscono non al sem-plice presente, ma al futuro? E come mai si potrebbe volerese non si sapesse quel che bene volere, e che unacerta azione possibile risponde a quel concetto di bene?

    Ora, che i concetti e i giudizi di sopra indicati sussi- Posterioritstano di fatto, non si nega. Ma ci che si deve negare reci- ^^^ f,^^^^V" pratici al-samente che essi differiscano in qualcosa dai restanti ratto prati-concetti e giudizi teoretici, che meritino di essere distinti *^"dagli altri come pratici, e che abbiano per oggetto il fu-turo. 11 futuro, ci che non , non oggetto di cono-scenza; la materia che si giudica, consista essa di azioni odi pensieri, non muta il carattere logico e teoretico del giu-dizio; i concetti dei modi di azione sono concetti n pi nmeno che quelli dei modi di pensiero. Con la quale nega-zione, si viene insieme a negare che essi possano interporsitra conoscenza e volont. Non che anteriori alla volizione,quei giudizi le sono posteriori.

    Poniamo un caso semplicissimo, e vediamone l'analisisecondo la teoria che abbiamo preso a confutare. inverno;sento freddo; ho vicino un bosco; so che col tagliare legnasi pu accendere il fuoco, e che il fuoco d calore; mi ri-solvo, dunque, a tagliar legna. Ci sembra adeguatamenteespresso dalla seguente catena di proposizioni: Conoscola situazione di fatto, cio che io sento freddo, che le le-

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    28 l'attivit pratica nelle sue relazionigna producono fuoco e il fuoco calore, e che vi sono legnatagliabili. Ho il concetto che bene garentire la salute delcorpo. Giudico che, col calore, provvedere alla mia salutenell'inverno, e, per conseguenza, che il calore un bene,e il tagliare legna, senza le quali non posso procurarmelo, eziandio un bene. Onde, compiute tutte queste rifles-sioni, faccio scattare la molla della volont e vogliotagliar le legna. Pure questa anfilsi, che si direbbeovvia, affatto illusoria, perch il giudizio pratico: io,tagliando le legna, operer bene, significa gi: io vo-glio tagliare le legna ; e questo un bene > non vuoldir altro se non : questo io voglio . Canger volizioneun istante dopo, surrogandola con altra diversa o contra-ria: non importa: nell'attimo in cui ho formato quel giu-dizio, mi son dovuto percepire nell'atteggiamento volitivodi uno che tagli legna, e dunque il volere ha dovuto pre-cedere, altrimenti quel giudizio non sarebbe mai sorto.Posta la prima situazione di fatto ed esauritasi essa nelgiudizio, nessun altro giudizio pu formarsi, se la situa-zione di fatto non cangia, se qualcosa di nuovo non soprag-giunge. Questo qualcosa di nuovo sempre la mia volizione,la quale, cangiandola situazione (nell'esempio: col portarmidalla casa presso l'albero, o semplicemente, col protenderein modo quasi impercettibile il corpo verso l'azione voluta,come accade nel desiderio), aggiungendo dunque alla realtdata qualcosa che prima non c'era, prepara materia a unnuovo giudizio. Giudizio che si chiama pratico, ma che teoretico come gli altri che lo precedono ; che si crede an-teriore aliar volizione, laddove in realt susseguente; chesi 8caml)ia come condizione della volont di l da venire,laddove gi la volont in atto che si mira allo specchio:giudizio, insomma, non gi pratico, ma storico.

    L'illusione che In cosa accada altrimenti generata dalfatto che noi possediamo giudizi circa le nostre passate ve-

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    III. l'attivit pratica e la teoretica 29lizioni, riassunti in tipi e forinole generali, come: il ta-gliare legna bene . Ma quelle forinole e tipi sono stateastratte a loro volta da volizioni precedenti; e perci anchenon hanno valore perentorio nella concreta e nuova situa-zione e possono essere modificate e sostituite da altre chedicano l'opposto. Non si tratta di sapere se il tagliare legnasia stato per me, di solito, un bene, e sia stato da me vo-luto, di solito, nel passato: si tratta di volere la cosa inquesto momento, cio di considerare il tagliar legna inquesto momento come un bene.Al pari dei pretesi giudizi pratici e dei concetti di Posterioritclasse astratti da essi, anche i concetti che essi recano con natici""*s di beni, di ideali, di fini, di azioni degne di esservolute e via discorrendo, non precedono ma succedonoall'accaduta volizione. Questi concetti sono l'incipiente ri-flessione scientifica e filosofica sugli atti spontanei della vo-lont, e non si fa la scienza n si filosofa se non sui fattiaccaduti: se il fatto non precede, non sorge la corrispon-dente teoria. Di certo, la teoria non fa altro che ricreare ilgi creato e dare in forma di principi pensati quelli che sonoi principi reali delle azioni; allo stesso modo che la Logicascopre i principi che vivono e operano nel pensiero logico.Ma come la formola del principio di contradizioue non necessaria al pensare senza contradizione e anzi lo presup-pone, cosi i concetti dei fini, dei beni, degli ideali non sononecessari alle volizioni, anzi le presuppongono.

    Nell'errato presupposto dei principi e giudizi pratici Origine diche precedano le volizioni, ha uno dei suoi sostegni la tesi ti!'[t"*,i'ridella volont come conoscenza, e la proposizione che chi che e senti-conosce il proprio bene lo vuole anche, e chi non lo vuole ""*'*'*'non lo conosce. Tesi da invertire, perch conoscere il pro-prio bene significa averlo voluto. E, per altra via, allostesso presupposto si riduce l'altra tesi dell'impossibilitdella volizione, se tra il conosciuto e la volont non s'in-

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    30 l'attivit pratica nelle sue relazioniterponga il sentimento, il quale d come un valore par-ticolare ai fatti e li fa sentire tali che debbano essere pro-mossi o contrastati e cangiati. Alla quale tesi da rico-noscere il solito merito delle teorie del sentimento: diavere destato o ridestato la coscienza della peculiarit dell'atto pratico e combattuto le riduzioni e identificazioniintellettualistiche; merito che non manca del tutto allastessa teoria generale dei giudizi pratici, i quali, benchchiamati giudizi, erano considerati tuttavia come differentidagli altri giudizi, e differenti appunto perch pratici,

    i concetti d Mostrato, per tal modo, non esser vero che l'uomo primafine e mezzo. (jQ^^g^a jj fl^e e poi lo voglia, S pu stabilire pi esat-

    tamente quel che sia da intendersi per fine. Il fine in uni-versale dunque il concetto stesso di volont, e consi-derato nell'atto singolo come questo o quel fine, nien-t'altro che questa o quella volizione determinata. Dondeanche una migliore definizione del rapporto di esso colmezzo, che si suole empiricamente ed erroneamente con-cepire quasi parte di volizione e di azione al servigio diun'altra parte di esse. Un atto volitivo unit inscindibile,e solo per comodo pratico si pu darlo come diviso. Nel-l'atto volitivo, tutto volizione, niente mezzo e tutto fine. Il mezzo non altro che la situazione di fatto, dallaquale l'atto volitivo prende le mosse, e solo cos il mezzosi distingue davvero dal fine. Si distingue, cio, e si uni-fica insieme; perch se, come si notato, la volizione non la situazione, d'altra parte tale la volizione quale la si-tuazione: l'una varia in funzione dell'altra. Di qui l'as-sardit della massima che il fine giustifica il mozzo:massima di carattere empirico, sorta talora per giustificareazioni che erroneamente si ritenevano ingiustificate, e pispesso per lasciar passare come giuste quelle che eranoingiustificabili. Tal mezzo, tal fine: ma il mezzo il datot non ha bisogno di giustificazione, il fine il voluto edeve giustificarsi in s medesimo.

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    III. l'attivit pratica e la teoretica 31A causa della continua mutevolezza del mezzo, ossia Critica dei

    della situazione di fatto, da abbandonare l'idea che si fi"^ come di-' segno fisso.suole avere della finalit, secondo la quale essa porrebbe ilfine come qualcosa di fisso, come un disegno che si vadapoi eseguendo. Nel che anche di recente si fatta consi-stere la differenza tra la finalit dell'uomo e quella dellanatura; la quale ultima sembrata che operi con un di-segno che cangia, accomoda e rifa a ogni istante secondole contingenze, in modo che il punto d'arrivo non perlei predeterminato n predeterminabile. Ma il medesimo ditutto punto da dire della volont umana e della sua fina-lit. Anch'essa cangia a ogni attimo; come cangia a ogniattimo il movimento del nuotatore o dell'atleta, secondoil moto del mare o dell'atleta avversario e secondo la va-riante misura o qualit delle proprie forze nel corso delprocesso volitivo. L'uomo opera caso per caso e d'istantein istante, attuando la sua volont di ogni istante e nongi quel concetto astratto, che si dice disegno. Da cianche la conferma, che non possibile fornire modelli otipi fissi di azioni: colui che cerca e aspetta codesti mo-delli e tipi un individuo che non sa volere, privo di quel-r iniziativa, di quella creativit, di quella genialit, chenon meno indispensabile all'attivit pratica di quantosia all'arte o alla filosofia.

    Sembrer che per tal modo la volizione diventi voli- La volizionezione dell'incognito e si contrasti troppo paradossalmente ''"

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    32 l'attivit pratica nelle sue relazionivolont volont dell'incognito; vale a dire s mede-sima, la quale, in quanto vuole, non si conosce, e si cono-sce solamente quando ha effettuato il volere. Una sorta distupore ci colpisce talvolta, quando ci facciamo a inten-dere le azioni da noi compiute: ci accorgiamo allora dinon aver fatto quel che prevedevamo, e di aver fatto, in-vece, quel che non prevedevamo. Da ci anche la fallaciadelle concezioni che presentano l'uomo volitivo come cir-condato da cose che egli vuole o non vuole; laddove lecose, o meglio i .fatti, sono mero oggetto di conoscenza enon si possono volere o non volere; come impensabilevolere o non volere che Alessandro Magno non sia esistito,o che Babilonia non sia stata distrutta. Ci che si vuolesono non gi le cose ma i cangiamenti delle cose, ciole volizioni stesse. Anche quella concezione fallace sorgedallo scambiare la volont reale con gli astratti e con leclassi di volizione.

    Critica del E da osservare in ultimo che l'errato concetto di unaconcetto i ^Q^^g^ ^j scienze chiamate pratiche o normative ha fon-scienze pra- ^tiche e di daiucuto nella concezione del fine, del bene, dei concettimia tiioso- g giudizi di valorc, come precedenti l'azione. Tolti di

    mezzo i concetti e giudizi pratici in quanto speciale cate-goria di concetti e giudizi, tolta insieme l'idea stessadi una scienza pratica e normativa. Perci la filosofiadella pratica non pu essere filosofia pratica; e se parso che essa formasse un caso singolare tra le altretilosofle e dovesse almeno lei serbare ufficio pratico e nor-mativo, ci accaduto per un equivoco di parole moltoseducente sebbene molto ingenuo, che dal canto nostro cisiamo sforzati di dissipare perfino sul frontespizio dellanostra trattazione, intitolata, contro l'uso corrente, nonpratica ma della pratica.

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    IVINSCINDIBILIT DELL'AZIONE DALLA SUA BASE REALE

    K NATURA PRATICA DELL'ERRORE TEORETICO

    n\_7hiarito nel modo che si detto il rapporto delia situa- Coincideniazione di fatto con la volizione, del mezzo col fine, non ^''>^''*ione' e volisione. accettabile nessuna distinzione tra volizione generale evolizione concreta, tra volizione ideale e volizione reale,tra intenzione, cio, e volizione. L'intenzione e la vo-lizione coincidono in ogni punto; e la loro distinzione,suggerita di solito anch'essa dal bisogno di giustificarel'ingiustificabile, si discopre affatto arbitraria in entrambele forme in cui si suole presentarla.

    La prima delle quali si vale della contrapposizione di volizione inastratto e concreto, e afferma che si pu volere il bene *"*''* ' ^ in concreto:in astratto e non sapere poi volerlo in concreto, e perci criticache si pu avere buona intenzione e condursi male. Mavolere l'astratto (per la riduzione gi. dimostrata della cosavoluta alla volizione) tanto vale quanto astrattamentevolere. E volere astrattamente tanto vale quanto nonvolere; se la volizione richiede una situazione storica-mente determinata, dalla quale essa sorga come atto pari-mente determinato e concreto. Onde dei due termini dell'as-serita distinzione, cade il primo, la volizione dell'astratto;e rimane solamente il secondo, la volizione concreta, che la vera e reale intenzione-volizione.

    B. Croce, Filosofa delta pratica. 3

  • 8/22/2019 Croce Benedetto, Filosofia Della Pratica, Economia Ed Etica (III Ediz. 1923)

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    34 l'attivit pratica nelle sue relazioniVoUxione im- Nella seconda forma si abbandona l'astratto pel con-maginata e ^pg^Q j^g, nello stesso concreto si pongono due atti voli-le: critica. tivl dlversi : reale l'uno e nascente dalla determinata si-

    tuazione di fatto; l'altro solamente pensato o immaginato:quello sarebbe la volizione, questo l'intenzione. semprepossibile, secondo siffatta teoria, dirigere l'intenzione,ossia alla volizione reale congiungere l'atto volitivo imma-ginato, e produrre un nesso in cui la volizione in unmodo e l'intenzione in un altro: la prima cattiva e la se-conda buona, o la prima buona e la seconda cattiva. Cosil'onest'uorao, approvato dal gesuita di cui narra il Pascal,pur desiderando la morte di colui dal quale aspetta un'ere-dit e rallegrandosene quando essa accade, d al suo de-siderio e al suo compiacimento un'impronta morale colpensare che ci ch'egli intende raggiungere la prospe-rit della sua azienda e non la morte del suo simile. Ov-vero il medesimo onest'uomo ammazza colui che gli hadato uno schiaffo; ma, in questo atto, ferma il pensierosulla difesa del suo onore e non sull'omicidio : non sapendoastenersi dall'azione, purifica almeno (com crede) l'inten-zione. Il male che la situazione reale, la sola di cui sipossa tenere conto, la situazione storica e non quella im-maginata; e nella conseguente volizione, presa nella suaschiettezza, si tratta non gi della propria prosperit sen-z'altro, ma della propria prosperit congiunta con lamorte altrui, ossia della falsa prosperit; non del proprioonore senz'altro, ma del proprio onore congiunto con laviolazione della vita altrui, ossia del falso onore: il chefa di quella asserita innocente prosperit e di quell'asseritolegittimo onore due cattive azioni qualificate, rendendoci che era onesto nel caso immaginato, disonesto nelcaso reale, che il solo che importi. Non giova fingereuna situazione diversa dalla reale, perch a questa e nonall'altra si riferisce l' intenzione; la quale non si pu

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    IV. INSCINDIBILIT DELL'AZIONE DALLA SUA BASE 35dirigere, ossia cangiare, se non cangia la situazione difatto.

    Dai sofismi qui confutati sorta quell'antipatia chepi volte si venuta manifestando contro gli uomini dibuon cuore e di buone intenzioni, e contro le dottrinepratiche assumenti a loro principio l'intenzione (la moraledell'intenzione, e altrettali). Ma poich per noi ormaichiaro che quei pretesi uomini di buon cuore e di buoneintenzioni non hanno in effetti n buon cuore n buoneintenzioni e sono nient'altro che ipocriti, e poich nonconcepiamo distinzione alcuna tra intenzione e volizione,non avremo n timor