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III E a.s. 2019-2020 Covid-19 Racconti di fantascienza e fantascientifici disegni Casa Editrice Indipendente Parco della Vittoria - Roma

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  • III E a.s. 2019-2020

    Covid-19

    Racconti di fantascienza e fantascientifici disegni

    Casa Editrice Indipendente Parco della Vittoria - Roma

  • a cura di Florence Granozio e di Roberta Geremia

  • Sommario

    “Tentativo Fallito” di Gloria Abebe

    “Mille bolle blu” di Bruna Ausili

    “L’alieno e il virus” di Rocco Berardelli

    “L’ultimo sopravvissuto” di Metello Flavio Boldrini

    “La falsa cura” di Anna Botteselle

    “Il punto zero” di Maria Vittoria Capolli

    “Un liquido spaziale” di Beatrice Carbonoli

    “The maze fangirl” di Vittoria Carnovale

    “Un pianeta che ha saputo dare un senso alla vita!” di Louise Cereti

    “Viaggio nel passato” di Ottavia Ciaccheri

    “Messaggio alle generazioni future” di Maria Francesca de Vincenzi

    “Ocuvirus” di Giacomo Di Giugno

    “Il virus che unisce” di Alessandro Ferreri

    “Quale teoria avrebbe vinto?” di Adele Gargani

    “Il mio obiettivo” di Alessandro Giammatteo

    “Il cambiamento dell’umanità” di Andrea Giovannone

    “Covid-19” di Francesco Gobbi

    “Intervento a cuore aperto” di Lucrezia Laporta

    “Il virus Eris” di Sveva Lichino

    “Il dominio del pianeta Corona” di Gaia Mortilla

    “Missione fallita” di Carlo Palatucci

    “Ritorno a casa” di Francesca Petrino Flocco

    “Un contagio spaziale” di Riccardo Piras

    “Un esperimento inaspettato” di Camilla Santangelo

    “Un disastro fatale” di Caterina Selvaggi

    “L’origine del Covid-19” di Chiara Elena Tamasco

    “La fine” di Flaminia Valli

  • “Tentativo Fallito” di Gloria Abebe

    31 dicembre 2019: Le autorità sanitarie cinesi hanno reso nota la presenza di un focolaio di sindrome febbrile, associata a polmonite di origine sconosciuta,

    tra gli abitanti di Wuhan.

    9 gennaio 2020: L’Organizzazione Mondiale della Sanità ha confermato che

    l'agente patogeno responsabile dell'epidemia è un nuovo beta-coronavirus, che è stato denominato ‘2019-nCoV’. Fa parte di una famiglia di virus che causa

    infezioni negli esseri umani e in una varietà di animali. Si tratta infatti di virus diffusi in natura, che possono causare sintomi respiratori a volte anche gravi.

    11 gennaio 2020: La Cina ha annunciato il primo decesso legato ai casi di

    polmonite virale.

    2027: Tutti erano morti a causa del virus; erano rimasti in vita solo gli animali

    e un uomo di nome William, di 20 anni, che viveva in Italia.

    Nonostante non si potesse uscire, un giorno William ebbe il coraggio di uscire

    una mattina, dopo anni di quarantena. Uscì, si guardò intorno: negozi, ospedali e supermercati erano chiusi, non c’era gente, tutte le strade e le piazze erano

    vuote e deserte.

    William vide un’ombra da lontano e, incuriosito, volle seguirla. Dopo mezz'ora si stufò e prese la via di casa. A quel punto sentì un rumore metallico, si girò di

    colpo e rivide quell'ombra, ma questa volta la vide bene: era un essere stranissimo con una testa quadrata. Pensò a cosa potesse essere, ma non gli

    venne niente in mente e a quel punto si mise di nuovo a rincorrerla.

    Alla fine riuscì a bloccarlo, in una strada senza uscita: era un robot metallico

    con la testa quadrata. William lo portò a casa e si accorse che aveva una chiavetta USB attaccata dietro alla testa; la staccò, la collegò al suo computer e

    vide che conteneva tanti file e video.

    Aprì un video a caso: un uomo abbastanza vecchio faceva esperimenti per il

    virus.

    Passarono i giorni e William e il robot fecero amicizia.

    Ad un certo punto, però, William iniziò ad avere problemi respiratori e la febbre. Il robot, che aveva la capacità di diagnosticare il corona virus, lo controllò

    e gli disse: “Pp-ppositivo”.

    Lo tranquillizzò: si sarebbe messo al lavoro per trovare una cura contro il

    virus. Dopo tantissimi tentativi il robot riuscì ad escogitare qualcosa. Era una specie di sciroppo verde chiaro che William bevve subito; poi iniziò a tossire e a

    sputare del liquido nero e verde, si sdraiò a terra piano piano e chiuse gli occhi.

    Il robot disse: “A-a-amico” e cercò di svegliarlo, ma ormai William aveva già

    perso i sensi. Il suo amico robot lo lasciò lì per terra e se ne andò per strada come prima, quando si erano incontrati per la prima volta.

  • “Mille bolle blu” di Bruna Ausili

    Era il 5 settembre del 2080 quando il dottor Pong si affacciò alla finestra del suo laboratorio e guardando il cielo della sua Pechino vide piovere una grande

    quantità di palline blu grandi come quelle da ping pong. “Io l’avevo detto”. Erano mesi infatti che cercava di avvisare la comunità scientifica che una terribile

    epidemia di coronavirus proveniente dal pianeta CV sarebbe arrivato sulla terra sotto forma di palline radioattive che liberavano nell’aria il virus letale. Purtroppo

    non solo non era stato ascoltato, ma adesso tutti lo deridevano chiamandolo

    “scienziato pazzo”. Nonostante ciò lui aveva continuato a cercare la cura per questo terribile virus chiedendo aiuto ai suoi amici Virione, un generale italiano,

    e a Pedrobot, un robot.

    Anni dopo. Nel 2113 il coronavirus aveva infettato tutto il mondo uccidendo milioni e milioni di persone e annientando la maggior parte degli stati del mondo

    a eccezione della Spagna, dell’Italia e della Cina. Nel frattempo si era creato un esercito contro il coronavirus, i Surivanoroc, che aveva il compito di distruggere

    le palline. Ma le armi a disposizione sino ad allora facevano solo peggio, aumentando il processo di contagio del virus.

    La scena si sposta nel laboratorio del dottor Pong in compagnia di Pedrobot e del generale Virione, che esclamò: “Pong! Che mi dici? Ci sono novità? L’esercito

    è allo stremo. Come ben sai non posso dare l’ordine di sparare. Conosci meglio di me le conseguenze…” disse il generale. “E’ per questo che vi ho fatto venire

    qui: penso di aver trovato la cura!” “Davvero?!” esclamò il generale. Aveva sempre avuto fiducia nel suo amico, ma questa volta si era davvero superato.

    “Ebbene sì, mio caro amico. Avvicinatevi all’ologramma. Come ben sapete le palline non si possono distruggere da fuori. Serve una sostanza resistente e

    appiccicosa che possa avvolgere il virus per evitare che si apra, distruggendolo dall’interno. È per questo che ho pensato alla gelatina di frutta.” “Sei un genio,

    vecchio mio” esclamò il generale dandogli una pacca sulla spalla. “Ma come

    facciamo a trovarla nella quantità necessaria?”. “Ho pensato pure a questo. Ho modificato Pedrobot in modo tale che, una volta inserita la gelatina dentro questa

    piccola fessura, uscirà la ricetta. Una volta che ho la ricetta, basterà schioccare le dita e avremo la gelatina nella quantità necessaria. A quel punto si misero al

    lavoro. Una volta prodotta la gelatina in quantità sufficienti, si poneva il problema di dove il virus fosse diretto. Guardando il planisfero nell’ologramma

    Pong si accorse che l’unica nazione non ancora infetta era l’Inghilterra. Pedrobot, calcolando la velocità di movimento delle palline, trasmise all’ologramma la

    terribile sentenza: avevano soltanto 48 ore per individuare e distruggere il virus. Se non ce l’avessero fatta il virus sarebbe diventato invincibile e non ci sarebbe

    più stata speranza per l’umanità! Il generale prese in mano la situazione: comunicò al suo esercito di preparare le armi e, raccolti i barili di gelatina, i

    soldati salirono sui jet e partirono. Dopo una lunga e faticosa notte di viaggio i Surivanoroc arrivarono in Inghilterra, ma una volta aperte le stive dei jet Pong

    si accorse con angoscia che più della metà della gelatina contenuta nei barili era

    scomparsa. In quell’istante un brivido gli corse lungo la schiena: temeva che non ce l’avrebbero fatta. Ma non si fece prendere dal panico. Con il suo sensore a

    raggi gamma si avvicinò ai barili vuoti e iniziò a scansionarli. Dopo qualche secondo si accorse che la gelatina non era scomparsa, ma si era solamente

  • solidificata a causa della pressurizzazione. Per farla tornare allo stato liquido

    serviva solamente un ambiente umido. Fortunatamente in Inghilterra l’umidità non mancava. Allora, facendosi aiutare da Pedrobot, scaricò i barili e li affidò ai

    soldati in modo tale che potessero caricare le armi. L’esercito si mise in posizione

    d’attacco e oramai mancavano solo pochi minuti allo scadere delle 48 ore. Mancavano pochi secondi… tre…, due…, uno…. Silenzio. I soldati erano pronti, il

    generale Virione era pronto a dare l’attacco e il dottor Pong guardava con ansia il cielo. All’improvviso una folata di vento fece capire a tutti che l’ora era giunta.

    “Arriiivaaano!” urlò il dottore. “Soldati, state pronti!” disse il generale. Una ad una le palline arrivarono e l’attacco cominciò. Ora bisognava sperare che la teoria

    di Pong fosse giusta. I soldati in prima fila iniziarono a sparare. Le prime palline furono colpite e la gelatina si avvolse intorno a loro. Con un semplice “puff” le

    palline si volatilizzarono. Il dottore fece salti di gioia. Ce l’aveva fatta. Era riuscito nell’impresa. Finalmente adesso nessuno lo avrebbe più chiamato “scienziato

    pazzo”. Abbracciato al generale Virione e a Pedrobot salì sul jet per tornare finalmente a casa.

  • “L’alieno e il virus” di Rocco Berardelli

    Era estate e mi stavo preparando a ricominciare gli allenamenti di calcio.

    Correvo sul sentiero, nel bosco davanti a casa, facendo attenzione a dove

    mettevo i piedi per non inciampare. Tutto preso dalla mia preparazione alla corsa, stavo per raggiungere il torrente, quando ebbi la sensazione che qualcuno

    mi stesse osservando. Mi voltai, ma non vidi nessuno. Raggiunto il torrente, vidi che nel prato dall’altra parte del rigagnolo c’era un oggetto che assomigliava ad

    un grande piatto rovesciato. Rimasi per un attimo a guardare, quando mi sentii sollevare da robuste braccia.

    Due strane creature in tuta grigia mi stavano trasportando verso l’oggetto

    sconosciuto.

    Avrei voluto urlare, ma la paura mi paralizzava e non ebbi la forza di reagire

    in alcun modo. Mi portarono all’interno di quella specie di disco, e dopo qualche attimo un essere alto dai capelli chiari, anche lui con la tuta grigia, sorridendomi

    mi disse che non dovevo avere paura perché nessuno mi avrebbe fatto del male. Ero preoccupato perché, convinto di essere stato rapito, pensavo che i miei

    genitori sarebbero stati in pensiero per me. Ma l’extraterrestre (ormai avevo capito che di un extraterrestre doveva trattarsi), come se leggesse nei miei

    pensieri, mi rassicurò, promettendomi che mi avrebbe fatto tornare a casa nel giro di pochi minuti.

    Incominciò così a raccontarmi che veniva da un altro pianeta, Rodenbury, situato oltre il sistema solare, e che era in missione sulla Terra per provare sugli

    umani un virus da loro chiamato jibol50, per vedere gli effetti positivi e negativi che avrebbe prodotto. Parlava in modo calmo e convincente e nella nostra lingua.

    Diceva cose che non capivo: che la loro civiltà era più antica della nostra e che avevano raggiunto un grado di evoluzione così elevato che gli uomini neanche

    potevano immaginare.

    Poi mi pregò di rispondere ad alcune domande che intendeva pormi. Passato

    il grande spavento, domandai perché avevano scelto proprio un ragazzo, e non una persona adulta. Mi spiegò che non avevano bisogno di grandi pareri, ma di

    risposte semplici e sincere, quali solo un ragazzo poteva dare. Mi fece delle domande che non avrei mai pensato, ad esempio sulla scuola e sui rapporti con

    i miei simili. Infine raccontò che su Rodenbury non esisteva la guerra, non c’era divario tra poveri e ricchi, e che tutti lavoravano in pace e fraternità. Non erano

    venuti sulla Terra né per distruggerci né per sottometterci, anche se avrebbero potuto farlo con molta facilità. Vista la massima considerazione che avevano

    della giustizia e della libertà, mi spiegò che non volevano imporsi su noi uomini. Intendevano semplicemente conoscere meglio il nostro modo di vita, fintanto

    che non fossimo divenuti pericolosi per l’intero universo. Qui finì la nostra conversazione, dopo di che mi salutò e mi fece rilasciare, dicendo che per loro

    era ormai tempo di tornare a casa.

    Uscii dall’astronave un po’ sconvolto e mi accorsi subito che non mi sentivo

    granché bene… avevo uno strano mal di gola, e una tossetta fastidiosa…

  • “L’ultimo sopravvissuto” di Metello Flavio Boldrini

    Eravamo nell’anno 2222, quando fu organizzata la missione ARGONAUTA 1 che prevedeva di raggiungere il pianeta Bb del sistema stellare Alfa Centauri. Lo

    scopo della missione era di trovare tracce di vita, dopo che i radar spaziali avevano avvertito un debole segnale proveniente da quel pianeta un anno prima.

    L’astronave comandata dal capitano Sullivan raggiunse il pianeta in tre mesi, viaggiando alla velocità super-luminare 16. Raggiunto il pianeta, si scoprì che un

    tempo era stato certamente abitato, ma in quel momento non c’erano più segni

    di vita. In un paesaggio desolato si ergevano qua e là resti di grandiose costruzioni. Il debole segnale proveniva da uno di questi antichi edifici, al cui

    interno fu trovato un strano oggetto fosforescente a forma di piramide.

    Le analisi della piramide rilevarono che era fatta di un materiale che emetteva energia che non apparteneva alla tavola periodica degli elementi sulla Terra. Su

    ordine della base gli astronauti prelevarono il misterioso oggetto e intrapresero il viaggio di ritorno senza fare ulteriori ricerche.

    Tornati alla base, il reperto fu consegnato al Laboratorio della Centrale di Massima Sicurezza della Confederazione, situato nell’altopiano del Rigestan

    (Afghanistan meridionale).

    In un ambiente depressurizzato, gli scienziati scoprirono che la piramide era in realtà un contenitore e decisero di aprirlo. Fuoriuscì subito del liquido color

    oro, e apparve una capsula trasparente. Sciaguratamente fu deciso di rompere la capsula per accertarne il contenuto. Una nuvoletta nerastra uscì e saturò la

    camera depressurizzata, quando all’improvviso si verificò l’incidente: il sistema

    di depressurizzazione si arrestò per alcuni secondi e da un minuscolo strappo sulla parete della camera, la nube cominciò a fuoriuscire. Gli scienziati riuscirono

    a esaminare un campione del gas misterioso scoprendo, troppo tardi, che conteneva in sospensione micro particelle di un virus sconosciuto.

    Tutti gli analisti che si trovarono nella sala dove si era rotta la camera

    depressurizzata si ammalarono, con convulsioni e febbre altissima, e dopo appena due giorni morirono; altri operatori che si trovarono in sale vicine e

    asservite dallo stesso impianto di condizionamento si ammalarono anch’esse e morirono successivamente, ma quel che è peggio vennero anche infettati i

    soccorritori e altri addetti del centro. La Centrale di Sicurezza della

    Confederazione, anche se sorgeva in una zona desertica, era abitato da molti scienziati, ricercatori, addetti vari e dalle rispettive famiglie per un totale di 3000

    abitanti.

    Le squadre di sicurezza erano riuscite a isolare le zone A, B e C dove si era verificato l’incidente, ma in qualche modo il virus si era trasmesso da persona a

    persona, colpendo in pochi giorni il 10% della popolazione.

    Di fronte a questo pericolo, il Comando della Confederazione ordinò al capitano

    Sullivan di intraprendere una nuova missione ARGONAUTA 2 per Bb, insieme al biologo Robert Brown e all’archeologo spaziale Augusto Di Birlon, per cercare

    informazioni utili a combattere questo grande pericolo di epidemia.

    Appena ritornati su Bb, i due intrapresero subito le ricerche e scoprirono, sempre nell’antico edificio, una camera al cui interno c’erano i resti mummificati

    di un umanoide morto da almeno 20000 anni. Sulla pietra c’erano delle scritte

  • misteriose che solo Di Birlon riuscì a decifrare. Queste scritte dicevano: “Io sono

    l’ultimo sopravvissuto alla pandemia scoppiata su questo pianeta a causa del terribile virus KC22. Ho scoperto troppo tardi la cura perché ormai sono tutti

    morti. Per elaborarla bisogna utilizzare il liquido dorato che fuoriesce da alcune

    pozze delle paludi che si trovano nel canyon della zona vulcanica alle coordinate 20,4° alfa e 45,6° landa. L’ultimo campione di virus KC22 l’ho conservato per il

    solo scopo scientifico, ponendolo al sicuro nella sacra camera piramidale, che non deve essere aperta per alcuna ragione!

    Trovata la zona vulcanica, Brown e Di Birlon scoprirono la sorgente del

    misterioso liquido che su comando della Terra venne caricato in grosse quantità sull’astronave e, ripreso poi il viaggio di ritorno, trasportato direttamente presso

    la centrale di Rigestan, dove, essendo trascorsi vari mesi dall’inizio dell’epidemia, la popolazione era purtroppo notevolmente diminuita.

    Il liquido poteva essere la salvezza, ma come utilizzarlo?

    Un medico della centrale, tra i pochi sopravvissuti, ebbe l’idea di impiegare le vecchie maschere per l’aerosol utilizzate fin dai secoli scorsi per le malattie delle

    vie respiratorie, sostituendo alle fiale tradizionali altre con il liquido proveniente da Bb. Tutti i pazienti affetti dal terribile virus vennero sottoposti a questa cura

    di aerosol; ma non solo: grazie a un sistema di nebulizzazione il liquido venne

    immesso nelle condotte di ventilazione della Centrale e disperso per tutte le aree; squadre speciali disinfettarono infine tutte le superfici passandovi i liquido

    dorato. Gli interventi furono molto lunghi e faticosi, ma alla fine i pazienti cominciarono a guarire e il virus venne distrutto.

    Il liquido di Bp aveva avuto effetti veramente eccezionali, ma cosa strana tutte

    le persone che avevano respirato i suoi vapori avevano anche assunto per sempre una colorazione della pelle dorata!!

    Forse è anche per questo che alla fine gli scienziati chiamarono la sostanza con il nome di “Vello Aureo”, che dicono abbia a che fare con qualcosa di

    miracoloso di una antica legenda greca...

    Per me che l’ho vissuta è sempre difficile raccontare questa storia. Ma mi ritengo fortunato di essere ancora qui e quando mi guardo allo specchio non

    posso non sorridere del colore della mia pelle… come oro.

    Capitan Jack Sullivan

  • “La falsa cura” di Anna Botteselle

    Era il mese di dicembre, tutte le famiglie preparavano le loro decorazioni per il Natale e, finalmente, tutti erano in ferie, tranne però gli scienziati del

    laboratorio di Hill Valley che, a causa della morte della moglie del Dr. Sallivan per Acreptosi, un’infezione ai polmoni che causava difficoltà respiratorie,

    decisero di restare al lavoro per iniziare le ricerche per una cura efficace.

    Solitamente, gli scienziati si riunivano in laboratorio all’alba, ma una mattina

    il Dr. Sallivan tardò di alcune ore facendo preoccupare i suoi colleghi. Appena arrivò nell’edificio, corse verso il suo laboratorio come se stesse venendo

    inseguito da un leone in cerca di una preda, e non appena lo raggiunse spalancò le porte urlando soddisfatto:

    “Attenzione, miei cari colleghi! Oggi è il nostro diciottesimo giorno di ricerca,

    e credo di aver portato a conclusione le nostre teorie: ho finalmente trovato la

    cura adatta a questa malattia e sono sicuro che sia una buona soluzione, dobbiamo però testarla su qualche umano, per vedere se funziona.” Tutti gli

    scienziati in quella stanza rimasero muti per qualche secondo cercando di realizzare il fatto, e solo pochi istanti dopo uno di loro, il Dr. Grey, ebbe il

    coraggio di alzarsi e dirgli:

    “Mi scusi, Dr. Sallivan, sono veramente sollevato da questa notizia, se reale, ma non è possibile che in così poco tempo lei sia riuscito a trovare una cura per

    questa malattia, soprattutto se l’ha trovata da solo, inoltre credo sia illegale provare cure non sicure sugli esseri umani senza conoscerne le conseguenze,

    probabilmente potrebbe avere effetti indesiderati o essere addirittura nocive o

    letali’’. Il resto degli scienziati rimase lo stesso muto, nonostante alcuni di loro annuirono dandogli ragione.

    “Dr. Grey, se questa cura potesse funzionare, potrei diventare uno degli

    scienziati più famosi al mondo, tutti noi potremmo esserlo, e da quel che ho elaborato, penso che sia adatta: non ha materiali tossici e la sua formula è

    naturale.”

    “Dr. Sallivan, non vorrei mettermi in contrasto con lei, ma penso che non

    abbia ben capito perché tutti noi siamo qui: stiamo provando a trovare una cura adatta alla Acreptosi per aiutare coloro che ne hanno bisogno, non per diventare

    popolari. Sono davvero molto felice che lei crede che la sua sia una soluzione positiva, ma non ha nemmeno testato gli ingredienti qui in laboratorio”. Il Dr.

    Sallivan non diede alcun tipo di risposta, si girò e tornò a casa.

    Più tardi, dopo ore di riflessione, il Dr. Sallivan prese una decisione: pianificò di entrare nell’ospedale principale del paese e di provare ad iniettare ad un

    paziente afflitto dall’Acreptosi la sua cura.

    Dopo essere andato all’ospedale, tornò a casa con l’intento di andare a visitare

    il paziente il giorno seguente per vedere in che condizioni era. Così fece, ma successe una delle cose che non aveva previsto: il paziente era sparito. Il Dr.

    Sallivan non si preoccupò troppo, pensava che la sua cura avesse funzionato e che perciò il paziente fosse stato dimesso dai suoi medici, quindi tornò a casa

    tranquillo.

    Passarono alcune settimane da quell’accaduto e intanto il Dr. Sallivan si prese

    alcuni giorni di ferie. Un giorno però, durante le sue vacanze, stava seduto

  • tranquillo sulla sua poltrona davanti al telegiornale e una notizia lo colse di

    sorpresa: “È stato individuato un nuovo tipo di virus, che i nostri scienziati hanno nominato il Radivirus e il cui sintomo è la nausea. Si pensa che il primo caso sia

    stato registrato nell’ospedale di Hill Valley e che da lì il contagio si sia sparso per

    tutto il mondo.” Dopodiché mostrarono un’immagine del paziente, era proprio quello a cui il Dr. Sallivan aveva iniettato la sua “cura”.

  • “Il punto zero” di Maria Vittoria Capolli

    Anno p.c. 24

    Il ragazzo affrettò il passo: il solo pensiero di dove si stessero posando i suoi

    piedi lo fece rabbrividire. Sebbene non fosse mai stato un esempio evidente di coraggio, la consapevolezza di trovarsi nel luogo dove era stato creato il virus,

    che esattamente 24 anni prima aveva determinato l’inizio di una nuova era, avrebbe tolto il respiro anche al più impavido dei cuor di leone. Gli scienziati di

    quel laboratorio avevano dato vita ad una minaccia che avrebbe decimato la popolazione umana, costringendo i pochi sopravvissuti, i cosiddetti “immuni”, a

    trasferirsi in Italia, sotto direttiva del neonato Consiglio dell’Immunità.

    Il collasso dell’assistenza sanitaria mondiale aveva poi gettato ancor più benzina sul fuoco. La maggior parte dei paesi era stata stravolta da guerre civili

    e inevitabili colpi di stato. Gli accordi internazionali sul nucleare erano saltati e

    per mesi si era vissuto nel terrore che scoppiasse una Terza Guerra Mondiale. Non ci era voluto molto prima che gli immuni si alleassero per formare un

    governo stabile e garantire sicurezza ai 7 milioni di sopravvissuti, organizzando un trasferimento di massa verso il paese che sarebbe diventato la culla di una

    nuova generazione: la Generazione Zero.

    Molti sospettavano che quella minaccia invisibile fosse il frutto artificiale di un laboratorio; tuttavia, nessun dubbio fu confermato fino a quando non fu svolto

    un sopralluogo a Wuhan, città dove era iniziata quella folle corsa verso il baratro.

    - Walker - una voce richiamò l’attenzione del ragazzo, distogliendolo dai propri

    pensieri. Tutti, lui per primo, si erano stupiti quando era stato chiamato a far parte del team in questione. Era senz’altro il più brillante del corso, ma in quanto

    a coraggio, caratteristica fondamentale e indispensabile per una spedizione del genere, sembrava un pesce fuor d’acqua. La voce proveniva da una camera

    blindata che affacciava su un corridoio parallelo; il ragazzo non ebbe neanche il tempo di reagire, che l’uomo lo tirò per il braccio, esclamando: “Walker, datti

    una mossa, stiamo aspettando solo te!”.

    Come aveva immaginato, la stanzetta si era rivelata il laboratorio principale.

    Com’era possibile che degli scienziati avessero potuto lavorare in quelle condizioni? La stanza ospitava a malapena tre persone, per non parlare

    dell’impianto di illuminazione che lasciava molto a desiderare.

    - Terra chiama John! Certo che non hai una bella cera, sicuro di star bene? -

    John Walker era conosciuto per essere un tipo silenzioso, ma i suoi colleghi

    non immaginavano che ne avrebbero dovuto richiamare l’attenzione con tanta insistenza,

    - Sì, sto bene. Quanti campioni avete già raccolto? - chiese distrattamente.

    Non aspettò neanche la risposta; la verità era che si sentiva tutt’altro che “bene”.

    Gli sembrava quasi di sentire rimbombare negli angusti corridoi le voci cariche

    di panico di chi, solo pochi anni prima, aveva tardivamente realizzato la pericolosità di quell’invisibile minaccia all’origine di un inimmaginabile disastro,

    che avrebbe segnato un’intera generazione.

    Un uomo corre concitatamente inciampando sui propri passi. Ha dei fogli e

    delle fialette in mano. Bussa alla porta che aveva tanto cercato e, senza

  • aspettare un invito ad entrare, la spalanca. Porge i fogli al capo-ricerche e gli

    riferisce con tono agitato la notizia che nessuno di loro avrebbe voluto sentire. Parla cinese, ma i suoi occhi sembrano voler dire: “È finita…”.

  • “Un liquido spaziale” di Beatrice Carbonoli

    I giorni passavano anche a bordo della Divoc 91, una stazione spaziale in orbita intorno alla Terra; ma quel 20 settembre 1973 fu diverso da tutti gli altri

    giorni.

    Tutto iniziò come al solito, con la sveglia di Alan che cominciò a suonare, come

    sempre un minuto prima di quelle di Jack e di Owen perché, come diceva lui: “Un vero comandante deve essere sempre pronto prima del suo equipaggio”.

    Finita la colazione iniziavano gli studi e così tutti si separavano per andare a completare le proprie ricerche, ed è qui che tutto ebbe inizio…

    Alan ogni giorno dopo colazione, quando Owen e Jack erano presi dai loro

    progetti, andava in palestra ad allenarsi; era un uomo muscoloso e alto, con un ciuffo di capelli neri che mettevano in evidenza la sua carnagione chiara. Jack si

    trovava nella sua stanza per prendere le ultime cose che gli servivano per finire

    il suo progetto, che consisteva nel montare un pannello solare sulla stazione. A differenza di Alan Jack era magro e aveva i capelli e gli occhi molto chiari. Owen,

    un uomo di colore di statura normale, in questa spedizione studiava il Sole, guardandolo con un telescopio e degli strani occhiali per non bruciarsi gli occhi.

    Quel giorno, dopo essersi messo gli occhiali, Owen vide una strana figura, non

    capiva bene cosa fosse, cercò di inquadrarla da punti differenti, ma appariva sempre sfocata, l’unica cosa evidente era il colore: un rosso intenso. Scattò

    alcune foto.

    - Jack, guarda… - esclamò Owen dopo essere entrato nello studio di Jack.

    - Non capisco: è troppo sfocata, è meglio andare a vedere dal telescopio -

    rispose Jack.

    - Alan, Alan - urlò Owen.

    Alan dopo poco arrivò nello studio di Owen, ancora tutto sudato:

    - Cosa succede? - chiese Alan dopo aver visto i due attaccati al telescopio e,

    senza ottenere risposta, si ritrovò in mano le foto.

    - Ma che razza… va bene, fatemi vedere - Jack e Owen si spostarono per

    lasciare spazio al capitano.

    - Non capiamo cosa possa essere, è troppo lontano, dovremmo avvicinarci per verificare - disse Owen.

    - Non se ne parla, qui decido io, sarebbe troppo rischioso, non sappiamo cosa possa essere, l’unica cosa che faremo è mandare queste foto alla base sulla

    Terra - Alan si staccò dal telescopio, sembrava che stesse per scoppiare a ridere.

    Jack e Owen si scambiarono uno sguardo pieno di dubbio, poi si aggiunse anche Alan. I tre si fissarono e continuarono a discutere su cosa fosse giusto o

    meno, ma qualcosa li fermò, una terribile scossa li fece cadere a terra. Il panico.

    - Jack, tieniti pronto alla guida, Owen metti via tutti gli oggetti con cui

    potremmo tagliarci, io manderò queste foto alla base e li aggiornerò su quello che sta accadendo - ordinò Alan urlando.

    Tutti svolsero i loro compiti, c’era una strana calma in Alan. Owen si insospettì

    e così, finito di svolgere il suo compito, andò a vedere al telescopio se la strana

    figura fosse ancora lì, ma non c’era. Uno strano rumore echeggiò sopra la navicella.

  • - Vado a vedere cosa è stato, può darsi che l’antenna che abbiamo montato

    ieri sia caduta - Alan si girò e vide Jack e Owen che gli bloccavano il passaggio.

    - Fuori non ci andrà nessuno - disse Jack.

    - Ma che pensate che sia, mica c’è un mostro che vi mangia! Ahahaahah -

    scherzò Alan.

    - Sarà stato un guasto a qualche circuito, fatemi andare a controllare - propose

    il capitano rimettendosi a posto.

    - Ho già controllato, non c’è nessun guasto - disse Jack facendo una smorfia di perplessità ad Owen.

    Cadde il silenzio, coperto da sguardi di preoccupazione, ma qualcosa li spinse a non fiatare… Dal piccolo oblò della porta i tre videro qualcosa muoversi, era

    molto simile alla figura che avevano visto poco prima… sembrava proprio la stessa… possibile?

    La figura misteriosa se ne era andata, così decisero di collegarsi con la Terra.

    La conversazione durò molto dato che quello che era successo non convinceva nessuno, così si arrivò alla soluzione di far rientrare la spedizione in anticipo di

    due settimane: sarebbero tornati due giorni dopo, tutti concordavano che fosse la cosa giusta da fare.

    I due giorni successivi passarono tranquillamente e molto velocemente.

    La Divoc 91 era in partenza.

    - Ci siamo - sospirò Jack.

    - Allacciati la cintura di sicurezza, Owen, fa presto - disse Alan poco prima di partire.

    Tutto andò bene e dopo 11 ore e 36 minuti atterrarono sulla Terra.

    Non accadde più nulla fino ad oggi, a 47 anni, 7 mesi e 25 giorni da

    quell’evento…

    Oggi altre figure sono state avvistate sopra la Cina, la Spagna, l'Italia e in altri stati del Mondo e dopo questi avvistamenti una epidemia si sta espandendo in

    quelle regioni. Quello che è successo 47 anni fa era un avvertimento? Buon proseguimento di giornata, il prossimo appuntamento è alle 16.00…

    - Il telegiornale ripete sempre le stesse cose, cifre di qua e di là -, mormorò Owen; era a casa sua, seduto nella sua poltrona color carta da zucchero situata

    davanti alla televisione, poteva passarci le ore seduto sempre nella stessa posizione mentre leggeva, guardava qualche film o sorseggiava un po’ di tè. Era

    ormai vecchio, ma in gran forma. Quel pomeriggio, come avveniva ogni giorno, stava giocando a carte con Jack; dopo la spedizione erano diventati molto amici,

    anche con Alan, che però era morto pochi mesi dopo il loro ritorno dalla missione, un brutto incidente in macchina; si era spento sul colpo.

    - Sai, io credo che tutto questo sia legato, ma mi chiedo cosa c’entriamo noi… passo - rispose Jack.

    - Mi domando solo quando questa epidemia possa finire - disse Owen giocando

    il suo turno.

    - Non presto, asso di coppe! - urlò Jack.

    - Non è possibile, pure questa volta hai vinto tu - piagnucolò Owen.

  • - Sai che cosa significa se quelle figure c’entrano con questa epidemia? -

    domandò Jack mischiando le carte.

    - No… - rispose Owen.

    - Credo che quella prima volta, nel 1973, quelle figure che avvistammo

    volessero solo provocare agitazione sulla Terra, adesso l’epidemia che portano sta gettando la gente nel panico… Eppure io non posso credere agli alieni: non

    esistono, lo sai anche tu e lo sanno tutti gli altri astronauti del mondo! – Si agitò Jack.

    - Intendi davvero dire che la figura avvistata da noi era una prova per tutto questo? - domandò Owen.

    - Peggio… mi devi promettere che questa cosa non la dirai a nessuno, ok?

    - Promesso - disse Owen all’amico distribuendo le carte.

    - Ho fatto dei piccoli studi, ma mi devi aiutare, ora ti spiego un po’… gli alieni non esistono, e allora chi è che fa tutto questo? Semplice, basta che qualcuno

    mandi qualcosa nello spazio di molto colorato che dalla Terra si veda…

    - Ma cosa? E poi chi può fare tutto questo? – lo interruppe Owen.

    - Questo ce lo possono dire soltanto le foto che hai fatto, se non sbaglio ne

    avevi tenuta una per ricordo - suggerì Jack.

    - Non ti sbagli, però sono in uno scatolone in garage; andiamo insieme che

    qui c’è mia moglie e potrebbe sentirci.

    Jack e Owen andarono in garage, iniziarono a frugare da per tutto dato che non trovavano la fotografia.

    - Non è possibile, stava qui, vicino alle altre cose della spedizione - borbottò

    Owen.

    - Sicuro? - dubitò Jack.

    - Sì, proviamo a svuotare questa scatola - propose Owen.

    E così fecero, ma della foto nessuna traccia.

    - Cos’è questo biglietto? - domandò incuriosito Jack.

    - Di che stai parlando, non c’è nessun biglietto - disse Owen.

    Owen si avvicinò all’amico per vedere di cosa si trattasse.

    - Scusami, ma la foto mi serviva - lesse Jack.

    - Firmato A. - continuò Owen.

    - Chi è A.? - chiese Jack.

    - Non lo so - rispose incredulo Owen.

    Ci fu una breve pausa.

    - Alan - esclamarono contemporaneamente i due.

    - Ma non è possibile, è morto! - disse stupito Owen.

    - Possiamo fare solo una cosa: andare a casa sua, e poi non ti ricordi come si era comportato in modo strano?! - propose Jack.

    - A casa sua?

    - Sì - confermò Jack.

    - Ma come facciamo? - domandò Owen.

    - Come ha fatto lui per prendere la foto e lasciare questo biglietto - spiegò

    Jack.

  • Quella sera, infatti, Jack e Owen andarono nella casa di Alan, dove ora viveva

    la moglie, e aspettarono che se ne fosse andata a letto prima di poter andare a cercare quella foto.

    - Ha spento tutte le luci, andiamo - disse Owen.

    La porta non era chiusa, così entrarono senza problemi.

    Iniziarono dalla cantina, era vuota, c’erano solo due scatole e qualche mucchio

    di cianfrusaglie. Passarono vari minuti.

    - Qui non c’è niente - disse Jack alzando la testa dopo aver finito di rovistare nelle cianfrusaglie.

    - Cos’è? - domandò Jack vedendo l’amico fermo a guardare un foglio.

    - Non lo so, ma credo qualcosa di importante - sussurrò Owen.

    Jack si avvicinò per guardare di cosa si trattasse.

    Era un foglio ingiallito con poche parole scritte e vari disegni raffiguranti la

    stessa figura della foto, scritta più grande e nera appariva la parola “prova 1”.

    - Non ci credo, avevamo ragione - Jack era sbalordito.

    - Io credo che Alan non sia morto…

    - E che la figura di quarantasette anni fa era la prova per tutto questo - Owen

    venne interrotto dall’amico.

    - Ma è pieno di questi fogli - disse Owen.

    - Guarda, c’è anche la foto - urlò Jack.

    - Abbassa la voce o finirai per svegliare la moglie - sussurrò Owen all’amico.

    Infatti si sentirono dei passi scendere per scale e dirigersi verso la cantina… ma Owen e Jack erano già scappati.

    Durante la notte l’epidemia si diffuse in tutto il mondo, causando un’ecatombe,

    miliardi di persone morirono.

    - Dobbiamo fare qualcosa - disse Jack, che era tornato a casa dell’amico.

    - Credo di avere un’idea: i disegni che abbiamo visto ieri rappresentavano la

    disposizione del laboratorio di Alan… - disse Owen.

    - Ma non sappiamo dove si trova - lo interruppe Jack.

    - Io credo di saperlo.

    In pochi minuti i due amici erano arrivati a destinazione.

    - Mi vuoi spiegare perché siamo venuti qua? - domando irritato Jack.

    - Semplice: i disegni che abbiamo trovato sono della nostra navicella, dove Alan ha allestito il suo laboratorio.

    Owen e Jack erano entrati dentro la base spaziale, e di fronte a loro si trovava la navicella con cui erano partiti.

    - Alan - gridarono insieme.

    - Alan - ripeterono avanzando leggermente.

    - Alan - urlarono a squarciagola per l’ultima volta.

    Owen si avvicinò alla porta della navicella, impugnò la maniglia e fece leva.

    - No - echeggiò una voce.

    Owen tolse la mano dalla maniglia e si allontanò.

    - Alan - disse in tono poco sicuro Jack, girandosi.

    Sulla soglia d’ingresso, in controluce, appariva un uomo.

  • - Alan, sei tu? - chiese titubante Owen.

    - Che ci fate qua? - domandò l’uomo.

    - Siamo venuti per te - disse Jack.

    - Adesso andatevene - tuonò la figura che ancora non si faceva vedere.

    - No, ci devi spiegare tutto -

    - Stai distruggendo il mondo - aggiunse Jack.

    - Cosa volete da me? - domandò l’uomo che avanzò leggermente.

    - Una spiegazione a tutto questo - rispose Owen.

    - Non c’è alcuna spiegazione - adesso la figura si poteva vedere bene.

    - Non c’è alcuna spiegazione? Hai creato un virus che sta causando miliardi di

    morti, se non la fine del mondo - urlò Jack.

    - Jack, adesso calmati - disse sussurrando Owen all’amico.

    - Hai detto bene, la fine del mondo… - esclamò l’uomo.

    Un fischio fortissimo echeggiò in tutta la base. Owen e Jack si scambiarono

    uno sguardo di preoccupazione.

    - Cos’è? - domandarono in coro.

    La figura era sparita, ma gli strani rumori continuavano a sentirsi.

    - Owen, forse è meglio che ti giri - Jack era diventato pallido.

    Dalla loro navicella un liquido rossastro cominciava a fuoriuscire da tutte le fessure, Owen si avvicinò lentamente, incominciando a girare attorno ad essa.

    - Non dirmi che non ti ricordi - disse Owen all’amico.

    - No - rispose Jack -

    - Stesso fischio, stesso colore rosso della figura che avevamo visto durante la spedizione - spiegò Owen.

    - Era tutto calcolato - aggiunse poi Jack.

    - Esatto e qui dentro sono racchiuse tutte le persone morte - continuò Owen.

    - Come è possibile? - lo interruppe l’amico.

    - Non lo so, ma c’era scritto nei fogli che abbiamo trovato: le persone morte

    qui si ricaricano di virus per poi contagiarlo agli altri - spiegò Owen.

    - Ma allora cosa sta succedendo adesso? - domandò Jack.

    - Io credo che una volta che Alan sarà entrato là dentro, tutto esploderà! - Per

    poco Jack non sveniva.

    - Ma come facciamo a fermare tutto? - domandò a stento Jack.

    - Non lo so - rispose Owen.

    Cadde il silenzio tra i due amici, coperto dal lungo fischio, che non si fermò un

    attimo.

    - I fogli! - a Jack venne un idea geniale.

    Senza troppi dubbi Owen e Jack salirono in macchina e veloci come il vento

    arrivarono nella cantina di Alan, presero i fogli e tornarono alla base.

    Il liquido continuava a fuoriuscire, ora arrivava fino all’erba che si carbonizzava poco a poco.

    - Non ci capisco niente: ci sono troppi calcoli! - disse irritato Jack.

    - Guarda il disegno e dimmi che parte della navicella raffigura.

    - Credo il retro - rispose Jack all’amico.

  • Owen, sentendo quelle parole, si diresse verso il retro, ma il liquido lo bloccò.

    - Torna indietro Owen - suggerì Jack.

    - Vai tu, Jack, io non ce la faccio ad arrampicarmi - disse Owen.

    I due si scambiarono di posto e, mentre Jack si arrampicava sulle pareti

    tenendosi a degli spunzoni, Owen cercava di capire cosa dovessero fare.

    - Ci sono - Jack era arrivato al retro della navicella.

    - Credo che tu debba spingere su un pulsante blu e contemporaneamente uno verde - spiegò Owen.

    - Attento, Owen! - urlò Jack: il liquido era quasi arrivato ai suoi piedi, così Owen si appese ad uno spunzone sul muro.

    - Grazie, ma adesso concentriamoci, il liquido sta arrivando alla strada. Hai

    premuto i pulsanti?

    - Sì. E ora? - rispose Jack.

    - Bene, abbassa la leva - continuò Owen.

    - Fatto!

    - Devi premere un pulsante giallo molto piccolo, ma poi non capisco - disse Owen.

    - Non vedo il bottone.

    - Dai, cerca meglio, credo che si trovi tutto in basso a destra - spiegò Owen.

    - Trovato - rispose l’amico.

    - Ma adesso come facciamo? - continuò.

    Improvvisamente la porta della navicella si aprì e uscirono tutte le persone

    morte. I due amici erano terrorizzati, Owen salì un po’ più in alto così che non lo potessero toccare.

    - Ci dobbiamo sbrigare - lo incalzò Jack.

    - Prova a fare così: tasto nero, poi aspetti qualche secondo e premi i tasti viola, arancione e verde, aspetti poco e premi il rosso - spiegò Owen.

    Premendo quei tasti una leggera melodia uscì dalla navicella ed echeggiò in

    tutta la base.

    - Bene, ma adesso? - chiese Jack guardando fuori dalla porta vedendo le

    strade e l’erba carbonizzate.

    - Non lo so, il foglio è strappato - Owen era disperato.

    La navicella iniziò a lampeggiare producendo un suono di allarme.

    Owen spostò lo sguardo da per tutto, non sapevano che fare, ma capivano di

    essere gli unici che avrebbero potuto salvare il mondo.

    - Ci sono! - urlò Owen

    - Serve la password - spiegò all’amico.

    - Prova a scrivere nello schermo sotto la leva Divoc 91 - concluse Owen.

    - È vero, il nome della nostra navicella - aggiunse Jack.

    Ma non andò come Jack e Owen si immaginavano.

    Tutta la base diventò rossa e una voce meccanica disse: “fine del mondo tra

    5…”

    Owen e Jack erano disperati.

  • - lo schermo dice che ci rimangono ancora due tentativi, cosa mettiamo? -

    piagnucolò dal terrore Jack.

    Il suono si faceva sempre più forte “4”.

    - Prova a mettere Alan - suggerì Owen.

    Lo schermo segnava errore.

    “3”.

    - Covid 19, il contrario del nome della navicella - urlò Jack.

    Jack inserì le lettere, erano terrorizzati.

    “2”.

    - Non abbiamo più tempo invia la password - urlò Owen all’amico.

    I due si scambiarono uno sguardo.

    Un forte vento proveniente dalla navicella uscì dalla porta, il liquido si ritirò e sparì, così come le persone che erano uscite poco prima. Fuori tutto era tornato

    alla normalità.

    Una luce bianca illuminò la base e la stessa voce meccanica che poco prima

    aveva detto “fine del mondo” adesso aveva annunciato “operazione virus disinnescata”.

    Jack scese dalla navicella, corse verso Owen e si abbracciarono.

    Tutto era finito per merito loro.

  • “The maze fangirl” di Vittoria Carnovale

    Anno 2023. Tre anni fa un virus proveniente dai paesi orientali ha decimato la popolazione mondiale. Avevo quattordici anni all’epoca. Sembrava di essere

    tornati indietro al tempo della peste, il telegiornale somigliava più ad un bollettino di guerra ormai. Uscivamo solo e soltanto se assolutamente

    necessario. È andata piuttosto bene, finché non ho fatto il test per decretare se ero ammalata o no.

    La cosa strana? Avevo il virus, ma in qualche modo ero immune ad esso. I medici del mio paese mi hanno portato via da casa mia per sottopormi a dei test,

    volevano scoprire perché, anche se il virus viveva in ogni parte del mio corpo, non mi ammalavo e non infettavo gli altri. Hanno analizzato il mio DNA, mi hanno

    sottoposta a prove estenuanti che diventavano sempre più simili a torture per trovare una cura, una cura che pareva non esistere. Non l’hanno detto mai

    apertamente, ma sapevo che ci stavano degli altri. Altri come me. Altri “immuni”.

    Una notte, sono sgusciata fuori dalla camera che era diventata mia nel

    laboratorio di ricerca in cui ero stata collocata, sperando di trovare quegli “altri”.

    Li ho trovati. Pareva che due di loro avessero avuto la mia stessa idea. Mentre si muovevano nelle ombre davanti a me, mi sono sembrate quasi familiari. Non

    mi avevano ancora visto, quando una di loro ha detto: - Mavi, lo sai che è una pessima idea, vero?

    Conoscevo quella voce. L’avrei distinta tra migliaia, come solo riesci a fare quando a parlare è la tua migliore amica. Lucri. Ancora nelle ombre, ho

    sussurrato: - Ragazze? - Loro sono sussultate e mi hanno guardato. Inutile dire che mi hanno anche riconosciuta.

    - Vitto?

    - Toa!!

    Ho sorriso: – È bello rivedervi, ragazze, anche se non è esattamente quel che mi immaginavo. Avete trovato qualcun altro?

    È stata Mavi a rispondermi, dal momento che Lucri mi stava stringendo in un abbraccio spezza-costole: – In effetti sì. Ho trovato Lucri ieri sera mentre

    perlustravo la zona, e non solo Lucri. Tutta la nostra classe e qualche ragazzino di seconda più altri bambini più piccoli di noi che non conosco, ma probabilmente

    non sono italiani. Ci deve essere successo qualcosa che ha cambiato il DNA di tutti noi e che ci ha reso “immuni” al Virus. Ma cosa?

    Mi sono fermata un attimo a pensare al significato delle parole della mia amica.

    Tutta la nostra classe e pochi altri. Immuni ad un virus proveniente dalla Cina. Quasi non riuscivo a crederci. Perché noi? Cosa avevamo di tanto speciale? Non

    lo sapevo, e non lo so nemmeno ora, tre lunghi anni dopo.

    Abbracciata a Lucri e successivamente anche a Mavi però, mi sono resa conto

    che erano cambiate in qualche modo. Forse sembravano solo più mature, o forse…

    Poi ho notato le cicatrici. Ovviamente anche io ne avevo. I ricercatori mi

    avevano prelevato interi pezzi di tessuto, avevano tagliato e ricucito il mio corpo

    come se fossi una bambola di pezza, ma le loro erano più lunghe, più profonde, più recenti. Sono rabbrividita. Probabilmente loro avevano capito che c’era

    qualcosa che mi turbava, ma non si sono azzardate a chiedere.

  • - Allora ragazze, siete venute per perlustrare la zona? - chiedo. Quando loro

    annuiscono io aggiungo - Beh, allora perlustriamo!

    Dopo un’ora buona di “perlustrazione” infruttuosa, abbiamo aperto una porta

    e ci siamo trovate davanti ad una stanza piena di scaffali ed un cartello in bella vista:

    SOGGETTI IMMUNI

    NUMERO: 37

    TEST CONDOTTI: 250

    CONCLUSIONE: SOGGETTI POTENZIALMENTE PERICOLOSI.

    POTREBBERO SUBIRE ALTRE MUTAZIONI.

    UCCIDERE IL PIU’ PRESTO POSSIBILE.

    Siamo rimaste a fissare quel cartello, quel pezzo di carta appiccicato al muro

    che a quanto pareva aveva decretato la nostra morte. L’abbiamo guardato per circa due minuti con la bocca spalancata, incapaci di assimilare ciò che era scritto

    su di esso.

    Ho distratto un attimo lo sguardo da quel maledettissimo pezzo di carta e qualcos’altro ha catturato la mia attenzione: delle cartelle impilate su una

    scrivania. Mi sono avvicinata e ho preso quella in cima. Era una scheda di classificazione Non mi ha sorpreso più di tanto sapere chi fosse la persona

    classificata là dentro. Ho semplicemente detto - Lucri, questa sei tu - e le ho passato la cartella. Era stata classificata con il suo nome e cognome e con

    “soggetto A5” più altre informazioni personali. L’ultima frase della scheda era la

    più agghiacciante: da eliminare. Ho preso un’altra cartella. Era Rocco, un nostro compagno di classe. Lui era il soggetto B1. Stessa frase alla fine della scheda.

    Ne ho presa un’altra: Mavi. Soggetto A7. Stessa frase. Le guardo tutte: soggetto A9, B3, B5, A17, B10, A1, A13 e così via. Sempre la stessa frase. L’ultima

    cartella. Ero io. La stanza è sembrata di colpo molto più fredda. Ero il soggetto A2. E, come gli altri, ero da eliminare.

    Mi sono girata verso le mie migliori amiche e in quel momento siamo giunte

    tutte alla stessa conclusione.

    Dovevamo scappare. Tutti.

  • “Un pianeta che ha saputo dare un senso alla vita!” di Louise Cereti

    In una galassia lontana, ma neanche troppo, nel blu più profondo, c’è Arret! È un pianeta grande, bellissimo, quasi un pianeta delle favole: natura

    incontaminata e città con case basse, luci soffuse grazie all’energia solare, tanto mare e una natura rigogliosa. Un posto ideale dove vivere, gli abitanti sono

    diversi ma simili a noi, sani e rilassati, persone felici, felici di poter godere di un clima idilliaco in assenza di inquinamento e calamità climatiche. Macchine ad

    idrogeno, un sistema di ecorifiuti perfettamente funzionante, sintonia tra

    l’ecosistema e gli esseri umani.

    Ma non è stato sempre così.

    Anni fa il pianeta fu sconvolto da una pandemia: fu un periodo terribile; un virus proveniente dalla Cina fece moltissime vittime, sconvolse tutte le città e le

    nazioni. Le popolazioni non erano preparate e il panico si impadronì delle

    persone, gli anziani furono i più colpiti purtroppo e le scuole e le università chiusero per un po’ di tempo.

    Il pianeta, che allora si chiamava Terra, non era preparato ad una tale

    calamità, ma con forza e coraggio, tutti insieme, senza dimenticare mai le vittime, i suoi abitanti riuscirono ad uscire dal buio e a tornare alla vita. Ma

    niente fu più come prima: il pianeta Terra decise di cambiare, di tornare a rispettare la natura, a dare importanza alla vita più che alla ricchezza ed al

    successo. Un evento sconvolgente rimise al centro “l’essere umano”, il rispetto della natura, i valori della solidarietà e la ricerca. Tutti i Capi di Stato si riunirono

    e decisero che bisognava rendere omaggio alla vittime e che nulla di ciò che era

    accaduto doveva essere dimenticato. Insieme, in perfetta armonia, per prima cosa cambiarono il nome al pianeta per dare un segno forte ed importante e così

    da Terra, decisero solo di invertire le lettere: Arret. Nella lenta ripresa economica che seguì la pandemia, gli investimenti vennero indirizzati al rispetto

    dell’ambiente, le industrie, le fabbriche decisero di rispettare le norme sull’ecologia, producendo sempre meno inquinamento. Niente più grattacieli ma

    solo case costruite con materiali ad impatto zero, l’idrogeno sostituì, con l’energia solare ed idrica, i carburanti inquinanti. Il mare, i laghi ed i fiumi furono

    dotati di impianti di depurazione. Insomma poca plastica, tanta ecologia. Arret è la Terra, un pianeta che ha saputo dare un senso alla vita.

  • “Viaggio nel passato” di Ottavia Ciaccheri

    Ottobre 2020, centro di ricerche USA.

    “Finalmente la ricerca del vaccino è conclusa, nessuno si dovrà più

    preoccupare del contagio del COVID 19, un giovane scienziato, Louis Franknel, lavorava alla formula da sei mesi”. Questo sentivano Alex e Jack alla televisione.

    “Io non mi fido, sei mesi non sono abbastanza, ce ne vogliono almeno dodici o addirittura diciotto” disse Alex. “Sicuro c’è qualcosa che non va con quel vaccino”

    rispose Jack. “Già!” disse Alex.

    Passarono giorni, settimane, e dopo due mesi ci fu il panico, non solo in

    America ma in tutto il mondo. Il vaccino invece di sviluppare gli anticorpi faceva crescere il virus che si triplicava nella metà del tempo. Questo, in quei due mesi,

    procurò un milione di morti e la situazione andò avanti finché non rimasero solo Alex e Jack, che non si erano vaccinati. “Ok, Jack, dobbiamo trovare il modo di

    salvare più persone possibile” disse Alex. “Sì! Ma come?” rispose Jack. “Ora mi vengono in mente solo due opzioni: o li risuscitiamo o dovremmo tornare

    indietro. Ma dato che non si può risuscitare una persona dovremmo riuscire ad inventare una macchina del tempo… anche se solo con i pochi mezzi che

    riusciremo a trovare” disse Alex. “Ok, ci dobbiamo riuscire!” rispose Jack emozionato. “Sì. Ma prima dovremmo trovare un antidoto al vaccino… se no,

    come faremo a salvarli?” rispose Alex. Bene, mettiamoci subito a lavoro!” disse Jack.

    Da quel giorno passarono venti anni, undici mesi e tredici giorni, finché sia la macchina che l’antidoto furono pronti, tutto era organizzato per la missione. Per

    il viaggio ci vollero otto mesi e nove giorni finché non arrivarono al giorno della scoperta del vaccino. Cercarono di avvertire Louis, ma ovviamente non gli

    credette. “Dobbiamo convincerlo” disse Jack. “Sì, ma come?” disse Alex. “Non abbiamo scelta! Se non possiamo convincerlo allora dobbiamo sostituire il suo

    vaccino con il nostro” disse Jack. “Ma non ne abbiamo abbastanza” rispose Alex. “Allora la produrremo con le loro macchine stanotte” gli disse Jack. Quella stessa

    notte produssero abbastanza antidoto per tutto il mondo, finirono di metterlo nelle fiale alle quattro del mattino e per le sei l’antidoto era pronto per essere

    spedito. Una volta che tutto l’antidoto fu spedito loro tornarono a casa,

    stanchissimi.

    “A questo punto non ci resta che vedere se ha funzionato” disse speranzoso Alex. “I calcoli sembrerebbero giusti, ma non si può mai sapere” rispose Jack.

    Arrivati a casa tutto sembrava normale, Alex e Jack avrebbero potuto

    diventare ricchi e famosi per quello che avevano inventato, ma decisero di tenere

    il segreto, perché sapevano che la mente umana non era ancora pronta per questo…

  • “Messaggio alle generazioni future” di Maria Francesca de Vincenzi

    Oggi ho trovato questo quaderno in un cassetto, ci sono molti appunti e ritagli di giornale degli anni passati e allora ho deciso di scrivere un po’ di questo

    periodo come se fosse una capsula del tempo, per le prossime generazioni.

    9 marzo 2032

    Oggi sono passati dodici anni dallo scoppio ufficiale del Covid-19. Il mondo

    intero ha avuto un tremendo calo demografico ed ormai la speranza di vita non supera i trent’anni, ma c’è qualcuno che riesce addirittura ad arrivare ai

    quaranta. Non si esce più di casa, ma noi usciamo comunque per rifornirci di risorse: Lucas esce una volta al mese, mentre io posso uscire una volta ogni tre

    mesi e, se gli chiedo di farlo prima, mi risponde sempre con la stessa frase: “No, Eileen. Sai bene che abbiamo un turno, non posso lasciarti uscire così, se poi ti

    ammali?’’. In fondo capisco le sue preoccupazioni, siamo come fratelli! Da

    quando ci siamo conosciuti non ci siamo mai separati e ci prendiamo cura l’uno dell’altro. Così finisce che ogni volta io replico velocemente: ‘’Sì, capo”.

    Però io esco molto meno di lui e stare qui da sola mi annoia, anche se è solo

    un giorno al mese.

    Io e Lucas ci conosciamo dal 2029 ormai; lui ha già ventuno anni, mentre io

    ho da poco compiuto quindici anni. Abbiamo festeggiato il mio compleanno insieme e, come regalo, Lucas, mi ha permesso di uscire nonostante non fosse

    il mio turno. Ero così emozionata che ho corso per tutta la strada cantando a squarciagola. Siamo stati anche fortunati a non imbatterci nelle continue rivolte

    in città.

    Non so come andrà in futuro, ma in questo momento, il virus ha sfortunatamente portato alla morte 5 miliardi di persone, la cura non è bastata

    ed il vaccino non ha avuto effetto.

    Comunque, sono quasi le cinque. Lucas dovrebbe arrivare tra poco; d’altronde

    lui non arriva mai in ritardo. L’unica volta che è successo era perché si era scordato di spedire una lettera, ed è arrivato due minuti dopo. Comunque,

    appena arriverà, commenterà quello che sto scrivendo con la solita frase: ‘’Ma cosa stai scrivendo? Non sei capace! Non si capisce niente! Si vede che non vai

    a scuola’’; ma tanto io mi sono preparata e questa volta gli risponderò dicendo: ‘’Non si capisce niente? Sei vecchio! Non capisci che ormai la parola ‘virus’ non

    è più un tabù! I tempi sono cambiati!’’. Voglio proprio vedere come mi risponderà.

    È strano, ho smesso di scrivere per un po’ perché non sapevo più cosa dire, ma tra una cosa e l’altra si sono fatte già le 17:30. Non è normale che Lucas non

    sia ancora arrivato, non so cosa pensare, non abbiamo modo di contattarci ed io non ho nessuno a cui chiedere informazioni. Poter avere una connessione

    internet è un lusso per pochi ormai, anche se c’è una forte presenza di tecnologia. Abbiamo un telefono in casa, ma non lo usiamo spesso, le uniche

    chiamate che ci arrivano sono gli annunci delle rivolte cittadine. Sono preoccupata. Aspetterò ancora un po’ ed in caso uscirò a cercarlo.

    Quaderno, non ho trovato nulla, sono le sei passate e non si è ancora fatto

    vedere. Ho deciso. Ora esco a vedere. Ho preso tutto ciò che potrebbe servirmi,

  • non mi resta che uscire a cercarlo, anche se il mio istinto mi trattiene. Va bene.

    Io vado.

    Care generazioni future che, se non tornerò a casa, leggerete questo

    quaderno, cercate di trovare una soluzione a tutto questo.

  • “Ocuvirus” di Giacomo Di Giugno

    Anno 2150.

    Sono ormai passati ormai nove mesi da quando si è scatenato l’Ocuvirus.

    Tutto iniziò in Egitto, dai ratti che vivevano nelle piramidi; da lì il contagio si

    diffuse molto facilmente con le alte temperature estive. Era facile da identificare a causa delle profonde irritazioni che provocava sulla pelle e che portavano alla

    morte.

    Gli scienziati di tutto il mondo lavoravano senza sosta ad una cura e ad un

    vaccino, ma senza grandi risultati. Nonostante l’invenzione di un macchinario molto avanzato che aiutava a sviluppare i vaccini, non si facevano progressi su

    questo fronte e migliaia erano i medici contagiati.

    Anche gli animali vennero contagiati e quindi l’ecosistema venne compromesso: gli alberi stavano morendo insieme agli animali e l’aria diventava

    sempre meno respirabile.

    Le uniche piante in salute erano quelle da interno, ma questo non aiutava a

    riequilibrare l’ecosistema.

    Era una vera e propria tragedia mondiale.

    Fortunatamente, dopo circa cinque mesi, un giovane neolaureato ebbe l’idea

    di contrastare il caldo con cui si spargeva il virus, con un unguento a base di nitrogeno liquido, uno dei materiali più freddi al mondo. Questa crema preveniva

    i contagi nella quasi totalità dei casi e fu, quindi, usata prima di tutto dai medici e poi distribuito alla popolazione, anche se la disponibilità di idrogeno era limitata

    e quindi se ne consegnava a ciascuno una piccola quantità, che doveva gestire da solo.

    Il nuovo unguento fu di grande aiuto anche dal punto di vista psicologico,

    perché arrivò in un momento in cui sembrava non esserci più speranza. Anche i medici, psicologicamente rinvigoriti, poterono lavorare ancora più duramente

    alla ricerca del vaccino.

    In realtà era stato trovato un vaccino teorico, ma funzionava solo nel 50% dei

    casi; nei restanti si contraeva una forma particolarmente aggressiva del virus. I medici stavano per perdere di nuovo le speranze, ma iniziarono a cercare

    soluzioni anche esplorando opzioni inverosimili.

    Un giorno, un medico anziano che aveva interrotto la pensione per questa

    emergenza, provò a stabilizzare le cellule del virus con un insetto trovato su Marte l’anno precedente dalla missione spaziale Artemide 7. Questo esperimento

    risultò, con sorpresa di tutti, incredibilmente efficace e in men che non si dica il nuovo vaccino venne distribuito a massimi ritmi in tutto il globo.

    Ora il virus è stato debellato al 98% e quasi tutti gli abitanti della terra sono tornati alle loro solite attività, sono tutti più gentili di prima e non si lamentano

    quasi mai. O così sembra, almeno per ora…

  • “Il virus che unisce” di Alessandro Ferreri

    Bisdee - Arizona - America anno 2200 coordinate 29°nord 61°est

    - È fin dalle gare all’università che quel topo da laboratorio ha la meglio su di

    me, tutti sono dalla sua parte. Sono stufo, da oggi sarò io l’unica mente della

    scienza e tutti gli scienziati dell’intero universo sapranno chi è l’erede di Stephen Hawking del XXII secolo - sono queste le parole dette dallo scienziato Paul

    Zowski contro il genio della scienza Randall Boggs.

    I due erano insieme all’università, ma ogni rapporto tra loro si interruppe alla finale dei giochi universitari del 2180 quando Boggs copiò la scoperta di Zowski.

    Da quel momento fu guerra aperta.

    Da anni Zowski si è rinchiuso nel suo bunker centinaia di metri sotto terra

    dove nessuno può entrare. Girano certe voci che lì abbia macchinari che neanche la CIA possiede. Sembra un vero impero scientifico. L’ultima apparizione del

    Zowski risale a cinque anni fa quando avvenne l’ultimo incontro con Randall Boggs.

    - Ormai sono anni che progetto la mia vendetta, e ora dopo un lustro sono

    giunto alla conclusione. Eliminerò il tanto amato professor Buggs dal mondo della scienza.

    Washington DC Word Conference of Science 2200

    Quale occasione migliore per eliminare il tuo peggior nemico e tutti i suoi

    seguaci che la premiazione del mondiale della scienza! Questo era il piano del proff. Zowski, ma non gli avrebbe torto un capello, non avrebbe sparato con una

    pistola laser a 5.000 gradi, l’avrebbe fatto il più silenziosamente possibile.

    Zowski in pochi istanti stava per cambiare la storia dell’umanità per una sua vendetta personale. Liberò nei condotti dell’area un virus talmente potente da

    poter contagiare 4.000 scienziati in poco meno di tre ore.

    Ma il piano era molto pericoloso, perché se anche una piccola cosa fosse

    andata storta, il virus avrebbe potuto stravolgere ogni forma di vita sulla Terra.

    Zowski fu molto attento, ma la situazione gli sfuggì di mano. Il virus si diffuse ovunque ed in poco tempo: morirono molti scienziati presenti alla conferenza e

    gli altri erano gravi in ospedale.

    Tutti i governi del mondo chiesero aiuto agli unici scienziati in grado di

    rimediare, Zowski e Boggs, che era risultato asintomatico.

    Il virus in poche ore arrivò in Asia, Europa e Africa, non c’era tempo per riflettere. Zowski, nonostante la rabbia per non aver eliminato Boggs, doveva

    collaborare proprio con lui per salvare l’umanità.

    I due si chiusero nel bunker di massima sicurezza di Zowski e lavorarono senza

    sosta giorno e notte finché non trovarono il vaccino.

    Dopo vari tentativi arrivarono alla soluzione, trovarono un nuovo virus molto contagioso capace di eliminare quello precedente senza danneggiare la salute

    dell’uomo.

  • “Quale teoria avrebbe vinto?” di Adele Gargani

    Il dottor Hastings passeggiava nervosamente avanti e indietro nel salotto di

    casa sua, ignorando i suoi figli che gli chiedevano di giocare con loro. Hastings aveva un lavoro molto complesso e difficile: era medico di laboratorio, e, con il

    gran daffare che richiedeva il mestiere, non era quasi mai a casa. Era perciò logico e giusto che, una volta tanto che c’era, i bambini lo volessero tutto per

    loro. In un altro giorno e periodo Hastings li avrebbe accontentati con gioia, ma in quel momento non ci si poteva distrarre: il mondo intero stava combattendo

    con un nemico quasi impossibile da battere, il coronavirus, che sembrava un polipo: arrivava dappertutto. Il laboratorio medico-scientifico nel quale lavorava

    Paul Hastings era uno dei più importanti e prestigiosi a livello nazionale, il governo gli aveva quindi affidato un compito difficile e delicato: scoprire nel

    dettaglio da cosa provenisse quel virus o chi l’avesse creato, e ideare la giusta contromossa, il vaccino. All’interno del laboratorio si erano divisi i compiti: i

    medici progettavano il vaccino e gli scienziati indagavano sul virus. Hastings, però, essendo una personalità molto importante nel laboratorio, aveva un po’

    entrambi i compiti, e doveva quindi lavorare il doppio e con più attenzione degli

    altri. In quel momento aspettava una telefonata importante dalla Cina, il luogo in cui molti fantasiosi pensavano che fosse stato ideato, ma il laboratorio, il virus.

    Per questo era così nervoso. All’inizio della pandemia un suo fidato collaboratore si trovava in Cina per dei precedenti incarichi, e si accingeva a ritornare in patria,

    quando ricevette un breve telegramma da Hastings che diceva: “Non tornare. Resta e controlla tutti i laboratori per trovare tracce di creazione in laboratorio

    del nuovo virus. Vigilanza costante.”, John Wells, il collaboratore, aveva eseguito gli ordini e negli ultimi mesi aveva girato più laboratori cinesi che poteva, alla

    ricerca di indizi. La sera prima Hastings aveva ricevuto a sua volta un conciso telegramma da Wells: “Scoperto qualcosa. Chiamo domani alle 5.30.” L’uomo

    era perciò in fibrillazione e, nonostante mancassero ancora undici minuti, passeggiava impaziente nei dintorni del telefono. Il tempo sembrava trascorrere

    lentissimo, quando… il telefono trillò. Hastings si avventò sulla cornetta.

    - Pronto, qui il dottor Hastings. Sei tu, Wells? – ma non era così.

    - No, che dice… sono Harrison! – Harrison era il vice-capo del laboratorio, e

    aveva una voce entusiasta.

    Hastings quindi lo incalzò: - Allora, mi vuoi dire cosa sta succedendo? Avete

    scoperto qualcosa?

    - Ecco, vede, dottore, venga subito in laboratorio. Probabilmente Tony ha avuto l’idea vincente.

    Hastings fu scosso da un fremito d’ eccitazione. Senza nemmeno salutare moglie e figli, e dimenticandosi della tanto attesa telefonata, si tuffò nella sua

    macchina e in una volata arrivò al laboratorio. Tony Streets era un giovane inventore, entrato da poco nello studio. Aveva sempre delle ide geniali, che poi

    metteva in atto costruendo ingegnosi macchinari. Non sempre usava il suo genio per ciò che gli era stato richiesto, ma visto che in quel periodo non si parlava

    d’altro che del temibile Covid-19, e Tony aveva anche un parente afflitto dalla malattia, aveva tutto l’interesse a spremersi le meningi per qualcosa di utile per

    il pianeta. Per questo Hastings era molto speranzoso.

  • Entrò nella stanza principale. Nonostante le precauzioni per il virus, tutti i suoi

    colleghi erano radunati vicini sul tavolo, gli occhi posati su qualcosa che Hastings non riusciva a vedere. Appena si accorsero della sua presenza, istintivamente i

    colleghi fecero spazio al giovane Tony, che come era solito fare, si schiarì la voce

    e incominciò il discorso:

    - Allora… visto che tutti qui in laboratorio siamo dell’idea che il virus sia stato trasmesso da un ignoto animale, mi è sembrato giusto usare la mia grande

    intelligenza…pardon, la mia cultura, per realizzare qualcosa che ci potesse aiutare a capire chi è il nefasto animale. – Che in laboratorio tutti pensassero

    che la colpa fosse di un misterioso animale era vero, lo pensava lo stesso Hastings, eppure, il dottore, ancora immobile sulla soglia, non aveva ancora

    capito. Quindi sollecitò il giovane inventore:

    - Avanti, spiegati meglio: cos’hai costruito?

    - Un ingegnoso macchinario, in grado di capire in pochi secondi se un essere

    vivente può o non può aver dato il via a questa terribile pandemia - rispose, pronto, Tony – caro signor Hastings, vi presento l’”Acchiappa-virus”! – A questo

    punto, con una ridicola pausa ad effetto, Tony si spostò da un lato mettendo in mostra un oggetto che assomigliava ad una scatola per le scarpe, solo in metallo

    e con un piccolo schermo fosforescente su un lato.

    - Il funzionamento è molto semplice - spiegò il creatore – basta inserire sotto

    questa lastra una parte del corpo, o, se è piccolo, l’intero animale, ed entro 27 secondi su questo schermo comparirà la scritta “yes” o “no”.

    “Geniale” pensò Hastings “ecco perché Tony spariva regolarmente nella sala

    costruzioni, negli ultimi giorni” poi però recuperò subito il suo noioso realismo e

    domandò a bruciapelo:

    - Sei sicuro che funzionerà?

    - Certo! – si senti rispondere dalle quindici voci entusiaste dei colleghi.

    - E perché tanto ottimismo, sentiamo?

    - Vede, Hastings, quando lei non c’era l’abbiamo sperimentata su una mosca

    - spiegò fiero Tony – e in 21 secondi e 53 centesimi è apparsa chiara e precisa la scritta “no”. Come vede abbiamo anche ristretto il campo dei sospettati! – e

    scoppiò a ridere.

    - Ma è eccezionale, per Giove! – esclamò Hastings, finalmente convinto –

    Basterà solo fare il giro di tutti gli zoo del mondo e sperimentarlo su tutte le specie animali viventi!

    Mentre Harrison andò a telefonare alle autorità per comunicare la meravigliosa

    scoperta, nella stanza entrò con premura la signorina Elsa, una delle segretarie.

    - Mi scusi se la disturbo, dottor Hastings, c’è per lei Wells al telefono, e sembra

    anche piuttosto impaziente…

    - Oh misericordia – proruppe Hastings, dandosi una sonora manata sulla fronte – me ne ero completamente dimenticato, ma tanto non serve, ora

    abbiamo la soluzione. – incenerito però dall’occhiata minacciosa che gli lanciò signorina Elsa, aggiunse – Comunque eccomi, vengo subito!

    E si recò nella stanza del telefono, per la seconda grande chiamata della sua giornata.

  • - Pronto, Wells… sì, sono io… che cosa??? - domandò incredulo per ciò che

    aveva udito.

    - E’ così, signore, ormai ne abbiamo avuto la conferma. Quando mi sono recato

    al laboratorio centrale di Wuhan, il capo mi ha spiegato che il Covid-19 è stato da loro creato in laboratorio per volontà di un uomo, o meglio, di uno strano

    personaggio non bene identificato. Pare che quest’uomo, dall’aspetto alquanto discutibile, si sia recato…

    - Scusami - lo interruppe Hastings - cosa intendi per “alquanto discutibile”?

    - Ecco, vede… il capo mi ha riferito che aveva tre occhi, lo stesso numero di braccia, una bocca nera, una gamba a metà, anche se camminava

    perfettamente, non si sa come. Dicevo, costui si è recato al laboratorio centrale, non sanno bene come abbia superato la sorveglianza, ed è entrato nella sala con

    gli scienziati al lavoro, brandendo in una mano un coltello, nell’altra una pistola e nella terza un’ascia. Tutto questo è vero, mi hanno mostrato la foto del curioso

    personaggio, debbo ammettere che era davvero spaventoso… ma torniamo al dunque. Costui li ha minacciati di ucciderli tutti se non avessero creato solo per

    lui un virus molto dannoso entro un paio di settimane. Gli uomini, intimoriti dalla minaccia di morte e dalla creatura in generale, gli risposero terrorizzati che

    avrebbero fatto quanto chiesto. La creatura piazzò una grossa e strana

    telecamera, mi hanno fatto vedere anche questa, nel laboratorio e se ne andò concludendo che li avrebbe sorvegliati attraverso la telecamera. Gli uomini,

    seppure a malincuore e un po’ spaventati, si misero subito al lavoro e progettarono questo ormai famoso coronavirus. Tuttavia non crearono una

    malattia di morte istantanea, non avrebbero certo voluto che l’uomo facesse una strage, e la creatura non poteva sapere in cosa consistesse il virus. Gli scienziati

    ne terminarono la creazione il giorno concordato. Alle ore 16.04 cinesi, il capo lo ricorda ancora, la starna creatura ritornò, sempre armata. Disse soltanto “E’

    pronta la mia merce?”, il capo mosse qualche passo, gli consegnò la provetta con dentro il virus e un’etichetta con scritto “coronavirus”. L’assurda creatura lo

    prese, girò i tacchi e se ne andò. Non lo videro più, ma videro le conseguenze di ciò che la loro minuscola invenzione aveva provocato. Molto più di una strage.

    Tutti quegli scienziati si sono licenziati, tormentati dal rimorso. Uno di loro è anche morto per un virus che lui stesso aveva contribuito a creare. Anche il capo

    era distrutto. – terminò il suo sconvolgente racconto Wells.

    Hastings, dal canto suo, era allibito, poi, con voce flebile, raccontò della

    macchina acchiappa-virus e di come funzionasse bene.

    - Mi spiace - disse Wells – ma io ho eseguito gli ordini. Ora sta a lei decidere – e attaccò.

    Ancor sconvolto, tornò dai colleghi. Sorridendo, Harrison spiegò che le autorità gli avevano detto che, grazie alle ricerche fatte, si sentivano sicuri ad affermare

    che il virus proveniva da qualche animale, e che avrebbero utilizzato la loro macchina per scoprire con precisione quale.

    - Cosa c’è, non siete contento? – domandò Tony Streets, fierissimo della sua

    invenzione ma stupito dall’aria assente, allibita e confusa del suo capo.

    - Cari colleghi – finalmente Hastings riuscì a parlare – Cari colleghi, vi riferisco

    ora quanto mi è stato detto da Wells, in Cina - e spiegò tutto, sotto lo sguardo incredulo dei suoi colleghi. Poi divamparono le discussioni su chi la pensava in

  • un modo e chi in un altro. Il dottor Paul Hastings non era affatto tranquillo. Si

    trovava al bivio più difficile che avesse mai incontrato in tutta la sua vita.

    Quale teoria avrebbe vinto?

  • “Il mio obiettivo” di Alessandro Giammatteo

    Siamo nell’anno 2052, vent’anni dopo che un virus letale ha colpito la Terra. Gli umani si sono estinti per il 75% e da quando si è sviluppato questo virus

    moltitudini di scienziati stanno cercando un vaccino.

    Questo virus provoca l’autocombustione dei globuli bianchi e nel giro di qualche giorno porta alla morte. Sono nato 40 anni fa quando ancora la terra

    era un pianeta ospitale e forse la scelta di studiare biologia a Oxford mi ha aiutato

    a sopravvivere fino a oggi e ad essere ad un passo per trovare il vaccino.

    Tutto ebbe inizio quando un gruppo di minatori scavando nel Congo trovò lo scheletro di un animale che aveva subito delle mutazioni genetiche. Fui chiamato

    dalla compagnia mineraria per analizzarlo ed portai quelle ossa in un laboratorio del Cairo. Alcuni giorni dopo, ricevetti i risultati delle analisi: l’animale era stato

    colpito da scorie radioattive perché in quella zona i russi erano soliti fare esperimenti nucleari.

    Quella stessa notte molti scienziati entrati in contatto con le ossa infette notarono la comparsa di varie eruzioni sul loro corpo. Nel frattempo un ragazzo,

    poi divenuto il paziente zero, si accorse che gli usciva fumo dalle orecchie e dagli occhi. Raggiunse l’ospedale dove cadde terra, morto; i medici gli tolsero la

    maglietta e poterono constatare che la schiena aveva raggiunto un calore così alto da sembrare che stesse andando a fuoco e in effetti fu così.

    Ad oggi siamo ancora lontani dal vaccino, però alcuni scienziati hanno scoperto

    che le rane, anche se infettate, non subiscono la combustione dei globuli bianchi.

    Potrebbe essere la loro particolare struttura del DNA che nella spirale ha una variazione. Insomma, questi scienziati adesso hanno chiesto a me di aiutarli

    nello studio di questo animale e del suo habitat e non mi fermerò finché questo virus resterà ancora in vita.

  • “Il cambiamento dell’umanità” di Andrea Giovannone

    Era un giorno come tutti gli altri. Come tutti i lunedì Alex si svegliò alle 7.00, fece colazione, si vestì, preparò lo zaino e uscì di casa.

    Sulla strada per la scuola incontrò Luca, il suo migliore amico, lo salutò e gli chiese: “Ehi, come stai?” “Non tanto bene, mi gira un po’ la testa”, gli rispose

    Luca.

    Chiacchierarono un po’ dei risultati delle partite di calcio che si erano svolte durante il weekend e entrati in classe si sedettero ai loro posti.

    Il pomeriggio Alex tornò a casa e accese la TV per vedere la sua serie preferita e si accorse che stavano trasmettendo un’edizione straordinaria del telegiornale,

    ma, visto che la sua serie era già iniziata, cambiò canale in fretta.

    Il giorno dopo, sulla strada per la scuola incontrò di nuovo Luca e gli chiese: “Come va, oggi?” e lui rispose: “Sempre peggio, ho provato a dirlo ai miei

    genitori, ma mi hanno fatto venire comunque” “Vedrai che passerà” lo rassicurò Alex.

    Quando rientrò a casa il pomeriggio sentì i suoi genitori parlare a bassa voce in camera loro, ma li ignorò.

    La sera, a cena, i genitori gli dissero: “Alex, questa settimana non andrai a

    scuola”, il ragazzo annuì senza fare troppe domande, anche perché a lui interessava solo il fatto di non andare a scuola non il perché.

    Ma la notte il dubbio lo assalì, iniziò a chiedersi: “Come mai hanno deciso che non devo andare a scuola questa settimana?”. Pensò a lungo, ma non trovò una

    risposta e decise che l’indomani lo avrebbe chiesto ai suoi.

    Il giorno dopo si svegliò tardi, alle 9, i suoi genitori erano già andati a lavoro e non ebbe la possibilità di chiederglielo. Si preparò la colazione, accese la TV e

    mise il telegiornale per cercare di capire come mai non l’avessero fatto andare a scuola. Stavano parlando di un nuovo virus, apparso recentemente, molto

    contagioso e di cui nessuno sapeva niente.

    Preoccupato per il suo amico Luca lo chiamò, ma nessuno rispose.

    Quel giorno chiamò svariate volte senza mai avere risposta. La sera, quando

    ritornarono i genitori chiese loro: “Ho provato a chiamare Luca, ma non risponde. Avete sue notizie?”. I genitori annuirono e gli risposero: “Certo, non ti avrà

    risposto perché sta male” “Hai il nuovo virus?” chiese Alex e i genitori fecero di

    sì con la testa.

    Nelle settimane successive, il virus si diffuse in tutto il mondo. Furono contagiate centinaia di milioni di persone e tutti i governi del mondo istituirono

    il divieto di uscita da casa se non per fare la spesa.

    Il nuovo virus, chiamato dagli scienziati “Morbillo 2°”, aveva sintomi simili al

    morbillo, come febbre superiore ai 40° C e bolle rosse su tutto il corpo. Le uniche due differenze erano l’alto tasso di mortalità e il fatto che il vaccino per il morbillo

    non proteggeva da questa malattia.

    Nonostante scienziati e medici di tutto il mondo si fossero messi al lavoro per una cura, nessun farmaco sembrava portare miglioramenti.

    Un giorno, passò un dottore a casa di Alex per effettuare un controllo e i suoi

    genitori risultarono positivi al Morbillo 2°, ma stranamente lui no.

  • Gli prelevarono un po’ di sangue per analizzarlo e cercare di trovare una cura.

    Dopo settimane di studi trovarono nel sangue prelevato degli anticorpi, che lo rendevano immune al virus. Quindi lo iniziarono a testare e i risultati furono

    straordinari, poiché in solo due o tre giorni distruggeva quasi completamente il

    virus.

    Scoprirono che anche altri ragazzi erano immuni al virus e avevano nel sangue gli stessi anticorpi di Alex, da cui si poteva ricavare la cura.

    Iniziarono a somministrarlo in tutto il mondo e quando l’ultima persona fu

    vaccinata, la comunità mondiale pensò di essere salva.

    Anche Luca guarì e per lui e Alex sembrava di essere tornati alla vita di tutti i

    giorni.

    Ma un mese più tardi nelle prime persone che lo avevano testato si rivelarono degli effetti collaterali: cominciavano a mostrare gravi segni di disidratazione. La

    loro pelle diventava sempre più secca, la sete aumentava sempre di più e molti

    di loro decisero di trasferirsi in località vicino al mare per poter fare lunghi bagni ogni giorno.

    Era l’unico rimedio che li faceva stare meglio.

    Gli studiosi si accorsero che i cambiamenti non erano solo nell’aspetto esterno

    ma anche nell’aspetto interno.

    I diversi apparati del corpo stavano subendo dei cambiamenti adattandosi

    all’ambiente acquatico.

    La maggior parte dell’umanità ormai resisteva solo poche ore fuori dall’acqua cosa che causava problemi non indifferenti nella vita quotidiana, ma ciò portò

    anche ad un avvicinamento sostanziale dell’uomo al mare: si cominciò

    finalmente a capire come l’inquinamento stava cambiando completamente quell’ambiente, sporcandolo con tutti i rifiuti che ogni giorno venivano scaricati

    a mare.

    Così tutti i governi del mondo si unirono per creare delle città galleggianti e fare in modo che l’uomo potesse vivere nell’ambiente che ormai a lui era

    diventato più idoneo, sfruttando le enormi risorse che erano nel mare in modo più consapevole.

    I più famosi architetti si riunirono per superare l’ennesima prova che l’umanità doveva affrontare.

    Insieme progettarono hotel, case e negozi sull’acqua. Insomma riuscirono a

    costruire delle città con tutti i servizi per la sopravvivenza della specie umana non più sulla terra, ma sull’acqua.

    Alla fine si accorsero che da un evento catastrofico era nata l’unione di tutti i popoli del mondo aldilà delle ragioni politiche e sociali.

    Purtroppo alcune famiglie come quella di Alex furono costrette a dividersi,

    perché il ragazzo non aveva sviluppato le stesse capacità acquatiche dei suoi genitori, ma l’importante era sapere di essere tutti salvi e potersi incontrare nei

    momenti più importanti delle loro vite per poterli condividere, come avevano condiviso la prova più importante che tutta l’umanità aveva superato.

    Ogni sera, Alex saliva su una collina che stava sul mare per poter salutare da

    lontano i suoi genitori e urlare loro che gli voleva bene e che ne sentiva la

    mancanza.

  • “Covid-19” di Francesco Gobbi

    Roma, 21/03/2051

    Stavo parlando col mio bisnonno della Prima guerra mondiale, tanto eravamo chiusi in casa, cosa dovevamo fare?

    Mi stava raccontando che dopo la guerra il mondo intero aveva vissuto

    vent’anni di pace e serenità, senza guerre malattie o contrasti politici.

    La conversazione fu interrotta da mio padre che disse che sarebbe andato a

    fare la spesa, ovviamente con mascherina e guanti.

    Questo Covid-19 stava uccidendo milioni di persone. Da quando era arrivato gli scienziati avevano provato a capire da dove venisse, la teoria più verosimile

    era quella dei ricercatori negli Stati Uniti che la chiamavano “influenza delle trincee”.

    Eppure, come era possibile? L’ultima guerra in trincea era la Prima guerra mondiale.

    Uno scienziato italiano fece una scoperta fondamentale: scoprì che il virus era

    arrivato pochi giorni dopo l’arrivo di alcuni viaggiatori pacifici, i ragazzi dell’ONU del 3000 che viaggiavano nel tempo per portare la pace nel passato. Fu lui a

    fare questo collegamento. Poi passò però ancora un anno, durante il quale il Covid-19 era arrivato ad infettare 20 milioni di persone.

    Ma un bel giorno: la liberazione!

    Non scorderò mai quel pomeriggio: eravamo a fine marzo 2021, ormai la primavera si faceva sentire, io stavo tranquillamente giocando ai videogiochi in

    salotto quando sentii in cucina risate, abbracci ed esultanze. Mi precipitai subito di là e chiesi ai miei parenti cosa stesse succedendo.

    Mi risposero che i ragazzi del futuro ci avrebbero salvati. Mi spiegarono anche che il virus ce lo avevano portato loro dal passato. Io non capivo, poi il mio

    bisnonno intervenne dicendo che il Covid-19 era in realtà l’influenza spagnola che era scoppiata ai tempi della Prima guerra mondiale. Quei ragazzi erano

    tornati in quell’epoca per fermare la guerra, senza successo, e una di loro, appena guarita da un tumore, avendo quindi le difese immunitarie a pezzi, era

    stata infettata.

    Successivamente, essendo venuta nel 2020 per fermare l’inquinamento in

    Cina era riuscita ad infettare una persona facendo così scoppiare la pandemia.

    Con questo ci rassicurarono che la cura sarebbe stata pronta in una settimana. Ero al settimo cielo, stava per finire tutto, saremmo tornati a vivere

    normalmente, quei ragazzi erano stati il problema e al tempo stesso la soluzione e per questo sarei stato loro per sempre grato.

  • “Intervento a cuore aperto” di Lucrezia Laporta

    Era la sera del 14 giugno 1994, stavo godendo di un attimo di tranquillità. La notte in ospedale era stata laboriosa. I pazienti non avevano smesso di entrare

    da quella maledetta porta da quando era cominciato il mio turno. Ogni volta che le due ante della porta venivano aperte, sbattevano con raffica ed io

    puntualmente trasalivo dallo spavento. Mi stavo rilassando un attimo dall’ultimo intervento, un ometto di 84 anni che dopo 4 infarti in 2 anni, aveva “finalmente”

    deciso di lasciarci, quando le ante della porta vennero violentemente sbattute

    contro il muro e un uomo su una barella venne velocemente scortato nell’ospedale. Jenn corse subito da me prendendomi per un braccio per

    trascinarmi nella sala operatoria. Subito il primario ci avvertì, dichiarando: “Un uomo di trent’anni circa, trovato sui margini di una pista di atterraggio, ha

    bisogno di un intervento a cuore aperto.... ORA!”. Mi muovevo con rapidità e cercavo di rendermi utile. La luce al neon puntata sul lettino rifletteva per tutta

    la stanza e mi faceva girare la testa. Credo non fossi conscio delle mie azioni. Mi muovevo con gesti meccanici e passavo il bisturi al primario. Tutto sembrava

    essersi fermato nel tempo. Tutti avevano gli occhi puntati sul corpo dell’uomo, ma sembrava che i loro sguardi non fossero “vivi”, come se guardassero un

    punto fisso