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L’ARCHITETTURA ITALIANA TRA LE DUE GUERRE
Prof. Raffaele Giannantonio
Università degli Studi “G. d’Annunzio” di Chieti e PescaraDIPARTIMENTO DI ARCHITETTURA
CORSO DI STORIA DELL’ARCHITETTURA Ia
A.A. 2017-2018
MARIO SIRONI, Paesaggio urbano, 1921
MARIO SIRONI, Periferia, 1922
Subito dopo la Prima Guerra Mondiale la cultura
italiana avverte l’alternativa fra il rifiuto d’ogni
regola vigente e un rinnovato desiderio di
regolarità, di stabilità, ma non ha sufficiente
energia per portare a fondo questo dilemma.
I superstiti del Futurismo ripetono senza
convinzione le loro dichiarazioni rivoluzionarie,
e deviano presto verso esperienze futili ed
evasive, mentre la generazione più giovane non
si riconosce più in queste formule e si rivolge al
passato, dove si aspetta di trovare regole
costanti, valori certi e permanenti.
MARIO SIRONI, L’architetto, 1922 MARIO SIRONI, Periferia, 1922
È la tendenza della dei pittori del
movimento detto “Novecento”,
fondato nel 1922 da Margherita Sarfatti:
Anselmo Bucci, Mario Sironi, Funi,
Marussig, Dudreville, Malerba, Oppi.
In questo periodo molti ex-futuristi
cambiano bruscamente indirizzo, da
Carrà che si accosta al “Novecento” a
Soffici e Papini che diventano uomini
d’ordine e conservatori ad oltranza.
L’architettura: Milano, lo “STILE NOVECENTO”
Il Futurismo,
caduto Sant’Elia in
guerra perde ogni
presa nel campo
architettonico e
produce solo le
scenografie di
Virgilio Marchi e di
Fortunato Depero.
Invece l’orientamento tradizionalista dà frutti consistenti: ai pittori
novecentisti corrisponde il gruppo degli architetti Neo-classici milanesi:
Giovanni Muzio, Piero Portaluppi, Emilio Lancia, Gio Ponti, Ottavio
Cabiati, Alberto Alpago-Novello, che si ispirano al primo ‘800 lombardo,
l’ultima esperienza architettonica francamente europea compiuta in Italia.
Giovanni Muzio collega il desiderio di regolarità alle esigenze della pianificazione
urbanistica ed in effetti l’esigenza di una nuova regolarità è viva in tutta la cultura
europea. Ma i Novecentisti restano prigionieri dell’antico dilemma passato/futuro
e non sanno proporre che il ritorno a modelli del passato. Così essi precorrono un
movimento europeo molto diverso da quello che si aspettano: il Classicismo di
Stato, che si fa strada dovunque, spazzando via insieme il Movimento Moderno e
il sogno aristocratico del “Novecento”.
L’architettura: Milano, lo “STILE NOVECENTO”
L’architettura: Roma, IL “BAROCCHETTO” E IL NEOCLASSICISMO SEMPLIFICATO
IL NEOCLASSICISMO SEMPLIFICATO:
es. Pietro Aschieri, Pastificio Pantanella (1927)
IL BAROCCHETTO: es. Quartiere della
Garbatella (1920-35 ca), PLINIO MARCONI, lotto
8 (1923-26)
Es. Cinema Corso, facciata originale e successive modifiche operate dallo
stesso Marcello Piacentini (1915-17)
Roma, l’esordio di Marcello Piacentini (1881-1960) e l’influenza della Secession
Nel 1926 escono sulla rivista
"Rassegna italiana" i quattro articoli
del “Gruppo 7“, considerati il
manifesto del Razionalismo italiano.
Il “Gruppo 7” è composto da: Luigi
Figini, Guido Frette, Sebastiano
Larco, Gino Pollini, Carlo Enrico
Rava, Giuseppe Terragni e Ubaldo
Castagnola, sostituito l’anno dopo da
Adalberto Libera.
“La nuova architettura (...) deve risultare
da una stretta aderenza alla logica, alla
razionalità... Occorre persuadersi della
necessità di creare dei tipi, pochi tipi
fondamentali (...) occorre persuadersi
che, almeno per ora, l'architettura dovrà
essere fatta in parte di rinuncia..”
In sostanza i 7 non vogliono rompere
con la tradizione; non condividono le
tendenze estremiste di una parte del
MM; ammettono che la nuova
architettura può essere paragonata
alle epoche arcaiche del passato
1926: “IL GRUPPO 7”
L’esperienza pratica
mette in chiaro le cose.
Le prime opere di
Terragni (Casa ad
appartamenti
Novocomum a Como),
di Lingeri (Sede del club
nautico Amila a
Tremezzo)
e di Pagano (Palazzo per
uffici Gualino a Torino),
tutte ultimate nel 1929,
dimostrano che
l’interesse è rivolto non
solo verso un repertorio
formale ma anche verso
un modo d’intendere
l’architettura.
1928: Roma, Palazzo delle Esposizioni, prima
esposizione italiana di architettura razionale;
1930: si forma, il M.I.A.R. (Movimento Italiano
Architettura Razionale) che comprende una
cinquantina di architetti divisi per ambito
regionale;
1931: Roma, galleria di P. M. Bardi in via Veneto,
seconda mostra di architettura razionale, sotto il
patrocinio del Sindacato nazionale architetti.
Scandalo. Il Sindacato ritira
l’appoggio e promuove
un’associazione concorrente, il
RAMI (Raggruppamento Architetti
Moderni Italiani).
Il RAMI attacca sia l’Eclettismo che le “tendenze che vogliono fare
completa astrazione dalla magnifica esperienza e dalle nostre glorie
architettoniche passate, e che schiave dei nuovi materiali si
esplicano in soluzioni utilitarie che non si confanno al modo di
vivere del nostro popolo”.
Gran parte dei membri del MIAR passa all'altro gruppo e l'organizzazione si scioglie
“Il nostro movimento non ha altra consegna che quella di servire la Rivoluzione nel clima duro. Noi invochiamo
la fiducia di Mussolini perché ci dia modo di realizzare”
(Dichiarazione alla stampa del MIAR all’inaugurazione della mostra)
Resta solo da discutere sulle forme, se siano
migliori le moderne o le antiche e i
tradizionalisti hanno vinto in partenza
perché la discussione si svolge sul loro terreno.
Così i tentativi del gruppo «7» e del MIAR
svaniscono prima di concretizzarsi
in un vero movimento.
D’ora in poi i migliori lavorano per loro
conto o in piccoli gruppi, e nella situazione
d’incertezza che s’è creata riescono a vincere
solo alcune battaglie particolari.
La Mediterraneità: Adalberto Libera, CASA MALAPARTE sull’isola di Capri, 1938-1942
La Mediterraneità
Giuseppe Terragni fu la più importante
figura di architetto negli anni ‘30 in Italia.
I suoi primi lavori erano soavi
reinterpretazioni di esempi internazionali
ma la sua capacità di comprendere l’opera di
Le Corbusier andò molto più a fondo di
quella dei moderni italiani, i quali non sempre
ne colsero i più reconditi principi
organizzativi. Terragni era intimamente un
classicista ed era in grado di percepire in Le
Corbusier le profonda qualità di proporzione,
astrazione e riferimento raffinato.
Ciò rese Terragni capace di creare un legame
tra gli aspetti progressisti e tradizionalisti
della mitologia fascista, come è già nella
Casa del Fascio di Como (1932-36),
che sorge nelle vicinanze delle istituzioni
urbane tradizionali e si affaccia su una piazza.
Alla metà degli anni ‘30 Terragni era ormai in grado
di lavorare con un valido linguaggio architettonico
in cui delicati telai rettangolari venivano utilizzati
come frontespizi, e le strutture interne impiegate
come una serie di strati, paralleli e trasparenti.
I progetti 1933/1936 furono variazioni di
questo tema, così come la nota Casa Rustici a Milano
del 1936, in cui un telaio di sottili terrazze orizzontali
in calcestruzzo serviva a collegare i due
blocchi laterali e a generare una
versione moderna di uno schermo urbano.
Nell’Asilo Sant’Elia di Como del 1936-37, la
transizione dai confini urbani sino al centro della
pianta fu gestita spostando le partizioni vetrate oltre la
griglia strutturale dei pilastri. In tal modo le singole
aule poste ai bordi avevano ognuna a disposizione una
terrazza ombrata (valorizzata da tende avvolgibili),
mentre la sala principale e i corridoi diventavano
spazi esterni coperti. Le solette orizzontali in
estensione e i piani “scorrevoli” vennero impiegati per
reinterpretare le idee di ingresso, portico e patio con
logge tutt’intorno. Così Terragni invertì i rapporti tra
pieno e vuoto, massa e trasparenza, introducendo
spostamenti, asimmetrie e rotazioni.
GLI INTERVENTI SUL TESSUTO ESISTENTE:
Diradamento / sventramento
DIRADAMENTO
GUSTAVO GIOVANNONI
Gustavo Giovannoni in Vecchie
città ed edilizia nuova (1931)
espone l’ipotesi del “diradamento”
che dovrebbe “ripulire ed
igienizzare” discretamente i centri
storici, conservandone le qualità
ambientali e formali.
La teoria del “diradamento” –
ritenuta di “basso profilo” - non è
però funzionale alle necessità di
tipo rappresentativo del regime.
SVENTRAMENTO
MARCELLO PIACENTINI
Alla teoria del “diradamento” prevale
pertanto la prassi dello “sventramento” già
adottata a Parigi dal barone Haussmann
(percement).
Le necessità di carattere igienico
determinavano la demolizione di edifici
abitati da popolazione a basso reddito che
veniva trasferita dal centro storico in
quartieri o villaggi periferici.
In Italia lo sventramento viene applicato
da Piacentini in interventi quali la
realizzazione di Piazza della Vittoria a
Brescia.
RAFFAELE GIANNANTONIO, FASCISm vs. URBANISM: TOWN, NEW-TOWN, NON-TOWN
«Ora, se io potessi, per spiegare
meglio, fare un paragone, direi che
l’urbanesimo sta all’urbs, come la tisi
sta al corpo sano dell’uomo; ma
l’urbanistica sta all’urbanesimo come la
tisiologia sta alla tisi, il che vale a dire,
che l’urbanistica non solo non è
urbanesimo, ma è l’antidoto
dell’urbanesimo: deve essere il rimedio
opposto dalla nostra volontà
all’urbanesimo, all’espansione
patologica delle città. Bisogna, dunque,
impostare, chiaramente ed
esplicitamente, (…) l’urbanistica come
antiurbanesimo, come antidoto
all’urbanesimo» (Giuseppe Bottai, Discorso inaugurale al
primo congresso dell’INU, Roma, Palazzo
della Sapienza, 5-7 aprile 1937-XV)
Sabaudia, fondata il 5 agosto 1933 ed inaugurata il 15 aprile
1934, venne realizzata sulla base del progetto vincitore di un
concorso nazionale svoltosi nel 1933, redatto da Gino
Cancellotti, Eugenio Montuori, Luigi Piccinato ed Alfredo
Scalpelli. L’impianto, basato su tre piazze intorno alle quali si
sviluppava il tessuto edilizio, prevedeva inoltre un nucleo
residenziale per i coloni ed un piccolo centro per la
villeggiatura sulle rive del lago di Paola. Il progetto suscitò
aspre critiche specie in quanto, pur essendo realizzato in uno
spazio disponibile a qualsiasi sperimentazione compositiva,
riproponeva uno schema ortogonale piuttosto tradizionale.
Sebbene Luigi Piccinato intervenisse affermando che
Sabaudia e Littoria erano “centri comunali agricoli” edificati
“al servizio della bonifica”, sia la morfologia degli organismi
che l’architettura da loro generata riportava ad un
ambito propriamente urbano.
“(…) Non più la città
murata
contrapposta alla
campagna, la città
che impone enormi
spese e non
produce, la città fine
a se stessa e che in
sé si conclude, ma
nuove forme urbane
aperte e decentrate,
ragionevoli ed
equilibrate con la
loro funzione (...)
Una città
indissolubilmente
legata al suo
territorio (...)”.
Luigi Piccinato
«Quanto abbiamo riso, noi intellettuali, sull’architettura del Regime, sulle città
come Sabaudia! Eppure, adesso, osservandola, proviamo una sensazione
assolutamente inaspettata. La sua architettura non ha niente di irreale, di
ridicolo: il passare degli anni ha fatto sì che questa architettura di carattere
littorio assuma un carattere tra metafisico e realistico. (…) Come ci spieghiamo
un fatto simile che ha del miracoloso? (…) Sabaudia, benché ordinata dal
Regime secondo certi criteri di carattere razionalistico, estetizzante,
accademico, non trova le sue radici nel regime che l’ha ordinata ma trova le sue
radici in quella realtà che il fascismo ha dominato tirannicamente, ma che non è
riuscito a scalfire. Cioè: è la realtà dell’Italia provinciale, rustica, paleoindustriale
che ha prodotto Sabaudia, non il fascismo. Ora, invece, succede il contrario.
Il regime è un regime democratico, però quella acculturazione, quella
omologazione che il fascismo non è riuscito assolutamente a ottenere, il potere
di oggi - cioè il potere della realtà dei consumi -, invece, riesce a ottenere
perfettamente, togliendo realtà ai vari modi di essere uomini che l’Italia ha
prodotto in modo storicamente molto differenziato. (…)
E allora io posso dire senz’altro che il vero fascismo è proprio questo potere
della civiltà dei consumi che sta distruggendo l’Italia»
P.P. Pasolini, da Pasolini e... la forma della città, film prodotto dalla RAI TV, nell’autunno del
1973 e trasmesso il 7 febbraio 1974