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1 CORSO DI LAUREA MAGISTRALE IN CONSULENZA PROFESSIONALE E REVISIONE AZIENDALE Dipartimento di IMPRESA E MANAGEMENT Cattedra REVISIONE INTERNA, COMPLIANCE E GESTIONE DEI RISCHI AZIENDALI NORMATIVA ANTIRICICLAGGIO: DISCIPLINA COMUNITARIA, RECEPIMENTO IN ITALIA E CONFRONTO CON IL SISTEMA INGLESE RELATORE Chiari.mo Prof. RICCI Sante CANDIDATO ANTONACCI Roberto Matricola 679081 CORRELATORE Chiari.mo Prof. FERRARI Massimo ANNO ACCADEMICO 2016 / 2017

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1

CORSO DI LAUREA MAGISTRALE IN

CONSULENZA PROFESSIONALE E REVISIONE AZIENDALE

Dipartimento di IMPRESA E MANAGEMENT

Cattedra REVISIONE INTERNA, COMPLIANCE E GESTIONE DEI RISCHI AZIENDALI

NORMATIVA ANTIRICICLAGGIO: DISCIPLINA COMUNITARIA, RECEPIMENTO

IN ITALIA E CONFRONTO CON IL SISTEMA INGLESE

RELATORE

Chiari.mo Prof. RICCI Sante

CANDIDATO ANTONACCI Roberto

Matricola 679081

CORRELATORE

Chiari.mo Prof. FERRARI Massimo

ANNO ACCADEMICO 2016 / 2017

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NORMATIVA ANTIRICICLAGGIO: DISCIPLINA COMUNITARIA, RECEPIMENTO

IN ITALIA E CONFRONTO CON IL SISTEMA INGLESE

Riassunto

1. Analisi del fenomeno

a. Descrizione di cause e conseguenze

b. Il finanziamento del terrorismo: peculiarità con il riciclaggio

2. Modalità di repressione a livello comunitario

a. I primi approcci degli anni 80 e 90

b. Raccomandazioni Gafi

c. Il percorso delle quattro direttive e gli strumenti introdotti

3. Il riciclaggio in Italia

a. L’inserimento del reato nel codice penale

b. Legge 197/1991

c. D.lgs. 56/2004

d. D.lgs. 231/2007

e. D.lgs. 90/2017

f. Analisi del riciclaggio sotto il profilo della responsabilità amministrativa per le

imprese (231/2001).

4. Normativa antiriciclaggio inglese

a. Premessa

b. Principali norme a livello di Hard Laws e reati presupposto

c. Le guidances di settore e sanzioni

5. Confronto Italia – Regno Unito

Conclusioni

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Riassunto

Il presente elaborato ha l’intento di soffermare l’attenzione del lettore sul fenomeno del riciclaggio:

si tratta di un processo attraverso cui soggetti economici mettono a punto una serie di operazioni

volte a introdurre nell’economia risorse di origine illecita, dopo averle “lavate” per mezzo di

operazioni volte a dissimularne la provenienza.

Tale aspetto ha assunto particolare rilevanza negli ultimi anni, in cui grazie alla globalizzazione ha

potuto acquisire portata planetaria. L’avvento di internet e delle moderne tecnologie di

comunicazione e compravendita online hanno da un lato annullato le distanze e i confini, dall’altro

lato dato la possibilità a operatori fisicamente distanti di compiere negoziazioni da una parte

all’altra del mondo, aggirando i controlli che ogni stato ha posto in essere per il contrasto di

operazioni sospette. Di recente, inoltre, si sta manifestando la diffusione online di piattaforme

elettroniche sia per il gioco d’azzardo e sia per la speculazione sulle valute virtuali “bitcoin” in cui

l’Utente, una volta creato un nickname, ha la possibilità di far circolare denaro mantenendo

l’anonimato. In merito al primo aspetto, si è provveduto all’introduzione di obblighi antiriciclaggio

in capo al gestore, tenuto alla identificazione e segnalazione di operatività anomale; per quanto

riguarda le valute virtuali, dato che i gestori spesso hanno sede in paesi esteri “black list” l’attività è

più difficile e si stanno studiando tecniche di cooperazione internazionale da parte dei paesi membri

del Gruppo di Azione Finanziaria (GAFI).

L’aspetto che maggiormente emerge dal presente elaborato è che non esistono e forse mai

esisteranno tecniche di eliminazione del riciclaggio, dal momento che il vantaggio che i criminali

hanno rispetto alla forza pubblica è che loro “muovono per primi” con la possibilità di anticipare le

mosse di un investigatore, che davanti ad una nuova tecnica, avrebbe bisogno del tempo prima che

sia adeguata la normativa in funzione del maggiore rischio percepito.

Ecco allora che, in questa complessa trama di operazioni riciclative, assumono particolare rilevanza

i comportamenti delle persone che per prime e direttamente entrano in contatto con i criminali: si fa

riferimento a operatori economici come i professionisti (commercialisti, revisori, notai, ingegneri),

funzionari bancari, commercianti e gente comune. È chiaro infatti che il primo canale di diffusione

del riciclaggio è il denaro contante: spesso il cittadino associa, inconsapevolmente una preferenza al

cash, visto come sicurezza del pagamento, rispetto agli assegni bancari, vaglia, bonifici ecc. in cui

la monetizzazione dello scambio avviene in un secondo momento (a ciò si aggiunge il fatto che dal

2012 è stato rimosso l’obbligo di protesto da parte delle banche sugli assegni insoluti e la relativa

iscrizione nella centrale d’allarme interbancaria). Il problema del contante è che “non lascia tracce

del suo passaggio”, avvantaggiando colui che intende spendere o reinvestire le risorse criminali nel

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sistema economico. Affinché sia possibile il contributo attivo da parte della cittadinanza sarebbe

necessario l’inserimento di forme di tutela per il segnalante, nonché incentivi alla collaborazione, in

modo da rendere consapevoli che stare dalla parte della legge è più conveniente.

Tuttavia, come sarà detto anche in trattazione, l’errore che si compie tutt’oggi è quello di associare

ad alcuni strumenti il rischio intrinseco di riciclaggio, e ad altri no. Inizialmente infatti si pensava

che l’unico strumento idoneo al compimento di tale crimine fosse il denaro contante; dopodiché

furono aggiunti i depositi al portatore, poi gli assegni trasferibili. In realtà l’evoluzione tecnologica

incide ed amplia il novero di tali mezzi e oggi infatti non è possibile escludere nessuno strumento di

pagamento o artifizio dalla sfera delle condotte a rischio.

A tal fine di recente gli operatori bancari sono stati dotati di strumenti volti all’individuazione

prima, e la segnalazione poi, di un possibile rischio di riciclaggio. Periodicamente infatti le filiali

ricevono tabulati dalla direzione generale, in collaborazione con Banca d’Italia in cui si è chiamati a

motivare lo scopo di una certa operazione effettuata in precedenza cui si è associato un rischio

basso, dato che quel soggetto è sotto osservazione presso altri istituti. Risulta allora di fondamentale

importanza il ruolo dei reggenti delle filiali, che devono sensibilizzare e diffondere nei loro

sottoposti la cultura del “sospetto”. Molto importante è allora l’attività di identificazione e verifica

della clientela e del titolare effettivo (beneficial owner) ovvero la persona sulla quale

presumibilmente ricadrà la maggior parte dei benefici connessi a una certa operatività: il ruolo

predominante viene svolto dagli sportelli bancari, che rappresentano un importante filtro delle

informazioni; un altro filtro è abbinato all’agenzia delle entrate, la cui azione congiunta con banca

d’italia può permettere di identificare redditi occultati tassabili. Questo è solo un esempio: il

riciclaggio infatti sta prendendo particolare pregnanza nell’entroterra nazionale, a livello di appalti e

grandi realizzazioni spesso di natura pubblica. Il denaro sporco viene infatti utilizzato anche per

processi di corruzione, con l’obiettivo di tagliare definitivamente fuori dalla corsa altri onesti

imprenditori.

Fatta questa doverosa premessa è necessario esaminare nel concreto il fenomeno del riciclaggio, che

gli inglesi definiscono “money laundering”, lavaggio del denaro. Questo può essere scomposto in

tre fasi:

1) placement stage: ossia fase di collocamento, è la collocazione materiale dei proventi da

reato nel sistema economico legale attraverso una qualsiasi operazione di deposito, cambio,

trasferimento, acquisto di beni ecc. I canali attraverso i quali è possibile riallocare il denaro sporco

derivante da attività illecite sono molteplici, tuttavia tra questi assume un ruolo rilevante il canale

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bancario, tradizionalmente usato per depositare capitali e ottenere credito, attraverso l’ingresso del

contante;

2) layering o laundering stage: questa seconda fase è finalizzata a dissimulare l’origine dei

capitali ed eliminare le tracce del denaro sporco, mediante il ricorso ad ulteriori trasferimenti e

all’interposizione di successive operazioni finanziarie. Lo scopo è rendere più difficoltosa la

ricostruzione a ritroso, passaggio dopo passaggio, della reale origine illegale delle risorse

finanziarie;

3) integration stage: si tratta dell’ultima fase in cui il denaro viene ripulito e risulta pronto

per essere inserito/integrato legalmente nel sistema economico.

In sostanza l’attività criminosa, una volta provveduto al reperimento di risorse finanziarie, trova il

modo per far sparire o confondere la sua origine delittuosa, per poi poterla integrare in processi

legali.

Un aspetto peculiare al riciclaggio, che nella trattazione sarà esaminato brevemente è il

finanziamento del terrorismo: in questo caso il processo è opposto dal momento che risorse

lecitamente detenute vengono occultate per farle giungere nella disponibilità di organizzazioni

mafiose o terroristiche. Il processo comune è quello del laundering stage, in cui si vuole dissimulare

le tracce del precedente proprietario. La normativa nazionale e comunitaria è stata solita disciplinare

riciclaggio e finanziamento del terrorismo in maniera del tutto parallela a partire dal 20011.

La strategia di contrasto al riciclaggio a livello internazionale ha avuto la sua genesi a fine anni ’70

sotto due aspetti:

• Prevenzione: si è provveduto a sviluppare un sistema normativo derivante da strumenti

giuridici tradizionali della cooperazione internazionale, come le Direttive, Regolamenti ed

altri atti aventi forza giuridica più o meno vincolanti (es Raccomandazioni del GAFI);

• Repressione: si è ricorso a metodi di cooperazione intergovernativa.

A livello europeo negli anni la normativa ha avuto il contributo degli stati membri e della intensa

partecipazione di varie autorità che introdussero standard, linee guida e suggerimenti applicativi

temi di lotta alla criminalità organizzata e al riciclaggio secondo diversi punti di osservazione.

L’attività maggiormente decisiva è stata svolta dal GAFI, che nel 1980 ha emesso la prima serie di

linee guida “Misure contro il trasferimento e l’occultamento dei capitali di origine criminale”;

successivamente con le 40 Raccomandazioni e le 9 Raccomandazioni per il contrasto al terrorismo,

1 Direttiva 97/2001

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il GAFI si è imposto come la prima entità internazionale a livello di emanazione di soft laws, che

saranno fonte di ispirazione per il legislatore comunitario e nazionale.

Le raccomandazioni Gafi delineano un quadro completo e coerente di misure che i paesi devono

attuare al fine di contrastare il riciclaggio di denaro ed il finanziamento del terrorismo, così come il

finanziamento della diffusione delle armi di distruzione di massa. I paesi presentano diversi quadri

giuridici, amministrativi e operativi e differenti sistemi finanziari, quindi non tutti possono adottare

misure identiche per contrastare queste minacce. Le Raccomandazioni del GAFI, quindi,

definiscono lo standard internazionale che i paesi devono attuare attraverso misure adeguate alle

loro particolari circostanze; rappresentano inoltre lo standard internazionale che ciascun paese deve

recepire nel proprio sistema giuridico e istituzionale al fine di:

• Identificare i rischi e sviluppare politiche coerenti a livello nazionale;

• Contrastare il riciclaggio di denaro, il finanziamento del terrorismo ed il finanziamento della

proliferazione delle armi di distruzione di massa;

• Applicare misure preventive destinate al settore finanziario e ad altri settori designati;

• Dotare le autorità competenti (autorità investigative, forze dell’ordine e autorità di vigilanza)

di poteri e responsabilità necessari ed attuare altre misure istituzionali;

• Accrescere la trasparenza e la disponibilità di informazioni sul titolare effettivo di persone

giuridiche ed accordi legali;

• Facilitare la cooperazione internazionale.

Inizialmente l’errore che fu commesso era nel riconoscere il riciclaggio come reato secondario

rispetto ad un altro (corruzione, spaccio e traffico di droga); in questo modo non si sarebbe riuscito

a colpevolizzare tutti i criminali, ma solo quelli per cui sarebbe comprovata la sussistenza del reato

principale rientrante in quelli citati; un altro errore fu la mancata disciplina dell’auto riciclaggio cioè

quel fenomeno secondo cui colui che commette un reato, ricicla anche i proventi del reato stesso,

lasciando un vuoto normativo per troppi anni (in Italia solo nel 2014).

Un altro soggetto di vitale importanza per il conseguimento dell’attività di contrasto al riciclaggio è

il comitato di Basilea istituito a fine anni ’70 per garantire un’efficace attività di vigilanza bancaria

in merito ai requisiti di dotazione di capitale. Il contributo fornito dal comitato in materia di

antiriciclaggio si ebbe nel dicembre 1988 in cui furono approvati i principi del comitato di Basilea

in cui si affermò consapevolmente che riciclaggio dovesse necessariamente coinvolgere l’intero

sistema bancario e finanziario, e inoltre che le banche, avendo un contatto diretto con il cliente,

potessero ottenere informazioni riguardo le transazioni dei propri clienti. Per questo motivo si è

sviluppato il concetto di due diligence, inteso come processo investigativo messo in atto degli

istituti per analizzare un soggetto o azienda, ottenendo info di tipo economico, finanziario,

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patrimoniale. Grazie al comitato sono stati introdotti i principi di prevenzione del riciclaggio per le

regolamentazioni bancarie e le pratiche di vigilanza (nonostante non abbiano forza vincolante). I

principi erano:

• Identificazione della clientela attraverso procedure interne;

• Osservanza delle leggi: le banche, oltre a effettuare operazioni in conformità con le norme

vigenti, non devono fornire assistenza per operazioni che hanno ragione di essere collegate

ad attività di riciclaggio;

• Collaborazione con le autorità giudiziarie;

• Adesione alla dichiarazione: le banche dovrebbero adottare “politiche coerenti” con i

principi della dichiarazione, in merito alla identificazione della clientela e alla conservazione

dei documenti relativi alle operazioni, ampliando la sfera dei controlli interni.

La prima direttiva comunitaria antiriciclaggio si ebbe nel 1991 in cui il legislatore diffuse strumenti

di contrasto relativamente al sistema bancario, con la convinzione che questo fosse l’unico canale di

circolazione del denaro sporco. Si andò a disciplinare gli obblighi di identificazione della clientela

per operazioni superiori a un determinato importo anche frazionate, obblighi di conservazione delle

info acquisite per 5 anni, obbligo di astensione dal compimento di operazioni a rischio e l’obbligo

di formazione del personale con l’obiettivo di incrementare la trasparenza del mercato. I reati

compresi erano quelli citati in precedenza dalla convenzione di Vienna contro il traffico di sostanze

stupefacenti.

Successivamente nel 2001 il legislatore comunitario modificò la normativa del 1991 inserendo il

finanziamento del terrorismo alla luce degli attentati di New York. La norma in esame ha previsto

una serie di novità; in primo luogo ha ampliato il campo di applicazione della disciplina, non più

limitata solo al traffico di stupefacenti e sostanze psicotrope ma anche ad altri reati propri della

criminalità organizzata: nasce una nuova definizione di “riciclaggio” e di “attività criminosa”. Si è

infatti ampliato il campo di applicazione della disciplina antiriciclaggio non limitandosi

esclusivamente ai reati legati al traffico di droga ma estendendo l’alveo dei reati presupposto; tale

esigenza è stata dettata dall’allargamento della definizione di “riciclaggio”, inteso come

conversione o trasferimento o occultamento o dissimulazione o acquisto o detenzione di beni,

denaro o risorse provenienti da attività criminose, secondo quanto indicato dalle 40

Raccomandazioni del GAFI.

Altro aspetto di risalto della direttiva del 2001 è l’assoggettamento degli obblighi antiriciclaggio

anche ai commercialisti, notai, agenti immobiliari e commercianti di preziosi.

Un ulteriore passo in avanti è stato compiuto con la direttiva del 2005 in cui si introduce il concetto

di Risk Based Approach e Know your customer in cui il processo di identificazione e verifica della

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clientela, anziché essere un’attività statica effettuata una tantum assume dinamismo nel tempo

poiché i dati in essa contenuti devono essere aggiornati in funzione del comportamento del cliente.

Sono stati introdotti dei principi fondamentali in merito, secondo i quali la scelta di effettuare i

controlli antiriciclaggio oppure no è discrezione dell’operatore e che va effettuata nel momento in

cui c’è un manifesto rischio di riciclaggio e non sempre. L’eccessivo utilizzo dello strumento della

verifica ordinaria o rafforzata infatti diventerebbe controproducente se non inutile. La terza direttiva

ha il merito di aver ampliato anche gli strumenti con i quali può essere potenzialmente compiuto

riciclaggio: fino ad allora si associava rischio elevato al solo contante, dal 2005 in poi furono

inseriti anche gli assegni bancari trasferibili e libretti di risparmio al portatore la cui circolazione

sarà ridotta in seguito al di sotto di una certa soglia.

Recentemente è entrata in vigore la direttiva 649/2015 che invece di andare a sostituirsi al testo del

2005, va a modificarlo in alcuni aspetti come la definizione del titolare effettivo e alcune soglie per

la circolazione del contante o assimilati. L’elemento ribadito è il focus sulle pro active

investigations, anziché sulle reactive investigations; i destinatari degli obblighi antiriciclaggio

devono porre in essere un sistema di controllo interno e una adeguata formazione del personale in

modo da poter contrastare efficacemente la commissione di fenomeni illeciti connessi al riciclaggio.

Una volta esaminato il percorso delle direttive la trattazione è scesa nel merito della legislazione

nazionale in materia. Si è potuto riscontrare come dal 1991 in poi il legislatore abbia seguito

l’evoluzione della normativa inglese nell’emanazione delle leggi antiriciclaggio in Italia. Con

riferimento al periodo precedente invece il nostro paese si è spesso mosso d’anticipo rispetto alle

altre potenze europee.

Già a fine anni 70 il legislatore italiano è intervenuto a riguardo, quando nel 1978 con la legge

rubricata “sostituzione di denaro o valori provenienti da rapina aggravata, estorsione aggravata o

sequestro di persona con scopo di estorsione” ha introdotto il delitto di riciclaggio nel codice penale

tramite l’art.648 bis.

L’incipit di tale norma affermava che: “Fuori dei casi di concorso nel reato, chiunque compie fatti o

atti diretti a sostituire denaro o valori provenienti dai delitti di rapina aggravata, di estorsione

aggravata o di sequestro di persona a scopo di estorsione, con altro denaro o altri valori, al fine di

procurare a sé o ad altri un profitto o di aiutare gli autori dei delitti suddetti ad assicurarsi il profitto

del reato, è punito con la reclusione da quattro a dieci anni e con la multa da lire un milione a venti

milioni”. La norma, giacché antesignana del contrasto al riciclaggio, è tanto innovativa (in Italia

non c’era ancora una disciplina del genere), quanto restrittiva dato che si faceva riferimento ai

proventi di rapina a mano armata, estorsione, sequestro di persona; se non c’era la sussistenza di

uno di tali reati, non poteva configurarsi riciclaggio.

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Ecco allora che una dozzina di anni dopo è stata ridisegnata la norma dell’art 648 bis con la legge

55/1990 in cui il legislatore nazionale ha ampliato l’oggetto del reato passando dal “denaro o

valori” a “denaro, beni o altre utilità”, come anche l’efficacia della normativa penale, introducendo

delitti relativi al narcotraffico.

Un altro aspetto della legge del 1990 fu l’introduzione dell’art 648ter rubricato “impiego di denaro,

beni o altre utilità”, ponendo il riciclaggio come un reato primario che non presuppone il

compimento di un altro crimine, aggiungendo completezza e consequenzialità alla norma dell’art

648 bis. Il percorso del recepimento delle direttive inizia nel 1991, in cui fu introdotta la legge 197

“Provvedimenti urgenti per limitare l’uso del contante e titoli al portatore nelle transazioni e per

prevenire l’utilizzo del sistema finanziario a fini di riciclaggio di proventi illeciti”. Essa, tramite

l’introduzione di obblighi basilari di identificazione della clientela e di segnalazione delle

operazioni rischiose, ha recepito integralmente il dettato della prima direttiva comunitaria in

materia.

I destinatari erano essenzialmente gli istituti di credito i quali erano considerati gli unici soggetti

potenzialmente a rischio di riciclaggio;

ciò era sicuramente vero dal momento che le banche fino a pochi anni fa seguivano un approccio

basato sui volumi per valutare la loro gestione economica, rilevandosi però scoperte dal punto di

vista del riciclaggio a causa della facile possibilità concessa alle persone fisiche e giuridiche nel

“portare soldi in banca” cui trovargli un posto sicuro.

L’istituto bancario veniva spesso e volentieri “strumentalizzato” dagli operatori economici

nell’assicurare una veste lecita a fondi di dubbia provenienza: le cause erano associate alla

mancanza di controlli all’ingresso alimentata dal fatto che nessun reggente di banca avrebbe posto

domande sulla provenienza delle somme dato che avrebbe rischiato la perdita del cliente verso altri

istituti più asseveranti. Furono introdotte soglie alla circolazione del contante, la clausola di non

trasferibilità sugli assegni, l’obbligo di segnalazione e registrazione all’Ufficio Italiano Cambi

nonché l’obbligo di riservatezza delle info raccolte. La legge del 1991 fu revisionata nel 2004

mediante l’inserimento di soglie più stringenti in tema di identificazione del titolare effettivo e in

tema di circolazione del contante, ma il vero intervento si ebbe nel 2007 con il decreto 231 che ha

profondamente rinnovato la disciplina nazionale. Si è infatti recepito il concetto di approccio basato

sul rischio e si è estesa l’applicazione della normativa antiriciclaggio al finanziamento del

terrorismo anche nel nostro paese e viene “ammodernata” anche la definizione di riciclaggio, che

parafrasa quanto detto dall’art 1 della direttiva del 2005; viene infatti citato anche il reato di

autoriciclaggio, che non era ancora disciplinato e si vanno a introdurre reati nuovi come la

ricettazione e il favoreggiamento, aumentando di conseguenza le tipologie di sanzioni applicabili

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per ogni singola fattispecie. Il d.lgs. 231 inoltre, impone la soppressione dell’UIC e l’istituzione

dell’Unità di informazione finanziaria in conformità alla direttiva del 2005 che richiedeva la

presenza di Financial Intelligence Units omogenee a livello europeo con l’obiettivo di facilitare

l’interscambio di informazioni tra i paesi membri.

Di recente invece è stato introdotto il decreto 90/2017 che integra e modifica alcuni aspetti della

“legge antiriciclaggio” del 2007, introducendo il cd. Registro unico dei titolari effettivi, rafforzando

gli obblighi di segnalazione e conservazione attraverso la sanzione amministrativa per i non

adempienti, riducendo le soglie di circolazione fino a 3000€ per contante e assimilati.

L’aspetto che rende innovativo il sistema antiriciclaggio italiano sta nella applicazione alla

disciplina antiriciclaggio italiana il d.lgs. 231 01 dal punto di vista della responsabilità

amministrativa in capo alle imprese nei casi in cui gli amministratori o dipendenti dell’impresa

pongano in essere attività illecite che portano direttamente o indirettamente benefici all’impresa

stessa, a seconda che essa aveva un interesse ex ante o ottenga vantaggio ex post. I

Il legislatore sanziona dal punto di vista penale il committente del reato e, una volta acclarato la

presenza di interesse o vantaggio per l’impresa, la sanziona con punizioni di carattere

amministrativo ma che per la loro asprezza sono considerabili come penali. Si tratta di sanzioni

pecuniarie o interdittive in base alla gravità del fatto commesso e alla dimensione aziendale cui si

aggiungono una serie di sanzioni accessorie.

Con il d.lgs. 231/2007 (Attuazione della direttiva 2005/60/CE concernente la prevenzione

dell’utilizzo del sistema finanziario a scopo di riciclaggio dei proventi di attività criminose e di

finanziamento del terrorismo), si è esteso l’ambito applicativo della responsabilità da reato degli

enti ai delitti di ricettazione, riciclaggio ed impiego di denaro, beni o utilità di provenienza illecita

mediante l’introduzione dell’art. 25-opties nel d.lgs. 231/2001.

Nel moderno contesto delineato dalla normativa 231/2001, che agisce parallelamente e si integra

alla legge antiriciclaggio 231/2007 (e successive modifiche), assume particolare importanza per le

imprese la messa a punto di sistemi e procedure di controllo volti a minimizzare il più possibile il

rischio di commissione di reati presupposto. L’osservanza o meno del d.lgs. 231/01 è da rivedersi

nella realizzazione di un Modello di Organizzazione e Gestione in cui viene elencata la struttura

organizzativa, quindi tutti i soggetti in posizione apicale, le singole fattispecie di reato cui può

essere vittima e le modalità di mitigazione di tali rischi attraverso processi, procedure e controlli.

Nel momento in cui viene a manifestarsi un reato, piuttosto che colpevolizzare l’intero MOG si

andrà infatti a vedere in che modo esso è strutturato al fine di evitare la commissione di quel tipo di

reato verificatosi in modo da avere l’esimente da responsabilità in caso positivo, oppure la relativa

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sanzione amministrativa. Le imprese, allora, soprattutto quelle bancarie hanno sin da subito

investito nella realizzazione del MOG, inserendo all’interno i reati cui sono maggiormente esposte,

compreso il riciclaggio, dato che investire nel MOG permetterà l’assoluzione da sanzioni piuttosto

dure sia dal punto di vista economico che della propria credibilità sul mercato.

Una volta ampliamente illustrata la normativa antiriciclaggio italiana, si è provveduto a fare

altrettanto con il sistema inglese con l’obiettivo di illustrare analogie e differenze tra le due e

istaurare un confronto. Da una attenta analisi delle prime variabili economiche, finanziarie, sociali

della realtà britannica ci si è da subito resi conto che è difficile se non impossibile confrontare Italia

e Regno Unito sotto questo punto di vista perché le norme si collocano su due “terreni” differenti.

In Italia gran parte della produzione nazionale dipende dall’economia reale, mentre nel Regno Unito

l’attività borsistica è fortemente diffusa nel sistema economico attraendo beni, persone, investimenti

e risorse da ogni parte del mondo, portando con sé maggiori rischi in tema di riciclaggio. Bisogna

anche aggiungere che il sistema normativo italiano è ben diverso da quello inglese: in Italia lo

zoccolo duro delle norme è rappresentato dalle hard laws, come leggi e decreti legge, che si

impongono come testo di riferimento contenente tutte le fattispecie associate da una certa norma.

Nel Regno Unito invece risulta una preponderanza delle soft laws, quindi linee guida (Regulations),

che si occupano di dettagliare al meglio una casistica astrattamente descritta dal testo di legge che si

limita all’emanazione dei principi base. Ecco allora che per ogni tematica troveremo la presenza di

diversi soggetti come associazioni di categoria che redigono linee guida per il loro settore di

appartenenza che saranno la fonte di ispirazione dei soggetti economici appartenenti.

Ciò si ripercuote inevitabilmente sulla struttura della legge antiriciclaggio, totalmente diversa da

quella italiana. Nel panorama normativo antiriciclaggio inglese troviamo a livello di hard laws una

prima introduzione nell'ambito delle politiche anti-droga della fine degli anni '80. Successivamente

l’attività normativa inglese si è mossa in anticipo rispetto a quella comunitaria, menzionando nel

1986 il concetto di riciclaggio di denaro (anche se con una diversa formulazione), dunque due anni

prima della Convenzione di Vienna, dimostrando un interesse e sviluppo del regolamento AML

indipendentemente dalla politica comunitaria.

La disciplina repressiva inglese non solo ha iniziato la sua evoluzione in maniera indipendente, ma

ha anche sviluppato modelli che, paragonati con le altre legislazioni, si sono rilevati abbastanza

unici. In particolare, nella legge relativa al contrasto del traffico di droga del 1986, la sezione 24

introduceva il fenomeno del riciclaggio, criminalizzando la condotta di "aiutare un criminale a

mantenere il beneficio del traffico di droga" (Drug and Trafficking Act 1986). L'inclusione di

norme internazionali con l'attuazione della Convenzione di Vienna è avvenuta nel 1990 con il

Criminal Justice Act (cooperazione internazionale).

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Una vera e propria normativa antiriciclaggio si viene a riscontrare solo nel 2000 con il Terrorism

Act prima, e nel 2002 poi con il Proceeds of Crime Act in cui si disciplinano in maniera dettagliata

tutte le casistiche del fenomeno: secondo il Terroism Act infatti, una persona commette reato se

commette o entra in contatto con persone che gestiscono per se o per altri una proprietà criminale.

Una definizione più mirata viene fornita dal Proceeds of Crime Act del 2002, in cui vengono

elencate alcune fattispecie più concrete di tutte le condotte criminali. Il riciclaggio è disciplinato

nella parte 7 “Money Laundering” nella sezione 327: una persona commette reato di riciclaggio se

nasconde, traveste, converte, trasferisce e rimuove beni e proprietà criminali dal territorio del Regno

Unito. In tal caso egli subisce una pena detentiva dai 5 ai 14 anni di reclusione e / o una sanzione

pecuniaria (non è espresso un limite massimo). Stesse sanzioni si applicano nel caso di soggetti che

compiono affari conoscendo o sospettando che i beni in oggetto provengono da attività criminali.

Affinché il soggetto sia colpevolizzato è necessario che egli Conosca o Sospetti che la sua condotta

o i beni in oggetto siano frutto di attività criminali; è dunque necessario che il comportamento sia

stato compiuto; non è necessario tuttavia il fatto che l’autore fosse consapevole delle conseguenze

del suo gesto. Per quanto riguarda i reati secondari invece il sistema antiriciclaggio inglese prevede

altre due figure di reato: Failing to disclose, cioè la mancata comunicazione dell’operazione

sospetta alle autorità e il cd. “Tipping Off” ovvero di divulgazione a terzi o nei confronti del diretto

interessato: questa fattispecie può scomporsi in due casi, la divulgazione della segnalazione e la

divulgazione dell’andamento delle indagini che si stanno compiendo con l’obiettivo di

pregiudicarle.

A fianco del Proceeds of Crime Act era tuttavia necessario costruire una struttura normativa che sia

in grado di elencare e disciplinare tutte le potenziali casistiche a rischio e facilitare l’introduzione di

policy volte a mitigare i rischi. Per questo motivo, scendendo lungo la scala gerarchica delle norme

primarie, troviamo le cd. Regulations, ovvero quell’apparato normativo in grado di ampliare e

rafforzare il contenuto del testo di legge. A livello di riciclaggio troviamo le Money Laundering

Regulations: il primo testo risale al 1993, anno di recepimento della prima direttiva, entrate in

vigore dal 1 aprile 1994. Il contenuto del testo, oltre che essere sintetico risulta anche

particolarmente mirato verso il settore bancario e finanziario: la prima direttiva d’altronde, si è

rivolta quasi esclusivamente a banche ed intermediari.

Dal 1993 a oggi la panoramica dei rischi di riciclaggio è aumentata, grazie alla globalizzazione, alla

tecnologia e all’accresciuto livello di rischio terroristico: fu così che dal 1993 si sono susseguiti

diversi aggiornamenti alle Regulations ampliando il campo d’applicazione ai revisori e

commercialisti, a fine anni ‘90 e nei primi anni del 2000 inserendo anche avvocati, notai e società di

gestione dei casinò; recentemente con la modifica del 2005 sono state inserite le società che

13

svolgono attività di money transfer, ancora fuori dalla normativa. Le Regulations del 2005,

aggiornate nel giugno scorso, sono state caratterizzate da una disciplina molto puntuale e dettagliata

sui comportamenti cui devono attenersi i soggetti economici durante la loro attività: sono entrati nel

panorama normativo inglese una serie di concetti chiave della lotta al riciclaggio, come ad esempio

l’approccio basato sul rischio.

Secondo le Regulations del 2007, inoltre la profilatura del cliente non deve limitarsi in fase di

sottoscrizione del rapporto commerciale ma dovrebbe aggiornarsi periodicamente, al fine di

garantire il cosiddetto monitoraggio ongoing (regulation 8). I fattori da considerare per valutare il

livello di rischio sono:

- Andamento del fatturato;

- Rapporto con persone esposte politicamente;

- Area geografica di riferimento;

- Variazioni nella compagine societaria e nel titolare effettivo (nel caso di imprese, con

l’entrata di nuovi soci).

L’approccio basato sul rischio deve principalmente permettere al soggetto rilevante (banca,

professionista...) di poter capire per ciascun cliente che tipo di Adeguata Verifica porre in essere.

Ciò permette ai soggetti:

- Un’allocazione più efficace delle risorse proporzionata ai rischi connessi;

- Migliore identificazione dei rischi individuali;

- Maggiore flessibilità e adattabilità della strategia aziendale;

- Minore rischio per tali soggetti (banche, professionisti...) di essere incriminati.

La direttiva del 2005 ha richiesto agli stati membri un ammodernamento e una omogeneizzazione

delle strutture normative antiriciclaggio nazionali; ecco allora che sono emersi soggetti nuovi come

la National Crime Agency, che al suo interno contiene l’Unità di informazione finanziaria. Questa

lavora in stretta collaborazione con altre organizzazioni internazionali chiave per la lotta riciclaggio

di denaro e il finanziamento del terrorismo ed è un membro pienamente attivo della Egmont Group

(un forum internazionale per le UIF istituite per migliorare la cooperazione nella lotta contro il

riciclaggio di denaro e il finanziamento del terrorismo).

Oltre alle autority di vigilanza a livello nazionale, il ministero delle finanze inglese ha nominato i cd

supervisori, ovvero associazioni di categoria che vigilano ed emanano linee guida sui diversi settori

a rischio. Attualmente le principali associazioni sono:

- FCA - Financial conduct authority per banche e gli istituti di credito2

2 http://www.fca.org.uk

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- HM Revenue and Customs per società operanti nel settore della moneta elettronica e

imprese dell’economia reale3

- The Gambling Commission per i casinò4

- The Law Society per gli avvocati5

- The Institute of Chartered Accountants in England and Wales (ICAEW) per il settore

contabile e della revisione

- A fianco a queste si trovano altre associazioni di categoria di rilevanza minore oppure

operanti in settori di nicchia.

Queste hanno emesso alcune tra le principali guidances come le seguenti:

- Preventing Money Laudering and Terrorism Financing (HMRC – Agenzia delle entrate)

- JMLSG AML guidance (Emanate dal Joint Money Laundering Steering Group – il gruppo

britannico rappresentativo delle associazioni operanti nel settore finanziario, operante a

stretto legame con FCA).

- Anti Money Laudering Guidance for the accountancy sector (CCAB – Consultative

committee of accountancy bodies – Associazione di categoria dei contabili, operante in

collaborazione con ICAEW)

- Anti money laundering practice note (Law society – associazione settore giurisprudenza).

Durante la trattazione si avrà modo di soffermarsi prevalentemente sulle Guidances di JMLSG che

sono di riferimento per il sistema bancario, il più esposto al rischio riciclaggio. Tali guide in realtà

sono quelle che, confrontate con le altre, risultano maggiormente strutturate, “concrete” ed efficaci

in termini operativi per l’utilizzo degli addetti ai lavori. Questo aspetto risulta fondamentale poiché

se è vero che il sistema inglese si fonda sulle guidances e su un sistema di soft laws, è altrettanto

vero che queste devono fornire tutto il contenuto necessario ai lettori per l’implementazione pratica

dei controlli. Una prima critica è proprio questa: la maggior parte del contenuto delle guidances non

fa altro che replicare il contenuto delle norme a livello primario, senza aggiungere nulla di nuovo. Il

lettore non risulterebbe così soddisfatto e in grado di essere compliant ai principi antiriciclaggio

poiché non dispone appunto di un sistema di criteri, regole, ed esempi concreti relativamente alla

messa in pratica del Risk Based Approach. A fianco a queste criticità la trattazione farà emergere

tanti aspetti di sottile importanza ma che rappresentano aree in cui potenzialmente può marciare

l’attività riciclativa.

3 http://www.hmrc.gov.uk 4 http://www.gamblingcommission.gov.uk 5 http://www.lawsociety.org.uk

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In merito alla realtà antiriciclaggio italiana, le cose stanno diversamente, come detto, per via di un

sistema normativo particolarmente diverso rispetto a quello anglosassone: qui prevalgono le hard

laws, le norme di grado primario e, gran parte della produzione nazionale si muove sull’economia

reale. In Italia le norme antiriciclaggio si affiancano e integrano le norme di contrasto alla

criminalità organizzata. Ecco allora che la criticità maggiormente caratteristica della disciplina

antiriciclaggio italiana è associabile al fatto che risulta fortemente invasiva nel sistema economico e

che la cultura del “sospetto” diffusa negli ultimi anni nel nostro paese può avere effetti

controproducenti, a maggior ragione in una realtà economica in cui alcuni aspetti “sospetti” del

rischio di riciclaggio coincidono in pratiche quotidianamente poste in essere dalla cittadinanza. Il

principale aspetto su cui si fondano le leggi e le norme in materia è l’approccio basato sul rischio: le

banche ricevono periodicamente tabulati in cui sono informate sui comportamenti dei propri clienti

che devono essere adeguatamente giustificati; stesso discorso per i professionisti. Tuttavia ci sono

soggetti e imprese che svolgono attività particolarmente sospette: basti pensare a tutte le attività

connesse al contante come money transfer ed esercenti di sale da gioco. Esse subiscono

quotidianamente la scure dei controlli antiriciclaggio posti in essere dal legislatore nazionale. Ma

non sono gli unici: ogni qualvolta viene aperto un rapporto, il titolare, quindi un comune cittadino è

chiamato a fornire info sul proprio reddito, professione e scopo del rapporto con l’obiettivo di far

capire al controllore sei quel prodotto è adeguato o no. A mio avviso risulta un’operazione

particolarmente invasiva e inutile, soprattutto se effettuata per tutta la clientela: un controllo

omogeneo effettuato per tutti non fa altro che far scemare l’attenzione anche a chi è chiamato a

svolgerlo, assumendo la forma di una prassi.

Un controllo antiriciclaggio efficace potrebbe essere invece basato sulla connessione continua tra

soggetti obbligati in modo che, al di là delle dichiarazioni del cliente, possa aiutare il professionista

a poter associare il vero rischio al singolo episodio. In questo modo si potrebbe anche ridurre il

livello di indagine cui assoggettare il cliente dato che le info saranno già disponibili, magari

attraverso procedure di intranet; le transazioni insolite saranno scovate di conseguenza. Anziché

vedere il cliente come un soggetto dal quale estrarre più informazioni possibili, il professionista

dovrebbe fare in modo di mettere tale cliente a suo agio, facendo in modo che egli si apra (senza

sentire “il peso della verifica”) con la conseguente agevole acquisizione di informazioni sul suo

conto e la segnalazione di qualsiasi tipo di operazioni sospette.

16

1.a. ANALISI DEL FENOMENO: CAUSE E CONSEGUENZE

Il fenomeno del riciclaggio oggigiorno coinvolge sia l’economia finanziaria, sia quella reale

danneggiando, da un lato, intermediari assicurativi, bancari e finanziari e, dell’altro, liberi

professionisti e attività commerciali . Si stima che esso generi un giro d’affari pari al 10% del PIL

mondiale, un dato allarmante che fa intuire quanto questo fenomeno stia, sempre più, viziando il

nostro sistema economico.

Per questo motivo esso merita di essere approfondito ed analizzato nel dettaglio,

soffermandosi sui suoi meccanismi, sulle conseguenze e sulle modalità repressive.

Con il termine “riciclare” nel nostro lessico intendiamo un qualsiasi processo che sia in grado

di ridare vita e parvenza diversa ad un bene o ad un’attività; in particolare, in economia il

riciclaggio costituisce il meccanismo che rimette in circolazione denaro o beni di provenienza

illecita, attraverso operazioni finanziarie e commerciali o investimenti consentiti dalla legge.

Il riciclaggio, quindi, consiste in quell’attività o insieme di attività, volte al riutilizzo dei

proventi generati da attività criminali in attività legali,con lo scopo, in prima analisi, di occultare la

provenienza illecita della ricchezza attraverso una serie di operazioni dirette a rendere difficoltosa la

ricostruzione a ritroso dei flussi economici fino all’evento criminale che li ha generati.

Sostanzialmente, con tale processo riciclativo, i capitali acquisiti illecitamente vengono separati

dalla sua origine per ottenere ricchezza fresca da poter utilizzare per acquisti ed investimenti.

L’operazione di riciclaggio, in inglese “money laundering” che letteralmente significa

“lavaggio di denaro”, da un punto di vista metodologico si può suddividere in tre fasi:

1) placement stage: cioè la fase di collocamento, attraverso la quale si procede alla materiale

collocazione dei proventi da reato nel sistema economico legale attraverso una qualsiasi

operazione di deposito, cambio, trasferimento, acquisto di beni ecc. I canali attraverso i quali

è possibile riallocare il denaro “sporco” derivante da attività illecite sono molteplici, tuttavia

tra questi assume un ruolo rilevante il canale bancario, tradizionalmente usato per depositare

capitali e ottenere credito, attraverso l’ingresso del contante;

2) layering o laundering stage: questa seconda fase è finalizzata a dissimulare l’origine dei

capitali ed eliminare le tracce del denaro “sporco”, mediante il ricorso ad ulteriori

trasferimenti e all’interposizione di successive operazioni finanziarie. Lo scopo è quello di

rendere più difficoltosa la ricostruzione a ritroso, passaggio dopo passaggio, della reale

origine illegale delle risorse finanziarie;

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3) integration stage: si tratta dell’ultima fase in cui il denaro viene ripulito e risulta pronto per

essere inserito/integrato legalmente nel sistema economico6.

In sostanza l’attività criminosa, una volta provveduto al reperimento di risorse finanziarie,

trova il modo per far sparire o confondere la sua origine delittuosa, per poi poterla integrare in

processi legittimi.

Spesso quando si parla di riciclaggio ci si riferisce esclusivamente al denaro a causa della sua

facilità di circolazione e per via della funzione ad esso riconosciuta come unità negli scambi di beni

e servizi economici. Oggetto di riciclaggio, infatti, è nella stragrande maggioranza dei casi il denaro

cash, per via della assenza di traccia lasciata durante il suo cammino, ma spesso l’economia

criminale si trova a dover “lavare” altri beni, valori, immobili, metalli preziosi, titoli di credito,

opere d’arte ecc.

È ovvio allora che risultano maggiormente esposti al rischio di coinvolgimento in operazioni

di riciclaggio, anche inconsapevolmente, quei soggetti per i quali il denaro rappresenta la materia

prima della propria attività imprenditoriale, in particolar modo, banche ed intermediari finanziari.

L’attività repressiva e preventiva del fenomeno richiede, oltre che la collaborazione delle

istituzioni, intermediari finanziari, banche, professionisti ed imprese, anche la sensibilizzazione dei

cittadini i quali sono chiamati ad acquisire la consapevolezza che la presenza di attività illecite nel

tessuto economico fa venir meno una serie di equilibri sia dal punto di vista economico-monetario,

legale e sociale.

Il riciclaggio, rappresentando una minaccia per il regolare svolgimento di una sana

concorrenza e di un equilibrato dialogo tra gli attori coinvolti può infatti condurre a

destabilizzazioni sociali ed economiche. Per questo motivo le autorità governative competenti, sia a

livello nazionale che internazionale, sono mosse dalla volontà di unire gli sforzi alla repressione del

fenomeno.

Dal punto di vista sociale, l’impatto del fenomeno è piuttosto grave: il denaro “sporco”,

infatti, alimenta essenzialmente la criminalità organizzata e il reinvestimento di patrimoni derivanti

da attività criminali nei diversi settori economici favorisce la penetrazione delle organizzazioni

illegali nella società legale compromettendo l’equilibrio di convivenza civile dell’intera collettività.

Dal punto di vista prettamente economico, invece, il riciclaggio produce effetti distorsivi

ancora più dirompenti, alterando il corretto funzionamento dei mercati e della concorrenza. Basti

6 Buscemi A. - Yallwe A. H., Money laundry and financial development, in Antiriciclaggio & 231 del 2001. L’evoluzione della normativa

antiriciclaggio in un contesto nazionale e internazionale, Roma, 2011, pagg. 231 – 232 – Di Dio A., Riciclaggio e finanziamento del terrorismo -

Obblighi antiriciclaggio per i professionisti, in Il fisco, 2012

18

pensare ai vari rapporti e scambi economici che avvengono quotidianamente: possiamo affermare

che, quanti più rapporti nascono nel mercato, tanto più il tessuto economico risulta fiorente e attivo

con benefici per tutti. Affinché tali scambi possano aver luogo è necessario che tra gli operatori

economici ci sia fiducia e possibilità di contrattare liberamente; se tutto ciò manca, per via di

asimmetrie informative (o più semplicemente di fenomeni di corruzione, riciclaggio ecc..) allora

avremo sicuramente un minor numero di rapporti economici e peggioramento nell’allocazione delle

risorse, ovvero una distorsione del mercato, senza contare il fatto che gli operatori economici sono

maggiormente restii a porre in essere attività lavorative sane e trasparenti dato che andrebbero

potenzialmente a pagare l’onere economico di tale dissesto. La fiducia, trasparenza, rispetto della

controparte permetterebbero, dall’altro lato, un migliore funzionamento dell’economia e

sicuramente anche dei rapporti tra gli operatori.

Il riciclaggio, inoltre, non persegue l’interesse di impiegare i capitali raccolti ricercandone le

miglior redditività, come invece farebbe qualsiasi operatore di mercato ma, piuttosto, mira a

favorire un dinamismo dei capitali con l’obiettivo di far rendere impossibile la tracciabilità

dell’origine illecita dei beni investiti. Da ciò consegue che gli operatori economici leciti non

potranno competere con i criminali che detengono elevati capitali e manifestano disinteresse nella

remunerazione dell’investimento: questi nel tempo possono sostenere politiche anticoncorrenziali

tali da espellere dal mercato gli altri competitor che, al contrario, nel valutare le iniziative

economiche da intraprendere, dovranno considerarne la remunerazione degli investitori, il

versamento delle reletive imposte, nonché la capacità che ha l’iniziativa di generare ulteriore

ricchezza da reinvestire.

In un tale contesto, caratterizzato da un elevato dinamismo dei capitali, assumono un ruolo

cruciale i cd “fiscal heaven”, i paradisi fiscali, cioè gli stati non cooperativi sul piano

amministrativo e giudiziario che adottano discipline fiscali particolarmente favorevoli, garantendo

altresì l’anonimato, il segreto bancario e bassa trasparenza sulle regole del diritto societario.

La criminalità organizzata si serve di questi territori in cui far approdare i denari “sporchi”,

poiché è ben noto che la regolamentazione antiriciclaggio è spesso scarsa o addirittura assente e

che, una volta poste in essere operazioni di “layering” o “laundering”, volte ad occultare la

provenienza, le risorse divenute pulite potranno essere nuovamente immesse nel circolo economica.

Il medesimo ragionamento risulta applicabile anche in senso opposto, nel caso di finanziamento di

attività criminali dal momento che, in tal caso, la presenza in tali paradisi fiscali è utilizzata per

occultare la destinazione di denaro pulito verso organizzazioni di stampo criminale.

19

Anche dal punto di vista del mercato dei capitali il riciclaggio provoca gravi danni poiché

immette in circolazione una quantità di moneta diversa da quella calcolata: se è vero che con tale

condotta si mettono in circolazione risorse economiche, è anche vero che ciò provoca una maggior

offerta di moneta, creando un’alterazione dell’equilibrio di mercatoe modificando il valore della

moneta rispetto a quello prefissato dagli organi di governo del sistema monetario7. Ecco che non è

infrequente che le manovre di politica economica forniscano risultati diversi da quelli attesi a causa

della presenza di una quantità di denaro non note e governabili.

Tali organi saranno così chiamati ad intervenire sull’offerta di moneta con manovre di politica

economica al fine di ripristinare l’equilibrio e il corretto funzionamento del mercato monetario.

Da quanto detto finora emerge in maniera palese il ruolo che riveste il riciclaggio

nell’ostacolare la crescita economica e una sana concorrenza; la presenza di soggetti che adottano

criteri non basati sulle normali regole di mercato, ma su interessi individuali, mina l’integrità, la

stabilità e l’efficienza dell’intero sistema economico.

I paesi europei, a partire dagli anni ottanta, si sono resi consapevoli degli effetti dannosi

provocati dalla circolazione di denaro “sporco”, cosicché hanno iniziato ad aggiungere nell’agenda

europea l’impegno ad un efficace contrasto del fenomeno che, negli anni, si è tradotto nella

emanazione di specifiche norme di diritto comunitario con lo scopo di reprimere, poi anche di

prevenire, l’effettuazione di questa attività criminosa attraverso l’emanazione di interventi

normativi ad hoc.

La lotta alla criminalità organizzata e al riciclaggio ha avuto come fulcro l’introduzione di

strumenti giuridici volti alla privazione dei capitali e patrimoni illecitamente detenuti dai criminali.

L’impegno nella lotta al riciclaggio da parte dei singoli Stati è senz’altro alimentato dalla

dimensione internazionale che tale fenomeno ha assunto, per il cui contrasto sarebbe necessaria

oggigiorno un’azione congiunta da parte di tutti gli Stati mondiali. I motivi per cui tale fenomeno ha

assunto una siffatta dimensione vanno ricercati nel fatto che, come detto in precedenza, i “fiscal

heaven” accettano uno scambio di informazioni abbastanza minimale con gli altri paesi e vengono

utilizzati come lavatrici del denaro sporco. A ciò si aggiunga che nei paesi in via di sviluppo è facile

intraprendere attività economiche criminali i cui proventi vengono raccolti in giro per il mondo

(traffico di sostanze o di esseri umani).

I fattori complici della crescita a dismisura del fenomeno sono riconducibili a:

7 Razzante R., La normativa antiriciclaggio in Italia, Torino, 1999

20

- i progressi tecnologici, quali internet e altri sistemi online capaci di velocizzare notevolmente i

trasferimenti di denaro e gli investimenti di risorse economiche, connettere virtualmente luoghi

geografici distanti mantenendo l’anonimato;

- la globalizzazione dei mercati e, quindi, l’abbattimento delle frontiere e l’integrazione con Paesi

caratterizzati da economie emergenti;

- la sofisticazione dei servizi d’investimento e dei prodotti finanziari;

- l’adozione della moneta unica, con riferimento esclusivo al contesto europeo8.

Come detto, lo sviluppo di mercati sempre più vasti grazie alla globalizzazione dell’economia ha

alimentato la crescita internazionale della criminalità, cosicché il fenomeno del riciclaggio ha

varcato i confini dei singoli paesi e i relativi controlli e ha condotto molti di questi ad implementare

accordi, forme di collaborazione e comunicazione trasparente volte ad impedire che il

reinvestimento dei patrimoni illeciti in altre zone del mondo sfruttando l’“ignoranza” degli stati

destinatari in merito alla provenienza illecita dei proventi.

I frutti delle convezioni internazionali sull’antiriciclaggio si sono basate sui seguenti principi:

o introduzione del reato di riciclaggio,

o imposizione di una serie di obblighi amministrativi consistenti in: identificazione degli

investitori, analisi della natura e dello scopo delle operazioni finanziarie compiute e

successiva registrazione in appositi archivi di tali dati, segnalazione di operazioni anomale o

sospette,

o introduzione di nuovi meccanismi investigativi e processuali,

o adozione di forme di cooperazione internazionale sempre più efficienti9.

L’obiettivo dei suddetti principi era quello di creare una linea guida che potesse ispirare i legislatori

nazionali nell’emanazioni di norme antiriciclaggio.

Ecco allora che l’adeguata combinazione di efficienza e cooperazione è stata reputata una formula

auspicabilmente vincente per prevenire i rischi derivanti dall’attività di reimpiego di capitali illeciti.

Affinché le politiche antiriciclaggio possano nel tempo essere ritenute efficaci dal punto di vista

repressivo è quindi divenuto necessario che ogni singolo paese adotti un approccio proattivo alla

conoscenza dei meccanismi su cui si basa il fenomeno in modo da poter mettere a punto una serie

efficace di strumenti di contrasto alla criminalità organizzata.

8 Grasso P., Prefazione, in Elementi normativi internazionali e nazionali in materia di riciclaggio, Bari, 2013. 9 Carbone M. - Tolla M., Elementi normativi internazionali e nazionali in materia di riciclaggio, Bari, 2010.

21

1.b IL FINANZIAMENTO DEL TERRORISMO: affinità con il fenomeno del riciclaggio

Un altro fenomeno parallelo al riciclaggio per scopi, modalità implementative e per dimensione

assunta sullo scenario internazionale è senz’altro il finanziamento del terrorismo, in inglese “money

dirtying”.

Il primo approccio a livello internazionale con il quale è stata riconosciuta l’esistenza e la

necessaria repressione del fenomeno risale solo a solo pochi anni fa con la direttiva comunitaria

antiriciclaggio n. 2005/60/CE, meglio nota come Terza Direttiva Antiriciclaggio, recepita in Italia

dal D.lgs. 231/2007 e dal successivo D.lgs. 109/2007 che, all’art. 1, riprende definisce la nozione di

finanziamento al terrorismo come “qualsiasi attività diretta, con qualsiasi mezzo, alla raccolta, alla

provvista, all’intermediazione, al deposito, alla custodia o all’erogazione di fondi o risorse

economiche, in qualunque modo realizzati, destinati ad essere, in tutto o in parte, utilizzati al fine

di compiere uno o più delitti con finalità di terrorismo o in ogni caso diretti a favorire il

compimento di uno o più delitti con finalità di terrorismo previsti dal codice penale, e ciò

indipendentemente dall’effettivo utilizzo dei fondi e delle risorse economiche per la commissione

dei delitti anzidetti”.

Il legislatore comunitario tratta il problema del terrorismo internazionale e quindi il suo

finanziamento alla stregua della criminalità economica internazionale. Rispetto al riciclaggio,

tuttavia, non si rilevano particolari aspetti in comune. E’ pur vero che anche il processo in cui

avviene il finanziamento del terrorismo può essere scomposto in fasi, come nel riciclaggio, anche se

il risultato è ben diverso10.

1) collection stage: ossia la fase di raccolta dei capitali; la natura e l’origine delle risorse

economiche accumulate durante questa fase può essere sia lecita che illecita (riciclaggio);

2) dissimulation stage: ossia l’occultamento; in questa fase, l’obiettivo delle organizzazioni

terroristiche è quello di nascondere le finalità dei movimenti di capitali;

3) use stage: l’impiego è l’ultima fase del processo; il denaro o i beni vengono materialmente

usati per il compimento di atti terroristici.

Il finanziamento del terrorismo richiede un elevato fabbisogno finanziario, il cui soddisfacimento

può provenire sia da attività legalmente che illegalmente costituite. Infatti, tali risorse possono

essere ottenute sia tramite riciclaggio, anche attraverso prodotti d’investimento ed operazioni

finanziarie particolarmente speculative come strumenti finanziari derivati negoziati in mercati non

10 Ramunno P. - Razzante R., Riciclaggio e finanziamento al terrorismo di matrice islamica, in Filodiretto, 2007.

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regolamentati (swap, options e futures su titoli, indici e valute) e fondi di investimento, che

risultano essere fortemente appetibili per le associazioni criminali.

I punti in comune con il riciclaggio sono numerosi, in particolar modo, anche in questo caso sono

sfruttate le opportunità di profitto offerte dalla globalizzazione, a partire dall’utilizzo del web per

effettuare operazioni a distanza con agevole aggiramento dei controlli un tempo reputati efficienti.

Le affinità si riscontrano, quindi, anzitutto dall’esigenza di spostare ingenti capitali: denaro che

servirà a finanziare l’attività terroristica da un lato e denaro sporco da occultare e riciclare dall’altro.

Mentre la criminalità a scopi di riciclaggio nasconde denaro sporco, lo lava e lo reimpiega in attività

lecite; l’organizzazione terroristica impiega denaro pulito, per la conduzione di attività illecite,

come l’acquisto di armi, l’organizzazione di attentati, ecc. Mediante il finanziamento del terrorismo,

quindi, non viene criminalizzata l’origine illecita dei fondi (almeno non sempre), ma piuttosto la

loro illecita destinazione. La fase che accomuna i flussi finanziari impiegati per finanziare attività

terroristiche con quelli riciclati dalla criminalità organizzata è rappresentata dalla fase intermedia di

“dissimulation” o “layering”, consistente nel compimento di una serie di operazioni dirette a far

perdere le tracce della provenienza del denaro.

Oltre a questo, il motivo per cui a livello internazionale il riciclaggio e il finanziamento del

terrorismo vengono considerati fenomeni similari riguardano il fatto che sono necessari gli stessi

strumenti per la prevenzione e il contrasto dei fenomeni, con l’obiettivo di tutelare il sistema

economico, politico e sociale. Dunque a fianco al fenomeno del “money laundering” troviamo

quello del “money dirtying” (il denaro che si sporca); in entrambi i casi si tratta di flussi finanziari

che vengono occultati con finalità di natura criminale.

Le tappe fondamentali del processo di integrazione internazionale nella lotta al finanziamento del

terrorismo sono rappresentate dalla risoluzione n. 51/210 dell’Assemblea Generale dell’ONU, dalla

Convenzione di New York e dalle Raccomandazioni speciali del GAFI11.

L’approccio adottato dal legislatore a livello comunitario, sulla scorta delle suddette

raccomandazioni, era eminentemente diretto al contrasto del riciclaggio, per poi passare dal 2005 ad

un’accezione più ampia in cui includere anche il fenomeno del finanziamento al terrorismo: ecco

allora che le autorità di vigilanza, anziché soffermarsi sui soli traffici illeciti, hanno iniziato a porre

l’attenzione sui traffici leciti, ma sospetti di poter in qualche modo essere riconducibili ad

organizzazioni terroristiche. In questo contesto si sono sviluppati due ipotesi di azione: (a) le

“reactive investigations” cioè le indagini di natura tradizionale basate sull’indagine ed

l’individuazione dei colpevoli di movimenti illeciti, e (b) le “proactive investigations” costituite da

11 In merito al Gruppo d’Azione Finanziaria se ne parlerà in seguito.

23

controlli ed azioni che spesso si basano su eventi che devono ancora avvenire in relazione ai quali si

sospetta che vi siano irregolarità. Le norme che disciplinano queste indagini si rivolgono

principalmente alle istituzioni finanziarie e ai professionisti che intervengono nelle transazioni

finanziarie; esse impongono l’identificazione dei propri clienti, l’analisi della natura e dello scopo

delle operazioni poste in essere, prestando particolare risalto alle transazioni anomale o sospette, ed

infine la segnalazione di transazioni ritenute anomale o collegate ad un’attività criminale.

Quest’ultimo approccio di derivazione comunitaria rappresenta le linea guida da cui si è tratto

spunto nella redazione delle Direttive emanate in materia di antiriciclaggio e antiterrorismo.

Prima di entrare nel dettaglio del sistema normativo internazionale di cd. “hard law” è necessario

prospettare una breve sintesi dei contenuti delle nove Raccomandazioni speciali elaborate nel 2001

dal GAFI in tema di al finanziamento del terrorismo, che si affiancano alle quaranta

Raccomandazioni già elaborate in materia di antiriciclaggio. Queste speciali disposizioni

rappresentano la base per la rilevazione, prevenzione e repressione degli atti terroristici e del loro

finanziamento.

Le nove Raccomandazioni specialiinvitano ciascun Stato membro a:

- recepire e attuare gli strumenti normativi definiti dagli organismi internazionali che si

occupano di contrasto al finanziamento di atti terroristici,

- introdurre il reato di finanziamento del terrorismo,

- congelare e confiscare i beni appartenenti ai terroristi,

- fornire assistenza agli organi investigativi e di vigilanza di altri Paesi nella lotta al

terrorismo,

- prevenire l’uso di enti e soggetti no-profit per scopi terroristici,

- prevedere idonee misure volte a monitorare i movimenti transazionali (cross-bording) di

contante o di titoli al portatore,

- disciplinare i poteri di fermo e confisca dei capitali provenienti da attività di riciclaggio o

destinati al finanziamento del terrorismo.

Le Raccomandazioni del GAFI non rientrano tra le fonti del diritto internazionale dato che hanno

per oggetto semplici standard normativi senza efficacia cogente e non obbligano gli Stati aderenti al

GAFI ad adottare norme interne di implementazione, ma costituiscono solamente un riferimento

giuridico a cui i singoli sistemi legislativi interni sono invitati ad ispirarsi. Nonostante privi di

efficacia cogente, il base al principio “comply or explain”, sono comunque rispettati da tutti gli stati

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occidentali e ne è predisposto un periodico monitoraggio affinché ne sia verificato l’adeguamento in

funzione dei suggerimenti emanati dal GAFI. Periodicamente questo ente sovranazionale monitora

il recepimento di tali norma all’interno dei singoli ordinamenti nazionali, segnalando l’eventuale

presenza di lacune regolamentari in materia di antiterrorismo. Pertanto, sebbene il contenuto di tali

Raccomandazioni non sia vincolante, esse rappresentano, all’atto pratico, la fonte più autorevole in

materia di contrasto al finanziamento del terrorismo. In questo anche l’Italia ha provveduto ad

allinearsi agli standard GAFI, sia dal punto di vista della prevenzione sia sotto il profilo repressivo.

Come accennato, le politiche nazionale ed estera hanno portato al superamento dell’approccio

repressivo supportando invece soluzioni di natura preventiva: i primi tratti introduttivi si sono

manifestati in Italia con il D. Lgs. 109/2007 che costituisce una componente della più articolata

disciplina nazionale antiterrorismo; l’argomento è stato in seguito ripreso ed aggiornato con il

D.Lgs. 231/2007, che recepiva la Terza Direttiva comunitaria Antiriciclaggio e solo poco meno di

tre anni fa con il D.Lgs. 90/2017.

Lo scopo di tali atti è stato quello di delineare le misure volte a prevenire l’uso del sistema

finanziario per alimentare il terrorismo; a tal fine il legislatore ha espressamente previsto la

possibilità di congelare i fondi e le risorse economiche destinate a finanziare le attività che

minacciano la sicurezza internazionale12. Si impone inoltre che denaro e attività oggetto di

congelamento non potranno mai essere utilizzate e che la violazione a tale divieto comporta la

nullità degli atti dispositivi posti in essere. Sempre nel 2007 si è imposto ai liberi professionisti e a

tutti i soggetti destinatari, l’obbligo di comunicare all’UIC – Ufficio Italiano Cambi – le operazioni

sospette che, per qualunque motivo, possono essere riferibili al finanziamento del terrorismo.

Successivamente l’UIC è stato sostituito dalla UIF (unità di informazione finanziaria) per adeguarsi

agli standard comunitari che richiedevano agli Stati membri la costituzione di un ente omogeneo

per tutti.

2. Cooperazione internazionale: modalità di repressione a livello comunitario.

Alla luce degli aspetti precedentemente esaminati e della capacità propulsiva del web, i fenomeni

del riciclaggio e del finanziamento al terrorismo hanno acquisito scala mondiale richiedendo ai

singoli stati l’unificazione degli sforzi per un efficace contrasto. Pertanto sia le attività di tipo

investigativo e preventivo, sia le attività di tipo repressivo e quindi punitivo, necessitavano di essere

coordinati a monte da un’entità sovranazionale, come le istituzioni europee. Inoltre, in questo

contesto, l’Italia è stato spesso uno dei primi paesi dell’Unione Europea ad adottare misure ad hoc,

12 Art 2 D.lgs. 109/2007

25

talvolta anticipando la normativa comunitaria, in altri casi allineandosi alla stessa alla luce dei vari

provvedimenti di volta in volta emanati.

In particolare, in merito alla prevenzione delle attività di riciclaggio e finanziamento al terrorismo,

si è provveduto a sviluppare un sistema normativo derivante dagi consueti strumenti comunitari,

quali Regolamenti e Direttive e dagli strumenti giuridici tradizionali della cooperazione

internazionale, aventi efficacia giuridica più o meno vincolante (es Raccomandazioni del GAFI),

mentre

in merito all’aspetto repressivo, si è ricorso a metodi di cooperazione intergovernativa.

A livello europeo, negli anni, l’elaborazione normativa ha senz’altro beneficiato del contributo

implementativo degli Stati membri. Al contempo, a livello applicativo si è registrata l’intensa

partecipazione di varie autorità che hanno introdotto standard, linee guida e suggerimenti applicativi

in tema di lotta alla criminalità organizzata e al riciclaggio secondo diversi punti di osservazione.

2.b I primi approcci degli anni 80

Il Consiglio d’Europa (Raccomandazione del comitato dei ministri)

Il primo atto del Consiglio d’Europa era per lo più un suggerimento rivolto ai governi degli Stati

membri in riferimento al contrasto del riciclaggio, per fare in modo che il sistemi bancari nazionali

adottassero alcuni accorgimenti: si trattava della Raccomandazione del 27 giugno 1980 avente ad

oggetto “Misure contro il trasferimento e l’occultamento dei capitali di origine criminale”. Esse si

sostanziavano in:

• controlli sull'identità dei clienti ogni volta in cui si dovesse provvedere all’apertura di un

conto corrente o un deposito di titoli o all’affitto di le cassette di sicurezza;

• monitoraggio dei trasferimenti interbancari aventi ad oggetto ingenti somme di denaro ed

individuazione di quei trasferimenti effettuati mediante più operazioni suddivise in diverse

parti;

• affitto delle cassette di sicurezza soltanto a quelle persone con cui la banca ha già trattato per

un certo periodo o che la banca può considerare fidate in base a referenze;

• costituzione di una riserva di denaro i cui numeri di serie siano resi noti alle autorità nel caso

in cui questo denaro sia stato usato in connessione con azioni criminali (cd. banconote

civetta);

26

• idoneo addestramento per i cassieri con particolare attenzione al controllo di documenti di

identità e all'individuare di comportamenti criminali;

• approntamento di macchinari che diano la possibilità alle banche, tramite comparazione

sistematica o controlli immediati, di fare riferimento alle banconote usate in connessione

con atti criminali quando le banconote sono in entrata.

A tali misure si aggiungeva l’auspicio che gli Stati membri provvedessero ad instaurare una stretta

cooperazione nazionale e internazionale, con l'aiuto dell'INTERPOL, tra le banche e le Autorità

appropriate nello scambio di informazioni circa la circolazione di banconote utilizzate in

connessione con atti criminali e nel monitoraggio di ogni successivo movimento.

Come risulta ben chiaro da questa breve sintesi dei contenuti della Raccomandazione del 27 giugno

1980, il limite delle stesse risiedeva nell’aver considerato quale oggetto di comportamenti criminali

il solo denaro contante.

Convenzione di Vienna

La Convenzione di Vienna contro il Traffico Illecito di Sostanze Stupefacenti e Psicotrope, si

propone innanzitutto l’obiettivo di consolidare un fronte di cooperazione internazionale per

contrastare tale fenomeno, prefigurando l'impegno dei paesi membri al rispetto di uno “standard

minimo di condotta” che include la sanzione penale nei confronti della produzione, della

coltivazione, della fabbricazione, dell'estrazione, della preparazione, dell'offerta, della distribuzione,

della vendita, della consegna, dell'esportazione o dell'importazione di stupefacenti, nonché della

fabbricazione, del trasporto, della distribuzione di equipaggiamento, materiali e precursori.

Nel testo della convenzione, in maniera sia diretta sia indiretta, si prende in considerazione il

riciclaggio di denaro, facendo riferimento al reinvestimento delle ricchezze illecitamente percepite

attraverso il traffico di sostanze stupefacenti. Per la prima volta, con la Convenzione di Vienna un

organismo internazionale, l’ONU, si pronuncia con atto normativo e vincolante, sulla pertinenza di

specifiche norme penali per reprimere il riciclaggio, sottolineando lo stretto legame tra il contrasto

al narcotraffico e la lotta al riciclaggio. Tale convenzione costituisce il primo atto che ha strutturato

il riciclaggio come fattispecie autonoma di reato, anche se di secondo grado dato che esso si

manifesta come conseguenza di un altro reato. Anche nella Convenzione di Vienna permane il

limite del riconoscimento del solo denaro contante come mezzo per il compimento di atti illeciti;

inoltre, il riciclaggio è affrontato solo nelle modalità di provenienza dal commercio di sostanze

stupefacenti.

27

Dichiarazione di principi del Comitato di Basilea

Il comitato di Basilea è stato costituito nel 1974, nell’ambito del G10, per favorire lo scambio di

dati e informazioni relativamente all’attività di vigilanza tra gli stati membri, con l’obiettivo di

evitare il verificarsi di ulteriori crisi bancarie e di introdurre meccanismi di preallarme in caso di

ulteriori crisi bancarie. Vi fanno parte i rappresentanti delle banche centrali dei singoli paesi

membri.

La dichiarazione dei principi del comitato di Basilea del 12 dicembre 1988 sosteneva che

l’approccio contro il riciclaggio dovesse necessariamente coinvolgere l’intero sistema bancario e

finanziario e, inoltre, che le banche, avendo un contatto diretto con il cliente, potessero ottenere

informazioni riguardo alle transazioni dei propri clienti. Per questo motivo si è da lì sviluppato il

concetto di due diligence, inteso come processo investigativo messo in atto degli istituti per

analizzare ogni persona fisica o giuridica, ottenendo ogni opportuna informazione di tipo

economico, finanziario, patrimoniale.

Per quanto non presentino natura vincolante, grazie al comitato sono stati introdotti i principi di

prevenzione del riciclaggio per le regolamentazioni bancarie e le pratiche di vigilanza.

I concetti chiave espressi nella dichiarazione possono essere così sintetizzati:

• le banche possono essere utilizzate per effettuare depositi o trasferimenti di fondi criminali;

• è quindi necessaria l’adozione di forme di cooperazione internazionale per reprimere il

riciclaggio, unendo le forze con il sistema bancario;

• il sistema bancario è consapevole che la fiducia del pubblico degli utenti può diminuire al

verificarsi del sospetto coinvolgimento di un istituto in un’operazione criminale;

• è quindi dovere del sistema bancario identificare tutti i clienti e le operazioni sospette.

Le misure che ne conseguono sono:

• identificazione della clientela attraverso procedure interne;

• osservanza delle leggi: le banche, oltre a effettuare operazioni in conformità con le norme

vigenti, non devono fornire assistenza per operazioni che hanno motivo di ritenere possano

essere collegate ad attività di riciclaggio;

• collaborazione con le autorità giudiziarie;

28

• adesione alla dichiarazione: le banche dovrebbero adottare “politiche coerenti” con i principi

della dichiarazione, in merito alla identificazione della clientela e alla conservazione dei

documenti relativi alle operazioni, ampliando la sfera dei controlli interni.

Oggi il Comitato coordina le responsabilità delle autorità nazionali per garantire una vigilanza

efficace delle attività bancarie a livello mondiale con attività di studio, proposta e mediazione,

tradotte in accordi applicati dalle autorità di vigilanza nazionali. A partire dalla dichiarazione sui

principi di Basilea dell’88, il Comitato ha avviato un processo di convergenza internazionale nella

misurazione dell’adeguatezza patrimoniale delle banche e nella fissazione di requisiti minimi di

capitalizzazione, in modo da migliorare i criteri di vigilanza prudenziale sulla solvibilità e stabilità

del sistema bancario internazionale. Con la collaborazione delle autorità di vigilanza dei mercati

emergenti, il Comitato ha pubblicato nel settembre 1997 i Core Principles for Effective Banking

Supervision, cui è seguita nel 1999 la pubblicazione di Core Principles Methodology, che

costituiscono uno schema di riferimento integrale per un efficace sistema di vigilanza.

2.b Gruppo d’Azione Finanziaria (GAFI)

Il Gruppo d’Azione Finanziaria (GAFI/FATF – Financial Action Task Force) è un organismo

intergovernativo costituito in occasione del G7 del 1989 dai ministri dei paesiche ne sono membri.

Sulla base del proprio mandato, il GAFI si occupa di definire gli standard internazionali e

promuovere efficaci misure normative, regolamentari ed operative per contrastare il riciclaggio di

denaro, il finanziamento del terrorismo ed il finanziamento della proliferazione delle armi di

distruzione di massa, così come altre minacce che attualmente gravano sull’integrità del sistema

finanziario internazionale. In collaborazione con altri organismi di livello internazionale, il GAFI

analizza le vulnerabilità esistenti a livello nazionale per proteggere il sistema finanziario

internazionale da usi illegali.

L’operatività di tale organismo ha assunto particolare rilevanza in occasione dell’emanazione delle

già menzionate Raccomandazioni che delineano un quadro completo e coerente di misure che i

paesi devono attuare al fine di contrastare il riciclaggio di denaro ed il finanziamento del terrorismo,

così come il finanziamento della proliferazione delle armi di distruzione di massa. Dal momento

che i paesi membri presentano sistemi normativi, amministrativi e operativi diversi tra loro e

differenti sistemi finanziari, la risposta di ciascun ordinamento in termini di misure idonee a

contrastare i menzionati fenomeni criminali presenterà caratteristiche peculiari. Le

Raccomandazioni del GAFI, quindi, definiscono lo standard internazionale che i paesi devono

attuare attraverso misure adeguate alle loro particolari circostanze; rappresentano inoltre lo standard

29

internazionale che ciascun paese deve recepire nel proprio sistema giuridico e istituzionale al fine

di:

• identificare i rischi e sviluppare politiche coerenti a livello nazionale;

• contrastare il riciclaggio di denaro, il finanziamento del terrorismo ed il finanziamento della

proliferazione delle armi di distruzione di massa;

• applicare misure preventive destinate al settore finanziario e ad altri settori designati;

• dotare le autorità competenti (autorità investigative, forze dell’ordine e autorità di vigilanza)

di poteri e responsabilità necessari ed attuare altre misure istituzionali;

• accrescere la trasparenza e la disponibilità di informazioni sul titolare effettivo di persone

giuridiche ed accordi legali;

• facilitare la cooperazione internazionale.

Originariamente elaborate nel 1990 al fine di contrastare l’uso improprio dei sistemi finanziari per

riciclare i proventi del narcotraffico, le Raccomandazioni GAFI sono state revisionate per la prima

volta nel 1996 al fine di riflettere l’evoluzione delle tendenze e delle tecniche del riciclaggio ed

estendere il proprio raggio d’azione al di là del contrasto del riciclaggio dei proventi del

narcotraffico. Come già esaminato nel paragrafo [•] ch precede, nell’ottobre 2001 il GAFI ha esteso

il proprio mandato alla lotta al finanziamento di atti di terrorismo ed organizzazioni terroristiche, e

ha introdotto le nove Raccomandazioni Speciali sul Finanziamento del Terrorismo.

Nuovamente revisionate nel 2003, le Raccomandazioni GAFI sono state approvate, unitamente alle

Raccomandazioni Speciali, da oltre 180 Paesi e sono universalmente riconosciute. Sono membri

costituenti i paesi G7, la Commissione europea e altri 8 paesi. Oggi sono membri del GAFI 34

paesi, la Commissione europea e il Consiglio di cooperazione del Golfo. Le modifiche apportate

alle Raccomandazioni rispondono alle nuove minacce emergenti, chiariscono e consolidano molti

degli obblighi già esistenti, pur preservando la stabilità ed il rigore originari.

Gli Standard GAFI sono stati anche rivisti per rafforzare i requisiti per le situazioni ad alto rischio e

per consentire ai paesi membri di adottare un approccio più mirato nelle aree in cui permangono

elevati rischi o ove siano rilevati margini di miglioramento nella relativa implementazione. I paesi

devono innanzitutto individuare, valutare e comprendere i rischi a cui sono esposti in materia di

riciclaggio e di finanziamento del terrorismo, per poi procedere all’adozione di misure adeguate

volte a mitigare tali rischi in proporzione all’entità dei medesimi. Nell’ambito degli adempimenti

GAFI, l’approccio basato sul rischio consente ai paesi di adottare misure più flessibili volte a

30

concentrare le proprie risorse in maniera più efficace ed applicare misure preventive proporzionali

alla natura dei rischi a cui si è esposti al fine di ottimizzare i propri sforzi.

Gli Standard GAFI si compongono delle Raccomandazioni e delle relative Note Interpretative,

unitamente al Glossario delle definizioni applicabili. Le misure previste dagli Standard GAFI

devono essere attuate da tutti i paesi membri e dai membri dei gruppi regionali. La realizzazione di

tali misure è analizzata attraverso processi di cd. “mutual evaluation” e valutazioni condotte dal

Fondo Monetario Internazionale e dalla Banca Mondiale – sulla base della comune metodologia di

valutazione GAFI.

Alcune Note Interpretative e le definizioni del Glossario includono esempi atti ad illustrare le

modalità di attuazione degli adempimenti previsti. Forniti a mero titolo indicativo e senza la pretesa

di essere esaustivi, tali esempi non costituiscono elementi obbligatori degli Standard GAFI.

Sebbene considerati utili indicatori, potrebbero, infatti, non essere appropriati in tutte le circostanze.

Le pubblicazioni GAFI prevedono anche Linee Guida (Guidances), Best Practices, Papers ed altri

documenti volti a supportare i paesi nell’applicazione degli Standard. Tali documenti non sono

comunque obbligatori nel quadro della valutazione della conformità agli Standard, ma i paesi

potrebbero beneficiarne quando si tratta di considerare il modo migliore di implementare le norme

del GAFI.

Il GAFI intrattiene un dialogo intenso e costruttivo col settore privato, la società civile e le altre

parti interessate, in quanto partner importanti per assicurare l’integrità del sistema finanziario. La

revisione delle Raccomandazioni ha implicato un lungo processo di consultazione e ha beneficiato

dei commenti e suggerimenti forniti da tali attori. In futuro, e conformemente al proprio mandato, il

GAFI continuerà a riflettere sull’introduzione, ove opportuno, di possibili modifiche da apportare

agli Standard alla luce di nuove informazioni relative alle minacce e alle vulnerabilità emergenti

nell’ambito del sistema finanziario globale.

2.c Il percorso delle Direttive comunitarie

La lotta al riciclaggio in Europa, iniziata negli anni ottanta con la Raccomandazione del consiglio

europeo dei ministri, ha subito negli anni novanta una serie di modifiche normative attraverso le

quali l’Unione Europea si è impegnata a disciplinare una serie di obblighi antiriciclaggio, in prima

analisi, destinati a banche ed istituti di credito e successivamente estesi anche ad altre figure come i

commercialisti, notai e avvocati. A livello comunitario si ricordano le quattro direttive chiave,

31

emanate rispettivamente nel 1991, 2001, 2005 e 2015 che si caratterizzano per il loro carattere

amministrativo–preventivo, piuttosto che penale–repressivo.

Il motivo per cui l’Unione Europea ha preferito utilizzare lo strumento della direttiva, anziché il

regolamento, deriva dal fatto che, poiché i contenuti sostanziali della normativa si rivolgevano

soprattutto a organismi e strutture operanti nell’ambito di attività sensibili, quali il settore

finanziario e bancario, era necessario adottare un provvedimento che concedesse ai destinatari del

tempo per uniformarsi a tali disposizioni, al fine di poter dare concreta attuazione alle previsioni

normative di derivazione comunitaria.

La direttiva è, infatti, un atto vincolante, non relativamente al suo contenuto ma in merito al

risultato perseguito. Il contenuto rappresenta semplicemente lo standard minimo al quale ciascun

Stato membro deve ispirarsi nel recepimento della Direttiva, mediante l’emanazione di una propria

disciplina interna. Se le stesse norme fossero state disposte mediante regolamento, con effetto

dunque immediatamente vincolante per i destinatari, banche, intermediari finanziari e tutti gli altri

soggetti destinatari non avrebbero avuto il tempo utile per uniformarsi a tale stringente

regolamentazione.[Nota: da modificare, in genere non sono queste le motivazioni che guidano il

legislatore comunitario] L’intervento dell’Unione Europea si basa sul presupposto che tutti gli enti

finanziari possano essere utilizzati per impiegare denaro sporco, minacciando la stabilità del sistema

economico nel suo complesso. Il rischio che disarmonie nella normativa antiriciclaggio adottata dai

singoli Stati membri potesse pregiudicare le esigenze del mercato unico, ha reso impellente

l’intervento comunitario in tema di riciclaggio. La preoccupazione per la stabilità del mercato unico

europeo ha spinto le istituzioni comunitariea predisporre una legislazione di base, comune a tutti gli

Stati membri, in materia di antiriciclaggio, da modellare in base alle strutture normative interne.

La Direttiva n. 91/308/CEE (nel seguito anche, “Prima Direttiva”) relativa alla prevenzione dell’uso

del sistema bancario e finanziario a scopo di riciclaggio dei proventi di attività illecite, abrogata

interamente dall’art. 44 della successiva Direttiva n. 2005/60/CE, è considerata la prima vera

disposizione giuridica europea nella lotta al riciclaggio di denaro sporco. Questa norma aveva per

obiettivo la tutela degli enti creditizi e finanziari dal rischio di essere coinvolti in operazioni

criminose di riciclaggio dei flussi finanziari derivanti da attività criminali, senza però limitare o

incidere negativamente sulla libera circolazione dei capitali nel mercato monetario. Il campo di

applicazione della normativa in questione risultava ben definito; i soggetti destinatari erano

individuati negli istituti bancari, creditizi e finanziari.

Tuttavia la Prima Direttiva lasciava la possibilità di ampliare il campo d’applicazione a tutte quelle

attività professionali suscettibili di essere utilizzate a scopo di riciclaggio; per queste ragioni tale

32

provvedimento ha costituito il fulcro dell’intero iter normativo di contrasto al reimpiego di proventi

di attività illecite e, insieme alle Convenzioni adottate a livello internazionale, è considerato uno dei

maggiori strumenti giuridici esistenti in questa materia.

I motivi per i quali la prima Direttiva viene ricordata a livello internazionale sono i seguenti:

innanzitutto contiene all’art. 1 la nozione del reato di riciclaggio ed in secondo luogo perché ha

recepito le indicazioni contenute nelle Raccomandazioni del GAFI, prevedendo una serie di

obblighi antiriciclaggio in capo ai soggetti destinatari.

Nello specifico, la Prima Direttiva riconosce un ruolo decisivo a tutti i soggetti destinatari nella

funzione di controllo finanziario del riciclaggio. Il risalto attribuito a tale disposizione dipende dal

fatto che traccia, seppur in linea molto generale, gli elementi e le caratteristiche dei soggetti deputati

alla prevenzione e al contrasto del riciclaggio, imponendo un flusso continuo d’informazioni tra le

autorità preposte alla vigilanza e i soggetti destinatari degli obblighi; quest’ultimi sono, inoltre,

tenuti a segnalare le operazioni ritenute sospette sulla base degli indici di anomalia indicati dalla

normativa comunitaria.

La Dichiarazione di Basilea del 1988 e le Convenzioni di Vienna sono stati gli elementi dai quali ha

preso ispirazione il legislatore comunitario nell’elaborare la prima direttiva. Basti pensare all’art. 1,

in cui la nozione del termine “riciclaggio” è stata in gran parte ripreso dalla definizione fornita nella

Convenzione di Vienna del 1988 contro il traffico di sostanze stupefacenti e psicotrope,

ampliandone però la portata. Secondo tale articolo costituiscono reato di riciclaggio,

“le seguenti azioni commesse intenzionalmente:

- la conversione o il trasferimento di beni, effettuati essendo a conoscenza del fatto che essi

provengono da un'attività criminosa o da una partecipazione a tale attività, allo scopo di

occultare o dissimulare l'origine illecita dei beni medesimi o di aiutare chiunque sia

coinvolto in tale attività a sottrarsi alle conseguenze giuridiche delle proprie azioni;

- l'occultamento o la dissimulazione della reale natura, provenienza, ubicazione,

disposizione, movimento, proprietà dei beni o diritti sugli stessi, effettuati essendo a

conoscenza del fatto che tali beni provengono da un'attività criminosa o da una

partecipazione a tale attività;

- l'acquisto, la detenzione o l'utilizzazione di beni essendo a conoscenza, al momento della

loro ricezione, che tali beni provengono da un'attività criminosa o da una partecipazione a

tale attività;

33

- la partecipazione ad uno degli atti di cui ai punti precedenti, l'associazione per commettere

tale atto, il tentativo di perpetrarlo, il fatto di aiutare, istigare o consigliare qualcuno di

commetterlo o il fatto di agevolarne l'esecuzione.”

Il legislatore comunitario inoltre, nell’individuare e disciplinare tali condotte, ha specificato, sempre

all’art. 1, che il concetto di attività criminosa fonte del riciclaggio dovesse coincidere con quanto

riportato all’art. 3 della Convenzione di Vienna e pertanto fosse limitato a comportamenti criminosi

legati al traffico di sostanze stupefacenti o psicotrope, prevedendo la possibilità di estendere gli

effetti della direttiva anche ai proventi di altre attività criminali13.

Per questo motivo la disciplina comunitaria era caratterizzata da una specifica area di reati

presupposto del riciclaggio, in presenza dei quali sarebbero scattati i relativi obblighi

antiriciclaggio, consistenti in:

- obbligo di conservazione della documentazione relativa alle operazioni per almeno cinque

anni;

- obbligo di collaborazione passiva, mediante l’identificazione e la registrazione della

clientela e delle relative operazioni compiute di importo superiore a €15.000, anche se

effettuate con più operazioni (operazioni frazionate);

- obbligo di collaborazione attiva, ovvero di collaborare con le autorità competenti,

comunicando o segnalando a quest’ultime le operazioni anomale o sospette e fornendo tutte

le informazioni necessarie per porre in essere le procedure stabilite dalla normativa;

- obbligo di astenersi dall’esecuzione di operazioni anomale o sospette;

- obbligo di istituire delle procedure di controllo interno e di formazione del personale negli

enti destinatari.

Attraverso l’imposizione di questi obblighi si puntava a incrementare la trasparenza del mercato e

favorire l’individuazione di operazioni sospette di riciclaggio. Lo scopo di questa Direttiva è stato

quindi quello di dare agli operatore economici una serie dettagliata di misure, recepite

obbligatoriamente mediante opportuni provvedimenti legislativi nazionali da ciascun Stato membro,

che costituissero una norma europea di base, omogenea per tutti gli Stati membri, al fine di

prevenire la strumentalizzazione del sistema bancario in attività di reimpiego di capitali illeciti

nell’economia legale.

13 Tolla M., Elementi normativi internazionali e nazionali in materia di riciclaggio, Bari, 2010, pag. 146.

34

La Direttiva n. 2001/97/CE

A distanza di dieci anni dalla Prima Direttiva, il legislatore comunitario maturò l’intenzione di

modificare la normativa antiriciclaggio con l’obiettivo di creare strumenti giuridici di contrasto e

prevenzione più efficaci ed ottenere una integrazione e collaborazione tra le autorità preposte al

controllo e alla vigilanza. A far emergere i limiti della strategia adottata con la prima Direttiva

antiriciclaggio, fu proprio l’internazionalizzazione del crimine, in particolare l’ascesa del fenomeno

del riciclaggio, e la preoccupazione emersa in seguito all’attentato dell’11 settembre 2001 per la

diffusione del nuovo fenomeno criminale costituito dal finanziamento al terrorismo,. Gli Stati

membri capirono che era necessario adeguare e modificare la legislazione di contrasto al reimpiego

di capitali illeciti in attività legali e, sulla base delle lacune riscontrate in sede di applicazione della

prima Direttiva europea antiriciclaggio, è stata emanata, il 4 dicembre 2001, la seconda Direttiva

antiriciclaggio n. 2001/97/CE, in sostituzione della Prima Direttiva

Tale intervento normativo ha previsto una serie di novità; in primo luogo ha ampliato il campo di

applicazione della disciplina, non più limitata solo al traffico di stupefacenti e sostanze psicotrope

ma anche ad altri reati propri della criminalità organizzata: nasce quindi una nuova definizione di

“riciclaggio” e di “attività criminosa”.

Infatti, nella nuova Direttiva, non si fa più riferimento, con la locuzione “attività criminosa”, solo ed

esclusivamente ai reati indicati all’art. 3 della Convenzione di Vienna ma si fornisce un’indicazione

più precisa ed ampia dei casi rientranti in tale nozione.

Al riguardo, l’art. 1 della Direttiva n. 2001/97/CE afferma che per attività criminosa si intende

“qualsiasi tipo di coinvolgimento criminale nella perpetrazione di un reato grave”, specificando

che costituiscono reato grave: la frode, la corruzione e “qualsiasi reato che possa fruttare

consistenti proventi e sia punibile con severe pene detentive in base al diritto penale dello Stato

membro”, ivi incluso il terrorismo14. Ai fini dell’individuazione dei suddetti reati gravi che

costituiscono il presupposto del riciclaggio, la seconda Direttiva ha previsto due distinti parametri

consistenti, rispettivamente, nella capacità di generare notevoli profitti e nella severità della pena15.

La Direttiva n. 2001/97/CE ha perciò ampliato il campo di applicazione della disciplina

antiriciclaggio non limitandosi esclusivamente ai reati legati al traffico di droga ma estendendo

l’alveo dei reati presupposto; tale esigenza è stata dettata dall’allargamento della definizione di

“riciclaggio”, inteso come conversione o trasferimento o occultamento o dissimulazione o acquisto

o detenzione di beni, denaro o risorse provenienti da attività criminose, secondo quanto indicato

14 Razzante R., La regolamentazione antiriciclaggio in Italia. Aggiornato alla delibera della Banca d’Italia 10 marzo 2011, Torino, 2011. 15 Tolla M., Elementi normativi internazionali e nazionali in materia di riciclaggio

35

dalle 40 Raccomandazioni del GAFI.16 Inoltre, la seconda Direttiva antiriciclaggio ha ampliato

anche l’ambito soggettivo dei destinatari ai quali applicare gli obblighi antiriciclaggio al fine di

accrescere la tutela del settore finanziario e di tutte quelle attività suscettibili di essere coinvolte in

attività criminose. In particolare venne avvertita l’esigenza di sensibilizzare e ricomprendere tra gli

enti creditizi e finanziari, destinatari della normativa antiriciclaggio, gli uffici cambiavalute e le

imprese di trasferimento di fondi, nonché le imprese di investimento e gli istituti emittenti moneta

elettronica17.

Oltre ai suddetti aggiornamenti, la novità più rilevante è stata quella di ricomprendere tra i soggetti

destinatari degli obblighi antiriciclaggio anche gli enti non finanziari, ritenuti particolarmente

esposti al rischio di questo fenomeno. In altre parole, ci si stava rendendo conto che i riciclatori

tendevano ad avvalersi anche di altri soggetti per riciclare il denaro sporco derivante da attività

delittuose e, sulla base di tale rilievo, il legislatore ha voluto ampliare la normativa in oggetto anche

a professionisti, quali revisori dei conti, contabili esterni, consulenti tributari, agenti immobiliari,

commercianti di oggetti di valore elevato (pietre, metalli preziosi, opere d’arte), quando il

pagamento viene effettuato in contanti e per importi pari o superiori a €15.000, case da gioco ed

infine notai e altri professionisti legali. Per quest’ultimi, la normativa ha introdotto obblighi di

controllo e monitoraggio dell’operatività dei loro clienti18.

La nuova Direttiva ha dunque imposto ai professionisti gli stessi obblighi antiriciclaggio previsti per

gli intermediari finanziari e bancari dalla Prima Direttiva, cioè obblighi di collaborazione attiva e

passiva, di archiviazione e conservazione dei dati e della documentazione, l’obbligo di istituire dei

presidi interni adibiti al controllo delle operazioni svolte e l’obbligo di segnalare alle autorità

competenti tutte le transazioni ritenute sospette o anomale. Si è anche deciso di affidare ai

professionisti una funzione di supporto alle autorità di controllo e alle forze di polizia che si

dedicano alla repressione del riciclaggio19.

Un altro aspetto da sottolineare è il fatto che il legislatore europeo ridefinì anche alcuni obblighi

antiriciclaggio, in particolare quello di identificazione della clientela e di collaborazione con le

autorità competenti. Ciò era motivato dall’evoluzione degli strumenti tecnologici e dei sistemi di

pagamento online e dal fatto che questi potessero raggirare i sistemi di controllo progettati con la

prima Direttiva. Per questo motivo, il secondo provvedimento antiriciclaggio stabilì l’obbligo di

effettuare l’identificazione della clientela anche nelle operazioni cosiddette non “face to face”, e

16 www.fatf.com 17 Fisicaro E., Antiriciclaggio e terza direttiva Ue - Obblighi a carico dei professionisti intermediari finanziari e operatori non finanziari alla luce del

D. Lgs. 231/2007, Milano, 2008, pag. 19. 18 Danovi R., La nuova normativa antiriciclaggio e le professioni, Milano, 2008, pag. 2. 19 Razzante R., Antiriciclaggio e professionisti, Rimini, 2013, pag. 24

36

cioè transazioni a distanza, svolte attraverso l’impiego di strumenti tecnologici innovativi che

garantiscono l’anonimato ed il venir meno del rapporto fisico tra intermediario finanziario o

bancario e cliente.

Da queste considerazioni ne è derivato il principio, già previsto nelle quaranta Raccomandazioni del

GAFI, della cd. “know your customer”, ovvero la necessità di approfondire la conoscenza del

cliente in modo da incentivare la formazione di collaborazioni attive con le autorità competenti.

Questo principio si è tradotto in un obbligo di identificazione della clientela più severo e stringente,

vincolato all’ottenimento di informazioni indipendenti in modo da provare la reale identità del

cliente. Infine, la seconda Direttiva ha stabilito l’obbligo di collaborare attivamente con le autorità

responsabili della lotta al riciclaggio, sia comunicando ogni fatto che possa costituire un indizio o

sospetto, sia dando tutte le informazioni necessarie all’introduzione di policy antiriciclaggio da

parte degli organi superiori.

La Direttiva in esame ha esteso e coinvolto in tale attività anche le autorità con funzioni di vigilanza

dei mercati finanziari; quest’ultime sono state infatti obbligate a comunicare alle autorità

antiriciclaggio tutte le informazioni e i sospetti di riciclaggio riscontrati nell’esercizio delle proprie

funzioni di vigilanza20.

La Direttiva n. 2005/60/CE e gli obblighi di adeguata verifica della clientela

Il 26 ottobre 2005 è stata approvata la terza Direttiva antiriciclaggio n. 2005/60/CE, relativa alla

prevenzione dell’uso del sistema finanziario a scopo di riciclaggio dei proventi di attività criminose

e di finanziamento al terrorismo.

Il provvedimento comunitario ha modernizzato l’intera disciplina antiriciclaggio sotto vari punti di

vista, andando ad abrogare del tutto il testo della prima direttiva (già modificata con la seconda

Direttiva) ed ampliandone la portata ad una vasta gamma di soggetti economici precedentemente

esclusi, in modo da creare una normativa più dettagliata, in grado di dimostrarsi al passo con gli

andamenti evolutivi del riciclaggio e compliant in relazionegli obblighi introdotti dai trattati

internazionali nella lotta al money laundering. La Terza Direttiva ha disciplinato l’argomento in

maniera più vincolante, richiedendo agli Stati membri di recepire il nuovo impianto normativo entro

il 15 dicembre 200721. Partendo dal presupposto che il crimine organizzato è un vulnus intrinseco

alle fondamenta delle società democratiche, la Terza Direttiva ha esteso il campo di applicazione

alle operazioni dirette a finanziare il terrorismo, imponendo, inoltre, che gli Stati membri

20 Tolla M., Elementi normativi internazionali e nazionali in materia di riciclaggio, Bari, 2010, pag. 175 21 Razzante R., La regolamentazione antiriciclaggio in Italia, Torino, 2011, pagg. 41 - 42.

37

inseriscano nel proprio ordinamento strumenti volti a vietare e punire ogni forma di attività volta al

riciclaggio di denaro sporco e di finanziamento del terrorismo22.

Il testo della Terza Direttiva viene considerato uno strumento giuridico al passo con i tempi sia per i

soggetti ai quali è rivolta, sia per l’ampliamento dell’ambito oggettivo dei reati che ricomprende

non solo il riciclaggio di proventi di attività criminose, ma anche il finanziamento al terrorismo. Nel

2001, anno di introduzione della Seconda Direttiva, infatti, era opinione comune che tutti i

comportamenti legati al finanziamento del terrorismo costituissero “reati gravi” e quindi “reati

presupposto” del reato di riciclaggio. Tuttavia l’art. 1 della Seconda Direttiva si occupava

esclusivamente a proventi derivanti da attività criminali, mentre le vicende storiche e le vicissitudini

nel campo di terrorismo hanno evidenziato come spesso la raccolta di fondi si manifesti attraverso

strumenti leciti e non criminali, come invece ben compreso dalla Terza Direttiva. A ben vedere le

divergenze tra riciclaggio e finanziamento al terrorismo sono sottili e si hanno con riferimento ai

beni messi in circolazione: mentre il riciclaggio si propone di dare una forma lecita a denaro e beni

provenienti da operazioni illecite, il finanziamento al terrorismo compie la strada inersa, basandosi

su una serie di artifizi volti in ultima analisi a far confluire detti beni in organizzazioni illecite.

Analizzando il testo della Terza Direttiva bisogna considerare che i reati ad oggetto (riciclaggio e

finanziamento del terrorismo) sono fenomeni che hanno assunto portata internazionale; per questo

motivo l’adozione di misure esclusivamente a livello nazionale o comunitario, senza coordinamento

né cooperazione internazionale, avrebbero effetti molto limitati. Ecco spiegato il perché le nuove

norme introdotte abbiano recepito sia le indicazioni del GAFI contenute nelle quaranta

Raccomandazioni in materia di riciclaggio che le nove Raccomandazioni speciali, revisionate e

integrate nel 2003, riguardanti il finanziamento del terrorismo, dando, in tal modo, omogeneità alle

disposizioni comunitarie con quelle definite in sede internazionale23.

Per quanto riguarda la definizione di riciclaggio la Terza Direttiva non ha apportato grosse

modifiche rispetto al testo previgente

Ai sensi dell’art. 1 della Terza Direttiva, sono infatti considerate oggetto di riciclaggio le stesse

condotte, commesse intenzionalmente, previste dall’art. 1 dell’ormai abrogata Prima Direttiva. Il

legislatore comunitario ha voluto ribadire che, nonostante inizialmente, la nozione di riciclaggio

fosse connessa in linea del tutto esclusiva ad alcune fattispecie di reato, come il traffico di sostanze

stupefacenti e psicotrope, nel corso degli anni, è stato necessario modificare tale impostazione per

ottenere una visione complessiva del fenomeno del riciclaggio, all’interno del quale far rientrare

22 Tolla M., Elementi normativi internazionali e nazionali in materia di riciclaggio, Bari, 2010. 23 Tramontano G., La terza Direttiva antiriciclaggio e gli obblighi per i professionisti

38

una gamma più vasta di reati presupposto24. È stato evidenziato, inoltre, che l’elemento che ha

permesso di ampliare il novero dei reati presupposto del riciclaggio, e quindi di definire la maggiore

portata del nuovo provvedimento, è contenuto nell’elencazione delle condotte rientranti tra i reati

gravi.

La norma in esame ha quindi introdotto una definizione di “reato grave” più vasta rispetto alla

precedente. In essa vengono ricomprese25:

• le fattispecie penali in materia di traffico di sostanze stupefacenti e psicotrope, ai sensi della

Convenzione di Vienna del 1988,

• i reati connessi al terrorismo,

• le attività illecite perpetrate dalle organizzazioni criminali, come definite dall’Azione

comune 98/733/GAI,

• la frode, come definita dalla Convenzione relativa alla tutela degli interessi finanziari delle

Comunità Europee,

• la corruzione,

• i reati punibili con una pena privativa della libertà o con una misura di sicurezza privativa

della libertà di durata massima superiore ad un anno, ovvero, qualora gli ordinamenti

giuridici nazionali prevedano una soglia minima, di durata minima superiore a sei mesi.

Dal punto di vista soggettivo, la Terza Direttiva, si rivolge agli enti creditizi ed enti finanziari (come

già la Prima Direttiva) nonché ad una serie di persone giuridiche o fisiche nel momento in cui esse

si trovano ad agire nell’esercizio della loro attività professionale (revisori dei conti, contabili esterni

e consulenti tributari, notai e altri liberi professionisti legali in relazione a talune attività), agenti

immobiliari, case da gioco (come già nella Seconda Direttiva).

La Terza Direttiva ha anche esteso il suo campo di applicazione disponendo che le norme

antiriciclaggio vengano applicate, oltre ai destinatari evidenziati nella Seconda Direttiva, anche a

prestatori di servizi, a società, trust e alle altre persone fisiche o giuridiche che negoziano beni o

prestano servizi qualora il pagamento venga effettuato in contanti per un importo pari o superiore a

€15.000.

In questo si può notare un’importante innovazione della Terza Direttiva nella definizione

dell’ambito soggettivo di applicazione dal momento che risultano ad essa assoggettati tutti le

24 Cenci P., La nuova normativa antiriciclaggio - Direttive comunitarie e normativa nazionale, Padova 2010. 25 Razzante R., Antiriciclaggio e professionisti.

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persone fisiche o giuridiche che negoziano beni e attività e ricevono pagamenti in contanti per un

importo superiore a €15.000, sia se la transazione è effettuata con un’unica operazione, sia con

diverse operazioni collegate e, soprattutto, anche nel caso di attività occasionale. In tali ipotesi essi

dovranno attenersi alle norme di comportamento imposte dalla direttiva stessa come gli obblighi di

identificazione della clientela e di segnalazione delle operazioni sospette.

La Seconda Direttiva prevedeva, invece, il solo assoggettamento della categoria dei “commercianti”

di oggetti di valore elevato (“high-value dealer” cioè i rivenditori di pietre preziose, metalli preziosi

o opere d’arte ecc.) alle norme antiriciclaggio nel caso di pagamenti in contanti per un importo

superiore ad €15.000. L’eccessiva limitazione così prevista da tale direttiva ha indotto il legislatore

comunitario ad assorbire tale contenuto in una nuova previsione di portata più ampia e generale.

E’ di facile intuizione come l’ampliamento dell’ambito soggettivo abbia creato non pochi problemi,

in sede di adeguamento, agli Stati membri in cui l’uso del contante era regolarmente diffuso enon vi

erano disposizioni limitative alla circolazione. La Terza Direttiva ha quindi riconosciuto il rischio

intrinseco contenuto nella circolazione del contante; per tale motivo occorre rilevare che sarebbe

stato più utile porre maggiore attenzione sul sistema dei pagamenti in generale, più che estendere

l’ambito soggettivo della normativa nonché rendere le disposizioni sull’uso del contante applicabili

a tutti gli strumenti al portatore, la cui funzionalità è del tutto similare al denaro contante.

Un altro aspetto da considerare è quello secondo cui si è lasciata (art. 4 della Terza) la possibilità

agli Stati membri di estendere l’adempimento degli obblighi antiriciclaggio anche a categorie

professionali o imprenditoriali diverse da quelle contenute nel testo originale “qualora esse

svolgano attività particolarmente esposte al pericolo di essere utilizzate a scopo di riciclaggio o di

finanziamento del terrorismo”. Bisogna aggiungere che, secondo un criterio di territorialità, è stato

inserito l’obbligo di applicazione delle norme comunitarie antiriciclaggio anche a succursali e

controllate aventi sede sia all’interno che fuori l’Unione Europea26. La Terza Direttiva si è altresì

occupata del recepimento e della più dettagliata disciplina di un principio di derivazione

internazionale, già accennato nel testo della Seconda Direttiva: il principio del “know your

customer”.

Questa importantissima novità si è tradotta in un maggior dettaglio negli aspetti relativi ai doveri di

due diligence nel rapporto con la clientela. La Terza Direttiva ha il merito di aver obbligato gli

operatori economici ad anticipare la valutazione del rischio al momento dell’identificazione della

clientela, rispetto al momento della segnalazione delle operazioni sospette.

26Tolla M., Elementi normativi internazionali e nazionali in materia di riciclaggio, Bari, 2010.

40

Applicazione pratica del principio “Know Your Customer”

Il momento dell’approccio con il cliente costituisce un passaggio cruciale per l’applicazione degli

obblighi antiriciclaggio: uno dei doveri fondamentali del sistema di prevenzione e rilevazione di

operazioni di riciclaggio è costituito proprio dalla necessità della conoscenza della clientela sin

dall’inizio della relazione d’affari (ma anche, se del caso, in relazione al compimento di operazioni

isolate).

Come anticipato, il principio “Know Your Customer” è disciplinato con modalità profondamente

diverse nella Terza Direttiva rispetto alle due precedenti. Le differenze riguardano, soprattutto, il

passaggio dal semplice obbligo di identificazione (relativo all’acquisizione di informazioni

sull’identità) ad un più ampio obbligo di verifica.

La Terza Direttivadedica, infatti,l’intero Capitolo II (articoli da 6 a 19) alla disciplina della “verifica

adeguata della clientela” (customer due diligence, nel testo inglese): quest’ultima si scinde in

disposizioni generali,relative in particolare all’individuazione dei presupposti, al processo di

verifica in forma ordinaria e all’individuazione del momento iniziale della verifica (artt. da 6 a 10),

norme relative alla procedura semplificata (artt.11 e 12) e disposizioni in materia di procedura di

verifica rafforzata. Gli obblighi di verifica della clientela sono caratterizzati da un contenuto di

ampiezza variabile in funzione del rischio così come variamente delineato dalle disposizioni

vincolanti della Terza Direttiva eovvero dalle valutazioni svolte in concreto dai soggetti obbligati in

virtù dei contenuti della disciplina nazionale di recepimento.

Possiamo affermare che la direttiva intende l’obbligo di adeguata verifica della clientela non solo

come una misura isolata ma piuttosto come un processo scandito dal succedersi di molteplici

verifiche ed adempimenti. Alcuni di esse si esauriscono con la prima applicazione e si sostanziano

nell’identificazione e verifica dell’identità; per altri, invece, è richiesta un’applicazione continua per

tutta la durata del rapporto d’affari come il monitoraggio delle operazioni compiute.

Ecco allora che diviene comprensibile come il nuovo regime di adeguata verifica origini sì dalla

mera acquisizione dei dati identificativi ma prosegua attraverso una considerazione continua e

costante delle transazioni svolte nel corso del rapporto, con l’obiettivo di ricostruire le finalità

economiche perseguite. Viene così considerevolmente esteso l’ambito dei compiti di conoscenza

della clientela fino a giungere alla possibile rilevazione di operazioni sospette (e quindi suscettibili

di essere segnalate). Il filo conduttore è costituito dall’applicazione degli strumenti antiriciclaggio -

consistenti nella raccolta di informazioni, nella valutazione dell’attività svolta, nella rilevazione di

fenomeni sospetti - che affianca tutto il corso dello svolgimento del rapporto d’affari, impiegando in

parte gli stessi strumenti di valutazione specie per ciò che attiene all’apprezzamento dei rischi.

41

Pertanto, a differenza della mera identificazione configurata nella Seconda Direttiva, il compito di

verifica della clientela non si applica in un momento esatto, attraverso un adempimento pressoché

istantaneo ma accompagna tutta la durata del rapporto contrattuale, monitorandone l’intero

svolgimento. La necessità di analizzare e aggiornare i dati acquisiti, di completare il profilo del

cliente attraverso un’attività di assessment dell’operatività posta in essere, infatti, non trova mai una

conclusione. Si tratta di una differenza fondamentale rispetto al passato che ha reso necessaria una

revisione radicale dell’approccio allo svolgimento degli obblighi antiriciclaggio mediante

un’adeguata proceduralizzazione ed una elevata integrazione nei processi operativi dei soggetti

obbligati.

Le novità introdotte in materia di verifica della clientela non sono limitate alla struttura degli

adempimenti, suscettibili di non trovare una conclusione in termini temporaliAltro elemento da

considerare è, infatti, la valutazione del “rischio” di riciclaggio e di finanziamento del terrorismo

quale parametro fondamentale per gli operatori nel determinare l’estensione, l’attenzione e la

profondità dei contenuti delle attività di verifica. La valutazione (assessment) dei rischi, in effetti,

incide sull’intera disciplina della verifica del cliente, producendo output diversificati a seconda dei

casi, all’interno di un panorama regolamentare reso ancora più complesso dalla introduzione di

aggiornamenti, norme e linee guida interne che incidono sull’operatività degli operatori economici.

Nella Terza Direttiva non sono, invece, contenuti aspetti innovativi in merito all’individuazione dei

presupposti rilevanti per l’effettuazione dei presidi antiriciclaggio relativi alla verifica della

clientela. L’art. 7 della Terza Direttiva esprime sostanzialmente gli stessi concetti contenuti nell’art.

3 della Seconda Direttiva aggiungendovi solo una maggiore chiarezza. In questo caso si fa

riferimento all’instaurazione di “un rapporto d’affari, professionale o commerciale che sia

correlato con le attività professionali svolte dagli enti o dalle persone soggetti alla presente

direttiva e del quale si presuma, al momento in cui viene allacciato, che avrà una certa durata”. Le

caratteristiche essenziali del rapporto d’affari, quale presupposto per l’applicazione delle misure di

adeguata verifica, possono dunque essere individuate nell’attinenza all’attività tipicamente svolta

dal soggetto obbligato. Un altro aspetto fondamentale ai fini dell’applicazione degli obblighi di

verifica è dato dal compimento di “transazioni occasionali il cui importo sia pari o superiore a

€15.000”,anche nei casi di frazionamento di un’operazione unitaria in molteplici “frammenti”,

ciascuno dei quali di importo inferiore alla soglia individuata.

Il ricorrere di circostanze inattese può dar luogo ad ulteriori presupposti per l’applicazione degli

obblighi di verifica (percezione di un sospetto di riciclaggio o di finanziamento del terrorismo,

oppure la mancata o sospetta errata identificazione precedentemente posta in essere). Queste

42

situazioni anomale possono costituire un rischio particolare e, per questo motivo, nel momento in

cui si manifestano, è imposto lo svolgimento della verifica anche in assenza di uno dei presupposti

indicati in precedenza. Casi tipici sono la presenza di dubbi relativi alla veridicità delle

informazioni fornite nel corso del rapporto, anche senza l’effettuazione di transazioni rilevanti;

oppure una precedente modalità di identificazione diversa da quella richiesta dal legislatore

comunitario, dalla quale traspaiano dubbi sull’identità.

Le tre procedure di verifica della clientela.

Al verificarsi di una delle casistiche citate nella Terza Direttiva - come la costituzione di un

“rapporto d’affari”, il compimento di un’operazione di importo rilevante successivamente o

indipendentemente rispetto a un rapporto d’affari, la sussistenza di elementi di sospetto, dubbi sulla

veridicità di informazioni sull’identità del cliente – è richiesta la tempestiva applicazione delle

prescritte misure di adeguata verifica della clientela.

In primo luogo occorrerò chiedersi quale tipologia di verifica si deve porre in essere: (a) normale

(art. 8), (b) semplificata (art. 11 e disposizioni contenute nella Direttiva 2006/70/CE della

Commissione Europea), o (c) rafforzata (art. 13). È richiesto agli operatori economici che si

soffermino di volta in volta a ragionare sulla tipologia di controllo che reputano opportuno

applicare, sia in funzione del rischio sia della corrispondenza della fattispecie concreta ai criteri

citati dal legislatore comunitario e/o nella legislazione domestica di recepimento.

Con l’obiettivo di disciplinare le diverse fattispecie di compiti di verifica della clientela, la Terza

Direttiva ha previsto un sistema articolato su diversi piani, in funzione del rischio concretamente

riscontrato.

La distinzione tra procedura normale, rafforzata e semplificata si sviluppa sulla base dei presupposti

richiesti per l’implementazione, l’incisività dei controlli e la tipologia di misure applicabili.

Per quanto concerne i presupposti applicativi della procedura semplificata, essi sono tipizzati nella

Terza Direttiva nella Direttiva 2006/70/CE contenente le misure di attuazione. Il fatto che siano

appunto tipizzati a livello comunitario comporta due conseguenze:

1. una volta elencate le casistiche per le tre tipologie non è consentito agli Stati membri

introdurre fattispecie ulteriori alla procedura di verifica semplificata rispetto a quelle

esistenti, anche in relazione a situazioni che presentino rischi particolarmente ridotti (anche

perchè le valutazioni preordinate all’applicazione della verifica in forma semplificata non

comportano la disanima di profili di rischio). La verifica in forma semplificata presuppone

43

la sussistenza di fattispecie particolarmente a basso rischio da verificarsi caso concreto. Per

questo motivo il destinatario dell’obbligo dovrà valutare caso per caso quale metodologia

applicare ad accertarsi che ci sia corrispondenza rispetto alla norma comunitaria che

sancisce principi non derogabili in eccesso.

Ripercorrendo il testo della Terza Direttiva all’art 11 si incontra poi la norma in cui si da la

possibilità agli stati membri di autorizzare la disapplicazione delle norme ordinarie: infatti

“se il cliente è un ente creditizio o finanziario soggetto alla Direttiva”, la procedura

semplificata è obbligatoria.

2. per contro è ammessa la possibilità derogatoria in senso restrittivo rispetto ai casi di

adozione della procedura semplificata e quindi l’applicabilità della procedura di verifica

ordinaria in conformità alle previsioni di cui all’art. 5 della Terza Direttiva, che invita gli

Stati membri ad applicare in ogni caso la procedura più stringente anche nel caso di assenza

dei relativi presupposti per un miglior e più efficace perseguimento dell’obiettivo di

contrasto ai fenomeni del riciclaggio e del finanziamento al terrorismo. Al verificarsi di tali

ipotesi infatti, il soggetto obbligato (intermediari finanziari o professionisti) dovrà essere più

incisivo e attento nell’effettuare controlli, applicando misure di verifica appropriate rispetto

al potenziale rischio riscontrato. Difficilmente il legislatore (comunitario ma anche

domestico) avrebbe potuto individuare in dettaglio le casistiche rilevanti con indicazione di

presidi e misure idonee per l’effettuazione delle attività di verifica e, pertanto, si è optato per

una soluzione che attribuisca ai singoli operatori la flessibilità necessaria per combinare la

presenza di un grado di rischio apprezzabile con le modalità di controllo più invasivo e la

relativa disclosure alle autorità competenti.

In sintesi, quindi, la procedura semplificata costituisce lo standard minimo previsto dalla Terza

Direttiva nelle ipotesi ivi indicate, con la precisazione che si renderà necessario applicare procedure

più invasive qualora le indagini condotte ne rilevino l’opportunità.

Le norme sulla verifica rafforzata sono invece introdotte nell’art 13 della direttiva. Da una prima

analisi notiamo che tale forma di verifica, oltre che al verificarsi delle situazioni di rischio tipizzate,

deve essere attuata in ogni altro caso atipico in cui il soggetto obbligato denoti un rischio elevato. Si

incontra quindi una sezione della Terza Direttiva che potrebbe essere definita “inderogabile” e

dettagliata che si affianca ad un insieme sfumato di altre casistiche in cui, invece, la procedura

rafforzata si svolge quale conseguenza dell’esito dei controlli effettuati. A differenza della

procedura di verifica semplificata, in cui non è possibile introdurre nuove ipotesi oltre a quelle

espressamente tipizzate altre, la procedura di verifica rafforzata permette l’integrazione con

44

situazioni ulteriori rispetto a quelle previste in direttiva. A ciò si aggiunga che non è consentito

effettuare controlli di verifica di livello inferiore qualora si manifestino le fattispecie di verifica

rafforzata rientranti tra quelle tipizzate.

La verifica in forma semplificata

La disciplina della verifica in forma semplificata è contenuta nell’art. 11 della Terza Direttiva e

della Direttiva 2006/70/CE in cui si propone essenzialmente un approccio non imperativo

relativamente alle modalità di attuazione. L’applicazione di norme semplificate è da considerarsi

nel contesto di quelle situazioni caratterizzate da eccezionalità in virtù della tipologia di operazione

posta in essere o in virtù di una particolare fiducia associata al committente della stessa.

È quindi considerato obbligatorio implementare controlli semplificati nei confronti di enti creditizi e

finanziari appartenenti a Stati membri dell’Unione Europea e di Stati terzi che presentino condizioni

equivalenti a quelli della Terza Direttiva, derogando alle norme ordinarie. Può essere inoltre

applicata la procedura semplificata nei confronti di società quotate in mercati regolamentati in uno o

più Stati membri e nei confronti dei titolari dei “conti collettivi” cd. (pooled accounts) gestiti da

notai e liberi professionisti all’interno di un Stato membro. Inoltre, l’art.11, comma 2, della Terza

Direttiva fa riferimento a “autorità pubbliche” domestiche quali soggetti che, in considerazione del

basso rischio di riciclaggio e finanziamento del terrorismo ad essi ascrivibile, sono senz’altro

meritevoli di un regime di verifica semplificato.

Successivamente, con la Direttiva 2006/70/CE, sono stati individuati ulteriori criteri di

identificazione delle fattispecie di verifica semplificata grazie ad una prognosi di rischio ridotto: gli

Stati membri possono infatti considerare come clienti che presentano un basso rischio di riciclaggio

dei proventi di attività criminose o di finanziamento del terrorismo le autorità pubbliche o gli

organismi pubblici che soddisfano tutti i seguenti criteri:

• il cliente ha occupato funzioni pubbliche conformemente al trattato sull’Unione Europea, ai

trattati sulle Comunità Europee o al diritto derivato della Comunità Europea;

• l’identità del cliente è pubblicamente disponibile, trasparente e certa;

• le attività del cliente, così come le sue pratiche contabili, sono pubbliche e trasparenti;

• il cliente rende conto o a un’istituzione comunitaria o alle autorità di uno Stato membro,

ovvero esistono procedure di controlli e contrappesi che assicurano la verifica dell’attività

del cliente.

45

In merito alle singole operazioni, considerate a ridotto rischio di riciclaggio, l’art. 8 enuncia che “gli

Stati membri possono autorizzare gli enti e le persone soggetti alla presente direttiva a non

applicare gli obblighi di adeguata verifica della clientela, in relazione:

• ai contratti di assicurazione vita il cui premio annuale non ecceda i €1.000 o il cui premio

unico sia di importo non superiore a €2.500;

• ai contratti di assicurazione-pensione, a condizione che essi non comportino clausole di

riscatto e non possano servire da garanzia di un prestito;

• ai regimi di pensione o sistemi simili che versino prestazioni di pensione ai dipendenti, per i

quali i contributi siano versati tramite deduzione dal salario e le cui regole non permettano

ai beneficiari di trasferire i propri diritti; o

• a qualunque altro prodotto o transazione caratterizzato da uno scarso rischio di riciclaggio

o di finanziamento del terrorismo che soddisfi i criteri tecnici stabiliti a norma dell'articolo

40, paragrafo 1, lettera b)”.

Gli Stati membri possono consentire agli enti e alle persone soggetti alla Terza Direttiva, di

considerare come esposti a un basso rischio di riciclaggio dei proventi di attività criminose o di

finanziamento del terrorismo i prodotti, o le operazioni collegate a prodotti, che soddisfino tutti i

seguenti criteri:

• il prodotto ha una base contrattuale scritta;

• le operazioni relative sono eseguite tramite un conto del cliente presso un ente creditizio

soggetto alla Terza Direttiva o presso un ente creditizio situato in un paese terzo che impone

obblighi equivalenti a quelli stabiliti da tale direttiva;

• è fissata una soglia minima predeterminata per il prodotto;

• i vantaggi del prodotto o dell’operazione relativa non possono andare a beneficio di terzi,

salvo in caso di decesso, handicap, sopravvivenza a una predeterminata età avanzata o

eventi analoghi;

• nel caso di prodotti o di operazioni relative che prevedono l’investimento di fondi in attività

finanziarie o crediti, compresa l’assicurazione o altro tipo di crediti potenziali:

o i vantaggi del prodotto o dell’operazione relativa sono realizzabili soltanto nel lungo

termine;

o il prodotto o l’operazione relativa non possono essere utilizzati come garanzia;

46

o nel corso del rapporto contrattuale non sono effettuati pagamenti anticipati, non sono

utilizzate clausole di riscatto e non vi è rescissione anticipata.

Leggendo questo elenco contenuto nella Terza Direttiva e nella Direttiva 2006/70/CE

l’individuazione dei casi in cui è possibile applicare le procedure di verifica semplificata potrebbe

apparire semplice ma, all’atto pratico, la verifica della sussistenza dei presupposti di svolgimento di

tale forma di verifica è un’attività complessa che richiede un esame approfondito sulla ricorrenza

delle casistiche e dei criteri di natura soggettiva fondati sull’analisi delle caratteristiche dei clienti.

E’ quindi indispensabile identificare e comprendere chi sia il cliente anche ove le inesattezze o

reticenze dello stesso possano condurre a valutazioni errate, per quanto involontarie

Adeguata verifica ordinaria o normale

La Terza Direttiva, agli artt. 8 e 13, disciplina la procedura di verifica normale o ordinaria.

Dall’analisi della norma notiamo che viene effettuata una distinzione:

- norme volte a garantire una completa istruttoria attraverso l’acquisizione e il riscontro di

tutte le informazioni necessarie. Si incontrano, quindi, le procedure di identificazione del

cliente e del titolare effettivo, la verifica dell’identità di entrambi, la raccolta delle

informazioni ricevute sullo scopo e sulla natura della transazione. A tale riguardo l’art 8

afferma che tale processo deve avere come presupposto documenti, dati, informazioni

ottenibili da una fonte indipendente e affidabile. Mentre il processo di acquisizione

dell’identità del cliente è abbastanza semplice, problemi applicativi si riscontrano con

l’individuazione del titolare effettivo. A tale riguardo la direttiva rimanda alla normativa

nazionale e all’introduzione di norme a livello di hard law e linee guida in base ad un

opportuno apprezzamento del rischio associato a ciascun rapporto;

- norme che, innestandosi all’interno delle prime, riguardano il processo di comprensione

delle finalità perseguite dal cliente e il monitoraggio delle operazioni da questo compiute.

Adeguata verifica rafforzata

La Terza Direttiva, ad ogni modo, si è impegnata nel delineare uno sfocato insieme di situazioni al

verificarsi delle quali è connesso l’obbligo di procedure rafforzate di verifica. Occorre ricordare che

tale insieme di casistiche può subire modifiche in aumento al verificarsi di determinate situazioni

che, per essere individuate, richiedono tutte le attenzioni, riflessioni, ed analisi di chi (intermediario,

che sia banca o professionista) è chiamato a processare una determinata operazione. In molti casi,

infatti, l’obiettivo finale che il cliente intende perseguire risulta di non facile intuizione per colui

che è chiamato a processare operazioni di per sé non sospette.

47

In ogni caso, le situazioni non derogabili di obblighi rafforzati (art. 28), sono le seguenti:

• qualora il cliente non sia fisicamente presente è necessario applicare una delle seguenti

misure:

o accertare l'identità del cliente tramite documenti, dati o informazioni supplementari;

o adottare misure supplementari per la verifica o la certificazione dei documenti

forniti;

• in relazione a prestazioni professionali con persone politicamente esposte, i destinatari sono

tenuti a :

o stabilire procedure adeguate basate sul rischio, al fine di determinare se il cliente sia

o meno una persona politicamente esposta;

o assicurare costantemente un controllo sulla prestazione professionale.

Sono persone politicamente esposte “le persone fisiche che occupano o hanno occupato importanti

cariche pubbliche” ovvero:

• i capi di Stato, i capi di governo, i ministri e i viceministri o sottosegretari;

• i parlamentari;

• i membri delle corti supreme, delle corti costituzionali e di altri organi giudiziari di alto

livello le cui decisioni non sono generalmente soggette a ulteriore appello, salvo in

circostanze eccezionali;

• i membri delle corti dei conti e dei consigli di amministrazione delle banche centrali;

• gli ambasciatori, gli incaricati d’affari e gli ufficiali di alto livello delle forze armate;

• i membri degli organi di amministrazione, direzione o vigilanza delle imprese possedute

dallo Stato, e

• in ultima analisi, sono considerate politicamente esposti i familiari diretti tutte le persone

con le quali le suddette persone intrattengono notoriamente stretti legami.

ALa disciplina sulla verifica della clientela può essere quindi strutturata come una gerarchia tra le

procedure, cioè un ordine di comportamenti ai quali il soggetto obbligato deve attenersi affinché

possa essere in grado si decidere quale misura attuare e quale no.

Le fasi da seguire sono le seguenti.

• è necessario verificare la sussistenza dei presupposti per l’applicazione della procedura

48

semplificata: profili soggettivi relativi al tipo di cliente e oggettivi relativi al tipo di

prodotto o operazione;

• in caso di esito positivo di tale verifica, il procedimento di valutazione si conclude e trovano

applicazione le misure “semplificate”;

• se la valutazione per la verifica in forma semplificata fornisce esito negativo, è necessario

allora verificare se le situazioni in esame corrispondano o meno a quelle tipizzate nell’art.

13 della Terza Direttiva che, in ragione del rischio elevato, richiedono l’applicazione della

procedura rafforzata. Anche in tal caso, come si è visto, i presupposti sono sia di ordine

soggettivo sia di ordine oggettivo.

• qualora si constati che le situazioni in esame corrispondono a quelle tipizzate nell’art. 13, si

presume la sussistenza di elementi di rischio elevato e, dunque, deve procedersi alla verifica

in forma rafforzata.

• nel caso in cui non ricorrano le situazioni tipizzate nell’art 13, si rende necessario valutare

direttamente il rischio per stabilire se esso sia elevato (nonostante si versi al di fuori delle

situazioni rischiose tipizzate dalla Direttiva) e se sia per conseguenza necessario applicare la

procedura rafforzata;

• qualora il “test” di rischiosità, svolto sia alla luce dei presupposti tipici che di quelli atipici,

ha dato esito negativo, è possibile svolgere la procedura di verifica nella sua forma normale.

Il processo illustrato non rappresenta una sequenza vincolante per il soggetto obbligato, ma

individua il precorso logico da seguire per tracciare il profilo di rischio che in prima battuta si

ritiene di associare all’operazione oggetto di esame. Nel caso in cui si valuti l’operazione come

altamente rischiosa, si potrà seguire un processo opposto, di tipo “bottom up” rispetto a quello

citato.

In fase di controlli può inoltre verificarsi con frequenza una discordanza tra i profili di rischio

rilevanti: dinanzi a situazioni di per sé caratterizzate da rischio limitato, l’analisi dei profili

soggettivi e oggettivi può far emergere livelli di rischio di diversa entità. Si avranno pertanto delle

situazioni in cui, per quanto si riscontrino elementi associabili a rischio limitato si debba procedere

con l’applicazione di procedure rafforzate di verifica.

Basti pensare alle operazioni aventi ad oggetti prodotti/servizi rientranti nella descrizione dell’art.

11, comma 5, della Terza Direttiva caratterizzati da basso rischio ma effettuate da persone fisiche

non fisicamente presenti al momento dell’identificazione. In tal caso, data la presenza di profili di

rischio diversi, distinte procedure di verifica si trovano a concorrere e per questo è necessario

49

introdurre ulteriori criteri volti a disciplinare tale fattispecie limite.

Al verificarsi di presupposti concorrenti, si dovrà applicare la procedura più rigorosa: in forza

dell’art. 13 della Terza Direttiva che esprime il principio del rilievo del rischio per la

determinazione delle misure applicabili, si dovrà procedere con verifiche proporzionali al rischio

esistente anche se, analizzando i vari elementi, alcuni di essi siano associabili a un profilo di rischio

basso e al conseguente l ricorso a procedure meno invasive e semplificate.

In forza di tale principio, rileva dunque l’elemento maggiormente rischioso: ecco allora che in una

situazione concreta in cui vi è compresenza di elementi poco rischiosi con elementi di rischio più

sensibile, prevarrà la procedura di verifica maggiormente invasiva su tutto il processo di controllo.

Obblighi di astensione e di segnalazione

Una volta individuato quale procedura di verifica sia necessario attuare, subentrano gli obblighi di

collaborazione attiva basati sulla segnalazione delle operazioni sospette alle autorità competenti: la

Terza Direttiva introduce la presenza in ogni Stato membro della cd. “Unità di Informazione

Finanziaria,” con caratteristiche organizzative e tecniche omogenee in ogni Stato membro, cui far

recapitare le operazioni sospette.

Tale autorità svolge attività di ricezione, analisi e comunicazione alle autorità competenti di tutte le

possibili casistiche di riciclaggio o finanziamento al terrorismo: oltre all’effettuazione di attività di

segnalazione all’UIF, i soggetti obbligati dovranno astenersi dal compiere le operazioni per le quali

ci sia il sospetto di riciclaggio o finanziamento al terrorismo. Nel caso non sia possibile astenersi, i

destinatari degli obblighi dovranno compiere l’operazione riservandosi di segnalare all’UIF

competente i relativi sospetti.

Il soggetto segnalante inoltre è altresì chiamatoa mantenere riservata l’intervenuta effettuazione

della segnalazione e i relativi contenuti al soggetto segnalato e a terzi. Sono fatte salve le

comunicazioni alle autorità di vigilanza e, ai sensi dell’art. 28, comma 3, della Terza Direttiva, le

comunicazioni svolte all’interno dell’istituzione di appartenenza del segnalatore. Il fine ultimo di

tali deroghe è ovviamente quello di rendere più agevole l’attività investigativa e consentire una

migliore qualificazione del sospetto e del contesto nel quale l’operazione è posta in essere.

L'esigenza di offrire adeguata tutela ai soggetti che, quali destinatari della normativa antiriciclaggio,

sono tenuti ad effettuare la segnalazione dell'operazione ritenuta sospetta è stata formalmente tenuta

in considerazione dal legislatore.

L'efficienza del sistema dipende, infatti, dalla predisposizione di adeguati strumenti volti ad evitare

l'insorgenza di qualunque rischio per il segnalante; il timore di rappresaglie da parte del segnalato,

50

in qualunque forma manifestate, potrebbe infatti ostacolare la piena attuazione della disciplina. La

Terza Direttiva invita allora gli Stati membri a sensibilizzare i soggetti obbligati nella

predisposizione di adeguate forme di protezione per vincere le remore che potrebbero condizionare

l'opera del segnalante che, sebbene contraddistinto da forte spirito collaborativo, intende evitare

conseguenze spiacevoli e preservare la propria incolumità.

Le informazioni acquisite in fase di assolvimento degli obblighi di verifica devono essere

conservate per un periodo di dieci anni all’interno della realtà aziendale/professionale segnalante e

nello stesso tempo devono essere oggetto di aggiornamento periodico attraverso strumenti di

controllo interno e procedure di valutazione del rischio. A tal fine viene imposto ai soggetti

obbligati di investire nel personale qualificato a tali tematiche e di sensibilizzare tutte le risorse

interne al contrasto al fenomeno, anche attraverso le menzionate politiche di tutela e di riservatezza

dell’identità del segnalante.

Per quanto riguarda gli Stati membri, essi devono predisporre un sistema normativo consono ai

principi suddetti, facendo in modo che le sanzioni introdotte siano effettive e proporzionate per le

persone fisiche colpevoli e, per quanto riguarda le persone giuridiche, l’introduzione di una forma

di responsabilità amministrativa nei loro confronti.

La Terza Direttiva è stata oggetto di aggiornamento con la Direttiva 2006/70/CE, che ha introdotto

misure attuative e colmato i vuoti normativi riscontrati. Essa ha infatti provveduto a fornire una

definizione delle persone politicamente esposte, la specificazione degli obblighi di verifica con le

relative eccezioni, il principio di collaborazione attiva, nonché gli obblighi di segnalazione e

riservatezza.

L’aspetto forse più rilevante è stata invece l’introduzione di un approccio basato sul rischio “risk

based”, che, ispirato al principio “know your customer”, costituirà le fondamenta per il testo

comunitario del 2015 e per l’attuale normativa di repressione del fenomeno del riciclaggio.

Quarta Direttiva

L’ultimo testo comunitario in materia di contrasto al riciclaggio e al finanziamento del terrorismo è

costituito dalla direttiva 849/2015 (nel seguito anche “Quarta Direttiva”) relativa alla prevenzione

dell’uso del sistema finanziario ai fini di riciclaggio o finanziamento del terrorismo, che modifica e

integra la Terza Direttiva, in risposta alle nuove raccomandazioni GAFI in vigore dal 2012.

I tratti salienti delle precedenti direttive vengono così rivisti, evidenziando i profili di attenzione da

tenere in considerazione da parte de intermediari finanziari e da tutti i soggetti designati a partire dal

2017.

51

Gli aspetti maggiormente interessanti sono di seguito evidenziati.

• Regime di pubblicità dei titolari effettivi e registri centrali: le società e le altre entità

giuridiche saranno tenute a conservare informazioni adeguate, accurate e attuali sulla loro

titolarità effettiva. Tali soggetti dovranno fornire ai soggetti obbligati che applicano misure

di adeguata verifica della clientela, oltre alle informazioni sul loro titolare giuridico, anche i

dati riguardanti il titolare effettivo. È imposto inoltre l’obbligo di conservazione dei dati sui

titolari effettivi all’interno di un registro pubblico, in modo che esso possa essere in

qualunque momento accessibile da parte delle autorità, delle UIF e dei soggetti obbligati

durante l’esecuzione dei doveri di verifica.

I contenuti minimi richiesti in fase di registrazione sono: il nome, la data di nascita, la

cittadinanza, il paese di residenza del titolare effettivo e la natura ed entità dell’interesse.

Mentre, per quanto riguarda l’accesso da parte dei soggetti obbligati, questo deve avvenire

nel rispetto della vigente normativa sulla privacy e nel rispetto della riservatezza. Bisogna

inoltre aggiungere che l’introduzione del registro dei titolari effettivi non preclude

l’applicazione di altre tipologie di controlli finora utilizzati (banche e professionisti non

possono far affidamento solo su questi dati), ed, anzi, la consultazione del registro deve

collocarsi all’interno del più ampio processo di analisi “risk based”.

• Ampliamento della definizione di titolare effettivo: viene considerato titolare effettivo la

persona fisica o giuridica in possesso di più del 10% del capitale (in passato era al 25%) per

quanto riguarda le società non finanziarie, andando a seguire “a ruota” i principi statuiti

dalla normativa americana FATCA e da quella già in vigore introdotta dall’accordo

multilaterale sulla assistenza fiscale internazionale OCSE basato sul Common Reporting

Standard.

• Introduzione di un programma di autovalutazione a carico di banche, professionisti e

intermediari finanziari. I destinatari hanno quindi il dovere di dotarsi di strumenti volti al

contrasto del riciclaggio e strumenti volti alla valutazione degli stessi, in funzione della

rischiosità specifica dell’operatività di volta in volta oggetto di verifica.

Si tratta dunque di un processo di autovalutazione posto in essere dagli intermediari in cui

essi sono chiamati periodicamente ad informare ed aggiornare la propria autorità referente

sulla capacità di mitigare il rischio di riciclaggio e di disporre di policy interne volte a

contrastare la singola fattispecie potenzialmente rischiosa.

Gli aspetti sui quali un efficace processo di autovalutazione deve fondarsi sono:

52

▪ la presenza di controlli e procedure per la gestione sia preventiva che repressiva dei

rischi mediante un approccio proattivo da parte degli intermediari nel cercare di

capire le operazioni potenzialmente rischiose e le categorie di

operazionimaggiormente esposte al rischio; implementazione pratica dell’approccio

know you customer; istituzione di strumenti di controllo della quotidiana attività in

tema di lotta al riciclaggio;

▪ l’adeguata formazione, aggiornamento, sensibilizzazione e controllo dei dipendenti ;

▪ l’autorizzazione dell’alta dirigenza delle predette procedure che ne verifica

l’adeguatezza e si adopera per rafforzarle.

▪ il soggetto obbligato dovrebbe affidare ad una funzione di revisione interna la

corretta implementazione di quanto citato.

• Modifiche nell’adeguata verifica della clientela: prima con la Quarta Direttiva e

successivamente con il regolamento attuativo 847/ 2015, viene allargato il campo di

applicazione dei controlli sulla clientela, oltre ai casi già previsti, anche nell’ambito dei

trasferimenti di fondi superiori a €1.000.

Si tratta essenzialmente di operazioni effettuate online da un prestatore di servizi di

pagamento nei confronti del cliente ordinante: si tratta degli strumenti di moneta elettronica

detti PSD “Payment Services Directive” bonifici, addebiti diretti, rimesse di denaro, carte di

pagamento, moneta elettronica o ogni altro dispositivo digitale o informatico prepagato o

meno.

Sono da applicare controlli sulla clientela anche nel caso di compravendita di beni

eseguendo pagamenti per contanti oltre €10.000 e per i prestatori di servizi di gioco

d’azzardo all’incasso delle vincite d’importo pari o superiore a €2.000, indipendentemente

dal fatto che la transazione sia eseguita con un’unica operazione o con diverse operazioni

che appaiono collegate.

Nel momento in cui si manifestano tali casistiche i soggetti obbligati dovranno capire in che modo e

con quale intensità applicare i controlli in funzione del livello di rischiosità associata e delle

caratteristiche del cliente; dovranno inoltre essere sempre in grado di dimostrare che le procedure

introdotte siano proporzionate ai rischi individuati.

Prima di applicare controlli semplificati di verifica, l’intermediario dovrà essere convinto di aver

individuato la metodologia più idonea, accertandosi che l’operazione sia effettivamente poco

rischiosa. Sarà quindi necessario analizzare la tipologia di clientela, l’area geografica in cui viene

53

svolta l’operazione, le caratteristiche del prodotto, le conseguenze che tale operazione può

comportare a livello patrimoniale del beneficiario nonché la proporzionalità e l’adeguatezza

dell’operazione rispetto alle capacità patrimoniali e reddituali dell’esecutore. La normativa prevede

un approccio meno incisivo nel caso di compimento di operazioni da parte di società con titoli

quotati nelle Borsa di uno Stato membro, sottoposte agli obblighi di comunicazione della titolarità

effettiva oppure nel caso di enti di interesse pubblico; per quanto riguarda i fattori di rischio relativi

ai prodotti e servizi, si possono invece immaginare obblighi semplificati di verifica nel caso di

stipula di polizze vita a basso premio, polizze che non comportano opzione di riscatto anticipato e

regimi di pensione dei dipendenti che non permettono il trasferimento dei propri diritti e prodotti i

cui rischi sono mitigati da limiti di spesa.

Un livello di rischio basso può essere altresì associato all’ area geografica in cui viene effettuata la

transazione, nel caso di quei territori valutati a basso livello di riciclaggio da fonti certe e attendibili.

Occorre poi considerare il caso speculare, in cui determinate polizze vita abbiano come beneficiari

persone politicamente esposte, o persone fisiche o giuridiche risiedenti in paesi Black List o

comunque identificati dal legislatore europeo come ad alto rischio. In questo caso l’attività di

verifica dovrà essere maggiormente incisiva, soprattutto nel caso di operazioni complesse e di

importo elevato, anche se effettuate tramite una serie di transazioni separate. È richiesta allora la

verifica in forma rafforzata.

3. IL FENOMENO DEL RICICLAGGIO IN ITALIA

3.a Introduzione del reato di riciclaggio nel codice penale

La disciplina dell’antiriciclaggio in Italia ha avuto la sua genesi molti anni prima di altri paesi

europei e giocando d’anticipo rispetto alle direttive comunitarie in materia.

Già verso la fine degli anni settanta il legislatore è intervenuto in tema, quando nel 1978, con la

legge rubricata “sostituzione di denaro o valori provenienti da rapina aggravata, estorsione

aggravata o sequestro di persona con scopo di estorsione”, ha introdotto il delitto di riciclaggio nel

codice penale tramite l’art. 648bis.

L’incipit di tale norma affermava che: “Fuori dei casi di concorso nel reato, chiunque compie fatti

o atti diretti a sostituire denaro o valori provenienti dai delitti di rapina aggravata, di estorsione

aggravata o di sequestro di persona a scopo di estorsione, con altro denaro o altri valori, al fine di

procurare a sé o ad altri un profitto o di aiutare gli autori dei delitti suddetti ad assicurarsi il

54

profitto del reato, è punito con la reclusione da quattro a dieci anni e con la multa da lire un

milione a venti milioni”.

La norma, giacché antesignana del contrasto al riciclaggio, è risultata tanto innovativa perché di

nuova introduzione, quanto restrittiva dato che faceva riferimento ai proventi di rapina a mano

armata, estorsione, sequestro di persona: in assenza di tali reati presupposto, la fattispecie del reato

di riciclaggio non avrebbe potuto configurarsi.

Ecco allora che una dozzina di anni dopo, tale fattispecie è stata ridisegnata con la l. 55/1990 con la

quale il legislatore nazionale ha ampliato l’oggetto del reato passando dal “denaro o valori” a

“denaro, beni o altre utilità”, come anche l’efficacia della normativa penale, introducendo delitti

relativi al narcotraffico.

Un altro aspetto della l. 55/1990 è stata l’introduzione dell’art. 648ter rubricato “impiego di denaro,

beni o altre utilità”, ponendo il riciclaggio come un reato primario che non presuppone il

compimento di un altro crimine, aggiungendo completezza e consequenzialità alla norma dell’art

648bis.

Gli artt. 648bis e 648ter sono poi stati riformati con la l. 328/1993in seguito alle Raccomandazioni

del Consiglio d’Europa e alla Prima Direttiva: si è infatti rimossa l’elencazione dei reati che

costituiscono riciclaggio per far riferimento a “qualsiasi delitto non colposo” e, quindi, andando a

punire qualsiasi forma illecita, come la corruzione o i reati fiscali.

Successivamente, a seguito delle numerose istanze internazionali, con la l. 186/2014, è stato

introdotto nell’ordinamento il nuovo reato di cd. “Autoriciclaggio”. L’art. 3, comma 3, della l.

186/2014 ha infatti previsto l’inserimento nel Codice Penale dell’art. 648ter.1 (rubricato

“Autoriciclaggio”), ai sensi del quale “si applica la pena della reclusione da due a otto anni e della

multa da euro 5.000 a euro 25.000 a chiunque, avendo commesso o concorso a commettere un

delitto non colposo, impiega, sostituisce, trasferisce, in attività economiche, finanziarie,

imprenditoriali o speculative, il denaro, i beni o le altre utilità provenienti dalla commissione di

tale delitto, in modo da ostacolare concretamente l’identificazione della loro provenienza

delittuosa.

Si applica la pena della reclusione da uno a quattro anni e della multa da euro 2.500 a euro 12.500

se il denaro, i beni o le altre utilità provengono dalla commissione di un delitto non colposo punito

con la reclusione inferiore nel massimo a cinque anni.

55

3.b Il recepimento delle direttive: l. 197/1991

Nel nostro paese le iniziative volte a prevenire il riciclaggio si sono mosse inizialmente in maniera

autonoma con gli interventi nel Codice Penale di cui al precedente paragrafo e, successivamente, in

armonia con l’approccio internazionale, tramite il susseguirsi di un continuo aggiornamento in

funzione delle molteplici sfaccettature che ha assunto il fenomeno.

Il fatto di essere stati precursori ed in seguito “follower” rispetto al legislatore europeo ha fatto sì

che il nostro Paese di dotasse di un sistema antiriciclaggio molto incisivo e imperniato nel tessuto

economico nazionale, il cui fulcro è sicuramente dato dal principio di collaborazione attiva tra i vari

soggetti obbligati ai quali viene attribuito un ruolo pressoché decisivo nella lotta al fenomeno attesa

la centralità del ruolo ricoperto negli scambi finanziari e commerciali.

Il testo della l. 197/1991 è rubricato “Provvedimenti urgenti per limitare l’uso del contante e titoli

al portatore nelle transazioni e per prevenire l’utilizzo del sistema finanziario a fini di riciclaggio

di proventi illeciti”. Essa, tramite l’introduzione di obblighi basilari di identificazione della clientela

e di segnalazione delle operazioni rischiose, ha recepito integralmente il dettato della Prima

Direttiva comunitaria in materia.

I destinatari erano quindi individuati essenzialmente negli istituti di credito considerati gli unici

soggetti potenzialmente a rischio di riciclaggio. Sino a non molto tempo fa, infatti, le banche

operavano con un approccio basato sui volumi per valutare la loro gestione economica, rivelandosi

però scoperte dal punto di vista del riciclaggio a causa della facile possibilità concessa alle persone

fisiche e giuridiche di “portare soldi in banca”.

L’istituto bancario veniva spesso e volentieri “strumentalizzato” dagli operatori economici al fine di

assicurare una veste lecita a fondi di dubbia provenienza: le cause erano associate alla mancanza di

controlli all’ingresso, alimentata dal fatto che l’istituto di credito si sarebbe disinteressato della

provenienza delle somme dato che avrebbe rischiato la perdita del cliente verso altri istituti più

accondiscendenti.

Si è allora capito che era necessario uno sforzo da parte delle istituzioni a livello internazionale

nell’introdurre norme sulla tracciabilità delle operazioni e sulla sanzionabilità degli intermediari

inadempienti a tale obblighi di identificazione e monitoraggio.

I principali interventi in materia hanno preso spunto dalla legislazione nazionale antimafia del

tempo individuando come dirette interessate le banche le quali venivano chiamate ad introdurre

procedure di controllo al verificarsi di alcune casistiche particolari.

Nello specifico i principali comportamenti da tenere erano:

56

• divieto di trasferimento: non potevano circolare liberamente denaro o titoli al portatore

(assegni, libretti di deposito, ecc.) di valore superiore ai 20 milioni di lire, se non presso le

filiali bancarie, tramite persone fisicamente presenti allo sportello e facilmente identificabili;

• clausola di non trasferibilità: si obbligava la Banca d’Italia, a nome degli istituti di credito, a

dotarsi di vaglia postali e cambiari, assegni bancari e circolari con la dicitura “non

trasferibile” dal momento che i medesimi titoli “al portatore” sono in realtà equivalenti alla

circolazione della moneta; per questo motivo la soglia non trasferibilità era ugualmente

identificata nell’importo di 20 milioni di lire anche nel caso di passaggio di somme a

beneficio della stessa persona per il tramite di più titoli separati;

• obbligo di registrazione: si richiedeva ai soggetti obbligati, una volta raccolte le

informazioni relative all’identità, data e luogo di nascita, attività svolta, natura e scopi

dell’operazione, la registrazione delle stesse entro trenatgiorni all’interno dell’AUI sia nel

caso in cui l’operazione fosse svolta per sé che a beneficio di un terzo (archivio unico

informatico); all’interno del suddetto archivio le informazioni sarebbero state custodite per

un periodo di dieci anni e i soggetti obbligati, se avessero avuto la possibilità, avrebbero

dovuto provvedere ai periodici aggiornamenti27;

• obbligo di segnalazione: i soggetti obbligati erano tenuti alla segnalazione all’Ufficio

Italiano Cambi delle operazioni maggiormente sospette di riciclaggio o di finanziamento del

terrorismo, vuoi per l’identità dell’esecutore, vuoi per la natura o gli importi dell’operazione.

L’obiettivo perseguito dal nostro paese era essenzialmente quello di dare maggiore efficacia

all’attività svolta dagli intermediari, tramite l’inserimento di un filo diretto con una delle

massime autorità deputate al contrasto del fenomeno.

L’UIC non era altro che “il braccio operativo di Banca D’Italia”, istituito nel 1945 il cui

scopo era la vigilanza e l’amministrazione delle riserve in valuta nazionali, monopolista nel

commercio dell’oro, di valute e titoli di stato esteri. In materia di riciclaggio esso assume un

ruolo di primario calibro – che manterrà sino al 2007 - con la l. 197/ 991, in un periodo in

cui la sua operatività (relativa agli aspetti appena citati) era andata a ridursi a causa di

cambiamenti nel contesto regolamentare;

• obbligo di riservatezza: ci si rese conto che, una volta introdotte tali novità, era necessario

tutelare l’anonimato sia dei segnalanti che dei segnalati. Per questo era vietata la

comunicazione della persona oggetto di verifica a terzi soggetti eccetto che nei confronti

27 Razzante R. La regolamentazione antiriciclaggio in Italia. Aggiornato alla delibera della Banca d’Italia del 10 marzo 2011

57

delle autorità giudiziarie. Oltre che la tutela delle parti, l’obbligo di riservatezza può essere

anche analizzato dal punto di vista della prevenzione di comportamenti dolosi da parte del

segnalato nel caso in cui fosse venuto a conoscenza della procedura intrapresa nei suoi

confronti28.

A partire dalla l. 197/1991 si aprì un periodo particolarmente dinamico in materia di antiriciclaggio

dato che, solo due anni dopo, furono avviati processi di riforma e aggiornamento della legge, anche

a seguito dell’introduzione da parte della Banca D’Italia di criteri da seguire per l’individuazione

delle operazioni sospette. La fase successiva di riforma, con riferimento al processo di segnalazione,

si è avuta nel 1997 attraverso l’introduzione della possibilità di comunicazioni telematiche per

garantire maggiore velocità di trasmissione e riservatezza del dato ottenuto, tramite il supporto di

programmi informatici dei quali gli intermediari dovevano dotarsi. Verso la fine degli anni novanta

fu altresì ampliata la sfera delle attività svolte dall’UIC, che oltre a svolgere funzioni di

sorveglianza, fu chiamato ad intraprendere attività investigative da affiancarsi alle indagini delle

forze dell’ordine.

Con il D.lgs. 374/1999 è stata poi avviata la fase di ampliamento del raggio d’azione della

normativa antiriciclaggio italiana verso agenzie di recupero crediti, agenzie di affari in mediazione

immobiliare, agenzie di commercio di cose antiche, esercizio di case d’asta e gallerie d’arte.

3.c D.lgs. 56/2004

Il D.lgs. 56/2004 può essere invece definito come frutto di un periodo di transizione, all’interno di

un più ampio percorso che porta il legislatore nazionale ed internazionale in materia di

antiriciclaggio a perseguire un approccio più dinamico verso la gestione del rischio, basato sulla

volontà di sensibilizzare maggiormente gli operatori economici dal punto di vista sia punitivo sia

preventivo. A tal fine si è anzitutto provveduto ad ampliare la struttura iniziale della normativa

introducendo altri soggetti obbligati, come i revisori contabili, dottori commercialisti, consulenti del

lavoro e notai.

Gli obblighi contenuti in tale decreto si innestano in quelli della normativa precedente. A titolo

esemplificativo occorre ricordare:

o obbligo di identificazione: i professionisti devono conoscere l’identità del cliente a 360°, nel

momento in cui intraprendono una o più operazioni che abbia ad oggetto la compraendita di

beni e utilità per un valore superiore ai €12.500;

28 Cenci P. La nuova normativa antiriciclaggio – Direttive comunitarie e normativa nazionale, Padova, 2010.

58

o obbligo di registrazione e conservazione delle operazioni svolte: deve avvenire per almeno

10 anni attraverso procedure anche informatiche in grado di garantire l’indisponibilità a terzi

(compreso il segnalato);

o obbligo di segnalazione: nel caso in cui tali professionisti, come le banche, si trovassero di

fronte a situazioni particolarmente pericolose associate alla natura dell’esecutore o della

transazione, per gli importi o per qualunque motivo, è prescritta la comunicazione

direttamente all’Ufficio Italiano Cambi. E’ inoltre richiesto l’obbligo di comunicazione al

MEF relativamente alle infrazioni sulla limitazione dell’uso del contante dei propri clienti di

cui i professionisti siano venuti a conoscenza e nei limiti dei loro incarichi. Nel caso di

omessa comunicazione entro i trenta giorni successivi, è prevista per i professionisti una

sanzione pecuniaria compresa tra il 3% e il 30% dell’ammontare dell’operazione;

o obbligo di prevenzione: i professionisti sono tenuti ad adottare procedure preventive in

misura del rischio percepito relativamente ad ogni singolo soggetto in modo da poter

valutare le modalità con il quale lo stesso opera ed essere sempre in grado di identificare le

transazioni non in linea con la sua normale attività. Nel caso di studi professionali

particolarmente numerosi è inoltre richiesta la formazione e l’aggiornamento del personale

dipendentedal momento che il decreto consente al professionista di utilizzare i propri

collaboratori nell’espletamento degli adempimenti antiriciclaggio.

Il D.lgs. 56/2004 ha quindi introdotto nuove soglie di circolazione del contante alla luce del recente

cambio di valuta nazionale, innalzando la precedente soglia di 20 milioni di lire in €12.500

3.d D.lgs. 231/2007 e novità introdotte

L’intera sfera normativa dell’antiriciclaggio subisce nel 2007 il suo più importante contributo

tramite la promulgazione della D.Lgs. 231/2007, volta a recepire le già esaminate innovazioni della

Terza Direttiva con il rafforzamento del “risk based approach” già embrionalmente presente nel

D.lgs. 56/2004.

Con il D.Lgs. 231/2007 si è provveduto all’integrale ridefinizione della normativa andando a

abrogare gran parte della l. 197/1991 e alcuni profili del D.lgs. 56/2004. Rispetto al passato infatti, i

destinatari non sono più categorie circoscritte di operatori ma l’intero sistema economico atteso che,

se un comportamento criminale non può essere attuato presso banche e professionisti, ciò non

comporta che non esistano altri settori attraverso i quali riciclare i proventi delle attività criminali.

Si è quindi, in primo luogo, estesa l’applicazione della normativa antiriciclaggio al finanziamento

59

del terrorismo anche nel nostro paese e viene “ammodernata” anche la definizione di riciclaggio,

che parafrasa i contenuti dell’art. 1 della Terza Direttiva; viene infatti citato anche il reato di

autoriciclaggio, che non era ancora disciplinato e sono introdotti i nuovi come la ricettazione e il

favoreggiamento.

Per riciclaggio si intenderà d’ora in poi (art. 2 del D.lgs. 231/2007):

o “la conversione o il trasferimento di beni, effettuati essendo a conoscenza che essi

provengono da un'attività criminosa o da una partecipazione a tale attività, allo scopo di

occultare o dissimulare l'origine illecita dei beni medesimi o di aiutare chiunque sia

coinvolto in tale attività a sottrarsi alle conseguenze giuridiche delle proprie azioni;

o l'occultamento o la dissimulazione della reale natura, provenienza, ubicazione,

disposizione, movimento, proprietà dei beni o dei diritti sugli stessi, effettuati essendo a

conoscenza che tali beni provengono da un'attività criminosa o da una partecipazione a tale

attività;

o l'acquisto, la detenzione o l'utilizzazione di beni essendo a conoscenza, al momento della

loro ricezione, che tali beni provengono da un'attività criminosa o da una partecipazione a

tale attività;

o la partecipazione ad uno degli atti di cui alle lettere precedenti, l'associazione per

commettere tale atto, il tentativo di perpetrarlo, il fatto di aiutare, istigare o consigliare

qualcuno a commetterlo o il fatto di agevolarne l'esecuzione”.

Con l’introduzione da parte della Terza Direttiva dell’obbligo per gli Stati membri di costituzione

delle cd. “Financial Intelligence Units” nazionali, quali per ogni stato autorità di vigilanza di

riferimento nazionale per le comunicazioni e la collaborazione con le analoghe autorità competenti

per gli altri paesi. La diretta conseguenza in Italia è stata la soppressione dell’Ufficio Italiano Cambi

con effetto dal 1 gennaio 2008 e l’assegnazione dei compiti di vigilanza alla neo costituita Unità di

Informazione Finanziaria (UIF) all’interno di Banca D’Italia.

L’UIF avrebbe svolto le stesse mansioni dell’UIC: vigilanza, analisi e indagine sui settori

maggiormente rischiosi e sulle segnalazioni ricevute.

Per quanto riguarda, invece, gli obblighi introdotti le novità di maggior interesse hanno riguardato i

seguenti aspetti:

• importanza dell’adeguata verifica della clientela: non è più vista come un’attività

prettamente formale di raccolta dati ma costituisce il primo tassello dell’attività investigativa

60

cui è chiamato l’intero sistema economico e, come tale, le modalità con le quali la fase di

verifica è condotta condizionano l’intero processo investigativo successivo.

Per questo motivo, le verifiche iniziali non si esauriscono nella mera raccolta dati ma

devono essere oggetto di aggiornamenti ed esami periodici in funzione del comportamento

posto in essere dall’operatore economico. Oltre alla semplice identificazione è richiesto un

approccio investigativo relativamente al fine perseguito dal cliente con quel rapporto

d’affari e l’analisi della adeguatezza dell’operazione in relazione alla dotazione patrimoniale

e alle capacità reddituali dello stesso in modo da poter valutare in che limiti si sia o meno di

fronte ad un’operazione “tipica” per quel tipo. Il legislatore intende infatti far comprendere

che un’operazione di per sé rischiosa deve essere sempre rapportata con il cliente che la sta

ponendo in essere in relazione alle caratteristiche del suo ambito di attività. Per questo

motivo è anche richiesta, nel caso di imprese, l’identificazione e l’aggiornamento del

beneficiario effettivo delle operazioni poste in essere;

• obbligo di collaborazione attiva tra soggetti operanti in settori diversi (ad esempio

commercialisti e banche) in modo da far circolare informazioni decisive in sede di verifica.

Restano fermi anche gli obblighi di segnalazione delle operazioni sospette e la disponibilità

a informare periodicamente la nuova Unità di Informazione Finanziaria circa l’evoluzione

delle indagini e del profilo di rischio dei diretti interessati;

• approccio basato sul rischio: è necessario, come detto in precedenza pesare gli strumenti di

verifica in funzione del cliente cui ci si trova davanti, in modo da poter adottare il migliore

profilo di analisi possibile;

• ulteriore riduzione delle soglie di circolazione del contante: il divieto di trasferire denaro

contante, libretti di deposito bancari o postali o titoli al portatore, scende ad €5.000€ anche

tramite operazioni frazionate, a meno che queste non siano svolte davanti ad un

intermediario autorizzato, che possa quindi compiere le connesse operazioni di verifica.

Il D.Lgs. 231/2007 ha avuto altresì il pregio di introdurre un complesso sistema di sanzioni

amministrative:

o violazione all’obbligo di sospensione: l’obbligo di sospensione viene emanato dall’UIF,

anche su proposta della DIA o dell’autorità giudiziaria e impone che l’operatività sia

sospesa per massimo due giorni lavorativi; nel caso di violazione di tale obbligo in capo

all’interessato, viene irrogata una sanzione pecuniaria (da €5.000 a €200.000);

61

o omessa istituzione dell’archivio unico informatico da parte degli intermediari finanziari e

delle società di revisione, omessa istituzione del registro della clientela e, più in generale,

mancata adozione delle modalità di registrazione previste dall’art. 39 del D.lgs. 231/2007:

tali violazioni danno luogo a sanzione pecuniaria (da €50.000 a e€500.000);

o omessa segnalazione di operazioni sospette: si tratta dei casi di violazione degli obblighi

imposti dall’art. 41, ove in base alla natura dell'operazione o alle altre circostanze, tenuto

conto anche della capacità economica e dell'attività svolta dal soggetto cui è riferita

l’operazione, vi siano ragionevoli motivi per sospettare che si tratti di attività di riciclaggio

o finanziamento del terrorismo. In tal caso è prevista una sanzione dall’1% al 40%

dell’importo dell’operazione non segnalata e la pubblicazione su almeno due quotidiani a

diffusione nazionale, di cui uno economico, a cura e spese del sanzionato;

o violazione degli obblighi informativi nei confronti dell’UIF previsti dagli artt. 40 e 41: si

tratta, in particolare, oltre ai suddetti obblighi di segnalazione, anche dell’obbligo posto

dall’art. 40 a carico degli intermediari finanziari e delle società di revisione di trasmettere

alla UIF, con cadenza mensile, i dati aggregati concernenti la propria operatività, al fine di

consentire l'effettuazione di analisi mirate a far emergere eventuali fenomeni di riciclaggio

o di finanziamento del terrorismo nell'ambito di determinate zone territoriali. L’omissione

dà luogo all’irrogazione di sanzione pecuniaria da €5.000 a €50.000;

o violazione delle disposizioni sull’uso del denaro contante e dei titoli al portatore: sono

previste sanzioni pecuniarie in percentuale rispetto all’importo trasferito o al saldo del

libretto al portatore, nello specifico:

▪ dall’1% al 40% dell’importo trasferito, per il mancato rispetto dei divieti imposti al

trasferimento di denaro contante;

▪ dal 20% al 40% del saldo, in caso di violazione dell’obbligo di mantenere i libretti di

deposito bancari o postali con un importo pari o inferiore a €1.000;

▪ dal 10% al 20% del saldo del libretto al portatore:

• in caso di mancata estinzione dei libretti di deposito bancari o postali esistenti

alla data di entrata in vigore del decreto legislativo ovvero di riduzione ad una

somma non eccedente la soglia di €1.000;

• in assenza della comunicazione da parte del cedente, entro trenta giorni, alla

banca o a Poste italiane S.p.A. dei dati identificativi del cessionario nonché

della data del trasferimento di libretti di deposito bancari o al portatore;

62

▪ dal 20% al 40% dell’importo trasferito, in caso di violazioni, da parte degli operatori

di money transfer concernenti il trasferimento di denaro contante per importi

superiore ad €2.000 ovvero compresi tra i €2.000 ed i €5.000;

▪ dal 20% al 40% dell’importo trasferito, in caso di violazione del divieto di aprire in

qualunque forma conti o libretti di risparmio in forma anonima o con intestazione

fittizia, ai sensi dell’art. 50, comma 1. In presenza, invece, dell’utilizzazione dei

predetti conti o libretti di risparmio, la sanzione applicabile varia tra il 10% ed il 40%

del saldo;

▪ dal 3% al 30% dell’importo dell’operazione, del saldo del libretto ovvero del conto,

in caso di omessa comunicazione al Ministero dell’economia e delle Finanze da parte

dei destinatari degli obblighi antiriciclaggio delle infrazioni riscontrate alle

disposizioni di cui all’art. 49, rilevate nell’esercizio dei compiti di servizio ai sensi

dell’art. 51, comma 1.

Le sanzioni applicabili sono state parzialmente modificate dall’art. 20 del D.L. 78/2010 (convertito

in l. 122/2010) che ha introdotto l’art. 58, comma 7bis, nel D. Lgs. 231/2007, fissando a €3.000

l’importo minimo della sanzione riferita ad alcune violazioni.

o violazione del divieto, imposto agli intermediari finanziari, di aprire o mantenere, anche

indirettamente, conti di corrispondenza con una banca di comodo (art. 28, comma 6): dà

luogo all’applicazione di una sanzione da €10.000 a €200.000;

o violazione del divieto di instaurare rapporti continuativi, eseguire operazioni o prestazioni

professionali ovvero porre fine al rapporto continuativo o alla prestazione professionale già

in essere di cui siano direttamente o indirettamente parte società fiduciarie, trust, società

anonime o controllate attraverso azioni al portatore aventi sede nei Paesi con regime

antiriciclaggio non equivalente a quello dei paesi della Comunità Europea. In tal caso è

prevista una sanzione di €5.000 per operazioni di importo inferiore a €50.000, mentre per

quelle di importo superiore si applica una sanzione amministrativa pecuniaria dal 10% al

40% dell'importo stesso. Nel caso in cui l'importo dell'operazione non sia determinato o

determinabile si applica la sanzione amministrativa pecuniaria da €25.000 a €250.000.

l’inosservanza delle misure antiriciclaggio dà luogo all’applicazione delle seguenti sanzioni penali:

o la multa da €2.600 a €13.000, in caso di violazione degli obblighi d’identificazione;

63

o la reclusione da sei mesi ad un anno e la multa da €500 ad €5.000, qualora l’esecutore

dell’operazione ometta d’indicare le generalità del soggetto per conto del quale

eventualmente esegue l’operazione ovvero le indica false;

o l’arresto da sei mesi a tre anni e l’ammenda da €5.000 a €50.000, nel caso in cui

l’esecutore dell’operazione non fornisca informazioni sullo scopo e sulla natura prevista

del rapporto continuativo o della prestazione professionale ovvero le fornisca false;

o la multa da €2.600 ad €13.000, in caso di omessa effettuazione delle registrazioni di cui

all’art. 36, ovvero quando le stesse siano effettuate in modo tardivo o incompleto;

o la reclusione fino ad un anno e la multa da €100 a €1000, per le omesse comunicazioni da

parte del collegio sindacale, del consiglio di sorveglianza, del comitato di controllo di

gestione, dell’organismo di vigilanza;

o l’arresto da sei mesi ad un anno e l’ammenda da €5.000 a €50.000, in caso di violazione

del divieto di comunicazione dell’avvenuta segnalazione di operazioni sospette, fuori dai

casi previsti dagli artt. 46, comma 1, e 48, comma 4, del D.Lgs. 231/2007.

o Infine, l’art. 55, comma 9, riproduce il contenuto dell’art. 12 della l. 197/1991 in materia di

falsificazione, alterazione ed indebito utilizzo delle carte di credito o di pagamento, ovvero

di qualsiasi altro documento che abiliti al prelievo del denaro contante o all’acquisto di

beni o alla prestazione di servizi, confermando in caso di violazione la pena della

reclusione da uno a cinque anni e della multa da €310 ad €1.550,61.

L’introduzione dell’UIF

Come in precedenza citato, il D.Lgs. 231/2007, nel recepimento della Terza Direttiva e della

Direttiva 2006/70/CE, ha introdotto l’obbligo di segnalare operazioni sospette alle autorità preposte

che, ai sensi dellaTerza Direttiva devono presentare taluni requisiti affinché la lotta al riciclaggio

avvenga in maniera omogenea a livello comunitario.

Le cd. “Financial Intelligence Units” (o “FIU”) contemplate dalla Terza Direttiva devono, anzitutto,

fungere da elemento di raccordo fra le diverse autorità nazionali che si occupano del fenomeno del

riciclaggio dei capitali illeciti (clearinghouse function). Ciò significa che esse dovranno essere, a

seconda dei casi, l’anello di congiunzione fra le varie autorità di polizia e di vigilanza, o tra il

sistema finanziario e l’apparato giudiziario, o ancora tra le autorità nazionali e quelle estere.

64

Esse, inoltre, costituiranno l’autorità centrale nazionale in cui convergono tutte le informazioni

relative ai movimenti di capitali di origine illecita e, quindi, in primis, le operazioni segnalate come

sospette dal sistema finanziario (repository function). Sotto quest’ultimo profilo le agenzie nazionali

dovranno, inoltre, coordinare tanto l’attività interna, quanto quella concernente la cooperazione

internazionale con le altre FIU.

La terza funzione riguarda, infine, l’analisi finanziaria (analisys function). Le informazioni che

giungono alle FIU attraverso il canale della segnalazione delle operazioni sospette devono essere

approfondite al fine di poter stabilire se esse debbano o meno essere trasmesse all’autorità

investigativa o giudiziaria per l’avvio dell’azione penale.

Sulla scorta di tali principi, le FIU aderenti al Gruppo Egmont (insieme delle FIU europee) hanno

elaborato una nozione di FIU, rivisitata nel 2004 al fine di includere le funzioni di prevenzione e

contrasto al finanziamento del terrorismo, in base alla quale ciascuna di esse si qualifica come :

“un’unità centrale nazionale che, al fine di combattere il riciclaggio di denaro ed il finanziamento

del terrorismo, è incaricata di ricevere (e, se consentito, di richiedere), analizzare e trasmettere

alle competenti autorità le segnalazioni di informazioni finanziarie

(i) relative a presumibili proventi di reato o a ipotesi di finanziamento del terrorismo

(ii) richieste da leggi o regolamenti nazionali”.

La definizione, pur essendo stata elaborata in modo da risultare il più possibile onnicomprensiva e

flessibile, contiene standard minimi ben precisi.

La FIU deve, dunque, essere una “autorità centrale nazionale”, ed è pertanto necessario che

ciascuno Stato designi una sola autorità con tali compiti, perché la stessa deve essere il centro di

aggregazione delle segnalazioni di operazioni sospette ed al tempo stesso il punto di contatto per la

cooperazione internazionale. Con l’aggettivo “nazionale” si è voluto escludere che nei sistemi

federali fosse consentito creare più autorità “centrali” in relazione al numero degli stati federati.

La seconda caratteristica delle FIU, enucleabile dalla predetta nozione, è costituita dal fine della

“lotta al riciclaggio di denaro sporco”. Tale fine è, non solo un requisito tipico di ciascuna unità, ma

anche un elemento distintivo del Gruppo Egmont nel suo insieme, che consente di differenziarlo da

quelle iniziative – come l’Interpol o l’Europol – che aggregano strutture non specializzate nella lotta

ad un crimine specifico.

Il terzo ed ultimo tratto caratteristico è l’attività di “intelligence finanziari”» che le FIU svolgono in

regime di esclusiva, essendo al tempo stesso autorità “centrali” e “nazionali”. Quest’ultima

caratteristica costituisce l’aspetto più innovativo delle agenzie antiriciclaggio, che vale a

65

distinguerle sia dalle autorità di vigilanza sul settore bancario e finanziario, sia da quelle di polizia e

dalla stessa autorità giudiziaria.

In particolare, le tre funzioni che connotano l’attività di intelligence delle FIU sono l’attività di

“ricezione”, quella di “analisi” ed infine quella di “trasmissione”. La “ricezione” implica, di norma,

l’esistenza di un grado di confidenzialità e riservatezza tra l’autorità antiriciclaggio e le istituzioni

finanziarie che segnalano i possibili casi di riciclaggio. L’”analisi” consiste nella scomposizione

delle informazioni ricevute al fine di verificare la fondatezza del sospetto e nel successivo

riassemblamento delle stesse, anche alla luce del patrimonio informativo di cui l’autorità si avvale.

L’attività di “trasmissione”, infine, si concretizza nell’individuazione dell’autorità, di polizia o

giudiziaria, cui affidare i risultati dell’attività di intelligence svolta, per il seguito investigativo o

processuale.

Come anticipato, la FIU italiana è individuata nella “Unità di informazione Finanziaria” che ha sede

presso la Banca D’Italia: essa, nel sistema di prevenzione del riciclaggio e del finanziamento del

terrorismo, è l’autorità incaricata di acquisire i flussi finanziari e le informazioni riguardanti ipotesi

di riciclaggio e di finanziamento del terrorismo principalmente attraverso le segnalazioni di

operazioni sospette trasmesse da intermediari finanziari, professionisti e altri operatori.

Di dette informazioni effettua l’analisi finanziaria, utilizzando l’insieme delle fonti e dei poteri di

cui dispone e valuta la rilevanza ai fini della trasmissione agli organi investigativi e della

collaborazione con l’autorità giudiziaria per l’eventuale sviluppo dell’azione di repressione. La

normativa stabilisce, a vantaggio della UIF, obblighi di informazione in capo alle autorità di

vigilanza, alle amministrazioni e agli ordini professionali. L’UIF e gli organi investigativi e

giudiziari collaborano ai fini dell’individuazione e dell’analisi di operazioni finanziarie anomale.

Essa partecipa alla rete mondiale delle FIU per scambi informativi essenziali a fronteggiare la

dimensione transnazionale del riciclaggio e del finanziamento del terrorismo.

L’art. 41 del D.lgs. 231/2007 impone a un’ampia platea di soggetti (cd. “soggetti obbligati”),

costituiti da intermediari finanziari e altri soggetti esercenti attività finanziaria (art. 11),

professionisti (art. 12), revisori (art. 13) e altri operatori non finanziari (art. 14), di portare a

conoscenza della UIF, mediante l’invio di una segnalazione di operazioni sospette, le operazioni per

le quali “sanno, sospettano o hanno ragionevoli motivi per sospettare che siano in corso o che

siano state compiute o tentate operazioni di riciclaggio o di finanziamento del terrorismo”.

Il sospetto può essere desunto da caratteristiche, entità, natura delle operazioni, o da qualsiasi altra

circostanza conosciuta dai segnalanti in ragione delle funzioni esercitate, tenuto conto anche della

capacità economica o dell’attività svolta dai soggetti cui le operazioni sono riferite. Inoltre il

66

sospetto deve fondarsi su una valutazione compiuta di tutti gli elementi delle operazioni – oggettivi

e soggettivi – a disposizione dei segnalanti, acquisiti nell’ambito dell’attività svolta ovvero a

seguito del conferimento di un incarico.

L’attività della UIF, sin dall’entrata in vigore, è stata caratterizzata dall’emanazione di una serie di

provvedimenti volti a disciplinare e agevolare il lavoro degli intermediari durante il processo di

segnalazione; ricordiamo, a titolo esemplificativo, il provvedimento del 4 maggio 2011, recante le

istruzioni sui dati e le informazioni da inserire nella segnalazione di operazioni sospette. In merito

alle modalità e al contenuto della segnalazione il provvedimento afferma che:

• le segnalazioni sono trasmesse senza ritardo alla UIF in via telematica, attraverso la rete

Internet, tramite il portale INFOSTAT-UIF della Banca d’Italia, previa adesione al sistema

di segnalazione online;

• la segnalazione è contraddistinta da un numero identificativo e da un numero di protocollo

attribuito in modo univoco su base annua dal sistema informativo della UIF;

• le modalità per l’adesione al sistema di segnalazione online e per l’inoltro delle segnalazioni

saranno indicate in un’apposita comunicazione pubblicata nel sito della Banca d’Italia,

sezione Unità d’informazione finanziaria;

• specifiche deroghe alle modalità di inoltro delle segnalazioni possono essere stabilite con

appositi protocolli d’intesa stipulati tra la UIF e gli organismi rappresentativi di categoria;

• lo schema della segnalazione è il medesimo per tutte le categorie di segnalanti, con un

diverso livello di dettaglio informativo in relazione alle peculiarità dei soggetti medesimi e

dell’operatività oggetto di segnalazione;

• il contenuto della segnalazione si articola in:

o dati identificativi della segnalazione, in cui sono riportate le informazioni che

identificano e qualificano la segnalazione e il segnalante;

o elementi informativi, in forma strutturata, sulle operazioni, sui soggetti, sui rapporti e

sui legami intercorrenti tra gli stessi;

o elementi descrittivi, in forma libera, sull’operatività segnalata e sui motivi del sospetto;

o eventuali documenti allegati;

• gli standard e le compatibilità informatiche da rispettare per la compilazione delle suddette

sezioni informative sono riportati in apposita comunicazione pubblicata nel sito della Banca

d’Italia, sezione Unità d’informazione finanziaria;

67

• il contenuto della segnalazione è soggetto a un duplice livello di controlli automatici

effettuati, rispettivamente, dal segnalante, mediante diagnostica disponibile sul portale

INFOSTAT-UIF della Banca d’Italia, e dai sistemi informativi della UIF, in fase di

acquisizione della segnalazione. Tali controlli sono volti ad assicurare l’integrità e la

compatibilità delle informazioni fornite, ma non possono assicurare la completezza della

segnalazione.

La segnalazione deve indicare se nell’operatività segnalata è stato ravvisato il sospetto di riciclaggio

o di finanziamento del terrorismo; deve indicare l’evento che ha dato origine all’inoltro della

medesima: qualora concorrano più eventi deve essere indicato quello più significativo. Il segnalante

dovrà indicare il livello di rischio attribuito dal medesimo all’operatività segnalata, secondo il suo

prudente apprezzamento.

Sono altresì definiti alcuni elementi informativi in forma strutturata:

• la segnalazione contiene dati strutturati concernenti le operazioni, i rapporti, i soggetti ai

quali le operazioni o i rapporti sono riferiti, i legami tra le operazioni e i rapporti, i legami

tra le operazioni/i rapporti e i soggetti, i legami tra i soggetti;

• la segnalazione contiene il riferimento ad almeno un soggetto e a una operazione, anche non

eseguita, a prescindere dall’importo e indipendentemente dal fatto che sia effettuata a valere

su un rapporto preesistente, può contenere il riferimento a più operazioni che appaiano tra

loro funzionalmente o economicamente collegate. È consentito inoltre riportare operazioni

ritenute non sospette qualora necessarie per la comprensione dell’operatività descritta o del

sospetto manifestato;

• in caso di più operazioni, è consentito limitare la segnalazione a quelle ritenute più

significative e rappresentative della complessiva attività. In caso di ripetute operazioni della

stessa tipologia e dello stesso segno è consentita, la segnalazione di “operazioni cumulate”,

indicando nell’apposito campo il numero e l’importo complessivo delle operazioni

omogenee segnalate e inserendo la data della prima e dell’ultima operazione.

Per agevolare l’individuazione delle operazioni sospette, il decreto prevede alcuni strumenti

operativi: gli indicatori di anomalia, emanati da autorità diverse su proposta della UIF; i modelli e

gli schemi rappresentativi di comportamenti anomali, elaborati e diffusi dalla UIF.

Le segnalazioni devono essere effettuate senza ritardo, ove possibile prima ancora di eseguire

l’operazione (art. 41, commi 4 e 5). Le modalità di segnalazione sono regolate in modo

differenziato a seconda della tipologia di soggetti obbligati, ad esempio, nel caso di soggetti

68

esercenti attività di intermediazione finanziaria, una volta riscontrato il sospetto legato ad una

determinata operatività, deve esserne informato il responsabile dell’ufficio, il quale,

successivamente avviserà il titolare dell’attività/legale rappresentante/funzione preposta che dovrà

trasmettere la segnalazione all’UIF, una volta esaminata la posizione sospetta. Nel caso di soggetti

iscritti ad ordini professionali la segnalazione può essere trasmessa all’UIF direttamente o per il

tramite del presidente dell’ordine cui è iscritto.

Le segnalazioni di operazioni sospette non costituiscono violazione di obblighi di segretezza e, se

poste in essere in buona fede e per le finalità previste dalla normativa, non comportano

responsabilità di alcun tipo per il segnalante. La UIF effettua l’analisi finanziaria delle segnalazioni

ricevute e può, a tal fine, acquisire ulteriori informazioni presso i soggetti obbligati, avvalersi degli

archivi ai quali ha accesso, nonché scambiare informazioni con omologhe Financial Intelligence

Units estere.

L’analisi finanziaria consiste in una serie di attività sotto il profilo tecnico–finanziario volte a

comprendere, sulla base dell’insieme degli elementi acquisiti, il contesto all’origine della

segnalazione, individuare i collegamenti soggettivi e operativi, ricostruire il percorso dei flussi

finanziari segnalati come sospetti e identificare le possibili finalità sottostanti.

Al termine dell’analisi finanziaria, la UIF trasmette le segnalazioni, corredate di una relazione

tecnica, al Nucleo Speciale di Polizia Valutaria della Guardia di Finanza (NSPV) e alla Direzione

Investigativa Antimafia (DIA) per gli eventuali approfondimenti investigativi; comunica altresì

all’Autorità Giudiziaria i fatti di possibile rilevanza penale ed archivia le segnalazioni che reputa

infondate, dandone comunicazione al segnalante mediante un flusso di ritorno.

L’adempimento degli obblighi di segnalazione di operazioni sospette è presidiato da garanzie di

riservatezza e di anonimato del segnalante. In proposito il D.Lgs. 231/2007 prevede che i soggetti

obbligati e gli ordini professionali che ricevono le segnalazioni dai propri iscritti sono obbligati ad

adottare misure volte ad assicurare la massima riservatezza dell’identità delle persone che

effettuano la segnalazione (art. 45, comma 1 e 2). La segnalazione inoltrata alla UIF dovrà quindi

essere priva di qualsiasi riferimento al nominativo della persona fisica segnalante; gli organi

investigativi sono poi tenuti ad omettere, nelle denunce eventualmente trasmesse all’Autorità

Giudiziaria, l’identità delle persone fisiche e degli altri soggetti obbligati che hanno inviato la

segnalazione. L’Autorità Giudiziaria può richiedere l’identità del segnalante solo con decreto

motivato quando lo ritenga indispensabile ai fini dell'accertamento dei reati per i quali si procede.

69

3.e Il D.lgs. 90/2017

Il D.lgs. 90/2017 contiene disposizioni che vanno ad integrare, aggiungendo maggiori elementi di

dettaglio al D.Lgs. 231/2007 sulla scorta delle innovazioni introdotte dalla Quarta Direttiva.

In particolare il D.lgs. 90/2017 interviene sulla definizione di titolare effettivo, sui criteri di

identificazione delle persone politicamente esposte e sulle attività connesse agli obblighi di verifica.

Per quanto riguarda il titolare effettivo, l’art 20 afferma che esso deve essere identificato in colui

che:

1. è titolare di una partecipazione superiore al 25% del capitale del cliente;

2. e titolare di una partecipazione superiore al 25% del capitale del cliente, posseduto per il

tramite di società fiduciarie o interposta persona (proprietà indiretta).

Se non è possibile individuare il titolare effettivo tramite soglie percentuali di controllo, allora di

farà riferimento alla persona che controlla la maggioranza dei diritti di voto. Se ciò non risulta

possibile, come nel caso di azionariato frazionato, si farà riferimento alla persona investita di poteri

di amministrazione o direzione della società. La novità del decreto 90 è inoltre la previsione di un

registro pubblico dei titolari effettivi, presso un’apposita sezione del registro delle imprese.

Per quanto riguarda le persone politicamente esposte il recente decreto ha ampliato la platea delle

stesse: trattasi infatti delle persone che occupano o hanno cessato di occupare da meno di un anno

importanti cariche pubbliche, nonché i loro familiari e coloro che intrattengono con essi stretti

legami. Sono introdotti in questo novero i sindaci di città metropolitane con più di 15000 abitanti, i

componenti dei consigli di amministrazione o di gestione di imprese controllate direttamente o

indirettamente dallo stato o partecipate in misura prevalente dalle regioni comuni e capoluoghi di

provincia.

Nuovi dettagli arricchiscono poi la definizione delle attività connesse agli obblighi di verifica

• Risk based approach e obblighi di adeguata verifica: i soggetti obbligati procedono

all'adeguata verifica del cliente e del titolare effettivo con riferimento ai rapporti e alle

operazioni inerenti allo svolgimento dell'attività istituzionale o professionale:

▪ in occasione dell'instaurazione di un rapporto continuativo o del conferimento

dell'incarico per l'esecuzione di una prestazione professionale;

▪ in occasione dell'esecuzione di un'operazione occasionale, disposta dal cliente, che

comporti la trasmissione o la movimentazione di mezzi di pagamento di importo pari o

superiore a €15.000, indipendentemente dal fatto che sia effettuata con una operazione

70

unica o con più operazioni che appaiono collegate per realizzare un'operazione

frazionata ovvero che consista in un trasferimento di fondi, superiore a € 1.000;

▪ con riferimento ai prestatori di servizi di gioco, i soggetti obbligati procedono, in ogni

caso, all'adeguata verifica del cliente e del titolare effettivo:

• quando vi è sospetto di riciclaggio o di finanziamento del terrorismo,

indipendentemente da qualsiasi deroga, esenzione o soglia applicabile;

• quando vi sono dubbi sulla veridicità o sull'adeguatezza dei dati precedentemente

ottenuti ai fini dell'identificazione;

▪ infine, anche nel caso di persone politicamente esposte, decadute dalla carica da più di

un anno, nel caso si riscontri un elevato rischio di riciclaggio, è necessario effettuare

controlli rafforzati sull’operatività posta in essere.

• Obblighi di conservazione: i soggetti obbligati conservano i documenti, i dati e le

informazioni utili a prevenire, individuare o accertare eventuali attività di riciclaggio o di

finanziamento del terrorismo e a consentire lo svolgimento delle analisi effettuate, nell'ambito

delle rispettive attribuzioni, dalla UIF o da altra autorità competente.

In particolare, i soggetti obbligati conservano copia dei documenti acquisiti in occasione

dell'adeguata verifica della clientela e l'originale (ovvero copia avente efficacia probatoria ai

sensi della normativa vigente) delle scritture e registrazioni inerenti le operazioni. La

documentazione conservata deve consentire, quanto meno, di ricostruire univocamente: a) la

data di instaurazione del rapporto continuativo o del conferimento dell'incarico; b) i dati

identificativi del cliente, del titolare effettivo e dell'esecutore e le informazioni sullo scopo e

la natura del rapporto o della prestazione; c) la data, l'importo e la causale dell'operazione; d) i

mezzi di pagamento utilizzati.

I documenti, i dati e le informazioni acquisiti sono conservati per un periodo di dieci anni

dalla cessazione del rapporto continuativo, della prestazione professionale o dall'esecuzione

dell'operazione occasionale. I soggetti obbligati adottano sistemi di conservazione dei

documenti, dei dati e delle informazioni idonei a garantire il rispetto delle norme dettate dal

codice in materia di protezione dei dati personali nonché il trattamento dei medesimi

esclusivamente per le finalità di cui al presente decreto.

Le modalità di conservazione adottate devono prevenire qualsiasi perdita dei dati e delle

informazioni ed essere idonee a garantire la ricostruzione dell’operatività o attività del cliente

nonché l'indicazione esplicita dei soggetti legittimati ad alimentare il sistema di conservazione

71

e accedere ai dati e alle informazioni ivi conservati. Le predette modalità devono, altresì,

assicurare: a) l’accessibilità completa e tempestiva ai dati e alle informazioni da parte delle

autorità; b) la tempestiva acquisizione, da parte del soggetto obbligato, dei documenti, dei dati

e delle informazioni, con indicazione della relativa data. È considerata tempestiva

l'acquisizione conclusa entro trenta giorni dall'instaurazione del rapporto continuativo o dal

conferimento dell'incarico per lo svolgimento della prestazione professionale, dall'esecuzione

dell'operazione o della prestazione professionale, dalla variazione e dalla chiusura del

rapporto continuativo o della prestazione professionale; c) l’integrità dei dati e delle

informazioni e la non alterabilità dei medesimi successivamente alla loro acquisizione; d) la

trasparenza, la completezza e la chiarezza dei dati e delle informazioni nonché' il

mantenimento della storicità dei medesimi.

I soggetti obbligati possono avvalersi, per la conservazione dei documenti, dei dati e delle

informazioni, di un autonomo centro di servizi (ferma restando la responsabilità del soggetto

obbligato) purché sia assicurato al soggetto obbligato l'accesso diretto e immediato al sistema

di conservazione.

• Limitazione all’utilizzo del contante: in questo caso, la normativa introduce una serie di

stringenti casistiche, sull’assunto che il denaro contante costituisca lo strumento più

facilmente utilizzabile nelle attività di riciclaggio. Le principali revisioni sono:

o divieto di trasferimento di denaro contante e di titoli al portatore in euro o in valuta

estera, effettuato a qualsiasi titolo tra soggetti diversi (persone fisiche o giuridiche),

quando il valore oggetto di trasferimento è complessivamente pari o superiore a €3.000;

si intende superata la soglia anche quando il trasferimento è effettuato con più

pagamenti, inferiori alla soglia, che appaiono artificiosamente frazionati;

o il trasferimento superiore al limite dei €3.000 può essere eseguito esclusivamente per il

tramite di banche, Poste Italiane S.p.a., istituti di moneta elettronica e istituti di

pagamento;

o i moduli di assegni bancari e postali sono rilasciati dalle banche e da Poste Italiane

S.p.A. muniti della clausola di non trasferibilità; il cliente può richiedere, per iscritto, il

rilascio di moduli di assegni bancari e postali in forma libera di importo inferiore a

€1000 euro dietro pagamento dell’imposta di bollo di €1,50€;

o gli assegni bancari e postali di importo pari o superiore a €1.000 devono recare

l'indicazione del nome o della ragione sociale del beneficiario e la clausola di non

trasferibilità;

72

o gli assegni bancari e postali emessi all'ordine del traente possono essere girati

unicamente per l'incasso a una banca o a Poste Italiane S.p.A;

o gli assegni circolari, vaglia postali e cambiari sono emessi con l'indicazione del nome o

della ragione sociale del beneficiario e la clausola di non trasferibilità.

La violazione delle disposizioni sopra indicate è punita con una sanzione amministrativa

pecuniaria da €3.000 a €50.000.

o è ammessa esclusivamente l’emissione di libretti di deposito, bancari o postali,

nominativi;

o è vietato il trasferimento di libretti al portatore (o di deposito bancari o postali che, ove

esistenti, sono estinti dal portatore entro il 31 dicembre 2018); in caso di violazione si

applica la sanzione amministrativa pecuniaria da €250 a €500;

o è vietata l’apertura in qualunque forma di conti o libretti di risparmio in forma anonima

o con intestazione fittizia: la violazione è punita con una sanzione amministrativa

pecuniaria dal 20% al 40% del saldo;

o è infine vietato l’utilizzo, in qualunque forma, di conti o libretti di risparmio in forma

anonima o con intestazione fittizia aperti presso Stati esteri; in caso di violazione si

applica una sanzione amministrativa pecuniaria dal 10% al 40% del saldo.

• Anche il sistema sanzionatorio è stato modificato: l’art. 55 del testo emendato del D.lgs.

231/2007 prevede sanzioni penali. Le seguenti principali fattispecie, sono punite con la

reclusione da 6 mesi a 3 anni e la multa da €10.000 a €30.000:

▪ soggetto tenuto agli obblighi di adeguata verifica che falsifica dati e informazioni

ovvero utilizza dati e informazioni false relative al cliente, al titolare effettivo,

all'esecutore, allo scopo e alla natura del rapporto continuativo o della prestazione

professionale e all'operazione;

▪ soggetto tenuto all'osservanza degli obblighi di conservazione che acquisisce o conserva

dati falsi o informazioni non veritiere sul cliente, sul titolare effettivo, sull'esecutore,

sullo scopo e sulla natura del rapporto continuativo o della prestazione professionale e

sull'operazione ovvero si avvale di mezzi fraudolenti al fine di pregiudicare la corretta

conservazione dei predetti dati e informazioni;

▪ soggetto obbligato a fornire i dati e le informazioni necessarie ai fini dell'adeguata

verifica della clientela, che fornisce dati falsi o informazioni non veritiere.

73

L’indebito utilizzo carte di credito o di pagamento, al fine di trarne profitto per sé o per altri, è

punito con la reclusione da 1 a 5 anni e con la multa da €310 a €1.550; la medesima pena si

applica in caso di falsificazione o alterazione di carte di credito o di pagamento o altro

documento analogo, oppure possiede, cede o acquisisce tali carte o documenti di provenienza

illecita o comunque falsificati o alterati.

Tra le sanzioni è stato introdotto nel Codice Penale l’art 648quater che prevede la confisca

obbligatoria dei beni che costituiscono il prodotto o il profitto dei reati o per equivalente, in

caso di condanna o patteggiamento per i delitti di cui agli artt. 648bis (riciclaggio) e 648ter

(impiego di denaro, beni o utilità di provenienza illecita), salvo che i beni appartengano a

persone estranee al reato.

Il decreto interviene anche sull’apparato sanzionatorio amministrativo. Queste le principali

fattispecie:

• l’inosservanza degli obblighi di adeguata verifica e dell'obbligo di astensione è

punita con la sanzione amministrativa pecuniaria di € 2.000; nelle ipotesi di violazioni

gravi, ripetute o sistematiche ovvero plurime, la sanzione va da € 2.500 a € 50.000;

• è prevista una sanzione amministrativa pecuniaria di €2.000 per l’inosservanza degli

obblighi di conservazione; anche qui in caso di violazioni gravi, ripetute o sistematiche

ovvero plurime, la sanzione va da €2.500 a €50.000;

• per l’inosservanza delle norme relative all'obbligo di segnalazione delle operazioni

sospette si applica una sanzione amministrativa pecuniaria di €3.000; in caso di

violazioni gravi, ripetute o sistematiche ovvero plurime, si applica la sanzione da

€30.000 a €300.000.

3.f Analisi del riciclaggio sotto il profilo della responsabilità amministrativa per le imprese.

Il D.lgs. 231/2001 va a introdurre nel nostro ordinamento una disciplina totalmente innovativa,

basata sul riconoscimento di una forma di responsabilità penal-amministrativa nei confronti delle

imprese nei casi in cui gli amministratori o i dipendenti pongano in essere attività illecite che

portano direttamente o indirettamente benefici all’impresa stessa.

L’introduzione del concetto di responsabilità penale della società è introdotto negli USA nel 1977

con l’approvazione del Foreign Corrupt Practices Act, una legge che prevedeva rimedi contro la

corruzione di pubblici ufficiali esteri da parte delle società statunitensi. L’obiettivo era quello di

ridurre la corruzione, tuttavia le società statunitensi ebbero un danno a livello competitivo rispetto a

74

società di altri Stati poiché in questi non c’erano norme che avessero le stesse limitazioni.

Successivamente a livello europeo nel 1997, fu approvata una convenzione anticorruzione dei

pubblici funzionari, e nello stesso anno fu emanata una convenzione dell’OCSE che prevedeva

l’impegno da parte dei paesi aderenti ad adottare nei propri ordinamenti norme analoghe al Foreign

Corrupt Practices Act statunitense

L’introduzione di una responsabilità per gli enti di impronta penalistica nell’ordinamento italiano ha

incontrato un ostacolo di sistema derivante dal fatto che in Italia la responsabilità penale è personale

e presuppone l’esistenza di un reato.. Tale limite è stato superato con l’emanazione del D.lgs.

231/2001 che introduce per la prima volta la responsabilità amministrativa degli enti quale

conseguenza della commissione di reati. La responsabilità così delineata è sostanzialmente penale

anche se formalmente amministrativa per tre ordini di ragioni:

1. deriva da reato, quindi non esiste una responsabilità ai sensi del D.Lgs. 231/2001 se non vi è

stata la commissione di un reato;

2. La competenza per la gestione delil procedimento conseguenteé del giudice penale;

3. le sanzioni sono di derivazione penalistica (anche se, per ovvi motivi, non vi si annovera la

possibile la reclusione)perché comminate con sentenza.

Il D.Lgs. 231/2001 delinea taluni strumenti che possono consentire all’ente di separare la propria

responsabilità da quella del soggetto che ha agito nel suo interesse o a suo vantaggio, mediante

l’’implementazione di un modello di presidi e procedure idonei a far sì che i soggetti agenti possano

addivenire alla commissione dei resti esclusivamente mediante elusione di tale modello. Affinchè

tale modello sia reputato idoneo ad escludere la responsabilità amministrativa dell’nte occorrerà che

esso sia adeguato al contesto e alla realtà di business in cui opera l’ente.

Le finalità del d.lgs. 231/2001 sono:

o colpire sul piano patrimoniale l’ente che non abbia adottato procedure e presidi idonei a

mitigare il rischio di commissione dei reati.

o minimizzare il rischio di commissione dei reati.

o favorire la riparazione del danno

I destinatari a cui si applica sono:

• enti forniti di personalità giuridica (comprese le fondazioni);

• società (anche di persone);

75

• associazioni anche prive di personalità giuridica;

• enti pubblici economici che agiscono secondo le norme di diritto privato (iure privatorum).

Tuttavia ci sono alcuni destinatari a cui non si applica il decreto legislativo: Stato, enti pubblici

territoriali (es: Comuni), altri enti pubblici non economici, a tutti gli altri enti che svolgono funzioni

di rilievo costituzionale (es: partiti, sindacati). La motivazione per cui non si applica il d.lgs. 231 è

che questi svolgono funzioni di rilievo costituzionale.

Il D.Lgs. 231/2001 distingue due tipologie di soggetti, i cui comportamenti possono far emergere la

responsabilità dell’ente. in particolare:

➢ Soggetti apicali: sono persone che rivestono funzioni di rappresentanza, amministrazione e

direzione dell’ente nonché persone che esercitano anche di fatto (aldilà della delega) la

gestione e il controllo dell’ente. Tale locuzione supera l’identificazione formale dei legali

rappresentanti dell’ente per includere nelle relativa nozione le situazioni di gestione di fatto

dell’ente. Un’identificazione formale dei soggetti apicali avrebbe infatti ristretto il campo

della responsabilità amministrativa delle imprese. Nella nozione di “apicali” possono

pertanto rientrare anche i dirigenti delle varie funzioni e aree anche se, nel caso concreto,

l’identificazione dei soggetti apicali dipenderà dalla configurazione della struttura

organizzativa. Quando si vorranno ricercare i soggetti apicali bisognerà ricercare coloro i

quali hanno poteri sul budget, poteri di spesa, autonomia decisionale e chi ha deleghe di

funzioni. Non sarà sufficiente, dunque, analizzare le mansioni risultanti dai documenti

sociali ma occorrerà mettere a punto colloqui one-to-one per capire nel concreto quali sono i

ruoli svolti e l’autonomia decisionale. A fronte dell’identificazione dei ruoli apicali sarà poi

possibile mettere a punto procedure in grado di ridurre il rischio criminogeno; se da

un’analisi dovesse emergere che ci siano soggetti di 2 o 3 livello con autonomia decisionale,

anche essi sarebbero dunque da considerare a rischio..

➢ Soggetti non apicali: sono, per contro, i soggetti sottoposti alla direzione o vigilanza di uno

dei soggetti apicali. Si parla di soggetti non dirigenti, ma anche qui bisogna fare una verifica

concreta della realtà aziendale perché possono esserci soggetti che a causa della loro

anzianità possono essere dirigenti ma non avere poteri di decisione e di spesa. I non apicali

sono la categoria residuale di tutti i soggetti sottoposti alla direzione dei non apicali. Sono

dipendenti, ma anche lavoratori autonomi e parasubordinati (nel caso di outsourcing).

Anche l’attività di colui che non è legato da un rapporto di lavoro subordinato richiederà

un’apposita analisi, per capire il suo potere all’interno dell’impresa, a prescindere da quello

che è il rapporto di lavoro che lo lega.

76

La differenza tra soggetti apicali e non apicali è sostanziale perché opera un regime diverso a

seconda che il reato sia commesso da un soggetto apicale o non apicale. Nel caso di reato

commesso da un soggetto apicale è prevista l’inversione dell’onere della prova: l’onere della prova

che, in generale, è a carico del PM il quale è chiamato a dimostrare che il reato è conseguenza del

comportamento doloso e colposo di un soggetto . L’inversione dell’onere della prova comporta che

l’ente sia chiamato a dimostrare che il reato non si sarebbe manifestato se il colpevole avesse

puntualmente rispettato il modello organizzativo adottato dall’ente stesso. Occorrerà pertanto

dimostrare che la persona fisica agente ha commesso il reato violando un’espressa procedura che,

ove seguita, avrebbe impedito la commissione del reato: si tratta di una prova negativa, molto

difficile da dimostrare.

Nella sostanza la società deve dimostrare la presenza di un modello di organizzazione, gestione e

controllo, di avere implementato procedure idonee a ridurre quello specifico rischio (come la

partecipazione di più soggetti su una decisione – segregation of duties), ma deve anche dimostrare

che la procedura è stata violata volontariamente commettendo reato. Se l’agente fosse stato

diligente rispetto alla procedura il reato non sarebbe avvenuto.

Attraverso l’inversione dell’onere della prova, i compiti del pubblico ministero risultano di molto

semplificati perché, altrimenti, egli sarebbe stato chiamato a dimostrare l’inefficacia del modello

organizzativo. Anche nel contesto dell’inversione dell’onere della prova, il PM in ogni caso

chiamato a dimostrare la commissione del reato e la sussistenza dell’elemento soggettivo di dolo o

colpa, e il nesso di causalità tra la condotta e la realizzazione del reato. Nel caso di responsabilità

amministrativa riferita a soggetti apicali l’ente dovrà invece dimostrare l’esistenza di procedure

volte a ridurre il compimento di quel tipo di reato e che se esso si è realizzato, ciò dipende soltanto

dalla fraudolenta violazione da parte del soggetto apicale di queste procedure. L’inversione

dell’onere della prova non opera, invece, nel caso in cui il reato sia commesso da un soggetto non

apicale.

Interesse e vantaggio

Affinché la commissione di un reato comporti alla responsabilità amministrativa dell’ente sarò

altresì necessario provvedere ad accertare che i soggetti agenti abbiano agito nell’interesse e/o a

vantaggio dell’ente ( cd.regola d'imputazione oggettiva dei reati all'ente dettata dall’art. 5 del D.lgs.

231/2001).

Occorre quindi verificare che nella condotta vi sia un interesse per l’ente apprezzabile ex ante.

Viceversa bisognerà verificare se l’ente ha tratto ex-post vantaggio dalla commissione del reato. Il

vantaggio rileva dunque quando è conseguito a seguito dell’illecito.

77

A seguito dell’introduzione dell'art. 25septies del D.lgs. 231/2001 che ha esteso l'ambito applicativo

della disciplina ai reati di omicidio colposo e lesioni colpose gravi o gravissime commessi con

violazione delle norme sulla tutela della salute e sicurezza sul lavoro senza apportare modifiche al

criterio d'imputazione oggettiva, si è valutato di procedere alla verifica in merito alla sussistenza di

un interesse o un vantaggio per l’ente riferendo tale valutazione alla condotta e non all'illecito in sé

per sé: una condotta caratterizzata dalla violazione della norma di cautela può essere realizzata

nell'interesse dell'ente o può comunque determinare il conseguimento di un vantaggio (es. non è

rilevante esclusivamente l’omicidio in un cantiere da parte di un soggetto, ma anche il caso di morte

di un operaio derivante dai mancati investimenti fatti dalla società nel tempo). La mancata adozione

di misure di sicurezza determina un vantaggio perché l’ente, pur non arricchendosi, si prefigura ex

ante un vantaggio economico derivante dalla mancata implementazione delle procedure che

sarebbero state necessarie per evitare tale evento.

Sanzioni

Come anticipato, le sanzioni configurate dal D.Lgs. 231/2001 sono in tutto e per tutto collegate a

quelle della persona fisica in merito alla loro severità.

Allo stesso modo in cui, nel condannare una persona fisica in funzione della gravità del reato, il

legislatore prevede una serie di sanzioni proporzionate alla natura del reato, anche nel sanzionare

una persona giuridica ai sensi del D.lgs. 231/2001 il giudice infliggerà sanzioni proporzionate

all’illecito commesso.

Si distinguono quindi sanzioni primarie (pecuniarie ed interdittive) e sanzioni accessorie.

- pecuniarie

Il loro ammontare viene misurato in quote in un numero né inferiore a 100 né superiore a 1000..

Il numero delle quote è stabilito dalla norma tenendo conto di:

• gravità del fatto;

• grado di responsabilità dell’ente (es. un’impresa che ha applicato il modello ma non ha

funzionato rispetto ad un’impresa che non ne disponeva assolutamente);

• attività svolta per eliminare o attenuare le conseguenze del fatto e per prevenire la

commissione di ulteriori illeciti. Al giudice può interessare l’attività risarcitoria compiuta da

parte dell’impresa; nel caso essa avesse risarcito il danno al danneggiato il giudice lo

valuterà positivamente. Un altro aspetto sul quale il giudice soffermerà la sua attenzione è la

predisposizione di un modello organizzativo detto “riparatore”, che , per quanto sia stato

78

predisposto dopo la commissione del reato, lascia intendere che l’ente abbia compreso la

propria colpa organizzativa e vi stia ponendo rimedio.

L’importo della singola quota può oscillare tra €250 e €1.549 ed è determinato sulla base delle

condizioni economiche e patrimoniali dell’ente allo scopo di assicurare l’efficacia della sanzione. Il

fatto che siano previste sanzioni così pesanti sta nella volontà del nostro legislatore di diffondere nel

tessuto economico forme di autoregolamentazione, quali i modelli di organizzazione, gestione e

controllo, che consentano agli enti di strutturarsi in modo da mitigare il rischio di commissione di

reati.

Il giudice, in fase di erogazione della sanzione, non possiede facoltà discrezionale, ma dovrà ridurre

l’importo della stessa al verificarsi di alcune circostanze.

Nello specifico la sanzione sarà ridotta:

o di 1/2 (e comunque inferiore ad €103.291,00) qualora (a) l’autore del reato abbia commesso

il fatto nel prevalente interesse proprio o di terzi e l’ente ne ha ricavato un vantaggio minimo

o nullo e (b) il danno causato sia di particolare tenuità;

o da 1/3 ad 1/2 qualora (a) l’ente abbia risarcito integralmente il danno e abbia eliminato le

conseguenze dannose o pericolose del reato (o sia efficacemente adoperato in tal senso) e (b)

sia stato adottato e reso operativo un modello organizzativo idoneo a prevenire reati della

specie di quello verificatosi;

o da 1/2 a 2/3 qualora sussistano entrambe le condizioni di cui ai precedenti punti.

- interdittive

Le sanzioni interdittive si dividono in: divieto di pubblicizzare beni o servizi; esclusione da

agevolazioni, finanziamenti, contributi o sussidi e l'eventuale revoca di quelli concessi; divieto di

contrarre con la pubblica amministrazione; Sospensione o revoca delle autorizzazioni, licenze o

concessioni funzionali alla commissione dell’illecito, e interdizione perpetua dall’esercizio

dell’attività.

Sanzioni Accessorie

L’obiettivo di quest’ultime sanzioni è costituito dalla generazione di un danno d’immagine al

soggetto colpevolee dalla riduzione del rischio di di reiterazione.

In ogni caso, a fianco alle sanzioni pecuniarie e interdittive, troviamo le seguenti tipologie di

sanzioni accessorie:

79

• confisca del prezzo o del profitto del reato nei confronti dell’ente salvo che per la parte che

può essere restituita al danneggiato;

• pubblicazione della sentenza che, oltre a rendere conoscibili a tutti l’accaduto, funge da

deterrente per l’impresa nell’evitare in futuro la commissione di ulteriori reati.

Esenzione della responsabilità dell’ente

Il decreto prevede casi di esenzione da responsabilità dell’ente distintiin funzione del soggetto

agente:

Se il reato commesso da soggetti apicali, l’ente non risponde se:

❖ l’organo dirigente ha efficacemente attuato, prima della commissione del reato, un modello di

organizzazione e gestione;

❖ l’organo dirigente deve avere inoltre costituito un organismo con compiti di vigilanza sulla

efficace attuazione del modello;

❖ le persone che hanno commesso il reato hanno eluso fraudolentemente il modello: ciò dipende

dal fatto che essi dispongono di autonomia e, grazie alla loro posizione apicale, sono in grado

di eludere le normedi condotta;

❖ non deve esserci stata un’omessa o insufficiente vigilanza da parte dell’organismo di

vigilanza.

Se il reato è commesso da soggetti non apicali:

❖ l’ente risponde se la commissione del reato è stata resa possibile dall’inosservanza degli

obblighi di direzione e vigilanza;

❖ l’ente non risponde se ha adottato modelli di organizzazione e gestione che prevedono misure

idonee a garantire lo svolgimento dell’attività aziendale nel rispetto della legge.

Il PM sarà quindi chiamato a dimostrare che l’agente ha avuto modo di commettere il reato a causa

dell’inosservanza degli obblighi di direzione e vigilanza da parte dei soggetti apicali.

1. Inizialmente il D.lgs. 231/2001 comprendeva i soli reati contro la P.A. Negli anni successivi

il legislatore ha progressivamente ampliato il novero dei reati presupposto ed, in particolare,

c

on il D.lgs. 231/2007 (Attuazione della direttiva 2005/60/CE concernente la prevenzione

dell’utilizzo del sistema finanziario a scopo di riciclaggio dei proventi di attività criminose e di

80

finanziamento del terrorismo), si è esteso l’ambito applicativo della responsabilità da reato degli

enti ai delitti di ricettazione, riciclaggio ed impiego di denaro, beni o utilità di provenienza illecita

mediante l’introduzione dell’art. 25opties nel D.lgs. 231/2001. Nel sistema anteriore al D.lgs.

231/2007 la responsabilità dell’ente per la commissione nel suo interesse o a suo vantaggio di delitti

di riciclaggio e di impiego di danaro di provenienza illecita era ammessa solo ove tali delitti

avessero assunto dimensione transnazionale ai sensi dell’art. 10, comma 5, della l. 146/2006 e,

pertanto, erano estranei all’area del diritto punitivo degli enti gli episodi di riciclaggio commessi in

ambito esclusivamente nazionale, ancorché fossero risultati di maggiore gravità rispetto a quelli

commessi in ambito transnazionale.

L’art. 10 della l. 146/2006 disponeva infatti, al comma 5, che “nel caso di reati concernenti il

riciclaggio, per i delitti di cui agli artt. 648-bis e 648-ter c.p., si applica all’ente la sanzione

amministrativa pecuniaria da duecento a ottocento quote” e, al comma 6, che, in caso di condanna

per i suddetti reati “si applicano all’ente le sanzioni interdittive previste dall’art. 9, comma 2, del

d.lgs. 8 giugno 2001, n. 231, per una durata non superiore a due anni”.

Pertanto, ove fosse risultato che una società fosse stata prestata ad essere strumento per realizzare

operazioni di riciclaggio o di reimpiego di capitali di provenienza delittuosa per conto di un gruppo

criminale organizzato o comunque in un circuito facente capo allo stessoa carattere transnazionale,

tale ente sarebbe stato inevitabilmente soggetto, oltre che alle pesanti sanzioni pecuniarie,

commisurate alla gravità dei fatti e alle proprie condizioni economiche e patrimoniali secondo il

sistema delle quote disciplinato nell’art. 11 del D.lgs. n. 231/2001, anche alle più penetranti

sanzioni interdittive, che possono condurre sino all’interdizione dall’esercizio dell’attività.

Laddove, però, il giudice avesse ritenuto non sussistente la natura transnazionale del presupposto

reato di riciclaggio, non si poteva configurare la responsabilità amministrativa dell’ente.

L’estensione della responsabilità da reato per i delitti di ricettazione, riciclaggio ed impiego di

denaro, beni o utilità di provenienza illecita (cui è corrisposta la correlata abrogazione dell’art. 10,

comma 5, legge 146/2006, ormai assorbito dalla previsione generale dell’art. 25opties del D.lgs.

231/2001) risulta, pertanto, particolarmente significativa perché colma una lacuna dell’ordinamento

italiano.

Il coinvolgimento degli enti (anche quando non svolgano mansioni di intermediazione finanziaria)

è, inoltre, coerente sotto il profilo criminologico, in quanto di frequente le operazioni di riciclaggio

vengono dissimulate mediante il ricorso allo schermo della persona giuridica. Sia la dottrina

giuridica, sia la sequenza storica e gli studi economici hanno, infatti, ampiamente evidenziato il

ruolo decisivo assunto dalle persone giuridiche nei fenomeni di occultamento e di reinvestimento

81

dei capitali illeciti. La prevenzione ed il contrasto al fenomeno criminale del riciclaggio non si

risolvono dunque nel ricorso al tradizionale corredo sanzionatorio del diritto penale. La normativa

antiriciclaggio, infatti, sia nella regolamentazione internazionale che in quella interna, non si

esaurisce esclusivamente in norme penali, peraltro spesso a forte rischio di ineffettività a causa delle

difficoltà probatorie relative alla provenienza delittuosa del bene oggetto di reimpiego, ma

coinvolge, in una strategia di contrasto più ampia ed articolata, anche numerose categorie di

soggetti operanti in diversi settori dell’ordinamento, non solo in quello creditizio e finanziario. In

questo contesto, pertanto, l’introduzione della responsabilità diretta degli enti per le condotte di

ricettazione, riciclaggio ed impiego di denaro, beni o utilità di provenienza illecita consente una più

efficace prevenzione del fenomeno criminoso. La minaccia delle sanzioni patrimoniali ed

interdittive può, infatti, indurre gli enti (e, segnatamente, quelli esposti maggiormente al rischio di

coinvolgimento in condotte di riciclaggio, quali gli istituti di credito e gli intermediari finanziari) ad

adottare dei protocolli preventivi idonei a minimizzare il rischio della commissione di condotte di

money laundering.

D’altra parte, sotto un profilo repressivo, l’estensione della responsabilità da reato dell’ente anche

alle condotte criminali di riciclaggio consente di semplificare in sede giudiziale l’accertamento

probatorio delle condotte di money laundering e di aggredire i beni oggetto delle condotte criminose

nelle forme delle misure cautelari in modo certamente più efficace e invasivo.

Nel diritto penale delle persone fisiche, infatti, per procedere al sequestro o alla confisca di capitali

o beni provento di riciclaggio nella titolarità di persone giuridiche, occorre dimostrare non solo la

provenienza criminosa dei beni, ma anche il legame organico tra l’autore del reato di riciclaggio e

l’ente. Al fine di aggredire un bene nella titolarità di un soggetto terzo quale la persona giuridica, si

rende pertanto necessario dimostrare l’esistenza di un’ipotesi di intestazione fiduciaria dei

beni/interposizione fittizia o, comunque, lo stabile assenso dell’ente alle determinazioni criminose

dell’autore del riciclaggio. Nel sistema sanzionatorio delineato dal d.lgs. 231/2001, invece, non

occorre fare questo tipo di ragionamento, poiché la persona giuridica è perseguita alla stregua di una

persona fisica con sanzioni penali direttamente a suo carico.

Il carattere autonomo e diretto della responsabilità ex crimine della persona giuridica consente,

pertanto, di aggredire direttamente il bene nel patrimonio dell’ente senza promuovere accertamenti

sulla effettiva titolarità dello stesso e limitandosi ad acclarare la commissione di un delitto di

riciclaggio nell’interesse o a vantaggio dell’ente stesso da parte di un soggetto che abbia un

rapporto qualificato con la persona giuridica.

L’introduzione di una responsabilità degli enti da riciclaggio finisce, dunque, col perseguire un

82

ulteriore obiettivo di politica criminale in quanto scoraggia la stessa commissione dei delitti-

presupposto, contrastando in modo più pervasivo rispetto al passato la possibilità di sfruttarne i

proventi e di reimmetterli nel circuito dell’economica legale attraverso lo strumento della

personalità giuridica.

L’art. 25opties del d.lgs. 231/2001, d’altra parte, nel delineare il reato presupposto per la

responsabilità degli enti, richiama la fattispecie incriminatrice del riciclaggio così come delineata

dal codice penale. Tale norma sancisce, infatti, che “in relazione ai reati di cui agli artt. 648, 648-

bis e 648-ter del codice penale, si applica all’ente la sanzione pecuniaria da 200 a 800 quote. Nel

caso in cui il denaro, i beni o le altre utilità provengono da delitto per il quale è stabilita la pena

della reclusione superiore nel massimo a cinque anni, si applica la sanzione pecuniaria da 400 a

1000 quote”. A fianco delle sanzioni pecuniarie possono aggiungersi sanzioni interdittive fino a 2

anni.

Con la l. 186/2014 è stato introdotto nell’ordinamento il nuovo reato di autoriciclaggio quale

previsione normativa ad hoc distinta dal riciclaggio, reato-presupposto della responsabilità ex

D.Lgs. 231/2001. Per autoriciclaggio si intende quel comportamento in cui il reato e il riciclaggio

dei suoi proventi vengono compiuti dalla stessa persona. Nel caso delle persone giuridiche, si ha

responsabilità amministrativa dell’ente di cui uno o più apicali o sottoposti (tra cui esponenti

aziendali, dipendenti o collaboratori), dopo aver commesso o concorso a commettere il delitto fonte,

impieghino, sostituiscano, trasferiscano in attività economiche, finanziarie, imprenditoriali o

speculative, il denaro, i beni o le altre utilità provenienti dal delitto fonte, nell’interesse o a

vantaggio dell’ente.

In tali casi, l’ente è punibile con le seguenti sanzioni:

i) sanzione pecuniaria da 200 quote a 800 quote , se il delitto fonte è punito con la pena della

reclusione inferiore a cinque anni;

ii) sanzione pecuniaria da 400 a 1000 quote, per le ipotesi in cui il delitto fonte è punito con la

pena della reclusione pari o superiore a cinque anni;

iii) sanzioni interdittiveper un periodo non superiore a due anni.

L’interesse o vantaggio dell’ente nel caso di riciclaggio

La compatibilità delle nozioni di interesse e vantaggio con i delitti di riciclaggio, ricettazione e di

reimpiego di denaro, beni o utilità di provenienza illecita non evidenzia particolari problemi

interpretativi, venendo in rilievo nelle condotte di money laundering una forma tipica della

criminalità dolosa d’impresa. Alla stregua dell’insieme probatorio disponibile occorrerà, pertanto,

83

verificare la sussistenza di un interesse “a monte” della persona giuridica ad una locupletazione,

prefigurata e magari non realizzata, in conseguenza della condotta di riciclaggio, o di un vantaggio

obiettivamente conseguito per effetto della commissione del reato, seppure non prospettato ex ante.

La ricorrenza dell’interesse dell’ente potrà essere ottenuta dalla verifica delle potenzialità lucrative

della commissione del delitto per l’ente coinvolto e dovrà essere accertata mediante la verifica nella

singola operazione economica oggetto di indagine di una serie di indici quali, ad esempio,

l’intrinseca finalità della condotta criminosa desunta dalle modalità esecutive o dal suo. In

particolare occorrerà verificare se ricorrono particolari anomalie di natura finanziaria nel

comportamento dei soggetti coinvolti, la natura e l’entità dell’operazione economica posta in essere,

tenendo anche conto delle capacità economiche e dell’attività svolta dalle parti e dei loro reciproci

rapporti.

L’accertamento della ricorrenza del vantaggio si rivela, invece, maggiormente agevole, vertendo

sulla verifica dell’avvenuto arricchimento dell’ente in conseguenza della commissione della

condotta criminosa. In base alle tradizionali descrizioni economiche del fenomeno criminoso del

riciclaggio, inoltre, il coinvolgimento dell’ente potrà verificarsi sia nella fase dell’immissione

(placement) delle disponibilità di provenienza criminosa nel sistema economico mediante il

deposito presso intermediari, sia in quella dell’accumulazione (layering), che in quello della

definitiva integrazione (integration) dei capitali illeciti nell’economia legale e del trasferimento dei

medesimi, ormai irriconoscibili, nella disponibilità dell’organizzazione criminale che li ha prodotti.

I Modelli Organizzativi e di Gestione per neutralizzare il rischio del riciclaggio

L’estensione della responsabilità da reato ai delitti di ricettazione, riciclaggio ed impiego di denaro,

beni o utilità di provenienza illecita pone, inoltre, complesse questioni nell’adozione da parte

dell’ente di un adeguato modello di organizzazione, gestione e controllo idoneo a prevenire

adeguatamente il rischio di money laundering. In seguito all’estensione della disciplina

sanzionatoria del D.lgs. 231/2001 alle condotte di riciclaggio si pone indubbiamente il problema

interpretativo dei rapporti (e dell’eventuale armonizzazione) dei compliance programs con le

prescrizioni introdotte dalla disciplina antiriciclaggio introdotta dal D.lgs. 231/2007.

L’art. 7 del D.lgs. 231/2001 prevede, infatti, che il modello debba prevedere misure commisurate

alla “natura e alla dimensione dell’organizzazione nonché al tipo dell’attività svolta”, idonee a

garantire che l’attività si svolga nel rispetto della legge e che “situazioni di rischio” siano eliminate

tempestivamente. Tali riferimenti evocano direttamente le procedure di valutazione (risk

assesement) e di gestione dei rischi (risk management) introdotte dalla disciplina antiriciclaggio,

84

che si sostanziano in un’estesa attività di customer due diligence, di identificazione dei clienti, di

registrazione e conservazione delle operazioni e di segnalazione delle operazioni sospette.

Gli ambiti di applicazione del D.lgs. 231/2001 e del D.lgs. 231/2007, tuttavia, coincidono solo in

parte, in quanto il primo si estende a tutti gli enti (anche privi di personalità giuridica o privi di

scopo lucrativo), laddove la disciplina attuativa della Terza Direttiva si applica ai soli enti

individuati come destinatari della disciplina antiriciclaggio ed alle persone fisiche esercenti

particolari attività indicate dall’art. 10 del D.lgs. 231/2007.

Sul piano funzionale, inoltre, la disciplina antiriciclaggio è volta ad evitare che un intermediario,

professionale o meno, possa essere inconsapevolmente coinvolto nella realizzazione di condotte di

money laundering, mentre la finalità dell’art. 25opties del d.lgs. 231/2001 è quella di evitare che un

ente possa scientemente prestarsi ad essere strumento per realizzare operazioni di reimpiego di

capitali di provenienza delittuosa.

Le misure previste dai compliance programs, inoltre, sono volte a prevenire reati commessi

nell’interesse o a vantaggio dell’ente stesso da persone inserite nell’organigramma dell’ente,

laddove i presidi previsti dalla normativa antiriciclaggio sono intesi a prevenire condotte di

riciclaggio poste in essere da terzi esterni all’ente.

Vi può essere, pertanto, un lineare inserimento degli obblighi già altrimenti imposti dalla disciplina

antiriciclaggio nei modelli di organizzazione, gestione e controllo, ma l’esonero da sanzioni

punitive nel disegno sistematico del D.lgs. 231/2001 richiede una più ampia ed articolata attività di

prevenzione del rischio-reato riferita all’intera compagine aziendale, in quanto il modello di

prevenzione delineato dal D.lgs. 231/2001 per le persone giuridiche è aggiuntivo e non sostitutivo

del sistema di cautele previsto dalla normativa antiriciclaggio.

85

4. NORMATIVA ANTIRICICLAGGIO INGLESE

4.a Premessa

Il Regno Unito è un centro finanziario in cui operano 250 banche estere, si gestiscono 3200 miliardi

di dollari di obbligazioni e 6800 miliardi di sterline di fondi; le sue banche operano

quotidianamente con altri settori dell’economia reale e finanziaria di tutto il mondo.

I fattori che rendono tale paese attrattivo per gli investimenti e la finanza risiedono nella, stabilità

politica, in un settore dei servizi finanziari molto avanzato, l’ampiamente diffusa lingua inglese, e la

potenziale crescita economica.

Tali fattori risultano attraenti anche per l’economia criminale, soprattutto del riciclaggio e

finanziamento al terrorismo. L'autorità giudiziaria britannica (National Crime Agency) stima che

annualmente nel territorio del Regno Unito siano riciclati dai 40 ai 90 miliardi di sterline e che i

costi economici e sociali di una grave criminalità organizzata, compresi i costi di combatterla,

ammontino ad una cifra superiore a 30 miliardi29.

Il Regno Unito he è oggi considerato una “lavatrice mondiale di denaro sporco”, un porto sicuro in

cui trovano riparo i soldi riciclati.

e la normativa antiriciclaggio, sebbene articolata a livello di hard laws, presenta profili di

inadeguatezza soprattutto in fase di prevenzione e i principi “anti money laundering” finiscono per

restare conosciuti agli addetti ai lavori solo in linea teorica. Ciò dipende ancora dalla scarsa

collaborazione tra le varie autorità di vigilanza e dall’introduzione di guidances che ancora faticano

a prendere piede, dopo che la repressione del fenomeno è stata per troppo tempo messa da parte.

4.b Principali norme a livello di hard laws e reati presupposto

Il primo intervento normativo nel Regno Unito che si occupa della lotta al riciclaggio del denaro

sporco si incontra, in linea con le tendenze internazionali, nell'ambito delle politiche anti-droga

della fine degli anni ottanta. Successivamente l’attività normativa inglese si è mossa in anticipo

rispetto a quella comunitaria, menzionando già nel 1986 il concetto di riciclaggio di denaro (anche

se con una diversa formulazione), dunque due anni prima della Convenzione di Vienna,

dimostrando un interesse e sviluppo del regolamento anti money laundering indipendentemente

dallo sviluppo delle politiche comunitarie.

29 https://www.gqitalia.it/soldi/2017/04/04/londra-ricicla-fino-a-100-miliardi-di-denaro-sporco-allanno/

86

La disciplina repressiva inglese non solo ha iniziato la sua evoluzione in maniera indipendente, ma

ha anche sviluppato modelli che, paragonati con le altre legislazioni, si sono rilevati abbastanza

unici. In particolare, nella legge relativa al contrasto del traffico di droga del 1986, la sezione 24

introduce il fenomeno del riciclaggio, sanzionando la condotta di chi provveda ad “aiutare un

criminale a mantenere il beneficio del traffico di droga” (Drug and Trafficking Act 1986).

L'inclusione di norme internazionali con l'attuazione della Convenzione di Vienna è quindi

avvenuta nel 1990 con il Criminal Justice Act.

Una vera e propria normativa antiriciclaggio si riscontra invece solo nel 2000 con il Terrorism Act

prima, e nel 2002 con il Proceeds of Crime Act poi in cui si disciplinano in maniera dettagliata tutte

le casistiche del fenomeno.

Nel Terrorism Act il legislatore inglese ha descritto in maniera molto più mirata il fenomeno del

terrorismo inserendo al suo interno condotte finalizzate al favoreggiamento dello stesso. Un

esempio per tutti può essere il finanziamento, attuato con “dissimulazione di risorse provenienti

dall’economia reale” oppure attraverso forme di riciclaggio. In quest’ultimo caso la sottosezione 18

afferma che:

1) A person commits an offence if he enters into or becomes concerned in an arrangement

which facilitates the retention or control or on behalf of another person of terrorist property

o by concealment,

o by removal from the jurisdiction,

o by transfer to nominees, or

o in any other way.

2) It is a defence for a person charged with an offence under subsection (1) to prove that he

did not know and had no reasonable cause to suspect that the arrangement related to

terrorist property.

In questa citazione si può notare come la repressione del terrorismo è strettamente connessa a

condotte riciclative di denaro sporco, soprattutto contante, utilizzato per alimentare l’operatività

delle cosche criminali. Tuttavia non è vero l’inverso, nel senso che il riciclaggio a fini di

finanziamento al terrorismo è solamente una piccola costola di un più ampio insieme di condotte

che, per questo motivo, meritava essere disciplinato con un fenomeno a sé stante.

Questo aspetto è stato materia di studi del legislatore inglese che, nel giro di pochi mesi successivi

all’emanazione del Terrorism Act 2000, ha introdotto un set normativo volto a disciplinare in

87

maniera autonoma diverse condotte criminose che fino ad allora erano state inserite come parte di

un reato sovrastante: si tratta del Proceeds of Crime Act 2002 (Atto relativo ai proventi criminali).

Essa è tuttora considerata come la normativa antiriciclaggio di riferimento in termini di hard law e

la sua introduzione ha avuto un impatto fortemente positivo sulla disciplina inglese in termini di

prevenzione, sanzione e recupero dei valori oggetto di riciclaggio. Questa norma prende in

considerazione una vasta gamma di questioni relative ai proventi della criminalità organizzata: gli

individui colpevoli subiscono una serie di condanne penali, i beni e le utilità oggetto di reato

subiscono confisca e tassazione, nel caso di redditi occultati.

In sintesi le figure di reato disciplinate si distinguono in:

o reati primari o “principal money laundering offences”:

o “concealing, disguising, converting, or transferring criminal property, or removing

criminal property from the UK;

o entering into, or becoming concerned in an arrangement knowing or suspecting that

such arrangement will facilitate the acquisition, retention, use or control of criminal

property by or on behalf of another person; and

o acquiring, using or having possession of criminal property”, e

o reati secondari o “secondary money laundering offences“

o failing to report suspected money laundering; and

o tipping off about a money laundering disclosure,

o tipping off about a money laundering investigation and prejudicing money

laundering investigations”.

Il riciclaggio è disciplinato nella parte 7 “Money Laundering” della sezione 327: una persona

commette reato di riciclaggio se nasconde, traveste, converte, trasferisce e rimuove beni e proprietà

criminali dal territorio del Regno Unito. In tal caso egli subisce una pena detentiva dai 5 ai 14 anni

di reclusione e/o una sanzione pecuniaria di cui non è espresso un limite massimo. Stesse sanzioni

si applicano nel caso di soggetti che compiono affari conoscendo o sospettando che i beni in oggetto

provengono da attività criminali.

Affinché il soggetto sia perseguito è necessario che egli conosca o sospetti che la sua condotta o i

beni in oggetto siano frutto di attività criminali; è dunque necessario che il comportamento sia stato

compiuto; non è necessario tuttavia il fatto che l’autore fosse consapevole delle conseguenze del

suo gesto.

88

Ci si è da subito resi conto che la norma risultava eccessivamente schematica e semplicistica da un

lato, e forse sin troppo categorica, dall’altro. Fu così che, con l’entrata in vigore del Serious and

Organised Crime Act nel 2005, il testo del Proceeds of Crime Act 2002 subì un vasto ampliamento

nei contenuti, inserendo al suo interno casi di eccezioni, particolari deroghe ed esempi, per chiarire

e rendere facilmente fruibile il testo. e’ stata quindi esclusa la colpevolezza nel caso in cui l’autore

conosc o ragionevolmente sospettI che la condotta criminale si SIA manifestata all’esterno del

territorio del Regno Unito, oppure se, al momento in cui la condotta si è manifestata, non era

illegale applicando la legge.

Sono state aggiunte all’interno della disciplina antiriciclaggio del Proceeds of Crime Act tutti i

comportamenti svolti da soggetti che, consapevolmente, entrano in affari con persone che svolgono

attività criminali per facilitare l’acquisizione, l’uso e il controllo di proprietà criminali; anche in

questo caso il Serious and Organised Crime Act ha introdotto le stesse deroghe e casi di non

applicabilità visti in precedenza.

Occorre precisare che le imprese e i professionisti ogniqualvolta si trovano dinanzi ad operazioni

sospette, devono seguire un percorso di segnalazioni simile a quello previsto dalla normativa

italiana. D’altronde la normativa comunitaria ha previsto che gli Stati membri debbano ciascuno

costituire una FIU in grado di accogliere tutte le segnalazioni ricevute dai diversi soggetti

economici. Nel Regno Unito è stata così costituita la UKFIU che a livello organizzativo è collocata

all’interno della SOCA (Serious and Organised Crime Agency) e comunica in maniera prevalente

con le forze di polizia britanniche e con i Money Laundering Reporting Officer.

Si è iniziato a parlare di questi ultimi soggetti nel Proceeds of Crime Act del 2002 e oggi sono

diventate figure professionali stabili all’interno di un’impresa più o meno grande – in dipendenza

delle caratteristiche dell’attività svolta e dal rischio di riciclaggio specifico di quel settore - in

relazione al business di riferimento. Attualmente il ruolo dei Money Laundering Reporting Officer è

ricoperto dalle funzioni antiriciclaggio: questi assumono importanza nel caso di imprese operanti in

settori vigilati come banche ed assicurazioni, tant’è vero che, in tal caso, la nomina deve essere

approvata dalla Financial Conduct Authority dato che deve soddisfare stringenti requisiti di

professionalità e indipendenza.

Il Money Laundering Reporting Officer deve essere in grado di assicurare che l’impresa sia

compliant rispetto agli obblighi di segnalazione alle autorità competenti e nello stesso tempo di

saper filtrare le operazioni tra quelle a rischio e quelle no; un altro compito è sicuramente quello di

mettere a punto procedure interne volte alla individuazione delle anomalie. In ultima analisi

possiamo affermare che il Money Laundering Reporting Officer è un soggetto al quale viene

89

richiesto che l’impresa sia conforme alla normativa di riferimento in tema di antiriciclaggio

attraverso un approccio proattivo di analisi del settore e della strategia; nel concreto è chiamato a

formare i sottoposti sulle tematiche a rischio rendendo anche essi in grado di saper identificare

situazioni anomale.

In relazione ai reati secondari, occorre segnalare che, nel caso in cui una operatività non venisse

segnalata all’UKFIU, l’impresa potrà subire sanzioni penali dovute alla mancata comunicazione

(“failing to disclose”). Si tratta di un reato secondario rispetto al money laundering ed è disciplinato

dalla sezione 330 del Proceeds of Crime Act: i soggetti che non effettuano questo tipo di

comunicazione sono passibili di detenzione da 6 mesi a 5 anni o di una sanzione amministrativa o

entrambi.

Affinché siano applicabili le pene è sufficiente che l’interessato conosca, sospetti o abbia

ragionevoli motivi per conoscere o sospettare che un terzo sia coinvolto in riciclaggio. Sono previsti

casi di esenzione da responsabilità nel caso di mancata comunicazione al Money Laundering

Reporting Officer da parte del personale interno: ad esempio la presenza di adeguate motivazioni

per non aver provveduto alla comunicazione, nel caso in cui evidentemente non si aveva la

possibilità di venire a conoscenza dei fatti o nel caso in cui la mancata comunicazione dipendesse

da un’inadeguata formazione da parte del datore di lavoro.

È proprio questo l’obiettivo della norma: quello di rendere consapevole l’imprenditoria inglese che

un buon sistema di governo dei rischi deve basarsi su adeguate policy, volte a monitorare e

sanzionare il comportamento dei dipendenti e nello stesso tempo volte a promuovere meccanismi di

whistleblowing da parte di colleghi segnalatori garantendo l’anonimato (le cosiddette protected

disclosure): nel caso ciò non avvenga per il reato di mancata divulgazione sarà responsabile

l’impresa.

È stato inserito, sempre nel Proceeds of Crime Act, il reato di cd. “tipping off”, cioè di divulgazione

a terzi o nei confronti del diretto interessato: questa fattispecie può realizzarsi in caso di

divulgazione della segnalazione o di divulgazione delle indagini che si stanno compiendo con

l’obiettivo di pregiudicarle. L’interessato, venendo a conoscenza di tali notizie riservate potrebbe

essere in grado di modificare i suoi comportamenti per cercare di sfuggire dai controlli

antiriciclaggio; questa condotta viene considerata come una sorta di favoreggiamento al riciclaggio

e per questo motivo si è puniti con una ammenda (non è citato il limite massimo) e una pena

detentiva da 6 mesi a 5 anni. Non viene sanzionata la divulgazione effettuata nei confronti di

colleghi dell’impresa o di un altro professionista indipendente.

90

All’interno della disciplina del Proceeds of Crime Act, dopo l’entrata in vigore del Serious and

Organised Crime Act, è stato altresì introdotto il cd. principio del consenso: si tratta della possibilità

da parte di imprese e professionisti, di chiedere alle autorità di vigilanza (FCA o direttamente alla

UKFIU) di poter essere autorizzati a compiere un’operazione di per sé sospetta, per conto del

cliente richiedente. Ciò avviene nelle ipotesi di operazioni dubbie: la cd. authorized disclosure è

possibile a patto che la richiesta avvenga prima di compiere l’operazione, oppure durante, nel caso

in cui non si è avuto la possibilità per chiederla in precedenza.

La comunicazione deve essere trasmessa alla FIU ’ specificando che si tratta di una richiesta di

consenso e non una semplice segnalazione, assegnando quindi maggiore priorità: il responso da

parte dell’autorità di vigilanza deve avvenire entro sette giorni. Se c’è silenzio-assenso entro sette

giorni, l’operazione può essere compiuta; nel caso di dichiarazione di rifiuto decorre un periodo di

trentuno giorni in cui l’autorità può decidere di sanzionare il diretto interessato poiché trattasi di

operazione sospetta. In questo periodo di sospensione può tuttavia risultare difficile da parte degli

intermediari trovare il modo per spiegare cosa sta succedendo dal momento che il cliente non deve

essere in nessun modo informato dell’accaduto (pena la ricorrenza del rischio di tipping off per

l’intermediario.

A fianco del Proceeds of Crime Act era tuttavia necessario costruire una struttura normativa che

fosse in grado di elencare e disciplinare tutte le potenziali casistiche a rischio e facilitare

l’introduzione di policy volte a mitigare i rischi.

Per questo motivo, percorrendo la scala gerarchica delle norme primarie, troviamo le cd.

Regulations, cioè quell’apparato normativo in grado di ampliare e rafforzare il contenuto del testo

di legge. A livello di riciclaggio troviamo le Money Laundering Regulations: il primo testo risale al

1993, anno di recepimento della Prima Direttiva. Il contenuto del testo, oltre ad essere sintetico

risulta anche particolarmente mirato verso il settore bancario e finanziario in linea con i contenuti

della Prima Direttiva. Le Regulations del 1993 auspicavano che i soggetti cui si rivolgevano

attuassero politiche di identificazione dei loro clienti e di analisi dei rischi di riciclaggio che poteva

nascondersi dietro qualunque operazione: erano stabiliti obblighi di identificazione nel caso di

trasferimento di denaro contante per importi superiori a 15.000 €, in occasione della conclusione di

un contratto assicurativo con un premio unico di 2500 € o annuo di 1000€ e in occasione di dati

incoerenti relativi all’identificazione. Dal 1993 a oggi la panoramica dei rischi di riciclaggio è

aumentata, grazie alla globalizzazione, alla tecnologia e all’accresciuto livello di rischio terroristico:

è stato così che dal 1993 si sono susseguiti diversi aggiornamenti alle Regulations ampliando il

campo d’applicazione prima ai revisori e commercialisti, poi aanche avvocati, notai e società di

91

gestione dei casinò e più recentemente società che svolgono attività di money transfer. Le

Regulations del 2005sono state caratterizzate da una disciplina molto puntuale e dettagliata sui

comportamenti cui devono attenersi i soggetti economici durante la loro attività

I soggetti economici, sono tenuti a effettuare attività di risk management del riciclaggio,

considerando l’eventualità che i propri clienti o personale interno possano strumentalizzare un

rapporto di lavoro o commerciale a fini illeciti; per questo motivo il rischio money laundering deve

essere considerato per le imprese, in sede di pianificazione strategica, come qualunque altra

tipologia di rischio. Discorso analogo vale per i professionisti che sono chiamati a svolgere servizi

per conto dei loro clienti. Nello specifico tali soggetti sono chiamati a determinare per ogni singolo

cliente le adeguate misure di verifica e di controllo, individuando per ogni operazione il titolare

effettivo; sono inoltre chiamati a esaminare le singole transazioni e la periodicità delle stesse per

garantire la coerenza con la conoscenza del business dei propri clienti e del loro profilo di rischio.

Secondo le regulations, i fattori da considerare per valutare il livello di rischio sono:

- andamento del fatturato;

- rapporto con persone esposte politicamente;

- area geografica di riferimento;

- variazioni nella compagine societaria e nel titolare effettivo (nel caso di imprese, con

l’entrata di nuovi soci).

L’approccio basato sul rischio deve principalmente permettere al soggetto rilevante di poter capire

per ciascun cliente che tipo di adeguata verifica porre in essere.

Ciò permette ai soggetti:

- un’allocazione più efficace delle risorse proporzionata ai rischi connessi;

- migliore identificazione dei rischi individuali;

- maggiore flessibilità e adattabilità della strategia aziendale;

- minore rischio per tali soggetti (banche, professionisti...) di essere incriminati.

Per poter perseguire nel tempo l’approccio basato sul rischio è necessario che ci sia un elevato

livello di formazione dei propri dipendenti e la creazione di sinergie ad ogni livello e tra i vari livelli

dell’organizzazione (sia in senso orizzontale che verticale), grazie ad elevata coesione interna, in

modo da garantire una tempestiva prevenzione, gestione e mitigazione del rischio reato.

92

In merito all’attività di verifica della clientela (cd. “Customer Due Diligence” o “CDD”), possiamo

riscontare uno schema abbastanza simile a quello proveniente dalla normativa comunitaria; la CDD

permette di identificare le transazioni sospette e di comprendere il ragionamento dei clienti dietro le

motivazioni. Le misure di verifica sono fondamentali nel perseguimento degli obiettivi sottesi dalla

normativa antiriciclaggio: una volta identificata l’operazione sarà compito del soggetto rilevante

valutare la sussistenza dei requisiti per una segnalazione alla Serious Organised Crime Agency30.

È richiesta la customer cue diligence nei seguenti casi:

- stabilimento di un rapporto d’affari;

- esecuzione di un’operazione occasionale;

- sospetto di riciclaggio o finanziamento del terrorismo;

- sospetta falsità dei documenti, dati o informazioni precedentemente fornite.

La norma 9 delle regulations del 2007 chiede di individuare il titolare effettivo prima di mettere in

atto l’operazione, che sia un rapporto d’affari o una transazione occasionale; la norma 11 afferma

inoltre che se un soggetto non è in grado o non vuole completare la CDD, il soggetto rilevante deve

astenersi dal compimento della transazione, apertura del conto bancario, stipula di un rapporto

commerciale e terminare qualsiasi operazione già in corso. La due diligence può anche essere svolta

dal soggetto rilevante ogni qualvolta lo ritenga opportuno e deve essere svolta in qualunque caso di

sospetto di riciclaggio.

La norma 5 prevede che la CDD deve comprendere:

- l’identificazione del cliente e verifica dell’identità sulla base di documenti, dati o

informazioni ottenute da una fonte affidabile e indipendente;

- l’individuazione del titolare effettivo, nel caso non coincida con colui che commette

l’operazione;

- l’ottenimento dello scopo e della natura del rapporto commerciale.

A questo punto la verifica è completa se non si riscontrano anomalie derivanti da precedenti

identificazioni o da controlli presso altre fonti.

30 SOCA: si tratta di un’agenzia istituita dal serious and organised crime act del 2005, un organismo pubblico facente capo al governo del Regno Unito incaricato della gestione delle segnalazioni. È stato in vigore fino ad aprile 2013, quando fu sostituita dalla UKFIU (unità d’informazione finanziaria) all’interno della NCA National Crime Agency).

93

4.c Le Guidances di settore e le sanzioni

Le Money Laundering Regulations del 2003 hanno contribuito a migliorare ulteriormente il quadro

giuridico della politica interna di anti money laundering, a sua volta aggiornata ancor più con la

versione del 2007 dei regolamenti. Il testo del 2007 ha, in particolare, attuato la nuova tendenza

verso un approccio basato sul rischio e un investimento con responsabilità dei settori interessati,

suggerito dagli standard internazionali e regionali. Oltre alle disposizioni di legge, l'approccio “UK

AML” comprende un vasto insieme di autorità operanti nei vari settori che si occupano di vigilanza

e di emanazione di linee guida e codici di condotta.

Le principali autorità di vigilanza sono:

- la National Crime Agency: è la principale agenzia per la risposta alla criminalità organizzata

del Regno Unito e le sue priorità strategiche sono stabilite dal Ministro degli

Interni. L’attività si basa sull’identificazione e punizione dei criminali, attraverso poteri di

indagine e di polizia; raccoglie, analizza e diffonde le informazioni riguardo l’attività svolta

e periodicamente pubblica un report a partire dal quale le associazioni di categoria potranno

emanare linee guida. Si occupa attivamente nella emanazione di misure volte a far

impossessare il Regno Unito dei beni criminali con le dichiarazioni di confisca, sequestro e

tassazione;

- l’Unità di informazione finanziaria UK (UKFIU) che fa parte della National Crime Agency

ma ne è funzionalmente indipendente poiché può agire in maniera autonoma. È l’ente che

riceve e analizza le segnalazioni sospette (SARs – Suspicious Activity Report). Lavora in

stretta collaborazione con altre organizzazioni internazionali chiave per la lotta riciclaggio di

denaro e il finanziamento del terrorismo ed è un membro pienamente attivo della Egmont

Group (un forum internazionale per le UIF istituite per migliorare la cooperazione nella lotta

contro il riciclaggio di denaro e il finanziamento del terrorismo).

Oltre alle autority di vigilanza a livello nazionale, il ministero delle finanze inglese ha nominato i

cd. supervisori, ovvero associazioni di categoria che vigilano ed emanano linee guida sui diversi

settori a rischio. Attualmente le principali associazioni sono:

- FCA - Financial conduct authority per banche ed gli istituti di credito31;

- HM Revenue and Customs per società operanti nel settore della moneta elettronica e

imprese dell’economia reale32;

31 http://www.fca.org.uk 32 http://www.hmrc.gov.uk

94

- The Gambling Commission per i casinò33;

- The Law Society per gli avvocati34;

- The Institute of Chartered Accountants in England and Wales (ICAEW) per il settore

contabile e della revisione,

Tali associazioni hanno emesso alcune tra le principali guidances:

- Preventing Money Laudering and Terrorism Financing (HMRC – Agenzia delle entrate);

- JMLSG AML guidance (Emanate dal Joint Money Laundering Steering Group – il gruppo

britannico rappresentativo delle associazioni operanti nel settore finanziario, operante a

stretto legame con FCA);

- Anti Money Laudering Guidance for the accountancy sector (CCAB – Consultative

committee of accountancy bodies – Associazione di categoria dei contabili, operante in

collaborazione con ICAEW);

- Anti money laundering practice note (Law society – associazione settore giurisprudenza).

Nel corso della trattazione ci soffermeremo prevalentemente sulle guidance JMLSG poiché il

settore finanziario risulta essere il più esposto a tali reati (circa il 60% della ricchezza riciclata è

passata per banche) ed inoltre tali linee guida sono più conosciute rispetto alle altre, nonché più

aggiornate e più seguite dagli addetti ai lavori.

Le restanti guidances, spesso menzionate nella trattazione, oltre che essere indirizzate a settori

meno rischiosi, hanno avuto un processo di elaborazione e pubblicazione tardivo rispetto alle prime

e tuttora richiedono ulteriori interventi per poterle considerare uno strumento applicativo efficiente.

Più in generale si segnala sin d’ora che le guidances, anziché facilitare l’applicazione pratica delle

norme o l’emanazione di nuovi concetti, assumono la funzione di dimostrare la mancata osservanza

della normativa in caso di giudizio.

Le norme antiriciclaggio JMLSG si affiancano alla previsioni della FSA con l’obiettivo di facilitare

l’applicazione pratica delle norme AML da parte degli operatori economici; di recente JMLSG ha

costituito al suo interno un comitato deputato alla redazione di linee guida e aggiornamento

continuo degli iscritti.

In esse è contenuta una ampia descrizione sul processo di identificazione, considerandolo come la

fase culminante dell’approccio basato sul rischio, precisando che ogni policy e procedura messa in

33 http://www.gamblingcommission.gov.uk 34 http://www.lawsociety.org.uk

95

atto non permetterà mai l’azzeramento delle probabilità di eventi criminosi. Infatti, attraverso un

valido processo di identificazione, facendo fede, soprattutto nel settore bancario, ad informazioni

estranee ed indipendenti dal cliente, è possibile ridurre la probabilità da parte degli intermediari di

restare vittima di reati di riciclaggio. Bisogna dire che, sebbene sulle guidances ci si riferisca alla

necessità da parte degli intermediari di adottare un approccio basato sul rischio, si può notare che in

realtà non sono descritte le modalità con le quali è possibile, all’atto pratico, perseguire una

strategia aziendale di tipo “risk-based”: non sono presenti, infatti, dettagli sul modo attraverso il

quale dovrebbero essere valutati i rischi all’interno di un impresa, limitandosi a fornire una analisi

generale del rischio nel settore finanziario o ripercorrendo i dettami delle Regulations. Questo può

essere un problema soprattutto pensando ai piccoli operatori finanziari, che non dispongono della

competenza per poter implementare tale approccio senza una guida pratica.

Secondo JMLSG e altre associazioni di categoria, è richiesta la Customer Due Diligence;

- in caso di apertura di una nuova relazione d’affari;

- per qualsiasi operazione una tantum per la quale c’è sospetto di riciclaggio o perché i beni

ad oggetto hanno un valore superiore a £15000;

- a seguito di una o più operazioni frazionate per cui il valore complessivo è superiore a

£15000.

Solo nei casi a più alto rischio, le linee guida offrono elementi importanti per adottare il

comportamento del “know your client”: si tratta di un’evoluzione dell’approccio basato sul rischio

secondo cui l’intermediario dovrebbe andare a ricercare, oltre all’identità, ulteriori elementi come

informazioni sulla sfera lavorativa, professionale e patrimoniale. Anche in questo caso, però

troviamo un approccio per lo più teorico e non pratico.

Oltre alla adeguata verifica in fase di acquisizione del cliente, le guidances di riferimento si

soffermano sulle attività di “monitoraggio ongoing”: se ne occupano le linee guida di JMLSG dato

che a livello di hard law non sono presenti norme del genere.

Gli intermediari inoltre, secondo JMLSG, devono monitorare e migliorare periodicamente il

funzionamento efficace dei controlli interni: è necessario disporre di mezzi in grado di valutare

l’attività svolta in fase di mitigazione dei rischi, se le procedure e i controlli stanno funzionando

efficacemente, e in grado di individuare le aree di miglioramento.

Gli aspetti che l’intermediario dovrà prendere in considerazione includono:

- l’introduzione di appropriate procedure per individuare le variazioni delle caratteristiche del

cliente, che vengono alla luce nel normale corso del business;

96

- l’analisi delle modalità in cui possono essere utilizzati diversi prodotti e servizi a fini di

riciclaggio di denaro/finanziamento del terrorismo;

- un’adeguata formazione e sensibilizzazione del personale;

- il monitoraggio delle modalità di conformità (come l'audit interno e la garanzia della qualità

processi o revisioni esterne);

- l'equilibrio tra i sistemi basati sulla tecnologia e sulle persone;

- l’acquisizione di informazioni di gestione adeguate;

- la segnalazione verso l'alto e responsabilità;

- l’efficacia del collegamento con altre parti dell'impresa intermediaria;

- l’fficacia del collegamento con le agenzie di regolamentazione e di applicazione della legge.

Per quanto riguarda gli obblighi rafforzati e semplificati, sia le guidances FSA che JMLSG

richiamano le Regulations di riferimento. Secondo JMLSG è necessario che l’intermediario ponga

in essere controlli più diligenti ogni qualvolta lo ritenga necessario, a prescindere della casistica

disciplinata dalle Regulations: si fa riferimento essenzialmente a situazioni molto frequenti, come al

versamento sul proprio conto corrente di denaro contante, proveniente dall’attività lavorativa. È

necessario infatti, a prescindere dalle soglie, chiedere periodicamente ai clienti documenti

giustificativi (fatture o ricevute) per evitare rischi, pur se non di riciclaggio, magari di reati minori,

come ad esempio di evasione fiscale. Si può ben capire come a fianco ad un reato possono

nascondersi altri comportamenti e come un accurato sistema di controllo ai fini antiriciclaggio possa

aiutare le autorità di vigilanza alla loro scoperta. La guida JMLSG aggiunge obblighi di verifica

rafforzata anche nei confronti di clienti non residenti e nel caso di private banking.

PEPs (Politically Exposed Persons)

L’identificazione e l’analisi delle persone politicamente esposte è una attività di estrema importanza

cui gli operatori economici (professionisti e banche) sono tenuti a svolgere ai fini di garantire

l’efficacia dei propri controlli AML. Il panorama normativo britannico tuttavia recepisce questo

tipo di dovere abbastanza in ritardo rispetto alla normativa comunitaria tant’è vero che solo

nell’aggiornamento delle Money Laundering Regulations avvenuto nel giugno 2017 si è introdotto

l’obbligo di adottare misure rafforzate di verifica di questi soggetti.

L’art. 35 delle Regulations del 2017 stabilisce che:

1. a relevant person must have in place appropriate risk-management systems and procedures

to determine whether a customer or the beneficial owner of a customer is—

97

a) a politically exposed person (a “PEP”); or

b) a family member or a known close associate of a PEP, and to manage the enhanced

risks arising from the relevant person’s business relationship or transactions with such

a customer.

2. In determining what risk-management systems and procedures are appropriate under

paragraph (1), the relevant person must take account of:

a. the risk assessment it carried out under regulation 18(1);

b. the level of risk of money laundering and terrorist financing inherent in its business;

c. the extent to which that risk would be increased by its business relationship or

transactions with a PEP, or a family member or known close associate of a PEP,

and

d. any relevant information made available to the relevant person under regulations

17(9) and 47.

3. If a relevant person has determined that a customer or a potential customer is a PEP, or a

family member or known close associate of a PEP, the relevant person must assess:

a. the level of risk associated with that customer, and

b. the extent of the enhanced customer due diligence measures to be applied in relation

to that customer.

4. In assessing the extent of the enhanced customer due diligence measures to be taken in

relation to any particular person (which may differ from case to case), a relevant person

a. must take account of any relevant information made available to the relevant person

under regulations 17(9) and 47; and

b. may take into account any guidance which has been—

i. issued by the FCA; or

ii. issued by any other supervisory authority or appropriate body and approved

by the Treasury.”

La disposizione normativa, nell’imporre obblighi rafforzati di verifica, rimanda alle guidances di

riferimento, come quella di FCA che impone alle imprese di:

- avere adeguate procedure di identificazione per verificare se un cliente è PEP;

98

- chiedere idonee autorizzazioni a persone di livello organizzativo superiore per la creazione

di nuove relazioni commerciali con tale cliente;

- adottare misure adeguate per stabilire la fonte di ricchezza e di fondi che sono coinvolti nel

rapporto commerciale o occasionale transazione; e

- effettuare un monitoraggio continuo del rapporto di lavoro.

Riconoscere se un soggetto è politicamente esposto non è sempre agevole, anche perché le nuove

Regulations 2017 individuano, oltre ai politici in senso stretto (capi di Stato, capi di governo,

ministri e viceministri o sottosegretari; i membri del parlamento o di organi legislativi analoghi; i

membri degli organi di partiti politici; membri delle corti supreme, delle corti costituzionali, i

membri di Corti dei conti o dei consigli di amministrazione delle banche centrali; gli ambasciatori e

alti ufficiali delle forze armate; i membri degli organi di amministrazione, direzione o di vigilanza

di proprietà dello Stato imprese; direttori, vice direttori e membri del consiglio o funzione

equivalente di un organizzazione internazionale) anche il coniuge o il partner, figli, genitori o stretti

collaboratori degli stessi.

L’soggetto incaricato dell’analisi deve quindi acquisire l’identità del cliente e, una volta acquisite

informazioni professionali e reddituali, dovrà confrontarle con fonti indipendenti in modo da risalire

alla provenienza dei fondi e, di conseguenza, valutare la fattibilità del rapporto d’affari; in questo

modo in caso in cui questa PEP dovesse essere perseguita, l’impresa potrà dimostrare la propria

estraneità chiarendo all’autorità di vigilanza di aver mantenuto un comportamento diligente in fase

di verifica. Le informazioni relative a questo tipo di verifica dovranno poi essere conservate, anche

in formato elettronico, per cinque anni dal compimento dell’operazione edaggiornate nel tempo in

caso di operazioni periodiche.

Anche in questo caso le guidances tendono a ripercorrere i contenuti delle Regulations, trascurando

invece una descrizione pratica del contenuto delle norme.

Titolare effettivo

La guida JMLSG afferma che, in linea con la valutazione del rischio, l'impresa dovrebbe

comprendere appieno “la struttura giuridica e la proprietà della società, e dovrebbe ottenere

sufficienti informazioni aggiuntive sulla natura dell'attività aziendale e le ragioni per la ricercail

prodotto o il servizio”. Le linee guida JMLSG forniscono anche indicazioni sull’identificazione dei

titolari effettivi affermando che “a seguito della valutazione dell'impresa del rischio di riciclaggio

da parte di un’altra società, l'impresa deve verificare l'identità dei titolari effettivi che detengono il

99

25% o più della partecipazione sociale. L'impresa giudicherà poi quale dei beneficiari effettua un

controllo effettivo e la cui le identità dovrebbero pertanto essere verificate”.

La definizione di titolare effettivo deve essere rintracciata nelle Regulations, in cui ci si sofferma

essenzialmente sulle persone giuridiche, affermando che, con riferimento ad una società, il titolare

effettivo è:

- qualsiasi individuo che eserciti il controllo sulla gestione aziendale;

- in caso di imprese quotate, colui che detiene il 25% delle azioni con diritto di voto;

- controlli più del 25% del capitale;

- eserciti una forma di controllo (anche contrattuale) sull’impresa;

Nel caso di controllo esercitato da un'altra persona giuridica, l’intermediario dovrebbe adottare

misure per superare lo schermo della persona giuridica o trust e stabilire le identità dei propri titolati

o trustee, a meno che si tratti di società quotate.

Si fa dunque riferimento al potere di disporre, spendere, investire, dirigere in generale l’impresa,

percependone i profitti. Per quanto riguarda i privati il cliente stesso è il titolare effettivo, a meno

che non ci siano caratteristiche della transazione, o delle circostanze, che possano far supporre

altrimenti.

Anche in questo caso la normativa antiriciclaggio, a partire dalle hard laws, fino alle soft laws, è

stata alquanto superficiale, dal momento che i contenuti delle Regulations sono ripetuti nell

guidances di settore e queste ultime non forniscono elementi di supporto per le situazioni in cui sia

più complessa l’individuazione del titolare effettivo (basti pensare a società con una vasta base

azionaria). Si auspica che tale situazione possa essere superata con l’introduzione delle guidances di

Law Society35 pubblicate a fine 2017 in cui sono stati introdotti suggerimenti per l’efficace

identificazione dei titolari effettivi. Nel caso di persona fisica è necessario conservare dati

anagrafici, codice fiscale e copie dei documenti di riconoscimento; nel caso di impresa titolare

effettivo di un’altra è necessario censire la ragione sociale, la sede legale, la forma giuridica e la

composizione sociale. Bisogna precisare che fino all’emanazione delle Regulations del 2007 in

realtà non era neanche previsto l’obbligo da parte degli intermediari di identificazione dei titolari

effettivi; si affermava infatti che l’impresa “potesse ritenere opportuna” l’identificazione di tali

soggetti, generando un altro vuoto normativo rispetto alla direttiva e agli standard GAFI.

35 http://www.lawsociety.org.uk/policy-campaigns/articles/draft-anti-money-laundering-guidance/

100

Disciplina delle segnalazioni

La disciplina delle segnalazioni, contemplata nelle linee guida delle principali associazioni di

categoria, si riallaccia al testo dell’art 327 del POCA. Infatti i soggetti rilevanti sono tenuti a

presentare una relazione in merito alle informazioni che vengono loro fornite nel corso di un'attività

nel settore regolamentato:

- dove sanno,o

- dove sospettano, o

- dove hanno ragionevoli motivi per conoscere o sospettare,

che una persona è impegnata in riciclaggio di denaro o finanziamento del terrorismo oppure che

cerchi di farlo. All'interno di queste linee guida, gli obblighi di cui sopra sono collettivamente

indicati come “motivi di conoscenza o di sospetto”.

A tal fine si afferma che:

- ogni azienda deve assicurarsi che ogni membro del personale riferisca al suo Money

Laundering Reporting Officer, ove vi siano motivi di conoscenza o di sospetto che una

persona o cliente sia coinvolto, o tenti, riciclaggio di denaro o finanziamento del terrorismo;

- il Money Laundering Reporting Officer a sua volta dovrà analizzare e valutare la portata del

rischio di riciclaggio decidendo se è il caso oppure non di una segnalazione all’UKFIU;

- a tal fine le imprese devono assicurarsi che il personale, compreso il Money Laundering

Reporting Officer, sia adeguatamente formato ed aggiornato sui rischi di money laundering

e sulla capacità di identificare proattivamente un possibile reato;

- nel caso di imprenditore individuale, la segnalazione dovrà avvenire direttamente

all’UKFIU.

Nelle guidances inoltre si è chiarito che una transazione insolita non è detto che sia sospetta:

l’analisi e la valutazione del rischio deve essere svolta in termini relativi e non assoluti rispetto alle

dinamiche di business dell’individuo/azienda in oggetto. Basti pensare ad alcuni settori “cash

intensive” per i quali, anziché segnalare eccessive transazioni di contante, è necessaria un’attività di

risk assessment periodica, a cadenza trimestrale o semestrale, nella quale il soggetto rilevante, che

sia banca o professionista, anziché focalizzarsi sulla singola operazione, analizzi i dati di bilancio

(fatturato) in relazione con le transazioni effettuate. Nel fare ciò viene anche consigliato agli

operatori di sfruttare anche l’“effetto sorpresa”, secondo cui la richiesta di bilanci intermedi, fatture

101

e documenti giustificativi debba avvenire senza preavviso, facendo leva dunque sulla capacità

organizzativa, di problem solving e la flessibilità di management e sottoposti.

Bisogna tuttavia precisare che quanto affermato in questo paragrafo in realtà è essenzialmente

contenuto nelle Guidances di JMLSG, mentre negli altri settori l’aspetto delle segnalazioni è

abbastanza trascurato; questa lacuna è stata riscontrata nel settore contabile, le cui linee guida sono

oggetto di revisione da parte dell’ICAEW36.

Sanzioni penali

La disciplina sanzionatoria del Regno Unito trae spunto da diverse fonti:

- Proceeds of crime Act 2002: oltre ai principali reati di riciclaggio di denaro, la pena

massima per la mancata divulgazione, tipping off e pregiudizio di un’indagine, è di cinque

anni di reclusione. In tutti i casi è anche prevista la possibilità di ammenda illimitata.

- Terrorism Act 200: nel caso di sospetto di riciclaggio, il soggetto rilevante può essere

sanzionato con una sanzione pecuniaria e/o con la reclusione fino a 6 mesi.

- Money Laundering Regulations 2007: un soggetto rilevante che all’interno della sua

organizzazione fallisce nell’adozione di controlli volti al monitoraggio e al contrasto del

rischio riciclaggio è passibile di reclusione fino a 2 anni e/o di sanzione pecuniaria illimitata.

Sanzioni amministrative

La NCA ha una vasta gamma di sanzioni a disposizione contro istituzioni finanziarie e

professionisti; ha anche poteri di esecuzione che possono essere utilizzati contro persone al di fuori

del settore regolamentato. Le principali sono:

- censura pubblica: la FSA37 può emettere una censura pubblica nei confronti di un'impresa

autorizzata o di un individuo se ritiene di aver violato un requisito imposto loro in base al

FSMA38: “Se la [FSA] ritiene che una persona autorizzata abbia contravvenuto a un

obbligo imposto da o ai sensi della presente legge, la [FSA] può pubblicare una

dichiarazione a quell'effetto” (Art. 205 del Financial Services and Market Act);

36 http://www.ccab.org.uk/documents/TTCCABGuidance2017regsAugdraftforpublication.pdf 37 FSA: acronimo di Financial Services Authority, è stata un’autorità indipendente che vigilava sui mercati definita dal Financial Services and Market Act, determinando anche le sanzioni. È stata abolita nel 2012 e le sue attività sono svolte dalla FCA. 38 Financial services and Markets Act 2000

102

- sanzioni finanziarie: la FSA ha il potere di imporre una sanzione finanziaria su un istituto

finanziario regolamentato dalla FSA se ritiene che sia stato violato un requisito loro imposto

dalla FSMA (Art. 206 del Financial Services and Market Act);

- ingiunzioni: l’art. 380 del Financial Services and Market Act conferisce alla FSA il pieno

potere di chiedere in tribunale l’ingiunzione contro le persone autorizzate o meno che

abbiano violato un requisito ai sensi del FSMA, tra cui le violazioni delle MLR. Chiunque

non si conformi a tale ingiunzione è passibile di detenzione e/o di sequestro di beni.

103

5. Confronto Italia – Regno unito

Analizzare l’efficacia di un complesso normativo come quello antiriciclaggio, è particolarmente

difficile e si finirebbe per fornire valutazioni diverse rispetto al reale stato delle cose, a maggior

ragione se effettuato da un “non addetto ai lavori”. Ecco allora che la parte se vogliamo più

interessante, relativa alle critiche, prenderà spunto dai suggerimenti applicativi che di volta in volta

sono stati emessi dal GAFI. Di seguito la trattazione si soffermerà sull’analisi delle criticità

riscontrate nei testi di riferimento della normativa italiana, per poi passare a quella inglese.

Il sistema antiriciclaggio italiano si articola, come si è potuto vedere, in un insieme di regole di

carattere primario che costituisce lo “zoccolo duro” del set normativo nazionale, cui si affiancano le

successive linee guida emesse da Banca d’Italia, Consob e associazioni dei professionisti legali e

commerciali per la disciplina della singola fattispecie rischiosa. Il percorso seguito si è mosso

parallelamente alla volontà del legislatore comunitario, andando a sopperire di volta in volta i

suggerimenti applicativi emanati dal GAFI nella sua periodica attività di assessment del sistema

antiriciclaggio dei paesi membri, come avvenuto dai primi anni 200039.

L’insieme dei controlli antiriciclaggio italiani è finalizzato inevitabilmente al contrasto della

criminalità organizzata in primo luogo (cosa nostra, mafia, ndrangheta, ecc.…) e da una attenta

lettura si assiste a un panorama preventivo, repressivo e sanzionatorio di elevata rigidità e varietà di

casistiche elencate. Quanto detto è infatti emerso già nel 2006, quando, in occasione della attività di

assessment da parte del GAFI, ha affermato che “The law enforcement efforts against money

laundering have been quite successful…”. Bisogna dire che un simile giudizio è abbastanza

confortante per il nostro Paese, dato che l’attività mafiosa è difficilmente contrastabile per i motivi

detti a inizio trattazione (internet, tecnologia, globalizzazione).

L' Italia ha storicamente sofferto di un alto tasso di criminalità, di mafia organizzata e di

penetrazione nella vita politica ed economica da parte di cosche criminali. La dura attività di

repressione e punizione dei colpevoli di associazione mafiosa ha fatto sì che siano assicurati alla

giustizia i principali esponenti delle organizzazioni, anche se fenomeni come l’ingresso in appalti

pubblici da parte delle stesse, l’usura e l’estorsione (il pizzo) sono ancora attività difficilmente

debellabili. Inoltre tali soggetti stanno evolvendo in altri settori oggetto di riciclaggio come il

39 http://www.fatf-gafi.org/media/fatf/documents/reports/mer/MER%20Italy%20full.pdf

104

traffico di droga, contrabbando di sigarette e la distribuzione nell’entroterra. In questo modo le

organizzazioni criminali, di origine meridionale, stanno espandendo la propria rete sul territorio,

andando ad investire le attività illecite nel nord Italia, in settori come l’edilizia, la compravendita di

immobili ed automobili in cui “lavare” i proventi illecitamente percepiti. A ciò si aggiunge il fatto

che in tali settori il pagamento per contanti è ben accetto, anche in considerazione del fatto che

l’Italia vanta per tradizione il tasso più elevato di circolazione contanti d’Europa, favorendo di

conseguenza il riciclaggio e l’evasione fiscale.

La presenza diffusa della criminalità organizzata ha fatto sì che fosse necessaria la partecipazione

congiunta di diversi soggetti, ognuno fornitore di un contributo proveniente da diversi punti di vista,

come Banca d’Italia (UIF), Ivass, Agenzia delle Entrate, Consob, Guardia di Finanza, Servizi di

Polizia e Intelligence Antimafia.

L’estenuante attività di intelligence applicata al riciclaggio tuttavia produce effetti discordanti,

poiché la presenza di un’eccessiva “diffidenza”, indagine e verifica verso le operazioni poste in

essere dagli operatori economici finisce per minare l’efficacia dei controlli stessi, con maggiori

costi e generando malumori nei confronti dei consumatori che si sentirebbero eccessivamente

sorvegliati. Un elemento per tutti a sostegno di tale tesi è rinvenibile nella disciplina della

segnalazione delle operazioni sospette, ammodernata nel 2017.

Il recente decreto legislativo 90 del 2017 è stata definita dall’UIF (che riceve e acquisisce le

informazioni riguardanti ipotesi di riciclaggio e finanziamento al terrorismo e ne valuta la rilevanza

ai fini della trasmissione agli organi investigativi e all’autorità giudiziaria) una “norma dagli effetti

dirompenti” e che “rischia di provocare risultati opposti” per quanto riguarda il regime della

segnalazione operazioni sospette (SoS) che è alla base dell’attività di indagine.

Questa tematica è stata resa molto più invasiva rispetto al passato in quanto fino a oggi l’invio della

segnalazione avveniva non appena l’intermediario si accorgeva di un’anomalia, che poteva

emergere anche molti mesi dopo grazie al raffronto ex post con altre operazioni o in seguito allo

svolgimento di indagini. La nuova norma, invece, prevede che la segnalazione sia considerata

sempre tardiva se avviene dopo 30 giorni dal compimento dell’operazione (art 35, comma 2).

Inoltre l’articolo 58 comma 1 dispone che le segnalazioni tardive ai sensi dell’articolo 35 siano

sempre punite con la sanzione amministrativa pecuniaria dall’1 al 40% del valore dell’operazione

non segnalata o tardivamente segnalata.

La norma ha come obiettivo la punizione dell’intermediario che omette di segnalare

tempestivamente l’operazione prima che i benefici possano ottenersi, magari con lo scopo di

favorire il terzo. Tuttavia i giudizi dei tecnici sono molto scettici: gli operatori potrebbero essere

indotti ad aumentare in modo esponenziale la quantità di segnalazioni effettuandole con approccio

105

cautelativo, sulla base di valutazioni poco ponderate, mentre altri potrebbero decidere di non

trasmettere alla Uif segnalazioni anche di notevole rilievo quando sia decorso il termine dei 30

giorni fissato dalla legge per non incorrere in una sicura sanzione. In entrambi i casi si produrrebbe

un grave depauperamento della qualità del sistema segnaletico. Inoltre l’intermediario potrebbe

trovarsi nella condizione di effettuare segnalazioni “cautelative” nel termine prescritto al fine di

incorrere in una sanzione per tardiva segnalazione e laddove emergessero elementi di sospetto in un

arco temperale successivo ai 30 giorni dal compimento dell’operazione, la norma indurrebbe a

comportamenti non coerenti con le sue finalità.

Un altro aspetto da tenere in considerazione è fatto che la normativa antiriciclaggio ha reso sempre

più onerosi gli adempimenti nei confronti delle varie categorie di soggetti destinatari, specialmente

per i professionisti. Possiamo con certezza affermare che richiedere ai professionisti di indagare

sulla provenienza delle somme che un cliente dispone nell’ambito di una prestazione professionale

significa chiedergli di effettuare qualcosa che non attiene la sua professione. Inoltre la particolare

attività di indagine del cliente, in molti casi finirebbe per minare il rapporto fiduciario tra le parti,

andando ad impoverire la qualità del servizio erogato. Una pressante attività di indagine subita dal

cliente finirebbe per infastidirlo, con la conseguenza che potrebbe decidere di omettere

informazioni rilevanti. Chiedere ai professionisti di far convivere il segreto professionale da un lato,

con l’obbligo delle segnalazioni senza informare il cliente dall’altro, è certamente una cosa molto

difficile. Inoltre la mancanza di decreti attuativi ha reso l’adempimento di questi obblighi all’interno

degli studi professionali assai difficoltosa e confusa. A questa carenza hanno sopperito le linee

guida del CNDCEC e la Circolare n. 83607/2012 della GdF, che tuttora rappresentano le principali

fonti da cui i professionisti possono ottenere le maggiori soluzioni applicative.

Seguire le indicazioni previste da questi documenti significa adottare, all’interno degli studi

professionali, dei modelli comportamentali che permettano di evitare le pesanti sanzioni indicate

dalla stessa normativa antiriciclaggio. Per essere efficiente nel perseguimento degli obiettivi

preposti, inoltre, ogni professionista deve puntare sulla preparazione del personale, non solo

mediante un’accurata formazione normativa e tecnico - operativa, ma anche attraverso un costante

aggiornamento ed un’accentuata specializzazione nei settori economici, sociali, e legislativi (in

particolare della legislazione penale) che si occupano dei fenomeni di money laundering e money

dirtying. Ciò si traduce in maggiori costi operativi e riduzione dell’efficienza, soprattutto nei piccoli

studi, favorendo di conseguenza l’espansione delle grandi società di consulenza, a danno della

piccola attività professionale il cui cuore è dato dal rapporto fiduciario, schietto e personale tra il

cliente e il professionista.

106

CRITICITA’ INDIVIDUATE NELLA NORMATIVA AML INGLESE

In un paese come il Regno Unito basato su un sistema normativo di common law, il ruolo decisivo

nella lotta al riciclaggio deve essere ricoperto dall’azione delle linee guida (Guidances) di settore

che dovrebbero andare a sostituirsi alla normativa primaria a livello di supporto pratico per gli

operatori economici. In realtà si è avuto modo di riscontrare dal presente studio che non è sempre

così dal momento che la attuale normativa AML risulta poco imperniata nel sistema economico

generando una superficiale sensibilizzazione da parte dei soggetti obbligati. Ciò dipende, come si è

visto dal fatto che in alcuni settori economici, le linee guida vanno essenzialmente a replicare la

normativa a monte oppure che la loro struttura è ancora troppo distante dagli intenti del legislatore

britannico e di quello europeo. Di seguito una panoramica delle principali criticità scovate nelle

linee guida antiriciclaggio inglese, facendo riferimento a quelle emanate da JMLSG, per via della

loro maggiore completezza e dei destinatari cui si rivolge.

Il primo aspetto critico è riferibile alla disciplina della adeguata verifica, relativamente a quella

semplificata. Andando ad analizzare le guidances emanate da JMLSG nell’ottobre 2017, troviamo

che la due diligence semplificata è applicabile a:

- Imprese di servizi finanziari soggette ai regolamenti AML o di una giurisdizione

equivalente. Affinché ciò sia possibile è necessario verificare la bontà del soggetto

attraverso interrogazioni alla banca centrale del suo paese oppure capire se dispone di

permessi per operare nel settore dei servizi finanziari;

- Società quotate in uno stato membro o in uno stato in cui c’è giurisdizione antiriciclaggio

equivalente; è tuttavia necessario accertarsi che il cliente è quotato, oppure è controllato da

una impresa quotata, soddisfa obblighi di comunicazione relativamente a quanto imposto

dalla direttiva sulla trasparenza e sugli abusi di mercato; è stata introdotta la possibilità di

applicazione degli obblighi semplificati nei confronti delle aziende private non quotate, a

patto che la loro attività sia svolta a profitto di un ristretto numero di beneficiari. In ogni

caso, se viene riscontrata un’anomalia / sospetto di riciclaggio durante un rapporto d’affari,

si richiede l’obbligo di verifica rafforzata;

- Autorità pubbliche del regno unito e istituzioni comunitarie: in tal caso, sia relativamente al

regno unito che a paesi “d’oltremare”, per i rappresentanti di organizzazioni sovranazionali

o dipartimenti governativi, l’approccio di identificazione deve essere adattato e modellato

alle caratteristiche del cliente. In tal caso ci si riallaccia ai requisiti qualitativi enunciati dalla

direttiva: “l’identità è pubblicamente disponibile, trasparente e certa; le attività del cliente

107

sono svolte in maniera trasparente…etc.”. Non deve essere confuso questo tipo di norme

con quelle relative alle persone esposte politicamente, cui è associato un profilo di rischio

elevato in virtù degli interessi che possono astrattamente generarsi da un’operazione.

- Alcuni prodotti assicurativi vita e prodotti di moneta elettronica: nella parte II della guida

JMLSG si afferma che “il prodotto assicurativo vita, per via delle sue caratteristiche è

eccessivamente restrittivo e penalizzante da gestire per un money lauderer; per quanto

riguarda la possibilità di versamento eccessivamente limitata, le condizioni contrattuali in

termini di riscatto e di gestione straordinaria del prodotto. Si associa pertanto un rischio

basso, ma è necessario in ogni caso prevedere strumenti volti a esaminare l’origine dei fondi

versati da confrontare con la capacità reddituale (più che patrimoniale perché trattasi di

versamenti ricorrenti) del contraente, da sottoporre a questionario di adeguatezza”. Questo

approccio dipende dal fatto che la guida JMLSG agisce in ottica di rischio “product-led”,

esaminando prevalentemente la rischiosità dello strumento finanziario in sé. In ogni caso si

lasciano ambiti di discrezione ai soggetti obbligati chiamati a esaminare l’identità del cliente

prima ancora di analizzare il prodotto.

- Prodotti a basso rischio:

o Con base contrattuale scritta

o Con importi pari a max. 1000€ per i premi annui e 2500€ per i premi unici

o In tutti i casi di prodotti di finanziamento all’acquisto di beni fisici il cui

trasferimento si verifica solo al termine del rapporto contrattuale

o in cui i benefici, in caso di morte del contraente non possono andare a favore di terzi.

In questo caso possiamo riscontrare come i casi di verifica semplificata citati da JMLSG risultano

ampliati rispetto al dettato della IV direttiva, inserendo aree derogatorie ed eccezioni, non richieste

dal legislatore comunitario.

Un altro aspetto critico è relativo alla verifica in forma rafforzata: ai sensi delle guide JMLSG: un

impresa deve applicare le misure di verifica rafforzata in qualsiasi situazione che per sua natura può

presentare un rischio di riciclaggio, ogni qualvolta che, a seguito di processo di verifica ordinaria, si

riscontrino difficoltà nell’identificazione del cliente/esecutore/titolare effettivo, oppure in ogni caso

in cui qualche soggetto voglia diventare un nuovo cliente o il cliente attuale sceglie prodotti con un

profilo di rischio più elevato. Al ricorrere di uno di tali aspetti, sarà necessario andare a

incrementare la soglia di attenzione affiancando ai normali processi di verifica, procedure più

invasive per individuare l’esatto fine dell’operazione posta in essere; nello specifico:

108

- quando il cliente non è fisicamente presente in fase di identificazione (operazioni home

banking)

- in relazione a una transazione occasionale con una PEP

- prodotti cui, per caratteristiche e importi, viene associato rischio riciclaggio elevato

- transazioni in contante o titoli equivalente di importo superiore a 15.000€.

La lacuna principalmente individuata sta nella sezione relativa alle PEPs, in cui si va, come detto in

precedenza, a replicare le indicazioni comunitarie e delle Regulations, senza indicare suggerimenti,

comportamenti e accorgimenti concreti che devono avere i soggetti obbligati nel saper identificare

un soggetto esposto politicamente.

Requisito di verifica retrospettiva:

Dalla lettura delle guide JMLSG, che rappresentano il testo più ricco e più in linea con le direttive

antiriciclaggio dato il rischio associato ai suoi destinatari, emerge un grave vuoto normativo: nel

sistema antiriciclaggio inglese non c’è un principio che impone la verifica retrospettiva dell’identità

del consumatore relativamente a operazioni effettuate prima dell’introduzione della nuova

normativa; tale vuoto non è tutt’oggi oggetto di copertura. Paradossalmente, colui che ha posto in

essere un’operazione immediatamente prima dell’entrata in vigore di una nuova normativa che

l’avrebbe punito, non è passibile di verifica né tantomeno di possibili sanzioni. È importante

ripristinare questa area di crisi dal momento che spesso i criminali “pianificano” le loro operazioni

in vista di un possibile cambiamento normativo.

Obbligo di reporting relativamente a transazioni insolite:

Si è già detto come in sede di implementazione dei controlli ai fini antiriciclaggio spesso emergano

situazioni di illecito non associabili alla sfera del money laudering, ma in reati come corruzione,

evasione e truffa. Ecco allora che l’implementazione efficace di politiche e procedure di contrasto

ad una singola fattispecie genera vantaggi plurimi, che tuttavia richiedono collaborazione con le

autorità deputate alla vigilanza. La collaborazione, oltre che concretizzarsi in una mera

comunicazione tra diversi soggetti, dovrebbe basarsi su una continua attività di reporting

relativamente a transazioni insolite, ad esempio nei confronti delle Agenzie delle Entrate nazionali.

Nel regno unito un simile meccanismo non c’è e le politiche di prevenzione e repressione del

riciclaggio finiscono per restare isolate rispetto all’insieme di attività volte al contrasto del crimine

comune.

La presenza di questa negatività è stata mitigata con l’eliminazione della FSA (Financial Services

Authoriy) e la sua sostituzione con la Financial Conduct Authority e la Prudential Regulation

109

Authority. La FSA infatti era un’agenzia governativa con funzioni pressoché giudiziarie,

responsabile della regolamentazione del settore dei servizi finanziari nel Regno Unito tra il 2001 e il

2013. A causa del percepito fallimento regolamentare delle banche durante la crisi finanziaria del

2007-2008, il governo britannico ha deciso di ristrutturare la disciplina dei controlli, abolendo la

FSA a causa della riconosciuta influenza dello stato esercitata su di essa.

• La Financial Conduct Authority oggigiorno si occupa della regolamentazione

finanziaria nel Regno Unito, ma opera indipendentemente dal governo del Regno Unito,

finanziata mediante l'imposizione di commissioni ai membri del settore dei servizi

finanziari. La FCA regolamenta le società finanziarie che forniscono servizi ai consumatori

e garantisce l'integrità dei mercati finanziari del Regno Unito. Si concentra sulla

regolamentazione della condotta da parte delle imprese di servizi finanziari al dettaglio e

all'ingrosso. Dal 2014 ad oggi l’attività di FCA si è focalizzata su prevenzione della

strumentalizzazione del settore finanziario ai fini criminali, attivando politiche di

repressione relativamente al riciclaggio, finanziamento del terrorismo, truffa, evasione,

traffico droga e corruzione.

• La Prudential Regulation Authority è responsabile della regolamentazione prudenziale e

della vigilanza di banche, cooperative di credito, assicuratori e grandi società di

investimento. Stabilisce standard e supervisiona le istituzioni finanziarie a livello di singola

impresa, nel recepimento delle indicazioni governative.

La creazione di due nuove agenzie, con compiti e orientamenti ben distinti ha dato la possibilità di

migliorare quello che è un aspetto di vitale importanza, ovvero la collaborazione tra HM Revenue &

Customs, la Agenzia delle Entrate, e la nuova autorità di vigilanza, FCA, poiché maggiormente

libera nella sua attività d’indagine. Attualmente infatti si è riusciti a istaurare un dialogo tra i due

soggetti, che però deve essere oggetto di affinamenti e migliorie dal punto di vista operativo,

attraverso linee guida adeguate e la sensibilizzazione di tutti i soggetti economici e non solo delle

banche verso l’adozione di un “risk based approach on controls”.

Obbligo del revisore esterno di riferire sui controlli effettuati:

Anche se non espresso direttamente dalla normativa comunitaria, né dal legislatore britannico a

livello di hard laws, la prassi internazionale in materia di corporate governance ha ritenuto

opportuno sensibilizzare le autorità di vigilanza (perlopiù bancarie) sull’introduzione di obblighi di

valutazione e comunicazione periodica ai soggetti operanti nel contrasto al riciclaggio, durante il

più ampio processo di audit effettuato dai revisori. Ecco allora che gran parte dei paesi membri

hanno introdotto nei propri ordinamenti un set normativo (soft laws essenzialmente) che obbliga il

revisore esterno a effettuare un’analisi qualitativa della struttura dei controlli interni a fini

110

antiriciclaggio, sulla scorta di quanto recentemente affermato dal Comitato di Basilea sulla

supervisione bancaria all’interno delle guidelines “Sound management of risks related to money

laundering and financing of terrorism”. Nel testo si afferma infatti che la presenza di un controllo

esterno sulle procedure antiriciclaggio non deve essere vista negativamente, ma come l’opportunità

per il senior management delle banche di disporre di un ulteriore livello di giudizio sulla propria

struttura oltre che di una importante leva in grado di sensibilizzare l’impresa relativamente alle

variazioni dei profili di rischio della clientela. Viene poi lasciata discrezionalità ai singoli paesi

relativamente a modalità e i tempi di comunicazione alle Unità di informazione finanziaria o alle

altre autorità deputate.

Venendo alla normativa inglese, da una lettura delle Guidances di JMLSG, si è riscontrato che un

accenno al suddetto obbligo è stato inserito solo nella loro ultima versione, aggiornata a agosto

201740 in cui si afferma che “Independent testing of, and reporting on, the development and

effective operation of the firm’s RBA should be conducted by, for example, an internal audit

function (where one is established), external auditors, specialist consultants or other independent

parties who are not involved in the implementation or operation of the firm’s AML/CTF compliance

programme”.

Tale raccomandazione recepisce, se vogliamo parzialmente, le volontà del comitato di Basilea

poiché non fa riferimento a tempi e modalità operative cui gli intermediari devono attenersi; inoltre

è un inserto che ha come destinatari i soggetti operanti nel settore bancario / finanziario, e non si

riscontrano simili citazioni nelle altre Guidelines. Va anche aggiunto che, essendo un approccio

nuovo, richiede del tempo anche per i revisori nella messa a punto di programmi di analisi e di

reporting.

Eccessiva frammentazione a livello di Soft Laws.

L’efficacia della normativa antiriciclaggio in un sistema normativo come quello inglese è

difficilmente raggiungibile poiché è necessario il raggiungimento di un trade-off tra linee guida

emesse e risultati ottenuti.

Attualmente la lotta al riciclaggio sta portando alla presenza di un’accozzaglia di norme (circa 15

guidances antiriciclaggio) di carattere secondario, linee guida e regulations che risultano

difficilmente applicabili in linea pratica.

40 http://jmlsg.org.uk/industry-guidance/article/jmlsg-guidance-current

111

Gli operatori economici si trovano quotidianamente a dover fronteggiare diversi punti di vista in

base alle autorità emittenti tali regolamenti: in una realtà come quella bancario / assicurativo /

finanziaria, caratterizzata dalla presenza di colossi conglomerati, dover rispondere a diverse autorità

emittenti linee guida con diversi punti di vista può essere controproducente, generando duplicazioni,

sovrapposizioni, maggiori costi di compliance e difficoltà organizzative. Inoltre, già da una analisi

molto superficiale delle stesse, emerge come in alcuni casi non vengano introdotti suggerimenti /

accorgimenti utili alla operatività dei soggetti interessati, ma si va a replicare l’enunciato letterale

della normativa del Proceeds of Crime Act e delle Money Laundering Regulations diventando quasi

inutili.

L’azione congiunta di criticità e vuoti normativi appena citati, connessa all’importanza strategica

riconosciuta a Londra come principale centro di scambi / transazioni a livello mondiale, ha fatto sì

che l’intero paese diventasse la meta in cui porre in essere attività connesse al riciclaggio. Come

detto inizialmente l’attività di money laundering si scompone in 3 fasi: placement, layering e

integration. Da una analisi effettuata da PriceWaterHouse Coopers nel 2016 emerge che il regno

unito viene scelto prevalentemente per il compimento della seconda fase, il vero e proprio lavaggio

del denaro, da destinare successivamente in altri paesi in cui è più agevole l’ingresso dei capitali nel

tessuto economico. Ciò è alimentato dal fatto che l’attività d’indagine condotta dalla Financial

Conduct Authority non può estendersi al di fuori dei territori nazionali, dando la possibilità alle

economie criminali di poter entrare e uscire dal territorio nazionale senza lasciare traccia.

Alla luce delle riflessioni emerse dal presente elaborato, risulta difficile fornire una risposta

univoca relativamente a quale normativa antiriciclaggio è più efficiente dell’altra, se quella italiana

o quella inglese. L’esame della situazione economico, politico e sociale infatti provoca risultati

discordanti, perché, se è vero che il GAFI definisce la normativa italiana più incisiva e che meglio

recepisce la volontà del legislatore comunitario, è anche vero che il contesto in cui si colloca il

nostro paese è ben diverso da quello inglese. La presenza di una molteplicità e varietà di soggetti

stranieri che giornalmente si trovano a operare nel Regno Unito, fa emergere una frammentazione

del rischio riciclaggio e finanziamento del terrorismo in tantissime casistiche difficilmente intuibili

da una autority locale.

L’Italia si trova in un contesto differente, in cui il settore finanziario e borsistico è meno rilevante

rispetto a quello inglese (ad esempio c’è un basso ricorso al mercato dell’equity con presenza di

imprese family based), e le attività criminali viaggiano prevalentemente nell’economia reale,

controllate dalle cosche storicamente esistenti. Ne risulta un lavoro di intelligence per certi versi più

agevole rispetto a quello della National Crime Agency, Financial Services Authority e altri soggetti

112

vigilanti. Inoltre va anche detto che il Regno Unito è maggiormente minacciato dal terrorismo,

quindi l’efficienza della normativa deve essere ponderata con la diversa esposizione del singolo

stato.

In generale possiamo affermare che le critiche dell’attuale sistema AML italiano stanno nella

eccessiva incisività dei controlli, difficilmente applicabili concretamente, mentre la normativa

inglese, risulta positivamente imperniata nel sistema economico, anche se presenta le leggerezze

applicative precedentemente citate.

Relativamente ad entrambi i paesi è doveroso sottolineare un approccio proattivo utilizzato

relativamente alla disciplina delle criptovalute meglio conosciute come Bitcoin.

A differenza della maggior parte delle valute tradizionali, Bitcoin non fa uso di un ente centrale né

di meccanismi finanziari sofisticati, il valore è determinato dalla leva domanda e offerta: esso

utilizza un database distribuito tra i nodi della rete che tengono traccia delle transazioni, ma sfrutta

la crittografia per gestire gli aspetti funzionali, come la generazione di nuova moneta e l'attribuzione

della proprietà dei bitcoin. La rete Bitcoin consente il possesso e il trasferimento anonimo

delle monete; i dati necessari a utilizzare i propri bitcoin possono essere salvati su uno o

più personal computer o dispositivi elettronici quali smartphone, sotto forma di "portafoglio"

digitale, o mantenuti presso terze parti che svolgono funzioni simili a una banca. In ogni caso, i

bitcoin possono essere trasferiti attraverso Internet verso chiunque disponga di un "indirizzo

bitcoin".

Il d.lgs. 90/2017, nel recepire la direttiva del 2015 ha citato i soggetti operanti in tale mercato come:

ogni persona fisica o giuridica che fornisce a terzi, a titolo professionale, servizi funzionali

all'utilizzo, allo scambio, alla conservazione di valuta virtuale e alla loro conversione da ovvero in

valute aventi corso legale.

Fino a poco fa i bitcoin erano merce di un libero scambio tra gli operatori del settore attraverso

motori di ricerca utilizzando il canale di internet; questa tipologia di operatività faceva sì che le

piattaforme online potessero essere utilizzate per lavare denaro illecitamente percepito, in cambio di

un’altra forma di denaro, con finalità speculative, da rivendere sul mercato nel momento in cui si

registrava un aumento di prezzo, in modo da monetizzare guadagni e nello stesso tempo

dissimulando la provenienza illecita dei fondi.

Lo stesso atteggiamento è stato posto in essere dal governo britannico, che si sta impegnando nello

studio di sistemi di identificazione e verifica della clientela da inserire nei software utilizzati per la

compravendita, assoggettando i gestori alla stessa disciplina delle banche, intermediari finanziari e

le connesse sanzioni.

113

CONCLUSIONI

Al termine della trattazione abbiamo avuto conferma della complessità insita in una efficiente

normativa antiriciclaggio, che interessa vari ambiti del nostro sistema: economico, legislativo e

sociale. Anche se i fenomeni criminali continuano a mostrare una costante capacità di rinnovarsi,

adattandosi alle nuove prospettive normative ed operative, è proprio la sinergia delle azioni messe a

punto dalle istituzioni in tutti questi ambiti, che hanno permesso che la repressione, la prevenzione

ed il controllo vadano di pari passo. Bisogna ammettere però che, attualmente, non esistono

strumenti in grado di debellare in maniera definitiva e radicale sia il riciclaggio che il finanziamento

al terrorismo; esistono solamente misure più o meno idonee ad ostacolare le organizzazioni

criminali, riducendone i profitti e accrescendone i costi e i rischi operativi.

In tutto ciò, risulta doveroso sottolineare che anche il singolo cittadino debba essere informato in

maniera adeguata e trasparente in merito alla disciplina antiriciclaggio vigente e alle sue evoluzioni,

in modo tale che anch’egli possa partecipare alla tutela e al miglioramento dell’intera collettività,

sinergicamente con tutti quegli organi che si occupano di prevenire e contrastare tale fenomeno.

È necessaria in ultima analisi una corale e sinergica attività di collaborazione e scambio di

informazioni che pone al primo posto il consumatore (e la sua tutela) con il sistema bancario e le

professioni, magari inserendo meccanismi incentivanti (a livello fiscale per esempio) ai terzi che

forniscono contributi alle indagini. Lo sforzo da compiere dunque è quello di sensibilizzare i

cittadini (che si potrebbero trovarsi a trattare con riciclatori) che è meglio “stare dalla parte della

legalità”, poiché l’economia sana contribuisce a portare benefici durevoli per tutti, rispetto ad altre

attività appannaggio di pochi i cui danni sociali sono pagati da tutti.

114

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