cooperazione e fascismo nella crisi dello stato liberale (1918-1925)

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Cooperazione e fascismo nella crisi dello stato liberale (1918-1925) DI FERDINANDO CORDOVA Il movimento cooperativo italiano aveva avuto, durante gli anni della Prima guerra mondiale, un notevole incremento. Alla fine del 1917, ade- rivano direttamente, alla Lega nazionale, ben 2162 cooperative 1 mentre altre cinquemila erano, ad essa, collegate. 2 Dei un'inchiesta fra le coope- rative di consumo, svolta mediante un questionario al quale avevano ri- sposto solo 752 associazioni su 2.350 e resa nota in occasione del loro Congresso nazionale, nel maggio del 1918, risultò che le cooperative cen- site contavano 252.556 soci, con quarantamila iscritti in più, rispetto a prima della guerra, e che l'ammontare dei loro capitali e delle riserve era pari a 30 milioni di lire, con un notevole incremento rispetto ai 18 milioni dell'anteguerra. L'insieme delle vendite era, inoltre, salito, dai 108 milioni del 1914, ai 263 milioni circa del dicembre 1917 e gli spacci cooperativi da 1.020 a 1.277. Tali società, infine, gestivano 184 forni, 18 pastifici, 16 mulini, 31 macellerie e 5 impianti diversi, per un totale di 254 impianti industriali. 3 1 Le forze della Lega Nazionale delle Cooperative, in "La Cooperazione italiana", 23 dicembre 1921. 2 Il Consiglio della Lega ribadisce i capisaldi del programma di coordinamento della Cooperazione, in "La Cooperazione italiana", 4 gennaio 1918. 3 La superba ed imponente manifestazione della Cooperazione italiana", in "La Cooperazione ita- liana", 19 luglio 1918. "Le sole tre Cooperative Alleanza di Torino, Unione di Milano e Unione Militare", scriveva 'La Cooperazione italiana' il 19 aprile del 1918, "che al 1915 avevano un complessivo movimento di affari di circa trenta milioni sono salite ai cento milioni e più. "Il numero limitato di società che toccavano il milione di vendite è oggi grandemente aumentato. "In moltissimi centri si sono costituiti Consorzi e Federazioni, creati magazzini, impiantati mulini, forni, pastifici, fabbriche di conserve, pilerie di riso, ecc. ecc. per modo che anche nel campo della produzione attualmente la cooperazione raggiunge parecchi milioni di lire. "L''Alleanza' di Torino lavora, con due mulini, trecento quintali di farina al giorno e produce coi suoi forni trecento quintali di pane. Una eguale produzione di pane da alla città di Milano la Federazione delle Cooperative. "Il Consorzio Italiano delle Cooperative s'avvia già verso un movimento di circa 20 milioni all'anno. "Nel Lazio ove vivevano stentatamente 28 Cooperative, se ne contano oggi circa 200. "Il primo trimestre di esercizio del Consorzio romano, che raccoglie 43 cooperative e che serve oltre 70 mila persone, ha fatto un movimento di circa un milione e mezzo. "A Reggio Calabria, la Cooperativa generale di consumo, costituita durante la guerra pei soli im- piegati, ed ora aperta a tutti i cittadini, vende per un importo di oltre centomila lire al mese. "Il Consorzio di Napoli, sorto con 9 Cooperative aderenti, oggi ne conta 45 ed ha raggiunto una fortissima cifra d'affari. "A Milano, le 53 Cooperative, esistenti prima della guerra, hanno raggiunto il centinaio e si può ritenere che insieme all'Azienda Annonaria Comunale i! movimento degli affari che si realizzerà nel cor- rente anno oltrepasserà i cento milioni." (Il nuovo ordinamento del Commissarialo dei consumi, "La Cooperazione italiana", 19 aprile 1918.) 249

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Cooperazione e fascismo nella crisi dello stato liberale (1918-1925)

DI FERDINANDO CORDOVA

Il movimento cooperativo italiano aveva avuto, durante gli anni della Prima guerra mondiale, un notevole incremento. Alla fine del 1917, ade­rivano direttamente, alla Lega nazionale, ben 2162 cooperative1 mentre altre cinquemila erano, ad essa, collegate.2 Dei un'inchiesta fra le coope­rative di consumo, svolta mediante un questionario al quale avevano ri­sposto solo 752 associazioni su 2.350 e resa nota in occasione del loro Congresso nazionale, nel maggio del 1918, risultò che le cooperative cen-site contavano 252.556 soci, con quarantamila iscritti in più, rispetto a prima della guerra, e che l'ammontare dei loro capitali e delle riserve era pari a 30 milioni di lire, con un notevole incremento rispetto ai 18 milioni dell'anteguerra. L'insieme delle vendite era, inoltre, salito, dai 108 milioni del 1914, ai 263 milioni circa del dicembre 1917 e gli spacci cooperativi da 1.020 a 1.277. Tali società, infine, gestivano 184 forni, 18 pastifici, 16 mulini, 31 macellerie e 5 impianti diversi, per un totale di 254 impianti industriali.3

1 Le forze della Lega Nazionale delle Cooperative, in "La Cooperazione italiana", 23 dicembre 1921.2 Il Consiglio della Lega ribadisce i capisaldi del programma di coordinamento della Cooperazione, in

"La Cooperazione italiana", 4 gennaio 1918.3 La superba ed imponente manifestazione della Cooperazione italiana", in "La Cooperazione ita­

liana", 19 luglio 1918. "Le sole tre Cooperative Alleanza di Torino, Unione di Milano e Unione Militare",scriveva 'La Cooperazione italiana' il 19 aprile del 1918, "che al 1915 avevano un complessivo movimentodi affari di circa trenta milioni sono salite ai cento milioni e più.

"Il numero limitato di società che toccavano il milione di vendite è oggi grandemente aumentato."In moltissimi centri si sono costituiti Consorzi e Federazioni, creati magazzini, impiantati mulini,

forni, pastifici, fabbriche di conserve, pilerie di riso, ecc. ecc. per modo che anche nel campo della produzione attualmente la cooperazione raggiunge parecchi milioni di lire.

"L''Alleanza' di Torino lavora, con due mulini, trecento quintali di farina al giorno e produce coi suoi forni trecento quintali di pane. Una eguale produzione di pane da alla città di Milano la Federazione delle Cooperative.

"Il Consorzio Italiano delle Cooperative s'avvia già verso un movimento di circa 20 milioni all'anno."Nel Lazio ove vivevano stentatamente 28 Cooperative, se ne contano oggi circa 200."Il primo trimestre di esercizio del Consorzio romano, che raccoglie 43 cooperative e che serve oltre

70 mila persone, ha fatto un movimento di circa un milione e mezzo."A Reggio Calabria, la Cooperativa generale di consumo, costituita durante la guerra pei soli im­

piegati, ed ora aperta a tutti i cittadini, vende per un importo di oltre centomila lire al mese."Il Consorzio di Napoli, sorto con 9 Cooperative aderenti, oggi ne conta 45 ed ha raggiunto una

fortissima cifra d'affari."A Milano, le 53 Cooperative, esistenti prima della guerra, hanno raggiunto il centinaio e si può

ritenere che insieme all'Azienda Annonaria Comunale i! movimento degli affari che si realizzerà nel cor­rente anno oltrepasserà i cento milioni." (Il nuovo ordinamento del Commissarialo dei consumi, "La Cooperazione italiana", 19 aprile 1918.)

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Non abbiamo trovato dati esatti, per quel che riguarda le cooperative di produzione e lavoro e quelle agricole. Al Congresso del febbraio 1918, tuttavia, istitutivo di una Federazione nazionale delle cooperative agrico­le, furono rappresentate 114 associazioni di questo tipo4 e, a quello del maggio, convocato anch'esso per dar vita ad una federazione, aderirono 670 cooperative di produzione.5

La cooperazione italiana, inoltre, poteva contare su un Istituto nazio­nale di credito, il cui movimento generale di cassa, al dicembre del 1917, ammontava a 633.028.300 lire.6

Questo considerevole sviluppo del movimento si era realizzato, però, in modo piuttosto caotico. In preparazione, infatti, dei congressi, ai quali abbiamo sopra accennato, la segreteria della Lega riconobbe che:

La spedizione degli inviti alle ottomila cooperative d'Italia ha avuto, nell'oc­casione dei prossimi congressi, un risultato tutt'altro che confortante perché ogni giorno ci ritornano pacchi di circolari non recapitate, con la solita motivazione "sconosciuto" o "non esiste".

Alcune centinaia di circolari non hanno, cosi, raggiunto la loro destinazione.7

Era naturale, dunque, che, il 27 dicembre del 1917, il consiglio diret­tivo della Lega stabilisse di dar vita ad un nuovo ordinamento, il quale doveva comprendere, in tre grandi federazioni — consumo, produzione e lavoro ed agricoltura — tutti i rami dell'attività cooperativa. Alla Lega sarebbe rimasto — come si espresse Vergnanini — "l'alto patrocinio mo­rale di tutto il movimento cooperativo" ed essa avrebbe continuato a svol­gere "la sua funzione di assistenza tecnica, contabile, amministrativa e legale" ,8

La nuova struttura doveva servire, oltre che per ragioni interne, a me­glio affrontare il dopoguerra, durante il quale il movimento cooperativo avrebbe dovuto — nelle intenzioni, almeno, dei suoi dirigenti — parte­cipare attivamente alla ricostruzione del paese. Per questo motivo, alcuni esponenti della Lega — ed in particolare Vergnanini — perseguivano un ampio progetto di fusione delle associazioni esistenti, senza tener conto della loro fede politica o religiosa, al fine di dar vita ad organismi potenti ed in grado di inserirsi efficacemente nella economia della nazione.

La Lega Nazionale delle Cooperative — scriveva, infatti, La Cooperazione ita­liana del 22 febbraio 1918 — lanciando il suo appello a tutte le Società agricole d'Italia per la fusione delle loro energie ha considerato come elemento indispen­sabile ad assicurare il completo successo della sua iniziativa questi due principi morali:

a)la massima tolleranza politica e religiosa;b)la maggiore larghezza possibile nei rapporti di fratellanza con tutte le con-

sorelle che potranno godere di tutti i vantaggi della Federazione, anche se non aderenti.

Concepire un'opera di riordinamento della cooperazione italiana con criteri di intransigenza politica o religiosa; pretendere di stringere in un fascio tutte le forze

4 La superba ed imponente manifestazione della Cooperazione italiana, cit.5 Ibid.6 Istituto Nazionale di Credito per la Cooperazione. Relazione del Consiglio d'amministrazione sul

quarto esercizio e sul bilancio al 31 dicembre 1917, in "La Cooperazione italiana", 12 aprile 1918.7 Congressi Nazionali della Cooperazione, in "La Cooperazione italiana", 5 luglio 1918.8 Consiglio Direttivo della Lega Nazionale delle Cooperative, in "La Cooperazione italiana", 4 gen­

naio 1918.

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cooperative d'Italia imponendo condizioni restrittive di rinunce ad idealità, a tra­dizioni, costituirebbe un colossale errore tattico, che si risolverebbe nel più grande insuccesso.

Secondo il giornale, "ritenuto necessario, per un più rigoroso impulso della cooperazione, un serio lavoro di riordinamento", bisognava "con­venire che solo con un reciproco sforzo di tolleranza sarà possibile una feconda intesa ed una completa fusione di tutte le energie", dal momento che la cooperazione era "di per se stessa un partito politico, anzi il mag­gior partito politico che possa preparare un più onesto e più giusto or­dinamento sociale, per la ragione che essa vuole organizzare la produzione e la distribuzione della ricchezza non secondo il tornaconto di chi produce e commercia, ma secondo l'interesse di chi consuma, vale a dire di tutti i cittadini". La cooperazione, in breve, doveva "raccogliere in una operosa concordia tutti i lavoratori al disopra di qualsiasi preconcetto politico e" doveva "cementare la loro azione con la più larga tolleranza".9

Al Congresso costitutivo della Federazione nazionale delle cooperative agricole, che si tenne in Reggio Emilia il 24 febbraio del 1918, si poté rilevare, però, che questi concetti non erano condivisi da tutti i dirigenti del movimento cooperativo. Mentre Vergnanini, infatti, sostenne la ne­cessità di costituire un organismo "aperto" e sostanzialmente apartitico, Mazzoni, Baldini e Bernaroli reclamarono che il nuovo istituto si muo­vesse accanto e di concerto con la Federterra, escludendo dalle proprie file, dunque, tutte quelle associazioni agricole, che non aderissero ad un programma socialista. Alla base di questa proposta, c'era — è evidente — l'intento di salvaguardare l'unità del movimento socialista, con l'ovvia esclusione di quanti potessero metterla in pericolo o indebolirla, ma con l'osservanza di uno stretto accordo tra organismi affini.10 Una terza ten­denza, che suggeriva di distinguere tra il campo dell'assistenza e quello degli affari, proponendo, solo per il primo, l'adesione alla lotta di classe, non ebbe molto seguito.

La disputa, nel campo delle cooperative agricole, si risolse in una scon­fitta per i sostenitori della "neutralità" politica, in quanto venne appro­vato a maggioranza — 82 voti contro 29 — un ordine del giorno Mazzoni, che ammetteva a far parte della Federazione solo le cooperative, le quali svolgessero "la loro azione nelle direttive di classe tracciate dagli orga­nismi nazionali della resistenza e della cooperazione".11

Malgrado tale decisione, La Cooperazione italiana insisté nel sottoli­neare il carattere apolitico della Lega, ponendolo — come abbiamo già

9 La grande opera di coordinamento e di fusione delle forze Cooperative in azione, in "La Coo­perazione italiana", 22 febbraio 1918.

10 La Federazione Nazionale delle Cooperative Agricole è un fatto compiuto, in "La Cooperazioneitaliana", 1° marzo 1918.

11 Un secondo ordine del giorno, presentato da Casalini, dettava così: "Le Cooperative agricole in-scritte alla Federazione dovranno essere aperte a tutti e ispirarsi alla politica di classe dei lavoratori piùvolte menzionata dalla triplice della cooperazione, della previdenza e della resistenza." Un terzo, ed ul-timo, ordine del giorno, ritirato, però, dopo una lunga discussione, prevedeva, semplicemente, che laFederazione fosse aperta alle cooperative "legalmente costituite". Il Congresso decise, inoltre, che la Fe-derazione avesse sede in Bologna e nominò il suo primo consiglio di amministrazione nelle persone di:Antonio Vergnanini, Primo Ballarmi, Giovanni Faraboli, Mario Piazza, Narsete Campanini, Nullo Baldini,Giovanni Goldoni, Bindo Pagliani e Giuseppe Nostrini. Tale consiglio ricevette l'incarico di compilare lostatuto definitivo, di preparare tutti gli atti per l'erezione in ente morale e di raccogliere le adesioni.Avrebbe dovuto, infine, entro l'anno, dar conto del suo operato. La Federazione Nazionale delle Coo-perative Agricole è un fatto compiuto, in "La Cooperazione italiana", 1° marzo 1918.

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detto — in rapporto all'esigenza di forti organismi unitari economicamen-te competitivi ed in grado di partecipare alla ricostruzione del paese.12 Il 12 aprile, anzi, insorgendo in difesa di Alessandro Schiavi, che, in quanto socialista, era stato revocato dalla carica di amministratore della Unione cooperativa di Milano,13 polemizzò con l' Avanti!, che si faceva deciso so­stenitore della cooperazione politica. "Pensare a Cooperative strettamente legate alle vicende di un partito", ammonì, "vuoi dire creare degli orga­nismi destinati a correre tutti i rischi ed i pericoli delle lotte politiche"; e se deplorò che l'Unione cooperativa avesse potuto, con un voto inconsulto, "offrire ragione alla punta estrema del socialismo ufficiale di trascinare il movimento cooperativo di consumo fuori dalla sua direttiva più logica", dichiarò, altresì, di non potere accettare i criteri dell'Avanti! che costi­tuivano "un errore teorico e pratico, contrario ai grandi interessi della cooperazione".14

Ancora nel maggio, il giornale ritornò ad affermare la neutralità della Lega15 e, il 24, pubblicò una circolare di Vergnanini, ai consiglieri generali, nella quale venne annunziata la decisione di svolgere a Milano, nel suc­cessivo mese di giugno, i congressi delle cooperative di produzione e di consumo, nonché il XVIlI Congresso nazionale della Lega. In essa, il se­gretario generale non perse occasione, tracciando le direttive per il do­poguerra, di ribadire le sue convinzioni.

La classe lavoratrice — scrisse, infatti — non deve limitare la sua azione re­stringendola alla vecchia forma della lotta di classe pura, negativa, di semplice pressione esterna, restando fuori della zona delle attività direttive, ma deve al­largare e completare i concetti formalisti della lotta di classe pura, nel senso di penetrare fra le compagini del mondo borghese come elemento positivo, inter­venendo direttamente a far valere nel conflitto degli interessi di classe, quelli del proletariato, non solo chiedendo nelle organizzazioni di resistenza aumento di salario e miglioramento del contratto di lavoro, ma propugnando e sostenendo colle organizzazioni cooperative criteri amministrativi solidaristi per una più ra­zionale gestione dell'azienda sociale, mettendosi in contatto cogli ordinamenti del­l'economia liberista per correggerli, trasformarli e subordinarli al supremo inte­resse della collettività.16

Proprio in vista dei congressi, infine, che vennero spostati, per dif­ficoltà tecniche, al luglio del 1918, sempre Vergnanini, sulla Cooperazione italiana, affrontò, in un ampio articolo, l'arduo tema dei problemi, che il

12 "Il programma di azione che la Lega ha ripetutamente prospettato", scriveva il giornale, "in base alquale la cooperazione, nel dopoguerra, dovrà assumere un atteggiamento di vigorosa battaglia prendendoposizione in tutti i campi della attività industriale e commerciale, assumendo il peso dei più importantilavori pubblici, organizzando servizi tecnici e mezzi di lavoro di grande stile, diventando la sicura difesadei consumatori, la vigorosa collaboratrice di tutte le più moderne applicazioni della scienza per l'au-mento della produzione nazionale, e per l'elevamento morale, politico ed economico delle masse, questograndioso programma, in forza del quale milioni di lavoratori saranno trasformati sotto lo stimolo dell'in-teresse di cooperatori, in altrettante volontà coscienti ed operanti al migliore risveglio della nazione, nonpuò trovare la sua piena esplicazione se non nella solidale concordia di tutti i cooperatori, di 'tutte leenergie cooperative', se non nella fusione di tutti gli sforzi, nella perfetta coesione degli organismi sparsiper l'Italia e che devono formare un grande e compatto organismo, saldamente costrutto." (Affrettiamo ilriordinamento definitivo delta cooperazione italiana", in "La Cooperazione italiana", 5 aprile 1918.)

13 La neutralità della cooperazione contro tutte le sopraffazioni politiche, in "La Cooperazione ita-liana", 12 aprile 1918.

14 Ibid.15 Mentre ferve il lavoro di difesa e di coordinamento della Cooperazione di consumo, in "La Coo-

perazione italiana", 17 maggio 1918.16 Sempre per il coordinamento delle forze cooperative, in "La Cooperazione italiana", 24 maggio

1918.

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dopoguerra poneva al paese, e dei compiti della cooperazione. Rilevato che il bilancio dello stato avrebbe subito nuovi aumenti, sì che le spese avrebbero gravato, su di esso, fino ad una somma di dieci miliardi l'anno, Vergnanini si domandò come avrebbe potuto l'Italia sopperire a questo enorme onere, dato che il suo reddito annuo si aggirava, prima della guer­ra, fra i dodici ed i quindici miliardi.

La risposta — scriveva — è molto ovvia. Solo aumentando proporzionalmente la sua produzione il nostro paese potrà uscire dalla situazione difficile. Solo prov­vedendo con la massima sollecitudine ai mezzi di lavoro, agli impianti, alla mano d'opera ed al finanziamento l'Italia potrà aprirsi la via alla restaurazione.

Da questa premessa, scaturiva un ampio piano di lavori pubblici, in­dustriali ed in agricoltura, che avrebbero permesso non solo l'assorbimen­to della mano d'opera smobilitata, senza che si dovesse ricorrere all'emi­grazione, ma avrebbero anche trasformato il paese in una fucina operosa. In questa prospettiva, parte fondamentale avrebbe avuto il movimento cooperativo.

La cooperazione di produzione e lavoro — affermava Vergnanini — armata di potenti congegni tecnici e mezzi d'opera, fusa in una grande e solida unione na­zionale, col suo numeroso esercito ripartito in addestrate maestranze, sotto il con­trollo diretto dello stato, largamente finanziata dal capitale nazionale ed estero, dovrà essere considerata come la istituzione più adatta per la mobilitazione della forza lavoro nel dopoguerra e per mettere le classi operaie in diretto contatto col movimento economico del paese.17

Ai congressi nazionali, che si tennero dal 13 al 15 luglio in Milano,18 i temi, che abbiamo fin qui indicato e che erano stati al centro della di­scussione — primo, fra tutti, il carattere da dare alla cooperazione — ritornarono sul tappeto.

Già il primo giorno, dedicato alle cooperative di consumo e ad una loro erigenda Federazione nazionale. Angiolo Cabrini, nel corso di un suo lungo ordine del giorno, ebbe a deplorare l'abbandono in cui era "stata lasciata la cooperazione di consumo [...] dalla grande maggioranza dei deputati", che avevano fatto parte del gruppo parlamentare degli amici della cooperazione istituito nel 1915 e composto da onorevoli di etero­genea provenienza politica. Si riservò, inoltre, di trarre norma dall'acca­duto per decidere — in seno al congresso generale — "sulla rappresentanza parlamentare della Cooperazione e sui criteri che, d'ora innanzi, dovranno regolare la scelta della rappresentanza". Fu l'occasione perché Ulivi, di Milano, chiedesse apertamente di affidarla soltanto al gruppo socialista.

Il giorno successivo, alcuni delegati, che facevano capo a Quaglino e Marchetti, chiesero che le associazioni, aderenti alla nuova federazione delle cooperative di produzione e lavoro, fossero diretta emanazione della organizzazione operaia e che i loro soci avessero l'obbligo di iscriversi ai rispettivi sindacati di mestiere.

La polemica, infine, raggiunse toni accesi durante il congresso della Lega, che si tenne il 15, dove la spaccatura passò — principalmente — tra

17 I problemi del dopoguerra, in "La Cooperazione italiana", 14 giugno 1918.18 La superba ed imponente manifestazione della Cooperazione italiana., in "La Cooperazione ita-

liana", 19 luglio 1918.

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socialisti e repubblicani. Alessandro Schiavi, chiamato a presiedere i lavo-ri, ricordò, infatti, senza mezzi termini, che fine dei cooperatori doveva es­sere la lotta di classe e la socializzazione della proprietà e dichiarò che, se il movimento avesse lavorato per il socialismo e nel socialismo, tanto più avrebbe superato i pericoli nascenti dall'operare nel mondo capitalistico. Ulivelli, Pastore e Ramella ribadirono, su toni diversi, questi concetti e Ca-brini, infine, invitò il congresso ad affermare: "1) la piena solidarietà della cooperazione con la resistenza; 2) la confluenza dei due movimenti nella so­cializzazione dei mezzi di produzione e di scambio; 3) la precisa indicazione della organizzazione di resistenza nella Confederazione del lavoro".

Era ovvio che queste posizioni incontrassero l'ostilità e di Bassi, pre­sidente della Lega, che, pur rallegrandosi per lo "spirito battagliero" dei socialisti, invocò larga tolleranza politica, e dei repubblicani Carnielli, di Sampierdarena, e Fusacchia, di Terni, che si richiamarono all'insegna­mento di Mazzini.

Alla fine dei lavori, venne approvato, non senza opposizioni ed osti­lità,19 un ordine del giorno, presentato da alcuni organizzatori socialisti,20 che dava mandato al consiglio direttivo di informare l'attività della Lega al principio della socializzazione dei mezzi di produzione e di scambio e di agire, perciò, in pieno accordo con le organizzazioni della classe lavora-trice che tendevano al medesimo fine. Per il gruppo parlamentare, invece, si convenne che fosse aperto a deputati di tutte le correnti politiche, pur­ché amici della cooperazione.

I congressi, in effetti, oltre a dar vita alle due federazioni delle coo­perative di consumo e di produzione e lavoro, avevano dato una sterzata a sinistra, per quel che riguardava l'indirizzo politico della Lega. Era man­cata, però, la volontà di andare a fondo, come dimostrava la composi­zione del gruppo parlamentare.21

Fu cosi che Vergnanini, un mese dopo, prendendo spunto dal conflitto tra Partito socialista e CGdL, circa la partecipazione alle commissioni per il dopoguerra22 poté ribadire l'autonomia del movimento operaio dai par- titi politici, affermando che "la lotta di classe, e la vita della organiz­zazione in cui la lotta di classe si esplica, ha esigenze di continuità, di metodo, che non possono essere subordinate alle direttive dei partiti, al­l'alterna vicenda delle maggioranze e delle minoranze".23

19 Alcuni coopera tori (Mario Biavati , Ettore Cuzzani, Aris t ide Rubini , Alfredo Gamberini ed Obert i ," repubbl icano d i Pisa") so ttoscri ssero , "a nome delle vent i coopera tive che rappresentano", una protes ta"contro i l sistema con i l quale s i è votato l 'ordine del giorno per l ' indirizzo generale della Lega Nazionalede l le Cooper a t ive" . In e ssa sos t enne ro che t a le or d ine de l g io rno e ra s ta to pos to i n vo taz ione , ed ap ­provato , pr ima che la discussione fosse f ini ta , r ivendicarono l ' indipendenza del le coopera t ive dai part i t ipoli t ici e ricordarono che la CGdL non era l 'unico organismo operaio esis tente.

20 L'ordine del giorno fu presenta to da Pastore , Azzimont i , Ramel la , Fer rar i , Morell i , Gambini , Za-maglino. Villa.

21 I l gruppo parlamentare — secondo le decisioni del congresso — doveva essere composto da uominiche, "per la loro azione, per i loro principi , per la loro condot ta poli t ica", dessero garanzie di accet tare i lprogramma della cooperazione e di esserne sostenitori f idati e combatt ivi.

22 Il consiglio nazionale della CGdL, riunitosi l'8 maggio del 1918, chiese, al governo, che proprirappresentanti fossero inclusi nella commissione per lo studio dei problemi del dopoguerra. Il successivo 2giugno deliberò, con 9 voti favorevoli e 2 astenuti, di procedere alla designazione dei candidati. La di-rezione del PSI dichiarò subito di considerare tali atti come forma di collaborazione e, allorché il governoaccettò i nomi proposti dalla CGdL, diffuse un comunicato per richiamare i compagni alle delibere deicongressi e per invitarli ad essere loro fedeli. Di fronte a simile comportamento, il consiglio direttivo dellaConfederazione presentò, il 26 luglio, le dimissioni (La Confederazione Generale del Lavoro negli atti, neidocumenti, nei congressi [1906-1926], a cura di Luciana Marchetti, Milano 1962, pp. 238 sgg.).

23 L'autonomia del movimento operaio dai partiti politici, in "La Cooperazione italiana", 2 agosto1918.

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In verità, ai dirigenti della Lega — o, almeno, ad una parte di loro — convinti che la possibilità di partecipare al processo di ricostruzione del paese passasse attraverso un accordo con le classi dirigenti, sembravano sfuggire, a nostro avviso, alcuni elementi di giudizio della realtà. Se è vero, infatti, che il movimento cooperativo aveva raggiunto uno sviluppo, tale da permettergli di dar vita, come abbiamo visto, nel corso del 1918, a tre organismi federativi, è altrettanto vero che esso si poneva su un piano di concorrenza industriale con le imprese private. Proprio il periodo di guerra, anzi, in cui le cooperative erano state investite di una serie di lavori, condotti, spesso, con risultati migliori ed a prezzi inferiori delle industrie private,24 aveva fatto intuire quale potenziale nemico esse po­tessero costituire per il futuro. Senza contare, inoltre, che le cooperative di consumo, con la loro attività calmieratrice dei prezzi, avevano certamente suscitato rancori fra i commercianti e che l'idea di un grande demanio agricolo, da affidare, nell'immediato dopoguerra, alle cooperative,25 po-teva impensierire non poco gli agrari.

Avvisaglie di questi stati d'animo si erano, in effetti, già cominciate a manifestare agli inizi del 1918 e in esse concorreva, a volte, una forte carica ideologica — o ideologizzante — sì da precorrere alcuni motivi della propaganda antisocialista del primo dopoguerra. Sintomatico, in tal sen-so, fu l'episodio — al quale abbiamo accennato — che vide protagonista Alessandro Schiavi. Lo Schiavi era stato chiamato, il 25 aprile del 1915, a far parte, come consigliere d'amministrazione, dell'Unione cooperativa di consumo di Milano. La scelta era caduta su di lui, perché — a quanto scrisse La Cooperazione italiana — "nella sua qualità di assessore del Co­mune, influente nella Amministrazione Comunale e in mezzo alle orga­nizzazioni operaie, avrebbe servito a creare quella cordialità di rapporti fra il Comune, l'Unione e le masse lavoratrici indispensabile alla migliore esplicazione del programma annonario".26 Il 7 aprile del 1918, un'assem-blea dell'associazione, convocata da alcuni interventisti, ne proclamò la decadenza, accusandolo di essersi posto, con la sua partecipazione al Con­gresso socialista internazionale di Londra, contro lo spirito altamente pa­triottico dell'Unione. Il clima, in cui la riunione si svolse, fu burrascoso, tanto che Alessandro Schiavi e Filippo Turati non riuscirono a parlare e furono costretti, "sotto una tempesta di improperi e di minacce", ad al­lontanarsi.27

Sempre nell'aprile del 1918, l'assemblea generale del Consorzio italia-

24 Il settimanale della Lega ricordò, in proposito, il Consorzio carnico delle Cooperative, che "con una potente organizzazione di approvvigionamento, di forni, di magazzini, di spacci", aveva concorso "a facilitare il largo compito" del Commissariato militare al fronte, diventando, fin dal 1916, un prezioso collaboratore del genio per l'esecuzione dei lavori nelle zone di guerra; le cooperative metallurgiche del porto di Genova, che avevano condotto a termine incarichi di riparazione e di rifacimento di navi dan-neggiate, "superando tutto ciò che si era riuscito a fare fin qui dalle più grandi e vecchie case industriali"; la Cooperativa metallurgica di Terni, che produceva proiettili e gestiva uno dei più grandi stabilimenti di Roma; le cooperative braccianti del Ravennate, che avevano strappato alla sterilità larghe estensioni di terreno, soddisfacendo alle più urgenti necessità dell'esercito (I problemi del dopoguerra, cit.).

25 I/ programma della Cooperazione davanti alla Commissione del dopoguerra, in "La Cooperazioneitaliana", 22 novembre 1918. In particolare, la Lega aveva chiesto che fossero espropriate, contro in-dennizzo, ed incorporate nel demanio agricolo, le colture estensive al di sopra dei 300 ettari e le terre noncoltivate, anche se inferiori a tale dimensione. Su questa proposta, ritornò più volte. La Cooperazione inItalia e il suo programma per il dopoguerra, in "La Cooperazione italiana", 7 febbraio 1919; Le terreincolte e il risorgimento agricolo d'Italia, in "La Cooperazione italiana" 14 marzo 1919.

26 La neutralità della cooperazione contro tutte le sopraffazioni politiche, cit.27 Ibid.; Echi dell'assemblea dell'Unione Cooperativa di Milano, in "La Cooperazione italiana", 19

aprile 1918.

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no delle cooperative ed enti di consumo, primo nucleo di quella che sa­rebbe divenuta, nel luglio, una federazione, deplorò l'opera vessatoria del commissariato ai consumi, che tendeva ad accentrare nei consorzi gra-nari, "emanazione delle forze conservatrici che hanno bisogno di ostaco­lare le forze cooperative per non danneggiare gli esercenti", i generi di monopolio.28

Nel luglio, al Congresso nazionale, Maria Gioia, segretaria, fin dal 1916, della commissione della cooperazione di consumo, non solo ripeté le accuse contro i commissariati, ma le estese a sindaci ed assessori comu­nali, che, in connivenza, spesso, con i carabinieri, avevano commesso — in tutta Italia — una serie di abusi ai danni delle cooperative di consumo.29

Qualche giorno dopo, il giornale della Lega specificò, in un cahier de doléances, alcuni di tali episodi, domandandosi, sgomento, dove si volesse arrivare.30

Nell'agosto, infine, vennero costituiti, a Firenze, una Federazione dei consorzi fra gli esercenti dei generi alimentari e, a Milano, un Fascio fra gli esercenti. Quest'ultimo inviò un memoriale al prefetto, con il quale, dopo aver rilevato "il carattere di intransigenza politica e di settarismo sociale, impresso alle decisioni prese nel Congresso della cooperazione, tenutosi a Milano", protestò contro l'annona del capoluogo lombardo, a cui attribui propositi di lotta di classe.

Si può ammettere — si chiedevano gli esercenti lombardi — che per realizzare un programma politico settario, che apporterà un sicuro danno al consumatore ed alla Nazione, gli esercenti di Milano e d'Italia abbiano ad attendere la spogliazione definitiva di ogni loro avere: frutto di lunghissimo e perseverante lavoro, mezzo unico di sostegno alla vita loro e alle loro famiglie?

La risposta — ampiamente negativa — era implicita nella costituzione del fascio.31

V'è da aggiungere, inoltre, che, per essere attuato, il programma della Lega, per il dopoguerra, aveva bisogno della collaborazione del governo. A questo principio si ispirò, infatti, il consiglio direttivo dell'associazione, che, riunitosi il 29 settembre del 1918 a Roma, approvò, fra l'altro, un ordine del giorno, presentato da Meuccio Ruini, il quale auspicava uno stretto accordo tra lo stato, i cui mezzi d'intervento e di controllo della produzione, della distribuzione e del consumo erano stati accresciuti dalla guerra, e la cooperazione, strumento capace di eliminare il sovraprofitto degli industriali e la rete degli intermediari. Per rendere tale accordo ope­rante, l'ordine del giorno chiedeva che fossero affidate alle cooperative di lavoro, fornite del materiale bellico che la fine della guerra avrebbe reso disponibile, gran parte dei lavori pubblici da compiere per la ricostruzione del paese; che fossero tentate, nel campo della produzione industriale, con l'aiuto degli organi di mobilitazione, forme nuove di gestione delle masse

28 La Federazione delle Cooperative di Consumo era sorta su un precedente consorzio, deliberato daun congresso nazionale, che si era tenuto, a Milano, il 6 e 7 novembre del 1910. I/ Consorzio Italiano delleCooperative e degli Enti di Consumo nel programma di riordinamento della Cooperazione, in "La Coo­perazione italiana", 11 gennaio 1918. Per la deplorazione, di cui nel testo, cfr. L'assemblea generale delConsorzio Italiano delle Cooperative ed Enti di consumo, in "La Cooperazione italiana", 19 aprile 1918.

29 La superba ed imponente manifestazione della Cooperazione italiana, cit.30 E sempre persecuzioni! Dove si vuole arrivare?, in "La Cooperazione italiana", 26 luglio 1918.31 Le organizzazioni dei commercianti e la cooperazione, in "La Cooperazione italiana", 16 agosto

1918.

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operaie; che la cooperazione agricola, infine, partecipasse alla nuova or­ganizzazione dell'agricoltura e la cooperativa di consumo a quella anno­naria del paese.32 Considerazioni analoghe ispirarono la lettera che An­tonio Vergnanini diresse, nel novembre del 1918, ad Edoardo Pantano, presidente della seconda commissione per lo studio delle questioni eco-nomiche, e nella quale si ribadi la necessità che lo stato considerasse "il movimento cooperativo come il suo più sicuro, sincero, devoto collabo­ratore nella ardua missione della restaurazione nazionale e per preparare la nuova era di riconoscimento economico e politico".33 Nel dicembre, infine, una delegazione, composta da Ivanoe Bonomi, Nullo Baldini, At­tilio Evangelisti e Vergnanini, chiese, mediante un memoriale, che fossero assegnati alla Federazione delle cooperative di lavoro almeno cento mi­lioni di lavori pubblici e trenta milioni di materiali di guerra.34 Ora, perché tali richieste venissero accolte, era necessario, a nostro avviso, che i rap­porti tra movimento cooperativo e stato si mantenessero in un ambito rigidamente legalitario. Da ciò derivava, dunque, la condanna, espressa dai dirigenti della Lega, dell'“epilessia bolscevica, che dalle macerie dello czarismo ha dilagato per gli imperi centrali e va manifestandosi, per vari segni, un po' per tutto”, e della rivoluzione, rappresentata quale appor-tatrice di "una più disastrosa situazione, in quanto, ancorché vittoriosa, instaurerebbe la dittatura proletaria nel momento più inadatto e difficile nel quale incombe e imperversa la crisi nei servizi della produzione e della distribuzione". Per contro, veniva, invece, esaltata l'esperienza riformista, che avrebbe modificato gradualmente, senza scompensi, i rapporti di pro­prietà all'interno dello stato, facendo salve, nel contempo, le esigenze del-la produzione.35

Senonché, la crisi economica e politica, che, con la fine della guerra, aveva preso ad investire il nostro paese, rendeva di difficile esecuzione i programmi della Lega, sulla quale gravava, comunque, per la sua pregiu­diziale solidarista, un sospetto di collettivismo. Già nel febbraio del 1919, La Cooperazione italiana era costretta a riconoscere:

Come siano stati accolti questi ammonimenti che la nostra Lega tempestiva­mente faceva pervenire al Governo, lo dice lo stato di marasma, che domina in questo momento la vita del paese. I lavori pubblici sono tuttora nelle buone in­tenzioni del ministro Bonomi, ed in quanto alla politica dei monopoli per i grandi acquisti all'estero, basta l'atteggiamento supino del Governo di fronte alle escan­descenze delle correnti maggiormente parassitane — quelle dei commercianti, de­gli intermediari, dei grossisti, dei dettaglianti, ecc. — per persuadersi di trovarsi di fronte a gente che non sa quali pesci pigliare, e che non si muove per la paura di urtare questa o quella suscettibilità.36

D'altro canto, i fermenti antisocialisti, che si erano manifestati durante il 1918, e ad alcuni dei quali abbiamo accennato, in rapporto alla coo-

32 I problemi della cooperazione dinanzi al Consiglio Generale della Lega Nazionale nel Convegno del29 settembre 1918 a Roma, in "La Cooperazione italiana", 27 settembre 1918.

33 Socialismo di Stato e Cooperazione, I due termini che devono integrarsi per la politica di domani,in "La Cooperazione italiana", 1° novembre 1918.

34 Le Cooperative di produzione e lavoro e la esecuzione delle grandi opere pubbliche dello Stato edelle pubbliche Amministrazioni, in "La Cooperazione italiana", 20 dicembre 1918.

35 La via più diretta per la redenzione dell'Italia e per il trionfo delle rivendicazioni proletarie, in "LaCooperazione italiana", 3 gennaio 1919.

36 Mentre il lavoro reclama giustamente il riconoscimento del diritto alla vita. La indecisione pe-ricolosa dei poteri responsabili, in "La Cooperazione italiana", 28 febbraio 3919.

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perazione, trovarono libero sfogo, nell'aprile, con l'assalto degli arditi — connivente la forza pubblica — all'Avanti! di Milano.37 Giù le armi!, in­vocava il giornale della Lega.

Bisogna che tutti si persuadano — commentava — gli agitatori di ieri più di ogni altro, che l'Italia, prostrata com'è dalla guerra, non può trovare in questi dolorosi episodi la via della sua salvezza, perché questa via essa può trovare sol­tanto nel lavoro fecondo, simbolo di pace, di tranquillità, segnacolo, oggi più che mai, di giustizia per tutti.38

Malgrado ciò, la Lega delle cooperative continuò ad insistere, per tutto il 1919, nel suo programma di collaborazione con il governo. Neanche quando, nell'estate, le agitazioni per il carovita colpirono, fra gli altri, le cooperative di consumo, arrecando ad esse notevoli danni, vi furono segni di ripensamento. Si spiega, cosi, che al convegno delle cooperative di con­sumo, tenutosi a Milano il 27 luglio del 1919 e nel quale vennero dibattuti alcuni temi essenzialmente tecnici,39 la possibile adesione al Partito so­cialista, che pure ritornò in discussione, fosse, ancora una volta, deman­data, per iniziativa, soprattutto, di Vergnanini, al consiglio generale della Lega. Ancora nell'agosto, il 27, sempre Vergnanini indirizzò una lettera aperta al presidente del Consiglio, Nitti, chiedendogli, in sostanza, quattro cose: nel campo dei consumi, il consolidamento degli approvvigionamenti sulla base di un grande demanio nazionale per amministrare gli impianti ed i congegni di produzione e di trasporto; in quello dei lavori pubblici, il loro affidamento alle cooperative e la formazione di un demanio di tutti i mezzi di lavoro; in agricoltura, l'istituzione, anche qui, di un demanio, al quale dovevano essere assegnati, all'inizio, almeno 500.000 ettari di terre, per la colonizzazione interna, da effettuarsi tramite le cooperative; in tutti gli altri campi, infine, dell'economia nazionale, lo sviluppo del movimento cooperativo.40

In vista delle elezioni politiche del novembre 1919, per concludere, Felice Manfredi si rammaricò che le divisioni del movimento impedissero la presenza di un partito dei cooperatori e formulò l'ipotesi, equivalente ad un invito, che gli aderenti alla Lega avrebbero votato per i socialisti più moderati.41

In effetti, alla base di tanto salda adesione alla pratica riformista, c'era, a nostro avviso, non solo Il peso di una tradizione, ma anche una dichiarata sfiducia nella capacità d'agire del movimento operaio italiano. Proprio Vergnanini, scrivendo a Nitti, avrebbe considerato follia "credere che il proletariato potesse — sia con un fortunato colpo insurrezionale, sia in qualsiasi altro modo — sostituirsi alla borghesia"42 ed aveva indicato, nella collaborazione fra le due classi, l'unica via d'uscita alla crisi del dopoguerra.

37 Per l 'assalto all'“Avanti!” di Milano, e per le connivenze da cui nasceva, cfr. FERDINA NDO CO RDO VA,Arditi e legionari dannunziani, Padova 1969, pp. 25 sgg.

38 Giù le armi!, in "La Cooperazione italiana", 18 aprile 1919.39 Le ripercussioni della vindice sollevazione popolare contro gli eccessi della speculazione privata e

per i l r ibasso dei prezzi d i vendi ta su l movimento cooperat ivo , in "La Cooperazione i ta l iana", 18 lugl io1919; La magni f ica r iusci ta del Convegno del le Cooperat ive d i Consumo tenutosi a Mi lano domenica 27luglio, in "La Cooperazione i tal iana", 1" agosto 1919.

40 Per usc ire dal la cr is i . Let tera aper ta a S . E . Francesco Ni t t i , in "La Cooperazione i ta l iana" , 29agosto 1919.

41 Le elezioni Poli t iche e i Cooperatori , in "La Cooperazione i tal iana", 10 ottobre 1919.42 Per usc ire dal la cr is i . Le ttera aperta a S. E. Ni t t i , ci t .

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Senonché, il successo elettorale del Partito socialista, che ottenne 156 deputati e quasi due milioni di voti, provocò un ripensamento improvviso della Lega nei suoi confronti. All'indomani delle elezioni, La Cooperazione italiana riconobbe che i risultati avevano superato ogni più logica aspet­tativa.

La strepitosa vittoria del Partito socialista — scriveva il giornale — in questo gravissimo momento di generale perturbazione, acquista un valore ed un signi­ficato eccezionale.

Non è la semplice affermazione di un principio in mezzo alle consuete gare della politica astratta, ma è la ribellione aperta, travolgente delle masse lavora-trici, della parte più viva, più fattiva, più necessaria all'economia sociale, che prorompe inesorabile contro il vecchio regime, contro il privilegio e il parassitismo borghese, contro la incoscienza e la codardia delle classi dirigenti che hanno por­tato l'Italia sull'orlo del fallimento!

La borghesia — secondo il giornale — avrebbe dovuto, all'indomani della guerra, dar mano ad un'opera di trasformazione economica del pae­se, mediante un vasto programma di lavori pubblici e di riforme. Non avendolo fatto, toccava, adesso, al Partito socialista, "che la prova delle urne ha oggi caricato delle maggiori responsabilità", uscire dall'opposi­zione e dimostrare, coi fatti, la sua superiorità sulle classi borghesi.43

Fu Angiolo Cabrini, però, il 23 novembre del 1919, a porre in concreto la questione dei rapporti tra Lega delle cooperative e Partito socialista. In un lungo articolo su La Cooperazione italiana, a cui fu dato il risalto della prima pagina, egli sostenne che il gruppo parlamentare socialista, del qua-le facevano parte non pochi cooperatori, risultava il naturale rappresen­tante della Lega. La pretesa apoliticità della cooperazione, al fine di sal­varne la compattezza, era stata, in effetti, resa vana dalla presenza, alla Camera, di un forte gruppo popolare, che sarebbe stato il portavoce dei cattolici. Bisognava prendere atto, ormai, di questa spaccatura e bisogna­va, altresì, tener conto che il Partito socialista, nel Congresso dell'ottobre 1919, a Bologna, s'era posto, come programma massimo, la conquista del potere e la socializzazione dei mezzi di produzione.

Ora non è chi non intravveda — osservava Cabrini — la parte che alle isti­tuzioni cooperative spetta nell'avviamento alla gestione sociale della produzione e dello scambio: non è chi non intravveda i servizi che le Cooperative sono chiamate a prestare nella trasformazione sociale, affiatate con i Sindacati e con i Consigli degli operai e dei contadini — al centro e alla periferia della nazione — per la produzione e per Io scambio dei prodotti.

Tale affiatamento non deve essere improvvisato all'indomani dell'espropriazio­ne politica ed economica che è in corso di svolgimento, ma va predisposto sino da ora, cioè, di preparazione della armatura politico-sociale che le stesse esigenze fondamentali della vita della nazione vogliono sostituita all'ordinamento borghese fallito in tutti i campi e a tutti i compiti della civiltà contemporanea.44

Nel commentare questo articolo, Vergnanini si disse completamente d'accordo, rivendicando solamente, al movimento cooperativo, una certa

43 La vittoria del socialismo, le sue responsabilità e il suo dovere, in "La Cooperazione italiana", 21novembre 1919.

44 L'azione parlamentare della Lega delle Cooperative nella XXV Legislatura, in "La Cooperazioneitaliana", 28 novembre 1919.

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libertà tattica. Qualche giorno dopo precisò, su richiesta di Cabrini, che tale libertà consisteva nel "diritto di decidere sempre sull'opportunità dei metodi che il gruppo intende di adottare in difesa degli interessi della cooperazione. Patrocinio anche esclusivo al gruppo parlamentare, ma in quanto non contrasti col programma e colla tattica della cooperazione, la quale è e deve restare arbitra della sua politica", pure quando, inciden­talmente e per la necessità di operare nella vita economica borghese, fosse stata in contrasto con quella del partito.45

La discussione, a favore o contro la proposta Cabrini, si svolse, vivace, nella stampa, per circa un mese, fino a che, al consiglio generale della Lega, tenutosi a Roma l'8 ed il 9 febbraio del 1920, la maggioranza decise, da un lato, un più stretto rapporto con le altre organizzazioni di classe, e, dall'altro, di affidare la propria rappresentanza al gruppo parlamentare socialista.46

I. Il Sindacato nazionale delle cooperative

Negli stessi giorni, però, in cui la Lega approdava cosi, ufficialmente, alla sponda socialista, un nuovo organismo — il Sindacato italiano delle cooperative — venne costituito, a Roma, con l'intento di raccogliere tutte le associazioni che fossero "al di fuori e al di sopra di ogni politicantismo" e di unire "quelle forze operaie che la ideologia politica poteva dividere".47

L'iniziativa era stata presa, il 30 novembre del 1919, dal consiglio nazio­nale dell'Unione italiana del lavoro ed era stata affidata ad un personag-gio, Carlo Bazzi, repubblicano, già interventista, con non poche zone d'ombra,48 divenuto amico di Mussolini e dei fasci — come avrebbe egli

45 Sempre per i rapporti fra la Cooperazione e i l Parti to Socialista, in "La Cooperazione i tal iana", 5dicembre 1919.

46 Cfr . La Lega Nazionale e i l Gruppo Parlamentare Social i s ta. Consensi e d issensi de l la propostaCabrini, in "La Cooperazione i tal iana", 12 dicembre 1919; Ancora sulla proposta Cabrini per i l patrocinioparlamentare al Gruppo Socialis ta, in "La Cooperazione i ta l iana", 2 gennaio 1920; Consiglio Generaledella Lega Nazionale del le Cooperative , in "La Cooperazione i ta l iana" , 13 febbra io 1920. I l voto delconsiglio generale provocò le dimissioni , da presidente della Lega, di E. Bassi , che cosi motivò, fra l 'altro,l a s ua dec i s ione : " Pe r me è in fa t t i g rav is s imo e r r or e i l c rede re e i l s os tene re che l a f i na l i tà de l l a coo-perazione s ia i l co lle t t iv ismo del la propr ie tà pr ivata [ . . . ] . Grave errore è pur quel lo d i negare ogni equocompenso al capitale azionario, come se il capitale non fosse necessario alle cooperative; come se dacattivo padrone non potesse divenire ottimo servitore e, come tale, meritevole di equo compenso [...]. Piùgrave poi è la deliberazione circa la mozione Cabrini, con la quale la Lega non può esercitare una propriaazione parlamentare che attraverso il Partito socialista. Tanto è più grave questo voto, perché il ConsiglioGenerale non era competente a pronunciarlo, e perché è risaputo che il Partito socialista non è ancoratutto favorevole alla cooperazione, la quale conta invece sinceri amici in tutti i partiti" (Nessun mu-tamento di rotta. La Lega batte sempre la via maestra della Cooperazione, in "La Cooperazione italiana",12 marzo 1920).

47 I/ Sindacato Nazionale delle Cooperative, Roma s.d., p. 9. Per lo statuto e le cariche del nuovoorganismo, cfr. La Costituzione del Sindacato Nazionale delle Cooperative, in "Il Sindacato Cooperativo",1° marzo 1920.

48 Carlo Bazzi ebbe certamente contatti con Bolo-pascià, una spia tedesca, che aveva tentato diacquistare i servizi di alcuni giornali italiani e che era stata fucilata, nell'aprile del 1918, dai francesi. "LaRomagna Socialista" gli rivolse, fra l'ottobre del 1917 ed il gennaio del 1918, pesanti accuse di affarismo ecorruzione. Cfr., per tutti, I rapporti tra C. Bazzi e Bolo Pascià davanti al Tribunale di Ravenna, in "LaRomagna Socialista", 5 gennaio 1918. Venne, perciò, querelata per diffamazione e condannata dal tri-bunale di Ravenna. Nel 1923, tuttavia, un quotidiano filofascista di Reggio Emilia ritornò sulle accuse,pubblicando alcuni documenti inediti e gravemente compromettenti per il Bazzi. Cfr. L'organo della bancagracchia la fuga, in "Giornale di Reggio", 1° ottobre 1923. Notizie sui rapporti con Bolo-pascià sono,anche, in Archivio Centrale dello Stato (ACS), CPC, B. 422, fascicolo Carlo Bazzi.

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stesso ricordato — "quando, nel 1919 — specialmente dopo la domenica elettorale — gli squagliamenti non si contavano".49

Il Congresso costitutivo del Sindacato si tenne, a Roma, il 25 e 26 gennaio del 1920.

La Cooperazione italiana, nel darne appena un cenno di cronaca, mise in dubbio, non senza ragione, la sua pretesa apoliticità. "Alcune perso­nalità", scrisse, "che fanno parte del nuovo consiglio direttivo ci fanno fortemente dubitare che sotto l'etichetta dell'apoliticità si nasconda il con­traltare politico, mentre d'altra parte [...] non riusciamo a sapere ancora quali siano le cooperative ed i cooperatori della nuova organizzazione."50

Nel presentarlo ai suoi lettori Il Popolo d'Italia, invece, usò parole ben altrimenti lusinghiere.

Noi plaudiamo — affermò — a questo gagliardo movimento per la ripresa e lo sviluppo della cooperazione, la forma più idonea per assicurare il benessere e l'elevamento della classe operaia. E mentre il Partito socialista imperversa con la sua opera arida e verbosa, mentre le correnti della opposizione sindacalista si smarriscono in tentativi inutili e dannosi, noi consideriamo il nuovo Sindacato Nazionale della Cooperazione come lo strumento più prezioso della realizzazione operaia, a cui disinteressatamente e con viva fede noi aspiriamo.51

In effetti, se si fa caso al momento in cui il Sindacato sorse, non pos­sono non colpire alcune coincidenze. Nello stesso periodo, infatti, il fa­scismo, che aveva definito e resa esplicita la sua scelta antisocialista ed antioperaia, stava costituendo i cosiddetti "sindacati economici", anch'essi formalmente apolitici ed ispirati al principio della collaborazione di clas­se.52 Ora, proprio il periodico del nuovo organismo, Il Sindacato Coope­rativo, invitava, nel suo primo numero, a demistificare la lotta di classe. "Bisogna dire ai lavoratori — scriveva — che quand'anche si sopprimes­sero violentemente e proprietari e pescecani, distribuendone le ricchezze, essi lavoratori non dovrebbero lavorare un minuto di meno se vogliono vivere e prosperare."53

Fu subito chiaro che queste nuove associazioni sindacali e le coope­rative del Bazzi avevano una comune matrice. Fra il febbraio ed il marzo del 1920, infatti, si svolse, su Il Popolo d'Italia, uno scambio di idee fra l'organizzatore repubblicano ed Aristide Contessi, creatore dei sindacati economici.

La vita italiana — scriveva Bazzi, il 20 febbraio — è oggi paralizzata nella vicenda d'equilibrio tra socialisti e popolari, forti delle loro organizzazioni eco-nomiche, nel giuoco di compromessi e di ricatti che si consumano a spese di quell'enorme maggioranza di italiani che è, e vuoi rimanere, fuori da queste due chiese.

Ancora una volta la lotta si delinea fra la tolleranza e l'intolleranza, tra il libero esame e il dogma.

Ma l'esito di essa, in Italia, non sarebbe dubbio se con uno sforzo di volontà, con una prova di umiltà e di sacrificio, tutte le minoranze, tutte le organizzazioni

49 C A R L O B A Z Z I , Ne l mov ime nto de l l e Coop er a t i v e . R e t rosc e na e ma nov re , i n " I l Pop o lo d ' I t a l i a" , 24luglio 1921.

50 Una nuova organizzazione cooperativa?, in "La Cooperazione italiana", 30 gennaio 1920.51 Il nuovo " Sindacato Nazionale della Cooperazione", in "Il Popolo d'Italia", 5 febbraio 1920.52 Cfr. FERDINANDO CORDOVA, Le origini dei sindacati fascisti, Bari 1974. pp. 29 sgg.53 Produzione. Realtà e mistificazioni, in "Il Sindacato Cooperativo", 1° marzo 1920.

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autonome si riunissero per rivendicare la loro parte nella direzione della cosa pubblica.

Bazzi proponeva, perciò, una federazione delle minoranze sindacali di tutte le categorie, con criteri di rappresentanza professionale, tale da im­pedire "la pazzia e la speculazione scioperaiola, o la debolezza statale verso i ricatti e i ricattatori di ogni specie e colore, proletari e non pro-letari".

Nel presentare l'articolo ai lettori del suo giornale, Mussolini dichiarò di approvarlo ed auspicò, anzi, che la proposta di un congresso delle mi­noranze sindacali potesse divenire realtà."È noto", commentò, "quale è il tipo di organizzazione economica che noi vagheggiamo: un'organizzazione economica che, in quanto a tattiche, rifugga da ogni pregiudiziale e sia quindi pronta ad adottarle tutte, a seconda delle circostanze di tempo, di luogo e di ambiente."54

Aristide Contessi, intervenendo, a sua volta, il 17 marzo, indicò su quali basi sociali il fascismo tentava di dar vita ai suoi organismi sin­dacali.

La guerra rivoluzionaria — annotò — ha spezzato le barriere che dividevano i lavoratori del braccio da quelli della penna, dirò di più: se oggi, in Italia, esiste un vero proletariato, esso è composto da quella media borghesia che dai maestri ai ferrovieri forma la forza spirituale e ricostruttiva della nazione [...].

Carlo Bazzi — aggiunse — fondendo in un unico organismo nazionale tutte le cooperative autonome ha creato lo strumento massimo di liberazione nostra.

Non isoliamo i buoni, i capaci, gli intelligenti, i veramente fedeli al nostro programma.

Opponiamo tenacemente Sindacati a Sindacati, Cooperative a Cooperative, rappresentanze a rappresentanze, non cediamo un palmo alla settaria invadenza bolscevica.55

D'altra parte, la Lega delle cooperative costituiva, nel 1920, un orga­nismo rispettabile. Vi aderivano direttamente 3.840 cooperative, mentre altre quattromila circa pagavano le loro quote attraverso le federazioni locali. La Lega, dunque, comprendeva ben 8.000 cooperative, cosi sud­divise: 3.600 di consumo, 2.700 di lavoro, 700 agricole e 1.000 varie e miste, con un capitale azionario di seicento milioni ed un movimento di affari di un miliardo e mezzo.56 La sua adesione arrecava, dunque, al Par- tito socialista, prestigio, oltre a notevoli vantaggi finanziari e politici; e la cosa non sfuggiva certo ai fondatori del Sindacato nazionale delle coo­perative, i quali sostenevano, fra l'altro, che "il Partito socialista ufficiale, malgrado i suoi atteggiamenti verbali [...] trae la sua forza e la sua fortuna dal movimento cooperativo".57

Fin dall'inizio della sua attività, perciò, il nuovo sindacato fece capire da che parte stava, cominciando a rivolgere una serie di attacchi all'Isti-tuto nazionale di credito per la cooperazione ed accusandolo di essere, malgrado la sua natura di ente pubblico, al servizio della Lega.5E

54 Le minoranze sindacali in Italia. Dall'episodio alla situazione generale, in "Il Popolo d'Italia", 20febbraio 1920.

55 ARISTIDE CONTESSI, Lucciole sindacali e lanterne bolsceviche, in "Il Popolo d'Italia", 17 marzo 1920.56 Le forze della Lega Nazionale delle Cooperative, in "La Cooperazione italiana", 23 dicembre 1921.57 Il Sindacato Nazionale delle Cooperative, cit., p. 8.58 Lettera aperta al Senatore Ferrerò di Cambiano, in "Il Sindacato Cooperativo", 1° marzo 1920; La

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Quale fosse, poi, la sua consistenza effettiva è difficile, oggi, dire con esattezza. Stando alla relazione tenuta da Bazzi al Congresso costitutivo, il Sindacato nasceva con mille cooperative, che rappresentavano centomila iscritti ed un capitale di trenta milioni di lire.59 È lecito supporre, tuttavia, che tali cifre fossero del tutto, e volutamente, esagerate. Qualche anno dopo, infatti, proprio Bazzi si sarebbe vantato — nel corso di una accesa polemica — che il suo sindacato era nato con appena quattromila lire di capitale, anticipate dall'Unione italiana del lavoro.60 È probabile, anche, che le cooperative affiliate — come scrisse Umanità Nova — fossero, all'inizio, solo poche diecine.61 Certo si è che Bazzi, repubblicano, aveva dovuto contare molto sull'appoggio del suo partito, e delle cooperative da esso ispirate, che, dopo l'8 febbraio, si fossero staccate dalla Lega. Ma già il 22 maggio del 1920, il Comitato centrale del PRI, "riaffermando il prin­cipio dell'assoluta indipendenza delle organizzazioni economiche dai par-titi politici", negò qualsiasi riconoscimento al Sindacato e rifiutò "di fare obbligo, alle cooperative dirette da repubblicani, di iscriversi ad esso".62 La direzione del partito precisò, anzi, un anno dopo, rispondendo al giornale L'Epoca, che tale atteggiamento era stato assunto e mantenuto "sempre, per ragioni politiche, per ragioni di metodo e per apprezzamenti morali".63 Il 18 luglio del 1920, infatti, il comitato centrale del partito aveva ribadito la propria precedente deliberazione, dichiarando che il mancato ricono­scimento del Sindacato significava "disinteressamento, da parte della di­rezione del Partito, di iniziative di carattere privato".64

Fu solo nel maggio che la Federazione cooperativa delle Tre Venezie, composta da 158 società, aderi al Sindacato65; ed era, anche questo, fe­nomeno analogo a quanto stava accadendo, nello stesso periodo di tempo e nelle stesse province, nel campo dei sindacati fascisti, poiché la forte componente sciovinista portava quelle zone ad essere naturalmente ostili alle associazioni socialiste, aperte, invece, per coerenza ideologica, a tutte le nazionalità.66

Un mese dopo, i rappresentanti delle cooperative combattenti, riu­niti a Napoli in un Congresso nazionale, decisero di collaborare con il Sindacato, senza aderirvi67; e su questo rapporto di collaborazione Baz-

questione dell' Ist i tuto Nazionale di Credito per la Cooperazione, in "Il Sindacato Cooperativo", 1° aprile 1920; Documenti sull 'opera dell 'Ist ituto Nazionale di Credito per la Cooperazione, in "Il Sindacato Coo­perativo", 1 ° giugno 1920. Per la polemica antisocialista ed antipopolare, cfr. , anche, CA RL O BA Z Z I , Tecnica e organi del movimento economico di classe, Roma 1921.

59 Il nuovo "Sindacato Nazionale della Cooperazione", in "Il Popolo d 'Ital ia", cit .60 La figura morale dei censori del Sindacato!, in "Il Sindacato Cooperativo", 1° agosto 1922.61 L' a r t ico lo d i "Uman i t à Nova" venne r i por t a to , pe r i n t er o , da l s e t t imana le de l la Lega . Cf r . L a

polemica sulle cooperative, in "La Cooperazione i tal iana", 3 dicembre 1921.62 L'apoliticità del nostro Sindacato, in "Il Sindacato Cooperativo", 1° giugno 1920.63 Il Partito repubblicano e il Sindacato Nazionale delle cooperative, in "La Voce Repubblicana", 18

novembre 1921.64 La figura morale dei censori del "Sindacato". Repubblicani falsari, in "Il Sindacato Cooperativo",

15 agosto 1922.65 Il 2° Convegno delle Cooperative indipendenti delle Venezie, in "Il Sindacato Cooperativo", 1"

giugno 1920.66 FE RD IN A N D O CO R D O V A , Le origini dei sindacati fascisti , cit. , pp. 35 sgg.67 Fin dall'inizio, il Sindacato nazionale delle cooperative aveva puntato sui combattenti, per la

comune matrice interventista e piccolo borghese. "Il Sindacato", aveva scritto, infatti, il giornale di Bazzi,fin dal suo primo numero, "ha un programma preciso per quel che riguarda il movimento cooperativo deicombattenti [...] noi ci proponiamo di sottoporre ai poteri costituiti dei progetti di sostituzione a certiattuali organi burocratici dei sindacati cooperativi responsabili formati da combattenti". Cfr. I Mutilati, iCombattenti, gli Smobilitati e la Cooperazione, in "Il Sindacato Cooperativo", 1" marzo 1920. Nel con-gresso, che le cooperative combattenti tennero a Napoli, nel giugno del 1920, si scontrarono, tuttavia, duetendenze: la prima sosteneva la necessità di costituire, ex novo, una federazione autonoma, che fosse in

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zi poté equivocare a lungo, attribuendosi spesso cooperative non sue.68

Nell'estate, infine, il Sindacato riusci ad assicurarsi — con la compli- cità dello stato — un patrimonio notevole. Il 9 luglio, infatti, ottenne, dal Ministero del tesoro, l'assegnazione in blocco — come residuati di guerra — dei magazzini militari di equipaggiamento e vestiario di Milano e di Torino, a condizione che metà della merce fosse esportata. Il valore pre­sunto, attribuito ai beni, fu di circa venti milioni e, per entrarne in pos­sesso, bisognava versare, entro quindici giorni, cinque milioni di cauzione e settecentomila lire di tasse. Per ottenere tale somma, il Sindacato si rivolse a Pogliani ed a Toeplitz69; infine, malgrado fosse previsto che il materiale dovesse essere venduto a cooperative, il contratto venne ceduto ad una Società italo-orientale, costituita per l'occasione e dietro la quale si nascondeva un commerciante rumeno. Al Sindacato venne riservata — almeno sulla carta — una provvigione media del 7 per cento; mentre la Società italo-orientale incassò utili — a quanto scrissero i giornali del tempo — che andavano fino al mille per cento.70

Fatto si è che la Commissione parlamentare d'inchiesta per le spese di guerra fece sentire, nel 1923, la sua riprovazione.

Ed un'altra direttiva politica — si legge, infatti, nella relazione — non può qui tacersi, la quale nello immediato dopoguerra ebbe a determinare nuovi danni al­l'Erario dello Stato; il cooperativismo esperimentato e sostenuto a spese dello Stato potrà avere la sua giustificazione in apprezzamenti ed in direttive politiche che la Commissione non ha competenza ad esaminare e molto meno a giudicare, ma le conseguenze economiche che il cooperativismo ha prodotto sul bilancio della guerra non possono non essere rilevate.

La cessione delle navi alla Cooperativa Garibaldi, la cessione delle miniere statali di lignite di Narni alla Cooperativa di Minatori di Narni, la cessione del materiale residuato della guerra al Sindacato Nazionale delle Cooperative, sono alcuni esempi, o meglio alcuni indici, di queste direttive politiche, ma anche a motivo di questi esempi deve la Commissione rilevare che, dal punto di vista finanziario, essi sono stati un danno non lieve per il bilancio della guerra.

Per quanto riguardava, in particolare, il Sindacato, la Commissione aggiunse:

Lo Stato che ha ceduto, con esclusività o senza, una parte dei materiali re­siduati della guerra ad un Consorzio Cooperativo che ne ha fatto solamente og­getto di speculazione commerciale, avrà avuto certamente le sue finalità politiche, che la commissione non giudica, ma deve però constatare che da una parte è stato

grado di imporre la propria volontà al governo; l'altra proponeva di aderire al Sindacato nazionale, che poteva già contare su alcune strutture. Con una soluzione di compromesso, venne deciso, alla fine, di dar vita ad una Federazione delle cooperative combattenti, che agisse di conserva con il Sindacato. Cfr. Il Congresso delle Cooperative Combattenti delibera di trattare con il Sindacato, in "Il Sindacato Coope­rativo", 1 ° luglio 1920. Circa la consistenza numerica delle cooperative combattenti, e la loro suddivisione per regioni, cfr. OPERA NAZIONALE PER I COMBATTENTI, I combattenti e la cooperazione, Roma 1920 e 1921. Per un rapidissimo cenno, cfr., anche, GIOVANNI SABBATUCCI, I combattenti nel primo dopoguerra, Bari 1974, pp. 272-273. 68 Cfr., ad esempio. Organizzazione Cooperativa in Capitanata, in "Il Sindacato Cooperativo", 9dicembre 1920; La Cooperazione indipendente verso il trionfo. Trecento cooperative aderiscono in bloccoal Sindacato, in "Il Sindacato Cooperativo", 7 gennaio 1921; La Federazione delle Cooperative tra Com-battenti della provincia di Aquila, in "Il Sindacato Cooperativo", 28 gennaio 1921.

69 Al Giornale "L'Epoca", in "Il Sindacato Cooperativo", 23-30 dicembre 1921. La Società italo-orien-tale era costituita — stando a quanto ammise Bazzi — per metà da capitale italiano e, per l'altra metà, dacapitale rumeno, rappresentato da un certo Henri Kirschen.

70 La polemica sulle cooperative, in "La Cooperazione italiana", 3 dicembre 1921.

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tradito ogni principio di cooperazione e che, dall'altra, si è fatto un contratto che è riuscito dannoso alla finanza dello Stato.71

Nel vortice delle polemiche che lo avrebbero coinvolto, qualche mese più tardi, Bazzi ammise di aver fatto guadagnare al Sindacato, con questi sistemi, ben quattro milioni e si rammaricò, con bella spudoratezza, di non averne guadagnati di più.72 Sta di fatto che poté acquistare, come sede della sua organizzazione, un palazzo in Roma, nella centrale via della Scrofa, pagandolo, al principe Boncompagni, un milione e ottocentomila lire.73

Egli, inoltre, si guardò bene dal far sapere quali erano stati i suoi guadagni personali nelle speculazioni. Fatto si è che, giunto a Roma po­vero in canna, nel 1919, riusci a costituirsi, nel giro di pochi anni, un notevole patrimonio, che intestò, in parte, ad una società anonima.74

Il denaro guadagnato, infine, con i residuati di guerra, fu devoluto, certamente, anche ad associazioni o partiti amici, pur se non esistono — come è ovvio — prove scritte di tali finanziamenti. Non è, perciò, da scartare l'ipotesi che il fascismo si sia avvantaggiato delle losche specu­lazioni del cooperativismo "nazionale", visto che non mancano, in tal sen­so, alcuni indizi. Innanzitutto, Bazzi era certamente, nel 1920, e lo sarebbe rimasto, come vedremo, anche nel 1921, amico di Mussolini e del fasci­smo, che, non avendo ancora, peraltro, un proprio movimento coopera­tivo, non aveva alcuno interesse ad osteggiare un sindacato antisocialista. Proprio nel settembre di quell'anno, anzi, in occasione del Congresso re­pubblicano di Ancona, che impose al partito una svolta a sinistra, Bazzi rese una esplicita dichiarazione di lealtà a Mussolini.

Poiché nessun atto della vita — scrisse su Il Popolo d'Italia — potrà eguagliare per la nostra generazione quello col quale si è scelto il proprio posto nell'agosto del 1914, io rimarrò incrollabilmente fedele ai sentimenti e alle idee che deter­minarono la sua azione in quel periodo.

Perciò, mentre da un lato non posso tendere la mano a quelli dell'altra riva — se con ciò non s'intenda atto di rinuncia o di resipiscenza o se l'atto deve rimanere

71 Relazione della Commissione Parlamentare d'inchiesta per le spese di guerra, Atti parlamentari,Camera dei Deputati, Legislatura XXVI, Sessione 1921-1923, Documenti XXI, voi I, p. 31. Altri rilievi laCommissione mosse alle modalità di vendita del materiale al sindacato. Cfr. Relazione della CommissioneParlamentare d'inchiesta per le spese di guerra, cit., voi. Il, p. 787. La sottocommissione E accertò che ilsindacato avrebbe dovuto restituire allo stato, per guadagni eccessivi ed indebiti, la somma di 2.747.600lire. Cfr. I "probi" pionieri del Sindacato Nazionale. Ogni principio di cooperazione tradito, in "La VoceRepubblicana", 18 marzo 1923. La sua relazione, tuttavia, non venne pubblicata dal governo e passò,assieme agli allegati, in archivio. Un tentativo de "Il Giornale d'Italia", del marzo, di renderla nota venneimmediatamente bloccato. Per gli echi, comunque, che la notizia destò, cfr. la lettera di Guglielmo Ema-nuel a Luigi Albertini, in LUIGI ALBERTINI, Epistolario 1911-1926, voi. IV, 11 fascismo al potere, Verona 1968,pp. 1699-1700.

72 I ricattatori, "Il Giornale d'Italia", "L'Epoca", e i moralisti a cottimo, in "Il Sindacato Coope-rativo", 1° agosto 1922.

73 ACS, Presidenza del Consiglio dei Ministri, 1925, Fascicolo 3/18: Il Sindacato Italiano delle Coo-perative e il Movimento Cooperativo in Italia. Nel 1922, il Sindacato tentò di rivendere il palazzo alMinistero del lavoro, perché lo adibisse a sede dell'Ufficio nazionale per il collocamento e la disoc-cupazione. A sostegno dei suoi propositi, si mosse anche la presidenza del Consiglio. "Poiché sono staterivolte vive premure a questa Presidenza", si legge in una minuta del 24 maggio, "a favore del Sindacatosuddetto che è un istituto meritevole di particolare considerazione, si segnala la sua richiesta alla benevolaattenzione di codesto On. Ministero e si gradirà di conoscere i provvedimenti adottati."

74 Secondo un'informazione della questura di Roma, il Bazzi era proprietario di due villini in localitàCamilluccia e di un terreno, di duecentonovantamila metri quadrati, posto tra la Camilluccia e la Far-nesina. "Quando egli acquistò questo terreno," scrisse, nel 1927, la questura, "essendo impegnato in spe-culazioni molto problematiche, fra cui quelle delle famose Cooperative, costitui una Società Anonima ed anome di questa Società Anonima egli fece l'acquisto." ACS, CPC, B. 422, Fascicolo: Carlo Bazzi.

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unilaterale — mi rifiuto di impicciolire la linea intima della mia condotta e i segni vasti dei tempi, partecipando per ragioni personali o interessi locali, a quella le­vata di scudi che alcuni repubblicani sono andati coltivando — quasi mancassero ragioni o occasioni di più utilmente spendere la propria attività — contro quel movimento che si chiama Mussolini, Popolo d'Italia e fascismo, dal quale si potrà anche dissentire, ma che né può farci perdere di vista la situazione italiana negli altri suoi elementi, né deve farci dimenticare che negli anni della guerra, quegli stessi uomini che oggi si vorrebbero vituperare, erano con noi, stretti con noi con la mano, col cuore, col sangue."

Nel febbraio del 1923, inoltre, allorché la Commissione parlamentare di inchiesta per le spese di guerra rese noto il suo giudizio sul Sindacato nazionale delle cooperative, presero a circolare con insistenza voci di fi­nanziamenti a Mussolini per la marcia su Roma; tanto che la segreteria del PNF fu costretta a raccoglierle ed a smentirle.76

Il Sindacato nazionale delle cooperative, dunque, nacque da questo viluppo d'interessi, col fine dichiarato di contrastare la supremazia so­cialista e popolare.

I suoi primi mesi di vita furono dedicati, ovviamente, a creare un mi­nimo di strutture. Eventi rilevanti, in questo senso, furono il I Congresso nazionale delle cooperative abruzzesi, che si tenne a Castellammare Adria­tico il 24 agosto del 1920, e che riunì in federazione cento cooperative di produzione e lavoro, ponendo, nel contempo, le premesse per penetrare nel Molise77; il patto di alleanza, firmato, il 2 ottobre, con la Federazione italiana delle cooperative fra combattenti78; l'accordo, stipulato con l'U-nione bancaria di Milano, perché funzionasse da organismo centrale di credito in favore delle cooperative aderenti al Sindacato79 ed il I Convegno nazionale dei rappresentanti degli uffici provinciali, tenutosi a Roma nel dicembre. Al convegno furono presenti — stando alle cronache — i titolari di circa sessanta uffici e vennero approvate sia l'articolazione del sinda­cato, a livello locale, in consorzi di categoria, sia la formazione di tre consorzi centrali, nel campo delle cooperative di consumo, delle case po­polari ed economiche e delle cooperative pescatori.80 Grande pubblicità, infine, venne dedicata ad una Confederazione generale degli emigranti, creata, almeno sulla carta,81 alla fine del 1920, e che avrebbe dovuto "as­sistere l'emigrante", come si leggeva nell'art. 1 dello statuto, "in tutte le

75 Una lettera di Carlo Bazzi ai suoi compagni di fede, in "Il Popolo d'Italia", 25 settembre 1920. 76 Per le voci, cfr. la polemica che, fra il 17 ed il 24 marzo del 1923, interessò il "Corriere della Sera","Il Giornale d'Italia". "Il Nuovo Paese" e "La Voce Repubblicana". Per la smentita del PNF, cfr. Comu-nicato, in "Il Lavoro cooperativo", 28 marzo 1923; Energica smentita del PNF ai professionisti dell'anti-fasc ismo, in " I l Nuovo Paese" , 24 marzo 1923.

77 Il 1° Congresso delle Cooperative Abruzzesi, in "Il Sindacato Cooperativo", 1° settembre 1920.78 Il patto stabiliva, semplicemente, criteri di consultazione e di reciproca intesa; in particolare, i

consigli direttivi del sindacato e della Federazione cooperative combattenti dovevano riunirsi collegial-mente, in via ordinaria, una volta ogni due mesi e, in via straordinaria, ogni qual volta uno dei due loavesse ritenuto necessario; ciascuno dei due contraenti doveva avere un proprio rappresentante, con dirittoa voto, nel consiglio dell'altro; sia il Sindacato che la Federazione si impegnavano a completare le proprierappresentanze provinciali; "Il Sindacato Cooperativo", infine, diveniva organo anche della Federazione.Cfr. Il patto fra Sindacato e Combattenti formalmente concluso, in "Il Sindacato Cooperativo", 15 ottobre1920.

79 Una iniziativa finanziaria del Sindacato, in "Il Sindacato Cooperativo", 16 dicembre 1920.80 Il primo convegno nazionale del Sindacato, in "Il Sindacato Cooperativo", 22 dicembre 1920.81 "Il Sindacato Cooperativo" diede largo spazio ai presunti precedenti della Confederazione — Co-

mitato sindacale italiano (luglio 1916), Convegni nazionali di Parma e di Ravenna (11 giugno e 15 luglio 1916), segretariati provinciali dell'emigrazione di Ravenna e di Forlì, Ufficio interprovinciale dei detti segretariati (maggio 1917) — ma fu singolarmente parco di notizie sulla sua struttura e consistenza. Cfr. La Confederazione Generale degli Emigranti, in "Il Sindacato Cooperativo", 7 e 14 gennaio 1921.

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contingenze ed in tutti i bisogni della sua vita civile ed economica, as­sisterlo dalla sua partenza al suo arrivo a destinazione, col proposito di stabilire con lui continuità di rapporti".S2

Nel contempo, il Sindacato mise in pratica alcune iniziative dirette a contestare la supremazia socialista nel campo cooperativo. Nell'agosto portò, infatti, un attacco a Giolitti, accusato di riconoscere e di agevolare solo le associazioni socialiste e popolari, che erano le uniche rappresentate negli organi consultivi dello stato.83 In piena occupazione delle fabbriche, inoltre, tentò una manovra diversiva, diretta a spezzare la unità degli scio­peranti. Il 2 settembre, Carlo Bazzi propose ad Arturo Labriola, ministro del Lavoro, di cedere la gestione delle industrie alle maestranze metal-lurgiche aderenti al Sindacato, che si sarebbero costituite in apposite so­cietà e consorzi cooperativi. In cambio, esse avrebbero corrisposto un ca­none di affitto, da stabilirsi in contraddittorio fra le parti e con facoltà di arbitrato. La proposta — ammise lo stesso Bazzi — aveva

una portata psicologica e pratica ad un tempo. Psicologica, in quanto offre alla massa, che attende un capovolgimento di valori, uno sfogo ordinato e realistico a tanta speranza: pratica, in quanto alle formule vaghe e senza senso di socializ­zazione e di espropriazione, sostituisce un principio che vive nella realtà [...]. Oltre a ciò, sposta risolutamente e coraggiosamente il problema, portandolo dal terreno illusionistico e demagogico della socializzazione-espropriazione (senza alcun cor­rispettivo, per decreto o miracolo comunista) a quello del contributo effettivo che il lavoratore deve dare alla conquista del capitale.84

Ad occupazione conclusa, e virtualmente fallita, il settimanale del Sin­dacato pubblicò un articolo in cui, prendendo spunto dalle diverse rea­zioni che l'evento aveva suscitato in casa socialista, pose una precisa al­ternativa: o cooperazione o comunismo.

Da una parte — scrisse, tra l'altro — stanno i distruttori ad ogni costo, dall'al­tra coloro che vogliono non solo distruggere ma anche costruire. Il peggio sta in ciò che le masse ubbidiscono più ai primi che ai secondi [...]. L'esasperazione comunistica, il desiderio del peggio quale padre del meglio, non potranno mai addurre le masse alla tenace, paziente opera necessaria alla cooperativizzazione del mondo sociale.85

Nell'ottobre, il Sindacato continuò i suoi attacchi a Giolitti, sia perché aveva finanziato con cento milioni l'Istituto di credito per la cooperazio-ne, sia perché il ministro del Lavoro non lo aveva ufficialmente ricono­sciuto, invitandolo a far parte di alcuni organi statali, quali il Consiglio superiore del lavoro o la Commissione centrale per le case popolari e l'industria edilizia.86 Esortò, anzi, "tutte le organizzazioni economiche che lo stato disconosce, e che rappresentano la grande maggioranza degli or­ganizzati italiani", a concertare azioni comuni di sciopero, occupazione ed ostruzionismo per forzare la mano al governo.

82 La Confederazione Generale degli Emigranti. Gli statuti, in "Il Sindacato Cooperativo", 7 e 14gennaio 1921.

83 N. FANCELLO, Le Cooperative e lo Stato, in "Il Sindacalo Cooperativo", 1° agosto 1920.84 Un'idea organica nel tumulto della lotta metallurgica, in "Il Sindacato Cooperativo", 15 settembre

1920.85 O Cooperazione o Comunismo, in "Il Sindacato Cooperativo", 1° ottobre 1920.86 Giolitti dà cento milioni alla Lega Nazionale delle Cooperativa, in "Il Sindacato Cooperativo", 15

ottobre 1920.

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Nello svolgere questa sua opera, il Sindacato nazionale delle coope­rative guardò anche ai dissensi esistenti nel movimento socialista, per ten­tare di legittimare — di fronte all'opinione pubblica — la propria attività.

La Lega delle cooperative — come si ricorderà — aveva affidato, in febbraio, dopo un lungo dibattito, la sua rappresentanza al gruppo par­lamentare socialista. Questa delega, che costituiva, in effetti, un'adesione al partito, era stata concessa dopo il risultato conseguito nelle elezioni politiche, che aveva originato la speranza di una possibile conquista del potere. Proprio il 27 febbraio, anzi, La Cooperazione italiana aveva in­vitato il partito ad uscire da una semplice azione di critica, per assumere responsabilità di potere.87 Nello stesso tempo, aveva, però, escluso, data la crisi economica italiana, che fossero, comunque, auspicabili eventi rivo-luzionari di tipo sovietico ed aveva indicato, in una lenta e graduale ri­duzione, mediante riforme, dei privilegi della borghesia, lo strumento ido­neo ad un trapasso indolore di poteri.88 L'errore di prospettiva, perciò, consisteva, a nostro avviso, nel ritenere che la guerra e la Rivoluzione d'Ottobre fossero passate invano e che le classi dirigenti italiane avrebbero ceduto, senza difesa, ad un lento, ma fatale, evoluzionismo, destinato a sganciare il movimento operaio dalla sua posizione subalterna. In breve, per quanto il richiamo della Lega alla realtà potesse sembrare ispirato al buon senso, esso guardava, ci sembra, più al passato di una tradizione riformista, la quale aveva avuto — in età giolittiana — momenti di suc­cesso ed era irrepetibile, nelle tensioni sociali scaturite dalla guerra, che alla lotta di classe come effettivamente si svolgeva nel paese. La rinuncia alla neutralità politica e l'adesione al partito erano maturate, dunque, sulla base di un duplice equivoco: la prossima conquista del potere e la possibilità di gestirle. Da un lato, perciò, la Lega si trovò a ripetere, ina­scoltata, il suo proposito "di scendere dalle alte sfere della politica astratta per occuparsi dei problemi economici che la borghesia non può risolvere" e ad insistere sulla necessità "di prospettare chiaramente le proposte di riforma sulle quali il partito intende dare battaglia e condurre su di esse una attiva vigorosa campagna di illustrazione e di persuasione per con­quistare l'opinione pubblica e isolare sempre più il nucleo dei parassiti"89; dall'altro, a recriminare, nell'agosto, contro il rivoluzionarismo verbale dei massimalisti, che, eludendo ogni possibilità di riforme, aveva guastato le attese nate dalle elezioni del novembre ed aveva, altresì, permesso alla borghesia di rialzare la testa e di riprendere "la completa padronanza della sua antica autorità".90

Dov'era dunque la Lega Nazionale qualche mese fa? — chiese in tono pro­vocatorio Il Sindacato Cooperativo, organo della Federazione di Bazzi —. Perché non ha agito? Perché invece di prospettare assieme alle forze sane del paese i pericoli e la sterilità della politica socialista ufficiale, ha concluso proprio in quel momento il Patto che la legava al Partito socialista ufficiale? Perché proprio nel momento in cui la cooperazione poteva colle sole sue forze (di gran lunga più

87 Il Partito Socialista deve assumere la responsabilità del potere, in "La Cooperazione italiana", 27febbraio 1920.

88 Mettiamoci sulla buona via per la pratica attuazione dei nostri desiderata e per evitare nuovedelusioni, in "La Cooperazione italiana", 5 marzo 1920.

89 Il Consiglio Generale del Partito Socialista e la politica delta Cooperazione, in "La Cooperazioneitaliana", 23 aprile 1920.

90 La rivoluzione delle cose compromessa dal rivoluzionarismo verbale, in "La Cooperazione ita-liana", 13 agosto 1920.

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potenti se non asservite ad alcun partito) determinare un più sano indirizzo nel movimento operaio, la Lega nazionale che godeva allora di diversa autorità, pre­ferì invece accodarsi proprio a quel partito che sbagliava strada coprendo colla etichetta del bolscevismo il fondamentale riformismo dei suoi dirigenti? Perché? Inutile dare a questi interrogativi delle risposte che sono loro implicite. Ci è ba­stato fare queste constatazioni le quali servono a porre ancora una volta in mag­giore rilievo la necessità dell'opera nostra.91

Questi attacchi furono il preludio verbale alla reazione agraria, che, tra la fine del 1920 e l'inizio del 1921, si scatenò — com'è noto — nelle cam­pagne ed investi le associazioni socialiste. Non è qui il caso — eviden­temente — di tentare una storia del martirologio cooperativistico. L'azio-ne dei fascisti si svolse nelle forme, ormai risapute, della violenza fisica contro persone e cose, che distrusse istituti faticosamente eretti con pra­tiche di decenni, uccise, bastonò o, nella più benevola delle ipotesi, mise al bando organizzatori socialisti, si appropriò, sovente, di associazioni, scac­ciandone i legittimi rappresentanti. La casistica si presenta singolarmente varia e basta scorrere La Cooperazione italiana per averne una cognizione precisa. Altrettanto conosciuto è, d'altro canto, il coacervo d'interessi che mosse tale violenza. Meno nota, invece, è, forse, la reazione della Lega, che solo il 28 gennaio del 1921, finalmente, usci dal suo silenzio. Scrisse infatti sul proprio giornale:

Una inaudita eruzione di violenza imperversa nelle città d'Italia contro le isti­tuzioni proletarie (sezioni, giornali, biblioteche del partito. Camere del Lavoro, Comuni socialisti) con saccheggi, devastazioni e sangue.

Noi che, fermissimi in un programma di conquista proletaria con finalità so­cialista fummo avversi ad ogni forma cruenta di lotta, abbiamo bene diritto di protestare indignati contro gli eccessi consumati in questi giorni, che offendono ogni onesta coscienza e disonorano il nostro paese.

Le intemperanze verbali e qualche isolata violenza proletaria nelle lotte po­litiche e sindacali non possono in alcun modo giustificare il furore della reazione che si scatena: alla quale con spaventosa incoscienza sembra applaudire, con la sua stampa, la borghesia e tenere mano il governo con i suoi tutori dell'ordine.

Noi ammoniamo la classe dominante e le sue autorità che il giuoco è terri­bilmente pericoloso: la violenza chiama violenza. Si vuole la guerra civile?

Non ci stancheremo frattanto di ripetere ai lavoratori che sono con noi quello che è stato il nostro pensiero costante:

"Salvo il diritto di difesa, della più strenua difesa, contro chi attenta alle vostre istituzioni, tenete i nervi a posto, o compagni. L'eccesso violento non giova alle cause giuste. Esso può giovare per un momento a chi non ha niente da perdere. Solo per un momento.

"Non vi lasciate smontare dalle insidiose provocazioni. Siate forti di tempe­ranza soprattutto, voi che avete in giuoco il radioso avvenire, voi che volete vin­cere; e vincerete."92

C'era, in questo breve commento, tutto il comportamento della Lega di fronte alla violenza fascista: l'incomprensione, innanzitutto, della matrice classista del fenomeno, che veniva presentato come "follia" transitoria; l'invocazione umanitaria alla sopportazione, nella coscienza del proprio diritto; la certezza messianica nel trionfo della causa proletaria. Malgra-

91 Tirando le somme, in "La Cooperazione italiana", 1 ° settembre 1920.92 Contro la violenza, in "La Cooperazione italiana", 28 gennaio 1921.

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do, nei mesi successivi, la violenza assumesse la certezza della reazione, la Lega, nel rendere noto, in maggio, un primo elenco di cooperative distrut- te, continuò a considerarla fenomeno passeggero e preelettorale ed espres-se "la speranza di poter scrivere fra non molto, a tanto orrore e vergogna, la parola fine".93 Non solo, ma dimostrando di avere una fiducia, nei poteri dello stato, scarsamente offuscabile dall'evidenza dei fatti, invitò le sue associate ad inoltrare "denunce alle autorità competenti" ed a costituirsi parte civile, per danni sia alle cose che alle persone.9A

Sul versante fascista, l'assalto alla cooperazione venne condotto, in questi primi mesi del 1921, da forze diverse. L'azione squadrista mirava non solo a fiaccare la resistenza socialista, ma anche ad incamerare le organizzazioni, per impedirne la ricostruzione o il riflusso. La confede­razione delle corporazioni ed i ras, che gestivano il partito in periferia, facevano a gara nel controllare le cooperative, per gli ovvi vantaggi che ne potevano derivare. Ancora nel 1923, Gaetano Postiglione, in un rapporto a Mussolini, ebbe a lamentare interferenze di poteri.95 Anche il Sindacato, fondato da Bazzi, partecipò alla spartizione. Ad esso, che aveva accentuato i suoi caratteri "nazionali", vennero spesso indirizzate le cooperative, nella mancanza di un organismo prettamente fascista.96 D'altra parte, servivano, a Mussolini, di fronte all'opinione pubblica, le battaglie antisocialiste, condotte da un sindacato, che non era ufficialmente affiliato al suo mo­vimento. Non c'è dubbio, anzi, che fra il capo del fascismo e Bazzi esi­stesse, in proposito, se non un accordo, perlomeno un'intesa. Il 9 febbraio, infatti, ricorrendo il primo anniversario della sua fondazione, il Sindacato nazionale delle cooperative — sostenuto dal fervoroso consenso de Il Po­polo d'Italia97 — ribadi l'invito, alle associazioni amiche, di premere sul governo, per essere rappresentate nel Consiglio superiore del lavoro e negli altri enti consultivi; e lo stesso Bazzi, che era, nel frattempo, uscito dal Partito repubblicano,98 chiarì, in una lunga intervista al quotidiano fasci- sta, il senso di questa sua richiesta. Dalla presenza nei succitati enti, le cooperative socialiste ricavavano — secondo lui — il cinquanta per cento del loro prestigio e della loro forza. "Fate che questi termini della situa­zione mutino e crolleranno irrimediabilmente tutte le egemonie oligarchi-che, tutti i confessionalismi e i dogmatismi, poiché il popolo italiano, pur attraverso qualche quarto d'ora d'ubriachezza e di concessione alla moda resta pur sempre un popolo di libertà e di tolleranza, di individui pensanti e non di pecore matte."99 In una nota di presentazione all'intervista, Mus­solini affermò che "il movimento cooperativo che fa capo a Carlo Bazzi e

93 Le violenze barbariche del fascismo contro le nostre opere di civil tà, in "La Cooperazione i tal iana",13 maggio 1921.

94 Avviso importante, in "La Cooperazionc i tal iana", 20 maggio 1921.95 ACS, Segre ter ia Particolare de l Duce, Carteggio Ordinario, fasc. 509314.96 Fatti sintomatici nell'azione fascista contro la cooperazione proletaria, in "La Cooperazione ita-

liana", 22 luglio 1921; MARIO FRANCESCHELLI, L'assalto del fascismo alla Cooperazione italiana, Roma 1949,p. 52. In un memoriale a Giolitti, venne riconosciuto, d'altronde, che "il fortunato intensivo sviluppo delSindacato Nazionale delle Cooperative è dovuto certamente [...] al momento politico presente, in cui lemasse operaie stanche di essere truffate dai partiti elettorali si vanno orientando, pure attraverso scosse edolori, verso una diversa politica sindacale, con una coscienza più esatta della propria responsabilità, conun lento ma progressivo riacquisto di passione al lavoro, con sentimenti alquanto mutati da quelli di unanno fa". ACS, Presidenza del Consiglio dei Ministri, 1921, fasc. 3/26: Associazioni in genere (compresequelle di istruzione, propaganda, politiche, ecc). Riconoscimento giuridico cooperative.

97 Verso il capovolgimento della situazione sindacale italiana. Le rivendicazioni e le conquiste delSindacato Nazionale delle Cooperative, in “Il Popolo d'Italia”, 13 febbraio 1921.

98 Ibid.99 Ibid.

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che rappresenta lo sforzo titanico di un uomo, sorretto da una grande fede, va aiutato materialmente e moralmente"; ed aggiunse che "se il fa­scismo non avesse schiantato la tirannide bolscevica, non ci sarebbe stato l'ambiente in Italia per altri movimenti come quello che s'impernia nel Sindacato cooperativo".100

II. Il Sindacato italiano delle cooperative

Il 13 aprile del 1921, però, il fascio milanese di combattimento decise di dar vita, anche in questo campo, ad una propria associazione: il Sin­dacato italiano delle cooperative,101 che affidò a Gaetano Postiglione, pre­sidente, e ad Iginio Grilli, vice presidente.102 I criteri, ai quali il nuovo organismo si ispirava, vennero resi noti da Agostino Lanzillo, il 14 aprile, su Il Popolo d'Italia. Dato atto dell'enorme sviluppo che le cooperative avevano avuto nel dopoguerra, Lanzillo avverti che: "Il movimento attuale delle Cooperative è destinato ad un sicuro, e forse clamoroso, insuccesso, se da parte del Governo e delle Banche si cade nell'errore di considerare le cooperative non altro che come enti commerciali ed economici in con­correnza con tutte le altre attività economiche del paese."103 Le cooperative dovevano essere, pertanto, unità imprenditoriali, guidate da un tecnico e capaci, col solo sostegno di un proprio capitale, fornito dai soci, di far fronte alla concorrenza privata.

Dare alle Cooperative un contenuto economico e commerciale — affermò Lan­zillo — è necessario, se si vuole sul serio tentare l'esperimento di forme nuove di gestioni cooperative [...]. La Cooperazione deve essere accolta ed adottata come un'attività che soddisfa l'interesse egoistico degli operai e poi come adatta a svi­luppare il sentimento di collaborazione e della solidarietà sociale.104

A quanto se ne ricava dal quotidiano fascista, il nuovo organismo si basava sul principio della collaborazione di classe e nasceva, per quel che riguardava le cooperative di consumo, non in concorrenza, ma in colla­borazione con gli esercenti.105

Del nuovo sindacato fascista, tuttavia, non si hanno che rare e scarne notizie, fino agli inizi, almeno, del 1922.106 Per cui è ipotizzabile che non abbia svolto, nel suo primo anno di vita, una grande attività e si sia li­mitato, piuttosto, ad accamparsi, in concorrenza con gli altri organismi fascisti, o parafascisti, sulle macerie delle associazioni socialiste. Da lì a qualche giorno, infatti, si accaparrò, con la forza, il consorzio delle coo­perative ferraresi.107 La sua esistenza, d'altronde, non turbò gli ottimi rap-

100 ibid. 101 Movimento economico dei Fasci. Il Sindacato Italiano Cooperative, produzione e consumo, in "Il

Popolo d'Italia", 15 aprile 1921. Per lo Statuto dell'associazione, cfr. Sindacato Italiano delle Cooperative.Note polemiche, Roma 1924, pp. 49-54.

102 Movimento economico fascista, in "Il Popolo d'Italia", 19 aprile 1921. 103 AGOSTINO LANZILLO, Forme e attività attuali. Le cooperative, in "Il Popolo d'Italia", 14 aprile 1921. 104 Ibid.105 Movimento economico dei Fasci. Il Sindacato Italiano Cooperative, produzione e consumo, cit.

106 Il Sindacato Italiano delle Cooperative del Partito Nazionale Fascista e la Federazione "Pro Mon-tibus", in "Il Popolo d'Italia", 3 gennaio 1922. L'articolo dava notizia di un accordo fra le due associazioni per lo sviluppo dell'attività agricolo-pastorale. Sindacati e cooperative, in "Il Popolo d'Italia", 28 gennaio 1922.

107 Sui metodi con i quali il Consorzio fu costretto ad aderire al fascismo, cfr. PAUL CORNER, Il

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porti che il fascismo aveva con il Sindacato di Bazzi.108 Tanto è vero che, nel maggio del 1921, Il Popolo d'Italia, in vista delle elezioni politiche, ne pubblicò il programma, che aveva molti punti in comune col sindacalismo nazionale.109 Arpinati, poi, offrì un posto in lista a Bazzi, che lo rifiutò, richiamandosi, però, alle particolari condizioni della Romagna, dove mag­giore era l'accentuazione antifascista dei repubblicani. "In tali condizio­ni", chiari Bazzi, "la mia inclusione nella vostra lista darebbe armi a tutti coloro che, o per incapacità ad intendere i segni di tempi nuovi o per considerazioni personali, avversano il sorgere di situazioni nuove che ne­cessariamente richiedono uomini nuovi." Egli, tuttavia, ebbe parole lu­singhiere per il fascismo ed arrivò a prospettare "una più vasta opera da compiere: quella di una organizzazione operaia in cui la tradizione e la dottrina mazziniana siano portate al trionfo dalla esuberante vigoria della giovinezza fascista", augurandosi che "la nostra organizzazione sindacale e cooperativa indipendente [...] possa guadagnare nuove regioni ed offrire alle forze popolari e fasciste [...] i quadri tecnici ed i metodi pratici per la disciplina e lo sviluppo del movimento operaio nazionale".110

Nel luglio, infine, Edmondo Rossoni, in rappresentanza delle camere sindacali del lavoro di Ferrara e di Bologna, che erano legate al fascismo, si associò "al Sindacato Nazionale delle Cooperative nel chiedere di essere proporzionalmente rappresentato, con le altre organizzazioni sociali, negli organi consultivi dello Stato".111

fascismo a Ferrara, Bari 1974, p. 201. Sulla polemica che ne seguì, cfr. Fasti e nefasti del fascismo, in "La Cooperazione italiana", 6 maggio 1921; Nel regno del sopruso e della violenza, in "La Cooperazione italiana", 3 giugno 1921; La questione del Consorzio Ferrarese in un'intervista con Olindo Corni, in "La Cooperazione italiana", 24 giugno 1921; Ancora del Consorzio Ferrarese, in "La Cooperazione italiana", 23 settembre 1921; Il Consorzio fra le Cooperative di lavoro di Ferrara costa troppo inchiostro, in "La Cooperazione italiana", 4 novembre 1921.

108 In un solo caso la violenza fascista si rivolse contro il Sindacato. Il 13 luglio del 1921, infatti,squadristi Veneti-emiliani assaltarono e distrussero la sede delle cooperative di Treviso. Si trattava, co-munque, di associazioni a maggioranza repubblicana. Il giornale di Bazzi, tuttavia, "senza pretendere diesaminare a fondo una situazione locale che presenta sempre dei motivi e degli aspetti che sfuggononecessariamente agli osservatori lontani", invitò i propri soci di Treviso a non "alimentare lo spirito divendetta", ma a "separare le organizzazioni sindacali e cooperative da ogni contatto e responsabilitàpolitica". Cfr. L'Ufficio Regionale del Sindacato delle province Venete distrutto dai fascisti, in "Il Sin-dacato Cooperativo", 8-15 luglio 1921.

109 Il programma del Sindacato Nazionale delle Cooperative, in "Il Popolo d'Italia", 16 aprile 1921.110 Carlo Bazzi declina la candidatura fascista a Bologna e riafferma la sua fede nell'ascesa delle

libere forze sindacali e cooperative, in "Il Sindacato Cooperativo", 22 aprile 1921. Nel rendere noto il suorifiuto, il quotidiano di Mussolini mise in evidenza come egli, nella sua lettera, avesse "dato rilievo allapurezza, all'efficacia, alla santità del Fascismo". Una lettera di Carlo Bazzi, in "Il Popolo d'Italia", 26aprile 1921, Dietro il rifiuto di Bazzi, comunque, c'era anche la volontà di non compromettere, con mossesbagliate, le sorti del Sindacato agli occhi del governo. In aprile, infatti, attraverso contatti personali conGiolitti, egli stava cercando di ottenere la propria nomina nel consiglio d'amministrazione dell'Istitutonazionale di credito per la cooperazione. Un suo collaboratore, Pino Scarpa, scrisse, il 21, al segretarioalla Presidenza, Berio, ricordandogli che ben cinque posti, in quel consiglio, erano di nomina governativa."Mi consta", affermò, "che uno di questi cinque posti è vacante: esso potrebbe venir affidato al professorCarlo Bazzi.

"Il professore — ritornato stamane a Roma — verrà ad ossequiarla in uno di questi giorni: e nel frattempo io avrò l'onore di spiegarle come — essendo sicuro della propria elezione — declinò l'offerta per nobiltà d'animo, per amor di Patria, per amore al Sindacato cui diede vita." Nel contempo, sempre attraverso contatti personali, Bazzi cercava il riconoscimento ufficiale del Sindacato nazionale delle coo­perative. La sua causa era sostenuta da! senatore Emilio Faelli (Parma 1866-Bra 1941), fedelissimo di Giolitti, che, il 16 aprile, in una commendatizia, aveva scritto, fra l'altro, a Berio: "Si tratta del Sindacato Nazionale delle Cooperative, una organizzazione già forte (circa 4.000.000 di federati) che si avvia a diventare colossale ancora di più. Non sovversiva. Il secondarlo, in questo momento, e sempre, può essere provvidenziale." ACS, Presidenza del Consiglio dei Ministri, 1921, Fascicolo 3/26 cit.

111 Ibid. Nei luglio, i rappresentanti del Sindacato nazionale delle cooperative (Carlo Bazzi, ArmandoCasalini, Giulio Coiamarino, Flavio Pilla, Rosario Labadessa, Edmondo Rossoni, Mario Viana, IcilioForti, Barra-Caracciolo ed Alberto Migliorati) furono ricevuti dai nuovo presidente del Consiglio, Bonomi,al quale chiesero il "riconoscimento imparziale di tutte le organizzazioni cooperative e sindacali agli effetti

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La prova più evidente, però, della connivenza tra Bazzi ed il fascismo fu data dalle polemiche che, sulla cooperazione socialista, si scatenarono nell'autunno del 1921.

A riguardarle oggi, con mente serena, si ha, in verità, il sentimento sicuro d'una congiura politica.

È noto che le elezioni di quell'anno erano state affrontate, da Giolitti, con l'intento di ridimensionare le rappresentanze socialiste e popolari alla Camera e di potere controllare, attraverso una loro eventuale partecipa­zione al governo e, comunque, alla vita parlamentare, i fascisti. È, altresì, noto che la manovra giolittiana fallì, in gran parte, sia perché popolari e socialisti — pur avendo questi ultimi perso una ventina di deputati — rimasero i gruppi più forti, sia perché i fascisti fecero intendere subito di non essere disposti a reggere il giuoco. In questa situazione, l'uomo po­litico piemontese non ebbe altra alternativa che quella di ripresentarsi alla Camera con un vecchio governo e con un vecchio programma.

Malgrado ciò, e malgrado i socialisti non potessero certo perdonargli le violenze fasciste, egli non perse mai, tuttavia, la speranza di indurre la loro corrente più moderata a collaborare112; né mancavano, all'interno, o a fianco, del partito, coloro i quali caldeggiavano tale soluzione. Abbiamo già visto — per quanto ci riguarda — che la Lega delle cooperative aveva invitato più volte il Partito socialista ad assumersi la responsabilità del potere; voti analoghi provenivano anche — com'è noto — da una parte del gruppo parlamentare e dalla CGdL. Questa prospettiva non poteva — evi­dentemente — non preoccupare i liberali più moderati e la destra, che, nelle elezioni da poco concluse, avevano rafforzato, e proprio a danno dei socialisti, la loro posizione alla Camera. Fatto si è che Luigi Albertini, intervenendo, il 13 giugno, in Senato, nella discussione in risposta al di­scorso della Corona, diede corpo a paure e perplessità. Rilevando che il problema della collaborazione socialista era nell'aria, malgrado il re non vi avesse fatto alcun accenno esplicito, il direttore del Corriere della Sera vi si disse nettamente contrario, portando — quale esempio della pessima attitudine dei socialisti ad amministrare — alcune cifre relative al bilancio del comune di Milano. Altrettanto rilevante — disse Albertini — era stata la loro incapacità a gestire il movimento cooperativo.

"Poiché qui bisogna intendersi bene", affermò. "La cooperativa che vive di vita propria è quanto di più bello, di più rispettabile, di più sim­patico socialmente vi sia; ma la cooperativa che vive a spese dello Stato, la cooperativa che intanto prospera in quanto riceve denaro dallo Stato, e che cade il giorno in cui lo Stato le chiude le casse, è una piovra che noi dobbiamo bandire"; ed invitò il ministro del Tesoro a redigere un conto ed una relazione degli aiuti dati alle cooperative e dell'onere che tali aiuti rappresentavano per il bilancio. "Risulterebbe", sostenne, "una cifra im-

della rappresentanza nei vari Consigli, Comitati, Commissariati, Istituti, Opere e Commissioni Statali". Rossoni, in particolare, come rappresentante delle Camere del lavoro di Bologna e di Ferrara, domandò che fosse data, alle organizzazioni sindacali "sorte recentemente all'infuori delle aspre competizioni po­litiche, la possibilità di vivere in modo autonomo, sia nella concessione dei lavori pubblici che per il collocamento della mano d'opera che dette organizzazioni non intendono più effettuare per il tramite della Federazione Nazionale dei lavoratori della terra". I rappresentanti del Sindacato furono ricevuti, anche, dal ministro del Lavoro, Beneduce, e da quello dell'Agricoltura, Mauri. Cfr. Il Sindacato Nazionale delle Cooperative dal Presidente del Consiglio, in "Il Sindacato Cooperativo", 22-29 luglio 1921. 112 ANGELO TASCA, Nascita ed avvento del fascismo, Firenze 1963, pp. 218-219.

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ponente, la quale dimostrerebbe come sia necessario che questa falla enor­me, che già si è aperta nel nostro bilancio, non si allarghi ancora."113

La caduta, dopo qualche giorno, del ministero Giolitti e la successiva formazione del governo Bonomi, nonché le ferie estive, misero a tacere, per il momento, la questione. Fu solo il 30 ottobre che Giovanni Preziosi pubblicò, su Il Giornale d'Italia, il primo di una serie di articoli, con­tenenti accuse feroci contro il "cooperativismo rosso, piovra dello Stato" e contro i suoi dirigenti, indicati all'opinione pubblica come dei ladri ma­tricolati, che, fingendo di battersi per il benessere operaio, perseguivano ben più sostanziosi, ed illeciti, interessi privati.114

Ora, per la verità, sembra poco probabile che tra il raffinatissimo di­rettore de Il Corriere della Sera ed il razzista Preziosi vi fosse un qualche collegamento. Vanno qui sottolineate, piuttosto, l'involuzione, nei 1921, della linea politica di alcuni ceti liberali e la loro obiettiva convergenza con elementi di destra. Lo stesso Albertini, d'altro canto, scrivendo ad un suo corrispondente, ammise: "Non aspiro ad onori, ma a scuotere l'opi­nione pubblica, e mi sono avveduto che posso ottenere questo effetto non solo dal giornale ma anche dalla tribuna del Senato"115; e non è un caso, a nostro avviso, che egli ricevesse, per il suo discorso, il consenso, fra gli altri, di un nazionalista come Ezio Maria Gray.116 Se vista in questa pro­spettiva, non può stupire che la definizione di "piovra", affibbiata alla cooperazione socialista, per primo, da Albertini, sia stata ripresa di pari peso, ed ampliata, dal Preziosi con i suoi articoli.

È difficile, inoltre, dire oggi, con sicurezza, perché l'attacco al mo­vimento socialista prendesse di mira proprio la cooperazione. Si può af­facciare l'ipotesi che l'intrecciarsi dei suoi affari con l'economia dello sta-to e con quella privata l'avesse fatta individuare come l'anello più debole della catena, È certo, comunque, che si intendeva, screditandone i capi, togliere di mezzo gli intermediari più disponibili per un rapporto di col­laborazione. "Noi volemmo [...]", scrisse più tardi Carlo Bazzi, "che, so­prattutto, rimanesse acquisito alla coscienza del paese essere la capacità ricostruttiva e pratica dei socialisti di destra e dei collaborazionisti una pura favola."117

Le repliche immediate di Vergnanini, e degli altri dirigenti della Lega, dimostrarono che, effettivamente, le accuse di Preziosi erano false e smo-

113 Atti Parlamentari, Senato del Regno, Legislatura XXVI, l Sessione 1921, Discussioni, pp. 86-89.Che la polemica di Albertini avesse radici profonde nelle paure della borghesia italiana, è dimostrato dauna lettera inviata, il 15 maggio del 1920, da Maffeo Pantaleoni a Luigi Luzzatti. In essa, oltre a protestarecontro l'eventuale concessione di materiale bellico alle cooperative socialiste ed a perorare, nel contempo,la causa del sindacato di Bazzi, il noto economista osservava, con ansia: "Ignori, o no, che le Cooperativedel Pus danno ora l'assalto alla Cassa di Risparmio di Milano, mediante tre consiglieri nominati dalComune bolscevico e tre altri che la Provincia designa, e che cosi non può toccare un soldo di danaroborghese a cooperative che non siano del Pus, e che vengono costrette a farsi accogliere dal Pus, anche leneutre, o a sciogliersi, per questo monopolio del credito?

"In breve: monopolio del commercio estero;monopolio del credito;monopolio degli affari con lo stato.

"Non è questa la morte della Cooperazione e la vita del bolscevismo? "Ti pare tollerabile?" ALBERTO DE STEFANI, Luigi Luzzatti nella splendida luce del suo tramonto, Milano 1965, pp. 94-95.114 Gli articoli furono raccolti, con tempestività, in volume. Cfr. GIOVANNI PREZIOSI, Cooperativismo

rosso, piovra dello Stato, con introduzione di Maffeo Pantaleoni, Bari 1922.115 LUIGI ALBERTINI, Epistolario 1911-1926, voi. III: Il dopoguerra, Milano 1968, pp. 1250-1251. La

lettera è indirizzata ad Augusto Guido Bianchi.116 Ibid.117 Congedo, in "Il Sindacato Cooperativo", 1° dicembre 1920.

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date118; e, tuttavia, il guasto era ormai compiuto, perché esse non poterono cancellare, del tutto, nell'opinione pubblica, l'impressione sgradevole de­stata dagli articoli.

I dirigenti della Lega si chiesero subito, inoltre, chi c'era dietro Pre­ziosi e giunsero ad individuare il calunniatore in Carlo Bazzi.119 Quest'ul- timo negò, dapprima, di aver avuto parte nella campagna giornalistica. "Noi abbiamo già dichiarato", scrisse nel dicembre, "a proposito dell'ozio-sa ricerca delle fonti della campagna del Preziosi, che gli informatori di quest'ultimo sono infiniti e che è stupido e pettegolo pretendere di iden­tificarli con la speranza di scoprire le fila di un complotto."120 È certo, però, che Bazzi e Preziosi si conoscevano fin dal 1917 e che erano rimasti, per lungo tempo, in contatto.121 Lo stesso Bazzi, infine, un anno dopo, quando il fascismo era ormai al potere e non c'era più alcun motivo per nascondere una circostanza, che diventava, anzi, agli occhi dei nuovi po­tenti, un titolo di merito, ammise le proprie responsabilità.

Iniziammo allora noi soli e per i primi, quella magnifica campagna di schiac­cianti e documentarie rivelazioni sulle gesta del cooperativismo socialista, la quale raggiunse la forma definitiva e conclusiva nell'opera di Giovanni Preziosi, raccolta oggi in un volume che ha un valore grandissimo come documento della storia politica e del costume del nostro paese.122

La polemica, comunque, non gli portò fortuna. L'essersi affiancato, in modo scoperto e provocatorio, ai fascisti gli costò, innanzitutto, il so­stegno dell'Unione italiana del lavoro. Ai primi di novembre, infatti, l'as­sociazione, che andava sempre più ricordandosi delle sue origini, ruppe con il Sindacato nazionale delle cooperative, dopo aver riconosciuto, in un comunicato, "la impossibilità di conciliare la concezione e l'indirizzo dei due organi".123 Il clamore suscitato dalle presunte rivelazioni antisocialiste rifluì, inoltre, sullo stesso Bazzi. Vari giornali misero allo scoperto le sue speculazioni sui residuati di guerra ed egli passò buona parte del suo tem-po a difendersi, cercando di ridarsi una credibilità.124 Gli stessi fascisti, infine, credettero opportuno scaricarlo, quando si accorsero che, assieme al suo sindacato, stava diventando un personaggio ingombrante. Su Il Popolo d'Italia, perciò, a partire dal gennaio 1922, si prese a scrivere sempre più del Sindacato italiano delle cooperative, che era rimasto, sino

118 Per le repliche, numerose e documentate, cfr. "La Cooperazione italiana", "L'Epoca", "Il Secolo", "Il Popolo Romano" ed il "Paese", di questo periodo.

119 Ancora la campagna dell'affarismo contro la cooperazione, in "La Cooperazione italiana", 9 di­cembre 1921.

120 Miserandi espedienti difensivi de! Cooperativismo rosso, in "Il Sindacato Cooperativo", 9-16 di­cembre 1921.

121 ACS, CPC, B. 422, Fascicolo: Carlo Bazzi, cit. È certo, comunque, che, nel 1917, il nostro col-laborò alla rivista di Preziosi. Cfr., in proposito, CARLO BAZZI, Democrazia vile, in "La vita italiana", 15giugno 1917, pp. 578-586; CARLO BAZZI, Sempre a proposito di democrazia vile, in "La vita italiana", 15agosto 1917, pp. 187-188.

122 Congedo, cit.123 Come il Consiglio Nazionale dell'U.I. del L. ha deliberato la separazione dal Sindacato Nazionale

delle Cooperative, in "La Voce Repubblicana", 20 novembre 1921; Il Sindacato Cooperative e l'Unione delLavoro sciolgono il loro patto d'alleanza, in "L'Epoca", 18 novembre 1921; Il Sindacato Nazionale delleCooperative e l'U.I. del L. sciolgono il loro patto d'alleanza, in "Il Sindacato Cooperativo", 11-18 no-vembre 1921.

124 Chi è quel notaio?, in "Il Sindacato Cooperativo", 9-16 dicembre 1921; Le prove della malafede edella rabbia avversaria, in "Il Sindacato Cooperativo", 23-30 dicembre 1921; Contro i monopolizzatori deiresiduati di guerra, in "Il Sindacato Cooperativo", 30 aprile - 14 maggio i922; Contro il cooperativismorosso o contro tutta la cooperazione?, in "Il Sindacato Cooperativo", 21 maggio - 4 giugno 1922; La figuramorale dei censori del "Sindacato", in "Il Sindacato Cooperativo", 1° e 15 agosto 1922.

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ad allora, nell'ombra e quasi ignoto. In ottobre venne, addirittura, an-nunziata la pubblicazione di un nuovo settimanale, Il Lavoro cooperativo, "per poter rispondere alle numerose richieste riguardanti leggi e dispo­sizioni speciali per il nostro movimento".125 Alla fine del mese, uffici del nuovo organismo vennero aperti anche a Roma.126

Bazzi capi, o gli fu fatto capire, che era inutile insistere; tanto più che la Commissione parlamentare d'inchiesta per le spese di guerra stava ter­minando i suoi lavori e ne avrebbe reso noti i risultati nel febbraio del 1923.

Il primo dicembre, dunque, scrisse sul suo giornale un articolo, in­titolato Congedo, con il quale annunziò che il Sindacato nazionale delle cooperative chiudeva bottega.

Noi che vedemmo sorgere a fianco del movimento politico del Fascismo, le nuove organizzazioni sindacali e cooperative nazionali; noi che con queste orga­nizzazioni avemmo sempre comunità d'ideali e rapporti fraterni, vedemmo niti­damente nell'avvenire quando affermammo sicuro il movimento di rinascita. Sono oggi queste nuove organizzazioni sindacali e cooperative, quelle che costituiscono la base formidabile ed il terreno fecondo dell'organizzazione politica del fascismo.

Di fronte alla nuova situazione prodottasi, sia nel campo politico che in quello sindacale, per effetto della rivoluzione fascista, noi consideriamo esaurito il nostro compito. Volevamo la cessazione del monopolio dell'organizzazione operaia e coo­perativa, e il monopolio è cessato. Volevamo che nelle rappresentanze sindacali nei Consigli e nei corpi consultivi dello Stato si facesse il debito posto ai sindacati nazionali, e il nuovo governo ha già provveduto in tal senso. Volevamo liberare lo Stato dalla tirannia di organizzazioni economiche infeudate a partiti politici sov­vertitori ed antinazionali e che agivano come pedine di questi; ebbene lo Stato è oggi tornato nelle mani degli italiani.

La nostra giornata è quindi nobilmente e vittoriosamente compita. All'orga­nizzazione cooperativa fascista spetta oggi il compito di continuare l'opera nostra e di estenderla. I nostri cooperatori troveranno d'ora in poi nel Sindacato Italiano delle Cooperative l'organo efficace di tutela, il loro centro ideale e la loro ban­diera.127

Senonché, il passaggio delle consegne era più difficile di quanto non potesse, a prima vista, sembrare.

Il 12 novembre del 1922, infatti, Vergnanini era stato ricevuto a col­loquio dal presidente del consiglio. L'incontro, a quanto riferi Olindo Gor-ni, segretario generale tecnico della Lega, era stato cordiale128 e si era concluso con un comunicato, fatto diramare da Mussolini alla stampa. Il capo del fascismo vi affermava che la cooperazione non doveva essere "contraria al principio liberista, inteso nel senso del libero giuoco delle attività commerciali ed industriali", riconosceva una funzione benefica alla cooperazione, che non fosse stata "turbata e deviata nella sua mis­sione economica", e le esprimeva tutta la sua simpatia, purché sapesse elevarsi "al di sopra di ogni passione di classe, di politica e di fede re­ligiosa". Alle cooperative, che si fossero mantenute in questi limiti, ga-

125 Nel Sindacato Italiano delle Cooperative, in "Il Popolo d'Italia", 19 ottobre 1922. L'avviso venneripetuto, sullo stesso giornale, il 22 ed il 24 ottobre.

126 Ibid. Nello stesso tempo, i! Sindacato italiano delle cooperative, "per corrispondere adeguata­mente alle accresciute esigenze del movimento", si trasferiva, a Milano, "in più ampi locali". I nuovi ufficidel Sindacalo Italiano Cooperative, in "il Popolo d'Italia", 25 ottobre 1922.

127 Congedo, cit.128 Cooperazione e libertà, in "La Cooperazione italiana", 17 novembre 1922.

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rantiva "quelle difese che ne assicurino il funzionamento in una atmosfera di libertà".129

Il comunicato — come si può facilmente constatare — era molto abile, in quanto non faceva, in sostanza, alcuna concessione. Se la Lega avesse aderito alle sue condizioni, avrebbe dovuto — sic et simpliciter — smettere di esi­stere. C'è da chiedersi, allora, perché mai Mussolini avesse dato tanta pub­blicità al colloquio. La sua mossa, in effetti, non era per nulla gratuita. L'Al­leanza cooperativa internazionale, infatti, impressionata dalle violenze che il movimento subiva in Italia, aveva dato incarico, in settembre, al dottor Sutter, membro del comitato esecutivo, di svolgere un'inchiesta e di trasmet­terne i risultati a Londra. È abbastanza logico che Mussolini, divenuto da poco presidente del consiglio, volesse parare il colpo e, ricevendo Vergna-nini, dimostrare, all'opinione pubblica internazionale, la sua disponibilità a riportare la calma nel paese. Proprio il segretario della Lega, anzi, dichiarò che i cooperatori di tutto il mondo sarebbero stati "lieti di prendere atto delle dichiarazioni di Mussolini, augurandosi, con noi, che le promesse del nuovo Governo trovino la loro decisa espressione nei fatti per il prestigio e la dignità d'Italia".130 Neanche Vergnanini, d'altronde, era cosi ingenuo, da cre­dere, incondizionatamente, a tutto quanto gli veniva promesso. La verità è che il movimento cooperativo, premuto dalla violenza fascista ed incapace di difendersi, cercava anch'esso di salvarsi come meglio sapeva, convinto che il governo, vincolato ad un impegno pubblico, avrebbe dovuto rispettarlo.131

Sempre il 12 novembre, Baldini, della Federazione cooperative di la­voro, e Colombino, del Consorzio operaio metallurgico, furono ricevuti dal sottosegretario all'Interno, Finzi, e discussero alcune questioni inerenti alle proprie organizzazioni.132

Sebbene non avessero avuto risultati pratici apprezzabili, i due col­loqui suscitarono, comunque, molto rumore ed i cooperatori fascisti, so­prattutto, se ne mostrarono preoccupati. Era, infatti, evidente che se le promesse di pace di Mussolini fossero state mantenute, le associazioni cooperative, non più trattenute dalla paura, sarebbero rifluite nelle loro vecchie organizzazioni di classe. Scrisse Il Lavoro cooperativo:

Il popolo, il gran popolo nostro, che ha seguito benevolmente la marcia di Roma, conosce nella sua serena saggezza quali sono i suoi ed i nostri nemici.

E contro costoro non smobilitiamo.Non sarà concesso rifarsi verginità politiche a spese della tolleranza fascista, né

conservare comodi cadreghini alle spalle dei lavoratori.Tregua e pace, sì; ma per il popolo, bersaglio occasionale, messoci contro per

coprire la vigliaccheria dei capi; dei capi che fino ad oggi hanno sempre mostrato nobilmente il tergo.

Lavoro tranquillo e sereno per tutti coloro che vorranno contribuire alla ri­costruzione della Patria; per gli altri, per coloro che si illudono oggi, mentre il tricolore ripulito anch'esso e rinnovato sventola radioso su tutta l'Italia, di ri­cominciare la solita propaganda disfattista e nefasta, il santo manganello funzio-nerà sempre.133

129 La Lega Nazionale delle Cooperative e la situazione del movimento cooperativo, in "La Coo­perazione italiana", 17 novembre 1922. 130 La Cooperazione si ispira a porre sopra tutto l'interesse di chi lavora, in "La Cooperazione ita­liana", 17 novembre 1922.

131 Ibid. 132 Altri colloqui col Governo per il movimento cooperativo, ibid. 133 La nostra pace, in "Il Lavoro cooperativo", 22 novembre 1922.

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Malgrado questa presa di posizione, piuttosto decisa, i pericoli, per il cooperativismo fascista, non erano, tuttavia, ancora finiti. Il 2 dicembre, infatti, Baldesi e Zaniboni si incontrarono con Mussolini per il noto ten­tativo, auspice D'Annunzio, di unificazione sindacale. Come ho già scritto altrove, il capo del fascismo era consapevole che le corporazioni rappre­sentavano una minoranza dei lavoratori, specie nell'industria, e cercava, così, di assicurare una più ampia base di massa al suo governo. Nel con­tempo, tentava anche di indebolire il Partito socialista, separandolo dalla CGdL. Era logico che, se l'operazione fosse andata in porto, si sarebbe estesa anche alle cooperative e l'organizzazione fascista — certamente più debole e con dei capi più sprovveduti — sarebbe stata fagocitata dalle confederazioni già esistenti. In altri termini, se fusione si fosse avuta, sarebbe stato il Sindacato italiano delle cooperative ad avere la peggio. Il Lavoro cooperativo passò, perciò, all'offensiva. "Temiamo", scrisse il 6 dicembre, "che il tentativo possa nascondere una grossa insidia e cioè ridar vita, sia pure sotto la forma della pacificazione, a dei morituri; e rimettere in valore dei fallimentari, dei quali il pubblico ignora o dimentica le spe­culazioni politiche, la violenza sovversiva ed antinazionale."134 Per sabot-are, anzi, l'iniziativa, condizionò l'eventuale accordo tra le diverse ten-denze ad un programma, che era sicuramente inaccettabile per le altre forze politiche: le cooperative, cioè, dovevano muoversi "nell'orbita na­zionale"; essere competitive e, quindi, in grado di affrontare la libera con­correnza con capitali propri; indipendenti dai partiti; rette da uomini nuo­vi, ossia fascisti, che dovevano subentrare ai vecchi dirigenti, i quali "oggi tentano sotto nuove forme di mantenere vecchie posizioni, nefaste ed an-tipatriottiche, e di rappresentare masse di cooperatori ormai sfuggite al loro controllo".135

La fusione — come è noto — fallì per l'intransigenza del fascismo farinacciano e sindacale. Nuovi problemi, tuttavia, mettevano in forse l'avvenire del cooperativismo fascista. Se è vero, infatti, che l'organizza­zione socialista era, ormai, sulla difensiva e che la violenza aveva fatto confluire un numero, sempre crescente, di cooperative nelle file fasciste, è altrettanto vero, però, che tali cooperative erano, ormai, dissestate ed affidate a mani inesperte. Scriveva Il Lavoro cooperativo:

Le rubriche commerciali riportano continuamente notizie di fallimenti di coo­perative. La cosa non uscirebbe dai limiti di un modesto fatto di cronaca se non fosse notorio che molte altre cooperative vivono in tale stato di dissesto che ba­sterebbe ben poco per farne constatare il decesso.

Come al solito i coccodrilli del cooperativismo fanno risalire la colpa della disorganizzazione al fascismo [...].

Per noi era interesse nazionale spezzare gli ultimi centri di resistenza del sov­versivismo e non è colpa nostra se questo aveva scelto come ultimo e comodo riparo la cooperazione.136

Certo, non mancarono, dopo la marcia su Roma, cooperative che pas­sarono al fascismo per vivere tranquille e continuare, cosi, i propri affari. Scriveva La Cooperazione italiana: "Ah, la furberia di certi presidenti e di certi consiglieri che non attendono neanche la minaccia dei fasci locali per

134 La cooperazione nazionale come deve essere, in "Il Lavoro cooperativo", 6 dicembre 1922.135 Ibid.136 Riorganizzare le cooperative, in "Il Lavoro cooperativo", 24 gennaio 1923.

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prendere deliberazioni che urtano con la loro coscienza! Che cosa credo­no? di ingraziarsi gli avversari?"137

Tuttavia, sbaglierebbe chi pensasse ad una qualche adesione, o, come si dice anche, con termine venuto oggi di moda, ad un qualche consenso al fascismo. Non bisogna dimenticare, infatti, che l'avvento al governo di Mussolini non aveva placato la violenza, come dimostra Molinella, che è l'esempio più macroscopico, ma non l'unico. Scriveva, ancora, La Coo­perazione italiana, dell'8 dicembre 1922:

Il fascismo continua con le sue violenze. Non sono più le distruzioni e gli incendi; ma sono le occupazioni, le intimazioni, le minacce che tolgono ai Consigli e alle assemblee la libertà di deliberare, che tolgono alle Cooperative la possibilità di funzionare. I bandi continuano ad essere mantenuti a carico dei nostri migliori cooperatori — e se ne intimano sempre di nuovi.138

Sta di fatto, che il 6 dicembre del 1922, Il Lavoro cooperativo diede alcune istruzioni, ai propri seguaci, per impadronirsi delle residue asso­ciazioni avversarie e reclamò, in gennaio, un grande convegno, al quale dovevano partecipare le cooperative di ogni tendenza politica, per sotto­porsi alle direttive fasciste.139

A questo tipo di violenza, si aggiungeva l'altro, esercitato mediante gli organi dello stato. In gennaio, infatti, un decreto del prefetto sciolse il consiglio di amministrazione dell'Alleanza cooperativa di Torino, che ven­ne affidata ad una commissione140; e la stessa sorte subì pure la Federa­zione pavese delle Cooperative agricole.141 Era comprensibile, dunque, che qualcuno pensasse di mettersi al sicuro, prima che il bastone lo raggiun­gesse.

La crescita tumultuosa, però, rendeva certo più difficile, al Sindacato italiano delle cooperative, il tentativo di darsi una struttura. Bisognava creare i quadri intermedi, improvvisare, a livello, soprattutto, locale, i dirigenti, darsi un minimo di teoria e di prassi cooperativa. Pertanto, l'organismo fascista convocò, per il 17 giugno, un convegno nazionale, che si svolse a Milano. È difficile, stando alle cronache del tempo, enucleare, dai suoi lavori, una linea politica e tecnica coerente.142 Il convegno fu, più che altro, una rassegna di forze ed un momento di incontro con i respon­sabili locali,143 che doveva riuscire eloquente — come vedremo — non solo per gli avversari, ma anche per il partito e per i sindacati fascisti. Non fu un caso, a nostro avviso, che il presidente Postiglione insistesse molto, nella sua relazione, sulla forza del sindacato, ricordando che vi avevano aderito, di recente, il Consorzio operaio metallurgico e le Cooperative carniche di lavoro; e non fu un caso che, a sua volta, Il Lavoro cooperativo

137 Puntate e Parate, in "La Cooperazione italiana", 17 novembre 1922.138 Ricominciando, in "La Cooperazione italiana", 8 dicembre 1922.139 Il nostro movimento, in "Il Lavoro cooperativo", 6 dicembre 1922.140 Un decreto prefettizio scioglie l'Associazione Operaia di Torino. L'Alleanza Cooperativa sarà am-

ministrata da una Commissione governativa, in "La Giustizia", 24 gennaio 1923.141 Intorno alla fascistica liquidazione della Federazione pavese delle Cooperative Agricole, in "La

Giustizia", 24 marzo 1923.142 Al convegno fu sostenuta, soprattutto, la necessità di liquidare le cooperative passive e di tra­

sformare l'emigrazione "in espansione ed il lavoro italiano all'estero in impresa italiana all'estero", me­diante l'opera di un nuovo organismo, il Sindacato italiano per i lavori all'estero, di recente costituzione.

143 Il primo Convegno Nazionale della Cooperazione Fascista, in "Il Popolo d'Italia", 22 giugno 1923; Lo Stato Fascista tutela con amore ed energia i giusti interessi dei lavoratori, in "Il Lavoro cooperativo", 20 giugno 1923.

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informasse che il SIC aveva conglobato il Consorzio lombardo delle af­fittanze collettive, l'Unione cooperativa di Milano e le Banche operaie delle Venezie.144

Un mese dopo, infatti, doveva riunirsi il Gran Consiglio fascista, che aveva, all'ordine del giorno, un punto dedicato al cooperativismo; e non erano pochi, da Rossoni ad alcuni dirigenti del partito, coloro i quali avrebbero adottato con piacere il movimento. Il conflitto era, per il mo­mento, latente, anche se aveva avuto modo di manifestarsi, nella stampa, sotto la veste della discussione teorica. Alessandro Galimberti, ad esem­pio, su Il Lavoro d'Italia, aveva dichiarato il cooperativismo un fenomeno inferiore e, comunque, subalterno a quello sindacale, facendosi rispondere da Postiglione che "mentre la cooperativa è la collaborazione in atto, il Sindacato è la collaborazione dell'avvenire".145 Fra giugno e luglio, anzi, Il Lavoro cooperativo diede ampio rilievo alle notizie riguardanti grandi complessi: la Federazione nazionale delle cooperative di produzione e la­voro, di cui era stato nominato presidente Giuseppe Bottai146; il Convegno cooperativo di Genova147; la Federazione delle cooperative del Friuli,148 quasi a sottolineare l'importanza e la forza del SIC.

Quando si riunì, poi, il 28 luglio, il Gran Consiglio, Postiglione attri­buì, all'organismo da lui diretto, 1.846 cooperative, con 348.000 soci ed un capitale sottoscritto di 42.750.000 lire. Il Sindacato italiano delle coope­rative fu, cosi, riconosciuto come l'unico ente fascista autorizzato ad oc­cuparsi della materia.149

Il deliberato del Gran Consiglio, però, rimase ancora per molto tempo, come vedremo, lettera morta. In settembre, le cooperative di consumo del Reggiano, di qualsiasi tendenza, furono costrette a confluire in un'unica federazione, affidata ad "uomini graditi al presidente del Consiglio".150

In quell'occasione, Postiglione, scrivendo a Mussolini per informarlo sui risultati dell'operazione, gli allegò una lettera inviata alla Commis­sione esecutiva del partito, nella quale tracciava un quadro veritiero della situazione.

Per quanto chiaro sia stato il voto del Gran Consiglio, nelle varie province si succedono continui inconvenienti di interferenza fra Fiduciari politici, Fiduciari sindacali e nostri Fiduciari, con serio pregiudizio del movimento stesso e, soprat­tutto, di quella generale disciplina e calma, indispensabile nell'attuale momento.

Secondo Postiglione, i fiduciari politici provinciali spingevano il loro controllo al punto da intralciare, addirittura, il lavoro dei rappresentanti del SIC e, spesso, per questioni personali, impedivano riunioni e minac-

144 I fatti, in "Il Lavoro cooperativo", 20 giugno 1923.145 GAETANO POSTIGLIONE, Cooperative e sindacati, in "Il Lavoro cooperativo", 21 febbraio 1923.146 La Federazione Nazionale delle Cooperative di Produzione e Lavoro, in "Il Lavoro cooperativo", 4

luglio 1923. 147 Il Convegno Cooperativo di Genova, in "Il Lavoro cooperativo", 11-18 luglio 1923.148 La Federazione delle Cooperative del Friuli, in "Il Lavoro cooperativo", 11-18 luglio 1923.149 La relazione dell'ing. Postiglione, in "Il Lavoro cooperativo", 26 luglio 1923; Il Gran Consiglio nei

primi dieci anni dell'era fascista, Roma 1933, pp. 97-98.150 L'accordo per le Cooperative Reggiane, in "Il Lavoro cooperativo", 8-15 agosto 1923. "Caro Pre­

sidente," scrisse Postiglione il 21 settembre, rivolgendosi a Mussolini, "come avrà già saputo martedì 18 èavvenuta la sistemazione definitiva delle Cooperative del Reggiano [...].

"Anche nel Parmense sto tentando la stessa cosa per quanto riguarda le Cooperative Agricole, molto importanti in quella zona; ma a Parma i Fascisti ed i rappresentanti dei Sindacati non sono ancora convinti dell'utilità del lavoro di assorbimento da Lei desiderata." ACS, Segreteria Particolare del Duce, Carteggio Ordinario, Fascicolo 509314, cit.

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ciavano incendi ed altri danni alle cooperative; mentre i rappresentanti delle Corporazioni pretendevano che le cooperative aderissero ai sindacati, se ne arrogavano la sorveglianza ed imponevano agli iscritti la propria tessera.

In questi ultimi mesi — aggiungeva Postiglione — i Fiduciari delle Corpora­zioni si mostrano molto contrari al nostro movimento cooperativo, assicurando di aver ricevuto da Rossoni una circolare con la quale si ordina loro di trattenere le Cooperative e di evitare che siano iscritte al Sindacato Italiano.

Il sottoscritto non crede a questa affermazione; certo è però che la resistenza è molto diffusa, che molte Cooperative sono tassate a forfait con delle cifre non sempre rispondenti all'equità, che in varie Cooperative di lavoro si obbligano i dirigenti ad assumere oltre la necessità i disoccupati dei Sindacati, danneggiando cosi l'indirizzo industriale delle stesse.151

Per tutti questi motivi, Postiglione chiedeva alla Giunta di emanare un comunicato esplicativo, che riportasse un po' d'ordine nella materia.

Le resistenze, tuttavia, dovettero rivelarsi cosi forti che non solo il comunicato non venne emanato, ma che, ancora nel dicembre, Rossoni, intervistato da Il Lavoro d'Italia, poté negare l'autonomia della coope-razione fascista. Essa doveva — a quanto disse — essere "qualitativa" e non ricorrere, pertanto, ai favori dello stato. "Stabilito ciò", precisò, "è chiara l'affinità ed il rapporto diretto che la Cooperazione viene ad avere col sindacalismo. E non è concepibile un Sindacato Italiano delle Coo­perative autonomo dalle Corporazioni."152

Il fallimento, col Patto di Palazzo Chigi, del "sindacalismo integrale" di Rossoni placò, per il momento, le polemiche. D'altronde, le elezioni politiche si avvicinavano e tutto il movimento fascista, che aveva raggiun­to un'intesa organica sia con il mondo imprenditoriale che con quello agrario,153 vi era impegnato. Anche il Sindacato italiano delle cooperative, che aveva nel "listone" il proprio presidente, Gaetano Postiglione, venne mobilitato e diede "a mezzo dei suoi fiduciari provinciali e regionali pre­cise istruzioni perché i cooperatori sostengano ad ogni costo e con tutte le energie la lista nazionale".154 Per altro verso, il Sindacato tentò, ancora, di darsi un volto organizzativo. Così, nel maggio del 1924, costituì gli Enti nazionali delle cooperative di produzione e lavoro e di consumo, che ave­vano la triplice funzione di assolvere ad un compito educativo degli or­ganismi aderenti, curando la propaganda e l'insegnamento di nozioni tec­niche; di essere un centro di produzione e di approvvigionamento per i propri organismi, ai quali doveva fornire notizie sulle condizioni dei mer­cati di lavoro, di produzione e di consumo; di coordinare la propria at­tività "per l'utilizzazione reciproca dei propri mezzi economici".155 Nello stesso mese, radunò in federazioni le cooperative, rispettivamente, di Co­mo e di Novara, portando, malgrado Postiglione avesse parlato in Gran Consiglio, nel luglio, di circa 2.000 associate, ad appena sei le sue fede­razioni provinciali. Il che prova, appunto, quanto abbiamo già sostenuto:

1 5 1 Ib id .152 Lo sviluppo del programma integrale delle Corporazioni fasciste, in "Il Lavoro d'Italia", 11 di-

cembre 1923.153 FERDINANDO CORDOVA, Le origini dei sindacati fascisti, cit-, pp. 229 sgg.154 Elezioni politiche, in "Il Lavoro cooperativo", 27 febbraio 1924.155 La Istituzione degli Enti Nazionali Cooperativi, in "Il Lavoro cooperativo", 28 maggio 1924.

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che il Sindacato, cioè, fino all'ottobre del 1922, non era pressoché esistito e che, in seguito, aveva funzionato poco e male.

La crisi, seguita al delitto Matteotti, dové operare anche sul SIC, pro­vocando un'azione centrifuga e riducendone, ancor più, la portata.

Molti enti — scrisse Il Lavoro cooperativo — specialmente in seguito alla crisi politica, cominciano intanto a mostrare la debolezza, le lacune, le imperfezioni e gli errori della loro struttura.

Molte persone smascherano la loro figura di parassiti e di profittatori. È un periodo difficile della nostra vita, è il periodo in cui i falsi o tiepidi amici, di­ventano peggiori degli avversari dichiarati e come questi, più di questi, devono essere combattuti.156

Certo si è che, nel luglio, ripresero a circolare con insistenza le voci secondo cui la direzione del PNF avrebbe sciolto il Sindacato, per fonderlo con la Confederazione delle corporazioni fasciste.157 Se ciò non avvenne, i motivi furono, probabilmente, due: innanzitutto, la cooptazione di Posti­glione, il quale non aveva nessun interesse a che il sindacato, da lui di­retto, venisse cancellato, nel direttorio del partito fascista. Non per nulla Il Lavoro cooperativo vide in ciò "una sempre maggiore e migliore tutela dei problemi economici e pratici riguardanti la Cooperazione italiana".158 In secondo luogo, l'inopportunità, per il fascismo, nella travagliata estate del 1924, di procedere ad operazioni del genere, che avrebbero, con l'ine­vitabile confusione che ne sarebbe derivata, accresciuta la fuga delle coo­perative ed indebolito, obiettivamente, l'intero movimento fascista. Va qui rilevato, però, che il 7 dicembre, il comitato centrale esecutivo del SIC rassegnò, in un convegno dei fiduciari riunito all'improvviso e quasi clan­destino, le dimissioni, passando le consegne ad una commissione straor­dinaria, alla quale venne affidato il compito di organizzare il congresso nazionale al più presto possibile.159

Che spirasse, d'altronde, vento infido per i cooperatori fascisti, fu di­mostrato da un altro episodio. Il 6 dicembre, ad iniziativa dell'Istituto nazionale di credito per la cooperazione, i rappresentanti delle organiz­zazioni cooperative di tutte le tendenze (vi parteciparono, per i socialisti, Baldini e Vergnanini) furono riuniti e convennero di dar vita ad una Con­federazione generale della cooperazione italiana.160 Ora, non vi è dubbio — come riconobbe, d'altronde, Il Lavoro cooperativo — che l'iniziativa era partita da Mussolini, per motivi facili da intuire; e non v'è dubbio — a nostro avviso — che avrebbe segnato la fine del cooperativismo fascista, il quale era, fra i partecipanti, certamente il più gracile.

La svolta politica, che segui al discorso del 3 gennaio 1925, salvò, ancora una volta, il SIC da una fine ingloriosa. Nel nuovo clima venutosi ad instaurare, la Confederazione generale delle cooperative diveniva — evidentemente — inutile. Tuttavia, al di là della semplice sopravvivenza, rimase l'impressione che il Sindacato delle cooperative fosse debole, se

156 Riassumendo, in "Il Lavoro cooperativo", 14 ottobre 1925.157 Corporazioni e cooperazione, in "Il Lavoro cooperativo", 18 giugno 1924; Cooperazione e Cor-

porazioni: Non si creino equivoci!, in "Il Lavoro cooperativo", 9 luglio 1924.158 L'on. Postiglione membro del Direttorio del PNF, in "Il Lavoro cooperativo", 29 ottobre 1924.159 Il Convegno dei Fiduciari e Cooperatori del SIC. Le nuove direttive del movimento, in "Il Lavoro

cooperativo", 24 dicembre 1924.160 L'unificazione del movimento cooperativo Italiano. Una confederazione della Cooperazione, in "Il

Lavoro cooperativo", 10 dicembre 1924.

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non, addirittura, inutile. All'interno del fascismo, dove persistevano i con­trasti già denunziati da Postiglione nel 1923, si credette giunto il momento dell'attacco decisivo. Pertanto, al Consiglio nazionale delle corporazioni, che si riunì il 27 aprile, si levarono varie voci contro il Sindacato. Ci fu chi, addirittura, come Cruciani, un delegato di Venezia, affermò che "il Sindacato Italiano delle Cooperative non funziona o, meglio, non ha mai funzionato" e chi, come Roberto Forni, si limitò a constatarne lo stato fallimentare. Tutti gli intervenuti, comunque, chiesero, in forma più o meno esplicita, che fosse sciolto. Rossoni assunse l'impegno di portare il problema davanti al Gran Consiglio. Al termine della discussione, furono votati due ordini del giorno; nel primo, si chiese lo scioglimento del Sin­dacato e il passaggio delle cooperative alla Confederazione delle corpo­razioni; nel secondo, venne riaffermata la natura sindacale delle coope­rative e fu affacciata l'ipotesi di una nuova Federazione nazionale delle cooperative fasciste di lavoro e di consumo, la quale, "tanto al centro che alla periferia", doveva essere "completamente ed unicamente dipendente dagli organismi sindacali fascisti". Per questa ragione — continuava l'or­dine del giorno — "non potranno appartenere alle Cooperative organizzate che lavoratori regolarmente tesserati dalla Confederazione delle Corpora­zioni in ciascuna provincia".161

Le pretese di Rossoni, però, giungevano in un momento a lui sfavo­revole. Proprio nella primavera del 1925, infatti, l'organizzatore era en­trato in polemica con la Commissione dei diciotto per la riforma dello stato ed aveva rivendicato, in pratica, il monopolio sindacale, contrap­ponendosi, in ultima istanza, perfino a Mussolini.162 Era logico, dunque, che al capo del fascismo non garbasse l'idea, in quel momento, di raf­forzarne il potere. Non solo, perciò, il 20 giugno, Farinacci, segretario del partito, nominò Dino Alfieri commissario straordinario del SIC, dirottan-do Postiglione alla presidenza dell'Ente per l'acquedotto pugliese, quanto, nel luglio, il V Congresso nazionale del PNF ribadi l'importanza della cooperazione ed impegnò i suoi gerarchi "a dare opera presso il governo per ottenere le necessarie provvidenze nel campo della organizzazione, della legislazione e del credito".163 Ancora Farinacci, sempre nel luglio, inviò una circolare ai fiduciari locali del partito perché non impedissero alle cooperative di iscriversi al SIC e non interferissero con l'opera sua164 e un mese dopo, nell'agosto, nominò Carlo Peverelli vice commissario.165

Il 29 agosto anche Rossoni, che nel frattempo aveva accettato di porre i suoi sindacati sotto il controllo del partito, ordinò ai segretari provinciali delle corporazioni di disporre per il passaggio delle cooperative, da loro gestite, al SIC.166

Allorché si riunì, dunque, il Gran Consiglio, l'8 ottobre del 1925, Dino Alfieri poté presentare una lunga relazione, che era un bilancio della sua

161 Il Consiglio Nazionale riafferma solennemente le direttive fasciste delle Corporazioni, in "Il La-voro d'Italia", 3 maggio 1925; Il fascismo e l'azione sindacale, in "L'Idea Nazionale", 28 aprile 1925; Ilavori del Consiglio Nazionale delle Corporazioni, in "Il Popolo d'Italia", 28 aprile 1925.

162 F E R D I N A N D O C O R D O V A , Le or ig ini de i s i ndacat i f asc is t i , c i t . , pp . 389 sgg .163 L'on. Dino Alfieri commissario straordinario del SIC, in "Il Lavoro cooperativo", 21 giugno 1925;

L'ordine del giorno votato dal congresso del PNF sulla cooperazione, in "Il Lavoro cooperativo", 5 luglio1925.

164 La direzione del PNF e l'opera del SIC, in "Il Lavoro cooperativo", 29 luglio 1925.165 L'avv. Peverelli, vice-Commissario del SIC, in "Il Lavoro cooperativo", 26 agosto 1925.166 Cooperative e Corporazioni, in "Il Lavoro cooperativo", 9 settembre 1925.

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attività di commissario ed indicava le direttrici di sviluppo futuro dell'or­ganismo a lui affidato.

Dopo aver premesso di aver rilevato il Sindacato in uno stato di sfacelo tale, che egli non avrebbe assunto la responsabilità amministrativa delle pratiche e delle pendenze di precedenti gestioni, Alfieri diede conto, per grandi linee, di quanto aveva fatto, d'accordo con il partito e con il go­verno, per il "risanamento" dell'istituto. Prospettò, inoltre, la necessità di creare tre uffici centrali — con il compito di una assistenza tecnica — per le cooperative di lavoro, di produzione e di consumo, ed un quarto ufficio per il credito, con la funzione "di creare le società cooperative di credito e, là dove già esistono, di spingerle nei propri quadri". Per lo svolgimento della normale amministrazione, questi uffici si sarebbero appoggiati ai fiduciari provinciali o regionali, i quali sarebbero stati, a loro volta, as­sistiti da comitati locali, eletti fra gli esponenti principali del movimento cooperativistico della zona. Tali uffici, inoltre, avrebbero esercitato un controllo sui propri associati, mediante l'istituendo ispettorato obbliga­torio per le cooperative. Chiese, infine, ricevendo l'approvazione del Gran Consiglio, che questo macchinoso organismo venisse eretto in Ente na­zionale della cooperazione.167 Non si trattava, però, come poteva sembrare, solo di una questione terminologica. L'erezione in ente morale significava che lo stato riconosceva, come unica rappresentante delle cooperative, l'organizzazione fascista e significava, altresì, che solo con essa avrebbe avuto rapporti giuridici. Non sarebbero passati due mesi, infatti, che la Lega nazionale delle cooperative, o, meglio, ciò che di essa ancora restava, sarebbe stata sciolta e Dino Alfieri ne sarebbe stato nominato liquidatore.

167 Il Gran Consiglio approva la relazione dell'on. Alfieri e crea l'Ente Nazionale della Cooperazione, in "Il Lavoro cooperativo", 14 ottobre 1925. Il testo della relazione è, anche, in ACS, Presidenza del Consiglio dei Ministri, 1925, fascicolo 3/18: Il Sindacato Italiano delle Cooperative e il Movimento Coo­perativo in Italia.

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