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Emergenza medici Il microbiota vive con noi Contro Cancro n. 1/2019 - sped. a.p./45 Rovigo - CPO art. 2 comma 20 lettera B legge 662/96 Pubblicazione spedita in abbonamento ai soci Integratori: panacea o business

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sommario

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S o m m a r i o 5

LILT avanti tutta!

Marco Alloisio

9Integratori: panaceao business miliardario?Francesco Brancati

di Agnese Codignola

69Cancro non più cancro

Marta Ghezzi

25Mi piego ma non mi spezzo Mariateresa Truncellito

19SOS chi ci curerànei prossimi anni?Cinzia Testa

D O S S I E R

Il microbiota vive con noi❙ Microbiota e tumori34

ControCancro 2019Rivista della Sezione Provinciale di Milanodella Lega Italiana per la Lotta contro iTumoriAutorizzazione del Tribunale di Rovigon. 8/81. Ristampa del 20.01.1982 esucc. modificazioni

Editore e Proprietario:Lega Italiana per la Lotta contro iTumori Sezione Provinciale di Milano

Direttore Responsabile:Marco Alloisio

A cura di:Elena Ilaria MalvezziAlessandra CoenGianna Tinini

Fotografie:Adobe Stock

Progetto grafico, impaginazione e ricerca iconografica:Luisa Torreni

Direzione e redazione:Via Venezian, 1- 20133 MilanoTel. 02.4952.1 - Fax [email protected]

Stampa:Porpora GroupVia Avv. Ambrosoli 320090 Rodano Millepini (MI)

La riproduzione totale o parziale degliarticoli e delle notizie contenute nel pre-sente fascicolo è libera - ove non diver-samente specificato - ma subordinataalla citazione della fonte

LEGA ITALIANA PER LA LOTTA CONTRO I TUMORI SEZIONE PROVINCIALE DI MILANO

Consiglio DirettivoPresidenteMarco AlloisioVice PresidenteMaria Bonfanti ConsiglieriEnrico Maria BignamiLea PericoliClaudio Tatozzi

Collegio dei RevisoriPresidenteBruna FloreaniRevisoriEmanuela FusaPaolo Triberti

Comitato Tecnico ScientificoPresidenteArmando SantoroMembriMarco AlloisioGiovanni ApoloneMauro BoldriniAlberto CostaMarco FanfaniVera MartinellaAndrea MoroWalter RicciardiFrancesco Sardanelli

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47Un mondo di bufale

Ludovica Signorelli

63Farmaci biosimilari

Mad Olivero

55Le sfide della ricerca

Maurizio Maria Fossati

73Per non morire di malnutrizione

Nunzia Bonifati

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Da sempre,nel mondo,specialisti in responsabilita’.

DUAL Italia S.p.a. - fi liale italiana di DUAL International Ltd. e parte di Hyperion Insurance Group con sede in Londra è iscrittanella Sezione A del R.U.I. tenuto dall’IVASS al n.A000167405 e intermedia assicurazioni e riassicurazioni.Le garanzie assicurative sono di: (I) Arch Insurance Company (Europe) Ltd. Rappresentanza Generale per l’Italia con sede in Milano;(II)Lloyd’s of London (Sindacato Hiscox 3624), Rappresentanza Generale per l’Italia con sede in Milano.

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USempre in primalinea nella lottacontro il tumore

di Marco Alloisio

0,39 e 0,61 nei diversi anni di fol-low-up, il che indica una riduzionesignificativa e persino maggioredella mortalità per cancro al pol-mone rispetto agli uomini.Un altro dato molto importante diquesto studio è che dei tumori pol-monari rilevati allo screening, il69% è stato rilevato allo stadio IAo IB, quando quindi una terapiaradicale come la chirurgia può por-tare a sopravvivenze comprese tral’80 e il 99% a 5 anni.Negli Stati Uniti d’America lo scree-ning per tumore del polmone è giàrealtà da anni. Le assicurazioni rim-borsano le TC di screening. Un di-scorso simile avviene in Cina. Il discorso in Europa è più com-plesso per diverse ragioni: studi eu-ropei precedentemente pubblicatinon avevano raggiunto una potenzanumerica tale da evidenziare questomiglioramento in termini di so-pravvivenza; il sistema sanitariodi molti paesi europei è inoltre na-zionale e questo ovviamente signi-fica farsi carico di un’alta spesa. Tuttavia le evidenze che lo scree-ning del tumore del polmone siautile e salvi vite, sono ormai chiaree accertate. Ci aspettiamo che abreve il sistema sanitario nazionalee il parlamento europeo trovino lecoperture economiche per estenderea tappeto questo screening su tuttala popolazione a rischio.

Irisultati europei per lo screeningdel tumore del polmone rappre-

sentano sicuramente uno dei datipiù interessanti di questo anno tra-scorso. Continua tuttavia quel pro-cesso già iniziato negli anni passatinel campo della medicina di pre-cisione in oncologia.

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LILT avanti tutta!

Un altro anno è passato e nuovipassi sono stati fatti nella lotta

contro il cancro. Negli ultimi anninumerose nuove scoperte hannoportato nella pratica clinica nuovestrategie terapeutiche per combat-tere i diversi tipi di tumore che af-fliggono l’umanità. L’anno appena passato ha portatoa nuovi traguardi in termini didiagnosi precoce e in termini ditrattamento degli stadi avanzati. La LILT nei suoi oltre 70 anni divita ha sempre avuto come obiet-tivo primario la diffusione dellacultura della prevenzione, quandoil concetto stesso di prevenzionefaticava a farsi strada, mettendoanche a disposizione della collet-tività gli Spazi Prevenzione, dovepotessero essere effettuate visite edesami di diagnosi precoce (ad oggi,oltre 100.000 prestazioni l’anno).Proprio alla fine del 2018 sono statifinalmente resi noti i risultati re-lativi alla mortalità di un grandestudio europeo sulla diagnosi pre-coce del tumore del polmone: lostudio NELSON. Lo studio NELSON è stato uno stu-dio randomizzato eseguito nei PaesiBassi ed è lo studio europeo sulloscreening del tumore del polmonecon più partecipanti.I risultati di questo studio dimo-strano che l’uso dello screening conTAC a basso dosaggio in personeasintomatiche, ma ad alto rischiodi cancro del polmone (fumatori oex fumatori con più di 55 anni),porta ad una riduzione del 26%delle morti per cancro del polmonea 10 anni. Nelle donne questo ri-sultato è ancora più evidente: inquesta classe di soggetti infatti ilrischio relativo di morte varia tra

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L’oncologia di precisione è infattiin grado di migliorare le percen-tuali di sopravvivenza nella fasemetastatica della malattia, fino araddoppiarle. Uno studio pubbli-cato sulla rivista Oncotarget nel2018, condotto da ricercatoridell’Università di Stanford ha mo-strato infatti che la sopravvivenzamediana dei pazienti trattati conl’oncologia di precisione è stata di51,7 settimane rispetto a 25,8 set-timane dei pazienti che hanno se-guito la chemioterapia standard.La medicina di precisione sembrainoltre avere un vantaggio anchenella riduzione globale dei costi:se da un lato i principi farmaco-logici hanno costi maggiori, la ri-duzione delle tossicità legate alleterapie migliorano non solo la qua-lità di vita dei pazienti, ma anchela spesa sanitaria legata al tratta-mento delle complicanze da che-mioterapie tradizionali.

Con questo nuovo approccio iltumore costituisce sempre più

una unità estremamente complessain cui l’analisi e la pianificazionedell’approccio terapeutico non deveessere più decisa dal solo medicoma da un board di “addetti ai lavori”.Qualche anno fa sono stati istituitii tumors board costituiti da clinicipolispecialisti (chirurghi, oncologi,anatomopatologi, radioterapisti eradiologi); oggi bisognerebbe istituireun “Molecular Tumor Board”, cioèun team multidisciplinare che possagarantire l’integrazione e il con-fronto tra le diverse figure profes-sionali coinvolte (chirurgo, oncologo,biologo molecolare, genetista, ana-tomo-patologo e farmacologo).Questo team potrebbe correttamen-te interpretare i dati genetici e mo-lecolari e la scelta della strategiaterapeutica adeguata.Il tumore oggi si cura con le terapiea bersaglio molecolare, o targetedtherapy. Queste terapie non sonochemioterapie, ma delle armi estre-mamente selettive. Il limite mag-giore della chemioterapia è statofino ad ora la mancanza di speci-

ficità: questo vuol dire che, a causadel suo meccanismo d’azione, lachemioterapia colpisce tutte le cel-lule che si riproducono velocemen-te, sia neoplastiche (effetto deside-rato) sia fisiologiche (effetto inde-siderato), è per questo motivo chedurante la chemioterapia si possonoperdere i capelli, si possono averedisturbi gastrointestinali etc.

La terapia a bersaglio molecolare,invece, è, o cerca di essere, mi-

rata: ciò significa che la sua azioneè diretta in modo specifico controun ‘bersaglio’ presente soltanto nellecellule tumorali, o comunque conuna maggiore espressione in questerispetto alle cellule normali. In ge-nere, il bersaglio è un recettore pre-sente sulla superficie o all’internodella cellula tumorale: in entrambii casi si tratta di componenti indi-spensabili per la crescita della cel-lula, che sono bloccati e non pos-sono più svolgere la loro azione.L’azione specifica di questi farmacicontro le cellule tumorali permettedi avere effetti collaterali molto piùlimitati rispetto alla chemioterapiatradizionale, con notevole miglio-ramento della qualità della vita deipazienti affetti da tumore.Le terapie a bersaglio molecolarerappresentano un importante passoavanti nella cura dei tumori e la ri-cerca clinica è ormai quasi esclusi-vamente orientata in questo senso.Il monitoraggio della efficacia delleterapie a bersaglio molecolare vieneeseguito normalmente su valutazionigenomiche che possono essere ese-guite sui campioni bioptici. Un ul-teriore passo avanti nel campo del-l’oncologia è la biopsia liquida: conun semplice esame del sangue sipossono cercare le più piccole traccedel cancro, per esempio porzioni diDNA che le cellule tumorali rila-sciano in circolo quando muoiono.La tecnica della biopsia liquida vie-ne oggi impiegata per monitorareuna malattia nel tempo e valutarei cambiamenti che la struttura ge-nomica subisce quando ad esempioinsorge una resistenza farmacolo-

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dossier

DOSSIERDDOSDOSDOSDOSDOSDOSDOSDOSSIESIESIESIESIESIESIEERRRRRRDDDOSDOSDOSDOSDDOSDOSOSSIESIESIESIESIESIESIEERRRRRRRDOSDOSDOSDOSDOSDOSDOSDOSDOSDOSDOSDOSSIESIESIESIESIESIESIESIESIESIESIESIEERRRRRRRRRRRRRDOSSIER100 trilioni di ospitinel nostro corpodi Agnese Codignola

Sono più numerosi delle stelle della Via Lattea.Sono virus, batteri, funghi e protozoi che coabitano conl’essere umano e che pare possano avere un’importanza

enorme per la nostra salute

In oncologia il ruolo del

microbiota è incostante crescita,

ma siamo soloall’inizio

di un’avventuradella conoscenzache ci riserveràmolte sorprese

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gica. La biopsia liquida permettepertanto di scegliere la terapia eadeguarla nel tempo. È probabileche in un futuro molto prossimosi potrà utilizzare per fare diagnosidi tumore e per escludere la pre-senza di malattia minima residuaal termine del trattamento.Il nostro sistema immunitario èabituato a riconoscere tutto ciò chedi estraneo è presente all’internodel corpo. Ciò avviene anche con itumori. Purtroppo però non semprela risposta è adeguata e le cellulecancerose prendono il sopravvento.Una possibile strategia è quella dipilotare il sistema immunitario inmodo tale da rispondere con piùvigore.Questi farmaci porteranno ad una“cronicizzazione del tumore” facen-do sì che i pazienti possano viverea lungo con qualità di vita assolu-tamente accettabili.

Nonostante i passi avanti dellascienza resta fondamentale, e

resta pertanto un impegno dellaLILT la prevenzione e l’adozionedi corretti stili di vita. La ricercascientifica sta confermando che,grazie a diverse strategie di pre-venzione, è possibile ridurre il ri-schio di sviluppare un tumore, ar-rivare a una diagnosi precoce dellamalattia o, comunque, evitare o li-mitare la comparsa di complica-zioni tardive o eventuali recidive.L’insorgenza di un tumore è di solitomultifattoriale e non può essere at-tribuita a un’unica causa. Nello svi-luppo di un tumore più fattori dirischio possono contribuire. Lo stiledi vita, insieme all’ambiente in cuisi vive, è classificato tra i fattori dirischio “modificabili”, ai quali si af-fiancano quelli “non modificabili”come età, genere, patrimonio ge-netico (familiarità).Adottare uno stile di vita sano è ilprimo passo da compiere per ri-durre il rischio di sviluppare untumore.Ma qual è uno stile di vita sano? IlCodice europeo contro il cancro(un’iniziativa della Commissione

Europea e dell’Agenzia Internazionaleper la Ricerca contro il Cancro –IARC) fornisce dodici semplici rac-comandazioni che la maggioranzadelle persone può seguire facilmente.

Più raccomandazioni vengonoseguite, minore è il rischio di

ammalarsi di tumore: si stima chein Europa quasi la metà dei decessiper cancro potrebbe essere evitatase venissero messi in atto tutti questisuggerimenti.

RRicordiamoci pertanto di:1. Non fumare. Non usaretabacco in alcuna forma.2. Rendi la tua casa libera dal fumo.3. Tieni il tuo peso sotto controllo.4. Sii attivo nella vita quotidiana.5. Mantieni una sana alimentazione.6. Se bevi alcolici, limitane il consumo.7. Evita le scottature solari.8. Segui le istruzioni di sicurezzasul posto di lavoro per limitarel’esposizione ad agenticancerogeni.9. Valuta il livello di radiazioninaturali di radon a cui seisottoposto a casa ed eventualmenteadoperati per ridurre il livello.10. Per le donne: - l’allattamento al seno riduce ilrischio di cancro della mammella.Se puoi, allatta il tuo bambino,più a lungo una donna allatta piùè protetta dall’insorgenza delcancro alla mammella, il rischioinfatti si riduce del 4% ogni 12mesi di allattamento;- le terapie ormonali sostitutive au-mentano il rischio di alcuni tumoriper cui, ove possibile, limitane l’uso.11. Fai vaccinare i tuoi figli per:- epatite B (neonati); - papilloma-virus (HPV) (ragazze).12. Partecipa agli screening organizzati.

La salute è un diritto di tutti, maognuno di noi ha anche il doveredi fare del proprio meglio per tu-telarla e conservarla. Buona lettura!

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ganti” capaci di risolvere tutto, im-potenti e disarmati ti guardano conun’angoscia che spesso non trovaparole. I tumori maligni in età pedia-trica per fortuna sono un evento raro,ma ogni anno nel nostro Paese, se-condo i dati dell’Associazione ItalianaEmatologia e oncologia pediatrica(www.aieop.org), si ammalano dicancro circa 1.400 bambini tra 0 e14 anni e circa 800 adolescenti finoa 19 anni. I tumori più frequenti sonole leucemie (circa 37 per cento deicasi), quelli cerebrali (circa 15 per cen-to), i linfomi (13 per cento), i neuro-blastomi (tumori del sistema nervosocentrale, circa 9 per cento), sarcomidei tessuti molli, nefroblastomi, tumoriossei, tumori a cellule germinali, retinoblastomi e tumori epatici. L’oncologia

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La resilienza nella malattia, la forza per combatterla

Mi piego maNON MI SPEZZO

di Mariateresa Truncellito

I bambini giocano a pallone tragrida di allegria. La palla rotola sulcampo, rimbalza sulla terra, prendecalci ripetutamente. Ma quando tuttofinisce è intatta, sferica, pronta peressere riutilizzata il giorno dopo e aregalare ancora momenti di felicità.Un pallone da calcio è resiliente. Nellatecnologia dei materiali, la resilienzamisura la capacità di subire colpi senzaspezzarsi e il suo inverso è l’indice difragilità. In psicologia, equivale allacapacità di reagire di fronte a traumi,difficoltà, crisi (economiche, affettive,identitarie...) con spirito di adatta-mento, elasticità mentale, ironia. Perl’Accademia della Crusca, “resilienzanon è sinonimo di resistenza: il ma-teriale resiliente non si oppone o con-trasta l’urto finché non si spezza, ma

lo ammortizza e lo assorbe, in virtùdelle proprietà elastiche della propriastruttura”. Il pallone da calcio - resi-liente più che resistente, simbolo digioco, gioia, ma anche capacità difare squadra e di sfidare se stessi -può essere una buona metafora diuna particolare resilienza: quella deibambini alle prese con una malattiaoncologica.

Un gonfiore senza spiegazioni,una strana febbre che non passa, unmalessere. E l’infanzia si popola dicamici, medicine, lunghe assenze dacasa e da scuola. I giochi con gli altribambini possono diventare impossibili.Mamma e papà, fino a ieri due “gi-

“Resilienza:la capacità di reagire di fronte a

traumi,difficoltà, crisicon spirito di

adattamento”

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Un mercato che non conoscecrisi. Vale complessivamente oltre3 miliardi di euro e, sorretto da unapubblicità martellante, sistematica,convincente, naviga col vento in pop-pa da anni. Basti pensare che l’annoscorso ha fatto registrare un incre-mento pari al 4% sul 2017. È il mer-cato degli ‘integratori alimentari’, cuimilioni di italiani si affidano per mi-gliorare la propria forma fisica maanche per controllare i fattori di rischiocardiovascolare, per raggiungere ilpeso desiderato, per rafforzare il pro-prio sistema immunitario o prevenirei disturbi gastrointestinali, per potersiabbronzare meglio d’estate o peravere capelli lucidi e sani.Non c’è problema fisico che, standoalla pubblicità, non trovi risposta inuno di questi preparati, un ‘quasi

farmaco’ che, a differenza dei farmaciveri, non ha il dovere di dimostrarescientificamente la propria efficacia.Anche perché il suo compito ufficialenon lo richiede: è un ‘integratore’,cioè va a integrare una terapia, osemplicemente una dieta ipocaloricao uno stile di vita sano.Ne abbiamo parlato con SilvioGarattini, fondatore e Presidentedell’Istituto di Ricerche FarmacologicheMario Negri di Milano.

Ma questi integratori alimentarifanno poi tutto quello che pro-mettono? Sono realmente l’armasegreta per stare meglio, una ri-sorsa utile per migliorare la qua-lità della vita?

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Integratori: panacea oBUSINESS MILIARDARIO?Milioni di italiani li utilizzano per migliorare la propria salute

di Francesco BrancatiQuesta è la definizione che ne dà ilMinistero della Salute: “prodotti ali-mentari destinati ad integrare la co-mune dieta e che costituiscono unafonte concentrata di sostanze nutri-tive, quali le vitamine e i minerali, odi altre sostanze aventi un effettonutritivo o fisiologico, in particolare,ma non in via esclusiva, aminoacidi,acidi grassi essenziali, fibre ed estrattidi origine vegetale, sia monocompostiche pluricomposti, in forme predo-sate”. Devono essere ‘notificati’ alMinistero, che li inserisce in unRegistro, che viene tenuto aggior-nato.E negli ultimi anni questi prodotti sisono moltiplicati. Su Amazon si apreuna vetrina di oltre un centinaio diintegratori di diverso tipo. Non soloper l’uomo, ma anche per gli animali

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■ Un discorso a parte bisogna fare per gli inte-gratori alimentari contenenti probiotici,microorganismi che influenzano il microbio-ma, vero e proprio organo che si è recentemen-te scoperto giocare un ruolo molto importantenel mantenimento dello stato di salute e neldeterminare gli stati di malattia con implica-zioni in moltissime branche della medicina. Il14 marzo scorso, Rosanna Pecere, ExecutiveDirector IPA, International ProbioticsAssociation, scriveva: “Alcuni effetti dei pro-biotici sul funzionamento normale dell’organi-smo umano sono ben documentati, ed il loroimpiego da soli o in associazione può esserequindi considerato ‘evidence-based’. L’area deiprobiotici rappresenta un settore in cui inve-stire risorse in termini di ricerca, per meglioindagare il legame tra salute e microorgani-smi, identificando questi ultimi come poten-ziali mezzi per il mantenimento di un buonostato di salute”.

Ma uno studio del Weizmann Institute (Israele)pubblicato da Cell nel settembre scorso ha evi-denziato come i probiotici commerciali, potreb-bero essere inutili perché in molti soggetti an-ziché colonizzare l’intestino, verrebbero sem-plicemente eliminati. Quelli assunti dopo untrattamento antibiotico invece potrebbero ad-

dirittura impedire il ripristino della normaleflora batterica intestinale per un periodo fino asei mesi ed essere dunque potenzialmente dan-nosi. Uno studio che si scontra con il favore dicui godono in genere i probiotici che riempionogli scaffali delle farmacie e gli yogurt che inva-dono interi corridoi dei nostri supermercati. Ec’è anche una review sistematica svolta dallaSorbona e dalla Columbia university su 384trial controllati randomizzati, realizzati tra ilgennaio 2015 e il marzo 2018 (pubblicata suAnnals of Internal Medicine), che ha appuratoche danni, effetti collaterali o pericoli legati al-l’utilizzo di probiotici, prebiotici o simbioticisono stati quasi sempre omessi, o non trattatisufficientemente o in modo adeguato.Per il professor Garattini “i probiotici hannouna lunga storia fatta prevalentemente di risultaticontrastanti, studi di breve durata e di scarsaqualità. Il fatto che attecchiscano o meno nel-l’intestino e’ un problema minore, perché lacosa importante è dimostrare un effetto tera-peutico migliore di quanto si possa fare oggicon il miglior trattamento disponibile per unadeterminata indicazione. Alla luce di quanto siviene scoprendo sul microbioma, credo sia giustoriconsiderare l’eventuale ruolo dei probiotici nelcampo della ricerca, attraverso adeguati studiclinici controllati e indipendenti”.. ■

PROBIOTICI

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domestici, dai multivitaminici confolati e vitamina K a quelli con fer-menti lattici e coenzima Q10. E poi,‘Prodotti Biotech Usa 100 compresseone a day’, ‘Multi Special GinkgoBiloba, con vitamine e minerali.Anche per i bambini: Gummies, ca-ramelle gommose con integratorecompleto multivitaminico e di mi-nerali. Ci sono gli integratori per‘supportare la vista’ e per ‘la fun-zione cerebrale’; quelli per il cuoree per il sistema immunitario. E ac-canto all’offerta del prodotto il re-lativo coloratissimo barattolo con ladescrizione dei benefici in etichetta.Fra gli innumerevoli siti ce n’è unoche propone addirittura ‘12 mila in-tegratori al miglior prezzo’, e nonsi limita a vendere, ma offre ancheconsigli e risposte alle domande deiclienti.‘Integratori Italia’ (che fa parte diAIIPA - Associazione Industrie ProdottiAlimentari - in seno a Confindustria)

è l’associazione italiana di 42 aziendeproduttrici di integratori. Tra esse visono grandi multinazionali farma-ceutiche come Abbott, Bayer, Glaxo,Sanofi, Pfizer, ma anche aziende ali-mentari come Star, Perfetti, e poiDanone, Lactalis, Nestlé, Yakult e al-tre. E sul sito www.integratoritalia.itsi insiste esplicitamente sulla funzione‘integrativa’ di questi prodotti. Si av-verte chiaramente il consumatoreche da soli non servono allo scopo.Ad esempio si afferma: “L’impiegodi un integratore finalizzato al con-trollo o alla riduzione del peso cor-poreo può produrre effetti nella di-rezione voluta solo nell’ambito diun regime dietetico che, per essereipocalorico, comporta necessaria-mente una restrizione dell’introitoenergetico”.

Unione Consumatori: “uso con-sapevole degli integratori”E anche Massimiliano Dona, presi-

dente dell’Unione NazionaleConsumatori, sul sito ‘IntegratoriItalia’ afferma: ”Troppo spesso an-cora si seguono trend privi di fon-damento scientifico, oppure ci si in-forma su temi riguardanti la propriasalute attraverso canali poco atten-dibili. Noi siamo per l’uso consape-vole degli integratori, ricordandoche si tratta di alimenti e non far-maci, che non possono sostituireuna dieta sana ed equilibrata e so-prattutto che costante esercizio fisicoe comportamenti virtuosi rappre-sentano la base irrinunciabile permantenersi in buona salute”.Ma, si sa, la pubblicità poi ha le sueregole. Le immagini accattivanti, ibrevi e determinanti dialoghi deglispot televisivi portano inevitabilmentelo spettatore a ‘innamorarsi’ del pro-dotto e a percepirlo come una sortadi farmaco ‘naturale’ senza controin-dicazioni ed effetti collaterali e senzafare troppo caso a quell’avvertimentofinale secondo cui “può produrreeffetti solo nell’ambito di un regimedietetico ipocalorico”.

Silvio Garattini: “è un falso con-cetto dire: più vitamine ci sonomeglio è”E Silvio Garattini non può fare a menodi notarlo e farlo notare. Il fondatore,per 55 anni Direttore scientifico eoggi Presidente dell’Istituto diRicerche farmacologiche Mario Negridi Milano è uno che ha sempre par-lato senza peli sulla lingua, anche acosto di inimicarsi intere categoriedi imprenditori, soprattutto farma-ceutici. “Basta accendere la televi-sione - dice - : ogni volta che c’è unapausa ci sono diversi spot su questiprodotti. Chi investe soldi nella pub-blicità sfrutta il fatto che la pubblicità,se ben fatta, è molto convincente eil risultato è indipendente dal fattoche il prodotto contenga qualcosache fa bene alla salute. Se la pubbli-cità mi convince che il prodotto fabene, lo compro”.“Sono prodotti di grande business -

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Un’alimentazione corretta e variatafornisce tutto ciò che è

necessario al nostro organismo

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spiega Garattini - che contengonoin generale quantità di vitamine. Inpiù hanno inserita qualche ‘novità’:c’è chi aggiunge aminoacidi o acidigrassi insaturi, c’è chi mette qualcheestratto vegetale. Insomma c’è unavarietà di aggiunte che cercano difar vedere la cosiddetta ‘novità’. Epoi c’è una serie di indicazioni chedovrebbero essere oggetto del grangiurì della pubblicità, perché ci sonointegratori per il maschio, quelli perla femmina, per problemi cardiaci,anti-invecchiamento E poi, se uno va a vedere i dati scien-tifici, trova che non ci sono evidenzeche questi cocktail possano essereutili. Nemmeno per i problemi car-diocircolatori, né per i tumori, né peraltre malattie”.Per il farmacologo, in generale “sibasano fondamentalmente su questo‘falso concetto’: siccome le vitaminesono indispensabili, quante più neabbiamo tanto meglio è. Ma questoè un concetto che non ha alcunabase scientifica. L’organismo non as-sorbe più di quello di cui ha bisogno.E l’eccesso di vitamine spesso è fontedi guai: ad esempio, l’eccesso di vi-tamina A è cancerogeno, quello divitamina C per essere eliminato so-vraccarica i reni. La vitamina D cheoggi è molto gettonata non ha alcuneffetto. Il Servizio sanitario nazionalespende ogni anno 280 milioni per lasupplementazione di vitamina D, matutti i dati indicano che vitamina Dcon più o meno calcio non mettonoal riparo gli anziani né dalle cadutené dalle fratture.Il sistema immunitario è un’altra diquelle cose che vanno oggi di moda.E nel mondo degli integratori si cal-cano gli elementi che compaiono piùfrequentemente nella letteraturascientifica: dire ‘aumenta le difeseimmunitarie’ è una delle cose classi-che che la pubblicità di questi prodotticavalca. Oppure si dice ‘aumenta lerisposte fisiologiche’, che è un altromodo di propaganda, anche se nonvuol dire niente. Poi passano gli anni,

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❙ Il mercato degli integratori alimentari ha raggiunto in Italia a fine2018 un valore di 3,3 miliardi di euro, secondo Federsalus, che associa198 aziende nazionali e multinazionali che operano nel settore.Secondo gli stessi dati, la farmacia è il principale canale di venditadegli integratori, con l’86%, davanti alle parafarmacie con il 9% ealla Grande Distribuzione Organizzata (GDO) con il 5%. E in farmaciagli integratori confermano di essere la categoria di prodotti piùvenduti (11,5%) dopo il farmaco su prescrizione (59%).Per Integratori Italia-AIIPA e AVEDISCo, però, il canale con iltasso di crescita più alto è la GDO (corner di super e ipermercati),con un aumento dell’8,1% e una crescita del fatturato da 237 milionia 256 milioni di euro nel 2018. In particolare, sono a base di probioticie di sali minerali gli integratori più richiesti in farmacie e parafarmacie.In questo quadro i probiotici rappresentano il 13% delle vendite totaliin farmacia. Nella GDO sono invece i sali minerali ad essere i più ac-quistati, con un aumento del 20,3%. Un mercato che ‘tira’ anche nelcanale della vendita diretta. Secondo i dati 2017 AVEDISCO, infatti ècresciuto del 16,8% rispetto all’anno precedente, facendo registrare unfatturato di oltre 425 milioni di euro. Qui la categoria di integratoripiù richiesta è quella dei multivitaminici, seguiti dagli Omega 3.Il mercato italiano è, secondo Federsalus, il primo mercato inEuropa con il 23% del totale, davanti a Germania (13%), Francia(9%) e Regno Unito (8%). L’utilizzo di questi prodotti coinvolge 32milioni di italiani (il 65% della popolazione italiana adulta) e rispondea logiche di impiego differenziate. In particolare – fonte GfK Eurisko- sono i probiotici i più acquistati, seguiti dagli integratori di minerali,davanti ai regolatori del colesterolo, a quelli per il sistema urinario,ai polivitaminici/minerali e altri.Il medico e il farmacista sono figure di riferimento nel processo d’ac-quisto dell’integratore, ma soprattutto la prescrizione medica è diffusae in crescita (+28% negli ultimi due anni). In particolare da parte delmedico di medicina generale (24%), pediatra (16%), ortopedico (15%),ginecologo (14%), oculista (6%), neurologo (5%), urologo (4%).

VALE 3,3 MILIARDI DI EURO IL MERCATO ITALIANO DEGLI INTEGRATORI ALIMENTARI

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e la gente impara a proprie speseche queste cose non hanno un realeeffetto. Come nel caso dell’acidopantotenico, cui si attribuivano effettisulla ricrescita dei capelli”.

Qualsiasi vitamina è già presentein un’alimentazione varia e gliintegratori servono quando si ac-certa una carenza di nutrienti. E il danno non è solo quello direttocausato dall’eccesso di vitamine: “Lamoda degli integratori” secondoGarattini, è essa stessa negativa anchequando il prodotto di per sé non famale, “perché - spiega - crea dei falsiconcetti con conseguenze che hannoa che vedere con gli stili di vita, perchéfa credere che assumendo questi in-tegratori alimentari si risolvono i pro-blemi dell’alimentazione. In realtàsappiamo che qualsiasi vitamina ègià presente nell’alimentazione e chequindi è sufficiente avere un’alimen-

tazione varia per avere tutto quelloche è necessario. E non c’è bisognodi altro. L’importante è che le quantitàsiano moderate, perché non bastala varietà del cibo, per stare bene civuole anche la moderazione”.

Ma non ci sono situazioni in cuisi renda necessario ricorrere a unaiuto?“Certo - risponde il Professore - inalcuni casi specifici (quando adesempio c’è stata una lunga degen-za con cibo molto limitato, o pro-blemi di altra natura che hanno im-pedito una regolare alimentazione)può essere logico anche sommini-strare questo tipo di preparati. Peròè una assoluta minoranza di casi. Eprima di assumere pillole è bene ve-rificare, con le analisi del sangue,se si hanno carenze. Anche in gra-vidanza, nella giusta alimentazionec’è tutto quello che è necessario,

salvo l’acido folico che è un ele-mento importante per evitare pos-sibili malformazioni al feto”.

La medicalizzazione della nostrasocietà.Un altro svantaggio di questa moda,secondo Garattini, è quello di favorirela medicalizzazione della nostra so-cietà, quell’idea, cioè, che tutti i pro-blemi di salute si possano risolverecon i farmaci o con sostanze diverseche abbiano quella stessa funzione,“contro quella che dovrebbe inveceessere la norma sovrana, anche permantenere la sostenibilità del ServizioSanitario Nazionale, che è invece ave-re dei buoni stili di vita. Tutti abbiamoil diritto alla salute - afferma ilPresidente del Mario Negri - ma con-temporaneamente abbiamo ancheil dovere di mantenerla, la salute,perché tutto quello che facciamocontro un sano stile di vita, alla fine,si ripercuote anche sugli altri perchéammalandoci sottraiamo risorse allacollettività. Se pensiamo che almenoil 50% delle malattie sono evitabiliattraverso gli stili di vita, uno stile divita sano dovrebbe essere l’obiettivoprincipale di tutti. Non ci sono farmaciche impediscono di contrarre il 50%delle malattie”.Le farmacie non hanno una buo-na fetta di responsabilità nel fa-vorire la medicalizzazione dellasocietà?“Mi sono sufficientemente inimicatoi farmacisti - risponde il farmacologo- . Ma devo ripetere che la farmaciaè come Giano bifronte: da un latoesercita una funzione molto impor-tante come consigliare il paziente,dare informazioni e vendere farmacisu ricetta, avendo la responsabilitàdi seguire le ricette senza fare errori.Dall’altro però la farmacia è una spe-cie di bazar in cui si vende di tutto,indipendentemente da quanto possaessere utile per il paziente. Oggi vi sivendono vari tipi di cosmetici abilitatia farmaceutici, ci sono integratorialimentari e una quantità di altre

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La farmacia svolge un ruolo moltoimportante ma è anche come

un bazar dove si vende di tutto

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cose che non avrebbero significatoin un luogo dove dovrebbe dominarel’evidenza scientifica. Vi si vende an-che l’omeopatia. Questo è uno degliaspetti molto preoccupanti. Perchéil farmacista non è un venditore qual-siasi. Non è solo il titolare di un ne-gozio. È una persona laureata cheha studiato e ha delle buone cono-scenze di chimica. Quindi, sa benis-simo che quello che vende come pro-dotto omeopatico non contiene nulla.E da questo punto di vista ha certa-mente una grande responsabilità.Vendendo queste cose, non sa severranno utilizzate solo come placeboo se verranno utilizzate per malattieche avrebbero una possibilità tera-peutica”.Il Presidente del Mario Negri, però,fa anche autocritica, in un certo sen-so: “La medicalizzazione della nostra

società - osserva - è in parte respon-sabilità anche di noi ricercatori, perchémolto spesso sono state date dellesperanze che poi non hanno avuto,almeno in tempi brevi, i risultati chesi riteneva dovessero avere. Insomma:il successo mediatico di Stamina èmolto dipeso dal fatto che molti han-no affermato che con le cellule sta-minali si sarebbe risolto ogni proble-ma. E poi credo che molto dipendaanche dal fatto che i ricercatori ingenerale, almeno quelli che operanoin campo sanitario, hanno molto sot-tostimato quello che dovrebbe essereuna parte della loro attività: cioè es-sere portatori di informazione nel-l’ambiente in cui vivono. Cosa chenon viene fatta. E’ una visione chenon è certamente ottimistica, perònoi cerchiamo di fare, anche comeIstituto, tutto ciò che è possibile per

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Nel 2016 sono state 500.000 le prescrizioni di integratorialimentari fornite dai medici di base e specialisti

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far conoscere le cose come esse sono.Naturalmente i mezzi che abbiamoa disposizione non sono quelli chehanno a disposizione né le multina-zionali né le altre imprese”.

Anche i medici subiscono gli ef-fetti della pubblicità. Manca una‘informazione indipendente’. Resta il fatto che moltissimi mediciprescrivono integratori alimentari.Secondo QuintilesIMS - riferisce ilsito Integratori Italia - i medici di base,i cardiologi e altri specialisti consi-gliano l’utilizzo di questi prodotti.Sono circa 500.000 le indicazioni for-nite nel 2016, di cui 300.000 per ilriso rosso fermentato e 158.000 diprodotti a base di Omega3 per di-sturbi cardiovascolari, principalmentein presenza di malattie del metabo-lismo lipoproteico e ipertensione.“Il riso rosso fermentato - obiettaGarattini - contiene una statina na-

turale e ha un’azione farmacologica,senza essere stato sottoposto ai con-trolli che subisce un farmaco. Ma seuno deve prendere un trattamentoper diminuire i suoi livelli di colesteroloè comunque meglio che prenda unfarmaco. Almeno sa che cosa prende.Quanto ai medici che prescrivonoquesti integratori, che dire? I medicisono esseri umani e quindi ancheloro sono soggetti all’influsso dellapubblicità, come tutti noi. Qui c’èun problema generale molto grave,secondo me, che è l’asimmetria del-l’informazione. Purtroppo anche ilmedico non ha grandi possibilità diattingere a una informazione indi-pendente, Perché non c’è. O se c’èè molto limitata, rispetto all’infor-mazione invece molto aggressiva,molto strutturata, molto studiata daparte dell’industria farmaceutica, chededica una buona parte delle sue ri-sorse (molto più di quanto dedica

alla ricerca) per trovare adeguate for-me di informazione. Perché il suoscopo è appunto quello di aumentarele vendite. La media della spesa perla ricerca nell’industria, a livello mon-diale, si calcola che sia intorno al 7%del fatturato; ma per l’informazione,cioè per quello che serve per alimen-tare il prodotto, può arrivare anchefino al 30%”.

D’altra parte, esiste anche un at-teggiamento sbagliato di partedell’opinione pubblica, che al con-trario colpevolizza oltremodo l’in-dustria, il mondo delle multina-zionali del farmaco, quasi fossero‘il male assoluto’. Lo abbiamo vi-sto da parte, ad esempio, dei co-siddetti ‘no-vax’.“Questa è una delle tante informa-zioni false che circolano - risponde ilfarmacologo - a causa della man-canza di una ‘informazione indipen-dente’ a cui affidarsi. Perché al di làdei vantaggi che l’industria può averevendendo i vaccini, si pensi a quantopiù venderebbe se i vaccini non cifossero. Basta pensare a tutte le ma-lattie causate da un mancato ricorsoalle vaccinazioni, per le quali biso-gnerebbe utilizzare i farmaci. Quindi,questa è un’informazione emotiva,senza una base reale”.Quello che manca moltissimo - se-condo Garattini - è un’informazioneindipendente. “Dieci anni fa l’AIFA -spiega - era molto attiva da questopunto di vista. Poi è completamentecaduta questa attività e oggi è moltovicina allo zero. Non basta avere unportale in cui si scrivono le cose.Bisogna raggiungere i medici. E l’in-dustria li raggiunge, attraverso i suoiinformatori farmaceutici, mentre in-vece il Ministero della salute, l’Aifa egli Assessorati alla sanità delle Regionidove la fanno quella informazione?Non ho mai visto niente di veramentesignificativo che possa in qualchemodo bilanciare l’informazione del-l’industria e questo vale anche pergli integratori alimentari. Quanti sono

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Il medico dovrebbe poter contare suun’informazione indipendente per bilanciare quella dell’industria

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quelli che scrivono... quanti gli articoliche compaiono.... Dico questo perdimostrare che gli integratori alimen-tari sono più o meno dei beni di con-sumo, come tante altre cose”.L’informazione corretta è sempre piùdifficile da fare. “Anche in campoalimentare - afferma il professore -si sta creando la stessa mentalità.Prima la pubblicità era: ‘questo pro-dotto non contiene aspartame’, manon si diceva cosa c’era al suo posto;poi è stata la volta di ‘questo prodottonon contiene olio di palma’. Adessoce ne sono tanti che dicono ‘questoprodotto non contiene glutine’. Qualè l’idea alla base di questo? E’ l’ideadi far avere alla gente l’informazioneche questi sono prodotti dannosi,facendo dimenticare che invece pos-sono essere dannosi solo ‘in deter-minate condizioni’ (l’olio di palma èun acido grasso saturo esattamentecome il burro e come il burro può

essere dannoso per chi ha alti livellidi colesterolo; il glutine è dannosoper chi è affetto da celiachia, ndr).Però se tutti si convincono che sonodannosi comunque e piano piano siporta la gente a pensare che il glutinefa male anche a coloro che non han-no la celiachia, praticamente tutticompreranno il prodotto senza glu-tine, che costa di più. E in questo leaziende avranno esercitato la lorofunzione, che è quella di aumentarele vendite”.

La figura dello ‘scientific advisor’.Cinquant’anni di battaglie per lascienza e di esperienza alla guida diun grande istituto di ricerche farma-cologiche indipendente, osservandoun Paese come l’Italia, vittima neglianni di vicende che hanno lasciatosegni negativi come quelle legate al‘siero di Bonifacio’, al ‘metodo DiBella’, a ‘Stamina’, e alle più recenti

prese di posizione antiscientifiche,dalla fiducia al ‘metodo Hamer’ allecredenze delle proprietà anti-cancrodello scorpione blu cubano, alle po-sizioni contro la sperimentazione ani-male (“che taglia le gambe alla ricercaitaliana, soprattutto quella sul can-cro”), fanno dire a Garattini che“l’Italia è un paese dove non c’è in-terfaccia fra la scienza e la politica”.E spiega: “In molti paesi, al governosiede anche lo ‘scientific advisor’(un alto consulente scientifico chesia in grado di presentare le miglioriprove scientifiche disponibili ai po-litici e ai decisori chiamati a prenderedecisioni su materie complesse, ndr.).Da noi, dove non esiste questa fi-gura, è stato possibile stanziare 3milioni di euro per una ricerca scien-tifica su Stamina, quando era evi-dente a ogni ricercatore degno diquesto nome che dentro quei pro-dotti non c’era nulla”. ■

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Gli integratori sono alimenti, non farmaci, e nonpossono sostituire una dieta sana ed equilibrata

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SOS chi ci curerà NEI PROSSIMI ANNI? Mancano all’appello circa 16mila medici

di Cinzia TestaLo stiamo perdendo.Emorragia. No, qui non si parla dipazienti ma dello stato dei medici.Un problema di proporzioni rilevanti,un vero e proprio bubbone scop-piato qualche mese fa e che creanon poche preoccupazioni. Con unadomanda, che scorre ormai comeun incontenibile fiume in piena: ver-ranno garantite le cure nei prossimianni? Dati alla mano, infatti, da quial 2025 l’Italia perderà nell’ambitodel pubblico migliaia di medici,quantificati dai sindacati in un nu-mero di circa 16 mila unità. Tra leprincipali cause ci sono indubbia-mente le recenti riforme pensioni-stiche: nel triennio 2019-2021 sonopreviste tra sei e sette mila uscite dimedici all’anno, per un totale di 20mila pensionamenti. A questi vanno

San Donato, di Milano. «Ci sonomalattie maggiormente esposte dalpunto di vista legale al rischio dimalpractice e quindi di incorrerenella medicina difensiva. Vale adesempio per la chirurgia e per ane-stesia e rianimazione. Certo, esisteun’assicurazione a livello dell’ospe-dale ma non sono mai momenti bel-li, neppure quando si dimostra l’as-senza di colpe a carico del medico.Ma tutto ciò porta inevitabilmentemolti giovani a spostarsi verso altrespecializzazioni, diciamo così, più“tranquille”». A questo si aggiungechi scarta specializzazioni conside-rate, a torto, meno d’appeal comel’Igiene e la medicina preventiva.«Io che insegno proprio in questoambito, mi trovo con un numero dispecializzandi che sta man mano

aggiunti quelli che decidono di usu-fruire della “quota 100”, che se-condo l’Anao Assomed potrebbeessere circa 4500 medici. Un botto,insomma, che causerebbe problemisoprattutto nell’ambito di alcunecategorie professionali specifiche.A essere particolarmente sguarnitisarebbero in particolare la pediatria,seguita da anestesia e rianimazione,medicina d’urgenza, medicina in-terna, chirurgia generale, radiodia-gnostica, malattie dell’apparato car-diovascolare, ginecologia, psichiatriae ortopedia. «Alcune specialità sonopenalizzate a monte», intervieneFabrizio Pregliasco, direttore sanitarioIstituto Ortopedico Galeazzi-Gruppo

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calando negli anni», continua il pro-fessor Pregliasco. «Noto anche chesta aumentando il numero di donnee scende quello degli uomini e nonè un fattore da sottovalutare. È in-dice di un cambiamento sociale: imaschi, che per tradizione culturalenei Paesi mediterranei sono il trainodella famiglia, si stanno spostandoverso professioni più remunerativea breve termine. E qui purtropponon rientra quella del medico. Glianni necessari per impostare le basidi una carriera nell’ambito del ser-vizio pubblico non sono pochi: trauniversità e specializzazione, ci vo-gliono circa 8-10 anni, sempre chefili tutto liscio».

La situazione è critica ancheper quanto riguarda i medici di me-dicina generale. Se non si corre ai ri-pari, nei prossimi cinque anni smet-

teranno di lavorare oltre 14 mila me-dici di famiglia, secondo i calcoli ef-fettuati dalla FIMMG, la federazioneche riunisce i medici di medicina ge-nerale, per arrivare nel 2028 conl’uscita totale di oltre 33 mila medici.«C’è chi punta il dito contro il numerochiuso in università, ma non c’entra»,interviene Roberto De Ponti, Direttoredella Scuola di Specializzazione ma-lattie dell’apparato cardiovascolaredell’Università dell’Insubria di Varesee Presidente eletto AIAC,Associazione Italiana di Aritmologiae Cardiostimolazione. «Il vero “collodi bottiglia” è rappresentato dall’in-gresso alle scuole di specializzazione.Ogni anno sono circa 14 mila i can-didati per accedere a un corso di spe-cializzazione oppure per diventaremedici di medicina generale. Ma nelconcreto, solo poco più di sei milariescono a proseguire». Una situa-

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20 È basso il numero di giovani medici pronti a sostituire quelli che

vanno in pensione

SOS INFERMIERI

❙ La situazione è critica ancheper quanto riguarda il perso-nale infermieristico. Secondoi dati della classifica OCSE(Organizzazione per laCooperazione e lo SviluppoEconomico), l’Italia si posizio-na agli ultimi posti in ambitointernazionale, con un bassorapporto tra medici e infer-mieri. Come ha dimostrato ilrapporto OASI (Osservatoriosulle Aziende e sul Sistemasanitario italiano) 2018dell’Università Bocconi diMilano, la media nazionale èdi 2,45 infermieri per ognimedico. Anche questa situa-zione, come quella relativa alpersonale medico, è destinataa peggiorare se non si trovauna soluzione. Il ServizioSanitario Nazionale dovrebbeincentivare il numero di in-fermieri a causa dell’invec-chiamento della popolazioneattesa nel prossimo decennio,che porterà inevitabilmentea una maggiore richiesta diassistenza infermieristica do-miciliare.

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zione, questa, che non è mai positiva,e men che meno in questo momento,con la prospettiva di un sistema sa-nitario nazionale sguarnito di medici.«È stata palesata l’idea di togliere ilnumero chiuso, più propriamentenumero programmato, al corso dilaurea, ma non è questa la soluzio-ne», chiarisce il professor De Ponti.«Bisogna invece trovare delle solu-zioni nel post-laurea e in questo am-bito è già un passo avanti la propostadel ministro Grillo. Sono infatti statedefinite 8 mila borse di specializza-zione per l’anno accademico2018/2019. Siamo un po’ in ritardoperché l’allarme era già stato lanciatonel corso del primo mandato dell’al-lora ministro della salute Lorenzin,ma dobbiamo guardare il bicchieremezzo pieno e in questa ottica, sista facendo qualcosa». Lo studiodella curva demografica aveva giàdelineato qualche anno fa quello chesarebbe accaduto in un lasso di tem-po neanche troppo lungo. La popo-lazione dei camici bianchi era già installo nel 2015, con il 65% dei medicidipendenti over 50. Un numero cre-scente di medici sempre più anziani,

dunque, e per contro, un numerobasso di giovani medici pronti a so-stituire i pensionati.

Il punto interrogativo sull’as-sistenza agli italiani nel futuro po-trebbe essere determinato anche daun’altra ragione. «Chi decide di in-traprendere la carriera in ambito sa-nitario sa bene che si prospetta unavita di particolari sacrifici, con tantaresponsabilità e turni pesanti da ga-rantire tutti i giorni, anche festivi»,sottolinea il professor De Ponti. «Atutto ciò però corrisponde una re-munerazione che in Italia è sensi-bilmente inferiore a quella di tantialtri Stati europei». Da anni fra l’altrole associazioni denunciano le con-dizioni di lavoro sempre più difficilinegli ospedali e nei Servizi territoriali,perché il numero dei lavoratori è inlento ma graduale calo e quindi in-sufficiente a coprire tutte le esigenze.Per questo, la categoria medica chie-de lo sblocco del turnover che haimpedito in questi anni la sostitu-zione dei medici pensionati con nuo-vi assunti e ha provocato una ca-renza di circa 10 mila medici.

Negli ospedali il numero di medici e infermieri è in calo e non copre tutte le esigenze

DAL RAPPORTO OASI 2018

❙ In Italia il personale infer-mieristico è meno della metàrispetto alla Germania: 5,6 in-fermieri ogni 1.000 abitanticontro 12,9.

Contemporaneamente, il 53%dei medici ha più di 55 anni;si conta un numero di candi-dati alle specialità medichepiù che doppio rispetto ai con-tratti finanziati (16.046 versus6.934). Il problema è la scarsitàdi risorse per assumere e for-mare specializzandi, non lamancanza di medici.

Il personale dipendente in di-versi SSR meridionali è calatosignificativamente ed è oggiinferiore a quello settentrio-nale. Al 2016, la Lombardiaregistra 9,6 dipendenti SSNogni 1.000 abitanti (-3% ri-spetto al 2010), contro i 7,3della Campania (-15%) e i 7,1del Lazio (-14%)

Il rapporto infermieri/medicia livello nazionale nel 2016 èpari a 2,45, con una rilevantevariabilità interregionale, so-stanzialmente stabile rispettoal 2010. Le regioni del Nordmantengono una maggioredotazione organica di infer-mieri rispetto ai medici, a te-stimonianza della difficoltà diribilanciare lo skill mix degliSSR spesso interessati dai Pianidi Rientro.

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li». Qualche esempio? La conoscenzadella lingua inglese che in Italia è bas-sa. E i problemi tecnico-amministrativi.Se il ricercatore arriva da una Nazioneextraeuropea, allo scadere del per-messo di soggiorno deve rientrare.«Bisogna modificare questa situazio-ne e si può fare innanzitutto con unprogramma definito di “autopromo-zione”, un po’ come viene attuatoper il turismo», propone il dottorApolone. «L’Italia fa un’ottima ricercanonostante le scarse disponibilità,ma soffre della competizione conPaesi che dispongono di sovrastrut-ture dedicate alla ricerca e con unamaggiore allocazione di risorse inquesto ambito. Forse, è il momentodi attuare rapporti bilaterali con Statipiù forti in tal senso, per non soffrirepiù di questo “gap” ed evitare cosìche si incrementi ancora di più nelfuturo la crisi per carenza anche diricercatori, oltre che di medici». ■

La stessa situazione di carenzadi medici si sta prospettando anchein altre nazioni europee e in partico-lare in Germania, in Francia, in GranBretagna, in Spagna. Ma in questiPaesi non esistono le problematicheitaliane e in più le risorse economicheallocate sono maggiori, tanto da por-tare molti dei nostri giovani a lasciarel’Italia una volta terminata la spe-cializzazione. Succede anche nell’am-bito della ricerca. E qui, oltre al dannoc’è anche la beffa. Un recente lavoroa cura di Elsevier ha classificato inbase ad alcuni indici di valutazionela quantità e la qualità degli studi ef-fettuati nel mondo e pubblicati dalleriviste internazionali. Da questo “cen-simento”, pubblicato sulla rivista in-ternazionale The Lancet oncology, èemerso che l’Italia è il Paese al topper quanto riguarda la qualità dellepubblicazioni, insieme alla GranBretagna. Tutto bene? No. I giovani

che seguono l’iter didattico italiano,non fanno la stessa vita dei loro coe-tanei che hanno scelto altre profes-sioni per studiare una lingua stranierae poi se ne vanno. Alcuni dopoun’esperienza all’estero rientrano,ma molti no. Anzi, in questo mo-mento critico per la Gran Bretagna,chi sceglie di cambiare nazione invista dell’attuazione della Brexit, pre-ferisce orientarsi verso altre Nazionieuropee. In cima alla classifica, PaesiBassi e Germania. «Il mondo dellaricerca ha la particolarità di essere li-bero, competitivo e con la caratteri-stica dell’intercambiabilità», inter-viene Giovanni Apolone, DirettoreScientifico dell’Istituto dei Tumori diMilano. «I nostri ragazzi vanno al-l’estero e questo va bene, ma il pro-blema è che da noi non arrivano ri-cercatori da altri Stati. E quando ciscelgono, abbiamo una serie di bar-riere che ci impediscono di trattener-

I ricercatori italiani emigrano all’estero, ma l’Italia è al topper la qualità delle pubblicazioni scientifiche

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ganti” capaci di risolvere tutto, im-potenti e disarmati ti guardano conun’angoscia che spesso non trovaparole. I tumori maligni in età pedia-trica per fortuna sono un evento raro,ma ogni anno nel nostro Paese, se-condo i dati dell’Associazione ItalianaEmatologia e oncologia pediatrica(www.aieop.org), si ammalano dicancro circa 1.400 bambini tra 0 e14 anni e circa 800 adolescenti finoa 19 anni. I tumori più frequenti sonole leucemie (circa 37 per cento deicasi), quelli cerebrali (circa 15 per cen-to), i linfomi (13 per cento), i neuro-blastomi (tumori del sistema nervosocentrale, circa 9 per cento), sarcomidei tessuti molli, nefroblastomi, tumoriossei, tumori a cellule germinali, retinoblastomi e tumori epatici. L’oncologia

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La resilienza nella malattia, la forza per combatterla

Mi piego maNON MI SPEZZO

di Mariateresa Truncellito

I bambini giocano a pallone tragrida di allegria. La palla rotola sulcampo, rimbalza sulla terra, prendecalci ripetutamente. Ma quando tuttofinisce è intatta, sferica, pronta peressere riutilizzata il giorno dopo e aregalare ancora momenti di felicità.Un pallone da calcio è resiliente. Nellatecnologia dei materiali, la resilienzamisura la capacità di subire colpi senzaspezzarsi e il suo inverso è l’indice difragilità. In psicologia, equivale allacapacità di reagire di fronte a traumi,difficoltà, crisi (economiche, affettive,identitarie...) con spirito di adatta-mento, elasticità mentale, ironia. Perl’Accademia della Crusca, “resilienzanon è sinonimo di resistenza: il ma-teriale resiliente non si oppone o con-trasta l’urto finché non si spezza, ma

lo ammortizza e lo assorbe, in virtùdelle proprietà elastiche della propriastruttura”. Il pallone da calcio - resi-liente più che resistente, simbolo digioco, gioia, ma anche capacità difare squadra e di sfidare se stessi -può essere una buona metafora diuna particolare resilienza: quella deibambini alle prese con una malattiaoncologica.

Un gonfiore senza spiegazioni,una strana febbre che non passa, unmalessere. E l’infanzia si popola dicamici, medicine, lunghe assenze dacasa e da scuola. I giochi con gli altribambini possono diventare impossibili.Mamma e papà, fino a ieri due “gi-

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pediatrica, grazie alla ricerca, ha fattoprogressi straordinari: l’80 per centodei tumori infantili guarisce (fino al90 per cento nel caso di leucemie elinfomi), e oggi circa 44 mila italianidall’età media di 30 anni hanno avutoun tumore da piccoli. Purtroppo, però,le neoplasie sono ancora la primacausa di morte per malattia nei bam-bini, e la seconda in assoluto dopogli incidenti.

I bambini sono proiettati verso ilfuturo, e questo regala loro una re-silienza innata. Questa potenzialità,però, va incoraggiata e alimentata,di più quando è messa concreta-mente alla prova. «Diversamentedall’adulto, il bambino sembra mo-strare maggiore tolleranza duranteil trattamento a terapie combinateaggressive. Un’altra peculiarità del-l’oncologia pediatrica, è rappresen-

IL PROGETTO PAROLE DI MAMMA

■ La malattia tumorale pediatrica non coinvolgesolo il bambino, ma la famiglia, la madre, ifratelli, tutti i familiari. Le difficolta che attra-versano le famiglie sono molteplici: il lavoro, ipermessi, le spese mediche, il tempo. E ancora:l’impatto emotivo e fisico della malattia, la ge-stione delle relazioni familiari attorno al figliomalato, la difficolta a gestire e comunicare lostato d’animo. Gli ospedali italiani stanno in-troducendo servizi di supporto psicologico neidipartimenti di oncologia degli ospedali con-venzionati con il Servizio sanitario (SocietaItaliana di Psico-Oncologia, SIPO). C’ e pero untarget che rimane scoperto: le famiglie straniere.È in crescita il numero dei bimbi stranierimalati e ricoverati presso la pediatria dell’IstitutoNazionale dei Tumori per tumori dell’eta in-fantile, in day hospital, terapia o per accerta-menti. Anche Lilt Milano registra un triste datoin aumento rispetto al numero dei malati stra-nieri (46 per cento dell’utenza adulta ai sussidieconomici), e il dato non risparmia i minori: 1bambino su 4, in Pediatria all’istituto dei Tumori,ha origine straniera. Si tratta di famiglie che sitrovano spesso abbandonate a se stesse, soventein condizioni di difficolta economica, e isola-mento. Per una madre straniera, poco praticacon il nuovo contesto, la lingua, e il sistemasanitario italiano, la malattia del figlio e quindicome un fulmine in un cielo gia poco serenodi per se, in contesti culturali che gia non faci-litano lo scambio, il doversidestreggiare in una citta difficile come Milano,addirittura a volte con gravi problemi persinonel chiedere medicinali in farmacia, capire ireparti di un ospedale e capire le terapie in ita-

liano del proprio figlio. La Lilt già da tempo fi-nanzia nell’Istituto un servizio di mediazionelinguistica per spiegare un’operazione, la dia-gnosi, una terapia. Ma non è sufficiente: è statolanciato così, “Parole di mamma” non è solo unprogetto di insegnamento della lingua, maun’occasione per la madre di cogliere un’op-portunita di relazione con un'altra persona, un“volontario linguistico”. I volontari selezionatiLILT vengono formati da esperti nell’insegna-mento della lingua straniera per poi condurregli incontri in autonomia in pediatriaOncologica. Della formazione si occupano glioperatori della Rete Scuole Senza Permesso(RRSSP) - rete di 30 organizzazioni del Terzosettore di Milano e Provincia specializzata inaccoglienza e insegnamento dell’italiano - , inmodo da rendere in grado i volontari di affron-tare tematiche linguistiche e interculturali perfavorire la comunicazione, lo scambio e l’inse-gnamento dell’italiano. Il primo step e favorirel’opportunita di acquisire maggior conoscenzadella lingua - attraverso le lezioni frontali oneto one - e la creazione di una relazione attraversol’offerta di momenti extra rispetto alla malattia,contesti diversi rispetto alle impellenze medichee alla sofferenza. Sinora il progetto e stato so-stenuto gratuitamente, richiedendo uno sforzovolontario a tutti i partecipanti. A quattro mesidall'inizio, sono state realizzate piu di 25 ore diincontri mamma- volontario, 15 ore di forma-zione e piu di 100 ore di coordinamento interno,preparatorio. Le risorse attive sono molteplici:assistenti sociali, primari della pediatria, coor-dinamento LILT, referenti Settore Volontariato,volontari e operatori della RRSSP. ■

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terapeutico mantenendo il bambinoin un assetto di vita il più possibilevicino alla normalita, è necessarioche il tumore del bambino non siaconsiderato una tara da cui rifuggiree non rappresenti ancor oggi motivodi emarginazione per il malato e lasua famiglia». Nell’Unità diretta dallaprofessoressa Massimino, attenzioneparticolare viene data alla necessitàdi agevolare la quotidianità dei rap-porti familiari e dei momenti di so-cializzazione, studio e gioco (perrendere meno malinconica la de-genza nei fine settimana e nei giornifestivi, è stato attuato un progettoad hoc con animatori specializzati),sia durante l’ospedalizzazione chenei successivi periodi di terapie econtrolli ambulatoriali. In questastrategia sono coinvolti medici, in-fermieri, insegnanti, educatori, ope-ratori psico-sociali e volontari, moltidei quali disponibili grazie ai finan-ziamenti della Lilt.

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«Un bambino di quattro anniun giorno mi ha chiesto: “Dottore,perché la mia mamma è diventatacosì brutta?” Il bambino, anche pic-colissimo, si rende conto di tutto quel-lo che gli succede attorno e anche diciò che gli adulti si aspettano da lui»:Momcilo Jancovic, pediatra emato-logo della Fondazione Monza eBrianza per il Bambino e la suaMamma nel Centro Maria LetiziaVerga dell’Ospedale San Gerardo diMonza, si occupa di piccoli pazientioncologici da oltre 40 anni. «Per au-mentarne la resilienza è necessario -in maniera positiva e adatta alla loroetà - coinvolgerli nel processo di curae rimandare loro messaggi positivi esperanzosi: per le mamme, anchenon rinunciando al parrucchiere e atruccarsi. A un altro mio paziente,che non aveva ancora compiuto cin-que anni, ho spiegato che avrebbedovuto mettercela tutta per combat-tere la sua malattia. Al successivo dayhospital per la terapia, si è presentatocon addosso un costume daSuperman, e così ha fatto per tutto ilperiodo delle cure quotidiane. Soloquando è passato nella fase di man-tenimento, con somministrazione del-la terapia una-due volte al mese, ètornato vestito da bambino, perchénon gli serviva più comportarsi da su-per eroe».

Il dottor Jankovic, però, ci tienea sottolineare che «Non sono il dolore,la sofferenza o le difficoltà insistenelle terapie che forgiano la resilienza,ma la capacità del bambino di crederenelle sue risorse e nella possibilità difarcela contro la malattia, la maggiorspontaneità, rispetto a un adulto, nelvedere il bicchiere mezzo pieno an-ziché mezzo vuoto. Questo si verificanel 70-80 per cento dei casi: purtrop-po, specie tra gli adolescenti, c’è an-

tata dai problemi psicosociali ed eticilegati alla comunicazione della dia-gnosi, della prognosi, delle prospet-tive terapeutiche e al loro impattosulla vita del paziente e della suafamiglia. Come per ogni grave ma-lattia, il dramma della diagnosi dicancro in un bambino pone pazien-te, familiari e curanti di fronte alproblema della morte, del senso del-la vita, del ruolo del piccolo amma-lato nella storia della famiglia»:Maura Massimino, direttore dellaPediatria Oncologica dellaFondazione IRCCS Istituto Nazionaledei Tumori di Milano lo scrive nelManuale del volontariato in onco-logia (scaricabile gratuitamente alsito www.legatumori.mi.it). «L’equi-pe terapeutica deve prendere in ca-rico, oltre al piccolo malato, anchela sua famiglia, cui è richiesta d’altraparte una partecipazione attiva nellagestione terapeutica. Per consentiredi raggiungere il massimo risultato

Il dramma della malattia in un bambino ha ripercussioni enormi su tutta la famiglia

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che chi subisce negativamente l’even-to-malattia, perché ovviamente sonomolto più cervellotici del bambino disei-otto anni e fanno molto più faticaad adattarsi e ad accettare le cure, esta al medico e agli operatori porsi inmodo differente per incoraggiarnela resilienza. Quando ci si riesce, i ra-gazzi guariti - i cosiddetti “pazienti-esperti”finiscono per diventare i piùconvincenti messaggeri della possi-bilità di farcela, e alla grande». La re-silienza nelle femmine è più spiccata:«A parità di età e di condizioni, le ra-gazze - senza voler generalizzare -sono quasi sempre le più forti», con-ferma l’ematologo. «Tra gli adole-scenti, i disturbi somatici connessi allecure - mal di testa, mal di pancia,malesseri generalizzati - sono più nu-merosi tra i ragazzi decisamente piùfragili. E sono spesso le ragazze a

fare il primo passo negli amori chenascono durante le terapie: la lorocapacità di reazione non di rado di-venta uno stimolo di resilienza per ilragazzo».

Il dottor Jankovic ribadisce comei bambini siano tutti profondamentesensibili e acuti: nel libro Ne vale sem-pre la pena, riporta la lettera scrittada un diciassettenne alla madre perringraziarla di avergli fatto vivere lamalattia, a 7 anni anni, con normalità.«Questa è la parte più difficile, perchérichiede un grande sforzo tanto daparte dei medici che dei genitori. Ingenerale, i più incapaci di crederecon fiducia al processo di guarigionedi fronte a una grave malattia di unbambino sono proprio gli adulti, acui si richiede un atto di eroismo: bi-sogna cambiare abitudini, prima di

tutto nel modo di pensare. Il ragazzoscrive che sentiva la madre piangeredi notte, ma durante il giorno, davantia lui, era sempre serena. Se i genitorinon sono abbastanza resilienti, se silasciano andare, si trascurano nonparlano con il bambino di quello chegli sta succedendo, lui - che invececapisce tutto - cercherà a sua volta,con i mezzi che ha, di proteggerli daulteriori sofferenze». Gli adulti a voltenon si rendono conto del carico diresponsabilità che danno ai piccolipazienti, pensando invece di far bene:«Per una mamma, allontanarsi dalpiccolo in ospedale richiede moltaforza. Ma tornare riposata e in ordinesignifica trasmettere forza: “Se lamamma è serena, allora io non sonopoi così grave”. Bisogna liberarsi dalsenso di colpa, dalla paura del giudizioaltrui, da consuetudini errate. La ma-

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Gli adolescenti fanno molta più fatica ad adattarsi e accettare le cure

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è far star meglio tutti: e deve essereil fine anche di medici, operatori, ge-nitori, nonni e chiunque sia intornoal bambino, donargli la qualità di vitamigliore possibile. La resilienza nonè qualcosa che ha senso solo se fina-lizzata alla guarigione, ha senso inogni caso».

È dagli anni Cinquanta che siè cominciato a garantire il rispettodelle esigenze specifiche dell’infanziadurante le cure ospedaliere. «In GranBretagna fu riconosciuta la necessitàdella presenza della madre e di spazidi gioco all’interno dei reparti pe-diatrici di degenza», spiega CarloAlfredo Clerici, medico specialistain psicologia clinica psicologo clinicodella Pediatria Oncologica dellaFondazione IRCCS Istituto Nazionaledei Tumori di Milano. «Già nel 1951l’Organizzazione Mondiale dellaSanità aveva raccolto dati sugli effettidannosi della carenza di cure ma-terne nei primi mesi di vita e i rischidi degenze prolungate senza la pre-senza della madre. Da quegli annisono stati condotti studi approfonditisugli aspetti psicologici delle malattieorganiche dei bambini che hannoportato gradualmente a repartiospedalieri sensibilizzati alle esigenzespecifiche del bambino e dotati dirisorse adeguate come spazi di gio-

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lattia di un bambino insegna anchequesto». Purtroppo non tutti ce lafanno, anche se oggi le terapie per-mettono successi che, quando

Momcilo Jankovic era un giovanemedico, non erano neppure imma-ginabili: «Il limite della medicina ènon riuscire guarire tutti, ma l’obiettivo

IL PROGETTO “TE LO SPIEGO IO”

❙ La malattia grave di un bambino è un evento del tutto inatteso equasi sempre incomprensibile: oltre a cure scientificamente avanzate,è fondamentale un supporto affinche i piccoli e giovani pazientipossano capire quanto sta loro accadendo in una chiave adeguataalle conoscenze e al linguaggio della loro età. “Il Progetto Telo spiegoio è un progetto innovativo realizzato in collaborazione con la SezioneEducativo-Didattica della Struttura Complessa di Pediatria dell’IstitutoNazionale Tumori diretta dalla dottoressa Maura Massimino e sostenutodalla Lega Italiana per la Lotta contro i Tumori di Milano. Si rivolge aibambini da 0 a 13 anni. e alle loro famiglie, nasce dalla convinzioneche la conoscenza sia il miglior antidoto contro la paura. Paure comunia tutti bambini, che vengono maggiormente amplificate nel contestoospedaliero alle quali si aggiunge il profondo timore del dolore. Occorrequindi informare adeguatamente e con un linguaggio adeguato all'etatutti i bambini e ragazzi che si sottopongono alle cure e agli esamidiagnostici per favorire il necessario sentimento di fiducia verso tuttoil personale medico. Allo stesso modo occorre informare in modoefficace anche i genitori per contenere la loro angoscia, favorendouna positiva alleanza con l'equipe curante: se il bambino percepisceansia o timori nell'adulto, puo diventare meno collaborativo. Il progetto“Te lo spiego io” prevede la realizzazione di due libri digitali multimedialie interattivi multipiattaforma dedicati ai piccoli pazienti da 0 a 6anni, dai 6 ai 13 anni, e un terzo libro dedicato ai genitori. Ogni libroconterra circa 25-30 ambienti/capitoli, legati da un unico filo conduttorein cui sia possibile navigare, ottenendo informazioni, testimonianzeaudio e video. L’impostazione grafica sara adeguata alle fasce d'eta dacoinvolgere con l’utilizzo di disegni prodotti dai bambini. Sarannorealizzati 25-30 filmati in alta definizione dei vari ambienti ospedalieri,compresi quelli dedicati agli esami diagnostici e alle cure, di dueminuti circa ciascuno, con traduzione audio o sottotitoli nelle linguepiu diffuse tra i pazienti (inglese, arabo, russo, cinese, spagnolo,francese, rumeno...). All'interno dei libri saranno inseriti giochi adeguatiall'eta. Sara inoltre realizzato un percorso specifico per fascia d'eta9/13 anni che comprendera momenti di realta virtuale e aumentata,con giochi fruibili sia in Istituto (direttamente su tablet dedicati) cheda casa con link di collegamento. Si prevede la realizzazione di unalbum illustrato, con inclusi sticker adesivi ad hoc che riproduconoil percorso terapeutico compiuto dai pazienti con riferimento anchea parti gia illustrate e trattate nei libri interattivi. Al completamentodell'album, come premio finale, i piccoli pazienti potranno scaricaregratuitamente un libro digitale messo a disposizione dal CentroLeonardo Education e lo stesso libro potra anche essere donato aicompagni della classe di appartenenza.

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co, servizi scolastici, letti per la per-manenza notturna dei genitori…»L’oncologia pediatrica è anche unosservatorio privilegiato su molti fe-nomeni, come l’adattamento psi-chico al trauma della malattia, anchenel percorso di sviluppo fino all’etàadulta. «Un’esperienza così estremacome la malattia oncologica chemette a rischio la vita, ma oggi dabuone possibilità di sopravvivenza,lascia un impatto a lungo termine?A lungo si è cercato di capire se lepersone curate in gioventù per ma-lattie gravi soffrissero di disturbi diarea psichiatrica maggiormente ri-spetto alla popolazione generale: larisposta è no, non c’è un dato su-periore alla media, incidenza dei sui-cidi compresa. Ma se c’è un trattocomune nelle storie dei singoli pa-zienti guariti è l’unicità: per ciascunoil percorso con cui da piccoli sonosopravvissuti alla paura, sono riuscitia guardare oltre oppure, al contrario,si sono “inceppati” e magari sonoanche un po’ regrediti - in particolarenella seconda infanzia e nel passag-gio dalla preadolescenza all’adole-

scenza, con difficoltà nel gestirel’equilibrio tra le esigenze d’auto-nomia e il bisogno di essere accuditi- non è generalizzabile ed è sempreil frutto dell’incrocio tra la biologia(c’è chi è per natura più psichica-mente resistente o meno), l’atten-zione al dolore del bambino e lacura in senso ampio: non solo ero-gazione di prestazioni mediche avan-zate, ma anche dare la possibilità aun paziente in crescita di non per-dere appuntamenti con l’esistenza.Se un adulto deve fermarsi sei mesiper curarsi, non è un problema perle sue competenze, che ormai sonoacquisite: ma se un bambino di treanni non impara a parlare o nonsocializza con altri bambini farà mol-ta fatica a recuperare queste tappe».

La resilienza è il risultato di un in-vestimento in amore, attenzione, cul-tura, assistenza, solidarietà. «E co-municazione: il bambino ha bisognodi essere aiutato a capire cosa gli suc-cede per poter avere la sua collabo-razione fiduciosa durante le terapie»,continua Clerici. «Ma è necessario

tenere conto del fatto che la resilienzaè anche un percorso di adattamentoche può comprendere passi avanti eperdita di terreno: per esempio, cisono piccoli che affrontano la cadutadei capelli senza paura, altri che hannobisogno di indossare la parrucca al-meno per i primi tempi, altri che pos-sono essere aiutati dall’insegnanteche prepara la classe al loro ritorno ascuola. La malattia è sicuramente unagrande esperienza di vita e di ap-prendimento, ma non è scontato néautomatico che renda le persone piùforti o migliori: molto dipende dalcontesto, dalla possibilità di esserecurati in un reparto pediatrico checerca di prendersi cura di interi nucleifamiliari. Se i medici trattano il dolorein maniera adeguata, se il bambinoè trattato come una persona, se glisono concessi spazi di gioco, se gliinsegnanti lo aiutano nella continuitàscolastica, se la famiglia non crollaperché viene sostenuta nell’orientarsinelle normative sanitarie, nei possibiliaiuti economici, con assistenti sociali,educatori, maestri la resilienza diventacollettiva». ■

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Compito di genitori e medici è quello di non far perdere ai giovani malati appuntamenti con l’esistenza

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AMIAMO OSSERVARE COME VIVI LA TUA VITA DIMOSTRANDO LA TUA

FORZA

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dossier

DOSSIERDOSSIERIl microbiota

vive con noi di Agnese Codignola

100 trilioni di ospiti nel nostro corpo, sono più numerosi delle stelle della Via Lattea.

Sono virus, batteri, funghi e protozoi che coabitano con l’essere umano e che pare possano avereun’importanza enorme per la nostra salute

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Dagli anni novanta a oggisono stati pubblicati pocomeno di 50.000 studi sul

microbiota, cioè su quell’enormemassa di batteri, virus, funghi eprotozoi che coabitano con l’essereumano, il cui numero complessivoè stupefacente: 100 trilioni, fino adue chilogrammi di peso; il 56%di queste ricerche sono state svoltenegli ultimi tre anni. I due numeri,da soli, rendono l’idea di quantosia in crescita l’interesse verso unmondo al tempo stesso vicinissimoa noi, ma anche misterioso e affa-scinante, e quanto si sia solo al-l’inizio di un’avventura della co-noscenza che ci riserverà molte ea oggi poco prevedibili sorprese.Uno dei numerosi possibili campidi applicazione è rappresentatodall’oncologia, un settore nel quale

il ruolo del microbiota è in costantecrescita, come testimonia il fattoche dei circa 4.000 studi sul legametra cancro e microrganismi dispo-nibili in letteratura il 50% sonostati pubblicati negli ultimi dueanni.

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Solo negli ultimidue anni sonostati pubblicati

duemila studi suilegami tra cancro

e microbiota

Microbiota & tumori

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Quanti e quali sono

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Contro Cancro ha chiesto a unodei ricercatori italiani impegnati astudiare in questo ambito, RiccardoValdagni, Direttore dellaRadioterapia Oncologica 1 e delProgramma Prostata dellaFondazione IRCCS IstitutoNazionale dei Tumori di Milano,di spiegare in che modo sta cam-biando l’idea stessa di microbiotae, con essa, quella di essere umano,e che cosa c’entri la microflora coni tumori. Spiega Valdagni: “Tutti noi siamoolobionti, cioè formati da un insie-me di esseri viventi che va benoltre il corpo umano in quanto tale,perché comprende appunto tuttele specie con le quali quest’ultimosi è evoluto, sviluppando rapportidi collaborazione e sovente di in-terdipendenza. Siamo insomma unintero ecosistema che vive e si man-tiene in equilibrio solo se stannobene anche tutti quei batteri, virus,funghi e protozoi che vivono connoi e che stiamo iniziando solo oraa conoscere, e il cui numero è circadieci volte quello delle cellule uma-ne. Per questo la nostra idea di loroè cambiata: considerati per decennisolo dei passeggeri, oggi li si ritiene

a tutti gli effetti dei copiloti. E in-sieme ad essa è mutata anche l’ideache abbiamo di noi, perché l’im-portanza del corpo umano da solone esce in qualche modo ridimen-sionata, relativizzata: basti pensareche le informazioni contenute nelcodice genetico del microbiota sonocirca 150 volte quelle presenti nelDNA umano”.Che i nostri compagni di viaggiosiano cruciali per il nostro benes-sere lo dimostrano due tipi di in-formazioni sulle quali si sta lavo-rando: quelle relative alla loro lo-calizzazione, perché ormai è di-mostrato che non esiste distrettodel corpo che non sia colonizzato,e quelle relative alla loro funzione,che solo oggi stiamo iniziando acomprendere veramente. “In gene-rale” sottolinea il ricercatore “sipuò dire che i microrganismi as-solvano compiti metabolici impor-tantissimi (per esempio nel meta-bolismo dei glucidi e degli ami-noacidi, nella digestione alimentare,nella biosintesi di vitamine) e cheabbiano un ruolo strutturale, eprotettivo (di barriera contro le di-sbiosi, dal momento che la pre-senza di alcune specie impedisce

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HumanMicrobiome

Project❙ Quanti sono gli esseri altro da noiche abitano con noi? Che aspettohanno e, soprattutto, quali caratte-ristiche biologiche?Per rispondere non basta lo sforzodi un laboratorio e neppure quellodi qualche centro di ricerca: è ne-cessario uno sforzo titanico. Per que-sto è nato lo Human MicrobiomeProject (https://hmpdacc.org) è il piùgrande progetto di caratterizzazionedi tutto ciò che coabita con l’uomoin tutti i distretti corporei. Lanciatonel 2007 dai National Institutes ofHealth, ha concluso la prima fasenel 2014 ed è stato poi prolungatoed è già costato, tra il 2007 e il 2016,170 milioni di dollari. Finora ha per-messo di mettere in piedi un data-base fondamentale e soprattutto diuniformare procedure e sistemi diclassificazione. Dal punto di vista cli-nico ha portato a importanti cono-scenze spesso inedite sulla flora va-ginale e sulle sue implicazioni nellagravidanza, nel parto e nell’allatta-mento, sul diabete di tipo 2, sullesindromi infiammatorie intestinali,sulle malattie neurodegenerative (ades la sclerosi Laterale Amiotrofica eil Morbo di Parkinson) e alla messaa punto di strumenti più affidabiliper distinguere un microbiota fisio-logico da uno patologico.

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che a prendere il sopravvento sianoaltre specie patogene), nonché diregolazione e modulazione del si-stema immunitario”.Ma il microbiota è un universomolto complicato, composto da unnucleo di specie sempre presenti(pari a circa un terzo del totale) e

da un corredo di altre specie cherisente di molti fattori: nell’insiemetutto questo dà vita a un unicumche è assolutamente personale, cheinizia a prendere forma durante ilparto (secondo alcuni studi giànella vita fetale) e che cambia poinel tempo, in dipendenza da molte

variabili. Tra le principali vi sonoil sesso, l’età, il luogo e le condizioniin cui si vive, i geni di ciascuno, leinfezioni, i farmaci e i trattamentiassunti (per esempio gli antibiotici,i chemioterapici, gli immunotera-pici, le radioterapie), le malattie, lefasi della vita e la dieta.

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L a composizione del microbiota risente anche del luogodi residenza, e questo lo si è visto analizzando, per

esempio, le specie presenti in persone che cambiano paese:nel giro di pochi mesi la loro microflora cambia, per assomigliaresempre di più a quella di chi già risiede nel nuovo paese.Uno studio pubblicato su Applied and EnvironmentalMicrobiology dai ricercatori dell’Institute of Agrochemistryand Food Technology del National Research Council di Valencia,in Spagna, lo ha chiaramente dimostrato analizzando parti-colarmente la popolazione di funghi presenti nel latte materno.Gli autori hanno infatti caratterizzato i funghi del latte didonne spagnole, finlandesi, cinesi e sudafricane, e trovatodifferenze rilevanti. Le specie più rappresentate, e semprepresenti, sono Malassezia, Davidiella, Sistotrema e Penicillium.Altre specie presentano una variabilità elevata nelle diverse

aree geografiche. Ma ciò che cambia di più è la percentualedi funghi, cioè del microbiota: mentre in Spagna e in SudAfrica il 70% dei campioni di latte ha livelli significativi, inCina solo il 45% e in Finlandia solo il 35% del latte studiatoli ha.Oltre alla geografia, un altro fattore che influenza la compo-sizione della popolazione fungina è il tipo di parto: le donneche partoriscono per via vaginale hanno più Cryptococcusdelle altre. Conoscere i funghi presenti nel latte materno è importanteper curare eventuali malattie del bambino, soprattutto qualorasia nato prematuro. E sapere che la composizione varia a se-conda del luogo di residenza e del tipo di parto è un elementoimportante per valutare il microbiota in tutta la sua complessità,e non solo per quello che riguarda specificatamente funghi.

Microbiota e latte materno

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Microbiota e malattieFin qui la situazione fisiologica, mache cosa succede quando il corposi ammala? Risponde Valdagni: “Sicrea quasi sempre, a prescinderedalla malattia, una disbiosi, cioèuno squilibrio quantitativo e/o qua-litativo delle popolazioni residenti,che può essere sia causa che con-seguenza dello squilibrio instaura-tosi. Le alterazioni della microflorasono oggetto di moltissimi studi,proprio perché possono essere stru-menti di diagnosi, cioè aiutare aprevedere o a confermare la pre-senza di una patologia, e perchépossono essere bersaglio di terapiemirate che tendono a ripristinarel’equilibrio perduto attraverso lasomministrazione selettiva di alcuniceppi benefici, con il possibile van-taggio di una bassissima tossicità”.Inoltre potremmo potenzialmenteutilizzare probiotici o prebioticiper favorire la presenza di ceppifavorevoli.” Per questi motivi, i 50.000 studisono dedicati alle più diverse pa-tologie: da quasi tutte quelle del-l’intestino, dove risiede il 70% dellamicroflora, comprese le coliti au-toimmunitarie come quella ulcerosae il morbo di Crohn, il colon irri-tabile e così via, all’asma, dalla de-pressione (vedi box) alla malattiadi Alzheimer, dal morbo diParkinson all’autismo, dal diabetea diverse patologie epatiche, dallasclerosi laterale amiotrofica alle al-lergie, per citarne solo alcune.Per quanto riguarda il cancro, poi,il potenziale del ruolo del micro-biota è se possibile ancora maggiore,perché esso interagisce in ogni sta-dio della malattia e su tutti gliaspetti, dallo sviluppo della massa

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venire nella nascita e nell’accre-scimento di un tumore sia diret-tamente, attraverso la sintesi e ilrilascio di molecole che possonoagevolare la proliferazione, sia in-direttamente, attraverso il bloccodi funzioni difensive che, di frontea un insulto, tendono a ripristinarela normalità a scapito della perditadi controllo. In tutto questo, il mi-crobiota può influenzare, amplifi-candola, l’infiammazione dei tessuti,che oggi sappiamo essere una con-dizione cruciale per lo sviluppo ela crescita di una neoplasia”. Che sia così lo confermano alcunistudi focalizzati sulla diagnosticadel cancro: per citarne due tra i

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alla diagnosi, dal monitoraggio altipo di trattamento, fino alle tossi-cità dello stesso. Chiarisce in meritoValdagni: “Il microbiota può inter-

Depressione&psicobiotici

❙ Anche i disturbi dell’umore, tracui la sindrome depressiva, potreb-bero avere un legame assai strettocon il microbiota. Secondo uno stu-dio dell’Università Cattolica diLovanio, in Belgio, pubblicato suNature Microbiology, nel quale èstata analizzata la microflora inte-stinale di 2.000 europei, il 90%delle 532 specie batteriche esami-nate produce e secerne neurotra-smettitori quali la serotonina e ladopamina, noti protagonisti dellaregolazione del tono dell’umore.Inoltre i pazienti depressi mancanodi due ceppi presenti nelle personeche non soffrono di depressione: ilDialister e il Coprococcus. Il quadroè ancora poco chiaro, e molte dellespecie isolate sono quasi scono-sciute, ma il fatto che dal nervovago e dalle sue diramazioni, chegiungono ad innervare l’intestino(sono infatti responsabile della pe-ristalsi gastrointestinale) , i neu-rotrasmettitori si muovano verso edall’intestino, in entrambe le dire-zioni, lascia immaginare che le re-lazioni tra i due organi siano crucialiper il tono dell’umore . ,Ciò spiegaaltresì perché ci sia un interessecrescente verso i cosiddetti psico-biotici, ovvero quei ceppi - ancorain studio - che potrebbero influen-zare positivamente l’umore senzabisogno di farmaci.

Quando ci si ammala si crea una disbiosi che causauno squilibrio qualitativo e quantitativo del microbiota

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più recenti, i ricercatori dellaZhenjiang University cinese hannopubblicato, sul Journal of OralMicrobiology, quanto osservato in30 malati di tumore al pancreas lacui microflora residente sulla linguaera stata messa a confronto conquella di 25 soggetti sani, ovverouna differenza molto chiara, conuno squilibrio soprattutto a caricodi quattro specie tra le qualil’Haemophilus, il Porphyromonas(diminuiti) e la Leptotrichia e ilFusobacterum (aumentati), chesuggerisce che un esame di questotipo possa in futuro diventare unostrumento di diagnosi precoce. Nello stesso periodo, i ricercatoridell’Università del Nebraska diLincoln hanno pubblicato su mBio,quanto osservato in quasi 150 donnecon un’infezione da papillomavirusumano: le pazienti più a rischiodi sviluppare un tumore della cer-

vice avevano una specifica florabatterica. E tra non molto tempopotrebbe essere possibile indivi-duare anticipatamente chi è più arischio di ammalarsi in base allapresenza di uno o più ceppi asso-ciati allo sviluppo di un tumore diquesto tipo.Ma l’aspetto diagno-stico è appunto solouno di quelli cui siguarda con massimaattenzione in ambitooncologico: al mo-mento sono almenouna ventina i trialclinici attivi in tuttoil mondo sui più di-versi aspetti, uno deiquali è coordinato dallo stessoValdagni, che spiega: “Il microbiotapuò influenzare la tossicità dellecure sia chemio che radioterapiche,come abbiamo visto anche noi, e

come stiamo approfondendo in unostudio ancora in corso su 400 pa-zienti affetti da tumore della pro-stata e del distretto testa-collo. Idati definitivi sono in via di ela-borazione e saranno disponibili abreve; nella fase preliminare ab-biamo già constatato che la tossicitàda radioterapia varia in funzionedel tipo di microflora presente:quando non c’è tossicità troviamoun certo tipo di microflora, mentrequando si verificano significativieffetti collaterali in generale man-cano alcune famiglie di batteri, chepotrebbero quindi ricoprire un ruo-lo protettivo.”

Microbiota eimmunoterapiaC’è poi un altro ambito nel qualel’attenzione è massima: quellodell’immunoterapia, la cui effica-cia sembra essere molto dipen-dente dalla composizione del mi-crobiota. Lo si è capito, tra l’altro,da studi italiani. Era infatti notoda qualche anno che i malati cheper qualche motivo hanno assuntoantibiotici rispondono meno beneall’immunoterapia, probabilmenteproprio perché la loro microfloraè alterata. E un paio di anni faLuigi Nezi, responsabile del labo-ratorio di dell’Istituto Europeo diOncologia di Milano, ha pubbli-

cato su Scienceuno studio chein cui dimo-strava, su 112malati di mela-noma, che lamicroflora èmolto diversain coloro che ri-spondono omeno all ’im-

munoterapia, e che i più fortunatisono particolarmente ricchi dibatteri chiamati Ruminococcacee.Ma perché la microflora è cosìimportante per la risposta all’im-

Il microbiotapuò influenzare

la tossicità di chemio

e radioterapie

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Oggi infatti basta introdurre delmateriale anche non vitale neglistrumenti, e poi vedere se la mac-china vi ritrova sequenze (di variotipo) che dimostrano la presenzadi un certo viruso batterio o fun-go. Il panoramasi è dunque am-pliato enorme-mente, e cresceogni giorno. Ilpasso successivoè capire che cosapotrebbe teorica-mente fare ciascuna di queste spe-cie, e anche in questo caso le tec-niche più moderne ci danno unamano. Infine, è necessario capireche cosa effettivamente una certaspecie fa nelle condizioni reali diun certo paziente, e anche questosi può determinare, anche se de-lineare un panorama completo èdavvero molto complicato”.

munoterapia, che al momento èferma a percentuali che vannodal 30 al 50% dei malati (senzache ne se sia ancora capito deltutto il motivo)? Contro Cancro l’ha chiesto allostesso Nezi, che risponde: “Stiamoiniziando a comprenderlo solo ora,grazie alle innovazioni tecnolo-giche. Un tempo, per verificare lapresenza di un certo ceppo, biso-gnava coltivarlo in piastra, spe-rando che crescesse nelle condi-zioni che mettevamo a punto, epoi studiarlo in tutto il suo ciclovitale e determinarne le caratte-ristiche biologiche. Il procedimen-to era insomma molto lungo e adalto rischio di fallimento: ciò spie-ga perché, delle oltre 3.000 speciebatteriche note, ne siano state col-tivate a oggi circa un terzo. Poi èarrivata l’era del sequenziamentodei geni in tutte le possibili de-clinazioni, ed è cambiato tutto.

I ricercatori di tutto il mondostanno quindi cercando di vedercipiù chiaro, in un universo micro-biologico che qualcuno ha definitomateria oscura, per indicare pro-

prio l ’estremacomplessità conla quale si deveconfrontare. Manel frattempostanno anche pro-cedendo con ap-plicazioni tera-peutiche delle co-noscenze finora

acquisite: e si tratta di approccimolto promettenti e seguiti congrandissimo interesse da tutta lacomunità scientifica. Lo si è capitoquando, nello scorso mese di apri-le, l’ufficio stampa dell’AmericanAssociation for Cancer Research(AACR) ha deciso di puntare sudue studi molto simili per darevisibilità al suo congresso annuale.

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Il microbiotapotrebbe

diventare unostrumento perpotenziare le

terapie

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In quel momento gli oncologi ditutto il mondo hanno capito cheerano in presenza di una svolta:il microbiota intestinale proba-bilmente aveva un ruolo moltopiù importante di quello imma-ginato, e sarebbe forse diventatopresto uno strumento formidabileper potenziare le terapie e, in par-ticolar modo, appunto, l’immu-noterapia. I due studi messi in ri-salto dimostrano infatti che untrapianto di microbiota fecale in-testinale o MFT può rendere unmalato che non risponde alla sti-molazione del sistema immuni-tario sensibile alla terapia, e quindiresponsivo.Lo hanno visto, in particolare, ungruppo di oncologi israeliani, delloSheba Medical Center di RamatGan, che hanno raccolto le feci di

due pazienti con un melanomametastatico che era sparito dopoil trattamento con un cosiddettoinibitore del checkpoint PD-1 (unodei farmaci che, appunto, sbloccanoil sistema immunitario e lo spin-gono a reagire contro il tumore), ele hanno trattate adeguatamente,e poi trapiantate tramite una co-lonscopia in tre pazienti che nonavevano risposto alla stessa cura,insieme a un concentrato orale del-lo stesso microbiota. Molto prestogli oncologi hanno visto cambiarela flora batterica dei trapiantati,diventata molto più simile a quelladei donatori; due di essi sono di-ventati più sensibili all’immuno-terapia, uno ha avuto una stabi-lizzazione con diminuzione dellamassa che dura ancora oggi, unsecondo una diminuzione del tu-

more, che tuttavia è ricomparsodue mesi dopo il trapianto. Ma ciò che più ha colpito i ricerca-tori israeliani è che la biopsia del-l’intestino dei tre pazienti ha mo-strato una presenza molto più mar-cata di cellule del sistema immu-nitario, rispetto a quanto non si ve-desse prima della procedura: il tra-pianto aveva dunque attivato la ri-sposta difensiva dell’organismo.Nell’altro studio, coordinato al-l’italiano Giorgio Trinchieri, chedirige un dipartimento delNational Institute of Cancer diBethesda, in Maryland, altri tremalati hanno subito un trapiantodi microbiota fecale intestinale edopo un farmaco anti PD-1, e oggidue di loro sono in remissione. Idati sono dunque simili e questospiega perché l’AACR abbia rite-

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Il trapianto

❙ La procedura dell’FMT è semplice:le feci del donatore vengono prele-vate, trattate, disidratate, liofilizzatee rese adatte al trapianto, che av-viene poi tramite una colonscopiao per via orale, quando il materialeè stato incapsulato. Nel giro di po-chissimo tempo la microflora deltrapiantato tende ad assomigliaresempre più a quella del donatore.Nel mondo sono già state effettuatemigliaia di procedure di questo tipo,soprattutto per il trattamento delleinfezioni da Clistridium difficile; perquanto riguarda l’oncologia, sonostati svolti diversi studi clinici, e altrisono in corso.Si è scoperto, proprio nell’ambitodi alcuni trial, che esistono super-donatori, ovvero persone le cui fecicontengono un mix particolarmenteefficace. Ora si sta cercando di capiremeglio che cosa abbiano di specificoqueste super-microflore.

Stool sample fromhealthy

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nuto opportuno segnalarli conmolta enfasi, e perché riviste del-l’importanza di Science abbianoriferito quanto emerso.Anche se indubbiamente fa una

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certa impressione pensare a untrapianto di feci, molti ricercatoriritengono che sia uno strumentoassai efficace per modificare laflora batterica e renderla una vera

e propria medicina. Il motivo èfacilmente comprensibile: i batteri,i virus e i funghi presenti nell’in-testino sono centinaia di speciediverse, e finora solo qualcuna di

Oltre a costituire un motivo di interesse e speranza per l’im-munoterapia dei tumori, il trapianto di microbiota fecale, giàapprovato in alcuni paesi per curare l’infezione da Clostridiumdifficile, sta dando risultati sorprendenti per una patologiaper la quale non c’è cura: l’autismo o, per meglio dire, lospettro di disturbi autistici o ASD.Nello scorso mese di aprile la prestigiosa rivista ScientificReports ha infatti pubblicato quanto osservato dai neurologidell’Università dell’Arizona su bambini autistici trattai nel2017: la persistenza della diminuzione dei 45% dei sintomiprincipali quali quelli che interessano il linguaggio, lerelazioni sociali e il comportamento, e del 58% di quelligastrointestinali.L’idea di provare con l’FMT nasce da una constatazione: gliautistici più gravi hanno sempre sintomi gastrointestinalicronici (che colpiscono tra il 30 e il 50% degli autistici in ge-nerale) quali diarrea, costipazione e colite, e questo aggravala loro condizione perché causa irritabilità, disturbi del com-

portamento, difficoltà a concentrarsi e ad apprendere. Le duecose sono collegate, perché è noto che se si riescono a curarei primi, anche gli altri sintomi migliorano. Inoltre è stato di-mostrato che hanno gravi squilibri della flora consideratanormale.Nello studio in questione, 18 ragazzi erano stati trattati primacon l’antibiotico vancomicina, al fine di normalizzare la mi-croflora di tutti, e poi con un FMT al giorno per sette-ottosettimane. Già i primi risultati, pubblicati nel 2017, lasciavanoben sperare, perché il miglioramento dei sintomi era evidente.Ma quelli attuali, ovvero il resoconto dopo due anni, potrebberomodificare l’approccio all’autismo, perché nessuna delleterapie proposte fino a oggi ha mai avuto effetti simili: iragazzi classificati gravi sono passati dall’83% al 17%.Restano moltissime cose da capire, per esempio sul ruolo deisingoli ceppi o su eventuali sostanze secrete, e sarà necessarioavere conferme su campioni decisamente più grandi, ma lastrada sembra indicata.

Autismo

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Per fare il punto sulle attuali conoscenze sul legame tramicrobiota e cancro, Giovanni Apolone, Direttore Scientifico,

e Riccardo Valdagni, Direttore della Radioterapia Oncologica1 e del Programma Prostata - Fondazione IRCCS IstitutoNazionale dei Tumori di Milano - stanno organizzando il primomeeting europeo interamente dedicato all’argomento, che siintitolerà MIBIOC - The way of the microbiota in cancer, sisvolgerà a Milano il 21 e 22 novembre e vedrà la partecipazionedi alcuni tra i più importanti opinion leader a livello interna-zionale. Ricercatori italiani e internazionali si alterneranno perdue giorni nella discussione, fornendo gli ultimi aggiornamentisul tema. Per saperne di più: http://mibioc.sharevent.it/

Il congresso di Milano

esse è stata associata a effetti spe-cifici: anche se la spinta commer-ciale (anche in ambito non pato-logico) verso l’assunzione di pro-biotici, cioè di specie battericheselezionate perché ritenute bene-fiche, e di prebiotici, cioè di so-stanze come sali minerali, acidigrassi specifici e vitamine che do-vrebbero favorire l’insediamentodi certe specie a scapito di altre,è fortissima, e anche se senza dub-bio alcuni ceppi sono particolar-mente importanti, in realtà pen-

sare di avere benefici puntandosolo su qualche batterio o fungoper il momento è quasi un azzar-do. Per ottenere un effetto positivo,si pensa, è meglio trapiantare intoto la flora batterica di una per-sona, che abbia alcune caratteri-stiche considerate promettenti. A parte il trapianto, è però sem-pre più chiaro che per definiremeglio il tipo di cura da consi-gliare a ogni malato, oltre al pro-filo genetico e alle caratteristi-che istologiche, è importantecapire anche quale tipo dimicroflora è presente, cheinfluenza anche la risposta allachemioterapia tradizionale. Equesto, conclude Valdagni “por-terà a una declinazione oggiappena immaginabile di ciò cheintendiamo per medicina perso-nalizzata: in base all’improntadigitale batterica, fungina e vira-le, ogni paziente sarà indirizzatoverso la terapia che presumibil-mente sarà più efficace, oppuretrattato con probiotici, FMT oaltri metodi ancora da mettere apunto ma comunque in grado dimodificare il suo microbiotafino a renderlo un partner per-fetto di ciò che si deve fare percurare il tumore”. ■

Il libro❙ Si chiama L’intestino in testa(Mondadori), ed è - finalmente - unlibro in cui un ricercatore molto sti-mato, Antonio Moschetta, ordinariodi medicina interna dell'Universitàdi Bari, fa il punto sulle più modernee concrete conoscenze relative a unodegli organi più importanti del corpoumano. Allergie e intolleranze o veree proprie malattie come la celiachia,colon irritabile, infiammato e autoim-mune, tumori del colon retto, mode,fake news, ruolo dello stress, stipsivs diarrea vere o presunte, relazionitra cervello e intestino e naturalmentemicrobiota: ognuno dei grandi temiche chiamano in causa quello che ètutt'altro che solo un tubo utile a farpassare i nutrienti, ha uno spaziodedicato, leggibile anche in modoautonomo. Il linguaggio semplice marigoroso, gli esempi e i commenti diMoschetta rendono questo libro pre-zioso: in un settore nel quale gliassalti della pubblicità e le leggendesono quotidiani, capire meglio checosa dice la scienza e che cosa rim-balza in rete senza alcun fondamentoè davvero fondamentale, per man-tenere l'intestino e quindi il corpo insalute.

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SISTEMA DI SEDUTE PAUL— VINCENT VAN DUYSENTAVOLINI JAN— VINCENT VAN DUYSENTAPPETO RANDOM— PATRICIA URQUIOLAARTWORK— SANTO TOLONE

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Tra i pazienti più attivi, le donne colpiteda tumore al seno: la metà delle ita-liane che deve fronteggiarlo lo fa an-che attraverso i social. Uno studiopresentato al Congresso ESMO 2018della Società Europea di OncologiaMedica (ESMO), su oltre 6mila tweet,ha rivelato che uno su tre è di caratteremedico, più frequenti i racconti diesperienze personali e sul tema pre-venzione. Ancora, secondo GiordanoBeretta, presidente eletto AIOM, «Daun’analisi di un campione di 258 as-sociazioni di pazienti, è emerso che isocial network e i servizi di telemedi-cina sono le innovazioni tecnologicheconsiderate di maggior impatto sul-l’assistenza medica e sulla salute (81e del 79 per cento), seguite dall’usodei dispositivi indossabili (64 per cento)e dalle App per la salute (60 per cen-to). Ma fra gli specialisti, vi è ancora

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Le false notizie e i pericoli della cattiva informazione

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di Ludovica Signorelli«I social network possono di-ventare armi importanti nella lottacontro i tumori»: non ha dubbiStefania Gori, presidente nazionaledell’AIOM (Associazione Italiana diOncologia Medica la società scienti-fica che riunisce più di 2.500 oncologimedici) e direttore del DipartimentoOncologico, IRCCS Ospedale SacroCuore Don Calabria di Negrar,Verona, smentendo così la tradizio-nale diffidenza della classe medicanei confronti della Rete, nelle cui ma-glie - talvolta ingannevoli - possonofacilmente cadere pazienti e personein cerca di informazioni su preven-zione, terapie, salute e malattia, persentirsi meno soli o condividere espe-rienze. In effetti, anche gli esperti discienza hanno capito l’importanzadi esserci per “alzare la voce” e fornireinformazioni corrette, provenienti da

fonti autorevoli, per combattere adarmi pari e smentire le tante fakenews che sugli stessi social networkvengono ripetutamente condivise ecommentate dagli utenti. «I profilisocial della nostra società scientificasono complementari al sito web uf-ficiale (www.aiom.it)», continuaStefania Gori. «Ma le potenzialitàaggregative dei social permettonodi raggiungere medici, pazienti e cit-tadini fino a coinvolgerli nelle nostreattività informative, favorendone ladiffusione virale».Se sul “dottor Google” digitando laparola “cancro” escono 33.900.000mila risultati (compreso il segno zo-diacale), digitando “tumore”20.500.000, il cancro è anche la ma-lattia più citata su Twitter e Facebook.

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ciale. «L’attrazione per le terapie “nonconvenzionali” è alimentata dal timoree, talvolta, dalla disperazione causatidalla diagnosi di malattia», sottolineaNicolis. «E chi promuove queste teoriesfrutta il bisogno di speranza dei malatie dei loro familiari». Con gravi rischi:quello - quando va bene - di alimen-tare, in chi sta bene, l’ansia di viverein un mondo avvelenato e pericoloso,con perdita di fiducia nella scienza enei suoi progressi, e nelle istituzionisanitarie. E, quando va male, che ipazienti abbandonino l’assunzione difarmaci efficaci per affidarsi a rimedipseudo-miracolosi privi di qualsiasivalore. «In Italia vengono stimati oltre370mila nuovi casi di tumore e il 60per cento dei pazienti è vivo a 5 annidalla diagnosi: un risultato importanteottenuto grazie alla prevenzione e adarmi efficaci che spaziano dalla chi-rurgia alla radioterapia e chemiote-rapia, fino alle terapie a bersaglio mo-lecolare e all’immuno-oncologia»,continua Stefania Gori. È inaccettabilequindi che giovani pazienti, spessosostenuti dai genitori come eviden-ziato in recenti episodi di cronaca,siano morti per aver scelto terapiesulla base di teorie totalmente prive

di basi scientifiche».In Internet le informazioni sulla salutearrivano dalle fonti più eterogenee:istituzioni sanitarie, enti scientifici, as-sociazioni di pazienti, media, singolispecialisti, ma anche persone che rac-contano la loro storia o quella altruio dicono il loro parere, venditori didiete e integratori, fino a ciarlataniveri che si spacciano per esperti. Nonsempre è facile distinguere gli unidagli altri. Secondo il Censis, sarebberoquasi nove milioni gli italiani cadutinella trappola delle fake news in on-cologia. Essendo basati sul meccani-smo della libera condivisione, e pur-troppo sulla buona fede di personeche non sempre hanno gli strumentiper leggere in modo corretto le notiziee distinguerle dalle fake news, «I socialmedia non sono controllabili, non fil-trano le notizie e troppo spesso attri-buiscono credito a messaggi fuorvianti.Una comunicazione efficace su questicanali contribuisce proprio ad arginareil fenomeno preoccupante delle fakenews. Con questo obiettivo abbiamo creatoil sito www.tumoremaeveroche.it, ilprimo in Italia esclusivamente dedicatoa contrastare la disinformazione in

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scarsa consapevolezza dell’uso pro-fessionale dei social network». Invece,ignorare le “conversazioni” sulle pa-tologie oncologiche che avvengonoattraverso i social network, e non piùsolo sui siti dove - indipendentementedalla loro attendibilità - le personedevono andare “per scelta”, non èpiù possibile. «I social network per-mettono anche di realizzare campa-gne di sensibilizzazione e di promuo-vere stili di vita sani, indirizzandosi afasce di popolazione poco attente aitemi di salute», spiega Fabrizio Nicolis,presidente della Fondazione AIOM.«Pensiamo ai giovanissimi che, menopresenti degli gli adulti su Facebooke Twitter, possono però essere rag-giunti sul popolare Instagram». La lista dei prodotti cancerogeni diffusadal centro tumori di Aviano, i “mira-coli” antitumorali del bicarbonato odel veleno dello scorpione cubano,la cura definitiva nascosta dagli inte-ressi di Big Pharma, il ferretto del reg-giseno causa di tumore alla mam-mella…: chiunque frequenti un socialnetwork si imbatte tutti i giorni in unpost, in un tweet, in una storia chepretende di svelare qualcosa di cla-moroso e nascosto dalla scienza uffi-

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Puntualmente, però, gli Istituti di ec-cellenza italiana nell’oncologia ven-gono contattati da tantissimi pazientidesiderosi di avere informazioni sullapossibilità di accedere alla nuova te-rapia. Per altro, che il bisogno di in-formazioni corrette non riguardi solo“i non esperti” lo testimonia il fattoche a scrivere sono stati nel 27 percento dei casi pazienti e familiari, nel16 per cento medici di famiglia e far-macisti, anche perché il tumore oggista diventando sempre di più unamalattia cronica che coinvolge il per-sonale sanitario sul territorio, nonsolo lo specialista. Il resto dei contatti,la maggior parte, è arrivata da citta-dini in cerca di consigli sulla preven-zione. Massimo Di Maio, direttoredell’oncologia dell’ospedaleMauriziano di Torino, a capo del co-mitato scientifico del sito, commenta:«L’errore più frequente è sperare cheesista una dieta magica contro il can-cro o che eliminando lo zucchero ola carne rossa si possa guarire», tantoche la sezione più cliccata nel sito èproprio quella dell’alimentazione.Altro errore, «Pensare che la che-mioterapia sia letale, quando invece,

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come ogni farmaco, ha degli effetticollaterali ma assolutamente inferioririspetto ai benefici».«Nessun alimen-to, da solo, e in grado di proteggercida una patologia multifattoriale comeun tumore: spolverizzare di curcumai nostri piatti tradizionali peggiora illoro sapore ed e inutile, perche i prin-cipi antiossidanti si attivano quandoquesto ingrediente e cotto, comenella cucina indiana», spiega StefanoErzegovesi, nutrizionista e psichiatra,responsabile del Centro per i disturbidel comportamento alimentaredell’Ospedale San Raffaele.Consumare alcuni cibi puo contribuirealla prevenzione dei tumori, ma senzaesagerazioni e all’interno di diete bi-lanciate. Studi autorevoli hanno evi-denziato, per esempio, che il consu-mo di agrumi ha un ruolo protettivocontro il cancro allo stomaco; quellodi cavoli, broccoli & Co. difende dallosviluppo tumorale in generale, mentrevegetali ricchi di betacarotene (carote,spinaci, meloni) sono utili contro ilcancro del polmone. Il ruolo protet-tivo del pomodoro sulla prostata eprobabile, ma non definitivamentedimostrato. ■

oncologia, con notizie chiare, certifi-cate, tempestive, costantemente ag-giornate e autorevoli, corredate dallefonti, per indirizzare le persone versoverità supportate dalla medicina basatasull’evidenza: risposte sul ruolo delladieta, dell’esposizione al sole, del fu-mo, dell’alcol, della sedentarietà, degliscreening e delle terapie, con la pos-sibilità di scrivere agli esperti». Lanciato nella primavera del 2018,nel giro di soli sei mesi il sito era giàstato consultato da oltre 150milautenti unici, con oltre 50mila richiestedi informazioni, mentre il comitatoscientifico di oncologi che lo gestiscecensiva più di 800 bufale pescate neisocial (circa 400 bufale su presuntecure alimentari, oltre 175 sulle terapiealternative proposte da medici o se-dicenti esperti, più di 160 sulle causedei tumori, 85 sulla loro scomparsanaturale…). Per non creare illusioni(e delusioni) la chiarezza è necessariaanche quando la notizia è vera, mariguarda risultati preliminari di nuovifarmaci per la cura dei tumori: anchese molto promettenti, per arrivare auna possibile messa in commerciopotrebbero volerci anche 8-10 anni.

È difficile orientarsi nella giungla di informazioni che si trovano in rete

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■ CARNI E LATTICINI FAVORISCONO I TUMORI«Una delle conoscenze piu consolidate e la re-lazione fra consumo di carni rosse, in particolaresalumi e insaccati, e l’incidenza di tumore del-l’intestino», avverte il dottor Franco Berrino,medico, epidemiologo e a lungo direttore delDipartimento di Medicina preventiva e predittivaall’Istituto nazionale tumori, che ha realizzatomolti studi per comprendere il legame tra tumorie stili di vita, scelte alimentari in primis. «Ilruolo del latte e dei for-maggi e molto con-troverso: per la suaricchezza di calcioprotegge l’intestino,ma c’e un sospetto che,in eccesso, il lattesia associato aitumori dell’ovaioe della prostata»,spiega il dottorErzegovesi.

■ LE DIETE RICCHE DI ZUCCHERI SONO PERICOLOSE«Una dieta ad alto indice glicemico (con moltizuccheri, farine raffinate, amidi subito digeribili),ricca di grassi saturi (in carni rosse e latticini) epovera di alimenti integrali e alla base dell’in-sulino-resistenza e della sindrome metabolica.La conseguente iperinsulinemia aumenta la di-sponibilita di fattori di crescita (IGF-I) che pro-muovono lo sviluppo delle cellule cancerose edegli ormoni sessuali, e quindi la formazionedi tumori ormonodipendenti», spiega Patrizia

Pasanisi, nutrizionista dellastruttura Epidemiologia eprevenzione dell’Istitutonazionale tumori.«L’insulino-resistenza siassocia anche all’aumentodei livelli di infiammazio-ne che, a loro volta, favo-riscono la comparsa e laprogressione dei tumori.Buona parte dell’incidenza

e della mortalita per il cancro e per altre malattiecroniche potrebbe essere prevenuta con unamoderata restrizione delle calorie e delle proteine,seguendo una dieta mediterranea o macrobiotica,e aumentando l’attivita fisica».

■ UNA CURA PER IL CANCRO ESISTE,MA È OCCULTATA DA BIG PHARMAÈ vero che i progressi sono lenti, e non riguardanoin pari misura tutti i tipi di tumore, ma graziealla ricerca clinica, di anno in anno si stannofacendo passi avanti concreti nel trattamentodei tumori e in molti casi sono proprio i farmacisviluppati dalle aziende farmaceutiche a con-sentirli. Questa fake news ha molto successoper la frustrazione di fronte alla mancanza diuna soluzione efficace per tutti i casi di tumore,e ipotizzare cospirazioni fornisce una spiegazionesemplice e consolatoria per fenomeni che altri-menti appaiono confusi, difficili, non lineari.La verità (lo dicono le statistiche ufficiali), èche di tumore, malgrado un aumento della in-cidenza, si muoia di meno ora rispetto a qualcheanno fa. (Fonte: www.tumorimaeveroche.it)

■ L’ASTINENZA SESSUALE CAUSA IL CANCRONo, non vi è alcuna evidenza, mentre infezionia trasmissione sessuale come il papillomavirussono associate allo sviluppo di alcuni tumori,in particolare il cancro della cervice uterina:praticare rapporti sessuali protetti consente diridurre significativamente il rischio, così comela vaccinazione contro l’HPV di femmine e ma-schi in età adolescenziale. Le nuove vaccinazioninonavalenti contro l’HPV possono arrivare finoal 97.4% di efficacia. Uno studio su oltre 30milauomini, ha evidenziato che chi aveva più di 13eiaculazioni al mese aveva un minor rischio(25-28% in meno) di tumori della prostata più‘innocui’ (tumori a basso rischio), ma non c’eradifferenza per i tumori della prostata ‘aggressivi’(‘high-risk’ o tumori della prostata con metastasilocali o a distanza). (Fonte: www.tumorimaeveroche.it)

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■ LA CAUSA DEL CANCRO ÈUN AMBIENTE ACIDO NELL’ORGANISMOLe cause del cancro comprendono una seriedi meccanismi che agiscono determinandol’accumulo di mutazioni nel DNA delle celluletumorali. In realtà non è l’ambiente acido acausare il cancro, ma quello è verosimilmenteun effetto del tumore stesso: dall’interpretazioneerrata di questa osservazione nasce l’idea,falsa, che attraverso una dieta alcalina o at-traverso l’ingestione di bicarbonato si possaalterare il pH del corpo, e ottenere un effettoantitumorale. Ma la convinzione di poter bloc-care la crescita tumorale alcalinizzando l’am-biente è falsa: primo, perché il pH del corpo,per fortuna, è mantenuto relativamente stabileda meccanismi di equilibrio, e alterarlo vo-lontariamente può rappresentare un pericoloper la salute; secondo, perché spostare il pHverso valori alcalini non avrebbe alcun effettopositivo né in termini di prevenzione che ditrattamento dei tumori. (Fonte: www.tumorimaeveroche.it)

■ LE COLTURE OGM SONO CANCEROGENE

Non è dimostrato che l’impiego ali-mentare, negli animali e nell’uomo,di colture basate su organismi ge-neticamente modificati inducaalcun incremento del rischio ditumori. L’articolo che qualcheanno fa aveva suscitato clamoree attenzione su tale presuntaassociazione, è stato ritrattatodalla stessa rivista scientifica(Food and ChemicalToxicology) che lo aveva pub-blicato: Esperimenti condottidal biologo francese G.E.Seralini mostravano l’inciden-

za elevata di tumori in topi dilaboratorio esposti a mais OGM, ma gli animaliscelti per tali esperimenti erano di per sé pre-disposti, a causa delle caratteristiche genetiche,a sviluppare tumori in elevata probabilità nelcorso della vita; inoltre, lo studio si caratte-

rizzava per una bassa numerosità degli animalitestati, il che rendeva difficile condurre analisistatistiche affidabili e nella migliore delle ipo-tesi inconclusive. A tranquillizzare sulla si-curezza degli alimenti OGM, c’è anche la con-siderazione che grande parte degli animali diallevamento in molti paesi del mondo sonoda anni nutriti con mais e soia geneticamentemodificate, e questo non ha comportato alcunaumento dei casi di tumore in tali animali.(Fonte: www.tumorimaeveroche.it)

■ LE BOTTIGLIE DI PLASTICA LASCIATEAL SOLE CAUSANO TUMORE AL SENONon c’è alcuna dimostrazione scientifica diquesto rischio: anche negli esperimenti più“estremi”, in cui le bottiglie sono stateriscaldate per molte ore, la quantità disostanze rilasciate nell’acqua è risul-tata di gran lunga inferiore ai limitiritenuti sicuri per la salute. Questafake news è diffusa in tutto ilmondo. Nel 2018, uno studio pub-blicato sullo European Journalof Cancer ha evidenziato che il15% degli inglesi intervistati siè detto convinto che ci sia un’as-sociazione tra l’abitudine di be-re acqua da bottiglie di plasticae il cancro. Il presunto rischiodi tumore al seno nasce dalfatto che alcune delle sostanzecontenute nelle bottiglie diplastica che vengono “rilascia-te” dopo intenso riscaldamento sono con-siderate in grado di modificare i livelli e l’at-tività degli ormoni nel corpo, ma - anche inquesto caso - le quantità presenti nell’acquasono molto più basse di quelle potenzialmentepericolose. (Fonte: www.tumorimaeveroche.it)

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■ GLI ASSORBENTI INTERNI POSSONO CAUSARE IL CANCRO ALL’UTEROQualche anno fa è stato lanciato un allarmesulla possibilità che gli assorbenti interni con-tenessero diossina e che questo aumentasse ilrischio di tumori dell’utero.Il materiale di cuisono fatti alcuni assorbenti, il Rayon, non con-tiene la diossina tossica di riferimento, la2,3,7,8-tetraclorodibenzo-p-diossina. Agli inizidegli anni 2000, due ricercatori, DeVito &Schecter, hanno specificamente analizzato contecniche di cromatografia la presenza di dios-sine in 4 marche differenti di assorbenti interni.Hanno confermato come non vi fosse tracciadella diossina più potente e pericolosa, la2,3,7,8-tetraclorodibenzo-p-diossina. Hannoriscontrato tracce rilevabili di altre diossineminori, tuttavia l’esposizione a tali sostanzetramite assorbenti interni, corrisponderebbead un’esposizione diossinica da 13.000 a240.000 volte inferiore a quella che comune-mente si verifica con i prodotti alimentari. (Fonte: www.tumorimaeveroche.it)

■ L’USO DEL REGGISENO CON FERRETTO AUMENTA IL RISCHIO DI TUMORELa relazione tral’uso del reggise-no e il rischio disviluppare uncancro del senoè stata ipotizza-ta da due antro-pologi, SydneyRoss Singer eSoma Grismaijer, nel1995 in un libro autopubblicato. I dati epide-miologici presentati a sostegno di questa teorianon tengono conto di fattori di rischio dimo-strati, come l’obesità o la sedentarietà. L’ipotesiche il reggiseno impedisca il drenaggio delletossine attraverso il circolo linfatico non ècompatibile con la fisiologia del seno, poichétale drenaggio dipende dai linfonodi sotto ilbraccio, zona che non è compressa dal reggi-

seno. Infine, Lu Chen, ricercatore del FredHutchinson Cancer Research Center di Seattle,negli Stati Uniti, ha pubblicato nel settembre2014, uno studio su Cancer Epidemiology,Biomarkers & Prevention, esaminando milledonne con cancro al seno diagnosticato tra il2000 e il 2004, confrontandole con circa 500donne sane, di età compresa tra i 55 e i 74anni: L’uso del reggiseno non sembra in alcunmodo correlato con la malattia, altri fattorigià noti, come familiarità o uso di ormoni sidimostrano rilevanti nel favorire lo sviluppodi questo tipo di tumore. (Fonte: www.airc.it)

■ SCALDARE IL CIBO COL MICROONDE AUMENTA IL RISCHIO DI CANCROI forni a microonde scaldano il cibo grazie al-l’azione di radiazione a radiofrequenza, dotatadi una bassa quantità di energia. Solo le ra-diazioni ad altaenergia hannopotere ionizzan-te, cioè sono ingrado di modi-ficare la strut-tura subatomi-ca della mate-ria e quindi diindurre altera-zioni del DNA che possono aumentare ilrischio di cancro. Il cibo scaldato al microondenon è radioattivo, proprio perché non è sot-toposto a radiazioni ionizzanti. Non si trattadi un metodo di cottura innovativo: il brevettodel forno a microonde è addirittura del 1946,il primo modello industriale fu commercia-lizzato nel 1947 e i modelli più piccoli, adattiall’uso domestico, fecero la loro comparsanegli Stati Uniti sul finire degli anni Cinquanta.Ciò significa che abbiamo alle nostre spalleun numero sufficiente di anni di osservazioneper poter affermare che si tratta di un sistemadi cottura per cui non si sono evidenziati pe-ricoli per la salute. (Fonte: www.airc.it) ■

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cancro, vivi a 5 anni dall’esordiodella malattia.“Sì - conferma Giovanni Apolone,direttore scientifico dell’IstitutoNazionale Tumori di Milano -, oggipossiamo affrontare la cura di untumore utilizzando terapie combi-nate e/o sequenziali da applicareanche in funzione delle diverse fasidella malattia. Fondamentalmentepossiamo distinguere cinque cate-gorie di trattamenti del cancro. Lachirurgia, che ci permette di aspor-tare le cellule malate. La radioterapia,che uccide con l’energia delle ra-

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Le sfide DELLA RICERCANe parliamo con Giovanni Apolone, Direttore Scientifico

dell’Istituto Nazionale Tumori di Milano

di Maurizio Maria Fossati

con maggiore consapevolezza e suc-cesso la lotta a un male che nondeve più essere considerato incura-bile. Oggi il tumore può essere cu-rato sempre meglio. E in molti casipuò essere vinto, cancellato o cro-nicizzato. Oggi, il 60% dei malatidi tumore è curabile e può definirsiguarito. I ricercatori sono riusciti afare aumentare sia la sopravvivenza,sia la capacità di “cronicizzare” leforme di tumore al momento nonancora guaribili. Lo dimostrano i3.400.000 italiani con diagnosi di

LO SAPPIAMO da tempo. Nellacura del cancro, la diagnosi precocepuò fare la differenza. Individuareprecocemente un tumore spessoasintomatico e di piccole dimensionioffre indubbiamente migliori pos-sibilità di cura rispetto alla scopertadi un tumore molto avanzato, quindidi dimensioni maggiori o magaricon metastasi. Da qui l’importanzadella prevenzione secondaria e degliscreening.In ogni caso, le nuove conoscenzemediche, genetiche e le nuove tec-nologie ci permettono di affrontare

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diazioni le cellule tumorali. Le curefarmacologiche, che comprendonoi classici chemioterapici, i nuovi far-maci target, che mirano a colpiredeterminate cellule, e i nuovi farmaciimmunoterapici. I farmaci anti-or-monali, perché molti tumori sonosuscettibili all’azione di ormoni.Infine, per una piccola categoria ditumori, si possono usare i vaccini

(HPV). È inoltre piuttosto comuneche un tumore venga trattato inmodo combinato sia con la chirur-gia, sia con la radioterapia e i farmacichemioterapici”.I farmaci immunologici, che “riar-mano” le cellule del sistema im-munitario, hanno cambiato, ovepossibile, la strategia della lottaal cancro. Ci può spiegare?

“Certo. Fino a non molto tempo fala maggior parte degli sforzi eraconcentrata nell’asportare il tumorechirurgicamente o nell’uccidere lecellule tumorali con la chemioterapiae la radioterapia. La medicina per-sonalizzata, poi, ha aggiunto unnuovo tipo di approccio mirato, masenza cambiare sostanzialmente lastrategia: si cerca di rimuovere o uc-

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56I numeri del cancro e della ricerca

■ LE CAUSE NOTE del cancro possono esserenumerose e concomitanti. Le possiamo rias-sumere sinteticamente in cause genetiche (ma-lattie ereditarie, predisposizione genetica, fa-miliarità), cause ambientali (inquinamento),invecchiamento, stile di vita (alimentazione,attività fisica, fumo e alcolici), agenti virali.I NUMERI del cancro in Italia indicano cheoltre mille persone si ammalano di tumoreogni giorno (373mila nuovi casi nel 2018). In Italia, il cancro rappresenta la seconda causadi morte con 178mila decessi. E, mentre stacalando l’incidenza dei casi di tumore negliuomini (a causa della riduzione del fumo),l’aumento del fumo tra le donne ha stabilizzatotra loro l’incidenza della malattia.La curabilità e le guarigioni sono aumentate(60%) facendo registrare un aumento della so-pravvivenza e un aumento della capacità dicronicizzare le forme al momento non ancoraguaribili. Gli italiani vivi a 5 anni dalla diagnosidi cancro sono oggi 3.400.000.

Per quanto riguarda la sopravvivenza, sebbenecon trend meno evidenti rispetto al passato,permane una differenza Nord-Sud a sfavoredelle aree meridionali.Per i maschi, i tumori più frequenti sono: pro-stata (18%), Colon-retto (15%), polmone (14%),vescica (11%), fegato (5%). Per le femmine: mam-mella (29%), colon-retto (14%), polmone (8%),tiroide (6%), utero (5%).

LE SPESE PER LA RICERCA in Italia ammon-tano a circa 22 miliardi di euro, di cui il 13%impiegate nella ricerca bio-medica. Il 39% deldenaro è di origine pubblica.In Italia i ricercatori sono 4,8 ogni mille lavo-ratori, uno dei valori più bassi tra i Paesi in-dustrializzati. Anche i salari sono tra i piùbassi (circa la metà di quelli corrisposti inGermania). La capacità dei ricercatori italianidi competere per l’assegnazione di fondi europeiè molto bassa: in media del 4,8%, mentre lamedia europea si aggira sul 10%. ■

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ingegnerizzati e poi ri-infusi nel san-gue del paziente. Questo trattamen-to risulta particolarmente efficacenel curare la leucemia linfoblasticadei bambini e i linfomi di tipo B agrandi cellule del sangue. I dati clinicidimostrano che applicando questatecnica una persona può guarire”.

Anche la ricerca farmacologicasta cambiando, vero?“La messa a punto di un farmaco,che finora prevedeva un percorsolungo dagli 8 ai 12 anni con il pas-saggio obbligato attraverso tre fasi:la preclinica, la clinica e la post clinica(cioè sul mercato), sta cambiandofisionomia a causa degli studi chestanno diventando sempre più spe-cializzati e condotti in popolazioniiper-selezionate su cui vengono te-stati farmaci molto ‘mirati’. Oggispesso ci troviamo di fronte a com-binazioni di studi in fasi diverse, che

noterapici i tumori della testa e delcollo, quelli delle vie urinarie, alcunicancri del polmone, la leucemia lin-foblastica. Stiamo parlando dellaCAR-T Cell Therapy. Ma non solo.Continuano a emergere evidenzeche dimostrano che questi farmacisono in grado di cambiare la storianaturale della malattia anche peraltri tumori. E quando non è possi-bile arrivare all’eradicazione del ma-le, le cure odierne mirano alla cro-nicizzazione della malattia”.

Una terapia personalizzata indi-rizzata dall’indagine genetica?“Sì, in pratica vengono prelevati ilinfociti T del paziente, che quindivengono ‘ingegnerizzati’ in mododa renderli capaci di attaccare esclu-sivamente e con precisione le celluletumorali del malato. Nello specifico,questi linfociti vengono dapprimacoltivati per aumentarne il numero,

cidere al massimo le cellule estraneeche crescono in un tessuto. Ma ecco,grazie a ricerche pionieristiche diuna ventina d’anni fa, la messa afuoco di un’intuizione rivoluzionaria.Gli studi eseguiti sul micro-ambientedel tumore permisero di capire chealcune cellule tumorali sono in gradodi produrre sostanze che riesconoad ‘addormentare’ e ‘disarmare’ ilinfociti T, le cellule del sistema im-munitario che dovrebbero combat-tere il tumore. E’ a seguito di que-st’osservazione che i ricercatori sonoriusciti a produrre dei farmaci che‘riattivano’ i linfociti che, a questopunto, sono nuovamente in gradodi debellare o contenere il tumore”.

Quali tipi di tumore?“Le applicazioni sono cominciatecon il melanoma per poi essere este-se ad altri tipi di tumore. Oggi ven-gono trattati con i farmaci immu-

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I farmaci immunoterapici possono cambiare la storia naturale di molti tumori

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AYA, un programma per i giovani che affrontano il cancro

■ PER RISPONDERE ai bisogni dei pazientitra i 16 e i 39 anni in cura presso il CancerCenter di Humanitas, è stato creato un percorsoclinico dedicato che presta particolare atten-zione all’aspetto psico-sociale. E’ una guidaalla vita di tutti i giorni, a quella ospedaliera,familiare e lavorativa. Il percorso comprendeattività ludico-ricreative, laboratori di cucina,di fotografia e di scrittura creativa.Il progetto, fra le prime esperienze in Italia, èstato battezzato AYA (Adolescent and YoungAdults). Nel loro percorso clinico i giovanipazienti AYA sono supportati dagli specialistidel Cancer Center di Humanitas che li seguonoin tutte le fasi della cura attraverso un ap-proccio multidisciplinare (consulto genetico,ginecologia e andrologia dedicate alla preser-vazione della fertilità, cardiologia, endocrino-logia, fisioterapia, psicologia). Il percorso miraa ridurre le complicanze cliniche a lungo ter-mine e a migliorare la qualità della vita, evi-tando, per esempio, che i giovani rimandinoun controllo o non seguano una terapia.“Possiamo affermare - dice Armando Santoro,direttore dell’Humanitas Center - che inHumanitas stiamo sviluppando da semprel’aspetto sociale dell’oncologia, che va dallaprevenzione, alle campagne di screening, alladiagnosi genetica, al centro anti-fumo e cosìvia. In particolare, negli ultimi due anni, anchegrazie al rientro dall’Irlanda della dottoressaAlexia Bertuzzi, ci siamo concentrati sullacura del giovane adulto. Questo perché il gio-vane adulto ha caratteristiche molto particolari:la sua è la fascia di età che ha avuto menobenefici in termini di percentuale di guarigionee di qualità della vita. I fattori causali possonoessere numerosi. Innanzitutto in questa fasciadi età si riscontrano malattie che sono solita-mente più aggressive rispetto a quelle che col-piscono l’anziano e il bambino. Poi possonoessere tumori meno frequenti e che quindisono stati oggetto di un minore numero distudi. Per tutte queste ragioni abbiamo volutoorientare anche i nostri progetti di ricercaproprio sul giovane adulto, seguendone anchegli aspetti psicologici. Pensate, infatti, a quanto

può essere impattante una diagnosi improvvisadi un cancro per un giovane che è nella fasepiù positiva e costruttiva della propria vita.Vengono sconvolti non solo l’aspetto salute,ma anche gli affetti, il lavoro, i progetti divita. Ecco perché questo tipo di pazienti habisogno di maggiori attenzioni, disponibilitàe facilities: da un più attento livello di ascolto,alla connessione internet e a tutte quelle coseche possano metterlo a proprio agio. In defi-nitiva, ci prendiamo cura del paziente cercandodi farlo sentire a casa, pur essendo ricoverato.E non dobbiamo neppure trascurare che fre-quentemente la malattia tumorale coincidecon un momento familiare difficile e spessodi crisi”.Il progetto AYA, oltre alla ricerca di nuove te-rapie, alla cura e all’assistenza impostata contaglio psico-sociale, ha creato anche una “spe-cial room” destinata alle attività comuni. Alprimo piano del building 2 di Humanitas èstata allestita un’area dove i ragazzi trascorronoil loro tempo libero. Un ambiente informaleed accogliente per fare colazione in compagnia,guardare un film, leggere un libro, sfidarsi aivideo-game, tra una terapia e una visita dicontrollo. Per loro anche un calendario di corsisettimanali. Tra le attività principali, un la-boratorio di cucina-sana con uno chef che,pentole e cucchiai alla mano, realizza insiemeai ragazzi ricette salutari per tenere sotto con-trollo la glicemia, “spegnere” le infiammazioni,eliminare le sostanze tossiche, bloccare i ra-dicali liberi, ridurre l’’effetto degli estrogeni,dare forza al sistema immunitario. Un labo-ratorio di fotografia. Un laboratorio di scritturacreativa dove i ragazzi vengono accompagnatiin un viaggio dentro a un quadro: partendoda un’opera d’arte, sviluppano riflessioni esuggestioni che sfociano in veri e propri rac-conti. Un laboratorio di teatro nel quale sisceglie un articolo di cronaca per poi rielabo-rarlo scenicamente in un percorso che si snodatra realtà e immaginazione e che punta a rea-lizzare una rappresentazione della vita, natu-rale ed essenziale, utilizzando il proprio corpoe il proprio essere. ■

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si fondono tra di loro. Così i tempisi accorciano. Però il numero deipazienti sotto esame spesso dimi-nuisce e tutto ciò significa che tal-volta i risultati sono poco completie poco ‘maturi’ per prendere le de-cisioni finali sull’effettivo valore delfarmaco e sul suo ruolo nei percorsiterapeutici”.

D’altro canto oggi abbiamo lacapacità e il vantaggio di studia-re i tumori in funzione del loroprofilo genetico molecolare. “Certo. E questo ha cambiato anchel’approccio ai diversi tumori. Mentreprima si parlava di tumore ‘del’ pol-mone, ‘del’ fegato, ‘della’ mammella,e le scelte per orientare gli studi eper realizzare il farmaco dipendevanofondamentalmente dall’organo col-pito, cioè dalla sitologia del tumore,le scoperte che derivano dalla medi-cina di precisione ci permettono diorganizzare gli studi in funzione dellamutazione genetico-molecolare delsingolo tumore. Per spiegarci meglio,la ricerca del farmaco viene condotta

non tanto in funzione dell’organo,quanto considerando il tipo di mu-tazione genetica tumorale. Nel con-tempo, abbiamo scoperto che nontutti i tumori che colpiscono lo stessoorgano sono uguali. Quindi la medi-cina di precisione punta a studiare iltumore che nasce da una determinatamutazione, ma che può colpire organidiversi. In definitiva oggi, grazie allagenetica, siamo ben consapevoli cheun organo può essere colpito da tu-mori che sono diversi dal punto divista genetico-molecolare e che uncerto tipo di alterazione genetico-molecolare può caratterizzare tumoridello stesso tipo, ma in organi diver-si”.

Curare al meglio ogni paziente.Come è possibile?“Ovviamente la priorità è evitareche una persona abbia il cancro, daqui l’importanza della prevenzioneprimaria. Lo stile di vita è fonda-mentale: l’alimentazione deve esseresana e varia come nel caso delladieta mediterranea, bisogna evitare

il fumo e moderare l’assunzione dialcolici. E poi non bisogna dimenti-care di fare un po’ di attività fisica.Non è necessario impegnarsi a fondoin palestra, basterebbe camminaredi più e salire le scale a piedi.Altrettanto importanti sono gli scree-ning che permettono di avereun’eventuale diagnosi precoce. Sela diagnosi dà esito positivo, a que-sto punto le attenzioni maggiorivanno rivolte alla tipizzazione deltumore, come abbiamo detto, e poialla cura che deve essere la più in-dicata possibile per ogni singolo pa-ziente, mirando alla guarigione, maanche alla migliore qualità di vitapossibile. E si badi bene che la curamigliore possibile dovrebbe esseregarantita in qualunque punto delterritorio nazionale, dall’estremoNord, all’estremo Sud”.

Oggi si sente parlare spesso diricerca traslazionale. Ci spieghi.“La ricerca traslazionale è quell’insie-me di attività che impiegano teammultidisciplinari per portare le espe-

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Uno stile di vita sano è fondamentale per evitare il cancro e anche molte altre patologie

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rienze fatte dalla ricerca di base (la-boratorio), al letto del paziente (nelletre fasi di ricerca clinica), per confluire,infine, nelle pratiche di assistenza ecura della Sanità pubblica. Questoapproccio oggi si è evoluto, soprat-tutto nei grandi istituti dove si disponedi un numero elevato di casi e dati,in un percorso a doppio senso nelquale è possibile procedere all’inverso,tornando dal letto del paziente allaricerca clinica e al laboratorio. In de-finitiva se monitoriamo molto benequello che viene fatto a livello di pra-tica clinica, possono emergere dei se-gnali e delle evidenze che mostranola necessità di tornare a mettere apunto la ricerca iniziale. Per esempio,un paziente con prognosi sfavorevole,ma che invece ha fatto riscontraremiglioramenti inaspettati (o viceversa),può stimolare il ritorno al laboratorioper scoprirne le basi biologiche del-l’evento inatteso. Da qui la necessitàdi disporre di grandi quantità di datidi buona qualità per trovare i segnaliappropriati che generino nuove evi-denze”.

In definitiva, la ricerca traslazio-nale a doppio senso offre mag-giore garanzia sull’efficacia el’adeguatezza di un farmaco odi una terapia?“Il percorso che porta il farmacoall’impiego nella sanità pubblica èspesso accelerato dalla forte com-petizione tra le case farmaceutiche.Questo può fare arrivare sul merca-to farmaci con scarse evidenzesulla loro reale efficacia e sicurezza.Un monitoraggio attento, nontanto per trovare nuovi effetti col-laterali, quanto per verificare se ilfarmaco è efficace e quanto fun-ziona davvero, è quindi necessario.Ecco perché la possibilità di unritorno al laboratorio, consentitodalla ricerca traslazionale a doppiosenso, rappresenta un valoreaggiunto di fondamentale impor-tanza per il bene del malato edell’evoluzione scientifica” ■

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❙ NUOVI ORIZZONTI per sconfiggere la leucemia linfoblastica acuta(LLA) del bambino e dell’adolescente. L’entusiasmante conquista arrivadalla Clinica Pediatrica - Università Milano Bicocca della FondazioneMonza Brianza per il Bambino e la sua Mamma/ospedale San Gerardodi Monza, diretta da Andrea Biondi.Sotto i riflettori c’è l’immunoterapia. E con maggiore precisione lecellule modificate CAR-T (Chimeric Antigen Receptor T). Le CAR-Tsono cellule del sistema immunitario (linfociti T) geneticamente mo-dificate, cioè ‘armate’ per individuare e distruggere un bersaglio benpreciso: le cellule tumorali. Il Centro Maria Letizia Verga di Monza, capofila in Italia e in Europadegli studi per la cura della leucemia linfoblastica, è stato l’unicoCentro in Italia e tra gli 8 in Europa che hanno contribuito allo studioregistrativo del primo prodotto CAR-T commerciale per la leucemialinfoblastica acuta, avendo avuto in trattamento 7 bambini e adolescenti.Ha inoltre sviluppato e attualmente in sperimentazione un nuovoCAR-T completamente frutto dell’impegno italiano. Il nuovo prodotto,infatti, è stato studiato e sviluppato presso il Centro di ricerca Tettamantiall’interno del Centro Maria Letizia Verga. “La preparazione dei CAR-T richiede un prelievo di sangue dal pazienteo di un donatore - spiega il professor Biondi -. Questo sangue vienepreso in carico dal centro di manipolazione genetica che ingegnerizzale cellule e quindi restituisce il sangue trattato, pronto per l’infusioneal paziente. Per quanto riguarda il prodotto che abbiamo sviluppatoa Monza, tutto il ciclo viene eseguito localmente”. Il secondo motivo di soddisfazione della Clinica pediatrica monzeseè che “Per la prima volta nei protocolli di diagnosi e cura della leucemialinfoblastica acuta del bambino e dell’adolescente vengono introdottie valutati nuovi farmaci che si sono rivelati efficaci per le malattie re-sistenti e refrattarie e, per la prima volta, questi farmaci vengono im-piegati fin dall’inizio nelle malattie più ad alto rischio. Si tratta di unanticorpo monoclonale diretto contro un bersaglio della leucemialinfoblastica acuta e un farmaco diretto contro il proteosoma”.Ma come individuate i pazienti da trattare? “Ebbene, un esame approfondito del genoma fatto alla diagnosi,permette di delineare una sorta di ‘patente genetica’ della malattia.Questa mappa ci guida nel caratterizzare il profilo della malattia enell’indirizzare le cure. Pensate che il Centro di Monza, grazie alsupporto del comitato Maria Letizia Verga, ha tracciato questa patentegenetica per tutti i 450 bambini leucemici italiani”. E i risultati?“Senza dubbio buoni. Oggi, grazie alle nuove terapie, l’85% deibambini/adolescenti ammalati di leucemia linfoblastica acuta puòguarire. Certo, dobbiamo perseverare nella ricerca per poter alzaresempre più questa percentuale, ma possiamo essere fieri dei risultatiraggiunti se si pensa che 35-40 anni fa solo la metà dei piccoli pazienticurati se la cavava”.

ANDREA BIONDI: CAR-T E PATENTE GENETICA, DUE ECCELLENZE MADE IN MONZA

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Farmaci BIOSIMILARI Una rivoluzione in medicina

di Mad Olivero

L’arrivo dei farmaci biologiciha rappresentato una vera rivolu-zione in medicina. Era il 1982 quan-do cominciò la produzione del primofarmaco biotecnologico, l’insulinaricombinante, con miglioramentiimportanti della qualità di vita deipazienti diabetici. Da allora ne èpassata di acqua sotto i ponti e aiprimi antidiabetici si sono man manoaggiunti farmaci biologici antitumo-rali, per la terapia di malattie au-toimmuni come l’artrite reumatoidee per i difetti della coagulazione,con una ricerca in continua attività.

di pazienti. Attenzione però a nonconfondere il biosimilare con il ge-nerico: è vero che entrambi hannoun prodotto di riferimento (l’origi-nator, come viene talvolta definito)ma i punti in comune finiscono qui.Per il resto, sono completamentediversi. Per citare solo alcuni esempi,i generici sono generalmente derivatida un processo di sintesi chimica edè possibile ottenere esattamente lastessa molecola. I biosimilari invecesono ottenuti da una fonte biologicaed è possibile riprodurre la molecolacon un alto grado di somiglianza.

L’avvento dei biologici non è stataperò l’unica rivoluzione. L’altra èrappresentata dal farmaco biosimi-lare. Vale a dire, un medicinale moltosimile a un altro medicinale biologicogià commercializzato nell’UnioneEuropea, autorizzato e ammessoalla commercializzazione alla sca-denza della protezione brevettualedell’originatore, cioè dieci anni, nelrelativo mercato di riferimento. Ilvantaggio? Un prezzo di vendita piùbasso, il che non è poco. In questomodo, è possibile dare la possibilitàdi usufruirne a un numero maggiore

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Ad oggi, la maggior parte dei bio-similari approvati nell’UnioneEuropea contengono proteine comesostanze attive. «La proteina deveessere la medesima del farmaco bio-logico di riferimento», sottolineaGiorgio Lorenzo Colombo, profes-sore del Dipartimento Scienze delFarmaco dell’Università degli Studidi Milano. «Questo significa, me-desime sequenza di aminoacidi estruttura “3D”, ovvero le eliche incui si articola la molecola, identicodosaggio e stessa via di sommini-strazione». Le uniche differenze con-sentite, sempre che non influiscanosu sicurezza ed efficacia, possonoriguardare aspetti quali l’aggiuntadi eccipienti, la forma farmaceutica(polvere solubile invece della solu-zione pronta per l’uso) o il dispositivodi somministrazione (come nel casodi somministrazione con penna pre-riempita). «Poiché i medicinali bio-similari sono ricavati da organismiviventi, possono presentare rispettoal medicinale di riferimento lievi dif-ferenze ritenute non clinicamentesignificative, poiché non impattanosu sicurezza ed efficacia», dice ilprofessor Colombo. «Tutti i medi-cinali biologici possiedono una na-turale variabilità e sono sempre pre-visti controlli rigorosi per garantireche quest’ultima non compromettail meccanismo d’azione del medici-nale o la sua sicurezza».

I pazienti quindi possono staretranquilli: i farmaci biosimilari sonoapprovati secondo gli stessi standardrigorosi di qualità, sicurezza ed ef-ficacia applicabili a qualsiasi altrofarmaco biologico. Infatti l’EMA(Agenzia Europea dei Medicinali)attraverso il Comitato per i ProdottiMedicinali ad uso umano (CHMP)rilascia l’autorizzazione all’immis-sione in commercio dopo aver va-lutato informazioni generali, prin-cipio attivo ed eccipienti, processodi produzione, controlli di qualità,caratterizzazione e controllo della

sostanza attiva e i risultati degli studiclinici. Una volta dimostrata la bio-similarità del medicinale, è possibilefare affidamento sui dati di sicurezza

ed efficacia del medicinale di riferi-mento. Ciò fa si che si possa evitaredi ripetere gli studi clinici già condotticon il medicinale di riferimento. Vadetto infine che tutte le indicazioniterapeutiche dei medicinali biologicie dei biosimilari, vengono autoriz-zate sulla base di solidi dati scientificie la sicurezza dei medicinali biosi-milari è monitorata tramite attivitàdi farmacovigilanza, analogamentea quanto avviene per ogni altro tipodi medicinale. A differenza di unafalsa notizia che correva in rete, vasottolineato anche che non esistonorequisiti di sicurezza specifici che siapplichino esclusivamente ai medi-cinali biosimilari, e questo per viadel loro specifico percorso di svilup-po. Va ribadito infine che la sicurezzadei biosimilari è costantemente mo-nitorata attraverso specifici studidi farmacovigilanza che hanno

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TU E GLI ALTRI❙ Il maggiore consumo di bio-similari lo detengono la Valled’Aosta e il Piemonte. Consensidi rilievo le hanno ottenutele Regioni dove sono stateadottate delibere prescrittiveorientate alla scelta biologicaa minor costo, cioè Toscana,Veneto e Sicilia, A queste siaggiungono la Sicilia, laBasilicata e il Friuli VeneziaGiulia. Fanalini di coda laPuglia e l’Umbria.

I farmaci biosimilari sono approvati secondo standard rigorosi

di qualità, sicurezza ed efficacia

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l’obiettivo di identificare o quanti-ficare eventuali rischi oltre che con-fermarne l’efficacia dopo la com-mercializzazione.

Una cosa è certa. Sui biosimilarici sono state parecchie discussioni.Una su tutte, la ipotetica presenza didifferenze rispetto al biologico, chenon sempre ne avrebbe reso consi-gliabile la prescrizione ai pazienti, so-prattutto nel caso di malati già incura col farmaco biologico di riferi-mento. Per scardinare questo con-cetto, è stato pubblicato a marzo2018 il Secondo Position Paper AIFAsui farmaci biosimilari, dove viene uf-ficialmente avallata l’interscambiabilitàterapeutica tra i farmaci biologici ori-ginali e i biosimilari. I farmaci biosi-milari sono definiti nel documento“intercambiabili con i corrispondentioriginatori di riferimento”, in quantoil rapporto rischio-beneficio tra i bio-similari e gli originator è il medesimo.Questo, si legge ancora, “vale tantoper i pazienti naïve quanto per i pa-zienti già in cura”. Da marzo 2018dunque è possibile trattare con i bio-similari i pazienti che devono iniziarela terapia, i cosiddetti naïve, e quelliche stanno già assumendo un biolo-gico. Il cambiamento è stato definitoepocale, dal momento che nel 2016,era scritto nella legge di stabilità che“non è consentita la sostituibilità au-tomatica tra farmaco biologico di ri-ferimento e suo biosimilare, né trabiosimilare e biosimilare”.

La questione relativa all’inter-scambiabilità è stata oggetto in que-sti anni di numerosi dibattiti. «IlCReI ribadisce di non guardare al-l’utilizzo dei biosimilari come unicafonte di risparmio economico, sot-tolineando la necessità di creare unpercorso condiviso per trovare in-

sieme le migliori strategie che ga-rantiscano ai cittadini l’appropria-tezza terapeutica, al clinico la libertàprescrittiva e agli enti pubblici la so-stenibilità economica», dice GildaSandri, Vicepresidente del CReI,Collegio Reumatologi Italiani, e reu-matologa presso la StrutturaComplessa di Reumatologiadell’Azienda UniversitariaOspedaliera Policlinico di Modena.«Tutte le terapie vanno condivisecol paziente e questo vale ancheper i biosimilari e se il clinico proponeuno switch è perché i dati dimo-strano che lo si può fare. Ci tengoperò a sottolineare che è fonda-mentale avere il consenso del pa-ziente, ma questo deve essere partedi un percorso condotto dal medicoinsieme al paziente. Va infatti spie-gato per bene cosa vuole dire bio-similare e non deve passare il mes-

I farmaci biosimilari sono diversi da quelli generici,in comune hanno solo un prodotto di riferimento

LE REGOLE DEL BENESSERE

❙ Non c’è da preoccuparsi sesul foglietto illustrativo delfarmaco biologico che si staassumendo c’è un triangolonero. È usato per contraddi-stinguere i medicinali biologicie biosimilari approvati dopoil 1° gennaio 2011 e che sonoinclusi in un elenco di farmacisotto “monitoraggio addizio-nale”. Questo non significa chesiano emersi problemi in me-rito alla sicurezza del farmacoche si sta assumendo. Significasolo che è richiesta più atten-zione da parte di tutti, pazientie medici, al fine di segnalarealle Autorità competentil’eventuale comparsa di un ef-fetto collaterale nuovo, chenon rientra tra quelli noti.

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mercio sono dieci: Epoetine,Filgrastim, Somatropina, Follitropinaalfa, Infliximab, Insulina Glargine,Etanercept, Rituximab, Enoxaparinae Insulina Lispro e “coprono” il 13%del consumo nazionale di biosimilari.Attualmente sono impiegate per cu-rare il diabete di tipo 1, i disturbi diaccrescimento dovuto a carenza del-l’ormone della crescita, in alcune for-me di anemia, come quella associataall’insufficienza renale cronica, inmalattie autoimmuni come psoriasi,artrite reumatoide, spondilite anchi-losante, morbo di Crohn e in alcuneforme di tumore. Tra gli effetti colla-terali, invece, i più frequenti sono leinfezioni che si manifestano a causadella riduzione delle risposte immu-nitarie, ma si tratta il più delle voltedi un problema che passa da sé nel-l’arco d breve tempo. Possono inoltrescatenarsi arrossamento, prurito egonfiore nella sede di iniezione delfarmaco. ■

saggio, errato, che è un farmacomeno efficace». È dello stesso parereAIOM, Associazione Ital ianaOncologi Medici. «I farmaci biosi-milari non possono essere conside-rati alla stregua dei prodotti gene-rici», sottolinea Stefania Gori,Presidente nazionale AIOM eDirettore dipartimento oncologico,IRCCS Ospedale Sacro Cuore DonCalabria-Negrar. «Anche l’eventualedecisione cl inica di eseguireuno switch terapeutico in un pa-ziente già in cura deve essere at-tentamente valutata dal medico,che rimane il responsabile della pre-scrizione».

Di sicuro, i farmaci biosimilarirappresentano un esempio di inno-vazione sostenibile: costituiscono in-fatti un’opzione terapeutica a un co-sto inferiore fino al 20% per il ServizioSanitario Nazionale. In base alle stime,nell’arco di cinque anni dalla pubbli-

cazione del secondo Position Paperdi AIFA, sono previsti risparmi pari adue miliardi di euro. «Questo ci per-mette di trattare un numero sempremaggiore di pazienti e garantire l’ac-cesso a terapie ad alto impatto eco-nomico», prosegue il professorColombo. «E peraltro, con un rispar-mio potenziale non solo in termini dicosti sanitari, ma anche sociali». Lemolecole biosimilari ad oggi in com-

I farmaci biosimilari consentono un risparmio del 20 per cento per il Servizio Sanitario Nazionale

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Cancro non piùCANCRO

C’è bisogno di un cambiamento lessicale

di Marta GhezziChe la parola cancro non siauna parola come tutte le altre, oramaisi sa. Più che un termine, è diventataquasi un simbolo. Lo dimostra il fattoche nel linguaggio contemporaneo,come ben evidenziava il grande on-cologo Umberto Veronesi, non evochipiù solo la malattia, ma venga larga-mente usata per denominare anchedegenerazioni sociali. E’ un cancro lamafia, della camorra si dice che siaun cancro che si è mangiato unaparte del nostro paese, e sempre alcancro si paragona la corruzione, in-filtrata in profondità, a tutti gli strati.Un unico significato, negativo, un’uni-ca direzione, senza speranza. Comesalvarsi, allora? Non a caso Veronesi diceva: “Comesi può pensare di guarire da un’entitàsimbolica, uno spettro che si può ma-terializzare solo pronunciandone ilnome”. Aveva intuito, con larghissimo

anticipo, la necessità di un cambia-mento lessicale. Il bisogno di trovareuna nuova parola, di utilizzare un ter-mine più neutro. Attenzione, non pernascondere e neppure per trovare fa-cili scorciatoie. Piuttosto per alleggerirel’angoscia, per non dare l’impressione,oggi quanto mai errata, che la com-parsa del cancro significhi implaca-bilmente fine. In Italia ricevono una diagnosi di tu-more mille persone al giorno. Unnumero decisamente alto, in leggeroaumento. Ma è in aumento anchela nostra capacità di prevenire, dia-gnosticare, curare. Così, grazie allenuove strategie di controllo dei tu-mori, campagne di prevenzione, dia-gnosi precoci, terapie innovative ericerca, il cancro è divenuto, in mol-tissimi casi, patologia da cui si gua-risce o con cui si convive. Una ma-

lattia cronica come tante altre.Eppure solo intorno al cancro, comenon succede per altre malattie gravi,dall’esito incerto, ad esempio le pa-tologie cardiovascolari, aleggianofantasmi difficili da scacciare.

Male oscuro. Brutto male.Innominabile. Inaccettabile. E’ questa,nell’accezione comune, la semanticadella parola cancro. Ancora oggi, chedi cancro, come dimostrano le stati-stiche, si vive. Nel 2013 Veronesi av-vertiva, “le parole sono fondamentalinel linguaggio del dolore, e lo sonoancora di più quando questo doloreè una diagnosi di cancro”. Avvertivae indicava la strada. Il suo pensiero, condiviso da moltinella comunità scientifica italiana einternazionale, ha avuto bisogno ditempo. Oggi, però, diversi medici per-cepiscono l’importanza di quel monitoe stanno dando vita a un movimento

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per innescare un cambiamento.Abolire la parola cancro? Cancellarladal vocabolario? “Non si può farlo,è una parola vecchissima, usata dapiù di mille anni, ma si può rivisitarneil significato per arrivare a depoten-ziarne l’effetto”, avverte il pionieredell’ematologia infantile GiuseppeMasera, già direttore della Clinica pe-diatrica del San Gerardo di Monza,che sta dando vita, insieme ad alcunicolleghi, a una riflessione pubblicasu questi temi. “Le parole, del resto,non sono immutabili, nel tempo cam-biano, invecchiano, a volte perfinomuoiono e poi rinascono. E quandorinascono hanno un valore comuni-cativo nuovo”, dice Masera. “Nonabolirla, dunque, ma usarla con cri-terio di fronte a un malato spaventato,spiegando, non lasciando lati oscuri,sfrondandola di opacità, arricchendoladi speranza”.

Ricaduta. Recidiva. Chemio.Metastasi. Non è solo la parola cancro,è tutto il linguaggio oncologico a in-cutere paura. Linguaggio utilizzatodai medici al momento della diagnosie poi durante le visite e le terapie.“La comunicazione medico-paziente

è da sempre asimmetrica e a volte ècausa di grandi imcomprensioni”,sottolinea ancora Masera. “Il malato,già in una condizione di fragilità emo-tiva, viene investito da termini difficili,che non capisce e che spaventano.Lo specialista parla, spiega i passaggie con le parole costruisce speranza efiducia. Oppure chiude tutte le porte”.Linguaggio del dolore, dicevaVeronesi. Linguaggio che deve ne-cessariamente essere accurato, chepotrebbe perfino diventare parte dellacura. “Ci deve essere la massima em-patia e grande disponibilità di tempo.Anche in un sistema sanitario affati-cato, come è il nostro in questo mo-mento, un medico non può veniremeno a questo principio. E’ un inve-stimento importante, ma nella miaesperienza ho potuto notare che iltempo che dedichi al malato lo ritrovidopo: perchè la comunicazione, leparole, la giusta comprensione, creanole basi per l’alleanza terapeutica e fa-voriscono l’aderenza al programmadi cure”. Concetti condivisi da Alberto Scanni,primario oncologo emeritodell’Ospedale Fatebenefratelli diMilano, ex direttore generale

dell’Istituto Nazionale Tumori diMilano. Che lancia un appello a me-dici e operatori sanitari (insistendosul bisogno di maggiore formazionepsicologica) “perchè usino semprele parole più idonee adattate al ma-lato, alla sua cultura, alle sue cono-scenze, al suo desiderio di essereben informato”.

Non usare parole difficili, nonusare parole che appaiono terrori-stiche. Si può davvero fare? Scannine è convinto. “Ci vuole tempo, masono convinto che se c’è empatiale parole giuste trovino la strada.Basta sostituire neoplasia alla parolacancro, parlare di metastasi comedi cellule malate che si sono trasferitein altre parti del corpo. Non si trattadi non spiegare, di edulcorare, madi presentare la realtà senza lanciarecolpi verbali che arrivano come fu-cilate. La parola ha un potere enor-me sullo stato d’animo di una per-sona, ha un’energia che va oltre ilsuono che emette, un meccanismopotente che genera effetti e noidobbiamo assumercene la respon-sabilità”. E ancora sottolinea il pen-siero del maestro Veronesi, che ar-rivava a parlare di dovere morale,insisteva che “per i medici è un do-vere morale togliere l’angoscia creatadalla parola cancro”. Non si può depennarla, né cancellarla,né annullarla. Ma si può trasformarlaculturalmente. Toglierle il marchio, lostigma, l’alone negativo del passato.“Ci vorrà del tempo, non è un pro-cesso immediato. Ci vorrà la colla-borazione di tutti. E molta informa-zione e sensibilizzazione, le armi cheaiutano a vincere sul lessico ostile”,dichiara Michele Cevenini, presidentedi Beat Leukemia, associazione chediffondendo informazione e dati sullaleucemia punta a creare maggioreconsapevolezza e minor timore. E an-che lui conclude :“E’ ora di sfatarel’idea che una diagnosi di leucemia,come di cancro in generale, significhicondanna”. ■

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Rivisitare il concetto della parola cancro per diminuirne

le implicazioni negative

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hospital. Rispondeva molto bene aitrattamenti. Finché non è soprag-giunta la cachessia neoplastica, unasindrome metabolica complessa,legata alla malnutrizione. È caratte-rizzata da perdita progressiva dimassa muscolare, con danno fun-zionale sempre più grave, fino aldecesso. Secondo i dati dell’AIOM,l’Associazione Italiana di OncologiaMedica, oltre il 70 per cento deipazienti affetti da neoplasia, soprat-tutto in fase avanzata, sviluppa isegni e i sintomi della cachessia. E il

20 per cento ne muore. Agli esordisi può correggere un poco. Ma dia-gnosticarla in tempo è difficile.Dopo due anni di lotta al tumoreMaria è morta nel suo letto di casa,ma per cachessia refrattaria, l’ultimostadio della sindrome. È vero la pro-gnosi era infausta, ma se nutrita inmodo adeguato poteva staremeglio e forse vivere più a lungo. Di storie dolorose come quella diMaria ce ne sono tante. Eppure, ba-sterebbe prevenire, diagnosticare etrattare in tempo la malnutrizione,

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Cachessia, una patologia difficile da diagnosticare

Per non morireDI MALNUTRIZIONE

di Nunzia Bonifati

Arrivata al reparto di oncologiaper una visita d’urgenza non si eraneppure accorta di aver perso pesoe massa muscolare. Del resto, nonaveva modificato le abitudini ali-mentari, né lo stile di vita. E la stan-chezza l’attribuiva all’età, avendosuperato la settantina. Per Maria ladiagnosi di carcinoma ovarico in sta-dio avanzato fu un fulmine a cielsereno. Per consentirle di viveremeglio e più a lungo l’affidaronoalle cure palliative domiciliari, abbi-nate alla chemioterapia in Day

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per evitare ai pazienti oncologiciuna scadente qualità della vita e de-cessi precoci. È un bisogno del pa-ziente che è stato a lungo trascurato.È stato riconosciuto solo di recente,grazie alle battaglie delle societàscientifiche e delle associazioni me-diche e di volontariato, ma tarda adaffermarsi. In teoria, le condizionici sarebbero. Esistono le raccoman-dazioni a contrasto della malnutri-zione correlata al cancro, pubblicatenel 2017 dall’ESPEN, la SocietàEuropea Nutrizione Clinica eMetabolismo. Inoltre, dallo scorsoanno le strutture ospedaliere sonotenute ad attenersi alle “Linee diindirizzo sui percorsi nutrizionali deipazienti oncologici” (vedi box 1Nutrizione clinica) del Ministro dellaSalute. Ma per capire le ragioni del ritardonella prevenzione e nel trattamentodella malnutrizione in oncologia bi-sogna cominciare dall’inizio del per-corso di cura.

Non arrivare alla malnutrizione«Quanto più lo stato nutrizionale delpaziente è in equilibro, tanto più ilpercorso terapeutico è facilitato» spie-ga Cecilia Gavazzi, responsabile dellaStruttura di terapia nutrizionaledell’Istituto Nazionale dei Tumori diMilano. «Perso l’equilibrio si entra inuna condizione patologica che puòportare al progressivo calo ponderalee al basso indice di massa corporea,entrambi correlati a una minore so-pravvivenza» continua Gavazzi. E ciòvale indipendentemente dalla pato-logia oncologica e dal tipo di tratta-mento seguito. Non è solo questionedi alimentarsi bene. Il punto è comel’organismo riesce a utilizzare “i mat-toni e il cemento” che gli provengonodal cibo. Perché la macchina meta-bolica del paziente oncologico è par-ticolare: «per una serie di ragioni, col-legate sostanzialmente ai trasmettitoritipici del tumore e ai fattori dell’in-fiammazione, il paziente oncologicopuò andare incontro a calo di peso,

anche senza modificare le sue abitu-dini alimentari» spiega Ettore Corradi,direttore Struttura complessa Dieteticae Nutrizione Clinica dell’OspedaleNiguarda di Milano. In pratica, con ilcancro si ha un cattivo utilizzo del-l’energia e si consuma di più. E senzaporvi rimedio si può andare incontroalla malnutrizione. «È una malattianella malattia, una condizione di de-pauperamento delle riserve energe-tiche, proteiche e di altri nutrientidell’organismo, tale da compromet-tere lo stato di salute, comportare unaumento di morbilità e una riduzionedella qualità della vita» spiegaEmanuela Pastore, dietista clinico al-l’ospedale Humanitas di Milano.

Difficile da correggere e diagnosticare La malnutrizione si presenta con so-vrappeso e obesità o, al contrario,con sottopeso a vari livelli di gravità:«sono disordini della nutrizione diambito medico, che richiedono un

Bisogna che l’organismo riesca a utilizzare i “mattoni e il cemento” che gli fornisce il cibo

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intervento di tipo medico, ma nelcontesto può esserci bisogno di unteam multi-specialistico, compostoda dietisti, infermieri e psicologi ealtre figure, che prenda in carico ilpaziente per quanto riguarda prin-cipalmente gli aspetti nutrizionali»precisa Maurizio Muscaritoli, pro-fessore ordinario di medicina internaalla Sapienza di Roma e PresidenteSINUC, Società italiana di NutrizioneClinica e Metabolismo. La scienzamedica coinvolta nella prevenzione,nella diagnosi e nel trattamentodella malnutrizione associata a unapatologia è la nutrizione clinica (siveda il box Nutrizione clinica). Main oncologia ha una buona capacitàdi incidere se si attiva alla diagnosi,quando il paziente non ha ancoraperso troppo peso e massa musco-lare. «La correzione della malnutri-zione è difficile, richiede tempo enon riguarda solo l’alimentazione,ma anche l’attività fisica. Il principaleobiettivo è non far perdere peso alpaziente oncologico, che come giàdetto ha un cattivo utilizzo dell’ener-gia» precisa Corradi. Soprattutto agli esordi la malnutri-zione può passare inosservata. Leragioni sono legate anche ai pre-giudizi culturali: «in Occidente lamalnutrizione non la si vede subitoperché la popolazione tende al so-vrappeso e anche perdere chili èconsiderato un fatto positivo» fanotare Gavazzi. C’è anche da direche spesso questo squilibrio dellanutrizione trae in inganno. «Quandoun paziente normopeso ha difficoltàdi movimento, per esempio nel saliree nello scendere le scale, non ci siaccorge del suo stato di malnutri-zione. In realtà, lo è perché ha persomassa muscolare, cioè è diventatosarcopenico» spiega Saverio Cinieri,tesoriere nazionale AIOM,Associazione Italiana OncologiaMedica, direttore unità operativacomplessa di oncologia medica eBreast unit Asl Brindisi. «La sarco-penia ha un’eredità clinica misco-

❙ Integrata nelle realtà ospedaliere prevede terapie prescritte daimedici e coinvolge altri attori, come infermieri, dietisti e biologi nu-trizionisti. Ha il compito di diagnosticare, prevenire, correggere estudiare i problemi dello stato di nutrizione legati a una patologia,ottimizzando le cure e garantendo la qualità della vita al paziente.Stiamo parlando della nutrizione clinica, una scienza medica che sista dimostrando sempre più di centrale importanza nel percorso dicura del paziente oncologico. Segue precise linee guida, come quelleraccomandate dalla Società Europea di Nutrizione Clinica eMetabolismo. E si attiene alle “Linee di indirizzo sui percorsi nutrizionalidei pazienti oncologici” approvate il 14 dicembre 2017 dal Ministrodella Salute in Conferenza Stato-Regioni. Queste si prefiggono sia diridurre le complicanze mediche conseguenti alla malnutrizione, siadi facilitare il recupero dello stato nutrizionale e della salute fisicadel paziente oncologico. «Nel nostro Istituto, tutti i pazienti all’ingresso in reparto, vengonosottoposti alla valutazione del rischio nutrizionale, con un semplicetest effettuato dagli infermieri. Se il paziente ha un elevato rischio dimalnutrizione si attiva la consulenza specialistica con il servizio dinutrizione clinica, con l’obiettivo di impostare il programma terapeuticonutrizionale» spiega Cecilia Gavazzi, alla guida della Struttura diTerapia Nutrizionale dell’Istituto Nazionale dei Tumori di Milano. Ilpercorso è integrato nelle cure oncologiche. Come prima cosa sivaluta lo stato nutrizionale del paziente. «È importante capire se haperso peso involontariamente e se ha ridotto il consumo di cibo e inquale misura» continua Gavazzi. Per questa valutazione si usano gliscreening nutrizionali. «Sono associazioni standardizzate di unnumero variabile di indicatori e che consentono la formulazione diun punteggio in base al quale si valuta il rischio o la presenza dimalnutrizione» spiega Manuela Pastore dietista clinico in Humanitas,Milano. Tra test i più utilizzati c’è il MUST, Malnutrition UniversalScreening Tool, che ha tre indicatori: «il rapporto tra peso e altezza,la percentuale di calo ponderale negli ultimi 3-6 mesi, la presenza diuna patologia acuta e i suoi effetti, anche sul ridotto consumo dicibo (il cosiddetto intake). Se il punteggio è superiore o uguale a due,il rischio di malnutrizione per quel paziente è elevato» proseguePastore. In base allo screening e alla patologia si decide il programmaterapeutico nutrizionale, studiato su misura del paziente, in base altipo di patologia tumorale, alle sue condizioni cliniche e al grado dimalnutrizione. «Occorre mantenere il più possibile in equilibrio lostato nutrizionale del paziente, anche per fare in modo che possatollerare i trattamenti chemio o radioterapici, meno tossici conun’adeguata nutrizione» prosegue Gavazzi. La nutrizione clinica èdi fondamentale importanza per i tumori più a rischio di malnutrizione:polmone, stomaco, pancreas, esofago e altri tumori della testa e delcollo. In questi casi per verificare il livello di riduzione di massa mu-scolare si valuta anche la composizione corporea con la Tac, lametodica diagnostica per immagini che sfrutta le radiazioni. Albisogno «compatibilmente con le condizioni e le capacità di alimentarsi,si integra ciò che il paziente non riesce ad assumere per boccarispetto ai suoi fabbisogni, nel caso anche per via enterale, cioè neltratto gastrointestinale, o per via parenterale, direttamente in vena.»conclude Gavazzi. Insomma, nell’iter terapeutico del paziente oncologicoil fattore nutrizionale si porta avanti, come un salvagente.

NUTRIZIONE CLINICAIL SALVAGENTE DEL MALATO ONCOLOGICO

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nosciuta e può insorgere in qualsiasimomento, soprattutto negli anzianie nei pazienti che prima di ammalarsifacevano poca attività fisica. Allamalnutrizione è anche associatal’astenia, che ha una componentepsicologica, e non solo. Insieme,malnutrizione, sarcopenia e asteniaportano il paziente a difficoltà dimovimento, e tutto il quadro peg-giora se non riconosciute in tempo»continua Cinieri.

Intervenire in tempo Lo studio Premio, sulla prevalenzadella malnutrizione alla prima visitaoncologica (Prevalence of malnutri-tion in patients at first medical on-cology visit: the PreMiO study, inOncotarget, 2017, vol. 8) è statocondotto nei reparti oncologici ita-liani su 2000 pazienti. Ha messo inevidenza che alla prima visita il 50per cento degli ammalati arriva giàcon un deficit nutrizionale e che il64 per cento aveva perso da 1 a 10chili nei sei mesi precedenti. Dallo

studio emerge che la perdita di pesoè associata alla diminuita sopravvi-venza e a una scarsa risposta e/otolleranza ai trattamenti chemio eradioterapici e allo scadimento dellaqualità della vita. Il dato più allar-mante è che il 20-30 per cento deipazienti oncologici muore per glieffetti della malnutrizione. Questi ealtri dati scientifici suggeriscono diintervenire precocemente: «quandola perdita di peso involontaria è dipoco inferiore al 5 per cento delpeso iniziale, perché quando arrivaal 10 per cento già si riduce la pro-babilità di recuperare peso e massacorporea in tempi ragionevoli perpoter essere trattati in maniera ade-guata» sottolinea Muscaritoli.

Evitare la cachessia Diagnosticare in tempo la malnutri-zione, o se possibile prevenirla, è dicruciale importanza per evitare il peg-gio. Come si legge nelle linee guidaAIOM 2017 sulla prevenzione dellacachessia neoplastica si tratta di «unasindrome multifattoriale caratterizzatadalla perdita progressiva di massamuscolare complessa, che non puòessere completamente corretta conun supporto nutrizionale convenzio-nale e che porta a un progressivodanno funzionale. Da un punto divista fisiopatologico, è caratterizzatada un bilancio proteico ed energeticonegativo, causato sia da un ridottointroito calorico sia da alterazioni me-taboliche». Tra i principali sintomi ci

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L’intervento della nutrizione clinica, se tempestivo, può

risultare molto efficace

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sono anoressia, anemia e astenia.Questa sindrome ha tre stadi. Il primoè la pre-cachessia, nel corso dellaquale si può intervenire cercando dinon far perdere peso al paziente. Ilsecondo è la cachessia: quando arrivasi cerca di recupere un po’ di peso e

massa muscolare. La terza, quella fa-tale, è cachessia refrattaria: si inter-viene solo per migliorare i sintomi. Iltrattamento della sindrome è moltocomplesso e prevede una combina-zione di farmaci e integratori nutri-zionali e antiossidanti.

Una figliastra della medicina Alla malnutrizione il paziente on-

cologico non ci dovrebbe proprioarrivare. Tanto più che l’interventodella nutrizione clinica, se tempe-stivo, è molto efficace. In primis, ri-sparmia inutili sofferenze, rischiosi

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MANGIARE DI TUTTO IN MODO VARIATOVADEMECUM ANTIBUFALE

■ Non c’è la dieta per il paziente oncologico.Quelle in circolazione non hanno fondamentoscientifico e possono essere dannose. Il loro suc-cesso dipende dalla spinta a tentarle tutte, purdi modificare la prognosi. Gli esperti suggerisconodi stare alla larga dai millantatori. «Perché nelpaziente oncologico la dieta deve essere studiatae integrata sul momento, in base alla patologiae al trattamento che dovrà fare» spiega CeciliaGavazzi, responsabile della Struttura di terapianutrizionale dell’Istituto Nazionale dei Tumoridi Milano.L’unico “fai da te” è quello basato su conoscenzescientifiche e buon senso. La prima cosa è informare l’equipe medica circale proprie abitudini alimentari e ciò che siassume senza una prescrizione. «Alcune sceltealimentari possono peggiorare i sintomi secon-dari ai trattamenti terapeutici e finanche ab-bassare le difese immunitarie, oltre che peggiorarela qualità della vita» spiega Manuela Pastore,dietista clinico all’ospedale Humanitas. Dallediete in circolazione si deve stare alla larga,specie da quelle che propongono restrizioni ali-mentari, messa al bando di zuccheri o digiuno.Se è vero che ogni tanto digiunare fa bene al-l’organismo, che così riposa, per chi ha il tumoreè diverso. «In alcuni animali da laboratorio si èvisto che la cellula neoplastica tenuta a digiunoè più sensibile alla chemioterapia. Ma sull’essereumano è da dimostrare. Inoltre, il digiuno esponeil paziente a inutili sofferenze aggiuntive e apericolose perdite di peso» spiega Gavazzi. Alcune diete bandiscono lo zucchero, perchéil tumore se ne nutre per crescere. Ma nonserve a nulla. «Il nostro corpo mantiene co-stante il livello medio di glicemia, altrimentiil cervello non funzionerebbe» continuaGavazzi. Peraltro «non esistono studi che cor-relano la riduzione della massa tumorale e

l’eliminazione di glucosio dalla dieta. Semmaila riduzione di glucosio espone al rischio delladieta sbilanciata i pazienti che si auto sotto-pongono a questa restrizione, nella speranzadi tenere sotto controllo la malattia» precisaMaurizio Muscaritoli, professore ordinario dimedicina interna alla Sapienza di Roma ePresidente SINUC, Società italiana di NutrizioneClinica e Metabolismo.Il fai da te è controindicato anche per gli in-tegratori alimentari. «Sono validi strumentiterapeutici, ma devono essere correttamenteprescritti e monitorati» dice Ettore Corradi,direttore Struttura complessa Dietetica eNutrizione Clinica Ospedale Niguarda diMilano. «Per esempio, gli integratori iperpro-teici essendo a bassa digeribilità danno unsenso di pienezza, pertanto possono indurreil paziente già inappetente a ridurre o nonconsumare affatto il pasto» continua Corradi. Le indicazioni che si possono dare sono quellegeneriche del sano stile di vita. Mantenersiquanto più possibile in movimento, seguendouna dieta equilibrata e variata. «Preferire glialimenti freschi evitando quelli confezionati elavorati, fare attenzione alla provenienza dellematerie prime, usare cotture semplici senzaperdere di vista i gusti personali e l’appetibilitàdelle preparazioni, garantirsi un’appropriataidratazione» suggerisce Pastore. Mangiare ditutto, poco e spesso «preferendo cibi con saporiforti, quando subentrano effetti collaterali dialcuni farmaci e dei trattamenti di radioterapia»dice Saverio Cinieri, oncologo, tesoriere AIOM.«I frullati e gli estratti di frutta e ortaggi possonofornire acqua e minerali, utili all’organismo perriequilibrare il rapporto tra minerali ed elettroliti,fondamentale per i muscoli e per il loro movi-mento» conclude Cinieri. Più di questo puòdirlo solo l’equipe medica. ■

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posticipi dei trattamenti chemio eradioterapici e interventi medici d’ur-genza per porre rimedio alle com-plicanze dovute allo squilibrio nu-trizionale. Ma allora perché non intutti i reparti di oncologia si appli-cano come si deve le linee guidaeuropee dell’ESPEN e quelle d’indi-rizzo ministeriale? «Sono documentiben fatti, ma che funzionano nellapratica clinica solo quando sonostati già messi in piedi i percorsiadatti a realizzarle. Inoltre, sonotroppo complessi e andrebbero sem-plificati» dice Corradi. Insomma «lanutrizione clinica, questa scienzamedica finalizzata allo studio a allacura dello stato nutrizionale, è an-cora poco riconosciuta e non deltutto integrata come dovrebbe nellerealtà ospedaliere» si rammaricaGavazzi. Del resto «l’oncologia clas-

sica si è sempre concentrata sullamalattia e non sul paziente. Si è co-minciato a pensare diversamentesolo quando si è affermato l’approc-cio olistico multidisciplinare, che haconsentito alle singole discipline me-diche di uscire dai limiti che le im-prigionavano a tal punto da ridurnefinanche l’efficacia e l’appropriatezzaterapeutica» spiega Muscaritoli. Peresempio, oggi nessuno nega cheesistano problemi psicologici legatial cancro. «Ma se la psiconcologiasi è affermata, la nutrizione clinicaresta indietro» continua Muscaritoli.E del resto, non si insegna nelle fa-coltà di medicina. Ma c’è un altroproblema da non sottovalutare: «ilservizio di nutrizione clinica è semprepresente nei reparti di oncologia,ma non in Day hospital, dove si svol-ge l’80 per cento della nostra attività.

Allora tutto diventa più complicatoe ci limitiamo a dare consigli, pun-tando soprattutto al cambiamentodello stile di vita» aggiunge Cinieri.Ma dare informazioni generiche ègià un passo avanti, perché un tem-po non si davano neppure quelle.«Gli oncologi dovrebbero acquisirela consapevolezza che i tumori, ele stesse terapie antitumorali som-ministrate, possono determinareproblemi nutrizional che sono ge-neralmente problemi nutrizionali indifetto» dice Muscaritoli.

Studi clinici difficile da fare Il riconoscimento della nutrizioneclinica tarda ad affermarsi ancheperché in medicina ci si deve atte-nere all’evidenza scientifica. Ma farestudi clinici controllati su malati on-cologici sottoposti a trattamenti nu-

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La nutrizione clinica purtroppo non si insegna nelle facoltà di medicina

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trizionali è difficile, costoso e im-morale. «Hanno effetti lenti, nonimmediatamente misurabili, pertan-to i loro benefici sono difficili da di-mostrare» dice Gavazzi. In più «siteme che questo genere di studipossa interferire con altri di tipo cli-nico, cui il paziente oncologico èsottoposto» aggiunge Muscaritoli.E poi con la nutrizione non si trattadi dare un farmaco al paziente everificarne l’efficacia. «Ogni pazienteè diverso e reagisce a modo suo aitrattamenti. Inoltre, non sarebbeetico procedere con studi clinici ran-domizzati, nel corso dei quali si som-ministra a un gruppo uno specificotrattamento nutrizionale e a quellodi controllo il placebo» concludeGavazzi.

Cambiare i modelli Ma allora che fare? «Bisognerebbeattivare un osservatorio in accordocon Agenas, l’Agenzia nazionaleper i servizi sanitari regionali, al finedi vigilare sull’applicazione delle linee

di indirizzo ministeriali sui percorsinutrizionali del malato oncologico»suggerisce Muscaritoli. Servirebbeanche un cambio di paradigma or-ganizzativo. Oggi il paziente onco-logico è preso in carico da una equi-pe multidisciplinare, che a secondadi come vanno le cose decide divolta in volta il da farsi. Questo ap-proccio di tipo seriale pare che nonbasti più. «L’intervento nutrizionalesui pazienti oncologici si presta dipiù alle cure simultanee, vale a direa una multidisciplinarietà in paralleloche prevede che i medici con diffe-renti specialità siano sul pazientenello stesso momento» suggerisceCorradi. «Ovviamente c’è il tempoin cui è preponderante l’azione del-l’oncologo, ma noi della nutrizioneclinica dobbiamo entrare contem-poraneamente» conclude Corradi.Ma forse è arrivata l’ora che le cosecambino, affinché ogni paziente on-cologico riceva in ospedale i dovutitrattamenti nutrizionali, senza dise-guaglianze. ■

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eseguiti da medici delle principali istituzio-

ni oncologiche del territorio.

Nell’ambito del progetto Donna Dovunque

le donne immigrate possono sottoporsi

a visite di controllo ed essere seguite da

un medico che parla la loro lingua.

Visite in convenzione con Comuni e aziende,

per offrire ai cittadini controlli e ai dipen-

denti esami sul posto di lavoro.

Visite con l’Unità Mobile. Durante le campagne

nazionali, siamo in piazza per effettuare

gratuitamente visite di diagnosi precoce.

Diagnosi precoce

Finanziamo attraverso progetti, borse di

studio e contratti per ricerche clinico-

epidemiologiche presso i maggiori Istituti

Oncologici del territorio.

Sovvenzione alla ricerca

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Servizio sociale a disposizione dei malati e

dei loro familiari per accoglienza, ascolto

dei bisogni e informazioni sulle agevolazioni

previste dalla legge.

Accompagnamento alle terapie.

Allestimento di presidi sanitari a domicilio.

Assistenza a domicilio e in ospedale ai malati,

anche in fase avanzata.

Partecipazione alle spese di viaggio e alloggio

per i malati e i familiari provenienti da

fuori Milano.

Aiuti economici ai malati in condizioni

disagiate.

Alloggio e accoglienza per bambini e adole-

scenti provenienti da altre città.

Attività ludico-didattiche in reparto di

Pediatria e presso l’ambulatorio pediatrico

dell’Istituto Nazionale Tumori di Milano.

Laboratorio artistico ArtLab per attività

diversionali e ricreative presso l’Istituto

Nazionale Tumori di Milano.

Assistenza

Oltre 700 Volontari, formati attraverso la

nostra Scuola, ci aiutano:

Nella Prevenzione primaria: collaborano a

diffondere la cultura della prevenzione,

sensibilizzando la cittadinanza ad adottare

stili di vita sani.

Nella Diagnosi precoce: partecipano all’orga-

nizzazione dei nostri Spazi Prevenzione.

Negli ospedali: operano negli Istituti Oncolo-

gici, all’accoglienza, nei reparti di oncologia,

negli Hospice.

Nell’assistenza a domicilio: sostengono il

malato a casa, sia in fase di riabilitazione

sia all’interno delle Unità di Cure Palliative

Domiciliari - U.C.P.D.

Nell’accompagnamento alle terapie: con la pro-

pria auto o con gli automezzi LILT accompa-

gnano il paziente in ospedale per le terapie.

Nelle sedi LILT e nelle Delegazioni: collaborano

con il personale dell’Associazione per il

funzionamento degli uffici, per organizzare

eventi e la Raccolta Fondi.

Volontariato

Lega Italiana per la Lotta contro i Tumori - Sezione Provinciale di Milano - via Venezian 1 - 20133 Milano - tel. 02.49521

www.legatumori.mi.it - [email protected]

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Un’ospitalità accessibile e un supporto concretoper malati e familiari a Milano e Lombardia

Il calore di una casaanche quando sei lontano

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Grazie al contributo diPromosso da In collaborazione con

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Ogni giorno BCC Milanolavora per essere vicinaa te, alle tue esigenzee ai tuoi valori.Per contribuire albenessere della comunitàin ogni sua sfaccettatura.

Siamo ovunque c’è comunità: accomodati, siamo la tua Banca! www.bccmilano.it

Per questo abbiamo sceltodi sostenere l'impegno quotidiano di LILT Milano, di cui condividiamo valori e vocazione sociale.

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SCEGLI DI DESTINARCI IL TUO 5X1000, AIUTACI A PROMUOVERE LA VITA.

Grazie anche al tuo contributo la LILT potrà continuare a sostenere le molteplici attività che rendono il suo impegno concreto. Basta apporre la tua firma nell’apposito allegato dei modelli CU, 730-1 bis o UNICO con l’indicazione del codice fiscale LILT di Milano.

CODICE FISCALE 80107930150Casella riservata a “Sostegno del volontariato e delle altre organizzazioni non lucrative...”

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