comune di carpi – modena - diocesi di carpi

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Progetto preliminare inerente il restauro e miglioramento sismico della Chiesa di sant’Ignazio di Loyola RELAZIONE STORICA

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RELAZIONE STORICA (Vedi: “ La Chiesa di Sant’Ignazio di Carpi e l’opera di Antonio Loraghi” - di Debora Ballista, Vania Mundici,

Alessandro Neri – da “Architettura della Compagnia Ignaziana nei centri antichi italiani” a cura di Giuseppe

Rocchi , Firenze, Alinea 1999)

I Gesuiti, presenti a Carpi a partire dal 1622, dopo aver officiato per anni nell'antica Chiesa

della Sagra, decisero di intraprendere la costruzione della chiesa nel 1660, Nel 1670 lasciarono

temporaneamente Carpi, mentre rimase in città solamente un “padre fabbriciere” per dirigere

l'edificazione della nuova chiesa.

In un fascicolo presso l'Archivio Storico di Carpi 1 sono conservati numerosi disegni inediti

relativi ad impianti planimetrici di edifici ecclesiastici; tale ritrovamento attesta la particolare

attenzione mostrata dai Gesuiti al progetto delle proprie strutture, tramite il costante riferimento

alle chiese esistenti e alle loro impostazioni planimetriche, per rispettare, soprattutto nella

distribuzione degli spazi, le esigenze più che altro funzionali manifestate per le pratiche

religiose; non si tratta pertanto di un tentativo di semplificazione e riduzione a forme e tipologie

standard, quanto piuttosto una ricerca anche innovativa verso l'ottimizzazione funzionale degli

organismi architettonici.

Il progetto definitivo a croce greca di Sant'Ignazio, con bolla e firma di approvazione della

compagnia sul retro, esiste in duplice copia a Parigi, presso la Bibliotheque Nationale J.Vallery-

Radot, ed al museo civico di Carpi.

Nell'Archivio di Carpi sono conservati i disegni delle piante ed un prospetto della Chiesa. Una

pianta si riferisce allo schema delle fondazioni e presenta una variante rispetto alle altre due

nel dimensionamento dei due vani ai lati dell'ingresso, disegnati rettangolari, anziché quadrati,

come poi realizzati.

1 � originariamente in Archivio Guaitoli (busta n. 9, fasc. 5), poi inventariati come documenti del Museo dal dottor Alfonso Garuti, già direttore dei Musei, , e raccolti in apposita cartella, siglata n. 4, conservata in cassettiera. Complessivamente i disegni e le piante della chiesa dei Gesuiti di Carpi sono 16 e sono così numerati: prima cartella: 2 – 3 – 4bis – 5 – 11 – 12 – 13 – 14 – 15; seconda cartella: 1 – 4 – 6 – 7 – 10 – 11bis - 15 bis

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1 _Pianta delle fondazioni della Chiesa di Sant'Ignazio (1670 circa) (originariamente in Archivio Guaitoli -busta n. 9, fasc. 5 - poi inventariati come documenti del Museo, e raccolti in apposita cartella, siglata n. 4, conservata in cassettiera. Complessivamente i disegni e le piante della chiesa dei Gesuiti di Carpi sono 16 e sono così numerati prima cartella: 2 – 3 – 4bis – 5 – 11 – 12 – 13 – 14 – 15; seconda cartella: 1 – 4 – 6 – 7 – 10 – 11bis 15 bis)

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2_Pianta delle fondazioni della Chiesa di Sant'Ignazio_Particolare pilastri centrali sottostanti la cupola

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3_Pianta delle fondazioni della Chiesa di Sant'Ignazio_Particolare pilastri centrali sottostanti la cupola (originariamente in Archivio Guaitoli -busta n. 9, fasc. 5 - poi inventariati come documenti del

Museo, e raccolti in apposita cartella, siglata n. 4, conservata in cassettiera. Complessivamente i disegni e le piante della chiesa dei Gesuiti di Carpi sono 16 e sono così numerati prima cartella: 2 – 3 – 4bis – 5 – 11 – 12 – 13 – 14 – 15; seconda cartella: 1 – 4 – 6 – 7 – 10 – 11bis 15 bis)

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La costruzione della Chiesa procedette rapidamente nel corso dell'estate del 1670, malgrado le

pessime condizioni metereologiche.

Tuttavia da una lettera datata 5 ottobre 1671, si evince come ingenti problemi finanziari ne

resero difficile il proseguimento.

Per i due anni successivi, non sono stati ritrovati documenti testimonianti l'avanzare dei lavori di

costruzione, fino al mese di ottobre 1673. Le spese generali sostenute per la fabbrica della

chiesa furono in questo biennio nettamente inferiori rispetto a quelle registrate nel triennio

successivo, è ipotizzabile pertanto che fra il 1671 ed il 1673, l’edificazione della chiesa possa

aver subito un notevole rallentamento.

All’aprile del 1674 risale l’accordo con fra i fratelli Domenico e Francesco Agazzani,

nominati capimastri nella costruzione della chiesa, ed il rettore del collegio Alessandro

Personali.

In tale atto gli Agazzani si impegnano a costruire la chiesa “sino al tetto conforme il disegno del

Sig.r Antonio Luraghi”.

Il documento in oggetto risulta di particolare importanza per una serie di elementi, fra i quali si

evidenzia: lo stato della costruzione in quel momento (lo spiccato era di circa 10 metri) e il nome

di Loraghi, famoso architetto dell’epoca che sostituì l’architetto ducale Bartolomeo Avanzini

quando questi morì nel 1658, nei principali cantieri estensi.

A partire dal 1665 sono documentati rapporti del Loraghi con Carpi e con la fabbrica della

cattedrale, nel contempo si era avviato il rapporto con i gesuiti per l'edificazione della loro

chiesa, dedicata a S. Ignazio, di cui nel giugno del 1670 si pose la prima pietra.

Probabilmente la presenza del Loraghi presso il cantiere, conclusosi nel 1682, non fu

continua, certo a seguito dei contemporanei impegni presso le altre fabbriche. Tra queste, la

facciata di S. Giorgio a Modena, alla quale si riferisce l'ultima notizia relativa all'attività di

Antonio, datata al 1685, quando generalmente si colloca anche la sua morte.

A partire dal 1674 la figura del Loraghi sarà fondamentale per l’avanzare delle fasi costruttive di

Sant’Ignazio; al 12 aprile 1678 risale l’accordo fra il Collegio e i due capimastri Agazzani per la

realizzazione della facciata, oltre alla scala a lomaca che doveva condurre nel sottotetto, mai

realizzata.

Dalle fonti storiche si evince che intorno al 1679 erano stati completati tutto l’alzato, e la facciata

della chiesa. Internamente erano state ultimate le zone absidali e del presbiterio. In particolare

si vuole evidenziare che le strutture voltate realizzate in questo periodo (documentate) fossero

di spessore doppio rispetto a quello delle volte costruite due anni dopo.

Nel gennaio del 1680 fu stipulato l’accordo per la realizzazione del “lastricato della Chiesa” e

“dei gradini che occorrevano per la chiesa a giudicio del Sig.r Antonio Lorago”.

E’ documentato come, fino al mese di aprile 1681, fossero state eseguite nella chiesa le

seguenti opere: le volte a botte e la cupola, le cornici, i capitelli e le trabeazioni interne;

l’intonacatura (stabilitura) degli esterni e le quattro finestre quadrilobate della cupola

(probabilmente tamponate agli inizi del ‘900, poi riaperte durante i lavori sulla cupola risalenti al

1994).

Tra il 1679 e il1682 fu ultimata l’edificazione della chiesa con la realizzazione della cupola,

delle volte a botte in ingresso e laterali e delle finiture interne.

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La chiesa di Sant'Ignazio fu ultimata e inaugurata solennemente nel 1682.

.

All’analisi delle fonti storiche non è emersa alcuna notizia in merito al campanile, ma da

un’iscrizione presente in una delle campane è indicato l’anno 1676, considerato inoltre che la

tipologia dei laterizi, per dimensione e pasta, è uguale a quella utilizzata nella chiesa, si

potrebbe ipotizzare che anche il campanile sia coevo al resto dell’edificio.

Le fonti documentarie hanno inoltre consentito l’acquisizione di importanti notizie in merito alla

provenienza e caratteristica dei materiali.

Ad esempio la calce e il gesso proveniva dalle fornaci di Scandiano. Per quanto riguarda la

provenienza dei laterizi, dalle liste delle singole spese viene riportata la voce pietre e condotta

analogamente a quella della calcina ; da ciò si desume come l’ubicazione delle fornaci fosse

probabilmente esterna alle mura urbane.

Relativamente alle soluzioni strutturali adottate (tipologia delle volte), si sa che le volte in

foglio (s = cm 7 circa), dotate di costoloni estradossali, sono opera del capomastro Angelo

Maria Medici.

Elementi particolari in laterizio (modanature e cornici) furono impiegati per la facciata e

l’interno.

I lavori proseguirono anche dopo la data di inaugurazione: si realizzò e completò la decorazione

interna, con il compimento delle ancone d'altare.

Il braccio occidentale della croce greca presenta un’ancona monumentale in scagliola

policroma eseguita da Matteo Stermieri nel 1689, con architettura a colonne, paraste ed alto

timpano. All'interno è collocata la tela "San Francesco Saverio battezza i Re Indiani", opera

eseguita da Bonaventura Lamberti nel 1689 c. Il paliotto è in scagliola a lieve cromia, ornato a

candelabre con specchiature marmoree, nel medaglione vi è raffigurato S. Francesco Saverio

che predica agli indiani, mentre lateralmente sono raffigurati vasi di fiori, l'opera è databile al

XVII sec.

Il presbiterio è caratterizzato dal maestoso Altare Maggiore in scagliola policroma, da

ritenersi senza dubbio una delle realizzazioni più importanti della scuola della scagliola

Carpigiana, opera eseguita da Giovanni Massa e Giovanni Pozzuoli nel 1696. Il Paliotto

dell'altare presenta una decorazione a fiorami policromi, con al centro la gloria di Sant'Ignazio.

Nella contro-parete di facciata si trova la tribuna in legno policromo dell'organo (risalente al

XVIII sec), a pianta articolata, sorretta da mensoloni in stucco, dipinta a finta architettura di

balaustri e motivi floreali. La tribuna a balconata collega due vani (coretti), sovrastanti le due

cappelle a lato dell'ingresso (zone d'angolo della pianta a croce), che si affacciano sul transetto

tramite bucature schermate con grate lignee dipinte e finte balaustre.

La facciata seicentesca, appare oggi priva di intonaco; qualche traccia dell'intonaco originale è

ancora visibile nei sottosquadri degli sfondati e nelle zone protette dalle cornici in aggetto,

termina con timpano triangolare, all'interno del quale si trova il grande stemma in gesso della

Compagnia di Gesù, in pessimo stato di conservazione.

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Con l'allontanamento dei Gesuiti, avvenuto nel 1773, a seguito della soppressione della

compagnia, decretata da Papa Clemente XVI, il complesso dell’ex collegio gesuitico di Carpi fu

assegnato al Seminario dei Chierici, mentre la chiesa venne officiata prima dalla Confraternita di

S.Maria della Misericordia (o di S.Giovanni), poi dai Filippini ed infine annessa al Seminario

(1822circa).

LA CHIESA OGGI (Vedi:Alfonso Garuti “ Il Museo Diocesano D’Arte Sacra Cardinale Rodolfo Pio di Savoia” – in “Storia di Carpi

vol III La città e il territorio nel lungo Ottocento- 1796/1914, Tomo II. Società e Cultura, a cura di G.Montecchi,

A.M. Ori, A.Varni, Modena 2011)

La chiesa attualmente, è sede del il Museo Diocesano d’arte sacra – “Cardinale Rodolfo Pio di Savoia” ( si intende ovviamente prima dell'evento sismico, si sottolinea che attualmente l'edificio è inagibile a causa dei rilevanti danni subiti soprattutto alle strutture voltate). La nuova realtà museale carpigiana si viene ad affiancare a quanto esiste in sede civica rivestendo un significato di reciproche identità, collaborazione, scambi di competenze, esiti stratificati che il tempo ha trascorso e trasmesso. L’azione pastorale, di cui si sottolinea l’importanza nella qualificazione del Museo diocesano, evidenziata nelle forme dell’arte, trova scopi di attuazione entro iniziative di conoscenza e promozione, incentivando i modi di conservazione dell’articolato patrimonio storico, artistico, documentario esistente sul territorio diocesano, rinnovando per mezzo delle opere del passato la continuità con il presente. La fase di concretizzazione del Museo di natura ecclesiastica assume quindi valore di segno e di traccia, di messaggio cristiano che trova esempi qualificanti nell’opera d’arte entro costante sviluppo nella storia della città e del territorio. Il Museo rappresenta non solo il luogo di approdo conservativo di opere d’arte e di oggetti di culto, oppure di chiusura verso realtà esterne, ma stimolo di occasioni culturali e spirituali che ne hanno originato la formazione entro il contesto del richiamo territoriale. Nella sua natura ecclesiale diventa mezzo di relazione evidenziando tematiche di lettura delle opere non solo nella visione estetica o di contemplazione dell’arte, intensificando sforzi comunicativi e didattici dal specifico dell’identificazione dell’iconografia sacra a quelli di carattere iconologico. La risposta a tali impellenti necessità di valorizzazione di un patrimonio assai vasto ed articolato si ha nello sviluppo e nel sorgere di Musei ecclesiastici in tutto il territorio nazionale, tanto che da stime recenti hanno raggiunto nel 2001 la cospicua entità di 936 presenze, dato in continua crescita, avendo ricevuto incremento per l’anno giubilare da poco trascorso .

Nel concreto del caso carpigiano, la scelta della chiesa di Sant’Ignazio di Loyola a sede del Museo assume fattiva presenza di contenuti nell’immediato contatto e confronto delle opere agli argomenti di matrice religiosa, nelle forme della storia e delle devozioni offerte e proposte, già

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vissute intensamente nel passato dai fedeli, sviluppate oggi in una rivisitazione non nostalgica di ricerca e ricreazione di natura pastorale e temporale di continuità che diventa sfera attiva alla catechesi, verificabile su quanto viene proposto e offerto allo studio ed all’analisi delle forme, all’uso degli oggetti liturgici, ai messaggi iconografici nel rapporto sempre presente della storia e della tradizione rivolto alle manifestazioni propriamente locali. La storia del Museo non è scritta, è solo ipotizzabile. Il legame con gli aspetti della Chiesa locale e della cultura carpigiana può trovare significato nella sua intitolazione al cardinale Rodolfo Pio di Savoia, umanista e religioso, tra i protagonisti nell’avvio della Controfirma cattolica. Generalizzando la loro identificazione culturale, i musei diocesani si sono formalizzati da indirizzi e scelte enunciate dall’autorevolezza di ripetuti pronunciamenti ecclesiastici dall’Ottocento fino agli eventi programmatori nei primi decenni del XX secolo: Il Codice di Diritto Canonico nel 1917 ed i primi documenti negli anni 1923 e 1924 stabilivano i riconoscimenti del bene culturale incentivando l’azione di conservazione del patrimonio storico e documentario della Chiesa. Le circolari prodotte dalla Segreteria di Stato Vaticana, dalla Commissione Centrale per l’Arte Sacra in Italia, fino ai più attuali pronunciamenti della Conferenza Episcopale Italiana, hanno trovato verifica in sede locale nelle prescrizioni al clero durante le visite pastorali degli Ordinari diocesani, nelle costituzioni periferiche delle Commissioni d’Arte Sacra, dove traspare la sollecitudine per la conservazione e l’incremento del patrimonio ed i suggerimenti mirati alla costituzione in ogni diocesi di musei ecclesiastici. L’orientamento ha sottolineato l’importanza pastorale e catechetica delle istituzioni museali individuata nella funzione religiosa della natura dei beni come espressione di eredità dal passato di elevazione spirituale e di conoscenza. Con precoce attuazione rispetto alle disposizioni della Segreteria di Stato Vaticana, è presente in Carpi verso il 1923 una Commissione Diocesana per l’Arte Sacra referente per le necessità di adeguamento di culto e liturgico delle chiese. Del tutto epidermiche risultano le attenzioni verso il patrimonio artistico del passato con rare indicazioni di analisi e di rispetto dell’esistente. Eccezione, al contrario, nel 1914, è il deposito nell’allora inaugurato Museo civico ed alla Commissione Municipale di Storia Patria e Belle Arti, garante e firmataria, di un cospicuo, per numero e qualità, gruppo di opere d’arte e pittoriche. Non essendo più necessarie al culto, assecondando rimandi cautelativi e di conservazione, la provenienza di esse era da varie chiese della diocesi, in particolare dal Capitolo della Cattedrale, dalla Confraternita di San Bernardino da Siena e, per prosecuzione nel tempo, dalla Collegiata di Mirandola, da altre realtà ecclesiali cittadine e frazionali. Trattandosi formalmente di deposito a titolo temporaneo, rinnovato nel 1941 in forma legale in base a protocollo d’intesa, tale nucleo patrimoniale è stato restituito nel 1998 su richiesta del vescovo Bassano Staffieri nella previsione di intraprendere l’avvio del Museo diocesano. Alla delibera comunale di consenso del 2 luglio 1998 è seguita la procedura di autorizzazione da parte del Ministero dei Beni Culturali con decreto del 25 settembre 1999, reso attuativo tramite la Soprintendenza ai beni storici, artistici, demoantropologici per Modena e Reggio Emilia, competente per territorio 6. All’ideazione del Museo è preceduto il costituirsi dell’Ufficio Diocesano per i Beni Culturali con decreto vescovile del 5 giugno 1997. Operativo nel richiamo delle norme impartite dalla C. E. I. riguardanti i beni culturali ecclesiastici, l’Ufficio ha portato a termine, tra le altre attività di tutela e conoscenza, la campagna di inventariazione sul territorio, provvedendo al completo catalogo su modello informatizzato, il cui corollario di conoscenza rimanda al Museo per la valorizzazione del patrimonio della Chiesa carpigiana. Il Museo, oggi, ha trovato la propria definizione nel Decreto attuativo e nel Regolamento programmatorio, documenti entrambi del 10 settembre 2006 a firma del vescovo Elio Tinti che sono stati inviati alla conoscenza della Soprintendenza di Modena. Il Museo è da anni iscritto all’Associazione Musei Ecclesiastici Italiani (A.M.E.I.).

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I progetto dell’allestimento, fu affidato all’architetto Anna Allesina che seguì anche il restauro scientifico, oltre a quello di ripristino dei danni subiti dall'edificio a seguito del sisma del 1996. L’apporto scientifico è a firma del dott. Alfonso Garuti, come emanazione diretta dell’Ufficio Diocesano per i Beni Culturali. Grazie all'intervento di restauro, ultimato nel 2006 si segnala , per la novità della restituzione, il rifacimento del pavimento in cotto, come era l’antico, seicentesco, togliendo l’incongruo, novecentesco in mattonelle cementizie a graniglia, rimettendo in vista le lapidi tombali in marmo, alcune seicentesche, di cui si conosceva l’esistenza soltanto documentaria e la memoria storica e che sono diventate parte integrante della lettura museale dell’ambiente.

La positiva operazione di ripristino del vano ecclesiale ha valorizzato la notevole componente architettonica d’impronta classicheggiante impostata su pianta centralizzata a croce greca su due ampie cappelle a funzione di transetti voltate a botte, concluso nella cupola emisferica che all’esterno acquista geometria ottagonale accompagnandosi con questa forma a tutte le altre cupole di Carpi. Nel progetto la chiesa è lasciata nella sua integrità decorativa con il proprio arredo di opere, di manufatti, di tele d’altare, da intendersi nella lettura dell’insieme in una propria visione di Museo di sé stessa nella storicizzazione di visione controriformistica delle sue plurisecolari funzioni cultuali, sottolineando con apposite indicazioni per ogni cappella l’individuarsi delle opere d’arte stabili che contiene, diventate risposta museale nel discorso globale di lettura e di utilizzazione del vano.

Si tratta di esempi notevoli per la storia dell’arte a Carpi, databili tra il XVII ed il XIX secolo interessanti la cultura artistica emiliana e particolarmente carpigiana, dalle testimonianze in scagliola, come i paliotti di Giovanni Gavignani, Giovan Marco Barzelli ed il superbo altare maggiore a struttura architettonica di Giovanni Pozzuoli e Giovanni Massa, da ritenersi capolavoro tardo seicentesco di perizia tecnica ed inventiva, fino a comprendere arredi lignei dorati degli altari, dipinti rilevanti di Francesco Stringa, Bonaventura Lamberti, Giacinto Brandi, esposti nelle posizioni originarie, oltre le sorprendenti virtuosistiche decorazioni imitative delle tribune e delle ancone.

L’inserimento di arredi cultuali, il mantenimento di parte della mobilia, dei candelieri, delle lampade sugli altari, già nella chiesa oppure immessi, determinano la comprensione, ora in veste museale, dell’antica funzionalità liturgica controriformistica finalizzata pure nella conoscenza pastorale e catechetica. La progettazione museale si inserisce nel vano ecclesiale con sobrietà ed efficienza diventando corollario di quanto la chiesa possiede ed espone del suo antico arredo cultuale, in una sorta di lettura di completamento e di arricchimento che non viene a snaturare il suo carattere architettonico e decorativo, senza supporti invasivi e pregiudicanti l’apporto artistico che il tempo ha trasmesso. All’interno del vano ecclesiale le tele non facenti parte degli arredi originari della chiesa ma collocati nel percorso museale, ad esempio i due grandi dipinti di matrice manieristica e barocca nelle due piccole cappelle iniziali, non saranno montati direttamente a ridosso delle murature, ma su appositi supporti e/o strutture metalliche “leggere” al fine di sottolineare la loro “non appartenenza alla chiesa” bensì il loro inserimento a scopo museale. Una di queste due opere faceva parte del nucleo già consegnato al Museo civico nel 1914, altra di provenienza chiesastica, ed hanno i nomi illustri di Francesco Stringa e di Giuseppe

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Varotti, rispettivamente la Madonna in gloria con i santi Valeriano e Francesco in antico nella cattedrale ed il San Rocco in carcere, dall’omonima chiesa.

Nelle cappelle grandi (destra e sinistra) dello pseudo transetto hanno trovato collocazione su piedistalli, altri dipinti (rimossi e messi in luogo sicuro a seguito del sisma del maggio 2012) di minor formato, come espressione della cultura locale seicentesca, alcuni di provenienza da varie chiese della città e diocesi prelevati a scopo cautelativo dove non esistevano le condizioni di sicurezza per lo scarso utilizzo attuale degli edifici sacri, ad esempio le parrocchiale di San Martino Secchia, di Fossoli, di Santa Giustina Vigona, di Santa Caterina di Concordia.

Gli arredi sacri, le suppellettili liturgiche, i paramenti, come espressione quotidiana del culto e della preziosità materiale degli oggetti, che trovavano collocazione, prima del sisma, per selezione di pezzi, in alcune teche e vetrine disposte nel perimetro della chiesa, tra le cappelle e nel presbiterio, con riferimento di funzionalità sacrale gli antichi oggetti d’uso vescovile ed una selezione tra alcuni oggetti del Tesoro della Cattedrale non utilizzati per il culto, che fortunatamente non hanno subito alcun danno dal sisma, si trovano attualmente in luogo sicuro. Tale operazione di “salvataggio” si deve in particolare all'azione tempestiva e coraggiosa compiuta dal direttore del museo, dott. Alfonso Garuti, insieme alla Soprintendenza per i Beni Storici, Artistici ed Etnoantropologici di Modena e Reggio Emilia, e alle squadre dei VVFF. Oltre al vano della chiesa, il percorso museale si svolge/svolgeva nelle due ex sagrestie. In quella orientale, cioè di sinistra, si trovavano alcune opere, come manufatti e dipinti di datazione tra il XV ed il XVIII secolo, montate su pannellature autoportanti (con struttura metallica) anch’esse staccate dalla muratura, o all’interno delle teche. Quasi tutte le opere che si trovavano qui sono state trasferite, anch'esse illese. Nella ex sagrestia si rilevano alcuni danni alle murature e al soffitto, anche se di modesta entità. Pertanto gli interventi previsti per il ripristino comporteranno ncessariamente la rimozione delle strutture espositive ancora in loco.

La sagrestia occidentale, cioè di destra, ospita/ospitava dipinti e sculture di epoca tardo settecentesca: un San Giuseppe della maniera del Crespi, ed altro. Poichè in questo locale non si è manifestato alcun danno, molte delle opere ivi collocate sono ancora presenti. Nonostante ciò, prima della fase di cantiere per la realizzazione degli interventi di miglioramento sismico, di cui al progetto allegato, si dovrà prevedere lo sgombero totale.

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FIG. 1

Pianta di Luca Nasi seconda metà del sec XVII (A:S:MO)– Particolare Si noti che nella porzione dell'isolato dove fu costruita la chiesa compaiono ancora degli edifici

FIG. 2 e 2 bis

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Pianta di Carpi della metà del XVIII sec.

Pianta di Carpi della metà del XVIII sec. - Particolare – Si noti in alto a sinistra la chiesa di Sant' Ignazio e il Seminario

FIG.. 3

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Pianta delle fondazioni della Chiesa di Sant'Ignazio (originariamente in Archivio Guaitoli -busta n. 9, fasc. 5 - poi inventariati come documenti del Museo, e raccolti in apposita cartella, siglata n. 4, conservata in cassettiera. Complessivamente i disegni e le piante della chiesa dei Gesuiti di Carpi sono 16 e sono così numerati prima cartella: 2 – 3 – 4bis – 5 – 11 – 12 – 13 – 14 – 15; seconda cartella: 1 – 4 – 6 – 7 – 10 – 11bis 15 bis)

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FIG.4

Pianta della Chiesa di Sant'Ignazio (da: vedi sopra) Si notino le finestre, poi non realizzate, nelle due cappelle laterali e il collegamento con il seminario

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FIG. 5

Facciata della Chiesa (da: vedi immagini precedenti) Oltre alle finestre del primo livello, non realizzate (?), si noti che non compare il tamburo della cupola La facciata risulterebbe intonacata

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FIG.6

Prima cappella a sinistra – cantiere di restauro (2005) Si noti il collegamento con il seminario, indicato anche nella mappa storica, poi tamponato.

FIG.7 Prima cappella a sinistra parete confinante con il

seminario– cantiere di restauro (2005) Si noti la traccia di una scala che conduceva probabilmente alla cantoria sinistra.