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March 22, 2011 COMPLEMENTI DI ANALISI 2 1. Introduzione alla topologia e alla struttura di R 2 e R 3 . [2, Paragrafi 1 e 2, Capitolo 2] L’esperienza dell’Analisi A ci insegna che, per poter definire limiti, derivate etc, ` e fondamentale la nozione di intorno: questa infatti consente di rendere il fatto che certi punti sono vicini ad un punto fissato. Osserviamo poi che la definizione di intorno in R si fonda sulla nozione di distanza: ricor- diamo che la distanza tra due punti della retta reale x, y R ` e la lunghezza dell’intervallo (x, y) (o (y,x) a seconda dei casi), cio´ e, dist(x, y)= |x y|. Preso un punto x 0 R, un suo intorno aperto viene definito come il luogo dei punti che distano da x 0 per meno di δ> 0 fissato, ovvero, U δ (x 0 )= {x R : dist(x, x 0 ) } = {x R : |x x 0 | } =(x 0 δ, x 0 + δ ). Ora noi dobbiamo lavorare con funzioni definite in insiemi piani o addirittura dello spazio tridimensionale, pertanto, dopo avere capito quali siano gli elementi di R 2 e R 3 , dovremo estendere la nozione di distanza. Con R 2 = R × R indichiamo le coppie ordinate di punti R 2 = R × R = {(x, y): x, y R}. In effetti R 2 si pu´o interpretare in due modi: come l’insieme dei punti P con coordinate (x, y) reali; come l’insieme dei vettori v =(x, y) applicati in O = (0, 0) da O a P , cio´ e −→ OP . In questo caso, x ` e detta anche prima componente del vettore e y seconda componente del vettore. Apriamo una breve parentesi sui vettori v R 2 (il discorso vale anche per i vettori di R 3 ): questi sono caratterizzati, oltre che dal punto di applicazione, da modulo, direzione e verso, cio´ e, riferendosi a v =(x, y), modulo=|v| = | −→ OP |: lunghezza del segmento che congiunge O a P . In particolare, i vettori di modulo unitario si chiamano versori; direzione: la retta su cui giace il segmento OP ; verso: il vettore v punta da O verso P , come indicato dalla freccia. In particolare, il Teorema di Pitagora ci consente di calcolare il modulo del vettore v = −→ OP , perch´ e questo coincide con l’ipotenusa del triangolo rettangolo di vertici O, P e R =(x, 0), quindi |v| = | −→ OP | = x 2 + y 2 . I vettori si possono sommare tra di loro, sommando ordinatamente componente per com- ponente u + v =(u 1 + v 1 ,u 2 + v 2 ) u =(u 1 ,u 2 ), v =(v 1 ,v 2 ) R 2 , e moltiplicare per uno scalare (un numero reale), moltiplicando ogni componente per lo scalare λ · u =(λu 1 , λu 2 ) u =(u 1 ,u 2 ) R 2 , λ R. 1

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March 22, 2011

COMPLEMENTI DI ANALISI 2

1. Introduzione alla topologia e alla struttura di R2 e R3.[2, Paragrafi 1 e 2, Capitolo 2]

L’esperienza dell’Analisi A ci insegna che, per poter definire limiti, derivate etc, efondamentale la nozione di intorno: questa infatti consente di rendere il fatto che certipunti sono vicini ad un punto fissato.

Osserviamo poi che la definizione di intorno in R si fonda sulla nozione di distanza: ricor-diamo che la distanza tra due punti della retta reale x, y ∈ R e la lunghezza dell’intervallo(x, y) (o (y, x) a seconda dei casi), cioe, dist(x, y) = |x − y|. Preso un punto x0 ∈ R, unsuo intorno aperto viene definito come il luogo dei punti che distano da x0 per meno diδ > 0 fissato, ovvero,

Uδ(x0) = x ∈ R : dist(x, x0) < δ = x ∈ R : |x− x0| < δ = (x0 − δ, x0 + δ).

Ora noi dobbiamo lavorare con funzioni definite in insiemi piani o addirittura dellospazio tridimensionale, pertanto, dopo avere capito quali siano gli elementi di R2 e R3,dovremo estendere la nozione di distanza.

Con R2 = R× R indichiamo le coppie ordinate di punti

R2 = R× R = (x, y) : x, y ∈ R.In effetti R2 si puo interpretare in due modi:

• come l’insieme dei punti P con coordinate (x, y) reali;

• come l’insieme dei vettori v = (x, y) applicati in O = (0, 0) da O a P , cioe−→OP . In

questo caso, x e detta anche prima componente del vettore e y seconda componentedel vettore.

Apriamo una breve parentesi sui vettori v ∈ R2 (il discorso vale anche per i vettori diR3): questi sono caratterizzati, oltre che dal punto di applicazione, da modulo, direzionee verso, cioe, riferendosi a v = (x, y),

• modulo=|v| = |−→OP |: lunghezza del segmento che congiunge O a P . In particolare,

i vettori di modulo unitario si chiamano versori;• direzione: la retta su cui giace il segmento OP ;• verso: il vettore v punta da O verso P , come indicato dalla freccia.

In particolare, il Teorema di Pitagora ci consente di calcolare il modulo del vettore

v =−→OP , perche questo coincide con l’ipotenusa del triangolo rettangolo di vertici O,P e

R = (x, 0), quindi

|v| = |−→OP | =

√x2 + y2.

I vettori si possono sommare tra di loro, sommando ordinatamente componente per com-ponente

u+ v = (u1 + v1, u2 + v2) u = (u1, u2),v = (v1, v2) ∈ R2,

e moltiplicare per uno scalare (un numero reale), moltiplicando ogni componente per loscalare

λ · u = (λu1, λu2) u = (u1, u2) ∈ R2, λ ∈ R.1

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2 COMPLEMENTI DI ANALISI 2

Si noti che il vettore somma di due vettori di R2 si trova con la nota regola del paralle-logramma, mentre il prodotto di un vettore per uno scalare λ e un vettore con la stessadirezione del vettore di partenza, modulo moltiplicato per |λ| e verso concorde se λ > 0 ediscorde se λ < 0.

Grazie alla seconda operazione, possiamo associare ad ogni vettore non nullo un versoreche coincide in tutto col vettore di partenza, tranne per il modulo che viene reso unitario.Infatti, nel caso particolare di R2 (l’estensione agli altri casi e immediata)

∀v ∈ R2 \ 0 vu :=v

|v|=( x√

x2 + y2,

y√x2 + y2

).

Inoltre, resta definita anche la differenza tra vettori

u− v = u+ (−1)v = (u1 − v1, u2 − v2).

Come vedrete in Geometria, (R2,+, ·), ovvero R2 con queste due operazioni, ha la strut-tura di spazio vettoriale (si veda in Appendice la Definizione 19) di dimensione due: questosignifica che esiste una base costituita da due vettori. Ricordiamo che

Definizione 1. Dato uno spazio vettoriale (V,+, ·), l’insieme B = v1, . . . ,vn ⊂ V euna base per lo spazio vettoriale se

• i vettori v1, . . . ,vn sono generatori dello spazio, cioe ogni vettore dello spazio sipuo scrivere come combinazione lineare dei vettori della base

∀v ∈ V ∃λ1, · · · , λn ∈ R : v = λ1v1 + · · ·+ λnvn;

• i vettori v1, . . . ,vn sono linearmente indipendenti, cioe l’unica combinazione lin-eare dei vettori della base che da il vettore nullo e quella con scalari tutti nulli

se λ1v1 + · · ·+ λnvn = 0 ⇒ λ1 = · · · = λn = 0.

(Se i vettori v1, . . . ,vp non sono linearmente indipendenti si dicono linearmente dipen-denti.)

Questo significa che una base per uno spazio vettoriale e un insieme minimale rispettoal numero di generatori (cioe con un minor numero di vettori non riusciremmo a descriveretutti i vettori dello spazio vettoriale) e massimale rispetto al numero di vettori linearmenteindipendenti. Il numero degli elementi di una base e la dimensione dello spazio vettoriale:in particolare, in uno spazio di dimensione n non possono esistere n+1 vettori linearmenteindipendenti. Le dimensioni di R2 e R3 sono rispettivamente due e tre, come sara chiarotra poco.

Si noti che in R2 due vettori sono linearmente indipendenti se non sono proporzionali,ovvero se non sono allineati, mentre in R3 tre vettori sono linearmente indipendenti se nonsono complanari (cioe hanno prodotto misto non nullo, si veda la definizione successiva).

Senza saperlo abbiamo gia usato questi concetti in R2, tutte le volte in cui abbiamoutilizzato le coordinate cartesiane. Una base di R2 (detta base canonica), infatti, e B =i, j, dove i = (1, 0) da la direzione dell’asse x e j = (0, 1) quella dell’asse y. Scriverev = (x, y) equivale a scrivere v = xi+ yj.

Analogamente nello spazio tridimensionale (insieme di tutte le terne ordinate con com-ponenti reali, con duplice interpretazione come R2)

R3 = R× R× R = (x, y, z) : x, y, z ∈ R

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COMPLEMENTI DI ANALISI 2 3

abbiamo le due operazioni

u+ v = (u1 + v1, u2 + v2, u3 + v3) u = (u1, u2, u3),v = (v1, v2, v3) ∈ R3

λ · u = (λu1, λu2, λu3) u = (u1, u2, u3) ∈ R3, λ ∈ R,

che rendono (R3,+, ·) uno spazio vettoriale di dimensione 3, con base canonica B =i, j,k, dove i = (1, 0, 0), j = (0, 1, 0), k = (0, 0, 1). Risulta quindi equivalente scriverev = (x, y, z) oppure v = xi+ yj+ zk.

Torniamo ora allo spazio R2, cercando di precisare la nozione di distanza: presi duepunti P = (x1, y1) e Q = (x2, y2), la distanza euclidea tra P e Q corrisponde al modulodel vettore P −Q = (x1 − x2, y1 − y2), quindi

dist(P,Q) =√(x2 − x1)2 + (y2 − y1)2.

Per visualizzarlo, basta applicare nuovamente il Teorema di Pitagora al triangolo rettan-golo di vertici P,Q e R corrispondente a P e Q secondo il riferimento cartesiano.

Applicando due volte il Teorema di Pitagora, in R3 si avra la distanza euclidea

dist(P,Q) =√

(x2 − x1)2 + (y2 − y1)2 + (z2 − z1)2, P = (x1, y1, z1), Q = (x2, y2, z2).

La nozione di distanza rende possibile definire gli intorni nei due casi

Definizione 2. Fissati un punto P0 = (x0, y0) ∈ R2 e δ > 0, l’intorno circolare aperto diP0 corrispondente a δ e il luogo dei punti di R2 che distano da P0 per meno di δ, ovveroe il disco aperto di centro P0 e raggio δ

Bδ(P0) = P ∈ R2 : dist(P, P0) < δ = (x, y) ∈ R2 :√(x− x0)2 + (y − y0)2 < δ.

Fissati un punto P0 = (x0, y0, z0) ∈ R3 e δ > 0, l’intorno sferico aperto di P0 corrispon-dente a δ e il luogo dei punti di R3 che distano da P0 per meno di δ, ovvero e la pallaaperta di centro P0 e raggio δ

Bδ(P0) = P ∈ R3 : dist(P, P0) < δ

= (x, y, z) ∈ R3 :√

(x− x0)2 + (y − y0)2 + (z − z0)2 < δ.

In questo modo abbiamo gli intorni dei punti al finito: sappiamo pero che R = R∪±∞ha anche gli intorni di ±∞, ovvero le semirette (a,∞) per +∞ e (−∞, a) per −∞, cona ∈ R. Nell’estensione R2 ∪ ∞, gli intorni di ∞ sono gli insiemi esterni ai dischi dicentro l’origine e raggio positivo fissato

UM(∞) = (x, y) ∈ R2 : d((x, y), (0, 0)) > M, ∀M > 0.

Definizione 3. Dato un insieme ∅ = A ⊂ V , dove V = R2 oppure V = R3, diremo cheun punto P0 ∈ V e

• di accumulazione per A se ∀δ > 0 si ha Bδ(P0)∩A \ P0 = ∅. In questo casoscriviamo P0 ∈ A′;

• di aderenza se ∀δ > 0 si ha Bδ(P0) ∩ A = ∅. In questo caso scriviamo P0 ∈ Achiusura o aderenza di A;

• di frontiera se ∀δ > 0 si ha Bδ(P0)∩A = ∅ e Bδ(P0)∩Ac = ∅, dove Ac = V \A eil complementare di A in V . In questo caso scriviamo P0 ∈ ∂A, frontiera o bordodi A;

• isolato se P0 ∈ A e ∃δ > 0 tale che Bδ(P0) ∩ A \ P0 = ∅;

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4 COMPLEMENTI DI ANALISI 2

• interno se P0 ∈ A e ∃δ > 0 tale che Bδ(P0) ⊂ A. In questo caso scriviamoP0 ∈ Ao interno di A.

Definizione 4. Un insieme ∅ = A ⊂ V , dove V = R2 oppure V = R3, si dice

• aperto se A = Ao;• chiuso se A = A, ovvero il suo complementare e un insieme aperto.

Definizione 5. Un insieme C ⊂ Rn si dice connesso se non esistono ∅ = A,B ⊂ Rn

tali cheA ∩B = ∅, A ∩B = ∅, A ∪B = C.

In parole povere, un insieme e connesso se e costituito da un solo pezzo.

Definizione 6. Un insieme A ⊂ R2 si dice limitato quando esiste R > 0 tale che il discocentrato nell’origine di raggio R contenga A, cioe

∃R > 0 : A ⊂ BR(0).

La definizione si estende a R3 sostituendo il disco con la palla.

Prodotti scalare, vettoriale e misto. In R2 e R3 (in effetti in ogni spazio vettoriale),si puo definire un prodotto scalare (da non confondere con il prodotto per uno scalare),che si indica sia con u · v che con (u,v):

u · v = u1v1 + u2v2, ∀u = (u1, u2),v = (v1, v2) ∈ R2,

u · v = u1v1 + u2v2 + u3v3, ∀u = (u1, u2, u3),v = (v1, v2, v3) ∈ R3.

Si noti che il risultato del prodotto scalare e un numero reale. Due vettori sono ortogonaliquando il loro prodotto scalare e nullo. Cio e piu evidente in R2 dove, detto ϑ ∈ [0, π]l’angolo tra u e v, si puo dimostrare (farlo per esercizio) che

u · v = |u||v| cosϑ.Il prodotto scalare verifica la disuguaglianza di Cauchy-Schwarz

(1) |u · v| ≤ |u| |v|, ∀u,v ∈ R2 (oppure R3).

In R3 si puo definire un ulteriore prodotto detto vettoriale (indicato sia con × che∧) che ha come risultato un vettore. Piu precisamente, il prodotto vettoriale di u e v(l’ordine ha importanza!) e u× v che:

• e un vettore ortogonale al piano individuato dai due vettori u e v;• ha modulo |u× v| = |u||v| sinϑ, dove ϑ ∈ [0, π] e l’angolo tra u e v sul piano daessi individuato. Tale modulo coincide con l’area del parallelogramma individuatodai due vettori;

• u,v,u× v formano una terna destrorsa.

Formalmente si ottiene dal determinante della matrice1

u× v = det

i j ku1 u2 u3v1 v2 v3

= (u2v3 − u3v2)i+ (u3v1 − u1v3)j+ (u1v2 − u2v1)k.

Se due vettori sono paralleli hanno prodotto vettoriale nullo.Combinando il prodotto scalare con quello vettoriale si ottiene il prodotto misto, utile

per esempio per scrivere l’equazione del piano individuato da due vettori: infatti presi due

1per i determinanti di matrici 2× 2 e 3× 3 si veda [2, Paragrafo 3.2, Capitolo 2] oppure l’Appendice

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COMPLEMENTI DI ANALISI 2 5

vettori applicati in O, un vettore PO e nello stesso piano se e ortogonale al loro prodottovettoriale. Il prodotto misto e lo scalare ottenuto u · v ×w = u · (v ×w) e coincide conil determinante della matrice

u · (v ×w) = det

u1 u2 u3v1 v2 v3w1 w2 w3

.

In particolare, il piano contenente v e w applicati in P0 sara costituito dai punti P taliche

(P − P0) · v ×w = 0, P = (x, y, z).

2. Funzioni di piu variabili

2.1. Teoremi sui limiti.

Teorema 1 (Unicita del limite). Sia f : A → R una funzione definita su ∅ = A ⊂ R2 esia (x0, y0) ∈ A′. Se

lim(x,y)→(x0,y0)

f(x, y) = ℓ1 e lim(x,y)→(x0,y0)

f(x, y) = ℓ2 ⇒ ℓ1 = ℓ2.

Teorema 2 (Teorema della permanenza del segno). Sia f : A→ R una funzione definitasu ∅ = A ⊂ R2 e sia (x0, y0) ∈ A′.

Se esiste lim(x,y)→(x0,y0) f(x, y) = ℓ > 0 allora esiste δ > 0 tale che f(x, y) > 0 ∀(x, y) ∈Bδ(x0, y0) ∩ A \ (x0, y0).

Teorema 3 (Teorema del confronto). Siano f, g, h : A → R tre funzioni definite in∅ = A ⊂ R2 e (x0, y0) ∈ A′. Se

• ∃ lim(x,y)→(x0,y0) f(x, y) = lim(x,y)→(x0,y0) h(x, y);

• ∃δ > 0 tale che f(x, y) ≤ g(x, y) ≤ h(x, y), ∀(x, y) ∈ Bδ(x0, y0) ∩ A \ (x0, y0)allora lim(x,y)→(x0,y0) g(x, y) = lim(x,y)→(x0,y0) f(x, y) = lim(x,y)→(x0,y0) h(x, y).

Il Teorema vale anche se il limite non e finito.

2.2. Teoremi sulle funzioni continue.

Teorema 4 (Teorema di Weierstrass). Sia f : A→ R una funzione continua su ∅ = A ⊂R2 insieme chiuso e limitato. Allora f assume massimo e minimo assoluti in A.

Teorema 5 (Teorema dei valori intermedi). Siano ∅ = X ⊂ Rn un insieme connesso ef : X → R una funzione continua non costante. Allora, per ogni c ∈ (infX f, supX f)esiste x ∈ X tale che f(x) = c.

3. Calcolo differenziale in piu variabili

Esempio 1. Una funzione f puo essere derivabile in un punto (x0, y0) e pertanto per-metterci di scrivere l’equazione del piano

(2) z = f(x0, y0) +∂f

∂x(x0, y0)(x− x0) +

∂f

∂y(x0, y0)(y − y0)

candidato ad essere il piano tangente in (x0, y0, f(x0, y0)), e tuttavia non essere ne con-tinua nel punto (x0, y0) ne tangente al piano nel punto (x0, y0, f(x0, y0)), nel senso che

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6 COMPLEMENTI DI ANALISI 2

il piano localmente non approssima il grafico della funzione a meno di infinitesimi di or-dine superiore a

√(x− x0)2 + (y − y0)2. Oltre all’esempio [2, Esempio 2.4, Cap.11] o [1,

Esempio 4.6, Cap. 3], si puo considerare anche

f(x, y) =

1 sex = 0 oppure y = 0

0 altrove.

In sostanza, si tratta della funzione che vale 1 sugli assi e 0 altrove. Malgrado si trattidi una funzione non continua in (0, 0), ammette le derivate parziali, entrambe nulle, nelpunto (infatti i rapporti incrementali lungo gli assi sono entrambi nulli), quindi si puoscrivere l’equazione (2), che in questo caso si riduce a z = 1. Nondimeno, questo pianonon e tangente a Grf in (0, 0, 1) perche in ogni punto che non sia sugli assi coordinati,per quanto vicino all’origine, la distanza tra il corrispondente punto del grafico (x0, y0, 0)e il piano z = 1 e 1 e quindi non si annulla al tendere del punto a (0, 0).

Esempio 2. Si puo considerare anche la funzione f(x, y) = 3√x2y di [2, Esempio 2.6,

Cap. 11] o [1, Esempio 4.10] che in (0, 0) e continua, ammette, oltre alla derivate parziali(nulle), tutte la derivate direzionali ma il piano z = 0 ottenuto da (2) non e tangente alGrf nel punto perche, in ogni punto che non sia sugli assi coordinati, per quanto vicinoall’origine, la distanza tra il corrispondente punto del grafico (h, k,

3√h2k) e il piano z = 0

non e un infinitesimo di ordine superiore a√h2 + k2, infatti se scelgo k = h trovo

|f(h, k)− 0|∣∣∣k=h

=| 3√h2k|√

h2 + k2

∣∣∣k=h

=|h|√2|h|

→ 1√2.

Si puo quindi concludere che, per funzioni di due (e piu) variabili, la derivabilita (opersino l’esistenza di tutte le derivate direzionali) non svolge il ruolo che ha per funzionidi una sola variabile reale, a cui assicura la continuita e l’esistenza della retta tangente.

Occorre quindi trovare una nozione piu potente della derivabilita (anche in tutte ledirezioni) che ci garantisca l’analogo di queste due condizioni e anche di piu.

Adattamento 2D della [1, Definizione 3.12].

Definizione 7. Sia f : A → R una funzione definita su ∅ = A ⊂ R2 e sia (x0, y0) ∈ A.Diremo che f e differenziabile in (x0, y0) se esiste un vettore a = (a1, a2) ∈ R2 tale che

lim(h,k)→(0,0)

f(x0 + h, y0 + k)− f(x0, y0)− a · (h, k)|(h, k)|

= lim(h,k)→(0,0)

f(x0 + h, y0 + k)− f(x0, y0)− a1h− a2k√h2 + k2

= 0.

Utilizzando il simbolo o, questa condizione equivale a

(3) f(x0 + h, y0 + k)− f(x0, y0) = a1h+ a2k + o(√h2 + k2), per (h, k) → (0, 0),

dove o(√h2 + k2) rappresenta un infinitesimo di ordine superiore a

√h2 + k2 per (h, k) →

(0, 0), cioe,

lim(h,k)→(0,0)

o(√h2 + k2)√h2 + k2

= 0.

In maniera del tutto equivalente, si puo scrivere

(4) lim(x,y)→(x0,y0)

f(x, y)− f(x0, y0)− a · (x− x0, y − y0)

|(x− x0, y − y0)|= 0.

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COMPLEMENTI DI ANALISI 2 7

Teorema 6 (versione 2D della Proposizione 3.2, Teorema 3.9 in [1]). Siano ∅ = A ⊂ R2

e f : A→ R una funzione differenziabile in (x0, y0) ∈ A. Allora

I. f e continua in (x0, y0);

II. f e derivabile in (x0, y0), anzi a1 =∂f

∂x(x0, y0) e a2 =

∂f

∂y(x0, y0), cioe a =

∇f(x0, y0);III. esiste il piano tangente a Grf nel punto (x0, y0, f(x0, y0)) ed e il piano di equazione

(2);IV. esistono tutte le derivate direzionali in (x0, y0) e precisamente

(5)∂f

∂v(x0, y0) = ∇f(x0, y0) · v =

∂f

∂x(x0, y0)v1 +

∂f

∂y(x0, y0)v2,

per ogni v = (v1, v2) ∈ R2, |v| = 1. L’equazione (5) e nota come formula delgradiente.

Proof. In tutta questa dimostrazione ci avvarremo del fatto che, poiche (x0, y0) e un puntointerno ad A, allora

(6) ∃δ > 0 : ∀(h, k) ∈ R2 : |(h, k)| =√h2 + k2 ≤ δ ⇒ (x0 + h, y0 + k) ∈ A.

Cio non e restrittivo perche stiamo lavorando con un limite per (h, k) → (0, 0).I.Per provare la continuita di f , consideriamo un incremento (h, k) ∈ R2 come sopra e,

da (3), deduciamo

lim(h,k)→(0,0)

f(x0 + h, y0 + k)− f(x0, y0) = lim(h,k)→(0,0)

(a1h+ a2k) + o(√h2 + k2) = 0,

che ci fornisce la continuita di f in (x0, y0).

II. Se consideriamo solo l’incremento nella direzione dell’asse x, ovvero sommiamo (h, 0)con |h| < δ, avremo (x0 + h, y0) ∈ A. Per ipotesi,

limh→0

f(x0 + h, y0)− f(x0, y0)− a1h

|h|= 0.

Questo equivale a scrivere

f(x0 + h, y0)− f(x0, y0)− a1h

|h|= o(1), per h→ 0,

ovverof(x0 + h, y0)− f(x0, y0) = a1h+ o(|h|),

da cui deduciamo che

limh→0

f(x0 + h, y0)− f(x0, y0)

h= a1.

Questo limite finito ci fornisce esattamente∂f

∂x(x0, y0): pertanto, per il Teorema 1, sap-

piamo che esiste∂f

∂x(x0, y0) = a1. Allo stesso modo si dimostra che

∂f

∂y(x0, y0) = a2.

III. Considerazioni geometriche (si veda [2, Paragrafo 2.2, Cap.11] o [1, Paragrafo 4.2,Cap.3]) ci convincono che, se il piano tangente esiste, deve avere come equazione (2).Affinche questa equazione ci dia davvero il piano tangente a Grf nel punto (x0, y0, f(x0, y0))occorre che

f(x0 + h, y0 + k) = f(x0, y0) +∇f(x0, y0) · (h, k) + o(√h2 + k2), per (h, k) → (0, 0),

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8 COMPLEMENTI DI ANALISI 2

cosa che discende direttamente da (3), dove, tenendo conto di II., abbiamo sostituitoa = ∇f(x0, y0).IV. Per mostrare l’esistenza di tutte le derivate direzionali, date dalla formula del gra-diente, basta utilizzare (3) scegliendo come incremento (h, k) = (tv1, tv2) con |t| < δ;allora

f(x0 + tv1, y0 + tv2)− f(x0, y0) = ∇f(x0, y0) · (tv1, tv2) + o(√t2v21 + t2v22), t→ 0,

da cui, osservando che√t2v21 + t2v22 = |t|

√v21 + v22 = |t|,

f(x0 + tv1, y0 + tv2)− f(x0, y0)

t= ∇f(x0, y0) · (v1, v2) +

1

to(|t|), t→ 0.

Poicheo(|t|)t

→ 0 quando t→ 0, avremo

limt→0

f(x0 + tv1, y0 + tv2)− f(x0, y0)

t= ∇f(x0, y0) · (v1, v2).

N.B. Nelle dimostrazioni su [1] mancano diversi moduli!Il Teorema 6, oltre a chiarire la portata e il significato della differenziabilita, fornisce di-

verse condizioni necessarie per la stessa. Infatti, risulta evidente che le funzioni degli Esem-pi 1 e 2 non possono essere differenziabili in (0, 0) perche, in entrambi i casi, l’equazione(2) non fornisce il piano tangente e perche la funzione dell’Esempio 2 non soddisfa laformula del gradiente, mentre quella dell’Esempio 1 addirittura non e continua e nonammette derivate direzionali diverse da quella parziali in (0, 0).

Sotto le ipotesi del Teorema 6, siamo in grado di determinare le equazioni della rettanormale al grafico di f in P0 = (x0, y0, f(x0, y0)). Abbiamo ottenuto l’equazione del

piano tangente come equazione del piano contenente i due vettori u =(0, 1,

∂f

∂y(x0, y0)

)e v =

(1, 0,

∂f

∂x(x0, y0)

), quindi calcolandone il prodotto vettoriale abbiamo un vettore

ortogonale al piano individuato da u e v, quindi

w = u× v = det

i j k

0 1∂f

∂y(x0, y0)

1 0∂f

∂x(x0, y0)

=∂f

∂x(x0, y0)i+

∂f

∂y(x0, y0)j+ (−1)k.

A questo punto dobbiamo solo scrivere le equazioni della retta passante per P0 con lastessa direzione di w, ovvero P = P0 + tw, t ∈ R, che per componenti e

x = x0 + t∂f

∂x(x0, y0)

y = y0 + t∂f

∂y(x0, y0)

z = f(x0, y0)− t

t ∈ R.

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COMPLEMENTI DI ANALISI 2 9

Eliminando il parametro, a patto che entrambe le derivate parziali non si annullino, sitrovano le equazioni cartesiane

x− x0∂f

∂x(x0, y0)

=y − y0

∂f

∂y(x0, y0)

= z0 − z,

dove z0 = f(x0, y0), mentre se, per esempio, fosse∂f

∂x(x0, y0) = 0, sarebbe

x = x0 ey − y0

∂f

∂y(x0, y0)

= z0 − z.

In generale, (si veda [2, Appendice]), dato un piano di equazione ax+ by + cz + d = 0 leequazioni della retta normale sono

x = x0 + ta

y = y0 + tb

z = z0 + tc,

t ∈ R.

Dalla formula del gradiente si deduce che (cf. [1, Corollario 3.10])

Corollario 1. Sia f : A→ R una funzione differenziabile in (x0, y0) ∈ A, dove ∅ = A ⊂R2. Allora, purche ∇f(x0, y0) = (0, 0), ∇f(x0, y0) corrisponde alla direzione di massimacrescita (ovvero massima derivata direzionale e direzione e verso di massima pendenzadel Grf nel punto) mentre −∇f(x0, y0) realizza il minimo delle derivate direzionali.

Proof. Dalla definizione di prodotto scalare tra due vettori discende che questo e mas-simo quando i vettori hanno la stessa direzione (ovvero sono paralleli) e verso concordee minimo con verso discorde. Nel caso specifico, dalla formula del gradiente (5) e dalladisuguaglianza di Cauchy-Schwarz (1), si ottiene∣∣∣∂f

∂v(x0, y0)

∣∣∣ ≤ |∇f(x0, y0)||v| = |∇f(x0, y0)|,

quindi, se trovo due direzioni v1 e v2 per cui ∂f∂v1

(x0, y0) = |∇f(x0, y0)| e ∂f∂v2

(x0, y0) =

−|∇f(x0, y0)|, queste corrispondono rispettivamente al massimo e al minimo delle derivatedirezionali nel punto. Dal momento che il gradiente non si annulla nel punto, potremo

scegliere v1 =∇f(x0, y0)|∇f(x0, y0)|

e v2 = − ∇f(x0, y0)|∇f(x0, y0)|

.

Per dimostrare che una funzione e differenziabile in un punto, possiamo verificare se lafunzione e derivabile (se non lo e, non vale la condizione necessaria II del Teorema 6!) equindi mostrare che

lim(h,k)→(0,0)

f(x0 + h, y0 + k)− f(x0, y0)− ∂f∂x(x0, y0)h− ∂f

∂y(x0, y0)k

√h2 + k2

= 0.

Questa scelta e obbligata, per esempio, se la funzione e definita con due leggi.

Piu di frequente, cercheremo di avvalerci della seguente condizione sufficiente:

Teorema 7 (Teorema del Differenziale). Se f : A ⊂ R2 → R e derivabile in A e∂f

∂x,∂f

∂ysono continue in (x0, y0) ∈ A allora f e differenziabile in (x0, y0).

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10 COMPLEMENTI DI ANALISI 2

Proof. In tutta questa dimostrazione ci avvarremo del fatto che, poiche (x0, y0) e un puntointerno ad A, allora

∃δ > 0 : ∀(h, k) ∈ R2 : |(h, k)| =√h2 + k2 ≤ δ ⇒ (x0 + h, y0 + k) ∈ A.

Cio non e restrittivo perche studieremo un limite per (h, k) → (0, 0). La tesi che dobbiamoprovare e che

f(x0+h, y0+k)−f(x0, y0)−∂f

∂x(x0, y0)h−

∂f

∂y(x0, y0)k = o(

√h2 + k2) per

√h2 + k2 → 0.

Sommiamo e sottraiamo f(x0 + h, y0) e scriviamo la quantita da studiare come segue(f(x0+h, y0+k)−f(x0+h, y0)−

∂f

∂y(x0, y0)k

)+(f(x0+h, y0)−f(x0, y0)−

∂f

∂x(x0, y0)h

).

Poiche possiamo applicare il Teorema di Lagrange alla funzione di una sola variabilef(x0 + h, ·), esistera un punto y1, dipendente sia da h che da k, tale che |y1 − y0| < k e

f(x0 + h, y0 + k)− f(x0 + h, y0) =∂f

∂y(x0 + h, y1)k.

Sappiamo anche che∂f

∂ye continua in (x0, y0), quindi, avremo

∂f

∂y(x0 + h, y1) =

∂f

∂y(x0, y0) + o(1) per

√h2 + k2 → 0,

quindi

f(x0 + h, y0 + k)− f(x0 + h, y0)−∂f

∂y(x0, y0)k = k

(∂f∂y

(x0 + h, y1)−∂f

∂y(x0, y0)

)(7)

= ko(1) per√h2 + k2 → 0.

D’altro canto, l’esistenza della derivata parziale rispetto a x assicura

f(x0 + h, y0)− f(x0, y0) =∂f

∂x(x0, y0)h+ o(h)

quindi

f(x0 + h, y0)− f(x0, y0)−∂f

∂x(x0, y0)h = o(h), per h→ 0.(8)

La dimostrazione si conclude osservando che la somma di (7) e (8) si riduce a

ko(1) + o(h) = o(√h2 + k2).

Corollario 2. Se f ∈ C1(A) e A = A ⊂ R2 allora f e differenziabile in A.

Teorema 8 (Teorema di derivazione delle funzioni composte 1). cf. [1, Teorema 3.12,Cap. 4] oppure [3]

Siano f : A ⊂ R2 → R e x, y : I ⊂ R → R, dove I e un intervallo. Supponiamo che

(1) t0 ∈ I e (x0, y0) = (x(t0), y(t0)) ∈ A;(2) x, y siano derivabili in t0;(3) f sia differenziabile in (x0, y0).

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COMPLEMENTI DI ANALISI 2 11

Allora la funzione composta F : I → R definita come F (t) = f(x(t), y(t)) e derivabile int0 con derivata

F ′(t0) = ∇f(x0, y0) · (x′(t0), y′(t0)) =∂f

∂x(x0, y0)x

′(t0) +∂f

∂y(x0, y0)y

′(t0).

Proof. Cio che dobbiamo dimostrare e che il seguente limite esiste ed e

limτ→0

F (t0 + τ)− F (t0)

τ= ∇f(x0, y0) · (x′(t0), y′(t0)).

Per le ipotesi (1) e (2), che in particolare assicura la continuita di x e y in t0, esiste δ > 0tale che se τ ∈ R con |τ | < δ, allora t0 + τ ∈ I e (x(t0 + τ), y(t0 + τ)) ∈ Bδ(x0, y0) ⊂ A.

Esplicitiamo l’espressione di cui vogliamo studiare il limite

F (t0 + τ)− F (t0)

τ=f(x(t0 + τ), y(t0 + τ))− f(x0, y0)

τ.

Questa, grazie all’ipotesi (3), con x = x(t0 + τ) e y = y(t0 + τ) in (4), si scrive come

f(x(t0 + τ), y(t0 + τ))− f(x0, y0)

τ

=∂f

∂x(x0, y0)

x(t0 + τ)− x(t0)

τ+∂f

∂y(x0, y0)

y(t0 + τ)− y(t0)

τ

+o(√

[x(t0 + τ)− x(t0)]2 + [y(t0 + τ)− y(t0)]2)

τ,

quindi, poiche per l’ipotesi (2),

limτ→0

x(t0 + τ)− x(t0)

τ= x′(t0) e lim

τ→0

y(t0 + τ)− y(t0)

τ= y′(t0),

la prova si conclude se si riesce a mostrare che

limτ→0

o(√[x(t0 + τ)− x(t0)]2 + [y(t0 + τ)− y(t0)]2)

τ= 0,

ovvero, siccome mostrare che una funzione sia infinitesima equivale a mostrare che il suomodulo lo sia, moltiplicando e dividendo per l’argomento di o, se

limτ→0

o(√[x(t0 + τ)− x(t0)]2 + [y(t0 + τ)− y(t0)]2)√[x(t0 + τ)− x(t0)]2 + [y(t0 + τ)− y(t0)]2

√[x(t0 + τ)− x(t0)]2 + [y(t0 + τ)− y(t0)]2

|τ |= 0

Poiche il primo fattore e un infinitesimo per τ → 0, studiamo il secondo. Per l’ipotesi (2)

[x(t0 + τ)− x(t0)]

τ= x′(t0) + o(1) e

[y(t0 + τ)− y(t0)]

τ= y′(t0) + o(1) τ → 0

quindi, essendo√[x(t0 + τ)− x(t0)]2 + [y(t0 + τ)− y(t0)]2

τ=

√x′(t0)2τ 2 + y′(t0)2τ 2 + o(τ 2)

τ,

avremo

limτ→0

√x′(t0)2τ 2 + y′(t0)2τ 2 + o(τ 2)

|τ |=√x′(t0)2 + y′(t0)2.

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12 COMPLEMENTI DI ANALISI 2

Quindi

limτ→0

o(√[x(t0 + τ)− x(t0)]2 + [y(t0 + τ)− y(t0)]2)

|τ |= 0 ·

√x′(t0)2 + y′(t0)2 = 0.

Teorema 9 (Teorema di derivazione delle funzioni composte 2). cf. [1, Teorema 3.12,Cap. 4] oppure [3]

Siano f : A ⊂ R2 → I e g : I ⊂ R → R, dove I e un intervallo. Supponiamo che

(1) (x0, y0) ∈ A e t0 = f(x0, y0) ∈ I;(2) g sia derivabile in t0;(3) f sia differenziabile in (x0, y0).

Allora la funzione composta h : A→ R definita come h(x, y) = g(f(x, y)) e differenziabilein (x0, y0) con gradiente

∇h(x0, y0) = g′(t0)∇f(x0, y0) = g′(f(x0, y0))∇f(x0, y0).

Quando l’annullarsi del gradiente implica che la funzione sia costante?

Definizione 8. Un insieme ∅ = C ⊂ Rn si dice un dominio se e la chiusura di uninsieme aperto e connesso.

Fissati due punti x,y ∈ Rn, il segmento che congiunge x a y e

[x,y] = (1− λ)x+ λy : λ ∈ [0, 1].

Con abuso di notazione, indicheremo con (x,y) il segmento privato degli estremi.

Definizione 9. Una poligonale P [x,y] congiungente x a y e l’unione di un numero finitodi segmenti [x,x1], [x1,x2], . . . , [xn,y].

Definizione 10. Un insieme C ⊂ Rn si dice connesso per poligonali se, comunque siprendano due punti x,y ∈ C, esiste una poligonale che li congiunge P [x,y] ⊂ C.

• Connesso per poligonali ⇒ Connesso.

Il viceversa e falso in generale (esempio, ogni circonferenza di R2 e connessa ma nonconnessa per poligonali).

Per avere l’altra implicazione si deve chiedere qualcosa di piu all’insieme:

Teorema 10. Se C ⊂ Rn e un insieme aperto, allora C e connesso se e solo se e connessoper poligonali.

Teorema 11 (Teorema del valor medio). Sia f : X → R, dove ∅ = X ⊂ R2. Se, presix1 = (x1, y1) ∈ X e x2 = (x2, y2) ∈ X, si ha:

1) il segmento [x1,x2] ⊂ X2) f e continua sul segmento chiuso [x1,x2]3) f e differenziabile sul segmento aperto (x1,x2)

allora esiste ξ = (ξ1, ξ2) ∈ (x1,x2) tale che

f(x2)− f(x1) = ∇f(ξ) · (x2 − x1) =∂f

∂x(ξ1, ξ2)(x2 − x1) +

∂f

∂x(ξ1, ξ2)(y2 − y1).

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COMPLEMENTI DI ANALISI 2 13

La dimostrazione di questo risultato e immediata, perche basta applicare il Teoremadel valor medio per funzioni di una sola variabile alla funzione F : [0, 1] → R definitacome F (t) = f(tx2 + (1 − t)x1). Si noti che F (t) = f(x(t), y(t)), dove le due funzionix, y : [0, 1] → R definite come

x(t) = tx2 + (1− t)x1 = x1 + t(x2 − x1)

y(t) = ty2 + (1− t)y1 = x1 + t(x2 − x1)t ∈ [0, 1]

sono derivabili, con (x′(t), y′(t)) = (x2 − x1, y2 − y1) = x2 − x1, e si puo quindi applicareil Teorema di derivazione delle funzioni composte.

Con i due precedenti teoremi si puo dimostrare che

Corollario 3. Se f ∈ C1(X) e ∅ = X ⊂ R2 e connesso per poligonali, il teorema delvalor medio vale per ogni coppia di punti x1,x2 ∈ X.

Teorema 12. Sia ∅ = C ⊂ R2 e un insieme aperto e connesso. Se f : C → R ha∇f ≡ (0, 0) in C, allora f e costante.

Proof. Poiche, in quanto costante, ∇f e continua in C, segue che f ∈ C1(C). Infatti,l’unico punto che potrebbe suscitare dubbi e se l’annullarsi del gradiente in tutto l’apertoassicuri che la funzione sia anche continua in C: facilmente si vede che e vero. Infatti,per ogni punto (x, y) ∈ C fissato esiste δ > 0 tale che Bδ(x0, y0) ⊂ C. Ora, se (h, k) ∈ R2

sono tali che |(h, k)| < δ, avremo per l’annullarsi del gradiente in C chef(x+ h, y + k)− f(x+ h, y) = o(k) k → 0

f(x+ h, y)− f(x, y) = o(h) h→ 0

implica che

f(x+ h, y + k)− f(x, y) = f(x+ h, y + k)− f(x+ h, y) + f(x+ h, y)− f(x, y)

= o(h) + o(k) = o(h, k) (h, k) → 0.

Stabilito che f ∈ C1(C), la differenziabilita segue dal Corollario 2 (cf. [1, Teorema3.8]). D’altro canto, osserviamo che il Teorema 10 assicura che l’insieme e connesso perpoligonali, quindi, fissati arbitrariamente x,y ∈ C, sappiamo che esiste una poligonaleP [x,y] ⊂ C. Per definizione, una poligonale e unione di un numero finito di segmenti[x,x1], [x1,x2], . . . , [xn,y], su ciascuno dei quali applichiamo il Teorema 11 del valor medio.Quindi esiste ξ1 ∈ (x,x1) tale che

f(x1)− f(x) = ∇f(ξ1) · (x1 − x) = 0 ⇒ f(x) = f(x1).

Analogamente, esiste ξ2 ∈ (x1,x2) tale che

f(x2)− f(x1) = ∇f(ξ2) · (x2 − x1) = 0 ⇒ f(x1) = f(x2) = f(x).

Dopo un numero finito di passi, troveremo ξn+1 ∈ (xn,y) tale che

f(y)− f(xn) = ∇f(ξn+1) · (y − xn) = 0 ⇒ f(y) = f(xn) = · · · = f(x).

Per l’arbitrarieta dei punti, il risultato vale su tutto l’insieme.

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14 COMPLEMENTI DI ANALISI 2

derivate successive

Teorema 13 (Teorema di Schwarz). Sia f : A = A ⊂ R2 → R tale che esistano∂2f

∂y∂x(x, y),

∂2f

∂x∂y(x, y) ∈ C(A). Allora

(9)∂2f

∂y∂x(x, y) =

∂2f

∂x∂y(x, y), ∀(x, y) ∈ A.

Di fatto, utilizzeremo quasi sempre il seguente

Corollario 4. Sia f : A = A ⊂ R2 → R una funzione f ∈ C2(A). Allora le derivateseconde miste sono uguali in A, cioe vale (9).

Per un esempio di funzione che non soddisfa le condizioni del Teorema si veda [1, Esempio5.2, Cap.3] e [3, Esempio 2, Cap. 2]

f(x, y) =

xyx2 − y2

x2 + y2(x, y) = (0, 0)

0 (x, y) = (0, 0).

Formula di Taylor al II ordine con resto di Peano

Definizione 11. Sia f : A ⊂ R2 → R, dove A = ∅, e sia x0 = (x0, y0) ∈ A un punto incui f ammette tutte le derivate parziali fino al secondo ordine. Allora si dice polinomio diTaylor al II ordine in x0 = (x0, y0) il polinomio di secondo grado in x−x0 = (x−x0, y−y0)definito come

T 2x0(x) = f(x0) +∇f(x0) · (x− x0) +

1

2(x− x0)

THf(x0)(x− x0),

dove Hf(x0) e la matrice Hessiana nel punto, ovvero la matrice

Hf(x0) =

(∂2f∂x2 (x0, y0)

∂2f∂y∂x

(x0, y0)∂2f∂x∂y

(x0, y0)∂2f∂y2

(x0, y0)

).

Si noti che tale matrice e simmetrica se le derivate seconde miste sono uguali.

Come abbiamo gia visto per l’equazione del piano ”candidato” ad essere il piano tan-gente al grafico di una funzione in un punto, una cosa e scriverne l’equazione e un’altraavere una vera approssimazione locale della funzione con quella funzione affine. Analoga-mente, se per scrivere il polinomio di Taylor al II ordine basta l’esistenza delle derivateparziali fino al II ordine, perche tale polinomio ci dia una approssimazione locale in x0

della funzione serve di piu.

Teorema 14. [1, Teorema 3.16] oppure [2, Paragrafo 3.2, Cap. 11]

Siano f : A ⊂ R2 → R, dove A = ∅, una funzione f ∈ C2(A) e x0 = (x0, y0) ∈ A.Allora esiste un unico polinomio di secondo grado in x− x0 che approssimi f localmente inx0 = (x0, y0) a meno di infinitesimi di ordine superiore a |x− x0|2; si tratta del polinomiodi Taylor di grado 2 in x0, ovvero, T

2x0(x) che soddisfa la formula di Taylor al II ordine

con resto di Peano

f(x) = T 2x0(x) + o(|x− x0|2), per x → x0,

in cui o(|x− x0|2) rappresenta un infinitesimo di ordine superiore ad |x− x0|2 per x →x0.

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COMPLEMENTI DI ANALISI 2 15

Proof. Dal momento che x0 = (x0, y0) e un punto interno ad A, possiamo trovare δ > 0tale che Bδ(x0) ⊂ A. Cio significa che per ogni direzione h = (h, k) ∈ R2 con |(h, k)| = 1,

per ogni t ∈ [−δ, δ], si ha (x0 + th, y0 + tk) ∈ Bδ(x0). E evidente che ogni x ∈ Bδ(x0)

potra essere rapprentato come x = x0+ th = (x0+ th, y0+ tk), con h = (h, k) =x− x0

|x− x0|e t ricavato di conseguenza, cioe |t| = |x− x0|.

Fissata una direzione h, automaticamente abbiamo il segmento centrato in x0, dato da[x0 − δh,x0 + δh] ⊂ A.

Consideriamo allora la funzione g : [−δ, δ] → R definita come

g(t) = f(x0 + th) = f(x(t), y(t)) dove

x(t) = x0 + th

y(t) = y0 + tk,t ∈ [−δ, δ].

Si tratta allora di scrivere la formula di Taylor con il resto di Peano al II ordine int0 = 0 (punto corrispondente a (x0, y0)) per la funzione di una variabile g(t), ovvero,

g(t) = g(0) + g′(0)t+1

2g′′(0)t2 + o(t2).

Da (x(0), y(0)) = (x0, y0) abbiamo subito g(0) = f(x0, y0). Quindi, dal Teorema diderivazione della funzione composta, notando che (x′(0), y′(0)) = (h, k), segue

g′(0) = ∇f(x0, y0) · (x′(0), y′(0)) =∂f

∂x(x0, y0)h+

∂f

∂y(x0, y0)k,

da cui, siccome th = x− x0, ricaviamo

g′(0)t =∂f

∂x(x0, y0)th+

∂f

∂y(x0, y0)tk =

∂f

∂x(x0, y0)(x− x0) +

∂f

∂y(x0, y0)(y − y0).

Applicando due volte il Teorema di derivazione delle funzioni composte insieme al Teoremadi Schwarz, siccome (x′′(0), y′′(0)) = (0, 0), abbiamo

g′′(0) =∂2f

∂x2(x0, y0)[x

′(0)]2 + 2∂2f

∂x∂y(x0, y0)x

′(0)y′(0) +∂2f

∂y2(x0, y0)[y

′(0)]2

=∂2f

∂x2(x0, y0)h

2 + 2∂2f

∂x∂y(x0, y0)hk +

∂2f

∂y2(x0, y0)k

2 = hTHf(x0)h,

cosiccheg′′(0)t2 = (th)THf(x0)(th) = (x− x0)

THf(x0)(x− x0).

Per concludere la dimostrazione, resta da raccogliere i vari contrinuti e da notare cheo(t2) = o(|x− x0|2).

Esplicitando le componenti, grazie al Teorema di Schwarz, si ha

T 2(x0,y0)

(x, y) = f(x0, y0) +∇f(x0, y0) · (x− x0, y − y0)

+1

2

[∂2f∂x2

(x0, y0)(x− x0)2 + 2

∂2f

∂x∂y(x0, y0)(x− x0)(y − y0) +

∂2f

∂y2(x0, y0)(y − y0)

2].

Osserviamo che la formula di Taylor con resto di Peano in x0 = (x0, y0) si puo scrivereanche evidenziando l’incremento, ovvero scegliendo x = x0 + h (ovviamente qui h non halo stesso significato della dimostrazione della Formula di Taylor)

f(x0 + h) = f(x0) +∇f(x0) · h+1

2hTHf(x0)h+ o(|h|2), per h → 0

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16 COMPLEMENTI DI ANALISI 2

dove o(|h|2) rappresenta un infinitesimo di ordine superiore ad |h|2 per h → 0. In questomodo la formula puo essere estesa ad ogni dimensione.

Esempio 3. Data la funzione f(x, y) = exy + (x2 − 1)y2, scrivere il polinomio di Tayloral II ordine in (x0, y0) = (0, 0), in (x1, y1) = (0, 1) e in (x2, y2) = (2, 1).

Chiaramente la funzione e f ∈ C2(R2), quindi possiamo certamente scrivere i tre poli-nomi di Taylor richiesti. Calcoliamo le derivate prime e seconde

∂f

∂x(x, y) = yexy + 2xy2

∂f

∂y(x, y) = xexy + 2(x2 − 1)y

∂2f

∂x2(x, y) = y2exy+2y2,

∂2f

∂x∂y(x, y) = (1+xy)exy+4xy,

∂2f

∂y2(x, y) = x2exy+2(x2−1)

quindi

T 2(0,0)(x, y) = 1 + xy − y2,

mentre

T 2(0,1)(x, y) = 1 + x− 2(y − 1) +

1

2[3x2 + 2x(y − 1)− 2(y − 1)2]

e

T 2(2,1)(x, y) = e2 + 3 + (e2 + 4)(x− 2) + 2(e2 + 3)(y − 1)

+1

2[(e2 + 2)(x− 2)2 + 2(3e2 + 8)(x− 2)(y − 1) + (4e2 + 6)(y − 1)2].

Esempio 4. Data la funzione f(x, y) = arccos(x − y) +√

1− x2 − y2, dopo averne de-

terminato il dominio, scrivere, se possibile, il polinomio di Taylor al II ordine in(12,1

2

).

Il dominio della funzione si trova intersecando gli insiemi ottenuti imponendo all’argomentodi arccos di essere nell’intervallo [−1, 1] e al radicando di essere nonnegativo: con questecondizioni si trova

D(f) = (x, y) : x2 + y2 ≤ 1, y − 1 ≤ x ≤ y + 1.

Poiche la funzione risulta C2(D(f)), dove

D(f) = (x, y) : x2 + y2 < 1, y − 1 < x < y + 1,

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COMPLEMENTI DI ANALISI 2 17

possiamo scrivere il polinomio di Taylor al secondo ordine in(12,1

2

)∈ D(f). Grazie al

Teorema di Schwarz, le derivate seconde miste sono uguali, quindi dobbiamo calcolare

f(12,1

2

)=

√2

2∂f

∂x(x, y) =

−1√1− (x− y)2

− x√1− x2 − y2

⇒ ∂f

∂x

(12,1

2

)= −1−

√2

∂f

∂y(x, y) =

1√1− (x− y)2

− y√1− x2 − y2

⇒ ∂f

∂y

(12,1

2

)= 1−

√2

∂2f

∂x2(x, y) =

−x+ y

(1− (x− y)2)3/2− 1√

1− x2 − y2− x2

(1− x2 − y2)3/2⇒ ∂2f

∂x2

(12,1

2

)= −

√2

2

∂2f

∂x∂y(x, y) =

x− y

(1− (x− y)2)3/2− xy√

1− x2 − y2⇒ ∂2f

∂x∂y

(12,1

2

)= −

√2

4

∂2f

∂y2(x, y) =

x− y

(1− (x− y)2)3/2− 1√

1− x2 − y2− y2

(1− x2 − y2)3/2⇒ ∂2f

∂y2

(12,1

2

)= −

√2

2.

A questo punto possiamo scrivere

T 2( 12, 12)(x, y) =

√2

2− (1 +

√2)(x− 1

2

)+ (1−

√2)(y − 1

2

)−

√2

4

[(x− 1

2

)2+(x− 1

2

)(y − 1

2

)+(y − 1

2

)2].

Ottimizzazione di funzioni di due variabili

Teorema 15 (Teorema di Fermat). Siano f : A ⊂ R2 → R, dove A = ∅, e (x0, y0) ∈ A

punto di massimo/minimo locale dove f sia derivabile. Allora ∇f(x0, y0) = 0.

Per la dimostrazione si vedano [2, Teorema 4.2, Cap.11] oppure [1, Teorema 3.17, Cap.3].

Teorema 16 (Test della matrice Hessiana). [1, Proposizione 3.3]

Sia f : A ⊂ R2 → R una funzione f ∈ C2(A) e sia (x0, y0) ∈ A un punto critico di f .

(1) Se detHf(x0, y0) > 0 e∂2f

∂x2(x0, y0) < 0, allora (x0, y0) e punto di massimo locale

stretto;

(2) Se detHf(x0, y0) > 0 e∂2f

∂x2(x0, y0) > 0, allora (x0, y0) e punto di minimo locale

stretto;(3) Se detHf(x0, y0) < 0 allora (x0, y0) e di sella;(4) Se detHf(x0, y0) = 0, il test non e conclusivo.

Proof. Poiche il punto e critico, la formula di Taylor al II ordine con resto di Peano siriduce a

f(x, y) = f(x0, y0) +1

2Q(x0,y0)(x− x0, y − y0) + o((x− x0)

2 + (y − y0)2),

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18 COMPLEMENTI DI ANALISI 2

dove Q(x0,y0)(x− x0, y − y0) sta per la forma quadratica

Q(x0,y0)(x−x0, y−y0) =∂2f

∂x2(x0, y0)(x−x0)2+2

∂2f

∂x∂y(x0, y0)(x−x0)(y−y0)+

∂2f

∂y2(x0, y0)(y−y0)2.

Pertanto il segno di Q(x0,y0) determinera la natura del punto critico, perche l’infinitesimoo((x− x0)

2 + (y − y0)2) non e in grado di modificare tale segno. Indicati gli incrementi

come (h, k) = (= x− x0, y − y0), la formula si scrive in maniera equivalente come

f(x0 + h, y0 + k) = f(x0, y0) +1

2Q(x0,y0)(h, k) + o(h2 + k2),

dove, per semplicita, poniamo

a =∂2f

∂x2(x0, y0), b =

∂2f

∂x∂y(x0, y0), c =

∂2f

∂y2(x0, y0,

possiamo scrivere Q(x0,y0)(h, k) = ah2 + 2bhk + ck2 e detHf(x0, y0) = ac− b2.

Se k = 0, la funzione Q(x0,y0)(h, k) = ah2 ha il segno di a.

Se k = 0, dividendo per k2 e ponendo t =h

k, resta

Q(x0,y0)(h, k) = ah2 + 2bhk + ck2 = k2[a(hk

)2+ 2b

(hk

)+ c]= k2(at2 + 2bt+ c).

L’equazione

at2 + 2bt+ c = 0 ha∆

4= b2 − ac = −detHf(x0, y0),

pertanto:

• se detHf(x0, y0) > 0, allora ac > b2: questo indica che a e c sono concordi. Inoltreassicura che ∆/4 < 0, quindi l’espressione at2 + 2bt + c avra sempre lo stesso segno, checoincide (si prenda t = 0) con quello di c e quindi di a, (anche se k = 0), quindi sonoprovati (1) e (2);

• se detHf(x0, y0) < 0, il segno di Q(x0,y0) varia.

Se a = 0 e k = 0, avremo Q(x0,y0)(x0+h, 0) = 0, altrimenti Q(x0,y0)(h, k) = k2(2bh

k+c). In

questo secondo caso, seh

k> − c

2bavremo Q(x0,y0)(h, k) > 0, altrimenti Q(x0,y0)(h, k) ≤ 0.

Se a = 0, Q(x0,y0)(h, k) cambia segno in

t1 =−b−

√− detHf(x0, y0)

at2 =

−b+√

− detHf(x0, y0)

a.

Se per esempio a > 0 (la conseguenza e che t1 < t2) e h/k < t1 oppure h/k > t2, avremoQ(x0,y0)(h, k) > 0, mentre se t1 < h/k < t2 sara Q(x0,y0)(h, k) > 0. Se fosse a < 0 (inquesto caso t2 < t1), basterebbe invertire i segni. In entrambi i casi il punto e di sella,provando (3).

Per mostrare che (4) non e conclusivo, basta pensare al punto (0, 0), critico e condeterminante Hessiano nullo per le tre funzioni f(x, y) = x3 − y3 e f(x, y) = ±(x4 + y4):nel primo caso e una sella, mentre nel secondo con il segno positivo punto di minimoassoluto e con il segno negativo punto di massimo assoluto.

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COMPLEMENTI DI ANALISI 2 19

Curve

Definizione 12. Data una curva piana regolare in forma parametrica γ

x = x(t)

y = y(t)t ∈

[a, b], preso t0 ∈ (a, b), il versore normale alla curva γ in P0 = (x(t0), y(t0)) si ottieneruotando il versore tangente t(t0) di π/2 in senso antiorario, quindi

n(t0) =( y′(t0)√

[x′(t0)]2 + [y′(t0)]2,

−x′(t0)√[x′(t0)]2 + [y′(t0)]2

).

Teorema 17 (Ascissa curvilinea). rappresentazione standard di una curva regolare

Integrali Multipli

Definizione 13. Un dominio D ⊂ R2 e regolare se e unione di un numero finito didomini x− e/o y−semplici, a due a due privi di punti interni in comune, cioe,

D = ∪ni=1Di, Di dominiox− /y − semplice, Do

i ∩Doj = ∅, ∀i, j = 1, . . . , n, i = j.

La definizione si estende naturalmente ai domini in R3.

Campi vettoriali

Definizione 14. Un insieme C ⊂ Rn si dice semplicemente connesso se e connessoe ogni curva chiusa semplice γ ⊂ C si puo deformare con continuita fino a ridurla ad unpunto senza mai uscire dall’insieme.

In parole povere, un insieme di R2 e semplicemente connesso se e costituito da un solopezzo e non ha buchi. Questo non vale in R3.

I seguenti risultati sono una sintesi del [1, Paragrafo 1.4]

Campi vettoriali: integrali di linea di seconda specie

Definizione 15. Un campo vettoriale e una funzione F = (F1, · · · , FM) : Ω ⊂ RN → RM ;F e continuo in Ω quando lo e ciascuna delle sue componenti Fi : Ω → R, i = 1, · · · ,M ;

F e derivabile in Ω quando lo e ciascuna delle sue componenti Fi : Ω → R, i = 1, · · · ,M ;

infine, F ∈ C1(Ω) quando Fi ∈ C1(Ω), ∀i = 1, · · · ,M .

Definizione 16. Siano Ω ⊂ RN un insieme aperto e connesso, F ∈ C(Ω) un campovettoriale e γ ⊂ Ω (con cio si intende che il sostegno della curva sia contenuto in Ω) unacurva regolare, orientata, parametrizzata da r : [a, b] → γ. Allora l’integrale di linea di Flungo γ (detto integrale di linea di seconda specie) e∫

γ

F · ds =∫ b

a

F(r(t)) · r′(t)dt.

Se F rappresenta un campo di forze, questo integrale corrisponde al lavoro del campolungo la curva. Si noti che, a differenza degli integrali di linea di prima specie, questicambiano di segno al variare dell’orientazione, ovvero,∫

γ−F · ds = −

∫γ

F · ds.

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20 COMPLEMENTI DI ANALISI 2

Osservazione. Sono integrali di linea di seconda specie anche quelli del tipo∫γf(x, y)dx

oppure∫γg(x, y)dy, dove la curva γ sia parametrizzata da r : [a, b] → R2, ovvero r(t) =

x(t)i + y(t)j, per t ∈ [a, b]. Nel primo caso, si consideri il campo vettoriale F(x, y) =(f(x, y), 0) e nel secondo F(x, y) = (0, g(x, y)), ottenendo, nel primo esempio∫

γ

f(x, y)dx =

∫ b

a

f(x(t), y(t))x′(t)dt.

Per il calcolo esplicito di integrali di linea di seconda specie, si vedano gli esercizi.

Applicazione degli integrali di linea di seconda specie: Teorema di GaussGreen

Si vedano [1, Paragrafo 2, Cap. 6] e, in particolare, Lemma 6.6 con dimostrazione,Teorema 6.7 e le formule per il calcolo delle aree. In alternativa, [2, Paragrafo 1.3, Cap.13] e, in particolare, Lemma 1.6 con dimostrazione, Teorema 1.7 e formule per il calcolodelle aree.

Attenzione: nel Teorema di Gauss-Green (Lemma 6.6 di [1] e Lemma 1.6 di[2]), le funzioni φ1, φ2, ψ1, ψ2 devono essere come minimo C1 a tratti (non bastala continuita).

Inoltre, si deve osservare che l’integrale di linea su ∂D e ben definito perche, se ∅ = D ⊂ R2

e x− o y−semplice, a patto che le funzioni che lo definiscono siano almeno C1 a tratti, ilbordo ∂D e sostegno di una curva piana semplice, chiusa e regolare a tratti. Chiaramente,il risultato si estende ai domini regolari.

Campi conservativi

Sulla scorta di molti esempi tratti dalla fisica, ci interesseremo soprattutto dei campiconservativi, al piu in dimensione 3.

Definizione 17. Un campo vettoriale F = (u, v, w) : Ω ⊂ R3 → R3 e conservativo seF ∈ C1(Ω) ed esiste una funzione U : Ω → R, U ∈ C2(Ω), detta potenziale, tale che∇U = (u, v, w) in Ω.

In particolare, in due dimensioni, U deve soddisfare ∂xU = u e ∂yU = v in Ω.

Teorema 18. Dato un campo conservativo F ∈ C1(Ω), con Ω ⊂ RN (N = 2, 3) apertoconnesso, i potenziali di F sono infiniti e tutti dello stesso tipo, ovvero, i potenziali di Fsono tutte e sole le funzioni U ottenute dalla somma di un potenziale arbitrario U0 conuna costante reale.

Proof. Mostriamo prima l’unicita del potenziale a meno di una costante additiva reale.J Siano U1 e U2 due potenziali distinti di F (per definizione, ∇U1 = ∇U2 = F in Ω).

Segue che la funzione differenza U1−U2 ∈ C2(Ω) ha ∇(U1−U2) = 0 su Ω aperto connesso,quindi, per un noto Teorema di Analisi B, deve essere U1 − U2 = c, per qualche c ∈ R.

J Viceversa, proviamo che, fissato ad arbitrio un potenziale U0, anche U = U0 + c epotenziale di F, qualunque sia c ∈ R. Infatti, sapendo che ∇U0 = F in Ω, ricaviamosubito che ∇U = ∇U0 = F in Ω e, da U0 ∈ C2(Ω), che U ∈ C2(Ω).

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COMPLEMENTI DI ANALISI 2 21

Negli esercizi in cui, dopo avere mostrato che un campo F e conservativo su un apertoconnesso, si richiede di trovare IL potenziale U tale che U(x0, y0) = r ∈ R, si deve primatrovare un arbitrario potenziale U0, quindi, posto U = U0 + c, determinare c ∈ R tale cheU(x0, y0) = U0(x0, y0) + c = r.

Lavoro di un campo conservativo in un aperto connesso

Vale la seguente condizione necessaria affinche un campo sia conservativo:

Teorema 19. Sia Ω ⊂ RN (N = 2, 3) un insieme aperto e connesso e sia γ ⊂ Ω unacurva regolare a tratti orientata. Allora se F e un campo conservativo in Ω, il lavorolungo γ dipende solo dagli estremi della curva, nel senso che, se U e un potenziale di F,e A e B sono, rispettivamente, il primo e il secondo estremo di γ, allora

(10)

∫γ

F · ds = U(B)− U(A).

Proof. Senza perdita di generalita, supponiamo che la curva sia regolare (altrimenti siragiona analogamente su ciascun tratto regolare), parametrizzata da r : [a, b] → RN .Allora, per definizione di integrale di linea di seconda specie e di potenziale, applicandoil Teorema fondamentale del calcolo integrale,∫

γ

F · ds =∫ b

a

F(r(t)) · r′(t)dt =∫ b

a

∇U(r(t)) · r′(t)dt =∫ b

a

d

dtU(r(t))dt

= U(r(b))− U(r(a)) = U(B)− U(A).

Se si e dimostrato che un campo e conservativo e ci viene richiesto di calcolarne il

lavoro lungo una curva il cui sostegno e contenuto nell’insieme ove il campo e conservativo,risolvere l’esercizio utilizzando la definizione di lavoro significa non avere capito cosa vogliadire campo conservativo. Occorre invece determinare un potenziale del campo e calcolareil lavoro come differenza di potenziale, grazie al precedente Teorema. Nel caso particolaredi una curva chiusa regolare a tratti il lavoro sara nullo. Infatti, dal Teorema 19, segueimmediatamente

Corollario 5. Sia Ω ⊂ RN (N = 2, 3) un insieme aperto e connesso e sia F un campoconservativo in Ω; allora:

1) se γ1 e γ2 sono curve orientate, regolari a tratti aventi gli stessi estremi, i cuisostegni γ1, γ2 ⊂ Ω, si ha ∫

γ1

F · ds =∫γ2

F · ds;

2) se γ ⊂ Ω una curva chiusa regolare a tratti orientata, il lavoro di F lungo γ enullo, ∮

γ

F · ds = 0.

In realta, vale la seguente condizione necessaria e sufficiente.

Teorema 20. Sia Ω ⊂ RN (N = 2, 3) un insieme aperto e connesso e sia F ∈ C1(Ω).Allora i tre enunciati seguenti sono equivalenti:

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22 COMPLEMENTI DI ANALISI 2

• se γ1 e γ2 sono curve orientate, regolari a tratti aventi gli stessi estremi, i cuisostegni γ1, γ2 ⊂ Ω, si ha ∫

γ1

F · ds =∫γ2

F · ds;

• se γ ⊂ Ω una curva chiusa regolare a tratti orientata, il lavoro di F lungo γ enullo, ∮

γ

F · ds = 0.

• F e conservativo in Ω.

Campi irrotazionali

Definizione 18. Un campo vettoriale derivabile F = (u, v, w) : Ω ⊂ R3 → R3 e dettoirrotazionale se rotF = (0, 0, 0) in Ω, dove il rotore e formalmente il determinante diuna matrice: piu precisamente,

rotF = det

i j k∂x ∂y ∂zu v w

= (∂yw − ∂zv)i+ (∂zu− ∂xw)j+ (∂xv − ∂yu)k.

La definizione si estende al caso bidimensionale Ω ⊂ R2, semplicemente riguardandoF(x, y) = (u(x, y), v(x, y)) come F(x, y) = (u(x, y), v(x, y), 0) (ovvero, si aggiunge w ≡ 0);osservando che ∂zu = ∂zv = ∂zw = 0, si trova rotF = (∂xv − ∂yu)k.

Pertanto, in due dimensioni, F = (u, v) e irrotazionale se e solo se ∂xv = ∂yu sull’insiemedove il campo e definito.

Teorema 21. Ogni campo vettoriale conservativo F ∈ C1(Ω) e irrotazionale.

Proof. Per definizione di campo conservativo, esiste U ∈ C2(Ω) tale che F = ∇U in Ω,ovvero, in 3 dimensioni, se F = (u, v, w),

(11) u = ∂xU, v = ∂yU, w = ∂zU ;

per il Teorema di Schwarz, le derivate seconde miste di U sono uguali, quindi, tenendoconto di (11),

rotF = (∂yw − ∂zv)i+ (∂zu− ∂xw)j+ (∂xv − ∂yu)k

= (∂y∂zU − ∂z∂yU)i+ (∂z∂xU − ∂x∂zU)j+ (∂x∂yU − ∂y∂xU)k = (0, 0, 0).

IN GENERALE, la precedente condizione e solo necessaria e non sufficiente!!!Pertanto, scrivere in un elaborato che un campo e conservativo perche irro-

tazionale e un errore grave.

Esempio: La 2) del Corollario 5 viene utilizzata per mostrare che un campo, puressendo irrotazionale, puo non essere conservativo: per esempio, si consideri

F(x, y) =(− y

x2 + y2,

x

x2 + y2

)= (u(x, y), v(x, y))

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COMPLEMENTI DI ANALISI 2 23

definito sull’aperto connesso Ω = R2 \ (0, 0) e irrotazionale, in quanto

∂u

∂y(x, y) =

∂v

∂x(x, y) =

y2 − x2

(x2 + y2)2, ∀(x, y) ∈ Ω.

Si consideri la curva γ ⊂ Ω chiusa regolare parametrizzata come segue r : [0, 2π] → Ω

γ

x(t) = cos t

y(t) = sin t,t ∈ [0, 2π] ⇒

x′(t) = − sin t

y′(t) = cos t,⇒ r′(t) = (− sin t, cos t).

Evidentemente il sostegno della curva e la circonferenza di raggio 1 e centro l’originepercorsa in senso antiorario a partire da (1, 0): ogni altra curva regolare che circondil’origine andra altrettanto bene. Siccome F(r(t)) = (− sin t, cos t), si avra F(r(t)) · r′(t) =1, da cui ∮

γ

F · ds =∫ 2π

0

dt = 2π = 0.

L’esempio dimostra che un campo puo essere irrotazionale MA NON CONSER-VATIVO.

Teorema 22. Ogni campo irrotazionale F ∈ C1(Ω) su Ω aperto semplicemente connessoe conservativo.

Questo risultato, che non dimostriamo, si usa negli esercizi per giustificare il fatto cheun campo sia conservativo.

Calcolo di un potenziale

Supponiamo di avere dimostrato che F = (u, v) ∈ C1(Ω) sia un campo conservativo suΩ ⊂ R2 aperto e semplicemente connesso. Vediamo come possiamo calcolare formalmenteun potenziale e da questo ottenere tutti i potenziale o un potenziale che, in un puntoassegnato di Ω, assuma un valore fissato. Per definizione di potenziale, si cerca unafunzione U : Ω → R, con U ∈ C2(Ω) tale che

∂xU(x, y) = u(x, y) e ∂yU(x, y) = v(x, y) in Ω.

Ricaviamo una espressione parziale di U integrando u rispetto ad x o v rispetto a y: lascelta cade ovviamente sull’integrale piu semplice. Nel primo caso si ottiene

U(x, y) =

∫u(x, y)dx = A(x, y) + c(y)

e, nel secondo,

U(x, y) =

∫v(x, y)dy = B(x, y) + c(x),

dove c(·) e una funzione da determinare: in altre parole, con questa integrazione si pervienead un potenziale a meno di una funzione di y o di x, rispettivamente. Imponiamo ora cheU soddisfi la seconda condizione: nel primo caso,

∂yU(x, y) = v(x, y) ovvero che ∂yA(x, y) + c′(y) = v(x, y),

e, nel secondo caso

∂xU(x, y) = u(x, y) ovvero che ∂yB(x, y) + c′(x) = u(x, y),

da cui si ottiene l’espressione di c′. L’integrazione finale di c′ rispetto alla variabile dacui dipende (nel primo caso, y e nel secondo x) permette di ottenere c a meno di una

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24 COMPLEMENTI DI ANALISI 2

costante additiva. Tale costante si fissa imponendo che il potenziale che assuma, in unpunto assegnato, un certo valore.

Si noti che, una volta trovata una funzione U = U(x, y) si puo verificare se questae davvero un potenziale del campo F = (u, v) assegnato, semplicemente controllando che∇U = (u, v).

Esempio: Dato il campo F(x, y) =(exy(xy + 2y − 1)− y

(x+ 2)2,xexy + 1

x+ 2

), stabiliamo se e

dove e irrotazionale, se e dove e conservativo e, qualora lo sia, determiniamo il potenzialeU(x, y) tale che U(−3, 1) = 4.

Guardando alle componenti

u(x, y) =exy(xy + 2y − 1)− y

(x+ 2)2e v(x, y) =

xexy + 1

x+ 2,

vediamo subito che il campo e definito nel piano privato della retta x = −2, ovvero suΩ = (x, y) : x = −2 (insieme non connesso perche costituito da due pezzi). Inoltre,essendo u, v funzioni razionali fratte composte con un esponenziale etc, F ∈ C∞(Ω). Ilprimo passo per stabilire se F e conservativo e verificare la necessaria irrotazionalita:

∂yu(x, u) = ∂xv(x, y) =exy(x2y + 2xy + 2)− 1

(x+ 2)2∀(x, y) ∈ Ω.

Concludiamo che F e irrotazionale in Ω, dove pero non possiamo applicare la condizionesufficiente data dal Teorema 22 perche l’insieme non e semplicemente connesso. I piugrandi insiemi aperti e semplicemente connessi contenuti in Ω sono i semipiani

Ω+ = (x, y) : x > 2 e Ω− = (x, y) : x < 2.

In ciascuno di questi insiemi F e conservativo per il Teorema 22: siccome (−3, 1) ∈ Ω−,a noi interessa il secondo insieme. Costruiamo il potenziale cercato su Ω−: chiaramentel’integrazione piu semplice e quella di v in y, quindi

U(x, y) =

∫v(x, y)dy =

∫xexy + 1

x+ 2dy =

exy + y

x+ 2+ c(x) = B(x, y) + c(x);

imponiamo la rimanente condizione ∂xU(x, y) = u(x, y), quindi

exy(xy + 2y − 1)− y

(x+ 2)2= ∂xB(x, y)+c′(x) =

exy(xy + 2y − 1)− y

(x+ 2)2+c′(x) ⇒ c′ ≡ 0 ⇒ c(x) ≡ c,

pertanto U(x, y) =exy + y

x+ 2+ c.

Fissiamo la costante c con la condizione U(−3, 1) = 4

4 = U(−3, 1) = −e−3 − 1 + c⇒ c = 5 + e−3 ⇒ U(x, y) =exy + y

x+ 2+ 5 + e−3.

VERIFICA:

∂xU(x, y) = ∂x

(exy + y

x+ 2+ 5 + e−3

)=exy(xy + 2y − 1)− y

(x+ 2)2= u(x, y)

∂yU(x, y) = ∂y

(exy + y

x+ 2+ 5 + e−3

)=xexy + 1

x+ 2= v(x, y).

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COMPLEMENTI DI ANALISI 2 25

Appendice

Definizione 19. Dato un insieme V e due operazioni + : V × V → V e · : R× V → V ,diciamo che la terna (V,+, ·) e uno spazio vettoriale se:

• proprieta associativa della somma

(u+ v) +w = u+ (v +w), ∀u,v,w ∈ V ;

• esistenza dell’elemento neutro della somma

∃0 ∈ V tale che 0+ u = u+ 0 = u, ∀u ∈ V ;

• esistenza dell’opposto

∀u ∈ V ∃u ∈ V tale che u+ u = u+ u = 0;

• proprieta commutativa della somma

u+ v = v + u, ∀u,v ∈ V ;

• proprieta distributive di · rispetto alla somma

(λ+ µ)u = λu+ µu e λ(u+ v) = λu+ λv, ∀λ, µ ∈ R, ∀u,v ∈ V ;

• proprieta associativa mista

(λµ)u = λ(µu), ∀λ, µ ∈ R, ∀u ∈ V ;

• esistenza dell’elemento neutro del prodotto per uno scalare

∃1 ∈ R tale che 1 · u = 0, ∀u ∈ V.

Determinante di una matrice

Indichiamo con Mn l’insieme delle matrici A = (aij) con n righe e n colonne, dovegli elementi della matrice ai,j sono individuati dall’indice di riga i e da quello di colonnaj. Ad ogni matrice quadrata A = (aij) ∈ Mn viene associato un numero reale detAdetto determinante di A di cui non daremo la definizione rigorosa, ma ci limiteremo adassumere come definizione la tesi del principale teorema sui determinanti, il Teorema diLaplace.Per prima cosa, introduciamo la nozione di determinante per matrici di M1 e M2.Se A ∈ M1, allora A = (a) e si pone detA = a.Se A ∈ M2, allora

A =

(a bc d

),

e si definisce detA = ad− bc.Il determinante di una matrice 3 × 3 puo essere calcolato con la regola di Sarrus. Peresempio consideriamo la matrice

A =

0 2 3−1 5 11 4 7

.

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26 COMPLEMENTI DI ANALISI 2

Scriviamo la matrice con 3 righe e 5 colonne, ottenuta da A lasciando invariate le prime 3colonne e accostando a destra 2 colonne uguali rispettivamente alla prima e alla seconda,cioe

0 2 3 0 2

−1 5 1 −1 5

1 4 7 1 4

.

A questo punto si sommano i tre prodotti contraddistinti dalle frecce e si sottraggonoi tre prodotti rappresentati da . Pertanto

detA =(0 · 5 · 7 + 2 · 1 · 1 + 3 · (−1) · 4

)−(3 · 5 · 1 + 0 · 1 · 4 + 2 · (−1) · 7

)= −11.

Per definire il determinante per matrici di ordine superiore, serve la nozione di comple-mento algebrico.

Definizione 20. Data una matrice A = (aij) ∈ Mn, fissati i, j ∈ 1, . . . , n, si chiamacomplemento algebrico Aij il prodotto

(12) Aij = (−1)i+j detSij,

dove Sij e la matrice ottenuta da A sopprimendo la i-esima riga e la j-esima colonna.

Remark 3.1. Se A ∈ M3, tutte le matrici Sij ∈ M2, pertanto sappiamo calcolare detSij

e di conseguenza detA. Se A ∈ M4, tutte le matrici Sij ∈ M3, pertanto sappiamo calcolaredetSij, etc...

Definizione 21. Data una matrice A = (aij) ∈ Mn, si dice determinante di A lasomma

(13) detA =n∑

j=1

akjAkj =n∑

i=1

ailAil,

per ogni k, l ∈ 1, . . . , n. Nel primo caso, si dice che il determinante e stato sviluppatorispetto alla k-esima riga, nel secondo rispetto alla l-esima colonna. Le due scelte sonodel tutto equivalenti.

In pratica, si trattera di sviluppare il determinante rispetto alla riga (colonna) checomporti il minor numero di calcoli: possibilmente, si sceglie la riga (colonna) che contienepiu elementi nulli.

References

[1] M. Bramanti, C.D. Pagani, S. Salsa Analisi Matematica 2 Zanichelli, Bologna, .[2] M. Bramanti, C.D. Pagani, S. Salsa Matematica. Calcolo infinitesimale e algebra lineare Zanichelli,

Bologna, .[3] N. Fusco, P. Marcellini, C. Sbordone Elementi di Analisi Matematica 2 Liguori, Napoli, .[4] C.D. Pagani, S. Salsa Analisi Matematica, Volume 1 Masson, Bologna, .