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Appunti di Complementi di Matematica Jacobo Pejsachowicz (a cura di Nathan Quadrio) 1

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Appunti di Complementi di MatematicaJacobo Pejsachowicz

(a cura di Nathan Quadrio)

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Indice1 Cenni della teoria degli insiemi 4

1.1 Classi ed insiemi . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 41.2 Operazioni fra gli insiemi . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 51.3 Unioni ed intersezioni di famiglie di insiemi . . . . . . . . . . . . 8

2 La retta reale R 82.1 Campi ordinati . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 82.2 Estremo superiore ed inferiore . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 92.3 Completezza della retta reale . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 112.4 Numeri naturali e principio di induzione . . . . . . . . . . . . . . 112.5 Proprietà topologiche della retta reale. . . . . . . . . . . . . . . . 14

3 Cardinalità di un insieme 193.1 Assioma della scelta . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 193.2 Teoremi di Bernstein-Schroeder e Cantor-Bernstein . . . . . . . . 203.3 Insiemi numerabili . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 233.4 La potenza del continuo . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 253.5 Numeri ordinali e cardinali . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 28

4 Spazi metrici e spazi topologici 304.1 Spazi metrici . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 304.2 Spazi normati . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 334.3 Proprietà fondamentali degli aperti di uno spazio metrico . . . 354.4 Spazi topologici . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 374.5 Topologia relativa . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 394.6 Chiusi, chiusura, interno e bordo . . . . . . . . . . . . . . . . . . 39

5 Topologia degli spazi metrici 425.1 Chiusura e punti d’aderenza di un insieme . . . . . . . . . . . . . 425.2 Mappe continue tra spazi topologici e tra spazi metrici . . . . . . 455.3 Continuità delle trasformazioni lineari, norme equivalenti . . . . 495.4 Distanza d’un punto da un insieme . . . . . . . . . . . . . . . . . 515.5 La miglior approssimazione polinomiale . . . . . . . . . . . . . . 525.6 Lemma di Urysohn per gli spazi metrici . . . . . . . . . . . . . . 525.7 Proprietà di separazione negli spazi metrici . . . . . . . . . . . . 54

6 Teorema della contrazione e le sue applicazioni 556.1 Spazi metrici completi . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 556.2 Completezza di Rn e di C[a, b]. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 566.3 Teorema della contrazione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 596.4 Teorema dell’esistenza e unicità della soluzioni . . . . . . . . . . 606.5 Teorema della funzione inversa . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 656.6 Teorema della funzione implicita . . . . . . . . . . . . . . . . . . 676.7 Metodo dei moltiplicatori di Lagrange . . . . . . . . . . . . . . . 69

7 Complementi di Topologia 717.1 Base di una topologia . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 717.2 Topologia iniziale, topologia prodotto . . . . . . . . . . . . . . . 727.3 Topologia finale, topologia quoziente . . . . . . . . . . . . . . . . 74

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8 Compattezza 768.1 Spazi topologici compatti . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 768.2 Proprietà di separazione degli spazi compatti . . . . . . . . . . . 768.3 Caratterizzazione degli sottoinsiemi compatti di R . . . . . . . . 778.4 Immagine continua di un compatto . . . . . . . . . . . . . . . . 788.5 Prodotto di spazi topologici compatti . . . . . . . . . . . . . . . . 798.6 Caratterizzazione dei compatti di Rn . . . . . . . . . . . . . . . . 808.7 Teorema di Bolzano-Weierstrass generalizzato . . . . . . . . . . . 83

9 Spazi topologici connessi e connessi per archi 859.1 Spazi connessi e sconnessi . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 859.2 Componenti connesse . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 889.3 Spazi connessi per archi . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 909.4 Teoremi di Brouwer e di Jordan . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 919.5 Invarianti topologici . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 91

10 Spazi metrici compatti 9210.1 Compattezza per successioni . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 9210.2 De insigne paradoxo... . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 9610.3 Caratterizzazione degli spazi metrici compatti . . . . . . . . . . . 98

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1 Cenni della teoria degli insiemi

1.1 Classi ed insiemiIl concetto di classe è una nozione primitiva che non definiamo. Informalmenteil significato di classe è quello di una collezione di oggetti o elementi. La no-tazione x ∈ A (si legge x appartiene ad A) significa che x è un elemento dellaclasse A. Due classi A e B sono uguali se hanno gli stessi elementi, ossia

A = B se x ∈ A ⇐⇒ x ∈ B.

Un classe può essere definita enumerando i suoi elementi, ma anche descriven-doli per mezzo di una proposizione. Una proposizione è una frase P (x) dellinguaggio che riferita ad elementi di una classe possa essere vera oppure falsa.Una proposizione P individua automaticamente la classe degli elementi che laverificano

A = {x | P (x) è vera } .

Per il principio del terzo escluso, data una classe A, un elemento o appartienead A o non vi appartiene. Se la classe è definita attraverso una proposizioneper ogni elemento possiamo verificare se un elemento appartiene ad A o non viappartiene controllando se la proposizione P (x) riferita a questo elemento siavera o falsa.La teoria elementare (o ingenua) degli insiemi, dovuta a Cantor, identifica-va quello che qui chiamiamo classe con il concetto di insieme. I matema-tici dell’epoca si sono accorti che una tale teoria sarebbe stata non priva dicontraddizioni.Un tipico esempio dei problemi ai quali si andava incontro è il famoso paradossochiamato antinomia di Russell:Sia A la classe di tutti gli elementi che non appartengono a se stessi, ossia,A = {x | x /∈ x } . Se fosse A ∈ A allora, per definizione di A, A non dovrebbeappartenere ad A; se invece fosse A /∈ A allora A ∈ A.Per evitare questa ed altre contraddizioni, nelle nostre costruzioni useremosoltanto classi particolari chiamate insiemi.

Definizione 1.1. Una classe A è un insieme se esiste una classe B tale cheA ∈ B.

Per assioma, se P è una proposizione diamo alla formulaA = {x | P (x) è vera }il significato seguente:

A è la classe degli x tali che x è un insieme e P (x) è vera.

Questo permette di ricondurre il paradosso di Russell al teorema:

La classe A = {x | x /∈ x } non è un insieme.

Maggiori dettagli sulla teoria assiomatica degli insiemi si possono trovare nel-l’appendice del libro di J.L.Kelley, Topologia Generale.

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1.2 Operazioni fra gli insiemiDefinizione 1.2. Diremo che un insieme A è contenuto nell’insieme B seogni elemento di A appartiene a B. Quindi:

A ⊂ B se ∀x ∈ A⇒ x ∈ B.

In questo caso diremo anche che A è un sottoinsieme dell’insieme B o che èuna parte di B.La proposizione seguente è una conseguenza immediata della definizione disottoinsieme.

Proposizione 1.1. A = B ⇐⇒ A ⊂ B e B ⊂ A.

Definizione 1.3. Dati due insiemi A e B, le seguenti operazioni si diconorispettivamente unione, intersezione ed insieme complementare,

A ∪B = {x | x ∈ A o x ∈ B } ,

A ∩B = {x | x ∈ A e x ∈ B } ,

Ac = {x | x /∈ A } .

Definizione 1.4. ∅ = {x | x 6= x } .

Esercizio 1.2. Dimostrare le seguenti proprietà delle operazioni definite sopra

• A ⊂ A ∪B, A ∩B ⊂ B;

• A ∪B = B ∪A, idem con ∩;

• (A ∪B) ∪ C = A ∪ (B ∪ C), idem con ∩;

• (A ∪B) ∩ C = (A ∩B) ∪ (A ∩ C);

• (Ac)c = A;

• (A ∪B)c = Ac ∩Bc, (A ∩B)c = Ac ∪Bc (Leggi di De Morgan);

• A ∪ ∅ = A, A ∩ ∅ = ∅.

Se X è un insieme qualsiasi, l’insieme P(X) = {A | A ⊂ X } si chiama l’in-sieme delle parti di X. L’insieme ∅ e X sono elementi di P(X). Ogni elementox ∈ X definisce un elemento {x } ∈ P(X). Per definizione {x } ⊂ X è ilsottoinsieme di X il cui unico elemento è x. L’insieme {x } si chiama single-ton x o singoletto x. L’insieme P(X) con le operazioni unione, intersezionee complemento forma una struttura algebrica nota con il nome di Algebra diBoole.

Esercizio 1.3. Supposte definite le operazioni di complemento e intersezionedescrivere l’operazione unione in termini delle altre due.

Vediamo un esempio tipico di una dimostrazione della teoria degli insiemi.

Proposizione 1.4. Dati due insiemi A e B, le seguente affermazioni sonoequivalenti:

1. A ⊂ B;

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2. A ∩B = A;

3. A ∪B = B;

4. Bc ⊂ Ac.

Dimostrazione. Facciamo vedere che ogni affermazione implica la seguente e chel’ultima implica la prima.

(1)⇒ (2).Che (A ∩B) ⊂ A vale sempre per definizione di intersezione.Vediamo che se vale la (1) allora A ⊂ (A∩B) ossia x ∈ A ⇒ x ∈ A∩B.Infatti, dato che A ⊂ B, x ∈ A ⇒ x ∈ B. Ne segue dunque chex ∈ A ∩B.

(2)⇒ (3).B ⊂ (A ∪B) per definizione di unione.Per dimostrare che (A ∪ B) ⊂ B dobbiamo far vedere che se x ∈ A ∪ Ballora x ∈ B.Se x ∈ A ∪B allora o x ∈ A = A ∩B e dunque, per la (2), x ∈ B, oppurex ∈ B ed in tal caso non c’è nulla da dimostrare. Da ciò segue il risultato.

(3)⇒ (4).Si deve dimostrare che x ∈ Bc ⇒ x ∈ Ac.Dalla (3) risulta che x ∈ A ∪ B ⇐⇒ x ∈ B, inoltre sappiamo chex /∈ B ⇐⇒ x ∈ Bc. Di conseguenza se x ∈ Bc allora x /∈ B e dunque,per la (3), x /∈ A∪B. Poiché A ⊂ A∪B risulta che x /∈ A ossia che x ∈ Ac.Quindi Bc ⊂ Ac.

(4)⇒ (1).Si deve dimostrare che x ∈ A ⇒ x ∈ B. Per ipotesi si ha che Bc ⊂ Ac.Se x ∈ A allora x /∈ Ac, così x /∈ Bc e dunque x ∈ (Bc)c = B, ossia A ⊂ B.

Definizione 1.5. Dati A e B due insiemi, si definisce l’operazione di differen-za di insiemi

A \B = A ∩Bc.

Esercizio 1.5. Dimostrare le seguenti conseguenze delle leggi di De Morgan:

• A \ (B ∪ C) = (A \B) ∩ (A \ C);

• A \ (B ∩ C) = (A \B) ∪ (A \ C).

Definizione 1.6. Dati A e B due insiemi, si definisce l’ operazione differenzasimmetrica

A4B = (A \B) ∪ (B \A).

Esercizio 1.6. Dimostrare che

A4A = ∅;

A4B = B 4A; v

A4B ⊂ A4 C ∪ C 4B, ∀C.

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Definizione 1.7. Il prodotto di due insiemi A,B è l’insieme delle coppie

A×B = {(a, b)|a ∈ A, b ∈ B}.

Esercizio 1.7. A× ∅ =?

(A ∪B)× C =?

(A ∩B)× C =?

Se A ⊂ C e B ⊂ D allora C ×D \B ×A =?

∅c =?

Definizione 1.8. Una funzione, o mappa, o trasformazione f : A → Bè una legge che fa corrispondere ad ogni elemento a di A un unico elementof(a) ∈ B.

Nota Bene 1.1. Il termine funzione viene spesso riservato a mappe a valorinei numeri reali o complessi. Qui useremo indifferentemente tutti i tre nomi.

Ricordiamo che ogni funzione è univocamente determinata dal suo dominio A,codominio (o rango) B ed il grafico

Graf(f) = { (a, b) ∈ A×B | b = f(a) } .Data una funzione f : A → B restano automaticamente indotte due funzionidefinite sull’insieme delle parti. La prima, chiamata immagine di un insiemeper la f, è una funzione f : P(A)→ P(B) (denotata con la stessa lettera f) cheassegna ad ogni sottoinsieme D di A la sua immagine f(D), dove

f(D) = { b ∈ B | ∃a ∈ D tale che f(a) = b } .La seconda, chiamata controimmagine (o immagine inversa) di un insie-me per la funzione f, è la funzione f−1 : P(B) → P(A) che assegna ad ognisottoinsieme C di B l’insieme

f−1(C) = {x ∈ A | f(x) ∈ C } .

La seconda funzione è quella più interessante perché preserva le operazioni unio-ne, intersezione e complemento. In altre parole, f−1 : P(B) → P(A) è unomomorfismo di algebre di Boole.

Esercizio 1.8. 1) Verificare che la funzione f−1 rispetta le operazioni di fami-glie di insiemi, ossia:

f−1(C ∪D) = f−1(C) ∪ f−1(D);

f−1(C ∩D) = f−1(C) ∩ f−1(D);f−1(Cc) = f−1(C)c.

2) Verificare (con esempi) che la funzione immagine f : P(A) → P(B) nonrispetta le operazioni di intersezione e complemento.3) Dimostrare che se C ⊂ D ⊂ B allora f−1(C) ⊂ f−1(D) e se C ⊂ D ⊂ Aallora f(C) ⊂ f(D).4) Dimostrare che f(f−1(C) ⊂ C) e che C ⊂ f−1(f(C) ma che in genereC 6= f−1(f(C), C 6= f(f−1(C).

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1.3 Unioni ed intersezioni di famiglie di insiemiLe operazioni di unione e intersezione e prodotto (così come le operazioni daloro derivate) si estendono ad operazioni di famiglie di insiemi.Una famiglia di insiemi altro non è che un insieme C = {B } avente insiemicome elementi. Un esempio tipico di una famiglia di insiemi è un qualsiasisottoinsieme C dell’insieme P(X) delle parti di un insieme X.L’intersezione di una famiglia di insiemi è per definizione⋂

B∈CB = {x | x ∈ B ∀B ∈ C } .

L’unione è definita come⋃B∈C

B = {x | ∃B ∈ C, x ∈ B } .

Un’altra definizione di famiglia di insiemi risulta a volte più conveniente.

Definizione 1.9. Se A è un insieme di indici e ad ogni indice α ∈ A vieneassegnato un insieme Bα, la corrispondenza α → Bα si chiama una famigliaindicizzata di insiemi.

Data una famiglia indicizzata di insiemi definiamo⋂α∈A

Bα = {x | x ∈ Bα ∀α } ,

⋃α∈A

Bα = {x | ∃α ∈ A, x ∈ Bα } .

Nel seguito secondo la convenienza del momento useremo entrambe le notazioniper l’unione e l’intersezione di una famiglia di insiemi.Lasciamo al lettore la dimostrazione delle seguenti proprietà dell’unione e del-l’intersezione di famiglie di insiemi.

(⋃α∈A

Bα)c =⋂α∈A

Bcα,⋂γ∈D

(⋃α∈A

Bα,γ) =⋃α∈A

(⋂γ∈D

Bα,γ).

Data f : X → Y

f−1(⋃α∈I

Aα) =⋃α∈I

f−1(Aα),

f−1(⋂α∈I

Aα) =⋂α∈I

f−1(Aα).

2 La retta reale R2.1 Campi ordinatiRicordiamo che un campo K è un anello commutativo con unità 1 tale che ognielemento non nullo ha un inverso moltiplicativo. Cioè, ∀a ∈ K, a 6= 0 esiste unelemento a−1 ∈ K tale che a−1a = 1.La ragione per la richiesta a 6= 0 è data dalla proposizione seguente.

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Proposizione 2.1. Se A è un anello allora

∀a ∈ A a · 0 = 0.

Dimostrazione.a(0 + b) = ab

perché 0 + b = b;a(0 + b) = a · 0 + ab

per la proprietà distributiva;Quindi ab = a · 0 + ab e sottraendo il prodotto ab otteniamo a · 0 = 0.

Dunque non si può chiedere a 0 di avere un inverso moltiplicativo.

Ricordiamo anche che un insieme ordinato (A,≤) è un insieme munito di unarelazione ≤ (un sottoinsieme di A×A ) verificante:

• a ≤ a;

• a ≤ b, b ≤ c ⇒ a ≤ c;

• a ≤ b, b ≤ a ⇒ a = b.

Dunque una relazione di ordine è una relazione identica, transitiva ed antisim-metrica.L’insieme A si dice totalmente ordinato se per ogni a, a′ ∈ A, o a ≤ a′ oppurea′ ≤ a.

Un campo K totalmente ordinato è un campo munito di un ordine totale ≤ chepreserva le operazioni +, ·, nel senso che valgono:

1. a ≤ b ⇒ a+ c ≤ b+ c ∀c;

2. a ≤ b ⇒ ca ≤ cb ∀c ≥ 0.

Dato un insieme ordinato, diremo che a < b se a ≤ b e a 6= b.

Nessun campo finito ammette un ordine totale. Il campo dei numeri razionaliQ ed il campo dei numeri reali R sono totalmente ordinati. Il campo dei numericomplessi C non lo è.

2.2 Estremo superiore ed inferioreDefinizione 2.1. Sia (K,+, ·,≤) un campo totalmente ordinato e sia A ⊂ K,un suo sottoinsieme. Un numero k ∈ K si dice maggiorante di A se a ≤ kper ogni a ∈ A. L’insieme A si dice limitato superiormente se esiste almenoun k ∈ K che sia un maggiorante dell’insieme A, cioè se l’insieme MA di tuttii maggioranti di A è non vuoto.

Definizione 2.2. L’ estremo superiore supA di un sottoinsieme A di K èun numero α ∈ K che è il minimo elemento dell’insieme MA dei maggiorantidi A. In altre parole:

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α = supA ⇐⇒

i) ∀a ∈ A a ≤ α

ii) a ≤ β ∀a ∈ A ⇒ α ≤ β.

Se un sottoinsieme A di K ha un massimo (un elemento di m ∈ A tale chea ≤ m, ∀a ∈ A) allora esso è anche l’estremo superiore di A ma bisogna evitaredi confondere la nozione di massimo con quella di estremo superiore.

Esercizio 2.2. Si consideri l’intervallo razionale I = {q ∈ Q | 0 < q < 1}. Sidimostri che I non ha un massimo ma che 1 è l’estremo superiore di I.

Esempio: Consideriamo ora il seguente esempio di sottoinsieme di Q superior-mente limitato ma senza estremo superiore.Consideriamo il seguente sottoinsieme del campo Q dei numeri razionali:

A = { q ∈ Q | 0 ≤ q e q2 ≤ 2 } . (2.1)

A è superiormente limitato perché, ad esempio, il numero 2 è un maggiorantedi A. Infatti, osserviamo che per numeri positivi si ha che

q1 < q2 ⇐⇒ q21 < q2

2(si dimostri!)

Poiché per ogni q ∈ A risulta che q2 < 22 allora deve essere q < 2. Osserviamopero che A non ha un estremo superiore. Infatti , se ci fosse un tale estremoα ∈ Q, esso dovrebbe verificare α2 = 2, ma i pitagorici hanno dimostrato cheun tale numero razionale non può esistere.Un’utile caratterizzazione di supA è la seguente:

Proposizione 2.1.

α = supA ⇐⇒

i) ∀a ∈ A a ≤ α

ii) ∀ε > 0 ∃a ∈ A tale che α− ε ≤ a ≤ α.

Dimostrazione. ”⇒” Se α = supA, α ∈ MA. Dunque ∀a ∈ A, a ≤ α. Ciòdimostra i). Se ε > 0 allora α− ε < α e α− ε /∈MA perché α è il più piccolo deimaggioranti. Quindi deve esistere un a ∈ A tale che α− ε < a e siccome a < αsi ha che α− ε ≤ a ≤ α. Questo dimostra la ii).

”⇐”.Se è vera la i) allora α ∈ MA. Vediamo ora che se a ≤ β ∀a ∈ A allora α ≤ β.Supponiamo per assurdo che esista un β < α appartenente all’insieme MA,allora ε = α−β > 0 e β = α−ε. Per ii) esiste a ∈ A tale che β = α−ε < a ≤ αcontraddicendo β ∈MA.

Esercizio 2.3. Definire le nozioni di minorante, insieme limitato inferiormentee dell’estremo inferiore inf A di un sottoinsieme A di K.

Esercizio 2.4. Dimostrare la seguente caratterizzazione di inf A :

α = inf A ⇐⇒

i) α ≤ a ∀a ∈ Aii) ∀ε > 0 ∃a ∈ A tale che α ≤ a ≤ α+ ε.

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2.3 Completezza della retta realeDefinizione 2.3. Un campo (K,+, ·,≤) totalmente ordinato si dice completose ogni sottoinsieme A di K non vuoto e limitato superiormente ha un estremosuperiore.

Esercizio 2.5. Dimostrare che in un corpo totalmente ordinato completo ognisottoinsieme non vuoto limitato inferiormente possiede un estremo inferiore.

Un isomorfismo tra due campi ordinati è una trasformazione biiettiva che pre-serva le operazioni somma , prodotto ed ordine. Si può dimostrare che a menodi isomorfismi esiste un unico campo totalmente ordinato e completo. Dun-que se agli assiomi di campo e di ordine totale compatibile con le operazioniaggiungiamo l’assioma:

ogni sottoinsieme A non vuoto e limitato superiormente ha un estremo superiore

ci sarà (a meno di isomorfismi) un unico campo che li soddisfi tutti. Questounico campo è per definizione il campo dei numeri reali (R,+, ·,≤). D’ora inpoi andremo a lavorare nel campo dei numeri reali (R,+, ·,≤) che denoteremobrevemente con R. Nella sezione successiva introdurremo l’insieme N dei numerinaturali come un particolare sottoinsieme (induttivo) del campo R dei numerireali. Poiché R è chiuso rispetto alla somma e prodotto, deriva da questo cheanche l’anello degli interi Z ed il campo dei numeri razionali Q sono sottoinsiemidi R.

Esempio: Poiché Q ⊂ R, l’insieme A definito in (2.1) è un sottoinsieme di Rlimitato superiormente. Per l’assioma della completezza esiste α ∈ R che è ilsuo estremo superiore. Infatti, α altro non è che il numero irrazionale

√2.

2.4 Numeri naturali e principio di induzioneDefinizione 2.4. Un sottoinsieme I ⊂ R si dice induttivo se:

1. 1 ∈ I;

2. x ∈ I ⇒ x+ 1 ∈ I.

Consideriamo la famiglia I di tutti i sottoinsiemi induttivi di R e definiamol’insieme dei numeri naturali N come intersezione di tutti i sottoinsiemi induttividella retta reale. Quindi:

Definizione 2.5.N =

⋂I∈I

I

Proposizione 2.6. N è il più piccolo sottoinsieme induttivo di R. In altre paroleN è induttivo e se I è induttivo N ⊂ I.

Dimostrazione. E’ facile vedere che N è un insieme induttivo. Infatti, per de-finizione di insieme induttivo ∀I induttivo 1 ∈ I e quindi 1 ∈

⋂I∈I I = N. Si

supponga ora che x ∈ N, bisogna far vedere che x+ 1 ∈ N.Se x ∈ I ∀I ∈ I induttivo si ha che anche x + 1 ∈ I ∀I ∈ I e quindi

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x + 1 ∈⋂I∈I I = N per definizione di intersezione di una famiglia di insie-

mi. Ne segue che N è induttivo.

Se I è induttivo segue che I ∈ I ma allora N ⊂ I perché l’intersezione di unafamiglia di insiemi è contenuta in ogni elemento di essa. In conclusione N è ilpiù piccolo insieme induttivo.

Teorema 2.7 (Principio di induzione). Se per ogni n ∈ N si ha una proposizioneP (n) tale che

1. P (1) è vera,

2. P (n) ⇒ P (n+ 1) è vera,

allora P (n) è vera ∀n ∈ N.

Dimostrazione. Consideriamo I = {n ∈ N | P (n) è vera } . Per definizione di Isi ha I ⊂ N. Quindi per dimostrare il teorema basterà verificare che N ⊂ I.Per la 1) abbiamo che 1 ∈ I. Inoltre se n ∈ I allora P (n) è vera e per la 2) risultavera anche la P (n+ 1) così anche n+ 1 ∈ I e quindi I è un insieme induttivo.Poiché N è il più piccolo insieme induttivo risulta N ⊂ I cioè N = I.

Denotiamo con In = { k ∈ N | k ≤ n } l’intervallo naturale { 1, 2, 3, . . . , n } .

Teorema 2.8. Ogni sottoinsieme A di In non vuoto ha un massimo e unminimo.

Dimostrazione. Per induzione su n ∈ N. La proposizione p(1) è vera poiché seA ⊂ I1, A 6= ∅, allora A = I1 = { 1 } e maxA = minA = 1. Supponendo chep(n) sia vera vediamo che p(n+ 1) è vera.Sia A ⊂ In+1, A 6= ∅. Se

n+ 1 ∈ A ⇒ maxA = n+ 1

altrimentin+ 1 /∈ A ⇒ A ⊂ In

e per ipotesi induttiva esiste k = maxA.Per dimostrare l’esistenza del minimo si procede così:Sia A ⊂ In+1, considero A′ = A ∩ In. Se A′ = ∅, allora A = {n+ 1 } e quindiminA = n + 1. Altrimenti se A′ 6= ∅ per ipotesi induttiva esiste m = minA′(perché A′ ⊂ In) ma allora ∀a ∈ A, o a ∈ A′ o a = n+ 1. Quindi m ≤ a ∀a ∈ A,ossia m = minA.

Definizione 2.6. Un insieme ordinato si dice ben ordinato se ogni suo sot-toinsieme non vuoto ha un primo elemento (minimo).

Notare che ogni insieme ben ordinato risulta totalmente ordinato ma non è verala reciproca. R, ad esempio, non è ben ordinato perché A = (0, 1) non haminimo (se x ∈ A, 1/2x ∈ A ma 1/2x < x).

Teorema 2.9. (N,≥) è un insieme ben ordinato.

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Dimostrazione. Sia A ⊂ N un insieme non vuoto e sia n0 ∈ A.A′ = A ∩ In0 6= ∅ perché n0 appartiene ad entrambi.Poiché A′ ⊂ In0 , per il teorema precedente esiste m = minA′. Affermo che m èanche il minimo di A. Infatti, se a ∈ A o a ≤ n0 e allora a ∈ A′ e quindi m ≤ a,oppure a > n0 e dunque m ≤ n0 < a.

Esercizio 2.10. Sia I un insieme di indici e ∀i ∈ I supponiamo che Bi ⊂ N siaun sottoinsieme non vuoto di N. Dimostrare che esiste una funzione f : I → Ntale che Imf ⊂

⋃i∈I

Bi e f(i) ∈ Bi (in altre parole che si possa scegliere un unico

elemento f(i) in ciascun Bi).

Suggerimento: usare il fatto che N sia ben ordinato. Poiché per ogni i ∈ IBi 6= ∅ allora esiste un primo elemento f(i) di Bi. La corrispondenza i → f(i)è una funzione perché il primo elemento è unico.

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2.5 Proprietà topologiche della retta reale.In questo capitolo discuteremo una serie di importanti conseguenze della com-pletezza della retta R riguardanti la sua topologia e la convergenza di successionidi numeri reali.

Proposizione 2.2. N non è limitato superiormente.

Dimostrazione. Se N fosse limitato superiormente esisterebbe α ∈ R tale cheα = supN. Per definizione di sup dato ε = 1/2 dovrebbe esistere n0 ∈ N taleche n0 > α − 1

2 , ma n0 + 1 ∈ N perché l’insieme N è induttivo. Dunquen0 + 1 > α− 1/2 + 1 > α. Ciò è assurdo perché per definizione di sup per ognin ∈ N, n ≤ α.

Corollario 2.11 (Proprietà Archimedea dei numeri reali). Per ogni x ∈ R eper ogni δ > 0 esiste n ∈ N tale che n δ > x.

Dimostrazione. Se x ≤ 0 non c’è nulla da dimostrare.Se x > 0 si consideri y = x

δ > 0. Poiché N non è limitato superiormente esisten ∈ N tale che n > y = x

δ . Quindi n δ > x.

Proposizione 2.12. Tra due numeri reali distinti c’è sempre un numero ra-zionale ed un numero irrazionale.

Dimostrazione. Possiamo assumere che y > x ≥ 0. Per la proprietà archimedeaesiste n ∈ N tale che n > 1

y−x , o equivalentemente 0 < 1n < y − x. Usando

di nuovo la proprietà archimedea, possiamo trovare un k ∈ N tale che kn ≥ y.

L’insieme { k | kn ≥ y } 6= ∅ e quindi ammette un primo elemento k0. Allora

k0 − 1n

< y ≤ k0

n

ex = y − (y − x) < k0

n− 1n

= k0 − 1n

.

Così q = k0−1n ∈ Q è tale che x < q < y.

Per dimostrare la seconda affermazione usiamo la prima. Infatti, dati x 6= yposiamo trovare un numero razionale q tale che x −

√2 < q < y −

√2. Allora

q +√

2 è irrazionale (verificare!) e si trova tra x e y.

Definizione 2.7. A ⊂ R si dice denso se ∀ε > 0 ∃a ∈ A tale che |x− a| < ε.

In altre parole A è denso se in ogni intorno (x − ε, x + ε) del numero x ∈ R sitrova qualche elemento di A.

Esercizio 2.13. i) Dimostrare che Q è un sottoinsieme denso della retta realeR.ii) Dimostrare che per ogni x ∈ R esiste una successione q1, q2, . . . , qn, qi ∈ Qtale che qn → x.iii) Dimostrare che anche l’insieme dei numeri irrazionali è denso in R.

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Ricordiamo che una successione (xn) di numeri reali altro non è che una fun-zione x : N→ R. Di norma si denota x(n) con xn. Una sottosuccessione (xnk)della successione (xn) è la composizione della funzione x : N→ R con una fun-zione strettamente crescente n : N→ N. Denotando con xnk = x ◦n(k), avremoche (xnk) è una sottosuccessione di (xn) se n1 < n2 < · · · < nk < . . . .

Definizione 2.8. Diremo che la successione (xn) converge ad un numeroreale x (simbolicamente xn // x) se per ogni ε > 0 esiste n0 ∈ N tale che|xn − x| < ε, ∀n > n0.

Esercizio 2.14. Dimostrare che 1n

// 0.

Esercizio 2.15. Dimostrare che se xn // x e xn // y allora x = y.

Esercizio 2.16. Dimostrare che se xn //x e xnk è una sottosuccessione alloraxnk

// x(cioè ∀ε > 0 ∃k0 : ∀k ≥ k0 |xnk − x| < ε).

Esempio: Esistono successioni non convergenti che hanno sottosuccessioniconvergenti. Se

xn ={

1 se n = 2k − 11n se n = 2k,

allora x2k+1 // 1, e invece x2k // 0. Quindi (xn) non converge a nessun puntoper il esercizio precedente.

Esercizio 2.17. Enumeriamo tutti numeri razionali (vedremo in seguito chequesto è possibile) e consideriamo la successione (q1, q2, . . . , qk, . . . ) la cui im-magine è Q. Dimostrare che dato un numero reale x qualsiasi esiste un sotto-successione (qnk) della successione (qn) convergente ad x.

Una successione di numeri reali am si dice monotona crescente se

a1 ≤ a2 ≤ a3 ≤ · · · ≤ am ≤ . . . .

Analogamente si definisce una successione monotona decrescente.Per definizione, una successione monotona è una successione monotona crescen-te oppure decrescente.Una successione (xm) è limitata superiormente se l’insieme {x1, . . . , xm, . . . }immagine della successione è limitato superiormente (ricordiamo che una succes-sione è un’applicazione da N a R). In altre parole (xm) è limitata superiormentese

∃k ∈ R : xm ≤ k ∀m ∈ N.

Proposizione 2.18. Ogni successione monotona crescente e limitata superior-mente è convergente ad un punto x ∈ R.

Dimostrazione. Sia A = {x1, . . . , xm, . . . } . Poiché A è limitato superiormente,per la completezza della retta reale R esiste x = supA. Si vuole far vedere chexm // x. Per questo si usa la proprietà ii) della proposizione che caratterizzal’estremo superiore, cioè che dato ε > 0 ∃xm0 tale che x− ε < xm0 ≤ x.Poiché (xm) è monotona e x = supA allora ∀m ≥ m0

x− ε < xm0 ≤ xm ≤ x < x+ ε ⇒ |xm − x| < ε.

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Definizione 2.9. Una successione {xn } di numeri reali si dice di Cauchy (ofondamentale) se ∀ε > 0 ∃n0 tale che ∀n,m ≥ n0 |xn − xm| ≤ ε.

Proposizione 2.3 (Criterio di convergenza di Cauchy). Una successione (xn)di numeri reali è convergente se e soltanto se è di Cauchy.

Dimostrazione. (⇒) Ogni successione convergente è di Cauchy. Per ipotesixn // x e quindi ∀ε > 0 esiste n0 tale che |xn − x| < ε

2 ∀n > n0, ma allora

|xn − xm| = |xn − xm + x− x| ≤ |xn − x|+ |xm − x| < ε ∀n,m > n0.

Si ha dunque che {xn } è di Cauchy.

(⇐)

Poiché (xn) è di Cauchy, dato ε esiste n0 tale che ∀n,m ≥ n0 |xn − xm| < ε2 .

In particolare |xn0 − xm| < ε2 ∀m ≥ n0. Quindi se m ≥ n0, si ha

xn0 −ε

2 < xm < xn0 + ε

2 .

Questo dice che esiste solo un numero finito di n tali che xn ≤ xn0 − ε2 .

Consideriamo l’insieme

S = { y ∈ R | esiste solo un numero finito di n tali che xn ≤ y } .

Poiché xn0 − ε2 ∈ S abbiamo che S 6= ∅. Osserviamo ora che se y ∈ S allora

(−∞, y] ⊂ S. Poiché xn0 + ε2 /∈ S, non esiste alcun elemento y ∈ S maggiore di

xn0 + ε2 . Dunque xn0 + ε

2 è un maggiorante dell’insieme S. Per la completezzadella retta reale esiste x = supS.Dato che x = supS si ha che xn0− ε

2 ≤ x e siccome x è il minimo dei maggiorantisi ha che x ≤ xn0 + ε

2 . Allora

ε

2xn0 −ε

2 ≤ x ≤ xn0 + ε

2 . (2.2)

Inoltre per m > n0

xn0 −ε

2 < xm < xn0 + ε

2 ,

e dunque−xn0 −

ε

2 < −xm < −xn0 + ε

2 . (2.3)

Sommando (2.2) e (2.3) si ottiene −ε < x−xm < ε e quindi |x−xm| < ε ∀m >n0. Poiché l’argomento è valido per ogni ε risulta che xn // x.

Definizione 2.10. A ⊂ R si dice limitato se è limitato superiormente edinferiormente, cioè A è limitato se esistono m,M ∈ R tali che A ⊂ [m,M ].Una successione si dice limitata se è limitato il suo insieme immagine.

Esercizio 2.19. Dimostrare che A è limitato se e solo se esiste K > 0 tale che|a| ≤ K ∀a ∈ A.

Proposizione 2.20. Ogni successione di Cauchy è limitata.

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Dimostrazione. Sia ε = 1. Siccome (xn) è di Cauchy

∃n0 : ∀n,m ≥ n0 |xn − xm| < 1.

In particolare |xn0 − xm| < 1, ossia xn0 − 1 < xm < xn0 + 1 per ogni m ≥ n0.Siano M = max(x1, x2, . . . , xn0 , xn0 + 1) e m = min(x1, x2, . . . , xn0 , xn0 − 1),allora m ≤ xn ≤M, ∀n. Quindi (xn) è una successione limitata.

Proposizione 2.21. Se (xn) è una successione di Cauchy e una sottosucces-sione (xnk) di (xn) converge a x allora anche xn // x.

Dimostrazione. Essendo (xn) una successione di Cauchy, dato ε > 0 esiste n0tale che |xm − xn| < ε/2 se m,n ≥ n0. Siccome xnk // x esisterà anche un k0che tale che |xnk − x| < ε/2 per ogni k ≥ k0. Possiamo supporre che nk0 ≥ n0(perché?). Dalle disuguaglianze precedenti deriva che per ogni m ≥ n0,

|xm − x| ≤ |xm − xnk |+ |xnk − x| < ε/2 + ε/2 = ε.

Proposizione 2.4. Data una successione (xn) di numeri reali esiste sempre unasottosuccessione (xnk) di (xn) che sia o monotona crescente oppure monotonadecrescente.

Dimostrazione. Si dice che xk è un punto di vetta della successione (xn) seper ogni m ≥ k xm ≤ xk.Una successione (xn) o ha un numero finito di punti di vetta oppure ne ha unnumero infinito.(1◦ caso) Se il numero di punti di vetta è finito ∃n0 tale che per ogni n ≥ n0, xnnon è di vetta.Scegliamo allora xn1 > xn0 con n1 > n0. Poiché xn1 non è di vetta esistem > n1tale che xm > xn1 . Fra tali m scegliamo un n2 ottenendo n1 < n2 e xn1 < xn2 , ecosì via. In questo modo troveremo una sottosuccessione (xnk) della successione(xn) strettamente crescente.

(2◦ caso) Numero infinito di vette.Preso xn1 , punto di vetta, esiste n2 > n1 tale che xn2 è ancora un punto divetta e xn1 ≥ xn2 , perché xn1 è di vetta. Analogamente esiste n3 > n2 tale chexn3 è punto di vetta e xn1 ≥ xn2 ≥ xn3 ... Si è costruito in questo modo unasottosuccessione monotona decrescente.

Teorema 2.22 (Bolzano-Weierstrass). Sia [a, b] un intervallo chiuso e limitatodella retta reale e sia (xn) una successione di punti di [a, b]. Allora esiste unasottosuccessione (xnk) di (xn) convergente ad un punto di [a, b].

Dimostrazione. Per la proposizione precedente esiste una sottosuccessione (xnk)di (xn) monotona crescente o decrescente. Supponiamo che la (xnk) sia cre-scente. Essa è limitata superiormente in quanto xnk ≤ b∀k e quindi per laProposizione 2.18 xnk // x = sup {xnk } . Analogamente si dimostra che unasottosuccessione (xnk) monotona decrescente converge ad inf {xnk } ≥ a.

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Teorema 2.23 (Completezza secondo Cantor). Sia

I1 ⊃ I2 ⊃ I3 ⊃ · · · ⊃ In ⊃ . . .

con In = [an, bn] una successione di intervalli chiusi, incapsulati, non vuoti etali che la lunghezza l(In) = (bn − an) // 0. Allora esiste un unico x ∈ R taleche x ∈ In ∀n. In altre parole

⋂∞n=1 In = {x } .

Dimostrazione. Siano a1 ≤ a2 ≤ · · · ≤ an e bn ≤ · · · ≤ b2 ≤ b1 gli estremiinferiori e superiori degli intervalli. Un semplice argomento dimostra che perogni m,n si ha che am < bn e dunque abbiamo che

a1 ≤ a2 ≤ · · · ≤ an ≤ · · · ≤ . . . bn ≤ . . . ≤ b2 ≤ b1.

Quindi, per ogni k ∈ N, bk è maggiorante dell’insieme { a1, . . . , an, . . . } . Perla completezza di R, l’insieme { an } ammette un estremo superiore. Sia x =sup { an } . Per definizione di supremo an ≤ x ≤ bn per ogni n e quindi x ∈ In =[an, bn] ∀n, ossia x ∈

⋂∞n=1 In.

Dimostriamo ora che tale x è unico. Supponiamo che esistano x e x1 ap-partenenti ad ogni intervallo. Se x 6= x1 allora |x − x1| = δ > 0. Datoche

limn→∞

(bn − an) = 0

esiste In0 = [an0 , bn0 ] tale che l(In0) < δ. Però allora x e x1 non possonoappartenere entrambi ad In0 , il che contraddice l’assunto.

Il teorema precedente risulta essere equivalente all’assioma della completezzadella retta. Storicamente questo approccio alla completezza precede quello sceltoda noi. Inoltre ha il vantaggio di non usare né la nozione di estremo superiorené la presenza di un ordine totale in modo essenziale ma soltanto la presenzadi una metrica sulla retta reale. Questo lo rende utile in situazioni più generalidella retta reale. In realità si potrebbe introdurre l’assioma di completezza invarie forme fra loro equivalenti come si vede dal esercizio seguente.

Esercizio 2.24. Dimostrare che in un corpo totalmente ordinato le seguentiaffermazioni sono fra loro equivalenti :i) Ogni sottoinsieme non vuoto limitato superiormente ha un estremo superiore.ii) Ogni successione monotona crescente limitata converge.iii) Ogni successione di Cauchy è convergenteiv) Ogni successione di intervalli chiusi, incapsulati, non vuoti e tali che lalunghezza l(In) = (bn − an) // 0 ha un unico punto in comune.

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3 Cardinalità di un insieme3.1 Assioma della sceltaDefinizione 3.1. Una catena C in un insieme ordinato (X,≤) è un sottoin-sieme totalmente ordinato di X, un maggiorante della catena C è un elementox0 ∈ X tale che c ≤ x0 ∀c ∈ C. Un elemento massimale del insieme ordinato Xè un elemento m di X tale che se x ∈ X e m ≤ x allora m = x.

Si può dimostrare (ma qui non daremo la dimostrazione) che le seguenti affer-mazioni sono equivalenti fra loro. Quindi scegliendo una di loro come assiomale altre si ottengono come teoremi.

Assioma della scelta: Dato I 6= ∅ e dato ∀i ∈ I un insieme Ai 6= ∅ esiste unafunzione (chiamata funzione di scelta) f : I →

⋃i∈I

Ai tale che f(i) ∈ Ai.

Principio del buon ordinamento: Dato un insieme A, esiste un ordine ≤ suA tale che (A,≤) è ben ordinato.Lemma di Zorn : Se (X,≤) è un insieme ordinato tale che ogni catena C ⊂ Xha un maggiorante allora esiste un elemento massimale in (X,≤),Principio massimale di Hausdorff : Se (X,≤) è un insieme ordinato alloraogni catena è contenuta in una catena massimale.

Usualmente si sceglie come assioma la prima delle affermazioni, detta, per ovvieragioni, assioma della scelta.

Ricordiamo che X × Y è l’insieme delle coppie ordinate di elementi di X conelementi di Y . Dati n insiemi X1, . . . , Xn, si definisce l’insieme prodotto come

n∏i=1

Xi = { (a1, . . . , an) | ai ∈ Xi } .

La generalizzazione di questa costruzione ad un insieme qualsiasi di indici èanche possibile.Dato I 6= ∅ un insieme di indici, consideriamo per ogni i ∈ I un insieme Xi. lIprodotto della famiglia indicizzata {Xi|i ∈ I} è per definizione:∏

i∈IXi = { f : I →

⋃i∈I

Xi | f(i) ∈ Xi } .

Useremo la notazione XY per denotare l’insieme di tutte le funzioni da X avalori in Y, cioè XY = { f : X → Y } .

Esercizio 3.1. Dimostrare che XY =∏x∈X Y

Un corollario importante dell’assioma della scelta è:

Corollario 3.2. Se I 6= ∅ e Xi 6= ∅ allora∏i∈I

Xi 6= ∅.

La dimostrazione è immediata poiché questo corollario non è altro che unariformulazione dell’assioma della scelta. Un’altra utile conseguenza è data dalseguente corollario:

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Corollario 3.3. Se f : X → Y è una funzione suriettiva, esiste una funzioneg : Y → X iniettiva tale che f(g(y)) = y ∀y, cioè f ◦ g = Id Y .

Dimostrazione. Consideriamo Y come l’insieme degli indici, ∀y ∈ Y conside-riamo Ay = f−1(y) = {x ∈ X | f(x) = y } . Siccome f è suriettiva, per ogniy ∈ Y esiste x ∈ X tale che f(x) = y e quindi Ay = f−1(y) 6= ∅.Per l’assioma della scelta, per ogni y possiamo scegliere un unico g(y) ∈ Ay =f−1(y) e questo definisce una funzione g : Y → X tale che f(g(y)) = y.Osserviamo che una tale g è necessariamente iniettiva, perché

g(y1) = g(y2) ⇒ f(g(y1)) = f(g(y2)) ⇒ y1 = y2.

3.2 Teoremi di Bernstein-Schroeder e Cantor-BernsteinDiremo che due insiemi A e B sono coordinabili (o equipollenti) se esiste unabiiezione f : A→ B. Scriveremo A ∼ B se A è coordinabile con B. Risulta faciledimostrare che la relazione ∼ ha la proprietà riflessiva, simmetrica e transitiva.Perciò è una relazione d’equivalenza.Un insieme A si dice finito se A ∼ In, dove In = { k ∈ N | k ≤ n } . Se A èfinito l’unico numero n tale che A ∼ In è per definizione la cardinalità o ilnumero degli elementi del insieme A.

Esercizio 3.4. Si dimostri che la cardinalità di A è ben definita (ossia se A ∼ Ine A ∼ Im allora n = m). Suggerimento: dimostrare prima che se n 6= m nonesiste alcuna biiezione fra In e Im.

Vogliamo estendere la nozione di cardinalità ad insiemi non necessariamentefiniti.Senza andare ad approfondire per ora la nozione di numero cardinale, sup-porremo un’ipotetica esistenza di tale numero e diremo che la cardinalità (opotenza) dell’insieme A è uguale alla cardinalità dell’insieme B (in simbolicard A = card B ) se i due insiemi sono coordinabili fra loro.Si vorrebbe definire i numeri cardinali come si faceva a scuola con i numerinaturali

cardA = {B | B ∼ A } ,

ma in genere il lato destro non risulta un insieme ma solo una classe. Ladefinizione rigorosa di numero cardinale è più complicata ed usa numeri ordinaliper trovare un prototipo per ogni card A analogo agli insiemi In = {1, 2, ..., n}nel caso degli insiemi finiti.Diremo che la cardinalità dell’insiemeA è minore o uguale a quella diB (card A ≤card B) se esiste una funzione f : A→ B iniettiva.Dal corollario 3.3 risulta immediatamente:

Proposizione 3.5. card A ≤ card B se esiste una funzione h : B → A suriet-tiva.

Se card A ≤ card B e card B ≤ card A si può dire card A = card B? Questoimplicherebbe che la relazione ≤ è una relazione d’ordine. La risposta positivaa questa domanda viene data da un famoso teorema:

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Teorema 3.6 (Bernstein-Schroeder). Se esiste f : A → B iniettiva ed esisteg : B → A iniettiva (cioè card B ≤ card A) allora esiste una funzione h : A→B biiettiva.In altri termini card A ≤ card B e card B ≤ card A implica che card A =card B.

Dimostrazione. Passo 1. Prima di tutto dimostriamo il teorema in un casoparticolare. Supporremo che B ⊂ A e che g = i : B ⊂ A sia l’inclusione i(x) =x, ∀x ∈ B.Sia A = A0 e B = A1 ⊂ A0. Consideriamo A2 = f(A) ⊂ B = A1. Sianof(A1) = A3 ⊂ A2 e f(A2) = A4 ⊂ A3 e così via.La costruzione ci porta ad una successione infinita di insiemi:

A = A0 ⊃ B = A1 ⊃ A2 ⊃ A3 ⊃ · · · ⊃ Ak ⊃ . . .

Sia A∞ l’intersezione di tutti questi insiemi A∞ =∞⋂n=0

An.

Dimostriamo il seguente lemma:

Lemma 3.7. A0 si può scrivere come unione di A∞ con una unione di anelliconcentrici due a due disgiunti

A0 = (A0 \A1) ∪ (A1 \A2) ∪ (A2 \A3) ∪ · · · ∪A∞.

Dimostrazione. Sia x ∈ A0, allora o x ∈ A∞ (si trova in tutti) oppure esiste unn tale che x /∈ An.Consideriamo S = {n ≥ 0 | x /∈ An } . Si sa che S 6= ∅ e quindi deve esistereun primo elemento n0 ∈ S. (Aggiungere lo zero a N non modifica il buon ordine)Allora x /∈ An0 ma x ∈ An0−1 perché altrimenti n0 non sarebbe il primoelemento di S. Dunque x ∈ An0−1 \An0 .Abbiamo dimostrato dunque che se x 6∈ A∞ allora

x ∈∞⋃n=0

(An \An+1).

Questo dimostra il lemma.

Adesso continuiamo con la dimostrazione del teorema.Scriviamo A come

A = (A0 \A1) ∪ (A1 \A2) ∪ (A2 \A3) ∪ · · · ∪A∞.

Osserviamo che per definizione degli Ai si ha che f(A0 \ A1) = A2 \ A3 e piùgeneralmente

f(Ai \Ai+1) = Ai+2 \Ai+3.

Inoltre, essendo la f iniettiva, abbiamo

Ai \Ai+1 ∼ Ai+2 \Ai+3,

via la restrizione della f ad Ai \Ai+1. Scrivendo adesso B come

B = (A1 \A2) ∪ (A1 \A2) ∪ (A2 \A3) ∪ · · · ∪A∞,

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costruiamo una funzione biiettiva h fra A e B definendo la h come

h =

f : Ai \Ai+1 → Ai+2 \Ai+3 if i = 2kId : Ai \Ai+1 → Ai \Ai+1 if i = 2k + 1Id : A∞ → A∞ on A∞

Passo 2. Completiamo la dimostrazione del teorema riducendo il caso generalea quello dimostrato in precedenza.Siano f : A → B e g : B → A funzioni iniettive. Consideriamo B ⊂ A B =g(B). Allora g : B → B definita da g(x) = g(x) è iniettiva, suriettiva e dunquebiiettiva. Inoltre f = g ◦ f : A → B è iniettiva. Abbiamo anche l’inclusionei : B → A. Dunque ci troviamo nel caso considerato precedentemente. Per ilprimo passo deve esistere una biiezione h : A → B. Allora h = (g)−1 ◦ h è labiiezione desiderata.

Teorema 3.8 (Cantor-Bernstein). Se X è un insieme allora card X < cardP(X).

Dimostrazione. Vediamo che card X ≤ cardP(X). Per questo definiamo lafunzione iniettiva f : X → P(X), f(x) = {x } ∈ P(X), che è chiaramenteiniettiva.Per vedere che card X 6= card P(X) si dimostra che non esiste alcuna biiezionetra X e P(X).Supponiamo per assurdo che esiste h : X → P(X) biiettiva e sia

S = {x ∈ X | x /∈ h(x) } .

Poiché h è suriettiva, deve esistere un x0 ∈ X tale che h(x0) = S. Se x0appartenesse ad S allora apparterrebbe a h(x0), ma per definizione dell’insiemeS, risulta x0 /∈ h(x0) = S. Se x0 non appartenesse a S allora si avrebbe chex0 ∈ h(x0) = S. In entrambi i casi si arriva ad un assurdo.Dunque non può esistere una biiezione tra X e P(X).

Teorema 3.9. P(X) ∼ {0, 1}X .

Dimostrazione. Dato un sottoinsieme A di X, la funzione caratteristica diA e la funzione χA : X → { 0, 1 } definita da

χA ={

1 se x ∈ A0 se x /∈ A .

Definiamo la funzione f : P(X)→ {0, 1}X , ponendo f(A) = χA. Consideriamog : {0, 1}X → P(X) definita come segue: se α : X → { 0, 1 } allora

g(α) = Aα = {x | α(x) = 1 } ∈ P(X).

Risulta (f ◦ g)(α)(x) = f(g(α))(x) = χAα(x) = α(x). Quindi f ◦ g = id.Analogamente (g ◦ f)(A) = g(χA) = {x | χA(x) = 1 } = A, ossia g ◦ f = id.Ne segue che g è la funzione inversa della f e quindi P(N) ∼ {0, 1}N

Corollario 3.10. Se A è un insieme finito ed ha n elementi allora P(A) ha 2nelementi.

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3.3 Insiemi numerabiliUn insieme A si dice infinito se non è finito (ossia non può essere messo incorrispondenza con nessun In. Diremo che A è numerabile se A ∼ N.

Esempio: Sia A = { 2k | k ∈ N } l’insieme dei numeri pari.A è un sottoinsieme proprio di N Nonostante ciò A ∼ N. Infatti, f : N → Af(k) = 2k ∀k ∈ N è biiettiva. Quindi, insiemi infiniti (numerabili) possonoavere sottoinsiemi propri della stessa cardinalità.

Esercizio 3.11. Dimostrare che A è infinito se e solo se esiste B A tale cheB ∼ A (B è equipollente ad A).

Proposizione 3.12. L’insieme Nn = N × N × · · · × N è numerabile. Quindicard Nn = card N.

Dimostrazione. Sicuramente esiste una funzione f : N → Nn iniettiva. Bastaprendere per esempio f(n) = (n, 1, . . . , 1), ∀n ∈ N.Definiamo ora una funzione iniettiva da Nn in N. Per questo, scegliamo n numeriprimi distinti p1, . . . , pn e definiamo g : Nn → N ponendo

g(k1, . . . , kn) = pk11 · p

k22 · · · · · pknn .

La funzione g risulta iniettiva perché, per il Teorema Fondamentale dell’A-ritmetica, la decomposizione d un numero naturale in fattori primi è unica,ossia:

g(k1, . . . , kn) = g(s1, . . . , sn) ⇒ k1 = s1, . . . , kn = sn.

Dal Teorema di Bernstein-Schroeder si conclude che esiste h : N→ Nn biiettivae quindi che N ∼ Nn.

Esercizio 3.13. Se X è un insieme, l’insieme delle parti finite di X è definitoda:

PF (X) = {A ⊂ X | A è finito } .

Dimostrare che PF (N) ∼ N. (Suggerimento: usare Nn ∼ N)

Teorema 3.14. Ogni sottoinsieme di un insieme numerabile o è finito o ènumerabile.

Dimostrazione. Prima di tutto osserviamo che basta dimostrare il risultato nel-l’ipotesi A = N. Infatti, essendo A numerabile esiste una funzione f : A → Nbiiettiva. Se S ⊂ A allora S′ = f(S) ⊂ N e S ∼ S′ (via la restrizione della f aS) . Risulta dunque che S ⊂ A è finito o numerabile se e solo se S′ ⊂ N lo è.Dunque basta dimostrare il teorema per sottoinsiemi S ⊂ N.Se S = ∅ il teorema è dimostrato.Se S 6= ∅ per il principio di buon ordinamento esiste n0 ∈ S primo elemento diS.Sia S1 = S \ {n0 } . Se S1 = ∅ il teorema è dimostrato perché S = {n0 } .Altrimenti esiste un n1 ∈ S1 primo elemento. Per definizione di S1 n1 6= n0.Definiamo

S2 = S1 \ {n1 } = S \ {n0, n1 } .

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Se S2 = ∅ allora S è finito, se invece S2 = 6= ∅ definiamo n2 come il primoelemento di S2. Per definizione di S2, abbiamo che n2 6= n1 e n2 6= n0 Ripentendoil ragionamento, costruito così Sn si definisce

Sn+1 = Sn \ {nn } = S \ {n0, n1, . . . , nn } .

Ora; o per qualche k, si ha che Sk = ∅, ed in tal caso S = {n0, . . . , nk } sarebbefinito, oppure Sk 6= ∅ ∀k, ed in questo caso è stata costruita una successione(n0, n1, . . . , nk, . . . ) tale che nk 6= nr se k 6= r. Infatti, se k 6= r avremmo k < roppure r < k. Supponiamo ad esempio che k < r, allora nr /∈ Sk e quindi nk 6=nr. Abbiamo costruito in questo modo una funzione iniettiva f : N→ S definitada f(k) = nk. Poiché abbiamo anche una ovvia funzione iniettiva i : S → N,dove i è l’inclusione i(k) = k, per Bernstein -Schroeder S ∼ N.

Corollario 3.15. Una unione finita o numerabile di insiemi finiti o numerabiliè un insieme finito o numerabile.

Dimostrazione. Consideriamo qui solo il caso di un insieme numerabile di indici.Senza perdita di generalità possiamo supporre che questo insieme è N.Sia dunque A =

⋃i∈NAi. Per ipotesi, per ogni i ∈ N, esiste fi : N→ Ai suriettiva

(anche biiettiva se Ai è numerabile). Definiamo f : N2 → A come f(i, j) = fi(j).Chiaramente f è suriettiva e quindi esiste una funzione iniettiva g da A in N2 ∼N. Essendo A coordinabile con immagine della funzione g, che è un sottoinsiemedell’insieme numerabile N2, per il teorema precedente risulta anch’esso finito onumerabile.

Esercizio 3.16. Dimostrare che gli insiemi Z, Z \ {0} e Z+ = { 0 } ∪ N sonotutti coordinabili con N esibendo esplicitamente una funzione biiettiva fra loroed N.

Corollario 3.17. Q è numerabile.

Dimostrazione. Infatti f : Z × N → Q definita da f(n,m) = nm è suriettiva.

Quindi esiste una funzione iniettiva g da Q a valori nell’insieme numerabileZ × N ∼ N. Allora Q ∼ g(Q) che è un sottoinsieme di un insieme numerabile.Dunque Q deve essere finito o numerabile. Però Q non può essere finito perchécontiene N.

Definizione 3.2. x ∈ R si dice algebrico se esiste un polinomio P a coefficientiinteri, tale che P (x) = 0. Altrimenti x si dice trascendente. In altre parole unnumero algebrico è un numero che è radice di un polinomio a coefficienti interi.

Esercizio 3.18. Dimostrare che x è un numero algebrico se e soltanto se x èradice di un polinomio a coefficienti razionali.

Proposizione 3.19. L’insieme Ralg ⊂ R dei numeri reali algebrici è numera-bile.

Dimostrazione. L’insieme P dei polinomi a coefficienti interi è numerabile. In-fatti , P =

⋃∞n=0 Pn, dove Pn è l’insieme dei polinomi a coefficienti interi di

grado minore o uguale a n. Osserviamo che la funzione f : Pn → Zn+1, cheassocia ad ogni polinomio P (x) = a0 + a1x+ a2x

2 + · · ·+ anxn la (n+ 1)-upla

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(a0, a1, . . . , an) dei suoi coefficienti, è iniettiva (si dimostri!). Poiché Z ∼ N con-cludiamo facilmente che Pn è numerabile e quindi anche P è numerabile perchési tratta di una unione numerabile di insiemi numerabili. Un polinomio di gradon ha al più n radici reali. Dunque l’insieme delle radici R(P ) di ogni polinomioP ∈ P è finito. Da qui risulta che Ralg =

⋃P∈P R(P ) è un insieme numerabile,

perché si tratta di un’unione numerabile di insiemi finiti che non è un insiemefinito.

3.4 La potenza del continuoL’insieme dei numeri reali R invece non è numerabile e per verificarlo basta farvedere che (0, 1) o che [0, 1] non è numerabile, dato che se R fosse numerabiledovrebbe esserlo ogni suo sottoinsieme.

Esercizio 3.20. Dimostrare che R ∼ (0, 1). Suggerimento: Si consideri lafunzione biiettiva

arctan : R→ (−π2 ,π

2 ).

e si dimostri che (0, 1) ∼ (−π2 ,π2 ).

Per dimostrare che R non è numerabile useremo l’espansione di un numero realenella base b ∈ N \ { 1 } .

Teorema 3.21. Dato un numero naturale b ∈ N, b ≥ 2, per ogni x ∈ R, esisteuna successione (a1, a2, . . . , an, . . . ) di numeri naturali con ai ∈ { 0, . . . , b− 1 } ⊂N tale che

x = [x] +∞∑i=1

aibi.

Qui [x] = parte intera di x, ossia il più grande numero intero minore o ugualead x.

L’espressione [x], a1a2 . . . an . . . si chiama espansione del numero reale x inbase b.Naturalmente anche la parte intera [x] ha un’espansione finita come polinomioin bn, ma non approfondiamo questo aspetto perché non sarà usato qui.Se b = 10 abbiamo l’espansione dei numeri reali in base dieci usata a scuola perdefinire numeri reali. Se la base è b = 2, allora ogni numero si scrive nella formadi sopra con ak ∈ {0, 1}. Se b = 3, allora ak ∈ {0, 1, 2}.Ad esempio in base due:

0, 01010000000... = 122 + 1

24 = 5/161, 1000000... = 3/2.

In genere l’espansione di un numero reale in una base data non è unica, adesempio sempre in base 2 : 1 = 1, 0000... = 0, 1111111..., 3/2 = 1, 1000000... =1, 0111111... (dimostrare).

Esercizio 3.22. Trovare l’ espansione del numero π = 3, 1415..... in base 3 finoalla potenza 34.

Diamo qui un cenno della dimostrazione dell’esistenza dell’espansione:

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Dimostrazione. Possiamo supporre senza perdita di generalità che x ∈ (0, 1).Sia Jb = { 0, . . . , b− 1 } e sia S1 = { k ∈ Jb | k

b ≤ x } . S1 6= ∅ ha un ultimoelemento a1 (essendo finito), quindi

a1

b≤ x < a1 + 1

b.

Sia S2 = { k ∈ Jb | kb2 ≤ x− a1

b } e sia a2 l’ultimo elemento di S2, quindi

a1

b+ a2

b2≤ x < a1

b+ a2 + 1

b2.

Continuando così definiamo

Sm = { k ∈ Jb |k

bm≤ x−

m−1∑i=1

aibi} .

Se am è l’ultimo elemento di Sm alloram∑i=1

aibi≤ x <

m−1∑i=1

aibi

+ am + 1bm

.

Osservando che il termine m della somma minore di x differisce dalla sommamaggiore di al più 1/bm, si dimostra facilmente che la serie

∑∞i=1

aibi converge

ad x.

Teorema 3.23. La retta reale R non è numerabile.

Abbiamo già visto che basta verificarlo per l’intervallo (0, 1). Supponiamo perassurdo che (0, 1) sia numerabile. Numeriamo i suoi elementi mettendoli insuccessione {x1, x2, . . . , xk . . . }. Fissiamo la base b = 2 e scriviamo l’espansionedi ogni elemento della successione come segue:

x1 = 0, a11a12a13 . . . a1k . . .x2 = 0, a21a22a23 . . . a2k . . .x3 = 0, a31a32a33 . . . a3k . . .. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

Definiamo un numero reale x scegliendo la sua prima cifra diversa da a11, laseconda diversa da a22, e così via. Si vede subito che un tale numero non sitrova nella nostra lista perché differisce da ogni xi nella i-esima cifra della suaespansione binaria, contraddicendo la supposizione di avere numerato tutti inumeri reali.Invece R risulta coordinabile con P(N). Questo fatto fornisce una dimostrazionemigliore della sua non numerabilità.

Teorema 3.24. R ∼ P(N).

Dimostrazione. Basta dimostrare che [0, 1] ∼ P(N). Infatti, [0, 1] ∼ (0, 1) ∼ R(dimostrare la prima affermazione !).Dal teorema 3.9 discende che P(N) ∼ {0, 1}N e per il Teorema 3.21, per ognix ∈ [0, 1] esiste una successione α = (a1, a2, . . . ak, . . . ) con ai ∈ { 0, 1 } tale che

x = 0, a1a2a3 · · · =∞∑k=1

ak2k .

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Questo ci dice che se consideriamo la funzione f : { 0, 1 }N → [0, 1] definitada f(α) =

∑∞k=1

ak2k essa risulta suriettiva. Quindi, per l’assioma della scelta,

possiamo costruire una funzione iniettiva g : [0, 1]→ { 0, 1 }N . Per concludere ladimostrazione sulla base del Teorema di Cantor-Schroeder basterà esibire unafunzione iniettiva h : { 0, 1 }N → [0, 1]. La costruiremo usando il famoso insiemeternario di Cantor, che è un sottoinsieme di [0, 1] ⊂ R definito in modo ricorsivodividendo ad ogni passo ciascun intervallo in tre sottointervalli e rimuovendo laparte interna di quello centrale. Otterremo al primo passo

C1 = [0, 1/3] ∪ [2/3, 1],

al secondoC2 = [0, 1/9] ∪ [2/9, 1/3] ∪ [2/3, 7/9] ∪ [8/9, 1],

e così via...L’insieme di Cantor è per definizione l’insieme C =

⋂∞i=1 Ci Consideriamo ades-

so l’espansione di un numero reale in base 3. Gli unici numeri che non vengonorimossi in nessun passo e che dunque rimangono nell’insieme C sono i soli numerix ∈ [0, 1] che hanno un’espansione x = 0, a1a2...ak.... non avente nessun ak = 1.Questo ci permette costruire una funzione iniettiva f : { 0, 2 }N → [0, 1] asso-ciando ad ogni α = (a1, a2, . . . ak, . . . ) ∈ { 0, 2 }N il numero f(α) =

∑∞k=1

ak3k .

Infatti, x = f(α) ∈ C e non ci sono due diverse espansioni di x aventi comecifre soltanto {0, 2}. Ogni altra espansione di x deve contenere per forza la cifra1. Chiaramente { 0, 1 }N ∼ { 0, 2 }N e quindi esiste anche una funzione iniettivah : { 0, 1 }N → [0, 1].

La cardinalità della retta reale R è detta la potenza del continuo e si indicacon la lettera c. Sulla base del teorema precedente abbiamo che

card R = card (0, 1) = card P(N) = c.

Nota Bene 3.1. Nelle dimostrazioni precedenti abbiamo fatto uso sconsideratodell’assioma della scelta. Ma tanto il teorema di Cantor Schroeder come tuttele nostre affermazioni su insiemi numerabili e cardinalità in generale possonoessere dimostrate senza assumere questo assioma. Non bisogna però credere chela scelta di introdurre questo assioma sia del tutto irrilevante. L’unico esempiodisponibile di un insieme non misurabile secondo Lebesgue si costruisce solosulla base di questo assioma.

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3.5 Numeri ordinali e cardinaliAccenniamo brevemente e in modo informale alla costruzione di ordinali e car-dinali. Lavoreremo qui con insiemi i cui elementi sono altri insiemi e dunqueuseremo minuscole tanto per denotare un insieme come per i suoi elementi.Ogni insieme x si può ordinare con la relazione seguente z ∝ y se z ∈ y oz = y. Chiameremo ∝ relazione di appartenenza. Assumendo fra tanti altri(vedasi l’appendice del libro di Kelley citato in precedenza) un assioma, dettodi regolarità, che implica in particolare che per ogni insieme x, x /∈ x, possiamodefinire i numeri ordinali in modo seguente:

Definizione 3.3. Un insieme σ si dice numero ordinale se è totalmenteordinato dalla relazione di appartenenza ∝ ed inoltre se ogni suo elemento èanche un suo sottoinsieme. Ossia che vale x ∈ σ ⇒ x ⊂ σ.

Diamo qualche esempio di numero ordinale:Esempio: Sono numeri ordinali:

• ∅; chiamato 0.

• { ∅ }; chiamato 1. Quindi 1 = { 0 }

• { ∅, { ∅ } }; chiamato 2. Quindi 2 = { 0, 1 }

• { ∅, { ∅ } , { ∅, { ∅ } } }; chiamato 3. Quindi 3 = { 0, 1, 2 }

• . . . . . . . . . . . . . . . ....................

In base a questa definizione ogni numero appartenente a Z+ = {0}∪N è l’insiemedi tutti i numeri in Z+ più piccoli di esso. Da osservare che questa definizionedi numeri interi positivi come numeri ordinali finiti è interna alla teoria degliinsiemi basata sulla assiomatica di Fraenkel -Zermelo e prescinde degli assiomiche definiscono R. Questo approccio, considerabilmente diverso dalla definizionedi N come il più piccolo sottoinsieme induttivo di R, adottata precedentemente,è però vicino alla assiomatica di Peano.

Oltre agli ordinali enumerati precedentemente abbiamo che anche

ω = { 0, 1, 2, ..., n, ... }

risulta essere un numero ordinale per costruzione. L’ordinale ω è un insiemenumerabile ma non finito. Si dice che ω è il primo ordinale transfinito.E’ un numero ordinale anche ω + 1 = {ω, {ω } } e così via...

Si dimostra che tutti numeri ordinali sono ben ordinati dalla relazione di ap-partenenza. Inoltre, ogni insieme di numeri ordinali è ben ordinato. Usandol’induzione transfinita (che generalizza il principio di induzione di Peano) si di-mostra che ogni insieme ben ordinato è isomorfo a esattamente uno ed un solonumero ordinale. In particolare, due numeri ordinali sono isomorfi se e soltantose sono uguali. Questo permette assegnare ad ogni insieme ben ordinato il suo(unico) numero ordinale.

Vediamo adesso una particolarità dei numeri ordinali infiniti. Due ordinali diver-si, anche se non possono essere isomorfi con un isomorfismo di ordine, possono

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essere coordinabili fra di loro. Un buon esempio lo danno i numeri ordinali ω eω+1. Che non esiste nessun isomorfismo di ordine fra ω e ω+1 si può vedere fa-cilmente introducendo la nozione di predecessore di un elemento x come quelladel massimo fra tutti gli elementi che precedono strettamente x. Chiaramenteun isomorfismo di ordine preserva predecessori, ossia, se y è un predecessore dix, allora f(y) è un predecessore di f(x). Da questo risulta immediatamente cheω e ω + 1 non possono essere isomorfi. Infatti, ogni elemento di ω ha un prede-cessore, ma l’elemento {ω } ∈ ω+ 1 non ha alcun predecessore. Ciò nonostanteω è coordinabile con ω+1 e quindi ha la stessa cardinalità. Infatti, una biiezionef : ω → ω + 1 si costruisce definendo f(0) = {ω } , f(1) = 0, ...f(n) = n− 1, ....

Definizione 3.4. Un numero ordinale σ si dice numero cardinale se non ècoordinabile a nessun ordinale strettamente minore di σ.

Consideriamo la classe O degli numeri ordinali. Si può dimostrare che O non èun insieme ma che si tratta comunque di una classe ben ordinata dalla relazionedi appartenenza. Se a è un insieme qualsiasi, per il principio del buon ordina-mento ( equivalente all’assioma della scelta) possiamo introdurre sull’insieme aun buon ordine ≤ . Quindi, per quel che abbiamo detto prima, esiste un numeroordinale σ (unico) tale che (a,≤) è isomorfo per un isomorfismo di ordine ad(σ,∝). Poiché un isomorfismo di ordine è necessariamente una biiezione, risultache Oa = {σ ∈ O | a è coordinabile σ } è non vuoto. Essendo O una classeben ordinata, Oa avrà un primo elemento α. Si vede facilmente che α non puòessere coordinabile con nessuno degli ordinali strettamente più piccoli e dunqueα è un numero cardinale.Poniamo per definizione card a = α.In questo modo abbiamo associato ad ogni insieme un unico numero cardina-le che generalizza la nozione di numero di elementi di un insieme finito. Leoperazioni di somma e prodotto possono essere estese (con dovuta cautela) aoperazioni fra numeri cardinali.Cardinali finiti non si distinguono dagli ordinali finiti, essi sono { 0, 1, 2, 3, .... } .Si usano lettere greche per denotare ordinali infiniti. Invece per denotare numericardinali infiniti vengono usate lettere dell’alfabeto ebraico, ad esempio:

card N = card ω = ℵ0, c = card R = card P(N) = 2ℵ0 .

Il primo numero cardinale strettamente maggiore di ℵ0 si denota con ℵ1. Si èdimostrato che l’uguaglianza ℵ1 = 2ℵ0 , chiamata ipotesi del continuo, è unaaffermazione indipendente dall’assiomatica corrente della teoria di insiemi. Inaltre parole, usando solo gli assiomi di Fraenkel-Zermelo, non si può dimostrarené la precedente uguaglianza né il suo contrario, potendosi aggiungere o l’una ol’altra come assioma.Una breve discussione della storia dell’ipotesi del continuo (così come di ognialtra cosa, esistente o no) si può trovare su Wikipedia. e

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4 Spazi metrici e spazi topologici4.1 Spazi metriciLa retta reale R munita della distanza associata al valore assoluto è forsel’esempio più familiare di uno spazio metrico.Ricordiamo che la funzione modulo o valore assoluto, definita da

|x| ={x se x ≥ 0−x se x < 0,

verifica le seguenti proprietà:

1. |x| ≥ 0 e |x| = 0 ⇐⇒ x = 0;

2. |xy| = |x||y|;

3. |x+ y| ≤ |x|+ |y|.

Esercizio 4.1. .1)Dimostrare che per ogni numero reale x si ha −|x| ≤ x ≤ |x|2)Dimostrare che se r ≥ 0 allora |x| ≤ r ⇐⇒ −r ≤ x ≤ r.3)Dimostrare la proprietà triangolare del valore assoluto ( |x+ y| ≤ |x|+ |y|)

La funzione modulo permette di definire la distanza fra due punti x, y della rettaponendo

d(x, y) = |y − x| = |x− y|.In particolare |x| = d(x, 0).Lasciamo al lettore la dimostrazione della seguente proposizione:

Proposizione 4.1. La distanza d(x, y) definita sopra gode delle seguenti pro-prietà fondamentali:

1. d(x, y) ≥ 0, d(x, y) = 0 ⇐⇒ x = y;

2. d(x, y) = d(y, x);

3. d(x, y) ≤ d(x, z) + d(z, y) (proprietà triangolare).

Useremo queste tre proprietà per introdurre in modo assiomatico la nozione didistanza.

Definizione 4.1. Uno spazio metrico (X, d) è un insieme X munito di unafunzione d : X×X → R, che verifica le proprietà (1), (2), (3) della proposizioneprecedente. La funzione d si chiama distanza o metrica su X.

Esempi1. R con d(x, y) = |x− y| è uno spazio metrico.

2. (Metrica discreta) Sia X un insieme qualsiasi, definiamo

ddisc : X ×X → R,

comeddisc(x, y) =

{1 se x 6= y0 se x = y

.

E facile vedere che ddisc verifica tutte le tre proprietà di una distanza. Lametrica ddisc definita come sopra si chiama metrica discreta.

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3. SiaX = C[a, b] = { f : [a, b]→ R | f è continua } .

Definiamo d∞ : X × X → R come segue: Se f e g sono due funzionicontinue:

d∞(f, g) = supx∈[a,b]

|f(x)− g(x)|.

Notare che per il Teorema di Weierstrass si ha anche che

d∞(f, g) = maxx∈[a,b]

|f(x)− g(x)|.

4. Sia X come sopra, sia d1 : X ×X → R definita da :

d1(f, g) =∫ b

a

|f(x)− g(x)| dx

e sia

d2(f, g) =

√∫ b

a

|f(x)− g(x)|2 dx.

Esercizio 4.2. Verificare che d∞, d1 e d2 sono tre metriche definite sullo stessoinsieme X = C[a, b]. Vedremo più tardi che lo spazio metrico (X, d∞) è moltodiverso da (X, di), i = 1, 2

Esempio: Se (X1, d1) e (X2, d2) sono spazi metrici allora X1×X2 è uno spaziometrico con una qualsiasi di queste tre distanze:

d2((x1, x2), (y1, y2)) =√d2

1(x1, y1) + d22(x2, y2)

d∞((x1, x2), (y1, y2)) = max { d1(x1, y1), d2(x2, y2) }

d1((x1, x2), (y1, y2)) = d1(x1, y1) + d2(x2, y2)

.

Esercizio 4.3. Verificare che di, i = 1, 2,∞, è una metrica.

Esempio: (Metrica indotta su un sottoinsieme ) Sia (X, d) uno spaziometrico. Dato A ⊂ X la restrizione dA : A×A→ R, dA(x, y) = d(x, y) ∀x, y ∈ Adefinisce una metrica su A.Esempio: La lunghezza di una curva differenziabile a tratti γ : [a, b] → R3 èdefinita come

l(γ) =∫ b

a

||γ(t)||dt.

Consideriamo ora una superficie parametrica S nello spazio, ad esempio la sferaS = { (x, y, z) | x2 + y2 + z2 = 1 } .Dati due punti p, q ∈ S, consideriamo l’insieme G i cui elementi sono tutte lecurve γ : [0, 1]→ R3 differenziabili a tratti le cui immagini sono contenute in Se tali che γ(a) = p e γ(b) = q. La distanza geodetica fra il punto p ed il puntoq di S è, per definizione,

dgeo(p, q) = infγ∈G

l(γ).

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Notare che la distanza geodetica della sfera S non coincide con la distanzadS(p, q) indotta dalla metrica euclidea di R3 su S. Dai disegni si vede subito chese p 6= q allora

dS(p, q) < dgeo(p, q).

Nota Bene 4.1. il nome distanza geodetica deriva dal fatto che per due pun-ti p, q della superficie S sufficientemente vicini fra loro esiste un’unica curvadifferenziabile γ∗ ∈ G tale che l(γ∗) = dgeo(p, q). La curva γ∗ viene chiamatageodetica.

Esempio: Una pseudometrica è una funzione

d : X ×X → R

tale che valgono le proprietà (1), (2) e (3) eccetto: d(x, y) = 0 implica x = y.Il seguente è un esempio interessante di uno spazio pseudometrico:Sia R = [−1, 1]× [−1, 1] ⊂ R2 l’intervallo unitario di R2. Per ogni sottoinsiemeA ⊂ R e misurabile secondo Jordan resta definita la sua misura 0 ≤ m(A) <∞che verifica le seguenti proprietà:

1. m(A) ≥ 0,

2. m(A ∪B) = m(A) +m(B) (unione disgiunta);

3. m(A ∪B) = m(A) +m(B)−m(A ∩B).

SiaA = {A ⊂ R | A è misurabile secondo Jordan }

e siadm : A×A → R

definita dadm(A,B) = m(A4B).

Esercizio 4.4. Dimostrare che dm è una pseudometrica ma non è una metrica.

Esempio: Sia R = { f : [a, b]→ R | f è integrabile secondo Riemann } . Defi-niamo

dR(f, g) =∫ b

a

|f(x)− g(x)|1 + |f(x)− g(x)|dx.

dR così definita è una pseudometrica. Infatti:

1. dR ≥ 0,|f(x)− g(x)|

1 + |f(x)− g(x)| > 0

se|f − g| = 0⇒ dR = 0,

ma non vale l’implicazione inversa perché f e g potrebbero non esserecontinue;

2. dR(f, g) = dR(g, f) perché |f − g| = |g − f |;

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3. Dato che |f − g| ≤ |f − h|+ |h− g| risulta

dR(f, g) =∫

|f − g|1 + |f − g| ≤

≤∫

|f − h|+ |h− g|1 + |f − h|+ |h− g| =

=∫

|f − h|1 + |f − h|+ |h− g| +

∫|h− g|

1 + |f − h|+ |h− g| ≤

≤∫

|f − h|1 + |f − h| +

∫|h− g|

1 + |h− g| =

= dR(f, h) + dR(h, g).

Esercizio 4.5. Calcolare dR(χA, χB).

4.2 Spazi normatiLa norma è una generalizzazione astratta del concetto di valor assoluto del qualeconserva le proprietà fondamentali. In fisica e ingegneria essa ha il significatodi intensità di una grandezza vettoriale.

Definizione 4.2. Uno spazio normato (V, ‖.‖) è uno spazio vettoriale (nonnecessariamente di dimensione finita) munito di una funzione ‖.‖ : V → R,chiamata norma, che verifica:

1. ||v|| ≥ 0 ∀v ∈ V, ||v|| = 0 ⇐⇒ v = 0

2. ||λv|| = |λ|||v||

3. ||v + w|| ≤ ||v||+ ||w||.

Esempio: Sono norme sullo spazio vettoriale V = Rn :

• ||v||2 = ||(x1, . . . , xn)||2 =√x2

1 + · · ·+ x2n

• ||v||1 =n∑i=1|xi|

• ||v||∞ = max |xi|.

Più generalmente si può definire su Rn la norma-p di Minkowski:Dato 1 ≤ p <∞

||v||p = (n∑i=1|xi|p)1/p.

Per p = 1 si ha la norma ||.||1.Per p = 2 si ha la norma ||.||2.Si può dimostrare che limp→∞ ||v||p = ||v||∞.

Definizione 4.3. Uno spazio Euclideo (V,<,>) è uno spazio vettoriale (nonnecessariamente di dimensione finita) munito di una funzione <,> : V ×V → R(chiamata prodotto scalare) verificante:

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• < λv + µw), z >= λ < v, z > +µ < w, z > (Bilinearità)

• < v,w >=< w, v >

• < v, v >≥ 0 e < v, v >= 0 se e soltanto se v = 0

Esempio: Ogni spazio Euclideo (V,<,>) è anche uno spazio normato sedefiniamo la norma come ||v|| = √< v, v >.Non tutti gli spazi normati sono Euclidei. Non è difficile dimostrare che lacondizione necessaria e sufficiente affinché una norma derivi da un prodottoscalare e che essa abbia la proprietà del parallelogrammo

‖v + w‖2 + ‖v − w‖2 = 2(‖v‖2 + ‖w‖2) (4.1)

Degli spazi normati dell’esempio precedente solo (Rn, ‖, ‖2) è Euclideo perchéla norma deriva dal prodotto scalare

< (x1, . . . , xn), (x1, . . . , xn) >=n∑i=1

xiyi.

Lo spazio di funzioni continue X = C[a, b] è chiaramente uno spazio vettorialeinfinito dimensionale. (Che X non ha dimensione finita si vede facilmente os-servando che le funzioni fn(x) = xn formano un sistema di vettori linearmenteindipendenti.Consideriamo su X le seguenti norme:

• ||f ||∞ = supx∈[a,b]

|f(x)|;

• ||f ||p = (b∫a

|f(x)|pdx)1/p,

Esercizio 4.6. Dimostrare che per p = 1, 2,∞, ||f ||p è una norma.

Nota Bene 4.2. ||f ||p è una norma per ogni p, 1 ≤ p ≤ ∞ ma la dimostra-zione di questo fatto richiede una disuguaglianza nota come disuguaglianza diMinkowski

Notare che nel caso p = 2 la norma || − ||2 deriva dal prodotto scalare.

< f, g >=∫ b

a

f(x)g(x)dx.

Infatti ||f ||2 =< f, f >1/2 .

Teorema 4.7. Ogni spazio vettoriale normato è uno spazio metrico con lametrica d definita da d(v, w) = ||v−w||. La metrica d così costruita è invarianteper traslazioni, ossia d(v + z, w + z) = d(v, w).

La dimostrazione si riduce alla verifica delle tre proprietà caratteristiche diuna distanza usando le corrispondenti proprietà della norma e viene lasciataal lettore.Esempio: di(f, g), i = 1, 2,∞ è la distanza associata a ||f ||i, i = 1, 2,∞rispettivamente.

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4.3 Proprietà fondamentali degli aperti di uno spaziometrico

Cominciamo definendo il concetto di intorno di un punto in uno spazio metrico.Dato un punto x0 ∈ (X, d), la palla aperta di centro x0 e raggio r > 0 èl’insieme

B(x0, r) = {x ∈ X | d(x, x0) < r }

Esempi

• Se X = R allora

B(x0, r) = {x ∈ X | |x− x0| < r } = (x0 − r, x0 + r).

• Se X = R× R = R2 allora

• In norma ||.||1, B1(0, r) = { (x1, x2) | |x1|+ |x2| < r } (un rombo);

• In norma ||.||2, B2(0, r) = { (x1, x2) |√x2

1 + x22 < r } (un cerchio);

• In norma ||.||∞, B∞(0, r) = { (x1, x2) | max(|x1|, |x2|) < r } (un quadra-to).

La seguente proprietà risulta fondamentale per introdurre la nozione di intorno.

Proposizione 4.2. Sia (X, d) uno spazio metrico e B(x, r) una palla apertacon centro in x. Se z ∈ B(x, r) esiste δ > 0 tale che B(z, δ) ⊂ B(x, r).

Dimostrazione. Se z ∈ B(x, r) allora d = d(x, z) < r. Prendiamo δ = r− d > 0.Affermiamo che B(z, δ) ⊂ B(x, r). Infatti, se y ∈ B(z, δ), d(y, z) < δ quindi

d(y, x) ≤ d(y, z) + d(z, x) < d+ δ = r

e quindi y ∈ B(x, r).

Definizione 4.4. Dato uno spazio metrico (X, d), un intorno elementare dix ∈ X, è una palla aperta B(x, r) di centro x e raggio r > 0.N ⊂ X si dice intorno di x se x ∈ N ed esiste una palla con centro in x eraggio r tale che B(x, r) ⊂ N.

Esempio: Sia X = R e sia N = [2, 3] :

• x = 52 ∈ N, ed N è un intorno di 5/2, perché B( 5

2 ,12 ) = (2, 3) ⊂ N ;

• x = 83 ∈ N, ed N è un intorno di 8/3, B( 8

3 ,13 ) = (7

3 , 3) ⊂ N ;

• x = 103 /∈ N, e dunque N non può essere un suo intorno;

• x = 3 ∈ N, ma N non è un intorno di 3 perché nessuna palla con centroin nel punto 3 e raggio r > 0 è contenuta in N. Infatti, se r > 0 alloraB(3, r) = (3− r, 3 + r) contiene il punto 3 + r

2 /∈ N.

Possiamo facilmente concludere che N è intorno di x, ∀x ∈ (2, 3) ma non deipunti 2 e 3.

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Esercizio 4.8. Dimostrare che le seguenti affermazioni sono equivalenti:

1. xn → x;

2. ∀ε > 0 ∃n0 tale che ∀n ≥ n0 d(xn, x) < ε;

3. per ogni intorno elementare B(x, ε) di x esiste n0 tale che ∀n ≥ n0 xn ∈B(x, ε);

4. per ogni intorno N di x esiste n0 tale che ∀n ≥ n0 xn ∈ N.

Definizione 4.5. Un sottoinsieme U di uno spazio metrico (X, d) si dice aper-to se per ogni x ∈ U esiste una palla aperta B(x, r) con centro in x e raggiopositivo interamente contenuta in U. In altre parole U è un insieme aperto se èintorno di ognuno dei suoi punti.

La famiglia dei sottoinsiemi aperti di uno spazio metrico (X, d) si chiama topo-logia. La denoteremo con Td per indicare che si tratta della topologia associataalla metrica d. Per definizione Td = {U | U ⊂ X,U aperto } .

Teorema 4.9. La topologia Td di uno spazio metrico verifica le seguenti pro-prietà:

1. ∅, X ∈ Td;

2. Se (Uα)α∈A ∈ Td allora⋃α∈A

Uα ∈ Td, ossia qualsiasi unione di insiemi

aperti è un insieme aperto;

3. Se U1, . . . , Un ∈ Td alloran⋂i=1

Ui ∈ Td, ossia l’intersezione di un numero

finito di insiemi aperti è un insieme aperto.

Dimostrazione. 1. Banalmente ∅ verifica la definizione 4.5 semplicementeperché non ci sono x ∈ ∅. Lo spazio X è aperto perché per ogni x ∈ X,B(x, 1) ⊂ X. Quindi X e ∅ sono aperti.

2. Sia U =⋃α∈A

Uα e sia x ∈ U allora esiste α0 tale che x ∈ Uα0 . Poiché Uα0

è aperto esiste B(x, δ) ⊂ Uα0 ⊂ U. Si è così trovato un intorno elementaredi x contenuto in U.

3. Sia x ∈n⋂i=1

Ui allora per ogni i, 1 ≤ i ≤ n, x ∈ Ui. Poiché Ui è aper-

to, per ogni i, 1 ≤ i ≤ n, esiste un ri > 0 tale che B(x, ri) ⊂ Ui. Siar = min(r1, . . . , rn) > 0. Poiché r < ri ∀i, si ha cheB(x, r) ⊂ B(x, ri) ⊂ Uiper ogni i. Quindi B(x, r) ⊂

n⋂i=1

Ui e ciò dimostra chen⋂i=1

Ui è aperto.

Abbiamo un’utile descrizione degli aperti di uno spazio metrico:

Proposizione 4.3. In ogni spazio metrico (X, d), U è aperto se e solo se U èun’unione di palle aperte (o intorni elementari).

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Dimostrazione. (⇐) La prima cosa da osservare è che per la Proposizione 4.2risulta immediatamente che in uno spazio metrico la palla aperta B(x, r) è uninsieme aperto per ogni x ∈ X e r > 0. Quindi, se V =

⋃α∈A

B(xα, δα) allora V

è aperto perché unione di aperti.(⇒) Reciprocamente se U è un aperto ∀x ∈ U possiamo trovare una pallaB(x, δx) ⊂ U. Ma allora

U =⋃x∈U

B(x, δx).

4.4 Spazi topologiciLa topologia è nata nel primo novecento. I matematici hanno codificato sottoil nome di topologia (studio dei luoghi) una serie di proprietà che non aveva-no bisogno delle considerazioni metriche per essere formulate (conosciute giàdal settecento e studiate da Eulero, Gauss, Riemann e molti altri). Il nometopologia è dovuto a Felix Hausdorff che ha anche provveduto a formularnegli assiomi fondamentali sulla base della, allora recente, teoria degli insiemi diGeorg Cantor.

Definizione 4.6. Uno spazio topologico (X, T ) è un insieme X con unafamiglia T ⊂ P(X) di sottoinsiemi di X che verifica le proprietà (1), (2) e (3)del Teorema 4.9. La famiglia T si chiama topologia mentre gli elementi di Tsi dicono aperti dello spazio topologico X.

Il Teorema 4.9 della sezione precedente ci dice che ogni spazio metrico possiedeuna topologia Td, i cui aperti sono definiti da 4.5 (è molto importante ricordarela definizione 4.5 degli aperti della topologia Td associata ad una metrica).Quindi, ogni spazio metrico è anche uno spazio topologico. Ma non è vero cheogni spazio topologico possiede una metrica. Ci sono topologie che non possonoessere della forma Td con d una distanza su X.Esempio: Uno stesso insieme X può avere molte topologie diverse. La topo-logia più grande definibile su un insieme X è la topologia Tdis = P(X), i cuiaperti sono tutti i sottoinsiemi di X. Infatti, P(X) verifica banalmente le treproprietà di una topologia.Dimostreremo ora che la topologia Tdis è associata ad una metrica su X. Ossiache esiste una metrica d su X tale che Tdis = Td. Per questo consideriamol’insieme X con la metrica discreta

ddis(x, y) ={

1 x 6= y0 x = y

.

Per ogni x ∈ X abbiamo che B(x, 12 ) = {x } , e dunque per ogni x, {x } è un

insieme aperto di Tddis . Poiché per ogni sottoinsieme A di X

A = ∪x∈A {x }

risulta che ogni A ⊂ X è un insieme aperto di Tddis perché, per la proprietà(3) di una topologia, l’unione qualsiasi di insiemi aperti è un insieme aperto.Quindi Tddis = P(X) = Tdis.

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La topologia Tdis = P(X) si chiama topologia discreta.La più piccola topologia che si possa definire su un insieme X è la topologiaTind = { ∅, X } che ha solo due aperti: l’insieme X e l’insieme vuoto. Tindsi chiama la topologia indiscreta. E’ immediato verificare che Tind è unatopologia. Ma vedremo che non esiste alcuna metrica su X tale che Td = Tindse X ha almeno due elementi.Infatti, la topologia Td di uno spazio metrico (X, d) gode di una proprietà spe-ciale detta proprietà di separazione di Hausdorff : dati due punti x, y ∈ Xcon x 6= y esistono due insiemi aperti U, V tali che x ∈ U, y ∈ V e U ∩ V = ∅.Per dimostrare che ogni spazio metrico (X, d) verifica la proprietà di separazionedi Hausdorff dati x, y ∈ X x 6= y basta prendere U = B(x, δ) e V = B(y, δ) conδ = d(x, y)/2. Osserviamo che se card X ≥ 2, allora Tind non ha la proprietàdi Hausdorff e quindi (X, Tind) è uno spazio topologico ma non è uno spaziometrico.

Esercizio 4.10. Quante topologie possono essere definite su un insieme diquattro elementi?

Esercizio 4.11. Sia X = R con la metrica d(x, y) = |x − y|. Dimostrare cheU è aperto di (R, d) se e solo se U =

∞⋃i=1

(ai, bi) (unione disgiunta) ossia U è

unione numerabile di aperti disgiunti.

Suggerimento: per ogni x ∈ U sia Vx = (ax, bx) il più grande intervallo apertotale che x ∈ Vx ⊂ U. Dimostrare che se Vx ∩ Vy 6= ∅ allora Vx = Vy.

Esercizio 4.12. Dimostrare che le tre norme || − ||i, i = 1, 2,∞ su X = Rnhanno gli stessi insiemi aperti.

Nota Bene 4.3. Dimostreremo più tardi che tutte le norme su Rn hanno glistessi insiemi aperti. Dunque, quando parliamo della topologia dello spazio Rn,non abbiamo bisogno di precisare la norma considerata.

Esempio:Se consideriamoX = R2 con la topologia indotta dalla norma due (per esempio).L’insieme

A = { (x, y) ∈ R2 | x > 0, y ≥ 0 }

non è aperto perché non è intorno di nessuno dei punti che stanno sulla rettay = 0.Mentre l’insieme U = { (x, y) ∈ R2 | x > 0, y > 0 } è aperto.(Dimostrarlo!)Qualsiasi insieme U della U = { (x, y) ∈ R2 | aix+ biy + ci > 0, 1 ≤ i ≤ k }è un aperto del piano. In generale, un insieme definito un numero finito didisuguaglianze lineari strette è un aperto di Rn.

Esercizio 4.13. Nello spazio normato (C[0, 1], ||.||∞) consideriamo l’insieme

A = { f ∈ C[0, 1] | f(x) > 0 ∀x } .

Dimostrare che A è aperto. Suggerimento: usare il teorema di Weierstrass(dellaesistenza dei massimi e minimi).

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Esercizio 4.14. Definiamo R la topologia dell’ordine T≤ che ha come apertil’insieme vuoto, tutta la retta e gli insiemi della forma (a,+∞), a ∈ R.Dimostrare che T≤ è una topologia che non deriva da una metrica su R.

4.5 Topologia relativaSia (X, T ) uno spazio topologico e Y ⊂ X un suo sottoinsieme. La topologiarelativa di Y indotta dalla topologia di X ha come aperti la famiglia TY disottoinsiemi di Y che sono intersezioni di Y con qualche aperto U di X.Più precisamente,

TY = {V | V = U ∩ Y | U ∈ T } .

Lo spazio topologico (Y, TY ) è detto sottospazio di X.E’ facile vedere che se (X, d) è uno spazio metrico e Y ⊂ X allora la topologiarelativa su Y indotta dalla topologia metrica Td su X coincide con la topologiadella metrica dY , restrizione della metrica d ad Y.La topologia relativa ha qualche aspetto poco intuitivo.Esempio: Consideriamo lo spazio X = R2, con la topologia indotta da unaqualsiasi delle metriche studiate in precedenza. Ad esempio d2 e consideriamoil sottospazio Y = { (x, y) | y ≥ 0 } con la topologia relativa. Allora l’insiemeA = { (x, y) ∈ R2 | x > 0, y ≥ 0 } contenuto nel semipiano Y non è né chiusoné aperto in R2 ma è un sottoinsieme aperto di (Y, TY ). Perché?

Esercizio 4.15. i) Descrivere gli aperti dello spazio Y = (−∞, 0] ∪ N ⊂ R chenon sono aperti di R.ii) Idem con Y { (x, y) ∈ R2 | , y ≤ 0 } ∪ { (x, y) ∈ R2 | y = 1/n, n ∈ N } .

Esercizio 4.16. Dimostrare che se Y è un aperto di X allora V ⊂ Y TY se esoltanto se V è un sottoinsieme di Y aperto in X.

4.6 Chiusi, chiusura, interno e bordoUn sottoinsieme C di uno spazio topologico (X, T ) si dice chiuso se il suocomplemento è aperto. Quindi C è chiuso se e soltanto se Cc ∈ T . Usando leleggi di De Morgan e le proprietà (1), (2), (3) di T si dimostra facilmente che:

1. X e ∅ sono chiusi (essendo uno il complementare dell’altro sono entrambisia chiusi che aperti);

2. intersezione qualsiasi di chiusi è un insieme chiuso;

3. unione finita di insiemi chiusi è un insieme chiuso.

Queste tre proprietà caratterizzano lo spazio X. Infatti uno spazio topolo-gico può essere alternativamente definito specificando la famiglia C dei suoisottoinsiemi chiusi verificante le proprietà descritte sopra.

Esercizio 4.17. Sia (X, T ) uno spazio topologico e sia Y ⊂ X. Dimostrareche un sottoinsieme C ⊂ Y è un chiuso di Y nella topologia relativa di Y se esoltanto se esiste un sottoinsieme chiuso C ′ di X tale che C = C ′ ∩ Y.

Esercizio 4.18. Dimostrare che se Y è un chiuso di X allora C ⊂ Y è chiusonella topologia relativa se e soltanto se C è un sottoinsieme di Y chiuso in X.

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Se (X, d) è uno spazio metrico sappiamo che B(x, r) = { y ∈ X | d(x, y) < r }è un sottoinsieme aperto di X per ogni r > 0. Dimostriamo ora:

Proposizione 4.4. B(x, r) = { y ∈ X | d(x, y) ≤ r } è un sottoinsieme chiusodi X per ogni r ≥ 0

Dimostrazione. Basta verificare che B(x, r)c è aperto.Se y ∈ B(x, r)c allora d(x, y) > r. Sia δ = d(x, y) − r. Se z ∈ B(y, δ) allorad(z, y) < δ Per la proprietà triangolare della distanza si ha d(x, y) ≤ d(x, z) +d(z, y) cioè d(x, z) ≥ d(x, y) − d(z, y). Quindi, d(x, z) > d(x, y) − δ = r ossiad(x, z) > r e per tanto z /∈ B(x, r). Questo dimostra che B(y, δ) ⊂ B(x, r)c, equindi B(x, r)c è aperto.

Definizione 4.7. Se A ⊂ X è un sottoinsieme di uno spazio topologico X sichiama chiusura di A il più piccolo insieme chiuso di X contenente A. Lachiusura di A si denota con A.

Proposizione 4.19. Sia CA la famiglia di tutti gli sottoinsiemi chiusi di Xcontenenti l’insieme A. Allora

A =⋂C∈CA

C.

Dimostrazione. Sia C =⋂C∈CA C. L’insieme C è chiuso perché è una interse-

zione di insiemi chiusi. Inoltre A ⊂ C perché A ⊂ C per ogni C ∈ C. Se C ′ è unqualsiasi insieme chiuso che contiene A allora C ⊂ C ′ perché C ′ ∈ C. Quindi Cè il più piccolo insieme chiuso di X contenente A. Per definizione di chiusura diun insieme C = A.

Definizione 4.8. Se (X, T ) è uno spazio topologico e A ⊂ X è un sottoinsiemedi X si chiama interno di A (e si indica Å) il più grande insieme aperto di Xcontenuto in A.

Un argomento analogo a quello di sopra dimostra che

Å =⋃

U∈T , U⊂AU.

Chiameremo bordo di A l’insieme ∂A = A∩Ac L’esterno di A è per definizionel’interno del complemento di A.

Esercizio 4.20. Dimostrare che (Å)c = Ac.

Esercizio 4.21. Dimostrare che per ogni spazio topologico X e per ogni sot-toinsieme A ⊂ X si ha

X = A ∪ ∂A ∪ Ac.

Inoltre gli insiemi Å, ∂A, Ac sono due a due disgiunti.

Teorema 4.22 (Proprietà dell’operazione chiusura). Se (X, T ) è uno spaziotopologico e se A ⊂ X è un sottoinsieme di X allora

1. A ⊂ A;

2. ¯A = A, in particolare A è chiuso se e solo se A = A;

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3. A ∪B = A ∪ B;

4. ∅ = ∅.

Dimostrazione. 1. E’ ovvio per definizione.

2. A è chiuso ma allora la chiusura dell’insieme chiuso A è il più piccoloinsieme chiuso che contiene A ossia esso stesso. Quindi ¯A = A.

3. Sappiamo che A ⊂ A, B ⊂ B e quindi A ∪ B ⊂ A ∪ B. Ma unionefinita di chiusi è chiusa e dunque A ∪ B è chiuso. Si ha dunque cheA ∪B ⊂ A∪B perché A ∪B è il più piccolo chiuso contente A∪B. Inoltre,poiché A ⊂ A ∪B, abbiamo che A ⊂ A ∪B e analogamente B ⊂ A ∪B.Quindi, A ∪ B ⊂ A ∪B. Questo dimostra l’uguaglianza dei due insiemi.

Esiste un teorema analogo per l’operazione ”interno” la cui dimostrazione èlasciata al lettore per esercizio.

Teorema 4.23 (Proprietà dell’operazione interno). Nelle ipotesi del teoremaprecedente si ha che:

1. A ⊂ A;

2. ˚A = A, in particolare A è aperto se o solo se A = A;

3. ˚(A ∩B) = A ∩ B.

Non è vere in genere ˚(A ∪B) = A ∪ B, né che A ∩B = A ∩ B. Si consideri adesempio i numeri razionali ed irrazionali della retta.

Esercizio 4.24. Dimostrare che ∂A = ∅ se e soltanto se A è tanto chiuso comeaperto in X.

Esercizio 4.25. Dimostrare che se D ⊂ X è tale che D = X allora, per ogniinsieme aperto U di X si ha che ¯D ∩ U = U .

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5 Topologia degli spazi metrici5.1 Chiusura e punti d’aderenza di un insiemeLe operazioni chiusura, l’interno e bordo di un insieme vengono definite per ognispazio topologico (X, T ) ma nel caso di uno spazio (X, d) metrico esse ammet-tono una caratterizzazione più intuitiva in termini di convergenza di successioniche andremo qui a studiare.

Dato uno spazio metrico (X, d) ed un insieme A ⊂ X, si dice che x è un puntodi aderenza di A se ogni intorno elementare B(x, ε) di x contiene punti di A.Quindi x è un punto d’aderenza di A se ∀ε > 0 B(x, ε) ∩A 6= ∅.Si dice che x è interno ad A se esiste ε > 0 tale che B(x, ε) ⊂ A cioè se A è unintorno di x. Diremo che un punto x ∈ X è esterno ad A se x è interno a Ac.Ogni punto di A è un punto di aderenza ad A e ogni punto interno deve ap-partenere all’insieme A. Si noti che un punto esterno ad A non è mai un puntod’aderenza all’insieme A.

Esercizio 5.1. Dimostrare che1) x è un punto di aderenza di A se e soltanto se per ogni intorno N di xN ∩A 6= ∅;2) x è un punto interno di A se e soltanto se esiste un intorno N di x taleN ⊂ A 6= ∅.

I punti di aderenza di un insieme si possono caratterizzare agevolmente intermini di convergenza di successioni.

Definizione 5.1. Diremo che una successione (xn) di elementi di uno spaziometrico (X, d) converge ad un elemento x ∈ X (simbolicamente xn // x) sela successione numerica d(xn, x) // 0.

Esercizio 5.2. Dimostrare che se xn // x e xn // y allora x = y.

Esercizio 5.3. Dimostrare che una successione (xn) di elementi di X convergead x se e soltanto se per ogni ε > 0 esiste n0 ∈ N tale che xn ∈ B(x, ε) per ognin > n0.

Esercizio 5.4. Come si potrebbe definire la convergenza in uno spazio topologicogenerale (X, T )? Che cosa bisognerebbe richiedere allo spazio topologico per averel’unicità del limite? Suggerimento: provare con la topologia indiscreta.

Teorema 5.5. x è un punto di aderenza ad A se e solo se esiste una successione(xn)n≥1, xn ∈ A tale che xn // x.

Dimostrazione. Se x è di aderenza ad A, presa B(x, 1n ) esiste xn ∈ A∩B(x, 1

n ).Allora d(xn, x) < 1

n e quindi d(xn, x) // 0 per n → ∞. Così abbiamo trovatouna successione tale che xn → x.Reciprocamente se xn ∈ A, xn // x allora ∀ε > 0 ∃n0 : ∀n ≥ n0, d(xn, x) < ε.Quindi xn ∈ A e xn ∈ B(x, ε), ossia B(x, ε) ∩A 6= ∅.

Dunque i punti di aderenza possono essere visti come limiti di successioni dipunti di A.

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Vediamo ora che l’insieme Aad = {x | x è aderente ad A } di tutti i punti diaderenza ad A altro non è che la chiusura A dell’insieme A.Dimostriamo prima due lemmi:

Lemma 5.6. Aad è un insieme chiuso.

Dimostrazione. Se y /∈ Aad, esiste ε > 0 tale che B(y, ε) ∩ A = ∅. Per laProposizione 4.2 per ogni z ∈ B(y, ε) esiste B(z, δ) ⊂ B(y, ε) e quindi B(z, δ)∩A = ∅.Ma allora nessun z ∈ B(y, ε) appartiene a Aad e dunque B(y, ε) ⊂ Acad. Nesegue che Acad è aperto e Aad è chiuso.

Esercizio 5.7. Dimostrare il lemma precedente usando la caratterizzazione 5.5dei punti di aderenza di A come limiti di successioni di A.

Lemma 5.8. Se A è chiuso e xn ∈ A, n ≥ 1 e xn // x allora x ∈ A.

Dimostrazione. Si supponga per assurdo che x /∈ A e quindi x ∈ Ac. PoichéAc è aperto, esiste ε > 0 tale che B(x, ε) ⊂ Ac. Quindi B(x, ε) ∩ A = ∅,contraddicendo xn // x.

Teorema 5.9. Aad = A.

Dimostrazione. Sappiamo che Aad è un insieme chiuso e che A ⊂ Aad. PoichéA è il più piccolo insieme chiuso che contiene A necessariamente A ⊂ Aad.Reciprocamente se x ∈ Aad esiste xn ∈ A tale che xn // x. Ma xn ∈ A ⊂ A exn // x. Poiché A è chiuso per il secondo lemma x ∈ A.Abbiamo dimostrato che ogni x ∈ Aad, appartiene a A. Dunque Aad ⊂ A.Ne segue che Aad = A.

Corollario 5.10. x ∈ A se e soltanto se esiste una successione (xn) di elementidi A tale che xn // x.

Corollario 5.11. Un sottoinsieme A di uno spazio metrico (X, d) è chiuso inX se e soltanto se il limite di ogni successione di elementi di A appartiene adA.

Esercizio 5.12. Dimostrare che Aint = {x | x è interno ad A } = A e cheAest = {x | x è esterno ad A } = Ac

Esercizio 5.13. Dimostrare che un punto x ∈ (X, d) appartiene al bordo di unsottoinsieme A se e soltanto se per ogni ε > 0 la palla B(x, ε) ha intersezionenon vuota sia con A sia con Ac.

Esempio: Vediamo che ogni punto aderente all’insieme

A = { (x, y) | x = 0 } ∪ { (x, y) | x = 1n, n ∈ N }

del piano R2, appartiene ad A. Per il Teorema 5.9 basta verificare che Ac èaperto. Quindi, per ogni (x, y) ∈ B bisogna trovare una palla B(x, ε) contenutain Ac. Se (x, y) ∈ Ac e x < 0 basterà prendere ε = ‖x‖2, se x > 1 basterà

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prendere ε = ‖x‖2− 1. Se invece 0 < x < 1, avremo 1n0< x < 1

n0−1 per qualchen0 ∈ N. In questo caso prendendo ε = min(|x − 1

n0|, |x − 1

n0−1 |) avremo cheB(x, ε) ⊂ Ac. Ne segue che A è chiuso e quindi A = A.

Esercizio 5.14. Dimostrare l’affermazione di sopra usando la caratterizzazionedi chiusi nel Corollario 5.11.

Esempio: Nello spazio X = R con la metrica d(x, y) = |x − y| consideriamol’insieme A = Q∩ (0, 1). Osserviamo che 1√

2 /∈ A ma usando il fatto che fra duenumeri reali distinti esiste sempre un numero razionale è facile (lo si faccia!)costruire una successione crescente q1 < q2 < . . . qn . . . tale che per ogni nqn ∈ A e qn // 1√

2 . Quindi 1√2 /∈ A ma 1√

2 ∈ A.

Esercizio 5.15. Dimostrare che A = [0, 1].

Esercizio 5.16. Dimostrare che se (X, d) è uno spazio metrico e (xn) è unasuccessione tale che xn // x, allora

{xn } = {xn } ∪ {x } .

Abbiamo visto che in ogni spazio metrico la palla chiusa B(x, r) = { y | d(x, y) ≤ r } ,è un insieme chiuso. Per definizione, la chiusura della palla aperta B(x, r) ècontenuta nella palla chiusa B(x, r). Però ci sono spazi metrici dove B(x, r) 6=B(x, r).Esempio: Consideriamo (X, ddisc) con cardX ≥ 2. In questo spazio metricoB(x, 1) = { y | ddisc(x, y) < 1 } = {x } , Essendo {x } un insieme chiuso

B(x, 1) = {x } = {x } .

D’altro canto B(x, 1) = { y | ddisc(x, y) ≤ 1 } = X. Possiamo quindi concludereche se l’insieme X ha più di un punto allora

B(x, 1) 6= B(x, 1).

Invece quando la metrica è abbastanza regolare la palla chiusa coincide con lachiusura della palla aperta dello stesso raggio. Infatti:

Teorema 5.17. In (Rn, ||.||2) vale B(x, r) = B(x, r).

Dimostrazione. Come detto in precedenza vale B(x, r) ⊂ B(x, r) quindi bastadimostrare che B(x, r) ⊃ B(x, r). Per fare ciò per ogni y ∈ B(x, r) cerchiamouna successione yn ∈ B(x, r) tale che yn // y.Senza perdere generalità possiamo supporre che x = 0 e r = 1. Se y ∈ B(0, 1) o||y|| < 1 ed in tal caso y ∈ B(0, 1). e possiamo prendere la successione costanteyn = y ∀n oppure ||y|| = 1 ed in questo caso si può prendere yn = (1 − 1

n )y.Avremo allora ||yn|| = |1 − 1

n |||y|| < 1. Quindi yn ∈ B(0, 1) e chiaramenteyn // y.

Esercizio 5.18. Determinare l’interno il bordo e la chiusura dell’insieme diCantor.

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5.2 Mappe continue tra spazi topologici e tra spazi metriciRicordiamo che funzione o mappa f : R→ R è continua in x se

∀ε > 0 ∃δ > 0 tale che x′ ∈ B(x, δ) ⇒ f(x′) ∈ B(f(x), ε).

Equivalentemente f è continua in x se per ogni xn //x si ha che f(xn) //f(x).La funzione si dice continua se è continua in ogni punto del suo dominio.Osservare che entrambe le formulazioni del concetto di continuità si genera-lizzano immediatamente a mappe fra spazi metrici con esattamente la stessaformulazione. Procederemo in modo leggermente diverso per definire la conti-nuità di funzioni fra spazi topologici. Vedremo anche che ritroveremo la nozionea noi familiare nel caso degli spazi metrici.

Definizione 5.2. Siano,(X, T ) e (Y, T ′) due spazi topologici. Una funzionef : X → Y si dice continua se la controimmagine di ogni insieme aperto di Y èun aperto di X.

f è continua ⇐⇒ ∀V ∈ T ′ f−1(V ) ∈ T (5.1)

Nel teorema seguente confrontiamo varie formulazioni equivalenti del concettodi continuità.

Teorema 5.19. Siano (X, T ), (Y, T ′) spazi topologici e sia f : X → Y unafunzione.i) Sono equivalenti le seguenti affermazioni:

(a) per ogni V aperto di Y f−1(V ) è aperto in X (cioè f e continua);

(b) per ogni C chiuso di Y f−1(C) è chiuso in X;

(c) per ogni A ⊂ X f(A) ⊂ f(A);

ii) Inoltre se (X, d), (Y, d′) sono spazi metrici allora le tre affermazioni delpunto i) sono anche equivalenti a:(d) se xn // x allora f(xn) // f(x);(e) ∀x ∈ X, ∀ε > 0 ∃δ > 0 : f(B(x, δ)) ⊂ B(f(x), ε).

Dimostrazione. La dimostrazione di (a) ⇐⇒ (b) è immediata usando il fattoche C è chiuso se e soltanto se Cc è aperto e che (f−1(C))c = f−1(Cc).Vediamo che (b)⇒ (c). Per definizione di chiusura di un insieme f(A) è chiusoe f(A) ⊂ f(A). Prendendo l’immagine inversa otteniamo

A ⊂ f−1(f(A)) ⊂ f−1(f(A)).

Per il punto (b), f−1(f(A)) è chiuso e contiene A. Quindi

A ⊂ f−1(f(A)).

Applicando la f risulta

f(A) ⊂ f(f−1(f(A))) ⊂ f(A).

Dimostriamo ora che (c)⇒ (b).

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Sia C ⊂ Y un insieme chiuso. Verifichiamo che D = f−1(C) è anch’esso chiuso.Basta dimostrare che D = D e poichè vale sempre che D ⊂ D, basta dimostrareche D ⊂ D. Poiché C è chiuso, sappiamo che C = C e per la (c) si ha chef(f−1(C)

)⊂ C = C. Prendendo f−1 di entrambi membri risulta

D = f−1(C) ⊂ f−1[f(f−1(C)

)] ⊂ f−1(C) = D.

Dunque D = f−1(C) è chiuso.

Supponiamo ora che X e Y siano spazi metrici e dimostriamo (c) ⇒ (d) ⇒(e)⇒ (a). Così avremo stabilito l’equivalenza di tutte le cinque affermazioni.Prima di tutto dimostriamo il seguente lemma:

Lemma 5.20. Sia (xn) una successione in uno spazio metrico (X, d). Se (xn)non converge a x allora esiste ε > 0 ed una sottosuccessione (xnk) di (xn) taleche d(xnk , x) > ε.

Dimostrazione. Ricordiamo che (xn) non converge a x equivale a

∃ε > 0 : ∀n ∃m > n per cui d(xm, x) > ε.

Prendiamo un n1 tale che d(xn1 , x) > ε. Poiché (xn) non converge a x, daton1 esiste n2 > n1 tale per cui d(xn2 , x) > ε e ripetendo il ragionamento sitrovano n1 < n2 < . . . tali che d(xnk , x) > ε. Quindi (xnk) è la sottosuccessionedesiderata.

Dimostriamo ora che (c) ⇒ (d). Prendiamo una successione (xn) tale chexn //x. Supponiamo per assurdo che f(xn) non converga a f(x). Poiché f(xn)non converge a f(x), per il lemma precedente, esiste ε > 0 ed una sottosuc-cessione (f(xnk)) della successione (f(xn)) tale che d(f(xnk), f(x)) > ε. Poichéxn // x abbiamo anche che xnk // x.Sia A = {xnk } . Risulta x ∈ A ma f(x) /∈ f(A) perché d(f(xnk), f(x)) > ε equindi B(f(x), ε) ∩ f(A) = ∅. Dunque f(A) * f(A) il che contraddice (c).

Dimostriamo (d) ⇒ (e). Supponiamo per assurdo che esista un x ∈ X taleche f non sia continua in x. Allora deve esistere un ε > 0 tale che ∀δ > 0f(B(x, δ)) * B(f(x), ε). Per ogni n ∈ N prendiamo δ = 1

n . Poichè f(B(x, 1n )) *

B(f(x), ε) deve esistere un xn ∈ B(x, 1n ) tale che f(xn) /∈ B(f(x), ε). Avre-

mo così d(xn, x) < 1n e d(f(xn), f(x)) ≥ ε. Ciò vuol dire che, per n → ∞,

d(xn, x) // 0. Quindi xn //x ma f(xn) non converge a f(x) il che contraddice(d).

Finalmente dimostriamo che (e) ⇒ (a). Sia x ∈ f−1(V ) = U allora f(x) ∈ V.Siccome V è aperto esiste ε > 0 tale che B(f(x), ε) ⊂ V. Per (e) esiste un δ > 0tale che f(B(x, δ)) ⊂ B(f(x), ε). Quindi

B(x, δ) ⊂ f−1[B(f(x), ε)] ⊂ f−1(V ) = U.

Ciò dimostra che U è aperto.

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Esempi

• Consideriamo i sottoinsiemi {x | |x| > a } e {x | |x| ≥ a } di R. Il primoè aperto ed il secondo è chiuso. Questo si può dimostrare direttamenteusando la definizione di aperto e chiuso ma anche usando il fatto che lafunzione f(x) = |x| è continua. Prima di tutto verifichiamo la continuitàdella funzione f usando una nota disuguaglianza che si deduce facilmentedalla proprietà triangolare del valore assoluto (la si dimostri!):

||x| − |y|| ≤ |x− y|. (5.2)

Si supponga ora che xn // x e quindi |xn − x| // 0. Poichè ||xn| − |x|| ≤|xn − x| anche ||xn| − |x|| // 0 e quindi |xn| // |x|.Ciò dimostra chef(x) = |x| è continua.Alternativamente, si può usare la (5.2) per verificare la (e).Osserviamo che l’insieme {x | |x| > a } coincide con f−1(a,+∞). Es-sendo (a,+∞) aperto per la (a) deve essere aperto anche {x | |x| > a } .Analogamente, {x | |x| ≥ a } è chiuso perché {x | |x| ≥ a } = f−1[a,+∞)ed è quindi la controimmagine di un insieme chiuso.

• Sia {x | sin x > cosx } , l’insieme è aperto. Infatti, la funzione f(x) =sin x− cosx è continua dunque

{x | sin x > cosx } = {x | sin x− cosx > 0 } = f−1((0,+∞)),

ossia controimmagine di un aperto. Più generalmente è aperto ogni insie-me definito da una disuguaglianza stretta tra funzioni f, g continue.

Esercizio 5.21. Dimostrare che la composizione di due mappe continue è con-tinua

Esercizio 5.22. Sia f : X → Y una mappa fra due spazi topologici e sia Z =Im f munito della topologia relativa. Dimostrare che f : X → Y è continua see soltanto se f : X → Z, definita da f(x) = f(x) è continua.

Esercizio 5.23. i) Dimostrare che se f, g sono continue allora l’insieme {x | f(x) ≤ g(x) }è chiuso.ii) Dimostrare che se fi, gi, 1 ≤ i ≤ n, sono continue allora l’insieme

{x | fi(x) < gi(x), 1 ≤ i ≤ n }

è aperto. E se l’insieme è definito da disuguaglianze strette fra due famiglienumerabili di funzioni? Dare esempi.

Esercizio 5.24. Si numerino i numeri razionali Q = { q1, . . . , qn, . . . }. Sidefinisce f : R→ R

f(x) ={

0 x ∈ Irr1/n x = qn

.

Dimostrare che f è continua in ogni numero irrazionale e discontinua solo sex ∈ Q.

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Proposizione 5.1. Siano x, y, z tre punti di uno spazio metrico (X, d), alloravale

|d(x, z)− d(y, z)| ≤ d(x, y). (5.3)

Dimostrazione. Per la disuguaglianza triangolare d(y, z) ≤ d(x, z) + d(x, y) eanche d(x, z) ≤ d(y, z) + d(x, y). Sottraendo d(x, z) ad entrambi membri del-la prima e d(y, z) della seconda abbiamo d(y, z) − d(x, z) ≤ d(x, y) e anche−(d(y, z)− d(x, z)) ≤ d(x, y). Quindi |d(x, z)− d(y, z)| ≤ d(x, y).

Se X = V, uno spazio vettoriale, poichè ‖x‖ = d(x, 0) prendendo z = 0 nella(5.3) otteniamo

|‖x‖ − ‖y‖| ≤ ‖x− y‖. (5.4)

Il che ci restituisce la (5.2) nel caso V = R

Definizione 5.3. Una mappa f : (X, d) → (Y, d′) si dice lipschitziana dicostante Lipschitz k se

d′(f(x), f(y)) ≤ k d(x, y).

La mappa f si dice contrazione se k < 1, f si dice non espansiva se k = 1.

Definizione 5.4. Una mappa f : (X, d) → (Y, d′) si dice uniformementecontinua se

∀ε > 0 ∃δ > 0 : d′(f(x), f(y)) < ε se d(x, y) < δ.

La definizione di funzione uniformemente continua si può riformulare comesegue: f è uniformemente continua se

∀ε > 0 ∃δ > 0 : f(B(x, δ)) ⊂ B(f(x), ε) ∀x ∈ X.

Da qui risulta che ogni funzione uniformemente continua è continua.Notare la sottile differenza con la (e). Se f è continua per ogni x si trova unδ tale che f(B(x, δ)) ⊂ B(f(x), ε) ma in genere δ dipende da x. La mappa frisulta uniformemente continua se δ non dipende da x.

Proposizione 5.25. Ogni mappa lipschitziana è uniformemente continua.

Dimostrazione. Si vuole dimostrare che f è uniformemente continua, ossia ∀ε >0 esiste δ > 0 tale che

d′(f(x), f(y)) < ε se d(x, y) < δ.

Poiché f è lipschitziana, esiste un k > 0 tale che d′(f(x), f(y)) ≤ kd(x, y). Alloradato ε > 0 basta prendere δ = 1

kε e otteniamo che per ogni coppia (x, y) taleche d(x, y) < δ, si ha

d′(f(x), f(y)) ≤ kd(x, y) < kδ = ε.

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Proposizione 5.26. Dato uno spazio metrico (X, d) e un punto x0 ∈ X, lafunzione ϕ : X // R definita da ϕ(x) = d(x, x0) è uniformemente continua (edin particolare continua).

Dimostrazione. Discende immediatamente dalla proposizione precedente in quan-to la disuguaglianza (5.3) dice che ϕ(x) = d(x, x0) è una funzione lipschitzianadi costante k = 1.

Corollario 5.27. La norma ‖.‖ : V // R di uno spazio normato V è unafunzione uniformemente continua.

5.3 Continuità delle trasformazioni lineari, norme equiva-lenti

Ricordiamo che una mappa T : V → V ′ fra due spazi vettoriali si dice trasfor-mazione lineare se

T (λx1 + µx2) = λT (x1) + µT (x2), ∀x1, x2 ∈ V, e ∀λ, µ ∈ R.

Cioè una trasformazione lineare altro non è che un omomorfismo di spazi vet-toriali.Supponiamo ora che (V ‖.‖) e (V ′‖.‖) siano due spazi normati (non distinguere-mo nella notazione le loro norme). Sia T : V → V ′ una trasformazione lineare.Diremo che T è una trasformazione lineare limitata se esiste K > 0 taleche

||T (x)|| ≤ K||x|| ∀x ∈ V.

Teorema 5.28. Sono equivalenti:

1. T è continua

2. T è continua nel punto 0

3. T è una trasformazione lineare limitata.

Dimostrazione. (1) ⇒ (2). Ovviamente, se T è continua, è continua in ognipunto e quindi in 0.(2) ⇒ (3). Se T è continua in 0, prendendo ε = 1 esiste δ > 0 tale cheT (B(0, δ)) ⊂ B(0, 1), ossia ||T (x)|| ≤ 1 se ||x|| < δ. Per ogni x ∈ V, x 6= 0,consideriamo

x1 = δ

2x

||x||.

Allora ||x1|| = δ/2 e dunque x1 ∈ B(0, δ). Il che implica ||T (x1)|| ≤ 1.Per linearità della T,

||T (x1)|| = ||T ( δ12||x||x)|| = δ1

2||x|| ||T (x)||,

e quindi ||T (x)|| ≤ 2δ1||x|| per ogni x ∈ V. (Infatti per x = 0 la disuguaglianza è

trivialmente verificata.) Prendendo K = 2/δ1 risulta ||T (x)|| ≤ K||x||, ∀x ∈ V.

(3)⇒ (1). Se ||T (x)|| ≤ K||x|| ∀x ∈ V allora

||T (x)− T (y)|| = ||T (x− y)|| ≤ K||x− y||

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quindi T è lipschitziana di costante K. In particolare T è uniformemente continuae quindi continua.

Corollario 5.29. Ogni trasformazione lineare continua è lipschitziana e dunqueuniformemente continua.

Definizione 5.5. Si definisce la norma di una trasformazione come

||T || = sup||x||=1

||T (x)||

Enunciamo ora un risultato la cui dimostrazione viene lasciata al lettore.

Proposizione 5.2. Se T è lineare limitata allora

1. ||T || <∞;

2. ||T (x)|| ≤ ||T ||||x||;

3. ||T || = inf {K | ||T (x)|| ≤ K||x|| ∀x ∈ V } .

Nota Bene 5.1. Sia L(V, V ′) l’insieme di tutte le trasformazioni lineari e limi-tate da V in V ′ Allora L(V, V ′) è uno spazio vettoriale e ||T || = sup||x||=1 ||T (x)||definisce una norma su L(V, V ′).

Sia V uno spazio vettoriale munito di due norme diverse. Abbiamo allora duespazi normati (V, ||.||1) e (V, ||.||2) definite sullo stesso spazio vettoriale. Cerchia-mo una condizione necessaria e sufficiente affinché i due spazi normati abbianogli stessi aperti. Prima condizione necessaria e sufficiente è che la mappa identicaId : V → V risulti continua tanto come trasformazione Id : (V, ||.||1)→ (V, ||.||2)quanto come trasformazione Id : (V, ||.||2)→ (V, ||.||1). Infatti, dalla definizionedi mappa continua risulta che queste due condizioni sono verificate, se e sol-tanto se ogni aperto della topologia T1 indotta dalla ||.||1 è anche aperto dellatopologia T2 indotta dalla ||.||2Ma l’identità Id è una trasformazione lineare. Per il teorema precedente lacontinuità della trasformazione Id : (V, ||.||1) → (V, ||.||2) equivale all’esistenzadi una costante K > 0 tale che ‖Idx‖2 ≤ K||x||1 ossia ||x||2 ≤ K||x||1. Analo-gamente, la contiuità di Id : (V, ||.||2) → (V, ||.||1) equivale all’esistenza di unacostante K ′ > 0 tale che ||x||1 ≤ K ′||x||2.

Definizione 5.6. Due norme su uno stesso spazio vettoriale si dicono equiva-lenti se esistono K,K ′ tali che

K||x||2 ≤ ||x||1 ≤ K ′||x||2.

Dalla discussione precedente si conclude:

Teorema 5.30. Le topologie indotte da due norme diverse sullo stesso spaziovettoriale coincidono se e soltanto se le due norme sono equivalenti.

Più tardi dimostreremo che tutte le norme su uno spazio vettoriale di dimen-sione finita (attenzione!) sono fra loro equivalenti e quindi definiscono lastessa topologia sullo spazio.

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5.4 Distanza d’un punto da un insiemeDefinizione 5.7. Dato uno spazio metrico (X, d) e un sottoinsieme non vuotoA ⊂ X, la distanza di un punto x ∈ X da A è il numero positivo o nullod(x,A) = inf{d(x, y)|y ∈ A}.

Sotto certe condizioni di convessità o compattezza, ad esempio se A è un sot-toinsieme chiuso e convesso di uno spazio normato o se A è un sottoinsiemecompatto di Rn, il numero d(x,A) ∈ R risulta essere non solo l’infimo ma èanche il minimo dell’insieme {d(x, y) | y ∈ A}. In altre parole, esiste un y0 ∈ Atale che d(x,A) = d(x, y0). Ma in genere ciò non è vero.Esempio: Consideriamo X = Rn con la norma euclidea. Sia S ⊂ X unsottospazio di dimensione 1 generato dal vettore v ∈ Rn.Dato x ∈ Rn, sia

d = d(x, S) = infy=λv

||x− y||

Cerchiamo un y0 = λ0v ∈ S tale che d = ||x−y0||. Per il teorema di Pitagora sey0 = λ0v è tale che < x− y0, y >= 0∀y ∈ S allora ‖x− y‖2 = ‖x− y0‖2 + ‖y‖2e dunque

d(x, y) = ‖x− y‖ ≥ ‖x− y0‖ = d(x, y0).

Per cui basta trovare un y0 ∈ S tale che x− y0 ⊥ S e avremo che y0 realizza ladistanza d = d(x, S).Un tale y0 esiste sempre ed inoltre è unico. Lo si può trovare come puntod’intersezione di S con la retta passante per x e perpendicolare ad S. Alterna-tivamente si trova y0 facendo la proiezione ortogonale del vettore x su S. Laformula esplicita per y0 è:

y0 = < x, v >

‖v‖v.

(Verificare che questo y0 ha la proprietà desiderata!)

Il metodo della proiezione ortogonale si generalizza facilmente a sottospazi Sdi dimensione finita k di uno spazio vettoriale V qualsiasi. Data una baseortonormale e1, . . . , ek di S, il vettore

y0 =k∑i=1

< x, ei > ei

è l’unico vettore di S tale che ||x− y0|| = d(x, S).Esempio: Sia X = R2 e p = (0, 1) ∈ R2. Sia A = { (x, y) | x2 + y2 < 1 } .

d(p,A) = inf { d(v, q) | q ∈ A } = 0

perché qn = (0, 1− 1n ) ∈ A è una successione di punti di A tale che

d(p, qn) = 1n

// 0.

Ma non esiste alcun punto di A che realizzi la distanza d(p,A) = 0 perché p /∈ A.

Esercizio 5.31. Dare un esempio in cui d(x,A) è realizzata da più di un puntodi A.

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5.5 La miglior approssimazione polinomialeLa ricerca di un punto dell’insieme A che realizza la distanza di questo insiemeda un punto dato è un problema matematico molto studiato. In diversi casi siriesce ad esibire una formula esplicita per un tale punto. Ad esempio la formulaper trovare la retta dei minimi quadrati è di questo tipo.

Discuteremo qui molto brevemente il problema della miglior approssimazionedi una funzione continua con un polinomio di grado n prefissato per spiegare lasua importanza.Naturalmente il problema dipende dalla scelta dello spazio di funzioni e della di-stanza. Noi considereremo solo lo spazio X = C[0, 1], con la norma dal prodottoscalare < f, g > g =

∫ 10 f(t)g(t)dt.

Il sottospazio Sn di X generato dalle funzioni 1, t, t2, . . . , tn e precisamente lospazio delle restrizioni all’intervallo [0, 1] dei polinomi di grado minore o ugualead n. I polinomi 1, t, t2, . . . , tn formano una base di Sn e dunque dimS = n+ 1.Consideriamo una funzione f ∈ C[0, 1] e ci chiediamo quale fra tutti i polinomidi grado minore o uguale ad n è il più vicino a f in norma due? In altre parole,cerchiamo un polinomio p0 ∈ Sn tale che√∫ 1

0(f(t)− p0(t))2 dt ≤

√∫ 1

0(f(t)− p(t))2dt ∀p ∈ Sn.

Un tale polinomio esiste ed è unico. Una formula esplicita per il polinomio p0s’ottiene utilizzando ancora il metodo delle proiezioni ortogonali che funzionaesattamente come prima perché la dimensione di Sn è finita. (Ricordando lateoria di serie di Fourier non risulta difficile adattarlo anche a situazioni piùgenerali.)Mediante l’ortonormalizzazione di Gram-Schmidt, dalla base 1, t, t2, . . . , tn diSn si ottiene una base ortonormale (l0, l1(t), . . . , ln(t)) dello stesso sottospazio.I polinomi li(t) si chiamano polinomi di Legendre. Fatto questo, la formulaper p0 è formalmente la stessa di prima:

p0(t) =n∑i=0

(∫ 1

0li(t)f(t)dt)li(t).

5.6 Lemma di Urysohn per gli spazi metriciPrima di tutto raccogliamo in un’unico teorema le proprietà generali delladistanza d(x,A).

Teorema 5.32. i) d(x,A) ≥ 0 e d(x,A) = 0 ⇐⇒ x ∈ A. In particolarese A è chiuso x ∈ A ⇐⇒ d(x,A) = 0;

ii) d(x,A ∪ B) = min{d(x,A), d(x,B)}. In particolare se A ⊂ B allorad(x,B) ≤ d(x,A);

iii) per ogni x, y ∈ X e A ⊂ X, d(x,A) ≤ d(y,A) + d(x, y).

Dimostrazione. Dimostreremo solo i) e iii) lasciando ii) come esercizio.Dimostrazione di i) : che d(x,A) ≥ 0 è chiaro. Per dimostrare ⇒ del ⇐⇒vediamo che se x /∈ A allora 0 < d(x,A). Infatti, se x /∈ A esiste un ε > 0

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tale che la palla B(x, ε) non interseca l’insieme A e quindi 0 < ε ≤ d(x, y),per ogni y ∈ A. Per le proprietà dell’inf questo implica che ε ≤ d(x,A) =inf { d(x, y) | y ∈ A } ciò che dimostra 0 < d(x,A).Dimostriamo ora ⇐: se x ∈ A allora esiste (xn)n≥1 ∈ A tale che xn // x ossiad(xn, x) // 0. Ma allora 0 ≤ d(x,A) = inf { d(x, z) | z ∈ A } ≤ d(x, xn)∀n, equindi d(x,A) = 0.Per dimostrare la iii) osserviamo che per definizione di infimo ∀ ε > 0 ∃ z ∈ Atale che d(y,A) ≤ d(y, z) ≤ d(y,A)+ε. Per la proprietà triangolare della distanza

d(x,A) ≤ d(x, z) ≤ d(x, y) + d(y, z) ≤ d(x, y) + d(y,A) + ε,

Poiché questo è vero per ogni ε > 0, d(x,A) ≤ d(y,A) + d(x, y).

Corollario 5.33. La funzione ϕA : X // R definita da ϕA(x) = d(x,A) èlipschitziana con la costante Lipschitz k = 1. In particolare ϕA è uniformementecontinua.Dimostrazione. Si deve dimostrare che |ϕ(x) − ϕA(y)| ≤ d(x, y) il che, perdefinizione di modulo e di ϕ equivale alla disuguaglianza

d(y,A)− d(x, y) ≤ d(x,A) ≤ d(y,A) + d(x, y).

Quest’ultima a sua volta è una conseguenza immediata del punto iii) del teoremaprecedente.

Come conseguenza otteniamo un importante caso particolare del noto Lemmadi Urysohn:Teorema 5.34. Sia (X, d) uno spazio metrico, sia C ⊂ X un sottoinsiemechiuso e sia U un aperto tale che C ⊂ U. Allora esiste una funzione continuaf : X → [0, 1] tale che f(x) = 1 se x ∈ C

f(x) = 0 se x /∈ U.Dimostrazione. Sia

f(x) = d(x, U c)d(x,C) + d(x, U c) ,

La funzione f è continua perché si tratta del quoziente di due funzioni d(x, U c)e g(x) = d(x,C) + d(x, U c) 6= 0 che sono continue e tali che il denominatoreg(x) 6= 0 ∀x ∈ X.Infatti, se fosse g(x) = 0 si avrebbe d(x,C) = d(x, U c) = 0 in quanto entrambele quantità sono non negative. Ma tanto C quanto U c sono chiusi e quindid(x,C) = 0 ⇒ x ∈ C e d(x, U c) = 0 ⇒ x ∈ U c. Quindi d(x,C) = d(x, U c) = 0non si verifica mai perché C ∩ U c = ∅.Questo dimostra che f è continua. Chiaramente 0 ≤ f ≤ 1 perché d(x, U c) ≤d(x,C) + d(x, U c). Inoltre, se x ∈ U c risulta d(x, U c) = 0 e quindi f(x) = 0.Invece se x ∈ C si ha d(x,C) = 0 e dunque f(x) = 1.

Corollario 5.35. Dati due insiemi chiusi C1 e C2 di uno spazio metrico X taliche C1 ∩ C2 = ∅ esiste f : X → [0, 1] continua tale che

f(x) =

1 se x ∈ C1

0 se x ∈ C2

.

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Dimostrazione. Basta applicare il teorema precedente con C = C1 e U = Cc2.

5.7 Proprietà di separazione negli spazi metriciPrima di tutto introduciamo una serie di assiomi che descrivono le proprietà diseparazione analoghe alla proprietà di Hausdorff.• Uno spazio topologico (X, T ) si dice T0 se dati x, y ∈ X con x 6= y esisteun intorno aperto U di uno dei due che non contiene l’altro.

• Diremo che X è T1 se, dati x, y come prima, esistono aperti U, V di X taliche x ∈ U e y ∈ V ma y /∈ U e x /∈ V. Gli spazi T1 sono caratterizzati dalfatto che {x} è un sottoinsieme chiuso di X per ogni x ∈ X. La retta realeR con la topologia dell’ordine vista in precedenza è un tipico esempio diuno spazio T0 ma non T1.

• Lo spazio X si dice T2 o di Hausdorff se dati x, y ∈ X, x 6= y esistonoaperti U, V tali che x ∈ U e y ∈ V e U ∩ V = ∅.

• X è T3 o regolare se dati x ∈ X e A ⊂ X chiuso con x /∈ A esistono U, Vaperti tali che x ∈ U, A ⊂ V e U ∩ V = ∅.

• X è T4 o normale se dati A,B ⊂ X chiusi con A ∩ B = ∅ esistono U, Vaperti con A ⊂ U, B ⊂ V e U ∩ V = ∅.

ChiaramenteT4 ⇒ T3 ⇒ T2 ⇒ T1 ⇒ T0.

Abbiamo verificato in precedenza che ogni spazio metrico (X, d) è di Hausdorff.Vedremo adesso che gli spazi metrici godono di ulteriori proprietà di separazione.Teorema 5.36. Ogni spazio metrico è T4.Dimostrazione. Dati A, B chiusi con A ∩ B = ∅, per il corollario (5.35) esistef : X → [0, 1] continua tale che f(x) = 1 se x ∈ A e f(x) = 0 se x ∈ B.Sia U = f−1((1/2, 1]) e V = f−1([0, 1/2)). Entrambi sono aperti perché sonocontroimmagini di due aperti di [0, 1] (occhio, si tratta di topologia relativa i cuiaperti si ottengono intersecando [0, 1] con aperti di R!). Chiaramente A ⊂ U,B ⊂ V e U ∩ V = ∅.

In realtà la proprietà T4 è equivalente all’esistenza di una funzione continuacome sopra. Infatti negli spazi normali valgono i seguenti teoremi che nondimostreremo qui:Teorema 5.37 (Lemma di Urysohn). Sia X uno spazio normale e C,C ′ ⊂ Xchiusi disgiunti. Allora esiste f : X // [0, 1] continua tale che f |C = 0 ef |C′ = 1Vale anche:Teorema 5.38 (Tietze). Sia X uno spazio normale, C ⊂ X chiuso ed f : C →R continua. Allora esiste f ∈ C(X) tale che f |W = f .

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6 Teorema della contrazione e le sue applicazio-ni

6.1 Spazi metrici completiDefinizione 6.1. Dato una successione (xn) di uno spazio metrico (X, d) sidice di Cauchy (o fondamentale) se

∀ε > 0 ∃n0 : ∀n,m ≥ n0 d(xn, xm) < ε.

Esercizio 6.1. Dimostrare che (xn) è di Cauchy se per ogni ε > 0 esiste n0tale che per ogni n ≥ n0 e ogni p ≥ 1 si ha che d(xn, xn+p) < ε. Suggerimento:Prendere m = n+ p con p ∈ N nella definizione precedente.

Definizione 6.2. Uno spazio metrico si dice completo se ogni successione diCauchy è convergente.

Naturalmente questa costituisce una riformulazione della completezza della rettareale per spazi metrici astratti. Osservare che la completezza non è una proprietàtopologica ma metrica.Formuliamo qui sotto un’utile caratterizzazione della completezza.

Definizione 6.3. Una successione (xn) in X si dice fortemente fondamen-tale o fortemente di Cauchy se la serie numerica

∑∞n=1 d(xn, xn+1) è con-

vergente.

Proposizione 6.2. Ogni successione fortemente fondamentale è di Cauchy.

Dimostrazione. Se (xn) è fortemente fondamentale esiste n0 tale che per ognin ≥ n0,

∑∞k=n d(xk+1, xk) < ε. Usando la disuguaglianza triangolare p volte

otteniamo

d(xn, xn+p) ≤n+p−1∑k=n

d(xk, xk+1)∞∑k=n

d(xk+1, xk) ≤ ε.

Proposizione 6.1. Ogni successione di Cauchy ammette una sottosuccessionefortemente fondamentale.

Dimostrazione. Se (xn) è di Cauchy possiamo trovare un n1 ≥ 1 tale che

d(xn, xm) < 12 ,

per ogni n,m ≥ n1. Applicando la definizione di nuovo troveremo un n2, chepossiamo supporre strettamente maggiore di n1, tale che per ogni n,m ≥ n2

d(xn, xm) < 122 .

Procedendo così troveremo una successione di numeri naturali n1 < n2 <. . . , nk < . . . tale che

d(xnk , xnk+1) < 12k .

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Allora la serie numerica∞∑k=1

d(xn−k, xnk+1)

è convergente perché maggiorata dalla serie geometrica∑∞k=1

12k e quindi (xnk)

è una sottosuccessione fortemente fondamentale.

Esercizio 6.3. Dimostrare che se una sottosuccessione di una successione diCauchy converge ad un punto x allora anche tutta la successione converge allostesso punto. Suggerimento: adottare la dimostrazione fatta in R ad uno spaziometrico generale.

Una conseguenza immediata della discussione precedente è il teorema:

Teorema 6.4. X è completo se e solo se ogni successione fortemente fonda-mentale è convergente.

Definizione 6.4. Uno spazio normato (V, ‖.‖) si chiama spazio di Banachse è completo rispetto alla distanza indotta dalla norma d(x, y) = ‖x− y‖.

Uno spazio normato completo la cui norma deriva da un prodotto scalare si diràspazio di Hilbert.

Negli spazi di Banach, grazie alla completezza, possiamo formulare una utilegeneralizzazione di un noto risultato sulla convergenza delle serie di numerireali.

Definizione 6.5. Sia B uno spazio di Banach, una serie∑∞n=1 xn di elementi

xn ∈ B si dice assolutamente convergente se la serie numerica∑∞n=1 ||xn||

converge.

Teorema 6.5. Una serie assolutamente convergente di elementi di uno spaziodi Banach converge ad un elemento x ∈ B. In altre parole, esiste un x ∈ B taleche la successione delle somme parziali sn =

∑nk=1 xk converge a x.

Dimostrazione. Siccome B è completo, per il teorema 6.4 basterà dimostrareche sn sia fortemente fondamentale. Ma

d(sn+1, sn) = ||sn+1 − sn|| = ||n+1∑k=1

xk −n∑k=1

xk|| = ||xk+1||.

Quindi∞∑n=1

d(sn+1, sn) =∞∑n=1||xn+1|| <∞,

per ipotesi e dunque sn è fortemente fondamentale.

6.2 Completezza di Rn e di C[a, b].Abbiamo dimostrato all’inizio del corso che ogni successione di Cauchy di numerireali è convergente. Quindi, (R, |.|) è uno spazio normato completo ossia è uno(piccolissimo) spazio di Banach.

Proposizione 6.6. (Rm, ||.||∞), (Rm, ||.||1) e (Rm, ||.||2) sono spazi di Banach.

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Dimostrazione. (solo per (Rm, ||.||2)).Consideriamo una successione (vn) di Cauchy in Rm. Ogni vn è un n-upla vn =(xn1 , . . . , xnm). Verifichiamo che fissato k, 1 ≤ k ≤ m la successione di numerireali (xnk ) è ed è di Cauchy in R.Infatti poiché (v1, . . . , vn, . . . ) è di Cauchy per ogni ∀ε > 0 esiste n0 tale che||vn − vp||2 < ε, per ogni n, p ≥ n0. Allora,

ε > ||vn − vp||2 =

√√√√ m∑i=1

(xni − xpi )2 ≥

√(xnk − x

pk)2 = |xnk − x

pk|,

e dunque fissato k, 1 ≤ k ≤ m per ogni ε > 0 abbiamo trovato n0 tale che

∀n, p ≥ n0 |xnk − xpk| < ε.

Per la completezza della retta reale, per ogni 1 ≤ k ≤ m esiste un zk ∈ Rtale che xnk // zk. Consideriamo il vettore v = (z1, . . . , zm) e verifichiamo chevn // v, ossia che ||vn − v||2 // 0.Siccome per ogni k xnk // zk, dato ε > 0 possiamo trovare n0 tale che

|xnk − zk| <ε√m∀n ≥ n0, e ∀k, 1 ≤ k ≤ m. (6.1)

Dalla (6.1) segue facilmente che

||vn − v||2 ≤√

(mε)2

m= ε.

Questo dimostra la completezza di (Rm, ‖.‖2).

Esercizio 6.7. Dimostrare che le norme ‖.‖i, i = 1, 2,∞ in Rm sono equiva-lenti.

Esercizio 6.8. Dimostrare che norme equivalenti hanno le stesse successionidi Cauchy e le stesse successioni convergenti. Concludere che Rm è completoanche con la norma ‖.‖i, i = 1,∞.

Vediamo ora un importante esempio di uno spazio di Banach di dimensioneinfinita. Consideriamo lo spazio vettoriale C[a, b] di tutte le funzioni continuesu un intervallo chiuso e limitato [a, b] con la norma ||f ||∞ = sup

x∈[a,b]|f(x)|.

Notare che l’estremo superiore che compare nella definizione della norma è finito.Infatti, per il teorema di Weierstrass, si tratta di un massimo.

Teorema 6.9. Lo spazio normato (C[a, b], ‖.‖∞) è completo.

Dimostrazione. Passo 1.Sia (fn) una successione di Cauchy in C[a, b]. Per analogia con la dimostrazionedella completezza di Rm, prima di tutto dimostreremo che per ogni t ∈ [a, b] lasuccessione (fn(t)) è di Cauchy in R.Infatti per definizione di successione di Cauchy

∀ε > 0 ∃n0 : ∀n,m ≥ n0 ||fn − fm||∞ < ε.

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Ma allora ∀t ∈ [a, b] si ha che

|fn(t)− fm(t)| ≤ supt∈[a,b]

|fn(t)− fm(t)| = ||fn − fm||∞ < ε

quando n,m ≥ n0 e dunque (fn(t)) è di Cauchy in R per ogni t ∈ [a, b].Essendo di Cauchy ogni successione (fn(t)) converge ad un numero f(t). Restacosì definita una funzione f : [a, b] → R tale che fn(t) // f(t) in ogni puntodell’intervallo.Passo 2.Affermiamo che supt∈[a,b]|fn(t) − f(t)| // 0 (cioè che (fn) converge ad f uni-formemente). Infatti, poiché (fn) è di Cauchy in ‖.‖∞, prendendo m = n + prisulta che per ogni ε > 0 esiste un n0 tale che per ogni n ≥ n0 si ha

||fn − fn+p||∞ <ε

2 ∀p,

il che implica che∀t ∈ [a, b], |fn(t)− fn+p(t)| < ε/2.

Riscriviamo l’ultima disuguaglianza nella forma

∀t ∈ [a, b], ∀n ≥ n0, ∀p ≥ 1 fn(t)− ε

2 ≤ fn+p(t) ≤ fn(t) + ε

2 .

Per un t fissato fn+p(t) // f(t) quando p //∞, e quindi passando al limitenella disuguaglianza precedente risulta che, per ogni n ≥ n0

fn(t)− ε

2 ≤ f(t) ≤ fn(t) + ε

2 .

Equivalentemente,

∀t, ∀n ≥ n0 |fn(t)− f(t)| ≤ ε

2 < ε.

Infine, prendendo il sup otteniamo

supt∈[a,b]

|fn(t)− f(t)| < ε ∀n ≥ n0.

E’ stato così dimostrato che supt∈[a,b]

|fn(t)− f(t)| // 0.

Passo 3.Dimostriamo ora che f ∈ C[a, b]. Per il passo precedente, preso ε > 0 esiste n0tale che

∀n ≥ n0 supt|fn(t)− f(t)| < ε

3 .

Poiché fn0 è continua, preso un t0 ∈ [a, b] e dato ε > 0 esiste un δ > 0(dipendente da t0) tale che

|fn0(t)− fn0(t0)| < ε

3 se |t− t0| < δ.

Ora

|f(t)− f(t0)| = |f(t)− fn0(t) + fn0(t)− f(t0)| ≤≤ |f(t)− fn0(t)|+ |fn0(t)− f(t0)| ≤≤ |f(t)− fn0(t)|+ |fn0(t)− f(t0)|+ |fn0(t)− fn0(t0)| << ε se |t− t0| < δ.

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Abbiamo dunque trovato un δ tale che |f(t)− f(t0)| < ε se |t− t0| < δ.Passo 4.In conclusione, f ∈ C[a, b] e dunque lo stesso vale per le funzioni (fn − f). IlPaso 2 ci dice che

||fn − f ||∞ = supt∈[a,b]

|fn(t)− f(t)| // 0

e dunque fn // f in C[a, b]. Ciò dimostra che C[a, b] è completo.

Esercizio 6.10. Dimostrare che la successione fn ∈ C[0, 1], fn(t) = tn non è diCauchy. Cosa si può dire della successione gn(x) = cos( xn ) nello stesso spazio?

Esercizio 6.11. Dimostrare che (C[−1, 1], ||.||1) non è completo. Suggerimento:considerare una successione di funzioni continue fn su [−1, 1] che s’annullanoin [−1,−1/n] ∪ [1/n, 1] e tali che fn(0) = 1.

Esercizio 6.12. Se X è uno spazio metrico completo, e Y ⊂ X è un sottospaziochiuso allora Y è completo. Suggerimento: ogni successione di Cauchy in Y loè anche in X e dunque converge. Si usi adesso il fatto che Y è chiuso.

6.3 Teorema della contrazioneUno degli strumenti più utili nella matematica applicata, in cui la completezzasvolge un ruolo essenziale, è costituito dal Teorema della Contrazione (o diBanach-Caccioppoli).

Teorema 6.13. Sia (X, d) uno spaio metrico completo e sia T : X → X unamappa da X in se stesso verificante d(T (x), T (y)) ≤ k d(x, y) con k < 1 (ossia,una contrazione). Allora esiste un unico x ∈ X tale che x = T (x). Un tale x èdetto punto fisso della mappa T.

Dimostrazione. La dimostrazione del teorema delle contrazioni usa una versioneastratta di un metodo costruttivo già noto in precedenza con il nome di metododi Picard. Il metodo di Picard veniva usato per dimostrare l’esistenza dellesoluzioni di equazioni differenziali e integrali. La dimostrazione del teoremafornisce anche un algoritmo esplicito per approssimare il punto fisso della mappaT, perchè costruisce esplicitamente una successione (xn) che converge all’unicopunto fisso x della contrazione.

Passo 1.Sia x0 ∈ X, un punto qualsiasi. Definiamo x1 = T (x0), x2 = T (x1) = T 2(x0), epiù generalmente supposto definito xn−1 si definisce xn = T (xn−1). Definizionicome la precedente si dicono ricorsive. Chiaramente xn = Tn(x0), dove Tn èla composizione di T con se stessa n volte.Osserviamo che ad ogni passo la distanza fra punti successivi della successionesi contrae. Ponendo d = d(x1, x0) = d(T (x0), x0) risulta:

d(T (x1), T (x0)) ≤ kd(x1, x0) = kd(T (x0), x0) = kd,

d(T (x2), T (x1)) ≤ kd(x2, x1) = kd(T (x1), T (x0)) ≤ k2d,

e così via.

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Dimostriamo per induzione che per ogni n ∈ N

d(T (xn), T (xn−1)) ≤ knd. (6.2)

Infatti, sappiamo che per n = 1 la (6.2) è verificata.Supponendo la (6.2) che valga per n abbiamo che:

d(T (xn+1), T (xn)) ≤ kd(xn+1, xn) = kd(T (xn), T (xn−1)) ≤ kn+1d

Dunque, per il principio d’induzione (6.2) è vera per ogni n.Passo 2.Consideriamo la successione xn = Tn(x0), e osserviamo che la serie numerica∑∞n=1 d(xn+1, xn) è convergente. Infatti,

∞∑n=1

d(xn+1, xn) ≤ d(∞∑n=1

kn) ≤ d k

1− k <∞,

perché la serie geometrica∑∞n=1 k

n converge a k1−k . Quindi la successione {xn }

è fortemente fondamentale. Siccome X è completo esiste un x ∈ X tale xn //x.Necessariamente anche la sottosuccessione (xn+1) di (xn) converge allo stessopunto x. Ma poiché T è continua si ha che xn+1 = T (xn) // T (x). Da quiT (x) = x.Passo 3.Dimostriamo ora che il punto x è unico. Siano x, y ∈ X tali che x = T (x) ey = T (y). Allora

d(x, y) = d(T (x), T (y)) ≤ kd(x, y).Poiché k < 1 questo può verificarsi solo se d(x, y) = 0 ossia x = y.In conclusione esiste un unico punto fisso x della mappa T che si può trovarecome limite della successione delle iterate xn = Tn(x0) costruita a partire daun punto qualsiasi x0 ∈ X.

Esercizio 6.14. Dimostrare la seguente stima della distanza (o errore) dell’ap-prossimazione n-esima xn = Tn(x0) dal punto fisso x = T (x) tale che

d(xn, x) ≤ k

1− kd(x0, T (x0)).

Esercizio 6.15. Una isometria I : X → Y fra spazi metrici è una trasforma-zione che verifica d(I(x), I(y)) = d(x, y). Dare un esempio di una isometria daX in se stesso priva di punti fissi.

6.4 Teorema dell’esistenza e unicità della soluzioniCome applicazione del Teorema delle contrazioni dimostriamo qui il Teoremadi esistenza ed unicità della soluzione di un’equazione differenziale. Nella dimo-strazione (che segue lo schema di Picard) useremo la completezza dello spazioC[a, b] dimostrata in precedenza.

Teorema 6.16. Sia U un aperto di R2 e sia f : U ⊂ R2 → R, una funzio-ne lipschitziana in y, uniformemente rispetto ad x, In altre parole, esiste unacostante M (indipendente da x) tale che

|f(x, y1)− f(x, y2)| ≤M |y1 − y2|. (6.3)

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Allora, dato un punto (x0, y0) ∈ U, esiste un δ > 0 ed un’unica funzione y = y(x)definita e derivabile nell’intervallo I = (x0 − δ, x0 + δ), tale che y(x0) = y0 e

y′(x) = f(x, y(x)) per ogni x ∈ (x0 − δ, x0 + δ).

In altre parole, il problema di Cauchy{y′(x) = f(x, y(x))y(x0) = y0.

(6.4)

ammette un’unica soluzione y ∈ C1(x0 − δ, x0 + δ).

Dimostrazione. Passo 1.Scriviamo prima di tutto un’equazione integrale equivalente alla (6.4). Data unafunzione y : (x0 − δ, x0 + δ) → R continua, anche la funzione g(t) = f(t, y(t))risulta essere continua perché trattasi di una composizione di due funzioni conti-nue (quali?). Il teorema fondamentale del calcolo integrale ci dice che la funzionez(x) definita da

z(x) = y0 +∫ x

x0

f(t, y(t))dt

è derivabile con derivata z′(x) = f(x, y(x)). Inoltre, per definizione di z(x),z(x0) = y0.Dunque se una funzione continua y ∈ C0(x0 − δ, x0 + δ) verifica l’equazioneintegrale

y(x) = y0 +∫ x

x0

f(t, y(t))dt (6.5)

allora y(x) è una funzione derivabile con continuità che risolve il problema diCauchy (6.4).Passo 2.Scegliamo una palla chiusa B = B0((x0, y0), ε) con centro in (x0, y0) e raggioε > 0 contenuta in U. Nella metrica ‖.‖∞ di R2 la palla

B = B0((x0, y0), ε) = [x0 − ε, x0 + ε]× [y0 − ε, y0 + ε].

Fissiamo un δ < ε positivo il cui valore sarà determinato successivamente e siaIδ = [x0 − δ, x0 + δ]. Consideriamo lo spazio metrico

Xδ = { y ∈ C(Iδ) | |y(x)− y0| ≤ ε, ∀x ∈ Iδ }

con la metrica indotta dalla norma di C(Iδ). Non possiamo considerare tut-to lo spazio C(Iδ), perché per definire la composizione f(x, y(x)) occorre che(x, y(x)) ∈ U.Per ogni δ > 0, Xδ è uno spazio metrico completo essendo un sottoinsiemechiuso di C(Iδ) la cui completezza è stata dimostrata in precedenza.Osserviamo che, se identifichiamo y0 ∈ R con la funzione costante y(x) ∼= y0,allora Xδ altro non è che la palla chiusa con centro y0 e raggio ε nello spazioC(Iδ).Definiamo ora T : Xδ → C(Iδ),

[T (y)](x) = y0 +x∫

x0

f(t, y(t))dt.

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Dalla definizione della mappa T risulta che y(x) = y0 +x∫x0

f(t, y(t))dt se e

soltanto sey(x) = [T (y)](x), ∀x ∈ Iδ.

In altre parole, la funzione y ∈ Xδ, verifica l’equazione integrale y(x) = y0 +x∫x0

f(t, y(t))dt se e soltanto se y è un punto fisso della mappa T.

Passo 3.Cerchiamo ora un δ in modo che T (Xδ) ⊂ Xδ.Ricordando che Xδ è la palla chiusa B(y0, ε) ⊂ C(Iδ) dobbiamo trovare δ > 0tale che T (B(y0, ε) ⊂ B(y0, ε) ⊂ C(Iδ) Per questo troviamo una stima per ladistanza d(T (y), y0) :

||T (y)− y0||∞ = supx∈Xδ

|[T (y)](x)− y0| =

= supx∈Xδ

∣∣ ∫ x

x0

f(t, y(t))dt∣∣ ≤

≤ supx∈Xδ

∫ x

x0

|f(t, y(t))|dt.

L’insieme B = B0((x0, y0), ε) = [x0−ε, x0 +ε]×[y0−ε, y0 +ε] è chiuso e limitatoin R2. Poichè la funzione |f | è continua su B per il teorema di Weierstrass, esisteuna costante N <∞ tale che |f(x, y)| ≤ N, ∀(x, y) ∈ B .Allora ∫ x

x0

|f(t, y(t))|dt ≤∫ x

x0

Ndt = N(x− x0) ≤ Nδ.

Scegliendo dunque un δ > 0 tale che δN < ε risulta che

||T (y)− y0||∞ ≤ ε ∀y ∈ Xδ.

Quindi, per la definizione di Xδ, per ogni y ∈ Xδ si ha che T (y) ∈ Xδ.Passo 4.Completiamo la dimostrazione aggiustando il δ in modo che T risulti essere unacontrazione dello spazio metrico Xδ, ossia che per qualche k < 1 valga :

d(T (y1), T (y2)) = ||T (y1)− T (y2)||∞ ≤ k||y1 − y2||∞ = kd(y1, y2).

A questo fine si stima la distanza fra le immagini di due elementi:

||T (y1)− T (y2)||∞ = supx∈Iδ

∣∣y0 +∫ x

x0

f(t, y1(t))dt− y0 −∫ x

x0

f(t, y2(t))dt∣∣ ≤

≤ supx∈Iδ

∫ x

x0

|f(t, y1(t))− f(t, y2(t))|dt.

Per ipotesi, |f(t, y1(t))− f(t, y2(t))| ≤M |y1(t)− y2(t)| e quindi

||T (y1)− T (y2)||∞ ≤ supx∈Iδ

∫ x

x0

M |y1(t)− y2(t)| dt.

Poichè, per ogni t ∈ Iδ,

|y1(t)− y2(t)| ≤ supx∈Iδ|y1(t)− y2(t)| ≤ ‖y1 − y2‖∞,

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sostituendo quest’ultima disuguaglianza in quella che la precede otteniamo

||T (y1)− T (y2)||∞ = supx∈Iδ

∫ x

x0

M‖y1 − y2‖∞dt =

= supx∈Iδ

M‖y1 − y2‖∞|x− x0| ≤

≤ δM‖y1 − y2‖∞.

Prendendo ora un δ > 0 in modo che δ ≤ 12M si ha che

k = δM ≤ 1/2 < 1 e l’ultima disuguaglianza ci dice che T è contrattiva.In conclusione, se scegliamo δ ≤ min( εN ,

12M ), dalla discussione precedente ri-

sulta che la mappa T : Xδ → Xδ è una trasformazione contrattiva dello spazioXδ in se stesso. Per il teorema di Banach-Caccioppoli deve esistere un unicoy ∈ Xδ tale che T (y) = y.Nel primo passo abbiamo dimostrato che la funzione y così ottenuta verifical’equazione integrale y(x) = y0 +

x∫x0

f(t, y(t))dt e dunque risolve il problema di

Cauchy (6.4) .

Corollario 6.17. Sia f : V ⊂ R2 → R, una funzione differenziabile con conti-nuità (C1) definita su un aperto V di R2. Allora per ogni (x0, y0) ∈ U esiste unδ > 0 tale che il problema di Cauchy{

y′(x) = f(x, y(x))y(x0) = y0

. (6.6)

ammette un’unica soluzione y : I → R definita nell’intervallo I = (x0−δ, x0+δ).

Dimostrazione. Basta dimostrare che possiamo trovare un intorno aperto U delpunto p0 = (x0, y0) in cui siano verificate le ipotesi del teorema precedente. Perquesto scegliamo un ε tale che tutta la palla chiusa

B = B(p0, ε) = [x0 − ε, x0 + ε]× [y0 − ε, y0 + ε]

sia contenuta in V. L’insieme B è chiuso limitato ed anche convesso, cioè, datidue punti p = (x, y), q = (u, v) ∈ B, il segmento tp + (1 − t)q, 0 ≤ t ≤ 1, èinteramente contenuto in B. Applicando il teorema di Lagrange alla funzione diuna variabile g(t) = f(tp+ (1− t)q) nell’intervallo [0, 1] e usando la regola delladerivata della funzione composta otteniamo

f(p)− f(q) = ∂f

∂x(θ)(x− u) + ∂f

∂y(θ)(y − v),

dove θ è un punto appartenete al segmento pq. Quindi, prendendo il valoreassoluto e usando la disuguaglianza triangolare otteniamo

|f(p)− f(q)| ≤ |∂f∂x

(θ)||x− u|+ |∂f∂y

(θ)|y − v|

Poiché B ⊂ R2 è un sottoinsieme chiuso e limitato, per il teorema di Weierstrassle funzioni continue ∂f

∂x ,∂f∂y sono limitate in B e quindi esiste un M > 0 tale che

sup(x,y)∈B

max{|∂f∂x

(x, y)|, |∂f∂y

(x, y)|} ≤M.

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Dalla disuguaglianza precedente ricaviamo la stima

|f(p)− f(q)| ≤M max{|x− u|, |y − v|} = M‖p− q‖∞ (6.7)

valida per ogni coppia di punti p, q di B. In questo modo abbiamo dimostrato cheogni funzione C1 è localmente lipschtiziana (come funzione di due variabili), madalla (6.7) discende immediatamente la (6.3) prendendo punti p, q con la stessaascissa.Dunque, le ipotesi del teorema 6.16 sono verificate nell’aperto U = B(p0, ε) edil corollario risulta una conseguenza di questo teorema.

Il teorema dell’esistenza e unicità risulta valido anche per il problema di Cauchyper sistemi di equazioni differenziali. Dato il sistema{

u′ = f(x, u)u(x0) = u0 ,

(6.8)

dove V ⊆ Rn+1, è un sottoinsieme aperto, (x0, u0) è un punto di V e f : V → Rn,è una mappa C1, usando il teorema della contrazione si dimostra usando ilteorema della contrazione esattamente come nel caso di una singola equazionel’esistenza di un’unica soluzione u(x) = (u1(x), . . . , un(x)) del problema 6.8definita su un intervallo I = (x0 − δ, x0 + δ).

Poiché ogni equazione differenziale di ordine n in forma normale

y(n) = f(x, y, y′, y′′, . . . , y(n−1)),

è riconducibile ad un sistema di equazioni del primo ordine come sopra ponendo

ui(x) = y(i)(x), i = 0, . . . , n− 1,

resta dimostrato il teorema dell’esistenza e unicità per il problema di Cauchyper equazioni in forma normale di qualsiasi ordine con lato destro Ck.

Usando il teorema del punto fisso di Brouwer, o alternativamente, la carat-terizzazione dei compatti di C[a, b] dovuta ad Ascoli e Arzelà si riesce a di-mostrare l’esistenza in piccolo delle soluzioni di equazioni differenziali con latodestro solamente continuo. Però, in questo caso, l’unicità della soluzione non ègarantita.

Esercizio 6.18. 1) Verificare che f(x, u) = 3u2/3 è continua ma non Lipschitzin un intorno di 0, e quindi non è possibile applicare il teorema precedentementedimostrato.2) Verificare il problema di Cauchy{

u′ = 3u2/3

u(0) = 0

ammette due soluzioni, u0 ≡ 0 e u(x) = x3.

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6.5 Teorema della funzione inversaPrima di tutto richiamiamo la nozione di differenziale di una mappa.

Definizione 6.6. Sia A ⊆ Rn aperto. Una funzione f : A→ R si dice derivabilein a ∈ A lungo la direzione v se esiste il limite

∂f

∂v(a) = lim

t // 0

f(a+ tv)− f(a)t

. (6.9)

Le derivate parziali ∂f∂xi

(a) sono per definizione le derivate lungo la direzionedegli elementi ei, i = 1, . . . , n, della base canonica di Rn.

Definizione 6.7. Sia A un aperto di Rn. Una mappa F : A → Rm si dicedifferenziabile in a ∈ A se esiste una trasformazione lineare T : Rn → Rm,chiamata il differenziale della f in a, tale che risulti

limh // 0

‖F (a+ h)− F (a)− Th‖‖h‖

= 0 . (6.10)

La trasformazione T viene denotata con DF (a) o anche df(a) quando si trattadi una funzione f : A → R a valori reali. Una mappa F differenziabile è unamappa differenziabile in ogni punto dell’aperto A. L’equazione (6.10) dice cheil differenziale Df(a) è la migliore approssimazione lineare della F nel punto a.Cioè,

F (a+ h) = F (a) +DF (a)h+ o(‖h‖) (6.11)

Usando la (6.11) si dimostra facilmente che il differenziale di una mappa compo-sta è la composizione dei differenziali. Più precisamente, se F : U ⊆ Rn //Rme G : V ⊆ Rm // Rk sono differenziabili allora anche H = G ◦ F lo è. Inoltrevale

DH(x) = DG(F (x)) ◦DF (x) (6.12)

Se scriviamo F nella forma F (x) = (F1(x), . . . , Fm(x)), dove F1, . . . , Fm : A→ Rsono le sue componenti, vediamo che F è differenziabile in A se e soltanto se losono anche le sue componenti Fi.Una nota condizione necessaria e sufficiente per la differenziabilità di una fun-zione f : A → R nell’aperto A è che esistano e siano continue le sue derivateparziali ∂f

∂xj(x), 1 ≤ j ≤ n. Quindi una mappa F : A → Rn sarà differenziabile

se e soltanto se sono definite e continue tutte le derivate parziali ∂Fi∂xj

(x), perogni (i, j) 1 ≤ i ≤ m, 1 ≤ j ≤ n. Denoteremo con C1 = C1(A,Rm) l’insiemedelle applicazioni F : A → Rm verificanti questa proprietà. Più generalmentediremo che F è Ck se tutte le sue derivate fino all’ordine k-esimo sono continue.

Definizione 6.8. La matrice jacobiana della F nel punto a ∈ A è la matrice

JF (a) =(∂Fi∂xj

(a))∈Mm×n

Si dimostra facilmente che la matrice jacobiana della F in a è la matrice dellatrasformazione lineare DF (a) rispetto alle basi canoniche ej di Rn ed ei di Rm.In seguito identificheremo spesso DF (a) con la matrice jacobiana JF (a).

In particolare se f : Rn → R è una funzione, allora per ogni h ∈ Rn

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df(a)h = < ∇f(a), h >, (6.13)dove ∇f(a) è il gradiente della f in a, cioè

∇f(a) =(∂f

∂x1(a), . . . , ∂f

∂xn(a))∈ Rn

Passiamo adesso al teorema della funzione inversa.

Definizione 6.9. Siano A,B ⊆ Rn aperti. Diremo che F : A → B è undiffeomorfismo di classe Ck, 1 ≤ k ≤ ∞, se F è Ck, invertibile e l’inversaF−1 : B → A è Ck.

Teorema 6.19 (Teorema della funzione inversa). Sia A ⊆ Rn un aperto, sia pun punto di A e sia F : A→ Rn una funzione di classe Ck tale che il differenzialeDF (p) : Rn → Rn sia un isomorfismo. Allora esistono un intorno aperto U dip e un intorno aperto V di q = F (p) tali che la restrizione della F ad U,F|U : U → V è un diffeomorfismo di classe Ck.

Il teorema della funzione inversa dice quindi, che se DF (p) è un isomorfismoallora F è un diffeomorfismo locale (cioè in un intorno di p) .Esempio: Sia f(x) = x3. Evidentemente, questa funzione non soddisfa leipotesi del teorema della funzione inversa in x = 0. La sua funzione inversaesiste ed è continua ma non è derivabile in 0.Esempio: Per ogni ε > 0 la funzione f(x) = x3 + εx è C∞ (anche analitica), ildifferenziale di f è sempre un isomorfismo perché la derivata della f è positivain ogni punto. Il teorema della funzione inversa, ci assicura che la funzionef−1 : R→ R esiste ed è C∞.

Dimostrazione. Senza perdita di generalità posiamo supporre che p = 0 (peravere questo basterà traslare l’aperto A). Possiamo anche assumere che il dif-ferenziale DF (0) = Id perché, essendo DF (0) un isomorfismo, se il teorema èvalido per F = DF (0)−1 ◦ F risulta valido anche per la mappa F.Sia G(x) = x−F (x). Per costruzione, DG(0) = 0 e quindi possiamo trovare unr tale che per ogni x ∈ B(0, 2r) si ha che ‖DG(x)‖ < 1/2. Usando il teoremadel valor medio di Lagrange, come nella dimostrazione dell’esistenza e unicitàdella soluzione d’una equazione differenziale, otteniamo che nella palla B(0, 2r)vale anche ‖G(x)‖ ≤ 1

2‖x‖ ed in particolare

G(B(0, r)) ⊂ B(0, r/2)

Consideriamo ora Gy(x) = y+ x−F (x), allora G0 = G e ogni punto fisso dellamappa Gy risolve l’equazione F (x) = y. Inoltre, se ‖y‖ ≤ 1

2r, allora per ognix ∈ B(0, r) si ha

‖Gy(x)‖ ≤ 12r + ‖G(x)‖ ≤ 1

2r+ ≤12r = r

Il che dimostra che Gy manda la palla chiusa B(0, r) in sé stessa. Inoltre,

‖Gy(x)−Gy(x′)‖ = ‖G(x)−G(x′)‖ ≤ 12‖x− x

′‖.

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Quindi Gy : B(0, r) → B(0, r) è una contrazione e avrà un unico punto fissox che risolve l’equazione y = F (x) per ogni y ∈ B(0, r/2). Questo definisce lamappa inversa F−1 : B(0, r/2) → B(0, r). La continuità della F−1 si dimostrafacilmente osservando che l’unico punto fisso della contrazione Gy è una funzionecontinua di y. Alternativamente, dalla definizione di G ricaviamo che

‖x− x′‖ ≤ ‖F (x)− F (x′)‖+ ‖G(x)−G(x′)‖ ≤ ‖F (x)− F (x′)‖+ 12‖x− x

′‖

e quindi‖x− x′‖ ≤ 2‖F (x)− F (x′)‖.

Sostituendo x = F−1(y) e x′ = F−1(y′) otteniamo la continuità della mappaF−1.Per dimostrare la differenziabilità della funzione inversa si usa una disuguaglian-za simile. Se x = F−1(y) e x+ k = F−1(y + h) si ha

‖F−1(y + h)− F−1(y)− [DF (x)]−1h‖ = ‖k − [DF (x)]−1(F (x+ k)− F (x)‖

≤ ‖[DF (x)]−1‖‖Df(x)k+ F (x)− F (x+ k)‖ ≤M‖Df(x)k+ F (x)− F (x+ k)‖

Dove M = supxB(0,1) ‖[DF (x)]−1‖. Ora è facile vedere che il lato destro è uno(‖h‖) e quindi F−1 è differenziabile. Lo stesso metodo dimostra che se F ∈ Ckallora anche F−1 ∈ Ck.

6.6 Teorema della funzione implicitaDefinizione 6.10. Consideriamo un sottoinsieme M ⊂ Rn con la topologiarelativa, un punto p ∈ M e un intorno aperto U ⊆ M di p. Una parametriz-zazione Ck di U per un aperto V di Rm è una mappa Ck, P =: V → Rntale che P (V ) = U e P : V → U sia un omeomorfismo fra V ed U . La mappaH = P−1 : U → V si chiama un sistema di coordinate nel punto p e lacoppia (U,H) si dice una una carta nel punto p

Aggiungiamo che una varietà Ck di dimensione d è una coppia (M,U) dauno spazio topologico Hausdorff e una famiglia di carte U = { (U,H) } (cioè Uaperto di M e H : U → V è un omeomorfismo di U con un sottoinsieme apertoV di Rd) che ricopre M e verifica la proprietà:

(%) Per ogni copia (U1, H1), (U2, H2) ∈ U La mappa H−12 H1 è un diffeomor-

fismo Ck del aperto V1 ∩ V2 con se stesso e che è massimale rispetto questaproprietà, nel senso che se una carta (V,R) verifica la affermazione di sopra conrispetto ad ogni (U,H) ∈ U allora (V,R) ∈ U

Nota Bene 6.1. U si chiama atlante o struttura Ck. Osservare che ogni spaziodi Hausdorff M ricopribile da una famiglia di carte U ′ verificante (%) ammetteun unico atlante Ck di cui U ′ fa parte. Quindi, per dare una struttura di varietàdifferenziabile ad M basta coprirla con una famiglia di aperti omeomorfi di Rdtale che valga (%).

Definizione 6.11. Sia G : U ⊆ Rn → Rm una funzione Ck. Un punto x taleche DG(x) è suriettiva si dice punto regolare della f.

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Un punto non regolare si dice punto critico. Per il teorema del rango f hapunti regolari se e soltanto se m ≤ n. Osserviamo anche che quando m = 1 e Gsi riduce ad una funzione g : U → R allora x ∈ U è un punto critico se e soltantose dg(x) è identicamente nulla e quindi, per (6.14), ∇g(x) = 0.

Il teorema della funzione implicita ci dice che un sottoinsiemeM definito implici-tamente dall’equazione M = {x | G(x) = 0 } , ammette una parametrizzazionelocale in qualche intorno di ogni suo punto regolare. (Pensate alle equazioniimplicite e parametriche della retta). Più precisamente:

Teorema 6.20 (Teorema della funzione implicita). Sia G : A → Rm una fun-zione di classe Ck definita in un aperto A di Rn e sia d = n−m. Sia

M = G−1(0) = {x ∈ A | G(x) = 0 } ,

e sia p un punto di M tale che il differenziale DG(p) : Rn → Rm sia suriet-tivo. Allora esiste un intorno aperto U di p in M, un aperto V ⊆ Rd e unaparametrizzazione P : V → U

Dimostrazione. Prima di tutto dimostriamo che esiste una trasformazione li-neare T : Rn → Rd tale che la mappa F : A→ Rd × Rm definita da

F (x) = (Tx,G(x))

soddisfa le ipotesi del teorema della funzione inversa nel punto p. Osserviamoche se F è definita come sopra e L = DG(p), allora DF (p)h = (Th,Lh). Quindidobbiamo trovare una trasformazione T tale che il lato destro risulti un isomor-fismo. Per il teorema del rango dim kerL = d = n − m. Definiamo T comela composizione della proiezione π : Rn → kerL con un qualsiasi isomorfismoI : kerL→ Rd

Esercizio 6.21. Verificare che se T è così definita, allora (T, L) : Rn → Rm×Rdè un isomorfismo.

Applicando a F = (T,G) il teorema della funzione inversa, troviamo un intornoaperto U ′ di p in Rn ed un intorno aperto V ′ ⊆ Rd ×Rm = Rn di F (p) tali che

F|U ′ : U ′ → V ′

sia invertibile e con un’inversa di classe Ck.Se x ∈M ∩ U ′ si ha G(x) = 0 e quindi F (x) = (T (x), 0). Risulta dunque che

F|U ′(M ∩ U ′) = {(s, t) ∈ V ′|t = 0}.

Se identifichiamo Rd × {0} con Rd e definiamo

V = V ′ ∩ Rd × {0} e U = U ′ ∩M,

otteniamo che la restrizione della mappa F−1 all’aperto V ⊆ Rd è una parame-trizzazione Ck di U per V .

Un punto y ∈ Rm si dice valore regolare della G : A → Rm se DG(x) èsuriettiva per ogni x ∈ G−1(y). Da un classico teorema di Sard si deduce chel’insieme dei valori regolari di una mappa C∞ è denso in Rm. Come corollariodel teorema precedente otteniamo:

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Corollario 6.22. Se G : A → Rm è Ck e se 0 è un suo valore regolare alloraM = G−1(0) è una sottovarietà Ck di A di dimensione d = n−m.

Per dimostrare 6.22 basta verificare che se P1 : V1 → U1 e P2 : V2 → U2 sonodue parametrizzazioni locali di M ottenute nel teorema precedente allora

P−12 ◦ P1 : V1 ∩ V2 → U1 ∩ U2

è Ck, cosa che lasciamo come esercizio.Un altro esercizio importante è il seguente:

Esercizio 6.23. Siano G,M come nel corollario precedente, sia p ∈ M e siaP : V → U una parametrizzazione Ck di un intorno aperto di p. Sia q ∈ V taleche P (q) = p. Dimostrare che lo spazio tangente Tp(M) nel punto p verifica

Tp(M) = kerDG(p) = ImDP (q)

In particolare DG(p)h = 0 se e soltanto se h = DP (q)k per qualche k ∈ Rd.

Concludiamo lasciando come esercizio la versione classica del teorema dellafunzione implicita.

Esercizio 6.24. Sia G : A → Rm una funzione di classe Ck. Supponiamo cheil minore costituito dalle ultime m colonne della matrice jacobiana JG(p) abbiadeterminate diverso da 0. Dimostrare che esiste un aperto V ⊂ Rd, un apertoU ⊆ A contenente p ed una funzione Ck, Φ: V → Rm tale che G−1(0) ∩ U ={(x,Φ(x)) ∈ V × Rm}. Ossia in U, M = G−1(0) è descritto dal grafico dellafunzione implicita Φ.

6.7 Metodo dei moltiplicatori di LagrangeUn’interessante applicazione del teorema della funzione implicita è costituitadal metodo dei moltiplicatori di Lagrange. Lo dimostreremo qui solo nel casodi un vincolo C1 g : Rn → R.

Supponiamo che 0 ∈ R sia un valore regolare della g e consideriamo la ipersu-perficie M = g−1(0) di Rn.Poiché dg(x)h =< ∇g(x), h >, la condizione di regolarità si traduce nella condi-zione∇g(x) 6= 0 per ogni x ∈M. Per l’esercizio 6.24 risulta che < ∇g(x), h >= 0per ogni h ∈ Tx(M) ossia che il vettore gradiente del vincolo g, ∇g(x) è un vet-tore normale alla ipersuperficie M nel punto x (abbiamo così scoperto che ilgradiente è sempre ortogonale agli insiemi di livello di g).

Data una funzione C1 f : Rn → R il nostro problema consiste nel trovare i puntidi massimo e minimo della restrizione della funzione f alla varietà m definitaimplicitamente dal vincolo g. Tali punti diconsi estremi vincolati della f.

Teorema 6.25 (Lagrange). Siano f, g e M = g−1(0) come sopra e sia p unpunto di minimo (rispettivamente massimo) della restrizione f|M : M → R dellaf alla varietà M. Allora esiste un λ ∈ R detto moltiplicatore di Lagrange taleche ∇f(p) = λ∇g(p). In altre parole esiste λ tale che il punto (p, λ) ∈ Rn+1 èun punto critico (stazionario) del funzionale libero

h(x, λ) = f(x) + λg(x)

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Dimostrazione. sia P : V → U una parametrizzazione locale di M in un intornoU di p. Se p è un minimo (risp. massimo) relativo della f|M allora q = P−1(p)è un estremo relativo della funzione f = f|M ◦ P definita sull’aperto V di Rn−1

e quindi un punto critico della f . Dunque df(q)k=0 per ogni k ∈ Rn−1. Ma

df(q)k = df|M (p) ◦DP (q)k. (6.14)

Per l’esercizio, 6.24, ImDP (q) = Tp(M). Quindi l’equazione (6.14) dimostrache la restrizione di df(p) allo spazio tangente Tp(M) è nulla. Il che, sulla basedi (6.13), dice che ∇f(p) è ortogonale a Tp(M) e quindi deve esistere un λ ∈ Rtale che ∇f(p) = λ∇g(p).

Analogamente si dimostra che se M = G−1(0) è una sottovarietà di Rn definitada una mappa

G : Rn → Rk, G(x) =(g1(x) . . . gk(x)

)e p è un estremo della f ristretta ad M allora esistono λ1, . . . λk tali che

∇f(p) =k∑i=1

λi∇gi(p).

Esercizio 6.26. Trovare il volume massimo di una scatola rettangolare chepossa essere incartata da un foglio di carta di area A prefissata.

Esercizio 6.27. Sia A ∈Mn×n una matrice quadrata. Siano

λm = infx∈S < Ax, x >, λM = supx∈S < Ax, x >,

dove S = Sn−1 = {x|‖x‖2 = 1}. Dimostrare che λm, λM sono autovalori dellamatrice A tali che per ogni autovalore λ di A si ha λm ≤ λ ≤ λM .

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7 Complementi di Topologia7.1 Base di una topologiaDefinizione 7.1. Diremo che una sottofamiglia B della topologia T è una basedi T se ogni aperto di T è unione di insiemi appartenenti a B.

Data una famiglia B di sottoinsiemi di X tale che X = ∪B∈BB è facile vedereche esiste un’unica topologia T su X di cui B è una base se e soltanto se lafamiglia B verifica la seguente proprietà:(*) dati due elementi U, V di B ed un punto x ∈ U∩V esiste un elemento W ∈ Btale che x ∈W ⊂ U ∩ V.Tutti gli aperti della topologia T generata da una famiglia B che ha la proprietà(*) s’ottengono come unioni arbitrarie degli elementi di B, con la convenzioneche l’unione di una famiglia vuota è l’insieme vuoto.

Esercizio 7.1. Dimostrare che se B è una base della topologia T allora Uappartiene a T se e soltanto se per ogni x ∈ U esiste B ∈ B tale che x ∈ B ⊂ U.

Esempio: L’esempio fondamentale di una base della topologia si ritrova nelladefinizione degli aperti di uno spazio metrico (X, d). In questo caso, la famiglia

B = {B(x, r) | x ∈ X, r > 0 }

è una base di Td(X).

Esercizio 7.2. Dimostrare che anche B = {B(x, q) | x ∈ X, q ∈ Q, q > 0 } èuna base di Td(X).

In ogni caso, qualsiasi topologia resta completamente determinata da una suabase e quindi per descrivere una topologia basterà esibire una base di essa,esattamente come facciamo nel caso degli spazi metrici. Grazie a questo fattopossiamo verificare varie proprietà topologiche controllando che siano valide solosugli elementi di una base della topologia.

Esercizio 7.3. Sia f : X → Y una mappa fra due spazi topologici. Sia B unabase della topologia di Y . Dimostrare che f è continua se e soltanto se f−1(B)è aperto in X per ogni elemento B ∈ B.

Una base de intorni di un punto x ∈ X è una famiglia Bx di intorni aperti di xtale che ogni intorno aperto U di x contiene un intorno V di x appartenente aBx.Diremo che uno spazio topologico verifica il primo assioma di numerabilità(N1) se ogni suo punto possiede una base numerabile di intorni.Diremo che uno spazio topologico verifica il secondo assioma di numerabilità(N2) se la sua topologia ha una base numerabile di aperti.Ogni spazio metrico verifica il primo assioma di numerabilità (basta pren-dere intorni del punto della forma B(x, q) con q > 0 razionale) , ma nonnecessariamente verifica il secondo assioma di numerabilità.Un sottoinsieme D di X si dice denso in X se D = X. Equivalentemente D èdenso in X se ogni aperto di X contiene un punto di D.Uno spazio topologico si dice separabile se contiene un sottoinsieme numerabiledenso.

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Esempio: X = Rn è separabile; infatti D = Qn è denso in X. Anche C[a, b] loè (Teorema di Stone-Weierstrass).

Teorema 7.4. Se X soddisfa N2 allora è separabile. Reciprocamente se Xverifica N1 (ad esempio se è metrico ) ed è separabile allora verifica N2.

Dimostrazione. Per dimostrare la prima affermazione basterà scegliere un puntoin ogni aperto della base e prendere come D un insieme formato da tutti questi.Chiaramente D risulterà denso in X. Per la seconda, se D = {x1, . . . , xn, . . . }basterà prendere, per ogni xn del insieme denso, una base numerabile di intorniNxn allora B = ∪n≥1Nn risulterà essere una base numerabile di aperti.

Esercizio 7.5. Verificare quest’ultima affermazione.

Esercizio 7.6. Dimostrare che

B[a, b] = {f : [a, b]→ R| supx∈[a,b]

|f(x)| <∞}

considerato con la norma ‖.‖∞ non è separabile. In particolare risulta che B[a, b]è verifica N1(è metrico) ma non N2.

Esercizio 7.7. Uno spazio topologico si dice di Lindelof se ogni ricoprimentodella spazio per insiemi aperti ha uno sotto-ricoprimento numerabile. Dimostra-re che ogni spazio N2 è di Lindelof.

7.2 Topologia iniziale, topologia prodottoCerchiamo una risposta al seguente problema: dato un insieme X ed unafamiglia di funzioni

F = {fα : X → (Yα, Tα), α ∈ A}

da X a valori negli spazi topologici Yα, che topologia possiamo definire su X inmodo che tutte le fα siano continue?

Sappiamo che almeno una topologia c’è. Infatti, se consideriamo la topologiadiscreta su X allora ogni fα : (X, Tdisc) → (Yα, Tα) è continua. La topologiadiscreta però è troppo grande per essere interessante.

Definizione 7.2. La topologia iniziale T = T (F) di X per la famiglia F è latopologia più piccola che rende tutte le fα continue.

Se la famiglia F consiste di una sola mappa f : X → Y risulta facile caratteriz-zare la topologia T (F). Infatti, in questo caso

T (F) = {U = f−1(V )|V aperto di Y }

forma una topologia che, per la sua definizione, risulta essere la più piccolatopologia che rende continua la mappa f.

Un esempio importante di topologia iniziale definita da una sola funzione è latopologia relativa:

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Sia A ⊂ X un sottoinsieme di uno spazio topologico (X, T ). Consideriamo lamappa inclusione i : A→ X definita da i(x) = x. La più piccola topologia Tche rende continua la mappa i è la topologia relativa Trel.Infatti, preso un aperto U di X abbiamo che

i−1(U) = {x ∈ A | i(x) = x ∈ U } = U ∩A.

Ma gli insiemi di questa forma sono precisamente gli aperti della topologia Trel.

Se la famiglia F consiste in più di una mappa la descrizione della topologiainiziale associata risulta più complicata.

Proposizione 7.8. Dato un insieme X ed una famiglia di mappe

F = {fα : X → (Yα, Tα), α ∈ A}

da un insieme X a valori nei spazi topologici Yα, la topologia iniziale T (F)è la topologia avente come base la famiglia di tutte le intersezioni finite del-le controimmagini degli aperti di Yα. In altre parole, T (F) ha come base lafamiglia:

B = {f−1α1

(Uα1) ∩ ... ∩ f−1αk

(Uαk)|Uαi ∈ Tαi , 1 ≤ i ≤ k} (7.1)

Dimostrazione. Lasciata al lettore

L’esempio più importante di topologia iniziale è quello della topologia prodotto.Dati due spazi topologici (X, T1) e (Y, T2) la topologia prodotto sull’insiemeX×Y = { (x, y) | x ∈ X, y ∈ Y } è la più piccola topologia che rende continueentrambe le proiezioni

πx : X × Y → X

eπy : X × Y → Y.

Affinché πx e πy risultino continue, π−1x (U) deve essere aperto in X × Y per

ogni U ∈ T1 e π−1y (V ) deve essere aperto in X × Y per ogni V ∈ T2. Siccome

l’intersezione finita di aperti è aperta allora

U × V = π−1x (U) ∩ π−1

y (V )

deve essere un aperto di Tprod.Anche se gli aperti della forma U × V non formano una topologia la famiglia Pdegli sottoinsiemi diX×Y che sono prodotti di un aperto diX con uno di Y veri-fica banalmente la proprietà (∗) che caratterizza la base di una topologia (vedasila sezione precedente) e quindi essi formano una base della topologia prodot-to. Dalla discussione precedente risulta immediatamente la seguente importantecaratterizzazione degli insiemi aperti dello spazio prodotto:

un sottoinsieme O di X × Y è un aperto nella topologia prodotto se per ogni(x, y) ∈ O possiamo trovare un intorno aperto U di x in X e un introno apertoV di y in Y tale che U × V ⊂ O.

Proposizione 7.9. Se X,Y, Z sono spazi topologici, una mappa f : Z → X×Yrisulta continua se e soltanto πx ◦ f : Z → X e πy ◦ f : Z → Y sono continue.

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Dimostrazione. Il se è immediato in quanto composizione di mappe continue ècontinua. Per vedere che vale anche soltanto se osserviamo che per dimostra-re che una mappa è continua basta verificare che la controimmagine di ognielemento di una base della topologia sia aperta (perché?).Ma

f−1(U × V ) = (πx ◦ f)−1(U) ∩ (πy ◦ f)−1(V )e quindi si tratta di un insieme aperto in quanto intersezione di due aperti.

Esercizio 7.10. Dimostrare che le proiezione πX è una mappe aperta, cioèπX(U) è aperto in X se U è un aperto di X × Y. Verificare con esempi cheinvece l’immagine di un chiuso del prodotto non necessariamente risulta chiusain X.

Esercizio 7.11. Dimostrare che il prodotto di due spazi di Hausdorff è diHausdorff.

Esercizio 7.12. Siano Xi, 1 ≤ i ≤ n, spazi topologici. Dire quali sono gliaperti della topologia prodotto nell’insieme X1 ×X2 × · · · ×Xn =

n∏i=1

Xi = X.

Esercizio 7.13. Dimostrare che F : Rn → Rm definita da

F (x1, x2, . . . , xn) = (f1(x1, x2, . . . , xn), . . . fm(x1, x2, . . . , xn))

è continua se e soltanto se sono continue le sue componenti fi(x1, x2, . . . , xn).

Esercizio 7.14. Sia {Xα, Tα}α∈A una famiglia qualsiasi di spazi topologici.Usando la proposizione 7.8 descrivere gli aperti di

∏α∈A

Xα.

7.3 Topologia finale, topologia quozienteDefinizione 7.3. Dato un insieme Y ed una famiglia di funzioni

F = {fα : (Xα, Tα)→ Y ), α ∈ A},

la topologia finale è la topologia più grande che possiamo definire su Y inmodo che tutte le fα risultino continue.

Notare che la topologia indiscreta su Y è la topologia più piccola che rende tuttele fα continue.

L’esempio più importante di topologia finale è la topologia quoziente.

Definizione 7.4. Sia q : X → Y un’applicazione da uno spazio topologico X adun insieme Y. La topologia quoziente su Y è la famiglia

Tquoz = {U ⊆ Y | q−1(U) è aperto in X } .

Esercizio 7.15. Verificare che Tquoz è una topologia su Y e che rispetto atale topologia q risulta continua. Inoltre ogni topologia rispetto alla quale q ècontinua deve essere contenuta in Tquoz.

Esercizio 7.16. Dimostrare che se q : X → Y è suriettiva e se Y ha la to-pologia quoziente allora una mappa f : Y → Z è continua se e soltanto se lacomposizione f ◦ q è continua.

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Sia (X, T ) uno spazio topologico e sia ∼ una relazione di equivalenza su X. Perogni x ∈ X si denota la classe di equivalenza di x con

x = { y ∈ X | y ∼ x } .

Sia X/∼ l’insieme di tutte le classi d’equivalenza. Per ogni x ∈ X, esiste unaclasse d’equivalenza α ∈ X/∼ tale che x ∈ α. Inoltre se α = x1 e β = x2, sonodue classi d’equivalenza tali che α∩β 6= ∅, allora necessariamente α = β (infattise esiste un x ∈ α ∩ β si ha che x1 ∼ x e x2 ∼ x, così che anche x1 ∼ x2 ossiache α = β).

Possiamo dunque scrivereX =

⋃α∈X/∼

α.

Poiché le classi d’equivalenza sono due a due disgiunte ogni relazione d’equiva-lenza determina un’unica partizione dell’insieme X.Reciprocamente ogni partizione determina una relazione di equivalenza definitadicendo che due elementi sono equivalenti se appartengono allo stesso elementodella partizione.Sia q : X → X/∼, la proiezione al quoziente definita da q(x) = x. Abbiamo chela mappa q è suriettiva.Definiamo lo spazio quoziente di X per la relazione di equivalenza ∼ comel’insieme

X/∼ = {α | α è classe di equivalenza di ∼}

munito con la topologia quoziente

Tquoz = {V ⊂ X/∼ | q−1(V ) è aperto di X } .

Consideriamo la sfera unitaria Sn = {x ∈ Rn+1|‖x‖2 = 1} con la topologiarelativa. Definiamo una relazione d’equivalenza su Sn dicendo che x ∼ x′ se esoltanto se x′ = −x. Lo spazio quoziente Sn/∼ = Pn si chiama spazio proiettivo.

Esercizio 7.17. Dimostrare che la proiezione al quoziente q : Sn → Pn è unamappa aperta e che Pn è uno spazio topologico con la proprietà di Hausdorff.

Esercizio 7.18. Trovare un omeomorfismo fra P 1 e S1.

Nota Bene 7.1. Per n > 1 lo spazio Pn è localmente omeomorfo a Sn (infatti,entrambi sono varietà differenziabili della stessa dimensione), ma sono lungidall’essere omeomorfi. Infatti l’immagine q(γ) di un camino geodetico γ che vada x a −x sulla sfera è un laccio su Pn che non si può contrarre ad un punto,mentre tutti i lacci su Sn con n > 1 sono contraibili ad un punto.

Esercizio 7.19. Dimostrare che la topologia Tquoz verifica la seguente proprietàuniversale:Sia ∼ una relazione d’equivalenza sullo spazio topologica X e sia q : X → X/∼la proiezione al quoziente. Allora per ogni mappa continua f : X → Y tale chef(x) = f(x′) qualora x ∼ x′ esiste un’unica mappa f : X/∼ → Y continua taleche f ◦ q = f.

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8 Compattezza8.1 Spazi topologici compattiDefinizione 8.1 (Heine-Borel). Dato uno spazio topologico (X, T ), un sottoin-sieme K ⊂ X si dice compatto se ogni ricoprimento di K per aperti di X ha unsottoricoprimento finito. In altre parole, data una famiglia di aperti (Uα)α∈A diX, tali che K ⊂

⋃α∈A

Uα, esistono α1, . . . , αn tali che

K ⊂ Uα1 ∪ Uα2 ∪ · · · ∪ Uαn =n⋃i=1

Uαi .

Se K = X, X si dice spazio topologico compatto.

Esercizio 8.1. Dimostrare che un’unione finita di sottoinsiemi compatti di Xè un sottoinsieme compatto.

Esercizio 8.2. Dimostrare che K ⊂ X è compatto se e solo se (K, Trel) è unospazio compatto.

Definizione 8.2. Una famiglia (Bα)α∈A ha la proprietà PIF (Proprietà diintersezione finita) se ogni sua sottofamiglia finita ha l’intersezione non vuota.

Esercizio 8.3. Dimostrare che X è compatto se e solo se ogni famiglia (Cα)α∈Adi chiusi di X che abbia la proprietà PIF ha intersezione non vuota.In altre parole, X è compatto se e solo se verifica la proprietà seguente:Per ogni famiglia (Cα)α∈A di chiusi di X tali che, per ogni scelta di un numerofinito di indici α1, . . . , αn, si ha che

n⋂i=1

Cαi 6= ∅ allora⋂α∈A

Cα 6= ∅.

Teorema 8.4. Se X è uno spazio topologico compatto e K ⊂ X chiuso alloraK è un sottoinsieme compatto.

Dimostrazione. Sia (Uα)α∈A un ricoprimento di K per aperti di X.Poiché K è chiuso l’insieme V = X \K = Kc è aperto e si ha che

X = K ∪Kc = K ∪ V ⊂⋃α∈A

Uα ∪ V

ossia {Uα, V }α∈A è un ricoprimento di X. Ma X è compatto e dunque esisto-no α1, . . . , αn tali che X ⊂

n⋃i=1

Uαi ∪ V. Ma allora K ⊂n⋃i=1

Uαie quindi K è

compatto.

8.2 Proprietà di separazione degli spazi compattiTeorema 8.5. Sia X uno spazio topologico di Hausdorff e sia K ⊂ X compatto.Se x /∈ K allora esistono U e V aperti con x ∈ U e K ⊂ V tali che U ∩ V = ∅.

Dimostrazione. PoichéX è T2 per ogni y ∈ K esistono intorni aperti Uy(occhio!)del punto x e Vy di y tali che Uy ∩ Vy = ∅. Allora K ⊂

⋃y∈K

Vy e siccome K è

compatto esistono Vy1 , . . . , Vyn tali che K ⊂n⋃i=1

Vyi .

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Consideriamo V =n⋃i=1

Vyi e U =n⋂i=1

Uyi . Abbiamo che V è aperto e K ⊂ V, ma

anche U è aperto perché intersezione finita di aperti e x ∈ U. A questo puntoabbiamo che

U ∩ V = U ∩ (n⋃i=1

Vyi) =n⋃i=1

U ∩ Vyi = (U ∩ Vy1) ∪ · · · ∪ (U ∩ Vyn) = ∅,

perché Uyi⋂Vyi = ∅ implica necessariamente che anche U ∩ Vyi = ∅ poiché

U ⊂ Uyi .

Corollario 8.6. Se X è T2 e K ⊂ X è compatto allora K è chiuso in X.

Dimostrazione. Basta vedere che X \K è aperto.Per il teorema precedente si ha che se x ∈ X \K allora esistono U e V apertitali che x ∈ U, K ⊂ V e U ∩ V = ∅ quindi U ⊂ X \ K. Siccome U è aperto,X \K deve essere aperto poiché ogni suo punto ha un intorno aperto contenutoin X \K.

Teorema 8.7. Se X è compatto e T2 allora X è T4.

Dimostrazione. Prima di tutto osserviamo che X è T3. Dato A ⊂ X chiuso ex /∈ A, vediamo che esistono U, V aperti con x ∈ U e A ⊂ V tali che U ∩V = ∅.Poiché X è compatto anche A lo è. A questo punto si usa il risultato del teoremaprecedente per trovare U, V disgiunti con x ∈ U e A ⊂ V.Dimostriamo adesso che X è T4. Siano A,B ⊂ X chiusi e disgiunti. CerchiamoU, V aperti con A ⊂ U e B ⊂ V tali che U ∩ V = ∅.Per il teorema (8.4), A,B sono compatti. Se x ∈ A allora x /∈ B poiché A∩B =∅. Siccome B è compatto, per il teorema (8.5), esistono Ux, Vx aperti con x ∈ Uxe B ⊂ Vx tali che Ux ∩ Vx = ∅. Dato che x ∈ Ux, (Ux)x∈A è un ricoprimento diA, esistono x1, . . . , xn tali che A ⊂

n⋃i=1

Uxi . Inoltre B ⊂ Vx1 ∩ · · · ∩ Vxn perché

B ⊂ Vxi ∀i, 1 ≤ i ≤ n.Siano U =

n⋃i=1

Uxi e V =n⋂i=1

Vxi . Risulta A ⊂ U e B ⊂ V, inoltre U, V sono

aperti perché unione ed intersezione finita di aperti. Ora V =n⋂i=1

Vxi e, per ogni

i, Uxi ∩ Vxi = ∅. Quindi Uxi ∩ V = ∅. In conclusione

U ∩ V = (n⋃i=1

Uxi) ∩ V =n⋃i=1

(Uxi ∩ V ) = ∅.

8.3 Caratterizzazione degli sottoinsiemi compatti di RTeorema 8.8. L’intervallo [a, b] ∈ R è compatto.

Dimostrazione. Sia I = [a, b] e sia (Uα)α∈A una famiglia di aperti di R tale cheI ⊂

⋃α∈A

Uα. Sia poi J l’insieme delle x in I per le quali esistono α1, . . . , αn tali

che [a, x] ⊂n⋃i=1

Uαi .

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L’insieme J è non vuoto perché a ∈ J, infatti [a, a] = { a } ⊂ Uα1 . Esso è anchelimitato superiormente perché b è un maggiorante di J. Quindi deve esisterex0 = supJ.Supponiamo che x0 < b e consideriamo un Uα tale che x0 ∈ Uα. Prendiamoδ > 0 tale che (x0− δ, x0 + δ) ⊂ Uα. Allora, per definizione dell’insieme J, esisteun famiglia finita tale che [a, x0 − δ] ⊂

n⋃i=1

Uαi .

Ma allora [a, x0 + δ] ⊂ Uα ∪n⋃i=1

Uαi , il che contraddice il fatto che x0 = sup J.

Dunque x0 = b. Ma un argomento identico a quello di sopra dimostra che, seb = sup J, allora b ∈ J e quindi [a, b] è ricopribile con un sottoricoprimentofinito.

Teorema 8.9 (Heine-Borel). Un sottoinsieme C della retta R è compatto se esoltanto se C è chiuso e limitato.

Dimostrazione. Se C è compatto allora C è chiuso poiché R è metrico e quindiT2. Per dimostrare che C è limitato consideriamo Un = (−n, n). Chiaramente⋃n≥1 Un = R e quindi C ⊂

⋃n≥1 Un. Poiché C è compatto esistono n1, . . . , nr

tali che C ⊂r⋃

n=1Uni =

r⋃n=1

(−ni, ni). Se m = max1≤i≤r

ni, allora C ⊂ (−m,m) e

quindi C è limitato.Reciprocamente, se C è chiuso e limitato, per la limitatezza di C deve valere cheC ⊂ [−n, n] per qualche n ∈ N, ma [−n, n] è compatto e quindi C è sottoinsiemechiuso di uno spazio compatto. Dal teorema (8.4) si conclude che C è compatto.

8.4 Immagine continua di un compattoTeorema 8.10. Se X è compatto e f : X → Y è continua allora f(X) è unsottoinsieme compatto di Y.

Dimostrazione. Se {Uα}α∈A è un ricoprimento di K = f(X) per aperti di Y,allora gli aperti Vα = f−1(Uα) formano un ricoprimento per aperti di X. InfattiVα sono aperti perché f è continua. Per vedere che di ricoprimento si tratta,osserviamo che essendo {Uα}α∈A un ricoprimento di f(X), preso un x ∈ Xesiste almeno un α tale che f(x) ∈ Uα. Si ha allora che

x ∈ f−1(f(x)) ⊂ f−1(Uα) = Vα,

e quindi X =⋃α∈A Vα. Siccome X è compatto esistono α1, . . . , αn tali che

X ⊂n⋃i=1

Vαi ma allora

f(X) ⊆n⋃i=1

f(Vαi) ⊆n⋃i=1

Uαi .

Si conclude quindi che f(X) è compatto.

Teorema 8.11. Se X è compatto allora ogni mappa continua f : X → Y avalori in uno spazio di Hausdorff Y manda chiusi in chiusi; ossia se C ⊂ X èchiuso allora f(C) ⊂ Y è chiuso.

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Dimostrazione. Se C ⊂ X è chiuso e X è compatto allora C è compatto per ilteorema (8.4). Dunque, per il teorema (8.10), f(C) è compatto e quindi chiuso,per il corollario (8.6).

Teorema 8.12. Se f : X → Y è continua e biiettiva con X compatto e Y èuno spazio T2, allora f è un omeomorfismo.

Dimostrazione. Bisogna dimostrare che la mappa f−1 è continua. Per questobasterà dimostrare che se g = f−1, allora g−1(C) è chiuso per ogni C chiuso inX, ma siccome g = f−1 implica che g−1(C) = f(C), questo discende teorema(8.11).

Teorema 8.13 (Weierstrass generalizzato). Sia X uno spazio topologico com-patto e sia f : X → R continua. Allora esistono x1, x2 ∈ X tali che

f(x1) ≤ f(x) ≤ f(x2)∀x ∈ X.

In altre parole, su uno spazio topologico compatto ogni funzione continua rag-giunge il suo valore massimo e minimo.

Dimostrazione. Essendo X compatto anche f(X) è un sottoinsieme compattodi R e quindi è chiuso e limitato. Pertanto ammette un maggiorante ed unminorante. Per completezza di R esistono m = inf

x∈Xf(x) ed M = sup

x∈Xf(x).

Poiché M = sup { f(x) | x ∈ X) } , preso Mn = M − 1/n devono esistere xn ∈X tali che M − 1/n ≤ f(xn) ≤ M. In questo modo troviamo una successione(xn) ∈ X tale che lim

n→∞f(xn) = M.

AlloraM ∈ f(X) poiché è il limite di una successione di punti in f(X). Essendof(X) è chiuso avremo M ∈ f(X) = f(X), ossia che esiste x2 ∈ X tale cheM = f(x2).Analogamente si dimostra che m = f(x1) per qualche x1 ∈ X. Dunque f(x1) ≤f(x) ≤ f(x2) ∀x ∈ X.

Corollario 8.14. Ogni funzione continua su uno spazio topologico compatto Xè limitata, cioè esiste M > 0 tale che −M ≤ f(x) ≤M per ogni x ∈ X.

Corollario 8.15 (Weierstrass). Ogni funzione continua f : [a, b]→ R raggiungeil suo valore massimo e minimo.

8.5 Prodotto di spazi topologici compattiTeorema 8.16. X,Y sono spazi topologici compatti se e soltanto se X × Y èuno spazio topologico compatto.

Dimostrazione. Innanzitutto, se X × Y è compatto dal teorema 8.10 derivache anche X e Y lo sono, dal momento che le proiezioni πx : X × Y → X eπy : X × Y → Y sono continue e suriettive.

Reciprocamente, sianoX e Y compatti e sia {Wα}α∈A un ricoprimento diX×Y.Per definizione della topologia prodotto ogni Wα sarà della forma

Wα =⋃β∈Bα

Uα,β × Vα,β

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con Uα,β aperto di X e Vα,β aperto di Y.Se consideriamo C =

⋃α∈A{α}×Bα, e denotiamo con γ = (α, β), abbiamo che

{Uγ × Vγ}(γ)∈C è un ricoprimento di X × Y.Ora, per ogni x ∈ X, {x } × Y è compatto perché omeomorfo a Y e poiché{Uγ × Vγ}(γ)∈C ricopre {x } × Y, deve contenere un sottoricoprimento finito diquesto spazio. Quindi, deve esistere un sottoinsieme finito I(x) ⊂ C tale che

{x } × Y ⊂⋃

(γ)∈I(x)

(Uγ × Vγ).

Se consideriamo Ux =⋂

γ∈I(x)Uγ , ogni Ux è aperto. Dunque la famiglia (Ux)x∈X

è un ricoprimento per aperti dello spazio compatto X, e avrà un sottoricopri-mento finito. Sia esso {Ux1 , . . . , Uxm}. Osserviamo ora che I =

m⋃j=1

I(xj) è un

sottoinsieme finito di C e dimostriamo che

X × Y =⋃γ∈I

Uγ × Vγ .

Infatti, se (x, y) ∈ X×Y, allora x ∈ Uxj per qualche j e poiché (xj , y) ∈ {xj }×Y,si avrà y ∈ Vγ per qualche γ ∈ I(xj) ⊂ I. Inoltre, per definizione di Ux abbiamoche Uxj ⊂ Uγ e quindi (x, y) ∈ Uγ × Vγ con γ = (α, β) ∈ I.Questo dimostra che {Uγ × Vγ}γ∈I è un ricoprimento finito di X × Y. Però, perogni γ ∈ I, l’insieme Uγ×Vγ è contenuto in qualche insiemeWγ del ricoprimento(Wα)α∈A. Scegliendo uno di loro per ogni γ otteniamo che X × Y =

⋃γ∈IWγ

e quindi abbiamo trovato un sottoricoprimento finito di X × Y estratto dalricoprimento {Wα}α∈A.

Ricapitoliamo i risultati delle sezioni precedenti: essi dicono che la compattezzadi uno spazio è preservata per le inclusioni di sottospazi chiusi, quozienti eprodotti.Infatti:

1. ogni sottospazio chiuso di un spazio compatto è compatto;

2. se ∼ è una relazione di equivalenza allora X/∼ è compatto se X lo è (perché π : X → X/∼ è continua e suriettiva);

3. il prodotto di un numero finito di spazi compatti è compatto. Inoltre, an-che se qui non lo dimostriamo qui, un prodotto qualsiasi di spazi compattiè compatto (Teorema di Tychonoff).

8.6 Caratterizzazione dei compatti di Rn

Poiché ogni intervallo [a, b]della retta reale è compatto, per il teorema principaledella sezione precedente risulterà compatto il prodotto

In = { (x1, . . . , xn) | ai ≤ xi ≤ bi, 1 ≤ i ≤ n } =n∏i=1

[ai, bi]

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In particolare ogni palla chiusa

B∞(x0, r) = { x | ‖x− x0‖∞ ≤ r } =n∏i=1

[xi0 − r ≤ x ≤ xi0 + r]

è compatta.

Teorema 8.17. Un sottoinsieme C di Rn è compatto se e soltanto se C è chiusoe limitato.

Del tutto identica a quella per n = 1. Se C è compatto allora C è chiuso perchéRn è T2. Consideriamo un ricoprimento di Rn =

∞⋃k=1

B∞(0, k).

Poiché C è compatto esistono k1, . . . , kn tali che C ⊂n⋃k=1

B∞(0, ki). Se prendia-

mo r = max1≤i≤n

ki allora C ⊂ B∞(0, r) quindi è limitato.

Reciprocamente, se C è limitato esso è contenuto in B∞(0, r) che è compat-ta. Ma allora anche C è compatto perché è un sottoinsieme chiuso dello spaziocompatto B∞(0, r) .

Esempio: In particolare Sn−1 = {x | ||x||2 = 1 } è un insieme compattoperché chiuso e limitato. Infatti, è limitato perché è contenuto nella sfera diraggio 1. E’ anche chiuso perché se prendiamo la funzione continua ϕ : Rn → Rdefinita da ϕ(x) = ||x||2 risulta che Sn−1 = ϕ−1 { 1 } , ossia la controimmagineper ϕ di un chiuso.Poiché Pn−1 = Sn−1/∼ risulta che anche lo spazio proiettivo Pn−1 è compatto.

Esercizio 8.18. Dimostrare che la palla chiusa B(0, r) = {x|‖x‖2 ≤ r} è unsottoinsieme compatto di Rn.

Esercizio 8.19. Dimostrare che Sn−1∞ = {x | ||x||∞ = 1 } è compatto usando

una dimostrazione diversa da quella usata nell’esempio precedente.

Esercizio 8.20. Dimostrare che Pn−1 è una varietà C∞.

Esercizio 8.21. Dimostrare che T 2 = S1 × S1 è omeomorfo a R2/Z2.

Esercizio 8.22. Dimostrare che se q : R → R/Q è la proiezione al quozienteK = q([0, 1]) è compatto ma non chiuso in R/Q. Concludere che R/Q non è diHausdorff.

Sia O(n) lo spazio delle matrici ortogonali

O(n) = {A ∈Mn×n | < ci(A)cj(A) >= δi,j } ,

dove ci sono i vettori colonna della matrice A e δi,j è la delta di Kronecker.

Proposizione 8.23. O(n) è un gruppo topologico compatto, sottospazio diMn×n = Rn2

.

81

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Dimostrazione. Lasciamo come esercizio verificare che O(n) è un gruppo topo-logico rispetto all’operazione prodotto di matrici. Vediamo che esso è compatto.Consideriamo lo spazio

Sn−1 × Sn−1 × · · · × Sn−1

(n-volte). Pensando una matrice come un n-upla dei suoi vettori colonna risultaO(n) ⊂ Sn−1×· · ·×Sn−1. Siccome Sn−1 è compatto, Sn−1×· · ·×Sn−1 è com-patto. Allora basta dimostrare che O(n) è un sottospazio chiuso del prodottoSn−1 × · · · × Sn−1.Per questo, siano 1 ≤ i, j ≤ n, i 6= j. Sia poi ϕi,j : Sn−1 × · · · × Sn−1 → R lafunzione continua definita da

ϕi,j(c1, . . . , cn) =< ci, cj > .

Allora per definizione

O(n) = { (c1, . . . , cn) ∈ Sn−1 × · · · × Sn−1 | ϕi,j(A) = δi,j }

è chiuso perché intersezione di insiemi chiusi ϕ−1i,j (δi,j).

Esercizio 8.24. Usando il teorema delle funzioni implicite dimostrare che O(n)è una sottovarietà C∞ di Rn2 e trovare la sua dimensione

Vediamo ora un altra conseguenza importante del fatto che chiusi e limitati diRn siano compatti.

Teorema 8.25. Tutte le norme su Rn sono equivalenti e in particolare defini-scono la stessa topologia sullo spazio Rn.

Dimostrazione. Basterà far vedere che ogni norma è equivalente alla norma||.||∞, per questo dobbiamo dimostrare che se ||.|| è una norma qualsiasi, esistonok1, k2 > 0 tali che ||x|| ≤ k1||x||∞ per ogni x ∈ Rn e ||x||∞ ≤ k2||x||.Scriviamo x come una combinazione lineare dei vettori ei della base canonica,x =

n∑i=1

xiei.

Stimando la norma di x otteniamo il risultato seguente:

||x|| = ||n∑i=1

xiei||

≤n∑i=1|xi|||ei||

≤ ||xi||∞n∑i=1||ei||,

poiché |xi| ≤ ||xi||∞ ∀i, 1 ≤ i ≤ n. Quindi, ||x|| ≤ k1||x||∞, dove k1 =∑ni=1 ||ei||.

Sulla sfera Sn−1∞ = {x|‖x‖∞ = 1} consideriamo la funzione ϕ : Sn−1

∞ → R,definita da ϕ(x) = ||x||. Allora ϕ(x) > 0 per ogni x ∈ Sn−1

∞ perché ||x|| = 0 se e

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solo se x = 0. Inoltre, ϕ(x) = ||x|| è continua perché restrizione a Sn−1∞ di una

funzione continua su Rn. Poiché Sn−1∞ è compatto, per il teorema di Weierstrass,

esiste x1 ∈ Sn−1∞ tale che ϕ(x1) = min

x∈Sn−1∞

ϕ(x).

Poiché x1 6= 0 si ha che ϕ(x1) = ||x1|| > 0 e questo vuol dire che ϕ(x) = ||x|| ≥ϕ(x1) = δ > 0 per ogni x ∈ Sn−1

∞ .

Sia ora x ∈ Rn un vettore qualunque e sia y = x/||x||∞ allora ||y||∞ = ||x||∞||x||∞ = 1

e quindi y ∈ Sn−1∞ . Per la discussione di sopra abbiamo che:

0 < δ ≤ ϕ(y) = ||y|| = ‖ x

||x||∞‖ = 1||x||∞

||x||.

Risulta quindi δ||x||∞ ≤ ||x|| ossia ||x||∞ ≤ k2||x|| con k2 = 1/δ.

Ricordando che una trasformazione lineare T : Rn → Rm è continua se e soltantose esiste una costante K ≥ 0 tale che ‖Tx‖ ≤ K‖x‖ usando il metodo del tuttoanalogo a quello usato per dimostrare il teorema precedente si dimostra anche

Teorema 8.26. Ogni trasformazione lineare T : Rn → Rm è continua.

Dimostrazione. Esercizio.

Chiaramente lo stesso vale per ogni trasformazione lineare fra spazi normatidi dimensione finita ma le cose cambiano radicalmente negli spazi normati adimensione infinita.

8.7 Teorema di Bolzano-Weierstrass generalizzatoIntroduciamo ora una estensione della proprietà di Bolzano-Weierstrass deisottoinsiemi compatti della retta reale agli spazi topologici compatti.

Definizione 8.3. Sia X uno spazio topologico e A ⊂ X un sottoinsieme. Dire-mo che x0 è un punto di accumulazione di A se ogni intorno di x0 contieneinfiniti punti di A.Se X è T2 questa affermazione equivale a dire che ogni intorno aperto di x0contiene punti di A diversi da x0. Denoteremo con A′ l’insieme dei punti diaccumulazione di un insieme A. Se x0 ∈ A allora x0 è sicuramente un punto diaderenza di A, perché ogni intorno di x0 interseca A, ma non necessariamenteè un punto di accumulazione di A.Se x0 ∈ A e non è di accumulazione allora esiste almeno un intorno aperto Udi x0 tale che A ∩ U = {x0 } . In questo caso x0 si dice punto isolato di A.

Esercizio 8.27. Sia A un insieme chiuso, sia A′ l’insieme dei punti di accu-mulazione di A e Aiso l’insieme dei punti isolati di A. Verificare che A′ e Aisosono chiusi e A = A′ ∪Aiso (unione disgiunta). Che cosa si può dire se A nonè chiuso?

Teorema 8.28. Se X è uno spazio topologico compatto allora ogni sottoinsiemeinfinito di X possiede almeno un punto di accumulazione.

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Dimostrazione. Sia A ⊂ X. Supponiamo che non esista alcun punto di accu-mulazione di A. Quindi, per ogni x ∈ X esiste un intorno Ux aperto tale cheUx ∩A = {x } , se x ∈ A, oppure Ux ∩A = ∅, se x /∈ A. Poiché X è compatto e(Ux)x∈X è un ricoprimento di X esistono Ux1 , . . . , Uxn che formano un sottori-coprimento finito di X. In particolare A ⊂

n⋃i=1

Uxi . Ma allora A ⊂n⋃i=1

Uxi ∩A è

un insieme finito perché unione di punti.

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9 Spazi topologici connessi e connessi per archi9.1 Spazi connessi e sconnessiDato uno spazio topologico X, una separazione di X è una coppia di aperti U, Vdi X tale che U ∩ V = ∅ e U ∪ V = X. Diremo che X è uno spazio topologicoconnesso se l’unica separazione di X è quella banale, ossia U = ∅ e V = Xoppure U = X e V = ∅. Dunque X è sconnesso se possiamo scrivere X comeunione di U, V con U, V aperti, non vuoti e disgiunti.Se U ∩ V = ∅ allora V = U c e quindi se U è aperto allora V è chiuso). Perciòuno spazio topologico X risulta connesso se e soltanto se gli unici sottoinsiemichiusi e simultaneamente aperti di X sono X e ∅.Diremo che un sottoinsieme A di uno spazio topologico X è connesso se Amunito della topologia relativa è uno spazio connesso.Esempi

1. ConsideriamoQ ⊂ R con la topologia relativa. Poiché (−∞,√

2) è (√

2,+∞)sono sottoinsiemi aperti di R. U = Q ∩ (−∞,

√2) e V = Q ∩ (

√2,+∞)

sono aperti di Q. Dunque abbiamo che: Q = U ∪ V, U 6= ∅, V 6= ∅ eU ∩ V = ∅ e quindi Q ⊂ R è sconnesso.

2. Sia A un insieme così definito:

A = { (x, 0) | x ∈ R } ∪ { (x, e−x) | x ∈ R } .

A, è unione di due insieme connessi, ma è facile vedere cheA non è connesso(perché?). In generale l’unione di connessi non è detto che sia connessa.

3. Invece, come vedremo in seguito, l’insieme

A = { (x, 0) | −∞ < x ≤ 0 } ∪ { (x, sin 1x

) | x > 0 }

è sottoinsieme connesso di R2.

Teorema 9.1 (Valori intermedi). Sia I un intervallo qualsiasi (proprio o im-proprio) della retta reale, sia f : I → R una funzione continua e siano x0, x1 ∈ Itali che f(x0) = λ0 ≤ f(x1) = λ1. Allora per ogni λ, con λ0 ≤ λ ≤ λ1, esistealmeno un x ∈ I tale che f(x) = λ.

Dimostrazione. Basta considerare il caso λ0 < λ < λ1. Se g(x) = f(x) − λallora g è continua e tale che g(x0) < 0 e g(x1) > 0. Se facciamo vedere cheesiste un x tale che g(x) = 0 questo dimostrerà il teorema perché allora saràf(x) = g(x) +λ = λ. Per dimostrare l’esistenza di un tale punto x consideriamol’insieme A = {x ∈ [x0, x1] | g(x) < 0) } che è non vuoto perché x0 ∈ A e anchelimitato superiormente in quanto x1 è un maggiorante dell’insieme. Sia

x = supA = supx∈[x0,x1]

{x | g(x) < 0 } ,

Se g(x) < 0, per il teorema di permanenza del segno, esiste un intorno(x− δ, x+ δ) di x in cui g(x) < 0, contraddicendo il fatto che x ≤ x ∀x ∈ A.Analogamente, se g(x) > 0, g sarà positiva in un intorno (x−δ, x+δ) contraddi-cendo il fatto che x è il più piccolo maggiorante di A. Quindi l’unica alternativaè che g(x) = 0. Ciò dimostra l’esistenza di un x ∈ (a, b) tale che f(x) = λ.

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Teorema 9.2. Sia X uno spazio topologico. Le seguenti affermazioni sonoequivalenti:

(1) X è connesso;

(2) ogni funzione continua f : X → R ha la proprietà dei valori intermedi(o proprietà di Darboux): se x0, x1 ∈ X allora per ogni λ tale per cuif(x0) ≤ λ ≤ f(x1) esiste x ∈ X tale che f(x) = λ;

(3) ogni funzione ϕ : X → { 0, 1 } continua (considerando { 0, 1 } con la topo-logia discreta) è costante.

Dimostrazione. (1) ⇒ (2). Facciamo vedere che q(2) ⇒q(1) (qui q denota lanegazione).Se non vale (2) vuol dire che esiste una funzione continua f : X → R, due puntix0, x1 ∈ X e λ0 ∈ R tali che f(x0) < λ0 < f(x1) ma λ0 /∈ Imf.Prendiamo U = f−1((−∞, λ0)) e V = f−1((λ0,+∞)), allora U, V sono apertiperché f è continua e sono non-vuoti perché x0 ∈ U e x1 ∈ V, inoltre U ∩V = ∅e U ∪ V = X. Quindi X non è connesso.(2) ⇒ (3). Sia ϕ : X → { 0, 1 } continua. La topologia relativa su { 0, 1 } ⊂ R,come sottospazio di R coincide con quella discreta. Sia ϕ : X → R definita daϕ = i◦ϕ, dove i : { 0, 1 } → R è la mappa inclusione. La funzione reale ϕ risultaessere continua perché composizione di funzioni continue. Allora per (2), ϕ hala proprietà dei valori intermedi. Se ϕ non fosse costante esisterebbero x0, x1tali per cui ϕ(x0) = 0 e ϕ(x1) = 1. Ma 0 < 1/2 < 1 e non esiste alcun x ∈ Xper cui ϕ(x) = 1/2, contraddicendo la (2). Così ϕ deve essere costante e quindipure ϕ lo è.(3)⇒ (1). Facciamo vedere che q(1)⇒q(3).Supponiamo che X sia sconnesso, ossia che esistano U, V 6= ∅ aperti tali cheX = U ∪ V e U ∩ V = ∅. Definiamo ϕ : X → { 0, 1 } in questo modo

ϕ(x) ={

0 se x ∈ U1 se x ∈ V .

Allora ϕ non è costante perché U 6= ∅ e V 6= ∅. Affermiamo che ϕ è continua.Infatti gli aperti di { 0, 1 } sono: { 0, 1 } , ∅, { 0 } e { 1 } . Ma:ϕ−1({ 0, 1 }) = X;ϕ−1(∅) = ∅;ϕ−1({ 0 }) = U ;ϕ−1({ 1 }) = V.Quindi la controimmagine di ogni aperto di { 0, 1 } è un aperto di X e cosìabbiamo costruito una funzione continua non costante a valori in { 0, 1 } .

Poiché ogni intervallo reale ha la proprietà dei valori intermedi dimostrata nelteorema 9.1 abbiamo come conseguenza:

Corollario 9.3. Ogni intervallo di R, sia proprio che improprio, è connesso.

Teorema 9.4. A ⊂ R è connesso se e soltanto se A è un intervallo proprio oimproprio.

Dimostrazione. Se A è un intervallo allora A è connesso per il corollario (9.3).Reciprocamente, vogliamo dimostrare che ogni sottoinsieme connesso di R è un

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intervallo. Basta far vedere che se A non è un intervallo allora A non è connesso.Sappiamo che un insieme A è un intervallo se e solo se per ogni x0, x1 ∈ A e perogni x ∈ R tale che x0 < x < x1 allora x ∈ A. Dunque se A non è un intervallodevono esistere x0, x1 ∈ A e x2 /∈ A tali per cui valga x0 < x2 < x1.Se prendiamo U = A ∩ (−∞, x2) e V = A ∩ (x2,+∞) abbiamo trovato unaseparazione non banale di A e dunque possiamo concludere che A non è connesso.

Esercizio 9.5. Dimostrare che ogni intervallo di R è connesso direttamentecon le separazioni e senza usare la proprietà di Darboux.

Teorema 9.6. Sia f : X → Y una mappa continua fra spazi topologici, se X èconnesso, allora Z = Imf è connesso.

Dimostrazione. Osserviamo prima di tutto che per un esercizio precedente lamappa f vista come una mappa a valori in Z è anche continua.Prendiamo una funzione continua ϕ : Z → { 0, 1 } e dimostriamo che ϕ è costan-te. Allora Z risulterà connesso per il teorema (9.2).Se ϕ è come sopra allora ϕ = (ϕ ◦ f) è continua. Poiché X è connesso, ϕ ècostante ma allora anche ϕ è costante perché f : X → Z è suriettiva.

Teorema 9.7. X × Y è connesso se e soltanto se X e Y sono connessi.

Nota Bene 9.1. In generale, il prodotto di una famiglia qualsiasi di spaziconnessi è connesso.

Dimostrazione. Se X × Y è connesso, X e Y sono connessi perché X = Im πXe Y = Im πY , con πX : X × Y → X e πY : X × Y → Y continue.Reciprocamente, se X,Y sono connessi vediamo che lo è anche X × Y usandoancora il teorema (9.2).Scegliamo un punto (x0, y0) diX×Y e vediamo che per ogni (x, y) ∈ X×Y e ognifunzione continua ϕ : X × Y → { 0, 1 } si ha che ϕ(x, y) = ϕ(x0, y0). Definiamodue inclusioni i1 : Y → X × Y, i1(y) = (x0, y) e i2 : X → X × Y, i2(x) = (x, y).Entrambe sono mappe continue perché lo sono le loro componenti (identità efunzione costante).Quindi sono continue anche ϕ1 = ϕ ◦ i1 e ϕ2 = ϕ ◦ i2. Ma X,Y sono spazitopologici connessi e quindi tanto ϕ1 come ϕ2 sono costanti. Abbiamo così:

ϕ1(y) = ϕ1(y0)q q

ϕ(x0, y) = ϕ(x0, y0)

ϕ2(x0) = ϕ2(x)q q

ϕ(x0, y) = ϕ(x, y).

Quindi ϕ(x0, y0) = ϕ(x, y), come volevasi dimostrare.

Proposizione 9.8. Se un sottoinsieme A di uno spazio topologico X è connesso,allora anche A è connesso.

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Dimostrazione. Supponiamo che A = U ∪V, con U, V ⊂ A aperti disgiunti dellatopologia relativa di A, e facciamo vedere che non possono essere entrambi nonvuoti.Consideriamo U ′ = U ∩ A e V ′ = V ∩ A. Dalla definizione di topologia relati-va è facile vedere che U ′ e V ′ sono aperti della topologia relativa di A inoltreU ′∩V ′ = ∅ e U ′∪V ′ = A. Poiché A è connesso sarà U ′ = ∅ o V ′ = ∅. Se U ′ = ∅,allora necessariamente anche U = ∅. Infatti, se esistesse un x ∈ U, siccomeU ⊂ A, dovrebbe esistere un z ∈ A tale che z ∈ U. Ma allora z ∈ A∩U = U ′, ilche porta ad un assurdo.

Proposizione 9.9. Siano (Xα)α∈A spazi connessi. Supponiamo che⋂α∈A

Xα 6=

∅ allora⋃α∈A

Xα è connesso.

Dimostrazione. Sia X =⋃α∈A

Xα, e sia ϕ : X → { 0, 1 } continua. Dimostriamo

che ϕ è costante. Scegliamo un punto x0 ∈⋂α∈A

Xα e dimostriamo che, per

ogni x ∈ X, ϕ(x) = ϕ(x0). Sia iα : Xα → X l’inclusione di Xα in X. Definiamoϕα : Xα → { 0, 1 } come

ϕα(x) = (ϕ ◦ iα)(x).

Essendo Xα è connesso e ϕα, avremo per ogni x ∈ Xα, ϕα(x) = ϕα(x0). Poichéquesto è vero per ogni α ∈ A, la funzione ϕ è costante e questo dimostra che Xè connesso.

9.2 Componenti connesseDato uno spazio X e dati due punti x, y ∈ X, definiamo x ∼ y se esiste un insie-me connesso A ⊂ X tale che x, y ∈ A. Cioè due elementi di X sono equivalentise appartengono ad uno stesso sottoinsieme connesso.

Esercizio 9.10. Verificare che ∼ è una relazione di equivalenza.

La componente connessa di un punto x ∈ X è la sua classe di equivalenza per larelazione ∼ . In particolare la famiglia delle componenti connesse di uno spazioformano una partizione di X.

Teorema 9.11. La componente connessa Cx = { y | y ∼ x } del punto x ∈ Xè il più grande sottoinsieme connesso di X contenente x. Ogni componenteconnessa C è un sottoinsieme chiuso di X.

Dimostrazione. Dimostriamo prima di tutto che Cx è un insieme connesso.Per ogni y ∈ Cx, scegliamo un sottoinsieme connesso Axy ⊂ X tale che x, y ∈Axy. Affermiamo che Axy ⊂ Cx. Infatti, per definizione di ∼, per ogni z ∈ Axy,abbiamo che z ∼ x e quindi z ∈ Cx. Consideriamo ora A =

⋃y∈Cx

Axy. Per

definizione di A abbiamo che Cx ⊂ A. Ma anche A ⊂ Cx, perché Axy ⊂ Cx perogni y ∈ Cx. Dunque A = Cx. Per la proposizione 9.9, A è connesso in quantounione di una famiglia di connessi che si intersecano nel punto x. Quindi Cx èconnesso.

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Per quanto detto prima, se C è un insieme connesso che contiene x, ogni puntoz ∈ C appartiene anche a Cx. Il che dimostra che Cx è il più grande connessoche contiene x. Inoltre, poiché Cx è connesso abbiamo che anche Cx è connesso.Essendo Cx il più grande insieme connesso che contiene x, risulta Cx = Cx equindi Cx è chiuso.

Ogni componente connessa di uno spazio topologico è sempre un sottoinsiemechiuso di esso ma non sempre risulta essere un sottoinsieme aperto.Esempio: Sia A = { 0, 1

n , n ∈ N } . Per ogni x ∈ A abbiamo che Cx = {x } ,ossia le componenti connesse dei punti di A sono { 0 } , { 1

n }n∈N .{ 1n }n∈N sono sia chiusi che aperti perché punti isolati.{ 0 } è chiuso ma non aperto in A perché altrimenti potrei scriverlo come inter-sezione di A con un aperto.

Questo esempio dimostra anche che non sempre una componente connessa diuno spazio si può separare dalle altre. Vediamo ora una condizione sullo spa-zio equivalente al fatto che i suoi insiemi aperti abbiano componenti connesseaperte.

Definizione 9.1. Uno spazio X si dice localmente connesso se ogni punto dellospazio ha una base di intorni aperti connessi.

Esercizio 9.12. Ogni spazio normato è localmente connesso.

Sulla base dell’esercizio precedente possiamo affermare che R,Rn, C[a, b] sonolocalmente connessi.

Teorema 9.13. Lo spazio X è localmente connesso se e soltanto se ogni com-ponente connessa di un sottoinsieme aperto di X è aperta (oltre che chiusa).

Dimostrazione. Supponiamo che X sia localmente connesso. Sia U un insiemeaperto di X e sia C una sua componente connessa. Se y ∈ C ⊂ U, deve esistereun intorno connesso V di y contenuto in U. Poiché C è un connesso massimalecontenente y risulta che V ⊂ C il che dimostra che la componente C e aperta.Reciprocamente, se le componenti connessi di insiemi aperti sono aperte allorale componenti connesse degli intorni aperti di x formano una base di intorni.

Teorema 9.14. Ogni aperto di R è un’unione disgiunta al più numerabile diintervalli aperti.

Dimostrazione. Sia U ⊂ R aperto. U =⋃

C∈U/∼C con C componente connessa.

Siccome U è aperto e lo spazio R è localmente connesso, ogni componente con-nessa C è un insieme aperto.Poiché sottoinsiemi connessi di R sono soltanto gli intervalli, ogni componenteconnessa C di U dovrà essere un intervallo aperto (a, b). Ora U/ ∼ è numerabileperché preso C ∈ U/∼, C = (a, b) possiamo trovare un numero razionale qc ∈ Qcon a < qc < b. Questo definisce una funzione U/∼→ Q, C 7→ qc che è iniettivae quindi U/∼ è al più numerabile.

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Esercizio 9.15. Uno spazio si dice totalmente sconnesso se la componenteconnessa di ogni punto si riduce al punto stesso (Cx = {x})). Dimostrare cheQ è totalmente sconnesso.

9.3 Spazi connessi per archiUno spazio topologico X si dice connesso per archi se, dati x, y ∈ X, esisteuna mappa continua γ : [0, 1] → X tale che γ(0) = x e γ(1) = y (γ si chiamacammino, curva o arco).

Definizione 9.2. Un sottoinsieme C ⊂ V di uno spazio normato V si diceconvesso se per ogni x, y ∈ C, il segmento xy ⊂ C.

Poiché la mappa γ : [0, 1]→ V definita da γ(t) = tx+ (1− t)y ha per immagineil segmento xy concludiamo che ogni insieme convesso è connesso per archi.

Proposizione 9.16. Se X è connesso per archi allora X è connesso.

Dimostrazione. Sia ϕ : X → R continua e vediamo che ϕ ha la proprietà deivalori intermedi.Siano x0, x1 ∈ X, λ0 = ϕ(x0) e λ1 = ϕ(x1) e sia λ tale che λ0 ≤ λ ≤ λ1. Bisognatrovare x ∈ X con ϕ(x) = λ. Sia γ : [0, 1]→ X tale che γ(0) = x0 e γ(1) = x1.Consideriamo la funzione continua ψ = ϕ ◦ γ : [0, 1] → R. Per il teorema deivalori intermedi esiste t0 ∈ I tale che ψ(t0) = ϕ(γ(t0)) = λ. Allora x = γ(t0) èil punto cercato.

Il seguente è un esempio classico di insieme connesso che non è connesso perarchi.Esempio: L’insieme A = { (0, y) | −1 < y < 1 }∪{ (x, sin 1

x ) | 0 < x < +∞}non è connesso per archi ma è connesso essendo la chiusura di un insiemeconnesso per archi.

Esercizio 9.17. Dimostrare che A non è connesso per archi. Suggerimento:considerare un cammino

γ : [0, 1]→ A, γ(t) = (x(t), y(t))

tale che γ(0) = (0, 0) e γ(1) = (1/π, 0) e applicare il teorema dei valori intermediad x, y.

Teorema 9.18. Uno spazio topologico X è connesso per archi se e soltanto seX è connesso ed ogni suo punto ha almeno un intorno che sia connesso perarchi.

Dimostrazione. L’implicazione ⇒ segue banalmente dal teorema precedente.Per la ⇐ scegliamo un x ∈ X e osserviamo che l’insieme Carcx dei punti chesono l’estremo di un arco che parte da x e tanto aperto come chiuso in X (dimostrarlo!). Poiché Carcx 6= ∅ abbiamo che Carcx = X.

Corollario 9.19. Un sottoinsieme aperto U di uno spazio normato (ed inparticolare di Rn) è connesso se e soltanto se U è connesso per archi.

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9.4 Teoremi di Brouwer e di JordanI due classici teoremi che esporremo di seguito hanno dato origini ad un ramodella topologia chiamato topologia algebrica.Denotiamo con Dn ⊂ Rn la palla chiusa con centro 0 e raggio r e con Sn−1 ⊂ Rnil suo bordo ∂Dn ⊂ Dn.

Teorema 9.20 (Brouwer). Se f : Dn → Dn è un’applicazione continua, alloraesiste x ∈ Dn tale che f(x) = x.

Idea della dimostrazione. Per n = 1 la dimostrazione è alquanto semplice.Se f(−1) = −1 oppure f(1) = 1 non vi è nulla da dimostrare, per cui assumiamof(±1) 6= ±1. Applichiamo allora il teorema del valore intermedio alla funzioneg(x) = f(x)− x, che nelle nostre ipotesi, cambia il segno nell’intervallo [−1, 1].

Per n > 1 ragioniamo per assurdo supponendo che f non abbia punti fissi. Alloraper ogni x ∈ Dn è ben definito il punto F (x) ∈ ∂Dn = Sn−1 come l’intersezionetra ∂Dn e la retta passante per x ed f(x). Otteniamo così un’applicazionecontinua

F : Dn → Sn−1 tale che F (x) = x , ∀x ∈ Sn−1 .

Una mappa con la proprietà sopra descritte si chiama ritrazione. Ora, l’idea èquella di dimostrare che una ritrazione di Dn su Sn−1 non può esistere. Grazieai teoremi di approssimazione delle funzioni continue per funzioni differenziabili,ci basterà dimostrare che non esiste una ritrazione F che sia differenziabile.Per il teorema di Sard esiste un punto y ∈ Sn−1 che è valore regolare dellaF. Ciò vuol dire DF (x) è suriettivo per ogni x ∈ F−1(y). Per il teorema dellafunzione implicita la controimmagineM = F−1(y) di un valore regolare y è unavarietà uno-dimensionale con bordo contenuto nel bordo di Dn. Queste varietàsono facilmente classificabili. Risultano essere unione di curve chiuse diffeomorfea S1 contenute nel interno della palla e di curve omeomorfe ad un intervallo icui estremi si trovano su ∂Dn. Poiché ogni intervallo ha due estremi, il numerototale dei punti diM ∩∂Dn deve essere pari. Ma questo contraddice il fatto cheF (x) = x , ∀x ∈ Sn−1 perché ci sarebbe in M ∩ ∂Dn un altro punto y′ 6= y conF (y′) = y. I dettagli si trovano sul bellissimo librino di John Milnor ” Topologyfrom differentiable veiwpoint ” dove troverete anche una breve introduzione alcalcolo differenziale e varietà differenziabili.

Definizione 9.3. Una curva chiusa semplice C è un’immagine omeomorfa diuna circonferenza.

Teorema 9.21 (Jordan). Se C è una curva semplice nel piano euclideo (cur-va di Jordan) allora il complementare, R2 \ C, è sconnesso e consiste di duecomponenti, una limitata e l’altra no. Entrambe hanno C come frontiera.

Nota Bene 9.2. Un teorema analogo vale per una curva semplice sulla sferaS2. In questo caso entrambe le componenti del complemento sono limitate edomeomorfe ad un disco aperto D2 come è stato dimostrato da Schoenflies.

9.5 Invarianti topologiciEsistono moltissimi invarianti topologici che permettono scoprire quando duespazi topologici non sono omeomorfi. Ad esempio Rn e Sn non sono omeomorfi

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perché uno è compatto e l’altro no. Invarianti più raffinati quali, dimensionetopologica, caratteristica di Eulero Poincaré, gruppi di omologia e omotopiarichiedono altro lavoro per essere definiti.Qui osserveremo soltanto quel che segue:poiché l’immagine di un connesso per una mappa continua f : X → Y è con-nesso, se C è una componente connessa di X f(C) deve essere contenuta inqualche componente connessa C ′ di Y. Da questo si deduce facilmente che sef è un omeomorfismo allora, per ogni x ∈ X, f(Cx) = Cf(x) ⊂ Y e inoltre larestrizione della f a Cx è un omeomorfismo di Cx con Cf(x). In particolare duespazi omeomorfi hanno lo stesso numero di componenti connesse.Alcuni degli esercizi seguenti usano questo fatto per decidere se due spazi sonoo non sono omeomorfi.

Esercizio 9.22. Dimostrare che le lettere O,X, T, L non sono omeomorfe fraloro ma che C,L, V N,M sono tutte omeomorfe alla I.

Esercizio 9.23. Dimostrare che se A è un insieme finito di punti di Rn, n > 1,allora Rn \A è connesso per archi. Dire che succede se A è numerabile.

Esercizio 9.24. Dimostrare che R1 non è omeomorfo a R2

Esercizio 9.25. Verificare che il toro T 2 = S1×S1 non può essere omeomorfoalla sfera S2.

Esercizio 9.26. Dimostrare che A = { (x, 0) | −∞ < x ≤ 0 }∪{ (x, sin 1x ) | x > 0 }

non è omeomorfo a R.

Esercizio 9.27. Dimostrare che la sfera Sn = {x ∈ Rn+1|‖x‖2 = 1 è omeo-morfa alla sfera Sn∞ = {x ∈ Rn+1|‖x‖∞ = 1 e che tutte le sfere di raggio r sonofra loro omeomorfe.

10 Spazi metrici compatti10.1 Compattezza per successioniNegli spazi metrici la compattezza si può caratterizzare in termini di successionidi punti dello spazio. Infatti si ha:

Teorema 10.1. Sia X uno spazio metrico. Sono equivalenti le seguente propo-sizioni:

(1) (proprietà di Heine-Borel) Ogni ricoprimento aperto di X possiede unsottoricoprimento finito (cioè X è compatto);

(2) (proprietà di Bolzano-Weierstrass) ogni sottoinsieme infinito di X ha al-meno un punto di accumulazione;

(3) (compattezza per successioni) ogni successione (xn)n≥1 di punti di X hauna sottosuccessione convergente.

Dimostrazione. (1)⇒ (2) è una conseguenza del teorema precedente.

Nota Bene 10.1. (1) ⇒ (2) è valido anche negli spazi topologici, però neglispazi topologici non vale in genere che (2)⇒ (1)).

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(2) ⇒ (3). Sia (xn)n≥1 una successione in X. Supponiamo dapprima che l’im-magine A = {x1, . . . , xn, . . . } della successione sia un insieme finito. Facciamovedere che in questo caso esiste sempre una sottosuccessione convergente.Poiché xn : N → A assume valori nell’insieme finito A, esiste almeno un ele-mento a ∈ A che compare un numero infinito di volte nella successione, ossiaJa = {n ∈ N | xn = a } è infinito. Così risulta immediata la costruzione diuna sottosuccessione costante (e quindi convergente) xnk = a di (xn).Se invece A = {x1, . . . , xn, . . . } è infinito, per (2) esiste almeno un punto diaccumulazione x di A. Consideriamo intorni di x della forma B(x, 1/n). Perdefinizione di punto d’accumulazione, deve esistere un almeno un punto xn1 diA tale che xn1 ∈ B(x, 1). Poiché anche B(x, 1/2) contiene infiniti punti di Adeve esistere n2 > n1 tale che xn2 ∈ B(x, 1/2). Per induzione su k possiamotrovare un xnk ∈ B(x, 1/k) con nk > nk−1. Allora (xnk) è una sottosuccessionedella successione (xn) e d(xnk , x) < 1/k quindi xnk // x.

Posponiamo la dimostrazione di (3) ⇒ (1), che è lunga ma molto interessantein quanto per dimostrare questa implicazione dovremo ricorrere ad una seriedi concetti fondamentali della topologia degli spazi metrici quali il concetto dibase numerabile di aperti, di sottoinsieme denso e di spazi separabili. Introdur-remo anche il concetto di spazio totalmente limitato che risulta utilissimo perla caratterizzazione degli spazi metrici compatti.

Definizione 10.1. Sia X uno spazio metrico e sia ε > 0. Una ε-rete in X èun sottoinsieme A ⊂ X tale che per ogni x ∈ X esiste almeno un a ∈ A cond(x, a) < ε.

Notare che A è una ε−rete se e soltanto se X =⋃a∈A

B(a, ε).

Definizione 10.2. Uno spazio X si dice totalmente limitato se per ogni ε > 0esiste una ε−rete finita in X, cioè se per ogni ε > 0 esiste Aε = {x1, . . . , xnε }

tale che X =nε⋃i=1

B(xi, ε).

In parole povere, X è totalmente limitato se, assegnato ε, è possibile ricoprireX con un numero finito di palle di raggio ε.Esempio: R non è totalmente limitato. Se lo fosse sarebbe compatto. Vedremoin seguito che non ogni insieme limitato risulta totalmente limitato.

Vale però:

Proposizione 10.2. Ogni insieme totalmente limitato è limitato.

Dimostrazione. Infatti se X è totalmente limitato, preso ε = 1, esiste A ={x1, . . . , xn } tale che X =

n⋃i=1

B(xi, 1). Se M = max d(xi, xj) allora X =

B(x1,M + 1), ossia X è limitato.

Proposizione 10.3. Ogni spazio metrico compatto è totalmente limitato.

Dimostrazione. Infatti, per ogni ε > 0, X =⋃x∈X

B(x, ε) ma essendo compatto

possiamo estrarre un sottoricoprimento finito X =n⋃i=1

B(xi, ε) quindi Aε =

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{x1, . . . , xn } è una ε−rete finita. Siccome questo è possibile per ogni ε, X ètotalmente limitato.

Ricordiamo che uno spazio topologicoX è separabile se contiene un sottoinsiemenumerabile denso.

Proposizione 10.4. Se X è totalmente limitato allora X è separabile.

Dimostrazione. Per ogni n ≥ 1 si consideri un sottoinsieme finito An di X chesia una 1/n-rete. Allora D =

⋃n≥1An e un sottoinsieme numerabile (in quanto

unione numerabile di insieme finiti) e denso in X. Infatti, ogni intorno di x ∈ Xdeve per forza contenere una palla B(x, 1/n) per n abbastanza grande e a suavolta B(x, 1/n) contiene qualche elemento di An ⊂ D.

Proposizione 10.5. Se X è uno spazio metrico compatto per successioni alloraX è totalmente limitato.

Dimostrazione. Se X non fosse totalmente limitato esisterebbe un ε0 tale chenon esista alcuna ε0−rete finita in X. In particolare, preso x1 ∈ X, possiamotrovare un x2 ∈ X tale che d(x1, x2) > ε0. Infatti in caso contrario sareb-be X = B(x1, ε0). Ancora, presi x1, x2 possiamo trovare un x3 ∈ X tale ched(x3, x1) > ε0 e d(x3, x2) > ε0. Altrimenti sarebbe X = B(x1, ε0) ∪ B(x2, ε0)e quindi {x1, x2 } sarebbe una ε−rete finita in X. Iterando il procedimento,presi {x1, . . . , xk } esiste xk+1 tale che d(xk+1, xi) > ε0 per ogni 1 ≤ i ≤ k.Otteniamo così una successione (xk)k≥1 che verifica d(xk, xs) > ε0 per k 6= s.Una tale successione (xk) non può avere alcuna sottosuccessione convergente.

Esercizio 10.6. Dimostrare l’affermazione di sopra.

Definizione 10.3. X si dice numerabilmente compatto se ogni ricoprimentonumerabile ha un sottoricoprimento finito.

Proposizione 10.7. Se X è compatto per successioni allora X è numerabil-mente compatto.

Dimostrazione. Sia U = (Un)n≥1 un ricoprimento numerabile di X, ovvero

X =∞⋃n=1

Un. Se U non ammette un sottoricoprimento finito risulta, in par-

ticolare che, per ogni k > 0, X 6=k⋃

n=1Un e dunque, per ogni k ≥ 1 possiamo

scegliere un xk ∈ X \k⋃

n=1Un.

Poiché X è compatto per successioni esiste una sottosuccessione (xki) di (xk)tale che xki //x∗ ∈ X. Poiché U è un ricoprimento di X, abbiamo che x∗ ∈ Un0

per qualche n0.Ma, x = lim

i→∞xki , e quindi deve esistere un j tale che per per ogni i ≥ j

risulta xki ∈ Un0 . Prendendo ora un i ≥ j tale che ki ≥ n0 otteniamo una

contraddizione poiché da un lato avremo xki /∈ki⋃n=1

Un e dall’altro xki ∈ Un0 ⊂ki⋃n=1

Un, il che è assurdo.

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Riprendiamo ora la dimostrazione del teorema 10.1 verificando che (3) ⇒ (1).Dobbiamo quindi dimostrare che se X è compatto per successioni allora X ècompatto.Sia U = {Uα}α∈A una famiglia di aperti tale che X =

⋃α∈A

Uα. Vogliamo estrarre

dal ricoprimento {Uα} un sottoricoprimento finito.Poiché X è compatto per successioni, X è totalmente limitato e dunque se-parabile. Sia D = {x1, . . . , xn, . . . } ⊂ X un sottoinsieme numerabile denso.Consideriamo la famiglia di palle

B = {B(xi, q) | xi ∈ D, q ∈ Q } =∞⋃i=1{B(xi, q) | q ∈ Q } .

La famiglia B è una famiglia numerabile perché unione numerabile di insieminumerabili.Consideriamo il sottoinsieme BU ⊂ B, definito da

BU = {B(xi, q) ∈ B| esiste unUα ∈ U conB(xi, q) ⊂ Uα}.

Essendo un sottoinsieme di B, la famiglia BU è al più numerabile.

Lemma 10.8. BU è un ricoprimento aperto di X.

Dimostrazione. Dato x ∈ X e ε > 0 esiste xi ∈ D tale che x ∈ B(xi, ε), mavorremmo ε = q fosse un numero razionale e che B(x, ε) ⊂ Uα per qualche α.Sappiamo che x ∈ Uα per qualche α. Prendiamo una palla B(x, ε) ⊂ Uα Pren-dendo eventualmente un ε più piccolo possiamo supporre che ε = q ∈ Q.Per la densità di D esiste xi ∈ D tale che d(xi, x) < q/2. Quindi x ∈ B(xi, q/2).Inoltre,se z ∈ B(xi, q/2) allora d(z, xi) < q/2 e dunque d(z, x) ≤ d(z, xi) +d(xi, x) < q.Allora B(xi, q/2) ⊂ B(x, q) ⊂ Uα. Così abbiamo trovato una palla B(xi, q/2) ∈BU tale che con x ∈ B(xi, q) e dimostrato che

X =⋃

B(xi,q)∈BU

B(xi, q).

Essendo X compatto per successioni, esso è numerabilmente compatto e quindisi può estrarre un sottoricoprimento finito B(x1, q1) ∈ BU , . . . , B(xn, qn) ∈ BUtale che X =

n⋃i=1

B(xi, qi). Ma, per definizione di BU , ogni B(xi, qi) è sottoin-

sieme di qualche Uαi del ricoprimento iniziale. In questo modo abbiamo trovatouna sotto famiglia finita {Uαi , 1 ≤ i ≤ n} di U tale che X =

n⋃i=1

Uαi .

Esercizio 10.9. Dimostrare che se (X, d) è uno spazio metrico compatto eU = {Uα} è un suo ricoprimento allora esiste un numero δ > 0 (detto numerodi Lebesgue del ricoprimento) tale che ogni sottoinsieme di diametro minore diδ è contenuto in qualche aperto Uα del ricoprimento.

Esercizio 10.10. Usare l’esercizio precedente per dimostrare che se X è unospazio metrico compatto, allora ogni funzione continua f : X → R è uniforme-mente continua.

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10.2 De insigne paradoxo...” De insigne paradoxo quod in analisi de maximorum et minimorum occurrit” è iltitolo di un articolo di Leonhard Euler, pubblicato su Mémoires de l’AcadémieImpériale des Sciences de St. Pétersbourg. Vol. 3 (1811), che discuteremobrevemente per ricordare che il teorema di Weierstrass sull’esistenza di massimie minimi non è valido per funzioni continue definite su sottoinsiemi chiusi elimitati degli spazi funzionali, perché questi insiemi non godono della proprietàdi compattezza necessaria per la validità del teorema.Lavoreremo nella spazio C1 = C1(I), dove I = [0, 1]. Ricordiamo che C1 èl’insieme delle funzioni u : I → R tali che u è continua, u′ esiste ed è continua.C1 è uno spazio vettoriale normato con la norma:

‖u‖C1 = ‖u‖∞ + ‖u′‖∞,

Esercizio 10.11. Verificare che ‖u‖1 è una norma.

Proposizione 10.12. Lo spazio normato C1 è uno spazio di Banach.

Dimostrazione. Sia J : C1(I) → C(I) × C(I) definita da J(u) = (u, u′). Seconsideriamo C(I) × C(I) con la norma ‖(u, v)‖ = ‖u‖∞ + ‖v‖∞ allora J èun’isometria. Infatti

‖J(u)‖ = ‖u‖∞ + ‖u′‖∞ = ‖u‖C1 .

Affermiamo che l’immagine di J è un sottospazio chiuso di C(I) × C(I). Perquesto consideriamo una successione ((un, vn))n≥1 con (un, vn) appartenenti al-l’immagine di J tale che (un, vn) // (u, v) Vediamo che allora necessariamente(u, v) ∈ ImJ. Infatti, (un, vn) ∈ ImJ significa vn = u′n. Ma la successione(un) ∈ C1 è tale che un // u uniformemente e anche vn = u′n // v unifor-memente. Per un noto teorema di analisi risulta che u ∈ C1 e u′ = v. Quindi(u, v) ∈ Im J, ciò che dimostra che l’immagine di J è un sottospazio chiuso.Sappiamo che C(I) è uno spazio di Banach e quindi anche C(I) × C(I) lo è.Essendo ImJ ⊂ C(I) × C(I) un sottospazio chiuso di uno spazio completoanch’esso è completo. Ora, C1 è isometricamente isomorfo a ImJ. Si dimo-stra facilmente che uno spazio metrico isometrico ad uno completo deve esserecompleto. Quindi anche C1 è uno spazio di Banach.

Consideriamo ora il sottospazio vettoriale C10 = {u ∈ C1|u(0) = u(1) = 0}.

Verifichiamo che pure C10 è di Banach dimostrando che esso è un sottospazio

chiuso di C1.Fissato un x0 ∈ [0, 1], consideriamo la funzione ϕx0 : C1 → R, ϕx0(u) = u(x0).Si dimostra facilmente che ϕx0 manda successioni di funzioni (un) convergentiin C1 in successioni convergenti (un(x0)) di numeri reali e quindi è una funzionecontinua. Poniamo ora x0 = 0 e x0 = 1 rispettivamente. Osserviamo che C1

0 èl’insieme delle u ∈ C1 tali che ϕ0(u) = ϕ1(u) = 0 Quindi C1

0 è chiuso perchéintersezione di ϕ−1

0 (0) con ϕ−11 (0) che sono chiusi entrambi.

Introduciamo ora il noto funzionale di Eulero, ε : C10 (I)→ R definito da:

ε(u) =∫ 1

0(|u′(t)|2 − 1

2)2dt. (10.1)

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Vediamo che ε è una funzione continua. Infatti se un //u in ‖.‖1 allora u′n //u′

uniformemente e quindi anche u′2n // u′2 uniformemente. Passando al limitesotto il segno di integrale

ε(un) =∫ 1

0(|u′n(t)|2 − 1

2)2dt // ε(u) =∫ 1

0(|u′(t)|2 − 1

2)2dt.

Dunque ε è una funzione continua e per la definizione di ε abbiamo che ε(u) ≥ 0per ogni u ∈ C1

0 .

Consideriamo la palla chiusa B(0, 1) ⊂ C10 (I), di centro 0 e raggio 1. Faremo

vedere che infu∈B(0,1)

ε(u) = 0 ma che questo infimo non è un valore minimo del

funzionale ε su B(0, 1) in quanto non esiste alcuna funzione u ∈ C10 tale che

ε(u) = 0. Proprio in questo consiste il paradosso di cui parla Eulero nel titolodell’articolo.Poiché, per il teorema di Weierstrass, ogni funzione continua su uno spaziocompatto raggiunge il suo valor minimo dovremo concludere che B(0, 1) nonè un sottoinsieme compatto di C1

0 benché sia un insieme chiuso elimitato.

Vediamo ora che non esiste alcuna funzione in u ∈ C10 tale che ε(u) = 0. Infat-

ti, se fosse ε(u) = 0, l’integrando in (10.1) dovrebbe annullarsi in ogni puntoin quanto si tratta di una funzione continua non-negativa ad integrale nullo.Quindi, risulterebbe |u′(t)|2 = 1

2 per ogni t ∈ I ed essendo u′ continua per forzadovrebbe essere u′(t) = 1/

√2 per ogni t ∈ I oppure u′(t) = −1/

√2 per ogni

t ∈ I. Ma allora u(t) = ± 1√2 t, una funzione che non assume valore zero agli

estremi dell’intervallo. Questo dimostra che non esiste alcuna funzione u ∈ C10

tale che ε(u) = 0.

Per dimostrare invece cheinf

u∈B(0,1)ε(u) = 0

basta esibire una successione di funzioni un ∈ B(0, 1) tale che ε(un) // 0. Unatale successione si chiama minimizzante. Notare che nessuna sottosuccessionedi una successione verificante ε(un) // 0 potrà convergere ad una funzione u ∈C1

0 perché per continuità dovrebbe risultare ε(u) = 0 e ciò non è possibile comeabbiamo visto sopra. Quindi, costruendo (un) troveremo anche una successionedi elementi di B(0, 1) che non ha sottosuccessioni convergenti.

Per costruire una successione minimizzante un consideriamo la funzione

v(t) ={− 1√

2 se 0 ≤ t ≤ 1/2+ 1√

2 se 1/2 < t ≤ 1 .

La funzione v è discontinua solo nel punto 1/2. Approssimiamo v con unasuccessione di funzioni continue vn definite da

vn(t) =

− 1√

2 se 0 ≤ t ≤ 1/2− 1/n+ 1√

2 se 1/2 + 1/n ≤ t ≤ 1n√2 (t− 1/2− 1/n) + 1√

2 se 1/2− 1/n ≤ t ≤ 1/2 + 1/n

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Esercizio 10.13. Verificare che vn sono continue, che∫ 1

0 vn(t) dt = 0 e chevn(t) // v(t) per ogni t 6= 1/2.

Esercizio 10.14. Sia un(t) =∫ t

0 vn(s) ds. Dimostrare che un ∈ B(0, 1) ⊂ C10 ,

che ε(un) //0 e che quindi un è una successione minimizzante per il funzionaledi Eulero ε.

Da questi due esercizi concludiamo che infu∈B(0,1)

ε(u) = 0 ma non è un valore

minimo di ε.Esempio: Sia I = [0, 2π] e sia C(I) munito del prodotto scalare < f, g >=2π∫0f(t)g(t)dt. Lo spazio C(I) è uno spazio euclideo non completo. Consideriamo

fn(t) = sinnt con t ∈ [0, 2π].Si vede che ‖fn‖ = 1 e quindi fn ∈ B(0, 1) ⊂ C(I). Inoltre

< fn, fm >=2π∫0

fn(t)fm(t)dt = 0 se n 6= m.

Così, ‖fn − fm‖ =√

2 se n 6= m e dunque (fn) non ha alcuna sottosuccessioneconvergente.

Nota Bene 10.2. Si può dimostrare che la palla chiusa di raggio r in unospazio normato di dimensione infinita, non è mai compatta.

10.3 Caratterizzazione degli spazi metrici compattiTeorema 10.15. Uno spazio metrico X è compatto se e soltanto se è completoe totalmente limitato.

Un corollario immediato è la seguente caratterizzazione dei sottoinsiemi com-patti di uno spazio metrico.

Corollario 10.16. Se X è uno spazio metrico completo, allora A ⊂ X ècompatto se e solo se A è chiuso e totalmente limitato.

Dimostrazione. (del teorema) Se X è compatto abbiamo dimostrato che X ètotalmente limitato. Dimostriamo ora che X è completo. Sia (xn) una succes-sione di Cauchy, per compattezza (xn) avrà una sottosuccessione convergentead un punto x, ma per una proprietà delle successioni di Cauchy, anche xn saràconvergente ad x. Dunque X è completo.Per dimostrare il reciproco vediamo che in uno spazio completo e totalmente li-mitato ogni successione ha una sottosuccessione convergente. Possiamo supporresenza perdita di generalità che l’immagine della successione (xn) considerata èun insieme infinito. Per ogni n ∈ N ricopriamo lo spazio X con un ricoprimentoUn finito di palle di raggio 1/n. Qualche palla B1 del ricoprimento finito U1

dovrà contenere infiniti termini della successione. Poiché U2 ricopre B1 deveesistere una palla B2 ∈ U2 di raggio 1/2 tale che B1 ∩B2 contiene infiniti mem-bri della successione. Costruiremo così una successione di palle Bk di raggio1/k tali che B1 ∩ · · · ∩ Bk confine infiniti membri della successione. Scegliendo

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una successione crescente di numeri naturali nk tali che xnk ∈ B1 ∩ · · · ∩ Bkrisulta dalla costruzione che per r, s > k entrambi xnr e xns appartengono aBk e quindi d(xnr , xns) < 2/k. Risulta allora che la sottosuccessione (xnk) e diCauchy e dunque convergente.

Per finire enunciamo senza dimostrazione una celebre caratterizzazione dei sot-toinsiemi compatti dello spazio C(X) dovuta ad Ascoli e Arzelà.Sia X uno spazio metrico compatto. Consideriamo C(X) con la norma ‖u‖∞.Si dimostra in maniera analoga a quella del caso X = [a, b] che C(X) è unospazio di Banach.

Definizione 10.4. Un sottoinsieme K ⊂ C(X) si dice equicontinuo se perogni x ∈ X e per ogni ε > 0 esiste δ = δ(ε) tale che per ogni f ∈ K, si ha|f(y)− f(x)| < ε se |y − x| < δ.

Esercizio 10.17. Nella definizione sopra, si può prendere δ indipendente da x.

Teorema 10.18 (Ascoli-Arzelà). Sia X uno spazio metrico compatto e siaA ⊂ C(X) un suo sottoinsieme. Allora A è compatto se e soltanto se:

1. A è chiuso;

2. A è limitato;

3. A è equicontinuo.

BibliografiaV. Checcucci - A.Tognoli - E. Vesentini, Lezioni di topologia generale Feltrinelli.J. Dugundji, Topology Allyn Bacon.N. Hitchin, Differentiable manifolds [email protected]. Kelley, General Topology Springer verlag.S. Lipschutz, Theory and Problems of General Topology Schaums outline series.J. MilnorTopology from the differentiable viewpoint Princeton University Press.J. Munkres Topology Prentice Hall.H. Royden, P.Fitzpatrick Real Analysis, Prentice Hall, (4th Edition)H. Royden Real Analysis, Prentice Hall.

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