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CASI CLINICI - OSTEOPOROSI IN ORTOPEDIA 2 CASI CLINICI Osteoporosi in ortopedia Funzionalità e durata dei mezzi di sintesi

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CASI CLINICI - OSTEOPOROSI IN ORTOPEDIA

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C A S I C L I N I C I

Osteoporosiin ortopedia

Funzionalità e durata dei mezzi

di sintesi

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CASI CLINICI - OSTEOPOROSI IN ORTOPEDIA

Caso 1 7Un caso di frattura periprotesica

Caso 2 13Mobilizzazione dei mezzi di sintesi correlata a fragilità dell’osso osteoporotico

Caso 3 23Fratture periprotesiche: dalla biomeccanica alla sintesi

C A S I C L I N I C I

Osteoporosiin ortopedia

Funzionalità e durata dei mezzi

di sintesi

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La medicina è una scienza in perenne divenire.Nelle nozioni esposte in questo volume si riflette lo “statodell’arte”, come poteva essere delineato al momentodella stesura in base ai dati desumibili dalla letteraturainternazionale più autorevole. È soprattutto in materia diterapia che si determinano i mutamenti più rapidi: sia perl’avvento di farmaci e di procedimenti nuovi, sia per ilmodificarsi, in rapporto alle esperienze maturate, degliorientamenti sulle circostanze e sulle modalità d’impiegodi quelli già in uso da tempo. Gli Autori, l’Editore e quantialtri hanno avuto una qualche parte nella stesura o nellapubblicazione del volume non possono essere ritenuti inogni caso responsabili degli errori concettuali dipendentidall’evolversi del pensiero clinico; e neppure di quellimateriali di stampa in cui possano essere incorsi,nonostante tutto l’impegno dedicato a evitarli. Il lettoreche si appresti ad applicare qualcuna delle nozioniterapeutiche riportate deve dunque verificarne semprel’attualità e l’esattezza, ricorrendo a fonti competenti econtrollando direttamente sui foglietti illustrativi allegati aisingoli farmaci tutte le informazioni relative alle indicazionicliniche, alle contro indicazioni, agli effetti collaterali especialmente alla posologia.

Finito di stampare nel mese di xxxxxxxx 2013

Copyright © by Elsevier Italia Srl

Elsevier Italia SrlVia Paleocapa, 720121 Milano, ItaliaTel. 02 88184.1Fax 02 88184.303

I diritti di traduzione, di memorizzazione elettronica,di riproduzione e di adattamento totale o parzialecon qualsiasi mezzo, compresi i microfilme le copie fotostatiche, sono riservati per tutti i Paesi.

Redazione: In-folio – TorinoGrafica e impaginazione: Studio Sismondo srl – RomaStampa: Xxxxxxx

L’iniziativa è resa possibile grazie ad un contributo educazionale di

Fuori commercio

Servizio scientifico offerto alla Classe Medica da MSD Italia s.r.l.Questa pubblicazione riflette i punti di vista e leesperienze degli autori e non necessariamente quelli dellaMSD Italia s.r.l.Ogni prodotto menzionato deve essere usato in accordocon il relativo riassunto delle caratteristiche del prodottofornito dalla ditta produttrice.

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CASI CLINICI 2 - OSTEOPOROSI IN ORTOPEDIA

Autori

Christian CarulliClinica Ortopedica, Dipartimento di Chirurgia e Medicina Traslazionale, Università di Firenze

Alessio De SantisAmbulatorio Osteoporosi, Casa di Cura Privata Convenzionata Villa Serena, Catanzaro

Emmanuel Del VecchioU.O. Ortopedia e Traumatologia, Ospedale G. da Saliceto, Piacenza

Andrea LucaChirurgia Vertebrale III – Scoliosi, IRCCS Istituto Ortopedico Galeazzi, Milano

Luigi MurenaClinica Ortopedica Traumatologica, Dipartimento di Biotecnologie e Scienze della Vita, Università dell’Insubria, Varese

Enrico PolaDivisione di Chirurgia Vertebrale, Dipartimento di Geriatria, Neuroscienze e Ortopedia, Policlinico A. Gemelli, Università Cattolica del Sacro Cuore, Roma

Emanuela RaimondoAmbulatorio Malattie Metaboliche dell’Osso, U.O. Ortopedia e Traumatologia, Azienda Ospedaliera San Paolo, Milano

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FUNZIONALITÀ E DURATA DEI MEZZI DI SINTESI

Vincenzo SaliniClinica Ortopedica e Traumatologica, Università degli Studi G. D’Annunzio, Chieti

Gaetano VallettaII Divisione Ortopedia, Centro Traumatologico Ortopedico, Napoli

Roberto VarsalonaU.O.C. Ortopedia e Traumatologia, P.O. Umberto I, A.S.P. 8 Siracusa

Si ringraziano Andrea Pantalone, Chiara Ratti e Daniele Vanni per il supporto fornito nella stesura dei testi.

Questo progetto editoriale è frutto dell’incontro e della discussione

di un board di Specialisti Ortopedici.

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CASI CLINICI 2 - OSTEOPOROSI IN ORTOPEDIA

Introduzione

L’osteoporosi è una patologia del tessuto scheletrico che siaccompagna a un’alterazione dell’architettura dell’osso, ditipo sia quantitativo sia qualitativo. Tale condizione non solopredispone all’insorgenza di fratture da fragilità, ma costitui-sce un’ulteriore insidia nel caso di necessità di intervento chi-rurgico.Se da un lato, infatti, la precoce mobilizzazione del paziente,consentita dall’intervento chirurgico, permette di evitare lecomplicanze cardiovascolari, cutanee e polmonari tipichedell’allettamento prolungato, dall’altro il ricorso alla chirurgiapuò essere per altri versi altrettanto rischioso. Da un punto divista chirurgico, infatti, nel paziente osteoporotico la man-canza di un’adeguata interfaccia osso-metallo rende difficol-tosa l’osteointegrazione dei mezzi di sintesi predisponendo alfallimento dell’impianto con conseguente necessità di suc-cessive revisioni chirurgiche.In aggiunta, nel paziente osteoporotico è aumentato il rischiodi eventi fratturativi in siti anatomici vicini al segmento sche-letrico sintetizzato, a causa dell’aumento dello stress bio - meccanico su un osso qualitativamente compromesso: nesono un classico esempio le fratture periprotesiche o le frat-ture vertebrali adiacenti ad aree di artrodesi. Anche in questocaso la soluzione è rappresentata da interventi chirurgiciancora più demolitivi, con un maggior stress operatorio inpazienti spesso anziani che presentano rilevanti comorbilità.Per ovviare a questi inconvenienti, sono state studiate negliultimi anni soluzioni differenti che permettessero da un lato dimigliorare l’osteointegrazione dei mezzi di sintesi dall’altro diottimizzare il design dell’impianto riducendo gli stress bio-meccanici: l’impiego di idrossiapatite come mantello di rive-stimento delle viti, le migliorie della geometria dei mezzi disintesi e delle protesi, le tecniche di bone augumentation conl’utilizzo dei cementi biocompatibili rappresentano alcunedelle soluzioni oggi a disposizione nella pratica chirurgica conlo scopo di ridurre i rischi di fallimenti degli impianti. Nonostante tutto, le fratture nel paziente osteoporotico rap-presentano, ancora oggi, una sfida per il chirurgo essendopurtroppo gravate da un’elevata incidenza di insuccessi: unacorretta pianificazione della strategia chirurgica e la metico-losa valutazione dei rischi e dei benefici del trattamento sonoelementi imprescindibili che devono essere presi in conside-razione durante il percorso decisionale.Considerando il trend demografico caratterizzato dal pro-gressivo invecchiamento della popolazione e l’elevato impat-to sociale ed economico delle fratture da osteoporosi, si fasempre più pressante la richiesta di nuove soluzioni tecnolo-giche per il loro trattamento ma anche e soprattutto per laloro prevenzione.

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Una donna di 81 anni giunge in Pronto Soccorso, traspor-tata dal 118, dopo una caduta accidentale in strada. Lapaziente lamenta dolore all’anca.

La paziente si presenta in buone condizioni generali, ricor-da bene e nei particolari l’accaduto, e in merito all’inciden-te racconta di aver sentito un “crack” e di essere caduta.Non riporta patologie degne di nota, se non ipertensione intrattamento farmacologico, ma riferisce di essere stata sot-toposta a protesi dell’anca 10 anni prima.All’esame clinico presenta accorciamento e impotenza fun-zionale all’arto inferiore sinistro. Nel sospetto di una fratturasi eseguono gli esami radiografici, che mostrano una frattu-ra periprotesica spiroide della diafisi femorale (Figura 1).Dopo l’esecuzio-ne degli accerta-menti di routine, ladonna viene sotto -posta a interventochirurgico.

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PRESENTAZIONE DEL CASO

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Un caso di frattura periprotesica

Figura 1. Rx eseguitoin Pronto Soccorso cheevidenzia una fratturaperiprotesica.

ANAMNESI ED ESAME OBIETTIVO

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Le fratture periprotesiche impongono un’indicazione chirur-gica; nel caso in esame è stata utilizzata una placca cableready (Figura 2).

Il controllo radiografico mostrava una buona riduzione dellafrat tura, la mobilizzazione passiva veniva eseguita a partiredalla terza giornata per garantire un rapido recupero funzio-nale.Il decorso postoperatorio è proseguito senza complicanze;è stata necessaria una trasfusione.

Un mese dopo l’intervento la paziente torna per un control-lo, esibendo gli esiti degli esami prescritti al momento della

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FUNZIONALITÀ E DURATA DEI MEZZI DI SINTESI

Figura 2. Controlli intraoperatori.

Figura 3. Controllo Rx a un mese.

APPROCCIO TERAPEUTICO

CONTROLLI SUCCESSIVI

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dimissione. L’esito dell’esame radiografico risulta positivo, inquanto mostra la stabilità dell’impianto (Figura 3). Al contra rio,i risultati della mineralometria ossea computerizzata (MOC),prescritta per tenere sotto controllo la densità ossea e lamassa minerale ossea, evidenziano un’importante osteopo-rosi a livello sia vertebrale sia femorale. La paziente riferiscedi non aver mai assunto una terapia antiosteoporotica.A distanza di circa 40 giorni la pa ziente ha iniziato a deam-bulare con un carico assistito e sotto la supervisione delfisioterapista.

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CASI CLINICI 2 - OSTEOPOROSI IN ORTOPEDIA

Rivalutazione a 6 mesiL’ultima visita di controllo è stata eseguita a circa 6 mesi dall’operazio-ne. La radiografia (Figura 4) mostra il corretto posizionamento dell’im-pianto, che risulta stabile.

Figura 4. Controllo Rx a 6 mesi.

Le fratture periprotesiche rappresentano la quarta causa direvisione chirurgica e si stima che siano in aumento. Taleincremento è dovuto certamente sia a un aumento del

DISCUSSIONE

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FUNZIONALITÀ E DURATA DEI MEZZI DI SINTESI

numero di operazioni (negli Stati Uniti sono eseguite circa120.000 protesi di anca ogni anno1) sia alla tipologia dipazienti sottoposti all’operazione. Da un lato, infatti, vengo-no operati soggetti giovani, che quindi possono più facil-mente andare incontro a traumi successivi, dall’altro, la dis-ponibilità di materiali protesici migliori consente di sottopor-re al trattamento anche soggetti molto anziani o con quali-tà ossea inferiore.2

Le fratture periprotesiche dell’anca si distinguono, in basealla localizzazione, tra femorali e acetabolari. Le fratture difemore sono più comuni, interessando circa l’1,5% dei casinei primi impianti e aumentando rapidamente fino al 6-8%nella chirurgia protesica di revisione.2

Le fratture acetabolari si verificano in circa lo 0,07% degliinterventi eseguiti.3 Possono verificarsi durante l’intervento(intraoperatorie) o successivamente (postoperatorie) e as -sociarsi o meno alla mobilizzazione della protesi. Tra i fattori predisponenti le fratture periprotesiche (Tabella 1)i più importanti sono certamente l’età, il sesso femminile el’osteoporosi.4 Numerosi stu di confermano una quantità piùalta di fratture periprotesiche nella popolazione fem minile(range 52-70%). L’osteoporosi è un fattore di rischio scien-tificamente ri co nosciuto; infatti, il lavoro di Beals (1996) evi-denzia, analizzando 93 frat-ture periprotesiche, che benil 38% dei pazienti avevaavuto precedenti fratturever tebrali e metafisarie eche molti avevano evidenzadi osteopenia.5

La prevenzione della fratturaè pertanto fondamentale esi basa non soltanto sull’at-tenta considerazione deifattori di rischio, ma anchesu un’accurata pianificazione preoperatoria, scegliendo latecnica chirurgica più prudente ed evitando una perdita disostanza ossea maggiore. Sui soggetti a rischio andrebbe-ro eseguiti controlli clinici e radiografici di routine e i pazien-ti andrebbero educati a evitare comportamenti scorretti cheli mettano a rischio di cadute, eventualmente adottandomisure farmacologiche e non farmacologiche ad esempio incaso di osteoporosi. Per quanto riguarda il trattamento, sono state propostesvariate classificazioni delle fratture periprotesiche alloscopo di supportare il chirurgo nella fase decisionale. Laclassificazione “storica” elaborata da Johansonn suddivide-

Tabella 1.Fattori predisponenti le fratture periprotesiche

Traumi

Stress ripetuti sull’impianto

Errori di tecnica

Osteoporosi

Osteolisi locali

Età avanzata

Sesso femminile

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CASI CLINICI 2 - OSTEOPOROSI IN ORTOPEDIA

va le fratture periprotesiche in base alla sede: tipo 1, frattu-re prossimali all’estremità distale dello stelo; tipo 2, fratturecircostanti all’estremità; tipo 3, fratture distali allo stelo.6

Attualmente la classificazione più usata è quella di Van -couver, secondo cui le fratture si suddividono in base allaregione e al grado di stabilità:7

• tipo A: fratture che interessano le regioni trocanteriche,Ag (grande trocantere) e Al (piccolo trocantere), sonogeneralmente stabili;

• tipo B: fratture che avvengono intorno allo stelo o subi-to sotto a questo, classificate a loro volta in B1, constelo stabile; B2, con stelo instabile ma bone-stockadeguato e B3, instabili e con bone-stock inadeguato;

• tipo C: fratture estremamente distali rispetto allo stelo.Tali classificazioni possono dare un’indicazione sulla tipolo-gia di trattamento da eseguire, anche se non esiste unascelta univoca di gestione sulla base della sola localizzazio-ne e gravità della frattura.Nel corso degli anni sono state adottate diverse metodicheper curare le fratture periprotesiche d’anca:8 trattamentoconservativo, cerchiaggi, placche standard associate a cer-chiaggi, placche speciali (come quella cable ready da noiimpiegata, ma anche Mennen, Dall-Miles ecc.), reimpianticon steli lunghi o, più recentemente, “stecche” di trapiantoosseo.9

Secondo alcuni autori, il trattamento deve dipendere nonsoltanto dalla valutazione della stabilità dell’impianto, maanche dalla situazione ossea presente. Nel caso in cui ilpatrimonio osseo fosse scarso, è possibile procedere a tra-pianto osseo da solo o associato a osteosintesi, mentre nelcaso di impianto stabile sarebbe possibile procedere aosteosintesi e, in caso di mobilizzazione, a reimpianto. Altriautori suggeriscono invece un reimpianto in tutti i casi difratture di tipo B, poiché in generale la frattura danneggia omobilizza lo stelo.In generale non vi è consenso unanime sul tipo di tratta-mento da eseguire. Quello di tipo conservativo, di normaconsigliato solo in caso di pazienti non operabili o con frat-tura di tipo A senza grande scomposizione ossea, risultaspesso non soddisfacente.5 Nel caso clinico descritto, dovel’Rx eseguito in PS mostra una frattura durante l’impiantoprotesico eseguito 10 anni prima (era presente un doppiocerchiaggio), è stato scelto un approccio chirurgico, coninserimento di una placca cable ready. Tale intervento haconsentito un adeguato recupero. Tuttavia il follow-up in queste tipologie di interventi è fonda-mentale, poiché il rischio di esiti sfavorevoli o complicanze

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FUNZIONALITÀ E DURATA DEI MEZZI DI SINTESI

è elevato. Uno studio osservazionale svedese ha valutatol’incidenza e l’esito del trattamento delle fratture periprote-siche. Su un totale di 321 fratture periprotesiche, 91pazienti hanno riportato una frattura in seguito a una o piùprocedure di revisione, mentre 230 pazienti, con un’etàmedia di 77,9 anni, hanno riportato una frattura dopo unaprima operazione all’anca. Lo studio ha inoltre stimato lasopravvivenza dei pazienti dopo il secondo intervento,riscontrando una sopravvivenza a 6 mesi del 74,8%.L’eziologia più comune per le fratture era costituita da trau-mi minori, incluse cadute a terra o fratture spontanee anchein assenza di trauma. Lo studio conclude evidenziando lanecessità di radiografie di routine come follow-up a seguitodell’intervento. Ciò potrebbe permettere una rivalutazioneperiodica dell’impianto e della sua stabilità, evitando le frat-ture prima che esse si verifichino.10

Nel caso esaminato la donna mostrava un elevato grado diosteoporosi, che quindi necessita di un trattamento farma-cologico adeguato.Trattandosi di interventi complessi che dipendono da sva-riati fattori (qualità ossea, tipo di frattura, tipologia e condi-zioni del paziente), è bene sottolineare l’importanza dellaprevenzione e quindi del riconoscimento precoce dei fatto-ri di rischio che possono causare le fratture periprotesiche.

Bibliografia1. National Institutes of Health

Consensus Conference. Total hip replacement. JAMA1995;273:1950-6.

2. Calvosa G, Bonicoli E, Tenucci M,et al. Le fratture periprotesiche di femore dopo una protesi totaled’anca G.I.O.T. 2004;30:100-4.

3. Peterson C, Lewallen D.Periprosthetic fracture of the acetabulum after total hip arthroplasty. J Bone Joint Surg Am1996;78(8):1206-13.

4. Franklin J, Malchau H. Risk factorsfor periprosthetic femoral fracture.Injury 2007;38(6):655-60.

5. Beals RK, Tower SS. Periprostheticfractures of the femur. An analysisof 93 fractures. Clin Orthop RelatRes 1996;327:238-46.

6. Johansson JE, Mc Broom R,Barrington TW, et al. Fracture of the ipsilateral femur in patients

with total hip replacement. J BoneJoint Surg 1981;63A:1435-44.

7. Duncan CP, Masri BA. Fractures of the femur after hip replacement.In: Jackson DW, ed. IstructionalCourse Lectures. Rosemont, IL:A.A.O.S. 1995:293-304.

8. McLauchlan GJ, Robinson CM,Singer BR, et al. Results of an operative policy in the treatment of periprosthetic femoral fracture. J Orthop Trauma 1997;11:170-9.

9. Berlusconi M. Il sistema LCP(Locking Compression Plate) neltrattamento delle fratture peripro-tesiche d’anca. G.I.O.T.2005;31:230-7.

10.Lindahl H, Garellick G, Regnér H, et al. Three hundred and twenty-one periprosthetic femoral fractures. Bone Joint Surg Am2006;88(6):1215-22.

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Giunge all’osservazione in Pronto Soccorso, accompagna-ta dai soccorritori del 118, la paziente T.S. di anni 83, cadu-ta accidentalmente a terra riportando un trauma dell’ancasinistra.

A un primo esame la paziente si presenta in buone condi-zioni generali, sveglia, lucida e collaborante; racconta diessere inciampata a causa di una borsetta lasciata a terradurante la sua abituale attività di volontariato presso unaresidenza per anziani, dove svolge tre volte alla settimanaattività di animazione.La paziente riferisce di avere sempre goduto di buona salu-te, assume solo una blanda terapia antipertensiva prescrit-ta dal medico curante. Ha sempre condotto una vita sana,non ha mai fumato né bevuto alcolici. Dal punto di vistaanamnestico, oltre a un intervento di appendicectomia 38anni prima, riferisce di essere stata sottoposta a interventoper cataratta bilaterale 5 anni fa e di avere avuto una frattu-ra al polso sinistro l’anno scorso cadendo a causa del ter-reno bagnato dalla pioggia, trattata con un apparecchiogessato e guarita senza alcun esito se non un po’ di dolo-re “quando cambia il tempo”.Attualmente lamenta un importante dolore all’anca sinistrae una volta caduta non è più stata in grado di rialzarsi. Nonlamenta altre sedi di dolore, non ha mai perso conoscenza.All’esame obiettivo non sono evidenti ecchimosi né esco-riazioni, non vi è dolore alla compressione bimanuale delbacino, ma l’arto inferiore sinistro si presenta accorciato edextraruotato, con impotenza funzionale completa.

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PRESENTAZIONE DEL CASO

ANAMNESI ED ESAME OBIETTIVO

Mobilizzazione dei mezzi di sintesi correlata

a fragilità dell’osso osteoporotico

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Nel sospetto di una frattura prossimale di femore, la pazien-te viene sottoposta a indagini radiografiche: vengono quin-di eseguite radiografie del bacino e dell’anca sinistra e,nonostante non lamenti dolore locale, radiografie dellacolonna dorso-lombare, come da protocollo ospedalierointerno, per escludere la presenza di eventuali fratture ver-tebrali da fragilità subcliniche che si riscontrano nel 50% deipazienti con frattura di femore da fragilità. Alle radiografie si evidenzia una frattura pertrocantericascomposta del femore sinistro definita da fragilità (Figura 1),in quanto avvenuta per un trauma non efficiente, nel casospecifico una caduta dalla stazione eretta. Collateralmentevengono riscontrati cedimenti vertebrali subclinici, il piùgrave a livello di D12 (Figura 2). La paziente viene quindi sottoposta ad accertamenti pre -operatori tra cui esami ematochimici, radiografia del torace,elettrocardiogramma e visita cardiologica che ne conferma-no le buone condizioni cliniche.

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Figura 1. Rx dell’anca sinistra che evidenzia frattura pertrocanterica scompostadel femore sinistro.

FUNZIONALITÀ E DURATA DEI MEZZI DI SINTESI

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Una frattura pertrocanterica scomposta di femore in unapaziente in buone condizioni generali impone un trattamen-to chirurgico, in particolare un’osteosintesi. Nel caso speci-fico si è deciso di utilizzare la placca PCCP (percutaneouscompression plate) o placca di Gotfried che consente unaelevata mini-invasività e quindi una significativa riduzionedel rischio operatorio nel paziente anziano e permette l’im-mediata mobilizzazione e il carico sull’arto operato con unrapido recupero funzionale.Le radiografie postoperatorie mostrano una corretta ridu-zione della frattura e un buon posizionamento dei mezzi disintesi (Figura 3). Il decorso postoperatorio si è svolto nei limiti della norma,non si sono rese necessarie emotrasfusioni; in secondagiornata postintervento la paziente è stata posizionata se -duta a letto e ha quindi iniziato una fisiokinesiterapia assisti-ta per ottenere il recupero funzionale completo e la rieduca-zione al passo.

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Figura 2. Rx della colonna lombo-sacrale. Si evidenzia frattura di D12.

APPROCCIO TERAPEUTICO

CASI CLINICI 2 - OSTEOPOROSI IN ORTOPEDIA

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Dato il riscontro della frattura da fragilità e delle fratture ver-tebrali subcliniche, durante il ricovero sono stati eseguitiesami ematochimici e urinari per la valutazione del metabo-lismo osseo con il riscontro di ipovitaminosi D (Vit. D: 10ng/ml), valori di calcio sierico ai limiti inferiori della norma (S-Ca: 8,2 mg/dl) ed elevato turn-over osseo (S-beta-CROSSLAPS: 0,622). Pertanto si è da subito iniziata durante il rico-vero una adeguata supplementazione con vitamina D e cal-cio per ottenere il ripristino dei corretti valori ematici primadi intraprendere qualsiasi altro approccio terapeutico mira-to al trattamento dell’osteoporosi.Alla dimissione, dopo 15 giorni di degenza, le condizioni cli-niche della paziente sono buone, deambula in carico conausilio di deambulatore e viene trasferita presso una strut-tura riabilitativa per proseguire la fisiokinesiterapia iniziata inreparto. Vengono prescritti adeguati supplementi di vitami-na D e calcio e una terapia anabolica per l’osteoporosi.Viene inoltre consigliata l’esecuzione di una MOC per valu-tare la densità minerale ossea della paziente e poter moni-torare al meglio la terapia prescritta per l’osteoporosi.

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Figura 3. Rx dell’anca sinistra nell’immediato postoperatorio: corretto posizio-namento di placca PCCP.

FUNZIONALITÀ E DURATA DEI MEZZI DI SINTESI

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Al controllo clinico e radiografico la paziente presenta unprogressivo miglioramento della funzionalità dell’anca ed èin grado di deambulare con ausilio di un solo bastone chepreferisce continuare a utilizzare perché la fa sentire piùsicura. Reca in visione la MOC che evidenzia un’importan-te osteoporosi sia a livello vertebrale (Ts total: –4,0) sia alivello del femore destro (Ts total: –3,5). Non ha assunto laterapia per l’osteoporosi prescrittale perché non disponibi-le nella struttura riabilitativa dove era stata ricoverata, pro-segue però l’assunzione di calcio e vitamina D. Le radiogra-fie non mostrano segni di mobilizzazione dell’impianto(Figura 4).

Dopo circa un anno e mezzo dall’intervento la pazientetorna a controllo per il presentarsi da circa 2 mesi di coxal-gia ingravescente accompagnata da una progressiva limita-zione funzionale. Non riesce più a svolgere le normali attivi-tà e a salire e scendere autonomamente le scale a causadel dolore. Alle radiografie di controllo si evidenzia la mobi-

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CONTROLLI SUCCESSIVI

CASI CLINICI 2 - OSTEOPOROSI IN ORTOPEDIA

Figura 4. Rx dell’anca sinistra in posizione antero-posteriore. Osteosintesi stabile.

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lizzazione delle viti cefaliche della placca con necrosi dellatesta femorale (Figura 5).

Localmente la paziente non presenta segni di infiammazio-ne, la cicatrice chirurgica è in ordine, gli esami ematochimi-ci non mostrano rialzo degli indici di flogosi. La paziente hapresentato una chiara mobilizzazione asettica dei mezzi disintesi, correlata alla fragilità del suo osso osteoporotico.È quindi stata ricoverata e sottoposta a un secondo inter-vento di rimozione della placca precedentemente posizio-nata e a impianto di una artroprotesi di anca cementata(Figura 6). Il decorso postoperatorio ha necessitato di un’emotrasfu-sione a causa del riscontro di anemizzazione postoperato-ria, con un pronto e rapido recupero delle condizioni gene-rali e dei parametri ematochimici. La paziente ha iniziato adeambulare in carico parziale già in quarta giornata dall’in-tervento assistita dai fisioterapisti di reparto. Dopo 15 gior-ni di degenza è stata trasferita in una struttura riabilitativadove ha riacquistato una completa autonomia nella deam-bulazione.I controlli post-dimissione a 2 e 6 mesi dall’intervento hannoevidenziato una corretta integrazione dei mezzi protesici,senza alcun segno di mobilizzazione. La paziente ha potu-to riprendere le sue attività quotidiane.

FUNZIONALITÀ E DURATA DEI MEZZI DI SINTESI

Figura 5. Rx del bacino. Evidenza di mobilizzazione delle viti cefaliche di placcaPCCP. Necrosi della testa femorale.

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CASI CLINICI 2 - OSTEOPOROSI IN ORTOPEDIA

Rivalutazione a 2 anniL’ultima visita di controllo è stata eseguita a circa 2 anni dal-l’impianto dell’artroprotesi di anca. La paziente è arrivata inospedale con i mezzi pubblici e senza bisogno di essereaccompagnata.È molto soddisfatta perché ha ormai potuto riprendere lesue abituali attività di volontariato e ha anche potuto recar-si in pellegrinaggio affrontando un lungo viaggio in treno

Figura 7. Rx del bacino. Corretto posizionamento di artroprotesi di anca.

Figura 6. Artroprotesi cementata di anca sinistra. Controllo postoperatorio.

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FUNZIONALITÀ E DURATA DEI MEZZI DI SINTESI

La paziente descritta in questo caso clinico ha sempregoduto di un buono stato di salute, conduceva una vitasana e dinamica e non presentava fattori di rischio impor-tanti per osteoporosi. Probabilmente anche per questo nonle erano stati mai prescritti accertamenti e non aveva maieseguito una valutazione MOC all’età di 83. Era quindi pre-vedibile e in qualche modo evitabile che andasse incontroa una frattura femorale da fragilità? Purtroppo sì. La nostrapaziente un anno prima della frattura di femore aveva subi-to una frattura da fragilità al polso cadendo dalla stazioneeretta, quindi un trauma cosiddetto “non efficiente”. Un cor-retto iter diagnostico-clinico non avrebbe dovuto arrestarsial mero trattamento della frattura con apparecchio gessato,come è stato fatto, ma avrebbe dovuto prevedere una cor-retta analisi del metabolismo osseo, comprensiva di esameMOC ed esami ematici e urinari. I pazienti che sono già incorsi in fratture da fragilità presen-tano un rischio quattro volte maggiore di sviluppare unaseconda frattura. Un’adeguata terapia per il trattamentodell’osteoporosi può ridurre tale rischio anche del 50%,1,2

ciò nonostante solo un esiguo numero di pazienti viene indi-rizzato verso un trattamento adeguato. Le linee guida SIOT (Società Italiana di Ortopedia e Trau ma -tologia) sono molto chiare sull’importanza del ruolo del me -dico ortopedico nell’individuare le fratture da fragilità e for-niscono un interessante algoritmo estremamente utile nellapratica clinica non solo per l’individuazione di una fratturada fragilità ma anche e soprattutto per il suo corretto inqua-

DISCUSSIONE

senza alcun dolore o impedimento. Il tono dell’umore, cheaveva subito una importante deflessione a causa dell’inabi-lità, è tornato alto e la paziente è estremamente contenta di“non sentire più dolore”.All’esame obiettivo, l’articolarità dell’anca si presenta com-pleta e non dolente; la paziente deambula in carico senzaausilio di bastone. Le radiografie mostrano il corretto posi-zionamento dell’artroprotesi e non vi sono segni radiografi-ci di mobilizzazione dell’impianto (Figura 7).La paziente prosegue la terapia per l’osteoporosi con bisfo-sfonati settimanali in associazione per cui esegue controlliannuali che hanno mostrato miglioramento del quadroematochimico e dei valori MOC.

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dramento diagnostico. Tali linee guida indicano inoltre la ne -cessità di effettuare nei pazienti osteoporotici, e ancor piùnei pazienti che presentino già fratture da fragilità, radiogra-fie della colonna sia lombare sia vertebrale per lo studiomorfometrico della stessa, ossia per individuare la presen-za di cedimenti vertebrali malacici subclinici.3

L’osso osteoporotico è un osso fragile, che spesso permet-te solo un limitato ancoraggio dei mezzi di sintesi, con con-seguente instabilità degli impianti nonostante un loro corret-to posizionamento iniziale, e la necessità di ulteriori inter-venti chirurgici con un aumento drammatico del rischio dimorbilità e di mortalità. Una corretta terapia può non solo evitare, in prevenzioneprimaria, il verificarsi di fratture da fragilità, ma in prevenzio-ne secondaria, ossia dopo che sia già avvenuta una primafrattura da fragilità, può evitare il frequente ripetersi di taleevento. Per questo motivo i pazienti affetti da fratture dafragilità dovrebbero sempre essere trattati con adeguateterapie. Una terapia adeguata consente inoltre di aumenta-re la massa ossea e la microarchitettura dell’osso renden-dolo più resistente e sembrerebbe permettere un miglioreancoraggio dei mezzi di sintesi rendendo quindi più stabiligli impianti e riducendo il rischio di fallimento degli stessi.4

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CASI CLINICI 2 - OSTEOPOROSI IN ORTOPEDIA

Bibliografia1. Robinson CM, Royds M, Abraham A,

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Donna di 78 anni, giunta in Pronto Soccorso a seguito diuna caduta accidentale da una scala, mentre svolgeva lecomuni attività domestiche.Durante il trasporto in ambulanza, la paziente lamentavaintense algie a carico della spalla destra e del ginocchiodestro, associate a impotenza funzionale assoluta a cari-co dell’arto superiore e inferiore omolaterali.

A seguito della caduta, la paziente riportava un traumacontusivo-distorsivo della spalla e del ginocchio di destra,non perdeva conoscenza, ma il dolore esperito a livellodell’emisoma destro le impediva qualsiasi movimento,togliendole la capacità di rialzarsi da terra. La paziente eraportatrice di artroprotesi di ginocchio bilaterale, impianta-te rispettivamente nel 2005 a sinistra e nel 2008 a destra.In anamnesi riferiva ipertensione arteriosa, diagnosticatada circa 15 anni e ben controllata dalla terapia in atto consartano/tiazidico e beta-bloccante.Riferiva inoltre diabete mellito di tipo 2, diagnosticato dacirca 10 anni, in trattamento con ipoglicemizzante orale(metformina), in buon compenso glicometabolico. Lapaziente era in menopausa fisiologica dall’età di 50 anni enon aveva assunto terapia ormonale sostitutiva. Negavaassunzione di alcol, se non saltuariamente durante i pastie aveva smesso di fumare da più di 30 anni. Conducevauno stile di vita sedentario e riferiva diuresi regolare, maalvo stitico. Negava allergie alimentari e farmacologiche.La paziente, alta 169 cm per 70 kg di peso, presentava unindice di massa corporea (BMI) di 24,51.

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CASI CLINICI 2 - OSTEOPOROSI IN ORTOPEDIA

PRESENTAZIONE DEL CASO

ANAMNESI ED ESAME OBIETTIVO

Fratture periprotesiche:dalla biomeccanica

alla sintesi3

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La sua temperatura corporea era di 36,6 °C.Al momento dell’accettazione in Pronto Soccorso, l’a-vambraccio destro si presentava flesso al gomito (90°), ilbraccio destro addotto al tronco e intraruotato a 45°. Lapaziente riferiva dolore ai tentativi di mobilizzazione attivae passiva della spalla omolaterale, che risultava tumida eiperalgica. Auscultatoriamente, si percepivano crepitazio-ni cui si associava una motilità preternaturale della spalla.L’arto inferiore destro si presentava addotto, con ginoc-chio atteggiato in flessione (20°), tumido e dolente, conirradiazione algica fino al III medio di coscia. Alla flesso-estensione passiva del ginocchio si percepivano ausculta-toriamente crepitazioni, accompagnate da una motilitàpreternaturale a livello del III distale del femore. La pazien-te riferiva dolore a carico dell’arto inferiore destro, esacer-bato dai tentativi di mobilizzazione attiva e passiva delginocchio. Non erano evidenziabili deficit neurologici peri-ferici a carico degli arti. Nel sospetto di una frattura dell’omero prossimale e diuna frattura del femore distale, in Pronto Soccorso veni-vano eseguite radiografie della spalla destra e del ginoc-chio destro che documentavano una frattura del collo chi-rurgico dell’omero (frattura a 3 frammenti secondo Neer/11-B1 secondo AO), una frattura della rotula (tipo C1.1secondo AAOS) e una frattura periprotesica di ginocchioa livello del femore distale (tipo IB secondo Kim; Figura 1).Posta indicazione all’intervento chirurgico per tutte le frat-ture, venivano eseguiti gli esami strumentali ed ematochi-mici preoperatori.

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FUNZIONALITÀ E DURATA DEI MEZZI DI SINTESI

Figura 1. Frattura periprotesica di ginocchio a livello del femore distale.

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La paziente è stata sottoposta a intervento chirurgico diosteosintesi con chiodo endomidollare bloccato per lafrattura dell’omero pros -simale, osteosintesi concerchiaggio secondoWeber e viti alla rotula eosteosintesi con placca“NCB PP” al femoredistale (Figura 2). Ildecorso postoperatorioè stato regolare, rispet-tando i tempi prepostisecondo protocollo ria -bilitativo. I controlli clini-ci e radiografici eseguitia 1 e 3 mesi postopera-tori non do cu men ta va -no alcuna pro blematicaincipiente.

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CASI CLINICI 2 - OSTEOPOROSI IN ORTOPEDIA

APPROCCIO TERAPEUTICO

Rivalutazione a 5 mesiCirca 5 mesi dopo l’intervento, la paziente lamentava undolore ingravescente alla coscia destra. Pertanto giungevain Pronto Soccorso ed eseguiva una radiografia del femoredistale e del ginocchio, in cui si evidenziava una rifratturacon rottura del mezzo di sintesi (Figura 3). La coscia appa-riva tumida, dolente ai tentativi di mobilizzazione attiva e

Figura 3. Rottura del mezzo di sintesi a 5 mesi.

Figura 2. Osteosintesi con cerchiaggio secon -do Weber e viti alla rotula (A) e osteosintesicon placca “NCB PP” al femore distale (B).

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FUNZIONALITÀ E DURATA DEI MEZZI DI SINTESI

passiva del ginocchio. Alla flesso-estensione passiva delginocchio si percepivano auscultatoriamente crepitazioni esi evidenziava una motilità preternaturale a livello del III dis-tale del femore. Il dolore veniva riferito come più intenso incorrispondenza del III distale della coscia, con irradiazionefino al comparto esterno del ginocchio omolaterale. Ladeambulazione avveniva in maniera deficitaria, nonostantel’ausilio dei due bastoni canadesi.La paziente veniva sottoposta a intervento chirurgico diespianto di artroprotesi di ginocchio, rimozione della placcae impianto di artroprotesi tumorale (Figure 4 e 5). Il decor-so postoperatorio si è presentato regolare, rispettando itempi preposti secondo protocollo riabilitativo.

Figura 4. Espianto di artroprotesi di ginocchio e rimozione della placca.

Figura 5. Impianto di artroprotesi tumorale.

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I controlli clinici e radiografici, eseguiti a 1, 3 e 6 (Figura 6)mesi non hanno documentato alcuna problematica. La pa -ziente al momento deambula autonomamente senza ausili.

La guarigione di ogni frattura richiede stabilità meccanica evitalità biologica a livello del focolaio. Soddisfare una condi-zione ma non l’altra è causa di mancato bone healing. Nelnostro caso, il fallimento della sintesi avvenuto dopo 5mesi, ci ha spinto a un’analisi critica della tecnica di fissa-zione adottata, portandoci a evidenziare alcuni “errori” chehanno contribuito alla fixation failure. La tipologia di fratturaperiprotesica riportata dalla paziente è stata inquadrata,secondo la classificazione di Kim, come una frattura IB. Ciòsignifica che la frattura ha interessato il femore distale, pre-sentandosi come una frattura non riducibile in manieraincruenta, avvenuta senza mobilizzazione delle componen-ti protesiche: ciò ha reso necessario l’intervento chirurgicodi osteosintesi, senza obbligare, in prima battuta, a esegui-re una revisione della protesi. I principi fondamentali della fissazione con placca possonoessere raggruppati nei seguenti punti:1

1) valutazione della tipologia di frattura e della sede anato-mica;

2) valutazione del bone stock;

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CASI CLINICI 2 - OSTEOPOROSI IN ORTOPEDIA

DISCUSSIONE

Figura 6. Controllo radiografico a 6 mesi.

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3) scelta della modalità di fissazione (compressione/fissa-zione interna);

4) scelta della lunghezza della placca (plate span widthossia il rapporto tra lunghezza della placca ed estensio-ne della rima di frattura; Figura 7);

5) scelta del numero di viti (plate screw density ossia ilrapporto tra il numero di viti inserite e il numero di fori;Figura 7);

6) scelta della tipologia di vite (mono-bicorticale) e mon-taggio (compressione/stabilità angolare).

La valutazione della personalità della frattura, ossia ladescrizione dell’andamento della rima (trasversale, obliqua,spiroide), della complessità della frattura (semplice, pluri-frammentaria, comminuta) e della sede anatomica (diafisi,epifisi con eventuale coinvolgimento della superficie artico-lare), consente al chirurgo di realizzare un buon planningpreoperatorio. Insieme alla valutazione del patrimonioosseo (bone stock), tali parametri sono essenziali per iden-tificare il tipo di sintesi da eseguire e, nel caso di una sinte-si con placca e viti, la tipologia idonea di montaggio. Il mon-taggio a compressione consiste in una sintesi rigida, adat-ta per fratture semplici, mentre la sintesi a fissazione inter-na, dotata di una minore rigidità, va eseguita nel caso difratture pluriframmentarie o comminute (legge di Perren).2 Incaso di fratture con rima ad andamento trasversale od obli-quo interessanti la zona metafisaria o diafisaria e nelle frat-ture articolari, la placca a compressione si presenta come ilcostrutto migliore. In caso di fratture pluriframmentarie ocomminute a carico della metafisi o della diafisi o nelle frat-

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FUNZIONALITÀ E DURATA DEI MEZZI DI SINTESI

Figura 7. Scelta della lunghezza della placca e del numero di viti.

Platescrewdensity

0,5

Lunghezzadella

frattura

Lunghezzadella

placca

Platescrewdensity

0

Platescrewdensity0,43

Platescrewdensity0,75

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ture periprotesiche e nelle fratture “secondarie” che occor-rono in segmenti ossei già trattati con chiodo endomidolla-re, è necessario realizzare un montaggio del tipo bridge pla-ting. In questo caso la placca è posizionata “a ponte” sulfocus di frattura, senza cercare una riduzione anatomica,condizione invece essenziale nella sintesi a compressione.3

Nel caso di un montaggio del tipo bridge è possibile utiliz-zare sia viti standard (a compressione) sia viti a stabilità (loc-king). Queste due modalità di posizionamento della placca,pur presentandosi apparentemente mutualmente esclusive,possono coesistere in un’unica modalità di montaggio: siparla di combination technique per riferirsi all’utilizzo dientrambe le tipologie di montaggio sulla stessa placca. Ciòè necessario nel caso di fratture complesse con presenzadi una rima sia semplice (a un estremo) sia comminuta (a unaltro), quando la sintesi a compressione interframmentariaè adatta a stabilizzare la frattura semplice e la bridge platingtechnique è invece adatta per la frattura pluriframmentariao comminuta. In caso di fratture con scarso bone stock sirende necessaria un’osteosintesi con placca e montaggio acompressione (lì dove le viti adiacenti al focolaio di fratturasiano viti a compressione e quelle più esterne possanoessere viti a stabilità, preferibilmente bicorticali). Per fratturecoinvolgenti le epifisi, con necessità di eseguire una com-pressione interframmentaria di una rima intraarticolare edestensione plurilineare alla diafisi (sintesi a compressione alivello epifisario e a stabilità a livello diafisario), può essereadottata con successo una combination technique. Vasem pre considerato come, in generale, il posizionamentodella vite a stabilità debba sempre avvenire prima di quellaa compressione (Tabella 1). Per quanto riguarda la scelta

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CASI CLINICI 2 - OSTEOPOROSI IN ORTOPEDIA

Tabella 1. Tipologia di frattura e tecnica di osteosintesi con placca

Sintesi in Bridge Combinationcompressione plating technique

Fratture diafisarie semplici +

Fratture metafisarie semplici +

Fratture diafisarie pluriframmentarie +

Fratture metafisarie pluriframmentarie +

Osteotomie + +

Fratture articolari +

Fratture articolari con fratture diafisarie o metafisarie +pluriframmentarie

Fratture segmentali con 2 differenti pattern di frattura

+

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della vite, oltre alla tipologia di montaggio, è necessario te -nere conto soprattutto del bone stock. Infatti, viti monocor-ticali a stabilità possono essere utilizzate in caso di bonestock soddisfacente. In caso di osso porotico, poiché siriduce la working lenght della vite, esiste il problema dellaperdita di tenuta anche per viti a stabilità: si preferisce per-tanto una vite bicorticale.4 La lunghezza della placca è fun-zione della lunghezza della rima di frattura e del tipo di mon-taggio. È necessario infatti che il plate span width sia tra 2e 3 nelle fratture comminute e tra 8 e 10 nelle fratture sem-plici, con un plate screw density di 0,4-0,5 in entrambi i casi(le viti non devono occupare più della metà dei fori), con unminimo di 3 viti per ogni main fragment (Figura 7). In casodi fratture semplici, 1 o 2 fori in prossimità della frattura de -vono essere lasciati liberi. Per fratture con gap grande ofratture comminute, le viti più interne vanno collocate il piùvicino possibile alla frattura.5

Alla luce di quanto esposto, è possibile affermare che nelnostro caso è stata correttamente eseguita una sintesisecondo il concetto della bridge plating, ma in manieraeccessivamente rigida. Infatti non è stato rispettato il platescrew density e la distanza tra il focolaio di frattura e le vitiprossimali appare essere scarsa. La rifrattura associata auna fixation failure ci ha indotto a una scelta radicale.L’esiguità del bone stock in un osso biologicamente vulne-rabile, indebolito dal precedente costrutto, e la necessità diconsentire al più presto alla paziente il recupero della posi-zione ortostatica ci hanno orientato verso l’impianto diun’artroprotesi tumorale, una soluzione drastica ma allostesso tempo definitiva e risolutiva. In questo modo, infatti,il processo di guarigione biologica della frattura è totalmen-te superato e sostituito dalla componente protesica.

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FUNZIONALITÀ E DURATA DEI MEZZI DI SINTESI

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