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Direzione scientifica Villa Sandra Via Portuense, 798 00148 Roma Fondatore LUIGI VITTORIO DE STEFANO Editore VILLA SANDRA S.p.A. Direttore Responsabile ALBERTO COLELLA Redattore Capo LIVIO FALSETTO Vice Redattore Capo ADRIANO ANSELMI Comitato di redazione MARIA ANTONETTI MICHELE BILANZONE FRANCESCO PAOLO BUCCIANTE ANTONELLA CALABRESE LUIGI FEDERICO GUGLIELMO FELICI EMILIA FINAMORE FRANCESCO FREGA MASSIMO GASPARRI GIOVANNI GROSSI SABRI HASSAN ROBERTA LAPREZIOSA ALBERTO LUSSO ANTONIO LUZZO ADELAIDE MARTELLI DANIELA OLIVA ANDREA PASSERINI MASSIMO PELLEGRINI NICOLA SCHIAVONE PAOLO SORANI EDUARDO STORNAIUOLO SALVATORE VARRICA Fotografia FEDERICO MARIA POZZAR Stampa Litografica ’79 - Roma Iscritto sul Registro Stampa del Tribunale di Roma n. 00031 in data 17 gennaio 1990 © 1990 - Villa Sandra S.p.A. Tutti i diritti riservati Finito di stampare nel mese di febbraio 2008 sommario 3 CHI SIAMO? DONDE VENIAMO? DOVE CI PROPONIAMO DI ANDARE? Dott. Adriano Anselmi 5 LA RIABILITAZIONE RESPIRATORIA NEL PAZIENTE AFFETTO DA BPCO Dott. Alberto Lusso, Dott.ssa Antonella Calabrese 17 ViSa 2007 Dott. Sergio Anibaldi, Dott.ssa Daniela Oliva, Dott.ssa Emilia Finamore, Dott. Nicola Schiavone 23 I TRAUMI CRANIO-ENCEFALICI (TCE) Aspetti riabilitativi Ft. Sergio Gigli 32 FORSE NON TUTTI SANNO CHE... A cura di: Dott. Livio Falsetto LA CAFFEINA: ALCALOIDE BUONO Dott. Adriano Anselmi 35 MEDICAMENTI E COSMETICI NELLA RECLAME DELL’OTTOCENTO Prof. Alessandro Casavola Rubrica 38 MALATTIE E SINDROMI RARE A cura di: Dott. Livio Falsetto LA SINDROME DI USHER: UNA SFIDA PER LA VITA Dott.ssa Daniela Oliva CASA DI CURA PRIVATA VILLA SANDRA CENTRO DI RIABILITAZIONE MOTORIA E FUNZIONALE In copertina: Achille fascia un braccio a Patroclo ferito. Coppa del vasaio greco Sosias (500 a.C.).

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Direzione scientificaVilla Sandra

Via Portuense, 79800148 Roma

FondatoreLUIGI VITTORIO DE STEFANO

EditoreVILLA SANDRA S.p.A.

Direttore ResponsabileALBERTO COLELLA

Redattore CapoLIVIO FALSETTO

Vice Redattore CapoADRIANO ANSELMI

Comitato di redazioneMARIA ANTONETTI

MICHELE BILANZONEFRANCESCO PAOLO BUCCIANTE

ANTONELLA CALABRESELUIGI FEDERICO

GUGLIELMO FELICIEMILIA FINAMORE

FRANCESCO FREGAMASSIMO GASPARRI

GIOVANNI GROSSISABRI HASSAN

ROBERTA LAPREZIOSAALBERTO LUSSOANTONIO LUZZO

ADELAIDE MARTELLIDANIELA OLIVA

ANDREA PASSERINIMASSIMO PELLEGRINI

NICOLA SCHIAVONEPAOLO SORANI

EDUARDO STORNAIUOLOSALVATORE VARRICA

FotografiaFEDERICO MARIA POZZAR

StampaLitografica ’79 - Roma

Iscritto sul Registro Stampadel Tribunale di Roma

n. 00031 in data 17 gennaio 1990

© 1990 - Villa Sandra S.p.A.Tutti i diritti riservati

Finito di stampare nel mese di febbraio 2008

sommario

3 CHI SIAMO? DONDE VENIAMO? DOVE CI PROPONIAMO DI ANDARE?Dott. Adriano Anselmi

5 LA RIABILITAZIONE RESPIRATORIA NEL PAZIENTEAFFETTO DA BPCODott. Alberto Lusso, Dott.ssa Antonella Calabrese

17 ViSa 2007Dott. Sergio Anibaldi, Dott.ssa Daniela Oliva, Dott.ssa Emilia Finamore, Dott. Nicola Schiavone

23 I TRAUMI CRANIO-ENCEFALICI (TCE)Aspetti riabilitativiFt. Sergio Gigli

32 FORSE NON TUTTI SANNO CHE...A cura di: Dott. Livio FalsettoLA CAFFEINA: ALCALOIDE BUONODott. Adriano Anselmi

35 MEDICAMENTI E COSMETICI NELLA RECLAMEDELL’OTTOCENTOProf. Alessandro Casavola

Rubrica

38 MALATTIE E SINDROMI RAREA cura di: Dott. Livio FalsettoLA SINDROME DI USHER: UNA SFIDA PER LA VITADott.ssa Daniela Oliva

CASA DI CURA PRIVATA

VILLA SANDRACENTRO DI RIABILITAZIONEMOTORIA E FUNZIONALE

In copertina: Achille fascia un braccio a Patroclo ferito. Coppa del vasaio greco Sosias (500 a.C.).

CONVENZIONATA CON LA REGIONE LAZIO PER

RIEDUCAZIONE MOTORIA E FUNZIONALE00148 Roma - Via Portuense, 798 - Tel. 06/655.951 - Fax 06/657.23.33 - www.villasandra.it - [email protected]

Direttore sanitario: Dott. ALBERTO COLELLA

ANGIOLOGIA (*)ECODOPPLER VASCOLARE (*)Dott. Maurizio Marchetti

CARDIOLOGIAELETTROCARDIOGRAMMAECOCARDIO-DOPPLER (*)HOLTER (*)Dott. Salvatore VarricaDott. Fernando MazzeiDott. Pierluigi MottironiDott.ssa Susanna Grego

DERMOSIFILOPATIADott. Antonio ValentiDott.ssa Sabina Villani

ALLERGOLOGIA e PATCH TESTDott. Paolo Agostinucci

ECOGRAFIA e FLUSSIMETRIA (*)Dott. Massimo PellegriniDott. Giovanni Grossi

FISIATRIADott.ssa Roberta LapreziosaDott. Paolo SoraniDott. Alberto Lusso

LABORATORIO ANALISI CLINICHEDott. Roberto Valentini

M.O.C. (Densitometria ossea) (*)Dott. Eduardo Stornaiuolo

NEUROLOGIAELETTROENCEFALOGRAMMANEUROPSICHIATRIAELETTROMIOGRAFIADott. Giovanni Cuomo

NEFROLOGIADott. Sabri Hassan

OCULISTICAFLUORANGIOGRAFIA (*)ORTOTTICA (*)Dott. Stefano Da DaltDott. Franco SalernoDott. Roberto Rizzo

ORTOPEDIA e TRAUMATOLOGIADott. Sergio AnibaldiDott. Ignazio ToccoDott. Matthew Charles GiordanoDott. Guglielmo Felici

OSTETRICIA e GINECOLOGIACOLPOSCOPIA e ANDROSCOPIAPAP TESTDott. Paolo Pellarin

OTORINOLARINGOIATRIAESAME AUDIOVESTIBOLARE (*)Dott.ssa Patrizia ConcutelliDott. Enrico PiccirilloDott. Cuzzola

PNEUMOLOGIAESAME SPIROMETRICO (*)Dott. Adriano Anselmi

REUMATOLOGIADott.ssa Cinzia Martis

UROLOGIADott. Paolo Cialone

RADIODIAGNOSTICAMAMMOGRAFIA (*)ORTOPANORAMICADott. Francesco Frega

TAC (Tomografia Assiale Computerizzata) (*)RMN (Risonanza Magnetica Nucleare)Dott. Massimo Pellegrini

DIABETOLOGIADott.ssa Maria Antonetti

MEDICINA ESTETICA (*)Dott. Camillo Gilostri

GRASTROENTEROLOGIADott.ssa Vittoria EdmondoDott. Fulvio Sergio

Le specialità con l’asterisco (*) non sono inconvenzione.

POLIAMBULATORIO SPECIALISTICO

DAY HOSPITAL RIABILITATIVODott. Francesco Paolo Bucciante

CENTRO DIABETOLOGICO AIDConvenzionato S.S.N.

CENTRO EMODIALISIDott. Hassan Sabri Shamsan

CASA DI CURA PRIVATA

VILLA SANDRA

illa Sandra”. La definizione “Villa” è comune a molti Istituti di cura. Ma se vogliamo intendere il termine in senso preva-lentemente botanico, l’enorme e magnifico parco-giardino che

circonda l’edificio dà a questa Struttura un diritto poco comune a chiamarsi“Villa”, così come vengono denominati, forse in più vasta, ma non meno“verdeggiante” scala, i parchi di più ampia rinomanza, come “Villa Sciarra”,“Villa Pamphili”, ecc. Riguardo a “Sandra”, era un nome caro a uno dei socifondatori, e tale si è conservato.

L’Istituto nacque, nei lontani anni ’70, con indirizzo polispecialistico.Accanto alla Medicina e alla Chirurgia, già praticate con grande competenzaprofessionale, era presente, fin da allora, un Reparto di Riabilitazione moto-ria e funzionale, con criterio, per l’epoca, a dir poco, avvenieristico, tant’è che, con il passare degli anni, laRiabilitazione motoria ha acquistato sempre più significato e valore. “Villa Sandra”, al passo con i tempi, hatrasformato, a poco a poco, il proprio indirizzo verso la monospecializzazione in questo campo, così ricco diprospettive e risorse.

Attualmente, quindi, la Casa di cura rappresenta un autentico traguardo in proposito, offrendo le mi-gliori garanzie professionali e strumentali per restituire, fin dove possibile, una migliore qualità di vita aimotulesi. Certo, questa scienza, come tutte le altre, è in continua evoluzione, ed è, quindi, nostro compitonon restare indietro e seguire il progresso, con sempre maggiore impegno ad offrire il servizio migliore at-tuabile.

Fin qui, il discorso è stato prevalentemente dedicato a quanto avviene in regime di ricovero o Day Ho-spital, fermo restando che l’Ambulatorio fisiatrico segue e sostiene costantemente i pazienti motulesi, sia, inprima istanza, suggerendo le indicazioni preliminari al miglior iter riabilitativo prevedibile (ricovero, DayHospital, trattamento ambulatoriale, ecc.), sia instaurando un follow-up per coloro che hanno già stazionatonell’Istituto, in qualità di degenti.

Il servizio ambulatoriale non si limita al semplice aspetto fisiatrico. La disponibilità di Specialisti qua-lificati e di apparecchiature diagnostiche all’avanguardia si estende a pressoché tutte le branche della Medi-cina, fornendo un ausilio fondamentale ai Medici di prima consultazione, per approfondire aspetti diagnosti-ci e terapeutici. Non va dimenticato, infatti, che la Casa di Cura è dotata di un centro di emodialisi accredita-to con la regione Lazio.

Come più volte detto, i tempi corrono, e infatti è in programma l’acquisizione di mezzi sempre piùmoderni ed efficaci, per offrire ai pazienti un “approdo” ineccepibile.

Quanto detto finora era stato, in parte, realizzato e, in parte programmato, o, per meglio dire, “profe-tizzato” dal Presidente di “Villa Sandra”, Prof. L.V. De Stefano, purtroppo scomparso prima di vedere anda-re interamente in porto le sue precoci intuizioni. La sua eredità spirituale è stata ben raccolta dalla figlia, laSig.ra Daniella De Stefano, che, sulle orme del padre e con l’apporto di non sempre facili iniziative persona-li, sta conducendo le redini di “Villa Sandra” guidandola verso le mete che tutti ci auguriamo.

N.B. Per maggiori informazioni e delucidazioni, si possono consultare la “Carta dei servizi”, pubblicataannualmente e disponibile presso la Casa di cura, o il sito Internet: www.villasandra.it.

Chi siamo? Donde veniamo?Dove ci proponiamo di andare?DOTT. ADRIANO ANSELMI

Vice capo redattore della Rivista “Quaderni di Villa Sandra”

“V

a riabilitazione respiratoria può essere definitacome un programma individualizzato e multidisciplinare di assistenza finalizzato ad

ottimizzare la performance clinica, sociale e l’autono-mia del paziente con alterazioni respiratorie croniche(1).

In tutto il mondo le organizzazioni ufficiali racco-mandano la riabilitazione polmonare come parte inte-

grante della gestione a lungo termine dei pazienti conbroncopneumopatia cronica ostruttiva (BPCO) (1, 2).La BPCO è caratterizzata da una limitazione cronica alflusso aereo nelle vie respiratorie. Frequentemente co-stituisce lo stadio terminale di tre diverse malattie: labronchite cronica, l’enfisema e l’asma bronchiale.

La broncopneumopatia cronica ostruttiva rappresentanegli USA la quarta causa di morte dopo le patologie

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La riabilitazione respiratoria nel pazienteaffetto da BPCODOTT. ALBERTO LUSSO* - DOTT.SSA ANTONELLA CALABRESE** Specialista in Medicina Fisica e Riabilitazione, Casa di Cura Privata “Villa Sandra”, Roma

L

Come rimane splendido e serenol’emisperio dell’aere, quando soffiaBorea da quella guancia ond’è più leno.

DanteParadiso, XXVIII, 79-81.

Botticelli (1445-1510): Nascita di Venere (particolare), Uffizi - Firenze

cardiovascolari, i tumori e le vasculopatie cerebrali (3). Idati di prevalenza e morbilità sottostimano notevolmen-te l’impatto globale (4). In Italia colpisce il 6,3% dellapopolazione e provoca circa 18.000 decessi l’anno(ISTAT 2001). Un ulteriore incremento della prevalenzacosì come della mortalità è previsto nei prossimi decen-ni (5, 6, 7). I fattori di rischio correlati alla BPCO com-prendono il fumo di sigaretta, le esposizioni professio-nali, l’inquinamento atmosferico, le infezioni delle vierespiratorie in aggiunta ad una predisposizione genetica.

La prevalenza è più alta nei paesi dove il fumo disigaretta è un’abitudine diffusa.

Una esatta diagnosi ed una corretta valutazione fun-zionale consentono di mettere in atto precocementeprovvedimenti capaci di ridurre i sintomi, migliorare laqualità della vita e rallentare la progressione della pato-logia.

DEFINIZIONI

Il termine BPCO è utilizzato per identificare alcunepatologie ad etiologia multifattoriale come la bronchitecronica e l’enfisema polmonare. Comune denominatoredi queste affezioni è l’ostruzione bronchiale, non com-pletamente reversibile, con persistente riduzione delflusso aereo durante l’espirazione forzata. L’ostruzionebronchiale è progressiva ed è associata ad una anomalarisposta infiammatoria polmonare ad inalanti gassosi oparticolati (8) (Tabella 1).

La bronchite cronica è definita, essenzialmente intermini clinici, come una condizione caratterizzata datosse cronica produttiva ricorrente per la maggior partedei giorni del mese, per un minimo di tre mesi all’anno

per almeno due anni consecutivi, non attribuibili ad altracausa. Questa definizione, tuttavia, non descrive il dan-no, sempre presente nei bronchitici cronici, a livello del-le piccole vie aeree (< 2 mm di diametro).

L’enfisema polmonare è definito in termini anatomicicome una alterazione dell’architettura polmonare carat-terizzata da dilatazione degli spazi alveolari concomi-tante a distruzione dei setti interalveolari fino ai bron-chioli terminali non respiratori. L’enfisema è l’evoluzio-ne tipica della bronchite cronica e consiste nell’aumentodel contenuto aereo del polmone.

L’ITER DIAGNOSTICO

L’inquadramento diagnostico delle BPCO è fondato,da un lato, sulle tradizionali fasi della semeiotica fisica,dall’altro sull’utilizzo di metodiche strumentali.

L’accurata raccolta anamnestica è quanto mai im-portante. L’anamnesi familiare permette di rilevare l’e-ventuale presenza di familiarità per alcune forme diBPCO (ad esempio da deficit di alfa 1 antitripsina);inoltre fornisce informazioni sull’abitudine al fumo,sull’eventuale esposizione ambientale o professionalead agenti nocivi, sull’uso di farmaci potenzialmente ca-paci di peggiorare la funzione respiratoria (aspirina, be-ta-bloccanti, ecc.). L’anamnesi deve indagare l’insor-genza, la natura, la durata, la “qualità” dei principalisintomi correlati con la BPCO.

La tosse è un sintomo frequente, specie nella bron-chite cronica, assai meno nell’enfisema polmonare.

6 La riabilitazione respiratoria nel paziente affetto da BPCODott. ALBERTO LUSSO - Dott.ssa ANTONELLA CALABRESE

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Tabella 1 - Basi strutturali dell’ostruzione bronchialenella BPCO.

• Infiltrazione di cellule mononucleate nei bronchioli respiratori

• Infiammazione, fibrosi, ipertrofia della muscolatura liscia dei bronchioli terminali

• Riduzione delle forze di trazione elastica bronchio-lare evidenziabile come compressione dinamicadurante l’espirazione forzata

• Allargamento degli spazi distali

La dispnea è un sintomo cardine e riconosce una ge-nesi complessa. Generalmente è di precoce insorgenzanell’enfisema polmonare, più tardiva nella bronchitecronica. L’insorgenza e/o l’accentuazione parossisticadel sintomo orienta decisamente verso una componentebroncostruttiva reversibile (asmatica). Fondamentale èla diagnosi differenziale con la dispnea di origine car-diaca.

La spirometria è essenziale per la diagnosi. La clas-sificazione spirometrica di gravità continua a racco-mandare l’uso del rapporto fisso post-broncodilatatoreVEMS/CVF < 0,7 per definire la limitazione al flussoaereo (9, 10). Tipicamente, i pazienti con BPCO pre-sentano una riduzione sia del VEMS che della CVF.

“I soggetti che presentano tosse cronica, escreato euna storia di esposizione a fattori di rischio dovrebberoessere studiati, anche se non riferiscono dispnea, pervalutare la presenza di una riduzione del flusso aereoespiratorio” (8).

I soggetti con fattori di rischio ( sopratutto fumo disigaretta ) potrebbero avere già un danno funzionaleanche se non riferiscono una sintomatologia evidente.In questa categoria di soggetti la presenza di tosse cro-nica, espettorazione o dispnea va ricercata attivamente,in quanto spesso tali sintomi sono sottovalutati e igno-rati dal paziente perché considerati come una naturaleconseguenza del proprio stato di fumatore. È stata pro-posta una classificazione spirometrica in quattro stadi(Tabella 2).

La classificazione in stadi consente un approcciopratico alla malattia.

La BPCO è una malattia progressiva che peggioranel tempo, anche fornendo le migliori cure possibili. Èimportante monitorare i segni, i sintomi e la riduzionedel flusso aereo espiratorio. L’emogasanalisi dovrebbeessere considerata in tutti i pazienti con valori diVEMS <50% del predetto o quando sono presenti se-gni clinici di insufficienza respiratoria o di scompensocardiaco destro. Un aumento della pressione venosagiugulare e la presenza di edemi declivi rappresentanospesso i segni più suggestivi di insufficienza cardiacadestra.

È importante valutare la frequenza, la gravità e leprobabili cause di riacutizzazione. Una stima della se-verità può essere fatta sulla base dell’aumentato ricorsoa farmaci broncodilatatori o corticosteroidi o dall’as-

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Sandro Botticelli - Nascita di Venere (tempera su tela 1483-85 circa)

Botticelli va oltre la celebrazione della dea, come incarnazione della bellezza e del-l’Amore.Non si tratterebbe solo della rappresentazione della nascita, dalla schiuma del mare esotto una pioggia di rose, di Venere, dea pagana dell'amore, ma del sorgere dell’ Hu-manitas, virtù generata dall’unione dello spirito con la materia che, per gli eruditidell'epoca, si identificava con la purezza e la disadorna bellezza della nuda Venere.

La dea nasce dal soffio della passione, rappresentato dalla coppia di amanti costituita da Clori e Zefiro in volo.Clori, la dolce brezza, (o secondo un’altra interpretazione, Bora, importante vento che spira sull'isola di Cipro) e Zefi-ro (tiepido vento primaverile) sono abbracciati, mentre una delle Ore sta per gettare un mantello ornato di fiori sullespalle di Venere. Zefiro con il proprio corpo virile, in parte nasconde Clori, di cui si scorge il volto, i biondi capelli, laspalla e il seno. Zefiro è l’immagine del vento fecondatore, da cui ha origine la vita, Clori rappresenta il principio fisico dell’atto amo-roso, e per questo viene ritratta abbracciata a Zefiro, ad alludere all’unione. Il quadro esprime l’idea filosofica dell’a-more umano e divino, della conoscenza terrena e celeste, della vita naturale e ideale.

sunzione di terapie antibiotiche. Patologie chepossono simulare una riacutizzazione com-prendono la polmonite, lo scompenso cardiacocongestizio, il pneumotorace, i versamentipleurici, l’embolia polmonare e le aritmie car-diache.

TRATTAMENTO

Il trattamento della BPCO è in gran parteguidato dai sintomi.

• L’educazione sanitaria del paziente puòmigliorare la sua capacità di gestire la malattia.È utile per raggiungere altri obiettivi, compresala dissuasione dall’abitudine tabagica.

• Nessuno dei farmaci attualmente impiegatinel trattamento della BPCO si è dimostrato ef-ficace nel modificare il progressivo peggiora-mento della funzionalità ventilatoria, caratteri-stico della malattia (11). La terapia farmacolo-gica tuttavia è importante per migliorare i sin-tomi o ridurre le complicanze (Tabella 3).

8 La riabilitazione respiratoria nel paziente affetto da BPCODott. ALBERTO LUSSO - Dott.ssa ANTONELLA CALABRESE

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Tabella 2 - Classificazione spirometrica della gravità della BP-CO basata sul VEMS post-broncodilatatore.

Stadio Caratteristiche

I: LIEVE • VEMS/CVF < 0,7

• VEMS ≥ 80% del predetto

II: MODERATA • VEMS/CVF < 0,7

• 50% ≤ VEMS < 80% del predetto

III: GRAVE • VEMS/CVF < 0,7• 30% ≤ VEMS < 50% del predetto

IV: MOLTO GRAVE • VEMS/CVF < 0,7

• VEMS < 30% del predetto o VEMS < 50% del predetto con insufficienza respiratoria cronica

VEMS: Volume Espiratorio Massimo in un SecondoCVF: Capacità Vitale Forzata

Tabella 3 - Terapia raccomandata ad ogni stadio della BCPO.Si consiglia l’uso del VEMS post-broncodilatatore per la diagnosi e la valutazione di gravità della BPCO.

• I broncodilatatori (ß2-agonisti, anticolinergici, me-tilxantine) sono i farmaci più efficaci (12).

• La terapia regolare con broncodilatatori a lungadurata d’azione è più efficace rispetto a quella conbroncodilatatori a breve durata d’azione.

• L’aggiunta alla terapia broncodilatatrice di un trat-tamento regolare con corticosteroidi per via inalatoriadovrebbe essere indicato in pazienti sintomatici conVEMS < 50% del predetto (Stadio III e Stadio IV) econ ripetute riacutizzazioni.

• È da evitare l’uso a lungo termine di corticosteroi-di per via sistemica a causa di uno sfavorevole rapportocosto/beneficio.

• L’ossigenoterapia a lungo termine (> 15 ore algiorno) nei pazienti con insufficienza respiratoria croni-ca si è dimostrata efficace nell’aumentare la sopravvi-venza.

• Il vaccino anti-influenzale riduce l’incidenza dimalattie gravi.

• Tutti i pazienti affetti da BPCO traggono vantaggidai programmi di allenamento fisico in quanto miglio-rano la tolleranza allo sforzo, la dispnea e la fatica.

LA RIABILITAZIONE

Gli obiettivi principali del trattamento riabilitativosono rappresentati dalla riduzione dei sintomi e dal mi-glioramento delle capacità funzionali residue.

La riabilitazione polmonare è diretta a una serie diproblemi di ambito non propriamente respiratorio chenon possono essere trattati adeguatamente con la solaterapia farmacologica e che comprendono la disabilitàall’esercizio fisico, il deterioramento muscolare, il caloponderale, l’isolamento sociale e le alterazioni dell’u-more (depressione).

In tutti gli stadi della malattia, i pazienti affetti daBPCO, ricoverati o domiciliari, traggono beneficio daiprogrammi di riabilitazione, migliorando sia la tolleran-za allo sforzo che la dispnea e la fatica (13).

Le evidenze disponibili suggeriscono che un solo ci-clo di riabilitazione di tre mesi può essere sufficiente aprodurre effetti positivi (14, 15, 16). I risultati ottenutida un programma completo di riabilitazione respiratoriatendono a regredire dopo un anno, ma, se il pazientecontinua l’allenamento a domicilio, il suo stato di saluterimarrà ad un livello superiore rispetto a quello pre-ria-bilitazione (17, 18, 19). Le componenti dell’interventoriabilitativo variano notevolmente e comprendono l’e-sercizio fisico, i consigli alimentari ed un programmaeducazionale.

Dovrebbe essere effettuata una valutazione inizialedei risultati ottenuti da ogni partecipante ad un pro-gramma di riabilitazione respiratoria per quantificare ilmiglioramento conseguito e gli specifici ambiti in cuiottenere ulteriori risultati. Tale valutazione dovrebbecomprendere:

1. l’anamnesi dettagliata e l’esame obiettivo;

9La riabilitazione respiratoria nel paziente affetto da BPCODott. ALBERTO LUSSO - Dott.ssa ANTONELLA CALABRESE

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Polmone sano. Polmone di un fumatore.

2. la spirometria eseguita prima e dopo somministra-zione di un broncodilatatore;

3. la valutazione della capacità di esercizio;4. la misura dell’impatto della dispnea e/o dello sta-

to di salute;5. la valutazione della forza dei muscoli respiratori e

dei muscoli degli arti inferiori (per esempio, i quadrici-piti) in pazienti che soffrono di problemi muscolari.

Le prime due valutazioni sono importanti per stabi-lire l’idoneità di un paziente ad uno specifico program-ma di riabilitazione.

Le ultime tre sono fondamentali ai fini della disami-na dei risultati ottenuti al termine del programma.

La gestione riabilitativa dei pazienti con BPCO è ca-ratterizzata da due punti chiave: la selezione dei pazien-ti e la valutazione dei benefici raggiunti.

È opportuno inserire nei programmi riabilitativi ipazienti più motivati la cui sintomatologia renda diffi-coltose le comuni attività della vita quotidiana e per iquali sia necessario un trattamento riabilitativo mirato.L’età avanzata ed il fumo non costituiscono una con-troindicazione.

I pazienti con ipertensione arteriosa che partecipanoai programmi di riabilitazione respiratoria di solito nonmostrano variazioni dei valori pressori. La principalealterazione emodinamica nella BPCO è l’aumento delleresistenze vascolari polmonari, l’ipertensione polmona-re. L’ipertensione polmonare può peggiore durante l’e-sercizio fisico a causa dell’assenza di vasi collaterali diriserva. Ciò aumenta il post-carico, riduce la frazione dieiezione ventricolare destra e la gittata sistolica, forzan-do a mantenere la gittata cardiaca con una tachicardia.

I benefici raggiunti possono essere evidenziati con ilmiglioramento della qualità della vita compatibilmentecon l’handicap di base: diminuzione dei ricoveri ospe-dalieri; diminuzione della sintomatologia respiratoria;migliore tolleranza allo sforzo; migliore prognosi; au-mento dell’autonomia funzionale; diminuzione dellasensazione di ansietà.

I miglioramenti raggiunti possono essere oggettivaticon parametri respiratori: valutazione della forza e dellaresistenza dei muscoli respiratori.

PRESUPPOSTI DELLA RIABILITAZIONE POLMONARE

Nei pazienti con BPCO, indipendentemente dallafunzionalità respiratoria, la forza dei muscoli periferici

è ridotta, ciò determina un’alterata esecuzione dell’e-sercizio fisico (20, 21, 22).

La perdita di massa muscolare è una importanteconseguenza della malattia e cresce col grado di ostru-zione delle vie aeree (23).

Non tutti i muscoli periferici sono colpiti allo stessomodo.

Per esempio, la forza muscolare degli arti inferiori èpiù colpita rispetto agli arti superiori. Nei pazienti conostruzione al flusso aereo da moderata a severa, la forzamuscolare del quadricipite si riduce di circa il 30%. Èancora dibattuto se queste alterazioni siano dovute prin-cipalmente agli effetti sistemici della malattia di base(inattività cronica, squilibrio nutrizionale, ipossiemia) osiano conseguenti alla terapia corticosteroidea. La de-bolezza muscolare si associata ad una significativa di-sabilità e può peggiorare la prognosi della patologia dibase.

Sebbene nei pazienti con BPCO non vi siano curedisponibili per limitare la riduzione della massa musco-lare, probabilmente l’esercizio fisico è la strategia tera-peutica più efficace per preservarla e incrementarla.

Diversi studi hanno evidenziato che l’esercizio fisi-co incrementa la massa muscolare, la forza e la capacitàaerobica. Circa due terzi dei pazienti in trattamento ria-bilitativo polmonare trae beneficio dall’allenamento(24).

Esistono due differenti modalità di allenamento:l’allenamento di resistenza e l’allenamento fisico gene-rale.

Allenamento di resistenza

È una forma di allenamento che consiste nel solleva-re pesi di entità adeguata. Generalmente è calibrata sul70% di peso che un paziente può sollevare per una vol-ta con un arco di movimento completo. Ai fini del mi-glioramento della forza muscolare il peso deve esseresollevato per almeno 10 volte consecutive. Numerosistudi hanno evidenziato che l’allenamento con tre seriedi ripetizioni di 10 movimenti di intensità bassa o mo-derata determinano, come nei soggetti sani, significativiaumenti di forza e della resistenza dei gruppi muscolariallenati (25). Molti programmi di allenamento usano da20 a 30 ripetizioni. Gli effetti positivi dell’allenamentodi resistenza determinano un aumento della forza e del-la resistenza del muscolo scheletrico. L’incremento del-la forza si riscontra più frequentemente nei programmi

10 La riabilitazione respiratoria nel paziente affetto da BPCODott. ALBERTO LUSSO - Dott.ssa ANTONELLA CALABRESE

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che prevedono l’utilizzo di pesi piuttosto che nell’alle-namento aerobico (26).

L’aspetto importante di questa tipologia di esercizioè che esso sollecita selettivamente piccoli gruppi mu-scolari. Ciò permette di aumentare il carico di lavorosenza superare la capacità ventilatoria del paziente (27).Il sollevamento pesi nel paziente con BPCO o con altrepatologie croniche come la coronaropatia ha il vantag-gio che le richieste metaboliche, circolatorie e ventila-torie per le contrazioni muscolari localizzate sono si-gnificativamente minori rispetto a quelle richieste perl’allenamento di grandi gruppi muscolari. I pazientipossono così eseguire gli esercizi senza sviluppare sin-tomi come il dolore o la mancanza di respiro.

Allenamento fisico generale

L’allenamento dinamico è il più comune esercizioutilizzato nei pazienti con BPCO. È generalmente ese-guito mediante un cicloergometro ad andatura costante.Alcuni studiosi hanno anche utilizzato la passeggiata li-bera. Come per l’allenamento di resistenza, la finalità èquella di stimolare i muscoli determinando un beneficiomuscolare diretto, e favorire l’adattamento dei sistemicardiocircolatorio e respiratorio. L’esercizio deve essereeseguito per almeno trenta minuti, tre volte alla settima-na (28). È stato stabilito che l’intensità dell’allenamen-to deve variare tra il 60 e il 70 % del picco massimo dilavoro eseguibile dal paziente. Durante l’esercizio concarico respiratorio intenso, come pedalare, le richiestedi ossigeno ed energetiche dei muscoli respiratori pos-sono compromettere il flusso ematico agli arti inferiori(29). Recentemente è stato dimostrato che, in soggettisani, la riduzione del flusso ematico alle gambe potreb-be essere dovuta all’affaticamento dei muscoli respira-tori e alla riduzione di forza del diaframma (30).

Effetti della combinazione: Allenamento di resistenza - Allenamento fisico generale

I programmi di allenamento che combinano l’allena-mento di resistenza con l’allenamento fisico generalepossono migliorare ulteriormente sia la forza muscolareche la capacità generale di allenamento. La tipologia ditrattamento che ha sortito i migliori risultati è costituitada un programma di 40 minuti suddiviso in 20 minutiincentrati sulla resistenza e 20 minuti sulla forza (26).

Allenamento degli arti superiori

Alcune ricerche hanno evidenziato che, frequente-mente, nei soggetti con BPCO i muscoli degli arti supe-riori sono meno compromessi rispetto a quelli degli artiinferiori (31). Tuttavia questi pazienti manifestano unasintomatologia evidente a carico degli arti superiori du-rante l’attività dei muscoli delle braccia. È stato riscon-trato un maggior grado di dispnea negli esercizi degliarti superiori, rispetto a quelli degli arti inferiori (32).

La richiesta di ossigeno, così come l’impegno car-dio-respiratorio, è maggiore durante l’allenamento dellebraccia rispetto a quello delle gambe, per il coinvolgi-mento dei muscoli stabilizzatori della parte superioredel corpo (33). I muscoli degli arti superiori, così comequelli degli arti inferiori, presentano le stesse modifica-zioni anatomopatologiche da disuso e da ipossia croni-ca (atrofia delle fibre di tipo II) (34).

I programmi di allenamento degli arti superiori (ilsollevamento pesi o i movimenti ritmici delle bracciasenza pesi) possono essere utilizzati con successo perridurre la dispnea durante le attività che coinvolgono lebraccia e per migliorare la capacità del lavoro dellebraccia (35).

La respirazione a labbra socchiuse (36) e l’adozionedi una postura sporta in avanti con appoggio sulle brac-cia, rappresentano un metodo semplice che può miglio-rare la capacità di sostenere esercizi ad elevata inten-sità.

Miglioramenti indotti dall’esercizio

Il risultato finale dell’esercizio fisico è il migliora-mento di tutti i processi coinvolti nel trasporto, nella di-stribuzione e nella utilizzazione dell’ossigeno da partedei tessuti.

Sebbene nei pazienti con BPCO vi sia una riduzionedel trasferimento polmonare di ossigeno che determinaipossiemia arteriosa, nei muscoli sottoposti ad eserciziosi realizza un aumento della capillarizzazione e dell’at-tività ossidativa enzimatica con miglioramento della ca-pacità aerobica per l’aumentata capacità dei muscoliperiferici di assorbire e utilizzare l’ossigeno (20).

L’aumentata tolleranza all’esercizio fisico che si os-serva nei pazienti con BPCO dopo un programma di al-lenamento di resistenza si spiega soprattutto con una ri-duzione della dispnea. La ventilazione massimale e ilpicco di frequenza cardiaca rimangono in genere immo-

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dificati dopo l’allenamento. Il miglioramento dell’effi-cienza ventilatoria è correlato all’incremento delloscambio dei gas e alla riduzione dello stimolo respirato-rio.

MODALITÀ RIABILITATIVE

Gli esercizi respiratori comprendono la respirazionelenta diaframmatica e le tecniche di rilassamento.

La rimozione delle secrezioni (mediante il drenag-gio posturale, la percussione, la vibrazione, l’oscillazio-ne manuale del torace che facilitano la tosse) è essen-ziale per ridurre il lavoro respiratorio, limitare le infe-zioni e ridurre l’atelettasia.

La riabilitazione respiratoria si avvale di due strate-gie terapeutiche: il riallenamento allo sforzo, che com-porta un miglioramento della capacità funzionale pol-monare, ed il riadattamento allo sforzo, che determinaesclusivamente un miglioramento delle condizioni psi-cofisiche del paziente. È dimostrato, che nel pazientecon BPCO, l’esercizio fisico riduce la sensazione di di-spnea, migliora la tolleranza allo sforzo, migliora il sen-so generale di benessere e le funzioni cardiopolmonari.

Allenamento degli arti inferiori

Molti studi sostengono l’efficacia di questa tipologiadi allenamento e evidenziano le modificazioni indottesui muscoli periferici e sulla capacità aerobica dei pa-zienti con BPCO (37, 38, 39, 40, 41). Il miglioramentodella disabilità e della tolleranza per un dato caricomassimale non si associa, tuttavia, ad un miglioramentodella funzione polmonare. Non è stato ancora determi-nato il mantenimento ottimale, l’intensità e la durata deltrattamento (42, 43, 44). Il tipo di esercizio più utilizza-to in questi studi è il cammino libero o su treadmill, ilciclergometro, il salire le scale o una loro combinazio-ne. La durata dei programmi di esercizio è compresageneralmente tra le 7 e le 17 settimane per una frequen-za di 3 volte alla settimana.

La ventilazione meccanica con boccaglio, mascherafacciale o nasale può migliorare la tolleranza all’eserci-zio fisico riducendo la dispnea nei pazienti con BPCO(45). L’allenamento all’esercizio fisico dovrebbe esseremantenuto nel tempo anche dopo la fine della riabilita-zione, in quanto i suoi benefici vengono meno dopo lasospensione dell’esercizio.

Allenamento degli arti superiori

I programmi di allenamento per gli arti superiori(con ergometro a braccia o con sollevamento di pesi)migliorano la funzionalità degli arti superiori nei pa-zienti con BPCO e sono stati definiti utili nei program-mi di riabilitazione dei pazienti con malattie respirato-rie (38-46-47).

Allenamento dei muscoli respiratori

Questo tipo di allenamento si esplica mediante la re-spirazione contro resistenza e con la iperventilazioneisocapnica (di difficile realizzazione clinica) (47). Alcu-ni studi riportano una riduzione della dispnea e un mi-glioramento della tolleranza all’esercizio (48). Tale me-todica può essere utilizzata in casi selezionati pre o po-st-intervento chirurgico, lesioni spinali alte (38, 49). Ipazienti con danneggiamento delle fibre muscolari onella iperinsufflazione da adattamento fisiologico nondovrebbero essere trattati con questa modalità (50).

Fisioterapia toracica

La fisioterapia toracica è costituita da tecniche voltea facilitare la clearance delle secrezioni delle vie aeree:drenaggio posturale, percussioni, vibrazioni del torace edelle vie aeree. Le manovre di fisioterapia toracica nondeterminano modificazioni spirometriche, o modifica-zioni delle caratteristiche dell’espettorato. Non è stata ri-scontrata la superiorità di una tecnica sulle altre, tuttehanno mostrato di incrementare la mobilizzazione dellesecrezioni in pazienti ipersecretivi cronici (51, 52).

Coordinazione respiratoria

Questo termine si riferisce alle tecniche di “respira-zione diaframmatica” e di “respirazione a labbra soc-chiuse”. Sono stati dimostrati effetti clinici positivi neipazienti con BPCO lieve e senza insufficienza respira-toria (53). Questa metodiche devono essere usate concautela nei pazienti con severa BPCO (54). In questisoggetti la “respirazione diaframmatica” influenza ne-gativamente l’efficienza meccanica ed il lavoro respira-torio.

La “respirazione a labbra socchiuse”, inducendo un

12 La riabilitazione respiratoria nel paziente affetto da BPCODott. ALBERTO LUSSO - Dott.ssa ANTONELLA CALABRESE

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respiro lento e profondo, migliora l’ossigenazione esposta il reclutamento muscolare dal diaframma ai mu-scoli accessori della ventilazione (55).

CONCLUSIONI

Gli studi condotti negli ultimi 40 anni dimostranoche la riabilitazione polmonare, nei pazienti con BPCO,migliora la capacità funzionale e la qualità della vita(56).

Gli schemi di allenamento, necessari per ottenerebenefici clinici rilevanti, sono generalmente strutturatiin programmi di circa 8 settimane (tre sessioni di alle-namento alla settimana) e prevedono il rinforzo musco-lare sia per gli arti inferiori che superiori, le passeggiatelibere, l’utilizzo del tapis roulant e della cyclette. Lamaggior parte degli studi ha evidenziato miglioramentinella tolleranza all’esercizio, nella riduzione della di-spnea e della astenia alle gambe. Inoltre i risultati mo-strano una riduzione della frequenza cardiaca, dellaventilazione, del volume corrente e della frequenza re-spiratoria. Il miglioramento della dispnea riferita dalpaziente può essere correlato a un miglioramento dellafunzionalità metabolica muscolare che determina unaminore stimolazione riflessa del respiro, nonostante fat-tori psicologici possano influenzare la percezione delrespiro stesso (57).

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resso la nostra Unità Operativa è stato avviatolo studio della condizione osteoporotica deno-minato “ViSa 2007”, annunciato in un prece-

dente numero di questa Rivista. Dopo una serie di accer-tamenti utili nella fase di diagnosi prevede la prescrizio-ne della terapia più idonea, nell’intento di:

• prevenire ulteriori fratture;• stabilizzare o aumentare la massa ossea;• limitare le conseguenze cliniche delle fratture e del-

le deformità ossee;• ottimizzare le capacità funzionali e la qualità di vi-

ta;• ridurre la frequenza e l’impatto delle cadute.

I mezzi che stiamo adottando nel perseguire tale in-tento, sono riassumibili in:

• indagini radiografiche della colonna, corredate damorfometria, ultrasonometria ed esami di laboratorio;

• misure farmacologiche idonee, adattate al paziente(calcio e vitamina D, bisfosfonati, teriparatide)

• misure non farmacologiche per ridurre la frequenzae la gravità delle cadute;

• controlli specialistici ortopedici e reumatologicisuccessivi alla dimissione.

Candidati al trattamento sono uomini e donne confratture da fragilità.

VALUTAZIONE DELLE FRATTURE

La rilevazione di una frattura vertebrale lo scopo ini-ziale di questo studio. Può essere problematica e spesso

non è clinicamente evidente, ma la sua rilevanza diagno-stica, prognostica e terapeutica è notevole. Va infatti ri-cordato che:

• la presenza di una frattura vertebrale è un forte fat-tore di rischio per recidiva o per frattura di altre sedi, in-dipendentemente dall’esito delle densitometrie;

• i primi risultati della nostra indagine hanno confer-mato che i 2/3 dei pazienti con frattura vertebrale nonhanno avuto una diagnosi clinica perché asintomatica oconfusa con sintomatologia artrosica;

• anche modeste riduzioni di altezza del corpo verte-brale o fratture di riscontro radiologico casuale hannoun impatto clinico significativo in termini di dolore e di-sabilità;

• la presenza di una frattura vertebrale (o di femore)su base osteoporotica, documentata da un esame radio-logico che evidenzi una riduzione di almeno 4 mm(15%) dell’altezza globale del corpo vertebrale, è rite-nuta un’indicazione al trattamento farmacologico, pre-scrivibile a carico del Servizio Sanitario Nazionale per-ché ritenuto vantaggioso dal punto di vista farmaco-economico (nota 79/CUF-Ministero della Sanità).

Pertanto, non solo in condizioni di frattura del col-lo femorale o vertebrale ma anche in caso di sospettefratture vertebrali (sintomatologia tipica, riduzione dialtezza > 3 cm, cifosi, marcata riduzione dei valoridensitometrici o ultrasonometrici, età avanzata) abbia-mo richiesto una radiografia della colonna dorso lom-bare in proiezione laterale. La diagnosi di frattura ver-tebrale è stata fatta mediante morfometria, sul riscon-tro della riduzione superiore a 4 mm o del 15% del-

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DOTT. SERGIO ANIBALDI*, DOTT.SSA DANIELA OLIVA**, DOTT.SSA EMILIA FINAMORE**,DOTT. NICOLA SCHIAVONE*** Docente presso l’Università “La Sapienza” di Roma del corso di Laurea in Fisioterapia,Specialista in Ortopedia e Traumatologia ** Assistente III U.O. Riabilitazione MotoriaCasa di Cura Privata “Villa Sandra”, Roma

P

l’altezza anteriore o centrale del corpo vertebrale ri-spetto alla sua altezza posteriore. In caso di crollo an-che del margine posteriore il riferimento delle altezzeè stato fatto con quello delle vertebre sovra e sotto-stanti integre.

ALTRE INDAGINI

Raramente, in casi di specifici sospetti, ci siamo pre-fissi di ricorrere a procedure diagnostiche ulteriori(TAC, RMN, scintigrafia ossea, altri esami di laborato-rio).

MONITORAGGIO

La successiva, periodica valutazione delle variazionidella massa ossea nel tempo che ci siamo prefissi, sa-ranno utili sia per monitorare l’efficacia delle terapie,sia per individuare soggetti che stanno perdendo ossoad una velocità eccessiva.

La ripetizione di esami nel tempo sarà riservata soloai casi in cui la conoscenza delle variazioni di massaossea può effettivamente modificare le decisioni clini-che nei confronti del singolo paziente.

MISURE FARMACOLOGICHE ADOTTATE NEL NOSTRO STUDIO

• Calcio e vitamina D

La somministrazione di sali di calcio e vitamina Driduce significativamente il rischio di fratture non ver-tebrali e di femore in anziani istituzionalizzati. Questaterapia è inoltre caratterizzata da un favorevole rappor-to costi/benefici.

• Bisfosfonati

– Alendronato. La terapia con alendronato è risultatadichiaratamente efficace sia nella prevenzione che nellaterapia dell’osteoporosi. Per quanto riguarda il tratta-mento dell’osteoporosi conclamata, l’alendronato ridu-ce di circa il 40-50% l’incidenza di fratture vertebrali enon vertebrali. La riduzione delle fratture si osserva già

dopo 12-18 mesi di terapia. Il dosaggio da noi utilizzatoè di 70 mg una volta alla settimana.

– Risedronato. Il risedronato aumenta la densità os-sea a livello di femore e colonna del 3-6% e riduce del40-50% l’incidenza di fratture vertebrali, di circa il30% l’incidenza di fratture non vertebrali e di circa il50% quella della frattura dif emore nei pazienti conosteoporosi conclamata. L’effetto è evidente già entroun anno. La dose che somministriamo per tutte le indi-cazioni è di 35 mg a settimana.

– Clodronato. È risultato in grado di aumentare ladensità ossea a livello vertebrale, con effetti più limitatia livello femorale. Non sono disponibili trials cliniciadeguati che abbiano valutato gli effetti del clodronatoper via parenterale sull’incidenza di fratture.

• Paratormone

Un suo aumento provoca un incremento del riassor-bimento osseo e quindi un’osteoporosi. La sua applica-zione intermittente (un’iniezione sotto-cutanea al gior-no) si è però dimostrata una terapia estremamente po-tente che permette di aumentare la massa ossea comenessun altro farmaco oggi in circolazione. Viene da noiutilizzato limitatamente alle forme severe di osteoporo-si e nei soggetti “non responder” alle terapie con bisfo-sfonati.

MISURE NON FARMACOLOGICHE

Abbiamo adottato un comunicato che informa i no-stri pazienti dell’opportunità che possono cogliere ade-rendo al progetto ViSa 2007 e abbiamo predisposto unopuscolo informativo sull’osteoporosi nel quale si illu-strano i vantaggi di una dieta con adeguato apporto dicalcio e di vitamina D, di un’attività fisica regolare,della limitazione o della cessazione del fumo e dellaprevenzione delle cadute.

Era nostra intenzione comunicare i primi risultati delnostro studio che per ora annovera 70 casi arruolati nelperiodo maggio-dicembre 2007. I dati relativi ai primi50 casi sono già stati inoltrati al Dipartimento Scienzedell’Apparato Locomotore dell’Università “La Sapien-za” di Roma diretto dal Prof. O. Moreschini ed integratinello studio multicentrico nazionale denominato “Os-servatorio delle fratture vertebrali”.

18 ViSa 2007Dott. SERGIO ANIBALDI - Dott.ssa DANIELA OLIVA - Dott.ssa EMILIA FINAMORE - Dott. NICOLA SCHIAVONE

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Tipologia87% femmine 13% maschi

Assunzione abituale di latte e derivati27% no73% si

Età dei pazienti reclutati09% da 60 a 69 anni36% da 70 a 79 anni46% da 80 a 89 anni

Riferiti casi di fratture da fragilità in famiglia76% no13% si10% non indicato

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DATI DESUNTI DALL’ANAMNESI E DAGLIESAMI RADIOGRAFICI EFFETTUATI

Pregresse fratture73% nessuna 23% si3% non indicato

Localizzazione delle pregresse fratture75% fratture vertebrali13% fratture di polso06% fratture del terzo prossimale di femore06% fratture di polso + femore

Giunti con diagnosi di osteoporosi61% no30% si09% non sa riferire

20 ViSa 2007Dott. SERGIO ANIBALDI - Dott.ssa DANIELA OLIVA - Dott.ssa EMILIA FINAMORE - Dott. NICOLA SCHIAVONE

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TIPOLOGIA DELLA FRATTURA OGGETTODEL RICOVERO

Localizzazione52% frattura femorale pertrocanterica39% frattura mediale del collo femorale09% frattura vertebrale

Terapia chirurgica54% Osteosintesi36% Protesi10% Nessun intervento

LA TERAPIA PER L’OSTEOPOROSI

In atto al momento del ricoveroNessuna terapia in atto nella quasi totalità dei casi almomento del ricovero

Terapia prescritta in dimissioneIl 90% circa dei pazienti vengono dimessi con terapiaantiriassorbitiva.

21ViSa 2007Dott. SERGIO ANIBALDI - Dott.ssa DANIELA OLIVA - Dott.ssa EMILIA FINAMORE - Dott. NICOLA SCHIAVONE

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CONCLUSIONI

I dati sino ad oggi raccolti dal nostro studio, pur nel-l’esiguità dei casi fin qui trattati ci inducono alle se-guenti riflessioni:

• L’osteoporosi e le problematiche connesse alla fra-gilità ossea risultano abbondantemente sottostimate daipazienti. La classe medica è mediamente orientata aconsiderare le problematiche di fragilità ossea nell’an-ziano come un evento naturale e solo raramente predi-spone un piano di adeguata prevenzione delle frattureda fragilità o delle rifratture. Il Servizio Sanitario Na-zionale ha ritenuto al contrario vantaggioso dal punto divista economico ampliare la nota 79 nella prevedibilecertezza dell’esponenziale crescita dei problemi con-nessi alle fratture dell’anziano, soprattutto della fratturadi femore che occuperà con prevalenza assoluta neglianni a venire le strutture ospedaliere, riempirà le came-re operatorie ed il tempo degli specialisti ortopedici chepoco tempo avranno per dedicarsi ad altre problemati-che cliniche.

• Ad ulteriore conferma che sovente la frattura di fe-more altro non è che l’ennesima frattura dell’osteoporo-

tico, risulta dal nostro studio che il 24% dei pazienti confrattura del terzo prossimale di femore già presentavafratture pregresse, delle quali, per il 75% a carico dellacolonna dorsale e lombare ed il 13% a carico del polso.Si può anche riflettere sul dato emerso relativo al fattoche i pazienti non riferiscono in anamnesi casi di frattu-ra di fragilità in famiglia (76% di casi nessun caso difrattura osteoporotico in famiglia) e nel 73% dei casi di-chiarano di non aver mai avuto problematiche di osteo-porosi.

• Nel nostro studio il 90% dei pazienti reclutati sonostati di recente sottoposti ad intervento di protesizzazio-ne o di osteosintesi per frattura del terzo prossimale difemore e solo nel 10% dei casi non si è predisposto in-tervento chirurgico e si tratta in grande prevalenza difratture vertebrali da fragilità.

• La quasi totalità dei pazienti che abbiano monitora-to, sono giunti alla nostra osservazione senza alcuna te-rapia in atto, né ha riferito di aver mai effettuato terapiacon l’osteoporosi. In fase di dimissione, abbiamo pre-scritto terapia idonea con antiriassorbitivi nel 65% deicasi o semplicemente con calcio e vitamina D nel 30%dei casi.

22 ViSa 2007Dott. SERGIO ANIBALDI - Dott.ssa DANIELA OLIVA - Dott.ssa EMILIA FINAMORE - Dott. NICOLA SCHIAVONE

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li esiti conseguen-ti a traumi cranio-encefalici sono

una delle cause principalidi mortalità nella popola-zione compresa tra i 15 e i40 anni, con un’incidenzadel rischio di incidentimaggiore nella popolazio-ne di sesso maschile rispet-to a quella femminile, econ una percentuale di rile-vanza maggiore nei giova-ni rispetto agli adulti.

In Italia si calcolano circa 25.000 casi l’anno di TCEin seguito a problematiche traumatologiche collegate aincidenti sul lavoro o automobilistici. Una recente stati-stica, condotta su un campione di 1.015 casi, rileva cheil 42% degli incidenti stradali ha come conseguenza untrauma encefalico grave.

Naturalmente, i progressi compiuti in medicina d’ur-genza, in rianimazione e in neuro-chirurgia hanno note-volmente aumentato la possibilità di sopravvivenza inquesti soggetti, che in molti casi saranno comunqueportatori di una importante disabilità residua, non sola-mente circoscritta all’aspetto motorio o sensoriale, maanche la sfera cognitiva e comportamentale potrà esserepregiudicata, con la conseguenza di ritardare per lungotempo, quando è realizzabile, la ripresa delle attivitàfunzionali, sociali e lavorative, con ingenti costi nonsolo in termini economici, ma anche e soprattutto socia-li, costi che troppo spesso, ricadono solo ed esclusiva-mente sull’ambiente familiare.

Si distingue tra TCE “aperti” e TCE “chiusi”: i pri-mi, relativi soprattutto alle esperienze belliche della se-conda guerra mondiale, erano in massima parte ricon-

ducibili a traumi perforanti,con esiti di tipo focale a lo-calizzazione casuale, inparte assimilabili a quelliconseguenti a lesioni di ori-gine vascolare.I secondi, più attuali, sonolegati, come è già statopremesso, a cause di tipotraumatologico e hannocome conseguenze dannineurologici diffusi e mul-tifocali.

L’attenzione di questo articolo si focalizzerà propriosu quest’ultima tipologia di quadro clinico.

MECCANISMO D’AZIONE E QUADRO NEURO-FISIO-PATOLOGICO

Il danno primario nel trauma cranio-encefalico chiu-so è conseguenza, diretta o indiretta, di un violentomeccanismo contusivo agente all’esterno del cranio chesi trasmette, per inerzia, alla massa encefalica internaagendo essenzialmente con due modalità:

1) Contatto osso-massa cerebrale: in questo caso sidetermineranno focolai contusivi a localizzazione corti-cale, a volte non rilevati dall’indagine diagnostica perimmagini (la TAC dimostra nel 40% dei casi la presen-za del danno anatomico), corrispondenti alle zone diimpatto.

2) Il trauma genera l’azione di forze inerziali di na-tura, direzione e intensità differenti, ad andamento li-neare o rotatorio, che determinano lesioni sul tessutonervoso, come da “ strappo”.

23

I traumi cranio-encefalici (TCE)Aspetti riabilitativiFT. SERGIO GIGLI

Casa di Cura Privata “Villa Sandra”, RomaDocente a contratto Corso di Laurea in Fisioterapia, I livello, Università Tor Vergata, Roma

G

Le lesioni anatomo-patologiche che si instaurerannopossono essere schematicamente classificate come:

– Danno primario:

a) Focale emorragico.b) Assonale diffuso.

– Danno secondario:

a) Focale diffuso.b) Diffuso di origine metabolica e/o ipossicca.

Particolare attenzione va riservata al danno assonalediffuso, perché la distribuzione topografica delle lesioninon è mai casuale, ma risponde a una logica di progres-sione esterno-interno, con i guasti più rilevanti a caricodelle regioni sotto-corticali, la cui entità decresce versola regione tronco-encefalica. Nelle situazioni più im-portanti, il danno può essere così profondo da coinvol-gere strutture quali nuclei della base, corpo calloso,diencefalo, formazione reticolare, che può provocarerepentinamente coma e morte.

Inoltre, occorre sottolineare gli esiti dovuti alleemorragie intra-parenchimali per la rottura delle strut-ture vascolari derivanti dall’evento traumatico, checomportano le manifestazioni cliniche più importanti infunzione dell’eventuale recupero funzionale.

Perciò, tranne in particolari situazioni di sindromifocali specifiche, la sintomatologia neurologica che simanifesterà avrà aspetti multi-fattoriali, essenzialmen-te distinti in tre forme ed ognuna con caratteristichecliniche differenti in relazione alla localizzazione ana-tomica:

Sindrome orbito-frontale

– Sede anatomica: lobo frontale, lobo temporale.

– Sintomatologia: sfumata.

– Disturbi cognitivi: difficoltà di attenzione, concen-trazione e apprendimento.

– Disturbi del comportamento: anosognosia (inca-pacità a riconoscere la propria condizione patologica,negazione dei sintomi), aggressività, irresponsabilità evariazioni improvvise dell’umore.

Sindrome dorso-laterale

– Sede anatomica: emisfero frontale, regione tron-co-encefalica.

– Sintomatologia: gravi deficit sensitivi e motori.

– Disturbi cognitivi: deficit dell’attenzione, della

memoria, dell’apprendimento, della vigilanza e comu-nicativi.

– Disturbi del comportamento: anosoagnosia, apatiae sindrome depressiva.

Sindrome dorso-encefalica-cerebellare

– Sede anatomica: sotto-corticale, regione tronco-encefalica.

– Sintomatologia: tetraparesi, tremore, atassia e de-ficit dei nervi cranici.

– Disturbi cognitivi: disturbi della vigilanza, dell’at-tenzione, della memoria e dell’apprendimento.

– Disturbi del comportamento: agitazione, aggressi-vità e depressione.

Di conseguenza, le linee guida che determinerannole strategie riabilitative da adottare in presenza di esitida TCE terranno in considerazione lo specifico quadroclinico riscontrato in relazione alla sintomatologia evi-denziata, quindi:

– Danno motorio assente o minimo: training indi-rizzato al miglioramento del comportamento motorionelle sue componenti di velocità, destrezza, forza ecoordinazione.

– Negligenza motoria e/o aprassia: la rieducazionecognitiva integra l’applicazione delle strategie motorie,organizzando l’apprendimento di funzioni progressiva-mente più complesse.

– Emiparesi, emiplegia: le metodiche adottate sa-ranno rivolte al trattamento degli esiti specifici, qualil’alterazione del tono muscolare, il deficit di recluta-mento motorio, l’insorgenza di sinergie patologiche.

– Tetraparesi, tetraplegia: richiederanno controllodelle posture, incremento delle capacità motorie residuenecessarie alle principali attività della vita quotidiana(ADL).

– Sindrome atassica cerebellare: si ricercarà il mi-glioramento delle attività funzionali, dei trasferimenti,della deambulazione, adottando l’uso delle strategie rie-ducative più idonee allo sviluppo del controllo postura-le, dell’equilibrio e della coordinazione.

– Sindrome extra-piramidale: si punterà a miglio-rare la capacità del paziente di incrementare l’autono-mia nella cura della propria persona, nei trasferimenti,nella deambulazione e nelle ADL.

24 I traumi cranio-encefalici (TCE)Ft. SERGIO GIGLI

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PROTOCOLLO TERAPEUTICO

Il trattamento degli esiti di TCE richiede approcci emodalità d’intervento differenti in relazione alla speci-fica situazione clinica da affrontare, anche rispetto al-l’instaurarsi di uno stato di coma, nei suoi diversi gradidi manifestazione, o all’eventualità che si sia instauratouno stato vegetativo persistente. Generalmente è oppor-tuno distinguere una fase acuta, una post-acuta (precoceo tardiva) e quella degli esiti.

FASE ACUTA

È quella che si stabilisce dal momento del trauma al-lo stabilizzarsi delle funzioni vitali, in cui lo scopo pri-mario è la sopravvivenza dell’infortunato.

Gli obiettivi saranno:

– controllo dell’evoluzione della sintomatologianeurologica;

– valutazione degli esiti e delle disabilità insorte, siadal punto di vista motorio, che cognitivo-comportamen-tale;

– sollecitazione della ripresa di contatto con l’am-biente;

– correzione degli schemi patologici insorti e adde-stramento alla ripresa della corretta attività motoria;

– prevenzione delle complicanze: ulcere da decubi-to, riduzione della ventilazione polmonare, rigidità arti-colari.

FASE POST-ACUTA PRECOCE

Ha inizio quando il paziente raggiunge, o si apprestaa farlo, la stabilizzazione delle funzioni vitali. È previ-sto, e opportuno, il coinvolgimento dei familiari nelpercorso terapeutico da intraprendere, per guidarli, do-po essere stati informati sulla reale situazione del pa-ziente e sui suoi bisogni per una corretta gestione dellasituazione, affiancando, collaborando e scambiandoinformazioni con il personale sanitario sull’evoluzionedello stato psico-fisico del degente.

Le strategie di intervento terapeutico sono numerosee multi-focali:

• Nursing: mira a evitare che la prolungata perma-nenza a letto provochi l’insorgenza delle complicanze,quindi controllo delle posture, prevenzione dei decubitie delle rigidità articolari.

• Programmazione del trattamento riabilitativo:prevede la corretta e completa valutazione degli esiti,che si manifestano con l’associazione di diversi quadripatologici, che, oltre al sistema nervoso centrale, coin-volgono altri organi e apparati. Le strategie di inter-vento devono ricercare obiettivi realisticamente rag-giungibili, in relazione sia alla priorità del danno pato-logico, che allo stato di coscienza e alla possibilità dicollaborazione del soggetto, determinando l’imposta-zione di un piano di trattamento riabilitativo integratosostenuto da:

Rieducazione delle funzioni vitali di base: di solitosi presenta un quadro con incontinenza vescicale e inte-stinale a volte legato all’alterazione dello stato di co-scienza e di vigilanza, aggravato, nello specifico vesci-cale, dalla prolungata cateterizzazione. Il miglioramen-to delle funzioni cognitive e il corretto training di adde-stramento rappresentano il presupposto necessario peril ripristino delle normali funzioni evacuative. Anchel’attenzione per l’apparato respiratorio rappresenta unmomento decisivo rivolto al miglioramento delle fun-zioni vitali del paziente, considerando la presenza dellacannula tracheale necessaria in presenza di una respira-zione non completamente autonoma. Perciò, aspirazio-ne dei secreti bronchiali, drenaggio delle secrezioni,mobilizzazione toracica associati, nel momento in cuilo stato di coscienza del paziente lo permette, a esercizidi respirazione specifici per la tosse e il miglioramentodelle capacità polmonari. Anche la cura dell’alimenta-zione richiede una cura particolare, in quanto, nellamaggior parte dei casi con esiti di TCE, si evidenzianogravi disturbi della deglutizione, conseguenza del ridot-to o assente stato di coscienza e delle lesioni neurologi-che, anatomiche e/o dell’apparato respiratorio. La rie-ducazione di questa funzione, complessa e articolata,sarà illustrata in un paragrafo a parte.

Rieducazione dei disturbi comunicativi: in questafase specifica si rivela molto importante la presenza el’assistenza dei familiari, che affiancherà il personalesanitario nella stimolazione dei canali sensoriali di co-municazione. Per esempio, può essere utile proporrel’ascolto di musica o voci familiari, oppure la visione diimmagini e filmati che possano contenere una forte va-lenza affettiva.

Rieducazione dei disturbi neuro-psicologici: l’ap-proccio terapeutico affronterà sia le problematiche piùtipicamente cognitive che quelle spiccatamente com-

25I traumi cranio-encefalici (TCE)Ft. SERGIO GIGLI

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portamentali (Tab. 1). Il program-ma riabilitativo ricercherà la presadi coscienza delle disabilità insor-te e la loro accettazione, punterà alrecupero delle funzioni deficitariee allo sviluppo di funzioni sostitu-tive per gli aspetti parzialmente re-cuperabili.

Rieducazione della funzionesensitivo-motoria: in ogni tratta-mento riabilitativo, per qualsiasitipologia di patologia, il presup-posto fondamentale di un recupe-ro corretto e completo è la consa-pevolezza che la funzione moto-ria non può essere separata dallealterazioni della sfera psicologicache la ridotta abilità, seppuretransitoria, può elicere. Nei pazienti con esiti di TCEil rispetto di tale inquadramento olistico dello stato disalute diventa ancora più imperativo, in quanto lanoxa patologica determinerà quadri clinici con deficitmotori e perturbazioni psichiche di eccezionale rile-vanza. Il riabilitatore dovrà tenere costantemente pre-senti quelli che possono essere definiti “gli elementistrutturali” dell’esercizio terapeutico nel suo approc-cio al paziente e nella progettazione del percorso tera-peutico da intraprendere:

Le finalità riabilitative non favoriranno una metodi-ca rispetto alle altre, che dovrebbero comunque far par-te del bagaglio culturale e professionale specifico diognuno, ma si adatteranno e modelleranno sullo speci-fico patologico individuale, variando le proposte d’e-sercizio in funzione delle risposte del paziente e degliobiettivi ricercati.

Per un migliore inquadramento dei momenti di eser-citazione da adottare, si può schematicamente suddivi-dere la riabilitazione in rapporto a due fasi:

1ª Fase:

– Acquisizione delle posture corrette.

– Mobilizzazione passiva pluri-articolare.

– Esercizi attivi, inizialmente assistiti e progressiva-mente autonomi.

– Valutazione della necessità di adozione di ortesicorrettive.

– Ricerca della verticalizzazione precoce, prima sutavolo di statica, quindi con lo standing. Questo è unmomento importante per favorire e stimolare il riadatta-mento delle funzioni cardio-circolatoria e respiratoria,dei riflessi tonico-posturali, per migliorare l’orienta-mento spaziale e assecondare la ripresa del contatto conl’ambiente circostante.

2ª Fase:

– Esercizi al tappeto: mobilizzazione attiva globale,ricerca della simmetria corporea, passaggi posturali,

26 I traumi cranio-encefalici (TCE)Ft. SERGIO GIGLI

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Tabella 1

Alterazioni cognitive Disturbi comportamentali

Difficoltà di concentrazione Indifferenza

Disturbi dell’apprendimento Inconsapevolezza

Incapacità di riconoscere errori Variazioni repentine d’umore

Incoerenza tra pensiero e gesto Indifferenza verso gli altri

Incapacità a correggere gli errori Apatia/abulia

Incapacità di astrazione Impulsività

Irritabilità, irrequietezza

Agitazione

Ipercinesia

Aggressività

Disinibizione

Egoismo, infantilismo

Contatto + Empatia + Motivazione + Gratificazione

Globalità

Variabilità

Dinamicità

Pluriafferenzialità

esercizi in posizione prona per il controllo del capo,raggiungimento della posizione quadrupedica e in gi-nocchio, svincolo dei cingoli prossimali di arti superiorie inferiori, che, ricordiamo per inciso, hanno una mino-re rappresentazione neurologica corticale, quindi hannobisogno di una sollecitazione specifica.

– Esercizi in posizione seduta: esercizi per lo svin-colo dei cingoli, per la simmetria e il controllo del tron-co, per il passaggio dalla posizione seduta a quella eret-ta.

– Esercizi in piedi: correzione degli schemi patolo-gici presenti, controllo del tronco, trasferimento del ca-rico ponderale in senso antero-posteriore e laterale,scomposizione del passo nelle sue diverse fasi per l’av-vio alla deambulazione nelle varie direzioni e per la sa-lita e discesa delle scale.

Il trattamento delle disabilità sarà integrato con l’as-sociazione a esercizi di terapia occupazionale, ergo-te-rapia, psico-motricità, con lo scopo di perfezionare ilrecupero e l’armonia della gestualità motoria finaliz-zandola al recupero concreto dell’autonomia nelle atti-vità della vita quotidiana.

FASE POST-ACUTA TARDIVA

Quando il quadro motorio ha raggiunto un livello direcupero sufficiente e accettabile, si passa allo stadiodell’integrazione sociale, in cui il paziente prosegue lapropria attività di recupero in day hospital riabilitativoo viene seguito a domicilio. L’avvio di questo momentoterapeutico non ha una scadenza determinata in manieraprecisa, ma deve tener conto delle variabili legate allagravità del quadro clinico e delle risposte individuali altrattamento. Gli obiettivi da stabilire in questa fase sonoquelli di ottimizzare trasferimenti e locomozione, coor-dinazione e destrezza, in funzione del più completo ri-torno alle attività precedenti la lesione, sia della vita so-ciale che lavorativa e, se possibile, alla ripresa dell’atti-vità sportiva. In questa ottica risulta particolarmenteproficuo l’esercizio svolto in gruppo, che associa aivantaggi dell’esercizio fisico la sollecitazione degliaspetti comportamentali personali, quali:

– Superamento del rapporto “chiuso”, esclusivo, conil terapista, spesso vissuto dal paziente con un senso didipendenza pressoché vitale.

– Risoluzione del senso di isolamento percepito du-rante il decorso della malattia.

– Sollecitazione all’interazione con altre persone.

– Facilitare l’accettazione delle diminuite abilitàmotorie attraverso il confronto con le problematiche dialtri pazienti.

– Incrementare la consapevolezza e l’utilizzo dellecapacità residue.

– Aumentare la motivazione ad eseguire attività fisica.

Anche la terapia occupazionale svolgerà un ruoloimportante in questa situazione, completando il percor-so di recupero psico-motorio in virtù di diverse finalità:

– Aumento di forza, coordinazione e mobilità.

– Mantenimento delle posture corrette durante le at-tività funzionali.

– Sviluppo della resistenza alla fatica.

– Adattamento agli esiti e compensazione dei deficit.

– Integrazione più accurata dell’attività motoria coni gesti della vita quotidiana.

– Addestramento all’uso degli ausili necessari.

– Valutazione del potenziale lavorativo effettivo inprevisione della reintegrazione alla vita sociale e lavo-rativa.

Va sottolineato il fatto che occorre sempre tenerpresente quanto il trauma cranio-encefalico grave com-porti degli esiti di particolare importanza, con limita-zioni permanenti per la vita futura del paziente e cheinteressano tanto i suoi risvolti individuali, quanto lerelazioni socio-familiari, con limitazioni della mobi-lità, quindi dell’autonomia e dell’indipendenza, dellapossibilità di svolgere alcune attività nel tempo libero,della riduzione dell’integrazione sociale, della possibi-lità di sviluppare ulteriori percorsi di carriera lavorati-va, con le ripercussioni anche economiche che questopuò comportare. Tutto questo, associato alla necessitàdi cure e assistenza pressoché costanti, ripeto, troppospesso delegati esclusivamente alla responsabilità e al-la possibilità, anche in termini di costi, dell’ambientefamiliare, può far sviluppare relazioni interpersonalidisturbate, che potrebbero ridurre l’efficacia, se nonvanificare, quanto raggiunto con un corretto e attentopercorso terapeutico.

Finora è stata descritta la situazione comunque posi-tiva il cui le conseguenze di un TCE grave si “limitino”a ridurre le abilità motorie dell’individuo, permettendo-gli comunque di mantenere un’abilità di movimento e

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uno stato di consapevolezza sufficienti per poter piani-ficare il ritorno a un discreto livello di autonomia, perquanto vincolata all’entità degli esiti.

Purtroppo, una discreta percentuale di TCE esita insituazioni in cui, per un periodo più o meno lungo, ilpaziente subisce una grave alterazione dello stato di co-scienza e di nullo o scarso contatto con l’ambienteesterno, determinando un coacervo di quadri clinici di-stinti tra loro da quello che viene indicato come “lo sta-to di coscienza interna del paziente”, cioè: coma, statovegetativo, stato minimamente cosciente, sindromelocked-in, mutismo acinetico.

Coma

Può essere descritto come uno stato di vita biologicacon assenza di risposte agli stimoli esterni, associato al-la perdita di qualsiasi interazione con il mondo circo-stante. Clinicamente si evidenzieranno:

– occhi costantemente chiusi;– nessuna risposta alle richieste;– nessuna produzione verbale;– nessuna attività motoria volontaria;– l’indagine EEG non riscontra segni di ritmo son-

no-veglia;– la somministrazione di farmaci non influenza lo

stato neurologico.

Stato vegetativo (o sindrome apallica, stato di inconsapevolezza post-comatosa, coma vigile)

Successivo allo stadio del coma, è anticipato dall’a-pertura spontanea degli occhi. Può svelare un inizialerecupero neurologico associato a uno stato di coscienzae vigilanza, anche se non sotto il controllo completodella volontà.

Il quadro clinico mostrerà:

– gli occhi vengono aperti spontaneamente e/o dopouna richiesta;

– sollecitazioni nocicettive o esterocettive provoca-no risposte riflesse automatiche come tachicardia, au-mento della pressione arteriosa, sudorazione, gra-sping;

– recupero delle funzioni neurovegetative cardio-va-scolare, respiratoria, gastro-intestinale e parziale ripri-stino del ritmo veglia-sonno;

– inseguimento di un “bersaglio” con gli occhi;– produzione di vocalizzazioni;– è presente una motilità spontanea senza finalità

funzionali specifiche;– rimane assente la coscienza di sé.

Stato minimamente cosciente

In questa fase si mettono in evidenza le prime, par-ziali, incostanti risposte neuro-comportamentali, varia-bili in riferimento alle situazioni più disparate, come,per esempio, l’impatto emozionale delle sollecitazioniesterne, un particolare momento della giornata.

Si riconosce questa condizione quando il pazientemanifesta:

– episodica e incostante esecuzione di ordini ricevuti;– manipolazione di oggetti;– capacità di esprimere risposte affermative o nega-

tive, sia verbalmente, che con gesti;– la produzione verbale inizia a essere articolata e

comprensibile;– stimoli specifici provocano risposte motorie vo-

lontarie e non riflesse, anche se con caratteristiche distereotipia.

Sindrome locked-in (LIS)

È una manifestazione fortunatamente poco comune,conseguente a danni vascolari di notevole rilevanza cheinteressano la zona del ponte di Varolio. Clinicamentecomporta:

– paziente vigile, attivo, con movimenti oculo-moto-ri in parte mantenuti;

– presenza delle facoltà cognitive;– anartria, afasia in seguito a paresi/paralisi della

muscolatura;– tetraparesi, tetraplegia;– la comunicazione è possibile solo con movimenti

degli occhi o degli arti e, eventualmente, l’uso di sussi-di (anche elettronici).

Mutismo acinetico

Questa definizione descrive uno stato disturbato del-le risposte volontarie, reversibile, dovuto ad acinesia.Questa condizione si manifesta nei seguenti modi:

28 I traumi cranio-encefalici (TCE)Ft. SERGIO GIGLI

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– il paziente è vigile con gli occhi aperti e palesamobilità oculare volontaria.

– è assente o ridotto il movimento degli arti e la pro-duzione del linguaggio.

– l’esecuzione di azioni avviene solo dopo ripetuterichieste e in maniera incostante.

– l’assenza (o riduzione) del movimento non è do-vuta a sintomatologia neurologica, per esempio rigiditàda ipertono.

STRATEGIE DI INTERVENTO RIABILITATIVO

Il trattamento di questi stati, per così dire, di “altera-ta coscienza” prevede l’adozione e l’esecuzione diquelle scelte terapeutiche necessarie per mantenerequantomeno accettabile la qualità della vita del soffe-rente, ovviamente in rapporto alla compromissione neu-rologia e cognitiva evidenziata. I criteri che stabilirannole linee guida del trattamento prevedranno:

– Controllo e correzione delle posture nel letto didegenza per la prevenzione delle complicanze derivantidalla prolungata immobilità.

– Mobilizzazione passiva poliarticolare mirata acontrastare l’instaurarsi di retrazioni muscolo-tendineee anchilosi, con l’accortezza di proporre sedute di trat-tamento brevi, ma ripetute più volte nell’arco dellagiornata, nel rispetto della particolare condizione di de-bilitazione presente in questi casi.

– Mantenimento della pervietà delle vie respiratorie,facilitando l’eliminazione di secreti bronchiali e pun-

tando, quando è possibile, allo svezzamento dal respira-tore automatico.

– Stimolazione sensoriale nei suoi molteplici aspetti:acustico, visivo, tattile, gustativo, olfattivo, propriocet-tivo.

– Adeguamento dell’ambiente di degenza a criteri diopportuna confortabilità e tranquillità.

– Coinvolgimento dei familiari, fondamentale inquesti frangenti, che devono essere correttamente ecompletamente informati sulle reali possibilità di recu-pero del paziente, e che possono e devono collaborarecon il personale infermieristico e riabilitativo, tenendosotto controllo e segnalando le eventuali variazioni delsuo stato di coscienza. È essenziale che queste personevengano a loro volta seguite per salvaguardarle dal ri-schio di sovraccarico psicologico, il cosiddetto burn-out, conseguente alla severa e impegnativa situazioneche sono chiamati a sostenere, sia per le gravi condizio-ni di salute del congiunto, che per i lunghissimi tempidi assistenza che possono essere necessari.

Queste sono le problematiche immediate che il qua-dro clinico comporta, ma il fisioterapista potrebbe esse-re chiamato ad affrontare ulteriori manifestazioni clini-che che possono manifestarsi in modo tardivo e chepossono essere passate inosservate nel momento diemergenza iniziale, quando era imperativa la sopravvi-venza dell’individuo e la stabilizzazione delle funzionivitali di base, e che comunque limitano la corretta ri-presa delle attività funzionali.

Queste condizioni sono riassunte nella Tabella 2.

29I traumi cranio-encefalici (TCE)Ft. SERGIO GIGLI

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Tabella 2

Quadro clinico Trattamento preventivo Trattamento degli esiti

Paralisi centrali Nursing posturale Uso di ortesi dinamiche e di stabilizzazioneTutori di mantenimento Chirurgia correttivaMobilizzazioni Eventuale utilizzo di tossina botulinica

Paralisi periferiche Corretto intervento ortopedico in fase acuta Adozione di ortesiNursing posturale Chinesiterapia

Chirurgia sintomatica

Difetti di consolidamento, Correzione ortopedica Chirurgia di correzionedeformità post-traumatiche Controllo reazione abnorme allo stiramento

(ipertono)

Calcificazioni eterotopiche Controllo dei processi infiamatori secondari Eventuale rimozione chirurgica delle(POA = para-osteo-artropatie) agli insulti traumatici precipitazioni calcificate

Caute mobilizzazioni

I DISTURBI DELLA DEGLUTIZIONE: LA DISFAGIA

Il termine disfagia viene usato per indicare quelle si-tuazioni in cui è alterato il normale meccanismo di tran-sito del bolo alimentare o dei liquidi dalla cavità oraleverso lo stomaco. Si presenta con aspetti diversi chepossono comprendere la semplice difficoltà di mastica-zione del prodotto alimentare introdotto, alla nefastapossibilità che questo possa essere aspirato dalle vie re-spiratorie provocando la morte per asfissia.

Nel TCE è una evenienza che si riscontra frequente-mente, in conseguenza delle gravi problematiche neuro-logiche, sistemiche o cognitive che possono insorgeredopo l’insulto traumatico. Le strategie di trattamentosono strutturate con l’intervento congiunto di diverse fi-gure professionali (fisiatra, neurologo, logopedista, fi-sioterapista, infermiere, nutrizionista), in relazione allediverse componenti fisio-patologiche che il quadro cli-nico mette in evidenza, con tre obiettivi complementarie successivi:

– sviluppo di strategie di compensazione dei muta-menti funzionali, a breve termine;

– ripristino della migliore attività di deglutizionepossibile, a medio/lungo termine;

– recupero della funzione completa, ovviamentequando la tipologia delle lesioni lo permette, come tar-get definitivo.

L’obiettivo immediato, una volta stabilizzate in ma-niera soddisfacente le condizioni di mantenimento invita del paziente, è quello di introdurre e far apprenderele strategie necessarie ad ottenere la deglutizione senzarischi. Questo si ottiene ricercando e attuando le postu-re del capo idonee e specifiche per ogni singolo caso,stimolando le manovre di difesa delle vie aeree e at-tuando accorgimenti dietetici tali da facilitare il passag-gio del bolo alimentare.

Le posture hanno lo scopo di compensare con le op-portune posizioni del capo, del collo o di tutto il corpo,i deficit di natura anatomica e funzionale insorti dopo iltrauma. Non esistono posizioni valide per tutti i disfagi-ci (come si potrà notare dalla Tabella 3), ma per ognisingolo paziente dovrà essere ricercata la soluzione piùopportuna.

Le manovre di difesa delle vie aeree, che hannolo scopo di proteggere dal rischio di una aspirazioneaccidentale durante il momento della deglutizione,

sono la manovra di Mendelshon (mantenimento ma-nuale dell’elevazione della laringe), la deglutizionesovra-glottica (sospensione della respirazione prima edurante la deglutizione), la deglutizione forzata e lascomposizione della deglutizione, cercando di mi-gliorare il coordinamento funzionale per automatizza-re l’atto (da sottolineare che quest’ultima strategia ri-chiede una notevole condivisione da parte del pazien-te, per cui è raramente richiesta, per la concomitanzadi rilevanti deficit cognitivi che possono esitare inquesti pazienti).

Gli accorgimenti dietetici da adottare riguardano laconsistenza dei cibi che vengono somministrati. Peresempio potrebbe essere necessario evitare l’ingestionedi sostanze a elevata consistenza liquida, come mine-strine o il brodo vegetale, o oltremodo “collosi”, quali ilriso, per l’eccessivo rischio che la loro ingestione puòcomportare.

Le caratteristiche ottimali degli alimenti da sommi-nistrare a un paziente con sindrome disfagica sono rias-sunte nella Tabella 4.

30 I traumi cranio-encefalici (TCE)Ft. SERGIO GIGLI

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Tabella 3 - Posture facilitanti.

• Inclinazione anteriore del capo

• Rotazione del capo verso l’emisoma più compromesso

• Collo flesso lateralmente

• Estensione del collo

• Può essere associata l’estensione del tronco a quella del collo

• Rotazione del capo verso destra o sinistra

• Paziente in decubito laterale

Tabella 4 - Caratteristiche e criteri per la scelta dell’alimen-tazione.

• Coesione e compattezza• Omogeneità• Scivolosità• Dimensioni adeguate• Temperatura del cibo maggiore o minore di quella

corporea• Colore: nei tracheotomizzati, per esempio, è importante

che vi sia una decisa diversità cromatica dallesecrezioni

• Sapore: vanno individuate per ogni singolo paziente,quei sapori che possono facilitare la deglutizione.

UNA CONSIDERAZIONE CONCLUSIVA

Chi lavora in ambito sanitario, quindi anche noi cheapplichiamo, o tentiamo di farlo, “l’arte riabilitatoria”deve, per esigenze cliniche e scientifico-divulgative, in-quadrare e confrontarsi con ogni specifica situazionepatologica seguendo linee guida schematizzate e prede-terminate che indicano gli obiettivi terapeutici da perse-guire per finalizzare compiutamente e costruttivamentele strategie operative d’intervento. Ma situazioni com-plesse, che richiedono tempi di intervento prolungati intermini di assistenza e cura, quali sono gli esiti di untrauma cranio-encefalico grave, ripropongono la penosaconsiderazione per cui l’impegno del singolo riabilita-tore, l’eccellenza della struttura di erogazione del tratta-mento possono essere vanificati, dopo la dimissione,dalla mancanza di una organizzazione a livello sanitarioregionale o nazionale (con poche ed esclusive eccezio-ni) che permetta di dare un significato finale al percorsoterapeutico intrapreso. Al momento del rientro a domi-cilio, “terminato” il percorso terapeutico che esige il ri-covero, ricade quasi esclusivamente sul nucleo familia-re di appartenenza l’organizzazione necessaria per lagestione della vita sociale e sanitaria del paziente, con icosti connessi, che, vale la pena ricordare, ha general-mente subito un peggioramento della propria situazioneeconomia per le limitazioni che le minori abilità residuehanno imposto alla sua vita lavorativa, alle sue prospet-tive di carriera, ammettendo che possa essere mantenu-ta la possibilità di una pur minima attività lavorativa.Potenzialità di reinserimento concreto, se pur con i li-miti imposti dalla patologia, vanno così frustrate per lacarenza di quel momento di assistenza terapeutica, adomicilio o in regime di day hospital, vanificando, oltre

l’impegno professionale delle figure sanitarie interve-nute, anche l’impegno economico che mesi di cure han-no comportato per il SSN.

Potrà sembrare che il contenuto di queste “conside-razioni finali” esuli dall’argomento specifico dell’arti-colo, ma sono riflessioni, frutto anche di esperienzepersonali, dettate dalle indicazioni delle stesse lineeguida, per cui i buoni risultati ottenuti in ambiente ria-bilitativo specifico corrono il rischio di non completareil percorso di reinserimento dell’individuo, di non otte-nere quel miglioramento della qualità della vita per isoggetti con minore abilità motori auspicato anche dalPiano Sanitario Nazionale.

BIBLIOGRAFIA

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Schunke M., Shulte E., Schumacher U., Voll M., WeskerK.: Prometheus, Atlante di Anatomia. UTET 2006.

31I traumi cranio-encefalici (TCE)Ft. SERGIO GIGLI

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32

l caffè rappresenta, insieme all’acqua e al tè, una delle bevande più consumate al mondo. Gran par-te degli occidentali inizia la giornata con una taz-

za di caffè.Grazie al contenuto di caffeina, il caffè è un noto sti-

molante (1) e migliora la funzione cognitiva (2). Oltread effetti a breve termine, la caffeina può avere, quindi,effetti a lungo termine sulla funzione cerebrale (3). Visono in letteratura studi cross-sectional che forniscono

evidenze a sostegno dell’associazione tra il consumo dicaffeina (4, 5), o di caffè (6), e il miglioramento dellafunzione cognitiva.

Una spiegazione possibile potrebbe essere che lacaffeina entra in circolo nel sangue e agisce quale an-tagonista dei recettori dell’adenosina A2a nel cervello,che di conseguenza stimola i neuroni colinergici (1).Questi neuroni proteggono contro la neurotossicità in-dotta da β-amiloidi, che sono precursori del declinocognitivo (7). Se il consumo di caffè ritarda effettiva-mente il declino cognitivo, ciò ha delle forti implica-zioni di salute pubblica dato che il declino cognitivo èmolto comune negli anziani. A questo proposito, unostudio europeo, al quale ha preso parte anche l’IstitutoSuperiore di Sanità, ha analizzato, nel corso di 10 an-ni, l’associazione tra consumo di caffè e declino co-gnitivo negli uomini di Finlandia, Italia e Paesi Bassi.Si tratta dello studio di coorte prospettico “FINE”(Finland, Italy and Netherlands Elderly), di cui pre-sentiamo una sintesi.

L’analisi è stata condotta seguendo per 10 anni, 676uomini sani nati tra il 1900 e il 1920 provenienti daFinlandia, Italia e Olanda. Gli esami sono stati effettuatitra il 1990 e il 2000. Si trattava dei sopravvissuti dellacoorte del Seven Counties Study esaminate per la prima

I

FORSE NON TUTTI SANNO CHE...

A cura di:DOTT. LIVIO FALSETTO

Consulente Scientifico Casa di Cura Privata “Villa Sandra”, Roma

La caffeina: alcaloide buonoDOTT. ADRIANO ANSELMI

Responsabile III U.O. Riabilitazione MotoriaCasa di Cura Privata “Villa Sandra”, Roma

Si nasconde nella tazzina di caffè il segreto di una memoria di ferro nonostante gli anni che passano.

Il caffè, una delle bevande più amate dagli italiani e, per molti, appuntamento irrinunciabile

di inizio giornata, protegge gli anziani dal declino cognitivo associato all’età, riducendo il rischio

di malattia di Alzheimer.

OVER 65Gli amanti del caffè tendono ad esserepiù attivi di quelli chenon assumono caf-feina

33La caffeina: alcaloide buonoDott. ADRIANO ANSELMI

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volta nel 1960 che all’epoca era costituita da persone dietà compresa tra i 40 e i 59 anni. La funzione cognitivaè stata valutata utilizzando il test Mini-Mental StateExamination. Il punteggio assegnato variava da 0 a 30punti: il punteggio più alto indicava una migliore capa-cità cognitiva. Il consumo di caffè è stato stimato intazze al giorno. Nel complesso si è notato che i “consu-matori di caffè” tendono ad essere fisicamente più attivirispetto ai “non consumatori”. Inoltre, nel corso di 10anni, gli uomini che consumavano caffè presentavanoun declino cognitivo di 1,2 punti e gli uomini che nonconsumavano caffè presentavano un declino addiziona-le di 1,4 punti. È stata osservata anche l’associazionetra il numero di tazze di caffè consumate e il declinocognitivo: il minore declino è stato osservato con unconsumo di 3 tazze di caffè al giorno. Questo declino èstato 4,3 volte inferiore rispetto al declino dei non con-sumatori.

Il caffè è una delle maggiori fonti di caffeina: unatazza di caffè ne contiene circa 85 mg, quasi due volteil contenuto in caffeina del tè (~ 45 mg). Il consumo dicaffeina è stato associato ad un rischio inferiore di ma-lattia di Alzheimer (3) e può migliorare le funzioni co-gnitive come memoria, apprendimento, controllo e sta-to d’animo (2).

Oltre alla caffeina, il caffè contiene molte altre so-stanze come il magnesio e gli acidi fenolici, dei qualil’acido clorogenico è quello presente in maggiorquantità (9). Con essi aumenta la proprietà antiossi-dante nel plasma (10, 11) che fornisce un effetto pro-tettivo contro i radicali liberi che causano danni aineuroni (12).

BIBLIOGRAFIA

11. Fredholm BB, Battig K, Holmen J, Nehlig A, Zvartau EE.Actions of caffeine in the brain with special reference tofactors that contribute to its widespread use. PharmacolRev 1999; 51: 83-133.

12. Liebermann HR, Tharion WJ, Shukitt-Hale B, SpeckmanKL, Tulley R. Effects of caffeine, sleep loss, and stress oncognitive performance and mood during US Navy SEALtraining. Sea-Air-Land. Psychopharmacology 2002; 164:250-61.

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16. Jarvis MJ. Does caffeine intake enhance absolute levelsof cognitive performance? Psychopharmacology 1993;110: 45-52.

Due importanti pubblicazioni mediche quali il Jour-nal of American Medical Association (1996; 275:458-462) e il New England Journal of Medicine(1990; 323: 1026-1032) hanno appurato che tre oquattro tazzine di caffè al giorno non comportanorischi cardiovascolari né incidono significativamen-te sui valori pressori.

Il Journal of American Medical Association (2005;294: 97-104) asserisce che un consumo di caffèpari a 3-4 tazzine al giorno, può ridurre il rischio deldiabete tipo 2 o diabete dell’adulto.

Il caffè, diluito in alte percentuali in acqua, è un otti-mo antiparassitario e anti mollusco-gasteropode(lumache).

NESSUN RISCHIO CARDIOVASCOLARE

OTTIMISMO PER I DIABETICI

NOTIZI INTERESSANTE PER I FLOICULTORI ED ORTOLANI

MAGNESIONe è ricco il caffè.Assieme agli acidi fenolici aumenta le proprietà antiossidanti nelsangue

17. Dall’Igna OP, Porciuncula LO, Souza DO, Cunha RA,Lara DR. Neuroprotection by caffeine and adenosine A2areceptor blockade of beta-amyloid neurotoxicity. Br JPharmacol 2003; 138: 1207-9.

18. van Gelder BM, Buijsse B, Tijhuis M, et al. Coffee con-sumption is inversely associated with cognitive decline inelderly European men: the FINE Study. Eur J Clin Nutr2007; 61: 226-32.

19. Nardini M, Cirillo E, Natella F, Scaccini C. Absorption ofphenolic acids in humans after coffee consumption. JAgric Food Chem 2002; 50: 6211-6.

10. Svilaas A, Sakhi AK, Andersen LF, et al. Intakes of antioxi-dants in coffee, wine, and vegetables are correlated withplasma carotenoids in humans. J Nutr 2004; 134: 562-7.

11. Christen Y. Oxidative stress and Alzheimer disease. Am JClin Nutr 2000; 71: 621S-9S.

34 La caffeina: alcaloide buonoDott. ADRIANO ANSELMI

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illustrazione con cui apro una carrellata su que-sti argomenti è tratta dalla pubblicità di una Domenica del Corriere della fine dell’Ottocen-

to, proprio un 1899, una data quasi da capogiro... Quantoracconterò non penso sia riferibile solo ad uno spazio ditempo così ristretto, ma anche agli anni precedenti.

La medicina che, nell’illustrazione, la mamma si ac-cinge a dare alla figlioletta poteva essere, è scritto nelbordo in alto alla figura, olio di merluzzo, che in queltempo, veniva frequentemente somministrato ai bambini

gracili, o anche un’emulsione di sali per il rachitismo,ma precisazioni di questo tipo, e cioè relative alla com-posizione delle medicine, non erano frequenti. La récla-me farmaceutica proponeva alle medicine nomi di fanta-sia, sottacendo ogni riferimento ai principi attivi, come siusa oggi. La “Uditina”, per esempio, offriva un lenimen-to acustico, ma cos’era chimicamente? Il “Depileno” fa-ceva cadere prontamente i peli superflui “il solo medica-mento che atrofizzi la radice del pelo”, che è quanto si faoggi, ma con la elettrocoagulazione... Chissà perché poisi lasciassero in ombra i procedimenti più complessi.Forse per non spaventare i malati? Un istituto aero-elet-tro terapico si diceva capace di curare la tisi polmonare,malattia allora diffusissima, intervenendo farmacologica-mente e in parte anche chirurgicamente... Ma come? Nonriusciamo ad immaginare, perché il pneumatorace delForlanini era di là da venire...

La esclusione dei danni collaterali veniva rimarcatadalla réclame e non tanto per ragioni commerciali, iopenso, ma per i progressi che sia pure lentamente la ri-cerca medica faceva.

Allora la tintura dei capelli “Bertelli e C.” veniva de-finita innocua, perché priva di sali minerali come i nitratid’argento, di piombo, di mercurio, di rame. Non bassa-mente interessata è l’idea di fare garantire un medica-mento da un medico, che ne avesse fatto esperienza. IlDottor G. Lerco di Tragnagno (Milano) – anche lindica-zione della sua residenza era opportuna – scrive, allora,che l’applicazione della catena elettrogena per una tabedorsale (= atassia locomotoria) gli ha dato un esito “in-sperato, stupefacente, duraturo”. La scienza sperava mol-to, in quegli anni, nella fibrillazione elettrica dei plessinervosi, al punto da fabbricare una catena elettro-galva-nica del peso di 50 grammi da portarsi sotto gli abiti. Maper curare cosa? I disturbi più diversi, dai crampi, all’in-sonnia, addirittura all’isterismo...

L’efficacia delle cure era pure testimoniata dagli stes-si pazienti che nei loro resoconti abbondavano di partico-

35

Medicamenti e cosmeticinella reclame dell’OttocentoPROF. ALESSANDRO CASAVOLA

L’

lari accattivanti i lettori del giornale, che erano ammalatidella stessa malattia o credevano di esserlo... Un tale cheera ricorso alla “Pillola universale Fattori” contro una sti-tichezza invincibile così si esprimeva: “ritornando a casa,facendo un viaggio di mezz’ora a piedi, mi accorsi che lapillola cominciava a produrre il suo effetto nel mio ven-tricolo, ma senza dolori e disturbi di sorta, di modo chedopo un’ora mi sentii il corpo liberato da un peso chel’opprimeva...”. Si sorride, è inevitabile, come per unasequenza di un film comico. E si sorride pure quando sidice che il sapone “all’amido-Banfi” a preferirlo fosse lanobiltà italiana, come se questo bastasse a dimostrare illevigamento sulla epidermide... Si sorride ancora perl’effetto di un farmaco da toletta: “basta bagnare la serail pettine nella medicina – un ultimo ritrovato dellascienza chimica – passarlo nei capelli perché questi lamattina appresso restino splendidamente arricciati, re-stando tali per una settimana...”. Si sorride per il linguag-gio prolisso e l’assicurazione che l’effetto si manterrà peruna settimana. Come poteva chiamarsi questa medicinase non “La Riccettina”? Ma l’Ottocento non è sempre ri-sibile, perché mette a punto tanti prodotti per renderli piùefficaci.

Basta – si dice – col creare creme capaci solo di dareprofumazione, bisogna proteggere la pelle. Ma da cosa?Dall’aggressione dei parassiti... Il microscopio e la chi-mica si erano evidentemente messe al servizio della far-maceutica. Ho trovato interessante quanto si dice sullacrema “Venus Bertelli”, prodotta per la prima volta nel-l’Ottocento, e poi usata nel Novecento (ricordo che lausava mia madre...), presente ancora oggi per una co-smesi di qualità. Trascrivo: Così parla il Codice dellaBellezza... Vorrei che ogni signora si proponesse di nonfare economia quando si tratta di cosmetici, e scegliessesolamente i più fini, quelli che ebbero l’approvazione deilaboratori scientifici e delle autorità igieniche. Si ricordiche i cosmetici, per la loro natura, vengono dopo gli ali-menti. Questi preparati sono assorbiti dalla funzione cu-

tanea, e quindi appartengono ai modificatori igienici chepiù direttamente agiscono sul protoplasma vivente. I se-greti della toletta antica ci indicano che bene spesso siadoperavano delle sostanze nocive, le quali a lungo an-dare, sciupavano la salute e rovinavano la pelle. Sola-mente, dopo i recenti studi chimici e le meravigliose sco-perte della batteriologia, la ditta Bertelli di Milano potéinventare – è la vera parola – tutta una cosmesi assoluta-mente igienica, che è preservativa delle malattie dellapelle e delle mucose, tonica per la pelle e per le mucose,producendo una continua, perfetta sterilizzazione. Le so-stanze igieniche della profumeria Venus sono perfetta-mente innocue. “In questo messaggio pubblicitario l’ita-liano è, direi, perfetto, scientificamente perfetto, moder-no...”.

È merito dell’Ottocento di aver prodotto anche qual-cosa per la protezione dei denti... Prima polveri e gocce,poi paste dentifricie. Trascrivo: Chi dunque vorrà conser-vare i denti sani fino ad una età inoltrata, si avvezzi piùpresto che sia possibile a lavare giornalmente la boccacon “Odol”, che impedisce lo svilupparsi di quei processiche corrono e distruggono i denti...

36 Medicamenti e cosmetici nella reclame dell’OttocentoProf.. ALESSANDRO CASAVOLA

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L’Ottocento non comprende ancora a pieno l’impor-tanza della elioterapia, ma della balneoterapia sì. Chi sa-peva che il Manzoni, con i familiari, si portasse sullespiagge livorneri non solo per lunghe passeggiate, ma an-che per caute bagnature? Ma poteva l’elioterapia essereaccettata dalle signore che aborrivano l’abbronzatura?Trascrivo da una rubrica intitolata “Consigli utili per le si-gnore”: Coll’allungarsi delle giornate, col nuovo teporeche tutto vivifica, l’aria aperta ha irresistibili richiami: edecco le lunghe gite in campagna, le corse in bicicletta,sotto il sole nel buon venticello primaverile. Senonchéogni medaglia ha il suo rovescio e molte signore temonogli effetti della luce troppo intensa e prolungata e dei su-biti sbilanci di temperatura sulla freschezza della propriacarnagione. Ecco un trattamento semplice e sicuro controtali piccole avarie: applicare sulla parte, dirò così danneg-giata, una mistura di sapone polverizzato, sugo di limonee acqua ossiggenata e rimanere così in contatto dell’ariaper circa venti minuti, e lavarsi poscia con tintura di euca-lipto diluita nell’acqua. Per chi invece trovasse di esseretroppo pallida e temesse di perdere ogni freschezza sonoconsigliabili bagni di crusca con aggiunte di acido fenico,o lozioni locali di acqua fredda con gocce di cloralio...Per impedire ai capelli di imbianchire prima del tempo(evviva non esistevano solo tinture che riportavano persempre al colore giovanile con effetto immediato!), oliodi cocco, rataflà di lauro e gocce di bergamotto”.

Quel che più mi ha interessato di questa rubrica è sta-to lo stile dell’autrice teso a proporre consigli con un gar-bato, filosofico sorriso: come se dicesse a bassa voce“ma sù, non preoccupiamoci poi tanto...”.

L’Ottocento raccoglie altri problemi, forse più segretidelle donne, che si sentivano, per come erano fatte, di es-sere incapaci di attirare gli sguardi soprattutto quelli degliuomini. Ecco, allora, la reclame delle “Pillules orientales”che assicuravano, in due mesi, alle donne che avessero unseno malfatto bellezza, ricostituzione, solidità...

Il Novecento reclamizzando un altro prodotto parleràpiù apertamente di una riconquistata capacità di seduzio-

ne. Trascrivo: “Tutte le signore e signorine sfiduciate(l’inclusione delle signorine manca nella réclame del-l’Ottocento) dell’uso di altri prodotti provino il prodigio-so Marmer e vedranno infallibilmente gli effetti fino daiprimi giorni...”.

Mi piace chiudere questo lavoro rimarcando le rimini-scenze letterarie che avevano i medici di quel tempo lon-tano... Ad una ragazza che si lamentava, nelle lettere allaDomenica, di avere il rossore alle guance, un medico cosìrispondeva: se può spiegarsi con “la rosa” che il buon Pa-rini godeva di vedere rifiorire sulle gote del suo alunno (=ricordiamo l’ode in onere di Carlo Imbonati, studiata for-se al liceo? “Torna a fiorir la rosa, che pur dianzi languìa,e molle si riposa sui gigli di pria...), nessuna preoccupa-zione, anzi tutt’altro. Altrimenti si potrebbe pensare aduno sfiancamento vasale. Per il quale non ci sono propria-menti rimedi (evviva! L’Ottocento non proponeva con fa-ciloneria sempre creme miracolose!) ma una dieta e con-sigli igienici, sì “concludeva quel medico”.

Non male, allora, questo Ottocento interessato e inge-nuo, sperimentatore e capace sempre di ricredersi, sem-pre in cammino.

Roma, gennaio 2008

37Medicamenti e cosmetici nella reclame dell’OttocentoProf.. ALESSANDRO CASAVOLA

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vevamo, recentemente, in lista di ricovero una paziente, per il trattamento riabilitativo inerente i postumi di una frattura di femore.

Sulla domanda d’accettazione, alla voce “patologiecollaterali”, era segnalata la sindrome di Usher.Stimolati dall’interesse scientifico, c’eravamoaffrettati al meglio documentare le nostre cognizioniin merito a tale sindrome, prima ancora che lapaziente fosse accolta.All’ultimo momento, per motivi personali, harinunciato al ricovero, ma ormai, la scintilla erascoccata ed abbiamo dato seguitoall’approfondimento della materia, con i risultati cheesponiamo nel presente articolo.

La sindrome di Usher è una rara malattia geneticacongenita caratterizzata da ipoacusia neuro-sensorialeprofonda associata a degenerazione progressiva dellaretina nota come retinopatia pigmentosa.

È stata descritta per la prima volta nel 1858 in Ger-mania da Albert Von Graefe che ha pubblicato il casodi un uomo sordo dalla nascita affetto anche da dege-nerazione retinica, mentre nel 1914 prese l’attuale de-nominazione dall’oculista inglese Charles Usher cheper primo ne definì il carattere ereditario.

L’incidenza della sindrome di Usher è piuttostobassa; si stima che nei Paesi occidentali 4-6 bambinisu 100.000 nascano con la sindrome di Usher, mentresi riscontra nel 3-6% delle persone affette da sorditàcongenita e nel 50% delle persone sorde cieche.

È una malattia geneticamente eterogenea a trasmis-sione autosomica recessiva, che coinvolge 12 loci ge-

nici indipendenti, 9 dei quali sono ormai noti e com-prende 3 varianti cliniche: tipo 1, tipo 2 e tipo 3.

Il grado di perdita della funzione uditiva e/o vesti-bolare permette di distinguere i vari tipi di sindromedi Usher, mentre la retinopatia pigmentosa è il sinto-mo oftalmologico più importante condiviso da tutti etre i sottotipi clinici. È stato inoltre recentementeidentificato un quarto tipo di sindrome di Usher seb-bene al momento attuale siano state realizzate pochis-sime ricerche su quest’ultima tipologia e si sia rilevatasolo in pochissime aree geografiche.

SINDROME DI USHER TIPO 1

È la forma più grave ad esordio più precoce. I pa-zienti con sindrome di Usher sono affetti fin dalla na-scita da ipoacusia neuro-sensoriale profonda ed assen-za della funzione vestibolare; di solito non manifesta-no retinopatia pigmentosa alla nascita, anche se l’elet-troretinogramma è profondamente alterato e l’oftal-

A

MALATTIE E SINDROMI RARE

A cura di:DOTT. LIVIO FALSETTO

Consulente Scientifico Casa di Cura Privata “Villa Sandra”, Roma

La sindrome di Usher: una sfida per la vitaDOTT.SSA DANIELA OLIVA

Assistente III U.O. Riabilitazione MotoriaCasa di Cura Privata “Villa Sandra”, Roma

rubric

a

Visione normale Visione a tunnel

39La sindrome di Usher: una sfida per la vitaDott.ssa DANIELA OLIVA

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moscopia mostra degenerazione pigmentata della reti-na; le problematiche visive si presentano generalmen-te nella prima infanzia e/o nell’adolescenza e consi-stono inizialmente in un cattivo adattamento alla lucee poi nella perdita della visione periferica (visione atunnel) e cecità notturna.

SINDROME DI USHER TIPO 2

È caratterizzata da ipoacusia meno grave con insor-genza più tardiva dei disturbi a carico dell’apparatovisivo e sono assenti alterazioni della funzione vesti-bolare.

SINDROME DI USHER TIPO 3

È la forma più rara, maggiormente conosciuta neiPaesi scandinavi; si distingue dalle precedenti per unesordio più tardivo sia della sordità che della retinitepigmentosa; circa il 50% delle persone affette presen-ta alterazioni dell’equilibrio.

La diagnosi di sindrome di Usher non sempre èagevole e spesso è formulata solo quando diventanomaggiormente evidenti i disturbi visivi, poiché moltibambini e adolescenti mettono in atto aggiustamentialle loro attività ed abitudini inconsapevolmente.

Il momento della diagnosi è sconvolgente per chine è affetto e per la sua famiglia. I genitori di questi

bambini sono sani ed inconsapevoli portatori fino ache la malattia non si manifesta nel loro figlio.

La sindrome di Usher produce un forte impattonella vita dell’individuo che sperimenta purtropposensazioni di perdita e di angoscia, di isolamento efrustrazione; ma con adeguati supporti psicologici edinterventi educativi e riabilitativi sarà possibile vivere,continuare a vivere in maniera indipendente.

Purtroppo non esiste alcuna cura per la sindrome diUsher, tuttavia è iniziata la sperimentazione con la te-rapia genica dalla quale ci si attende risultati incorag-gianti.

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