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02 Autorizzazione del Tribunale di Firenze n° 5834 del 07/04/2011 numero due novembre 2011 # “viaggiatore-traduttore”: una traversata tra insidia e incanto Giovanna Bruno la cultura italiana en traducción Mariano Pérez Carrasco la sindrome dello scultore frustato. architettura, formalismo, distacco Manuel Orazi le celebrazioni dell’anno Italia-Brasile. Intervista ad Aniello Angelo Avella Charlene Marques Alves e Jefferson Evaristo do Nascimento Silva letture e visioni: Bruni / Graffi / Isnenghi / Patrizi / Spinelli / Tricomi / Vedovelli quando formarsi vuol dire comprendere María Emilia Pandolfi 9 772239 085004 02 Fabrizio De André: pluringuismo come testamento artistico Andrea Felici

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02Autorizzazione delTribunale di Firenzen° 5834 del 07/04/2011

numero due

novembre 2011

#“viaggiatore-traduttore”: una traversata tra insidia e incantoGiovanna Bruno

la cultura italiana en traducción Mariano Pérez Carrasco

la sindrome dello scultore frustato. architettura, formalismo, distacco Manuel Orazi

le celebrazioni dell’anno Italia-Brasile. Intervista ad Aniello Angelo Avella Charlene Marques Alves e Jefferson Evaristo do Nascimento Silva

letture e visioni: Bruni / Graffi / Isnenghi / Patrizi / Spinelli / Tricomi / Vedovelli

quando formarsi vuol dire comprendereMaría Emilia Pandolfi

9772239085004

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Fabrizio De André: pluringuismo come testamento artisticoAndrea Felici

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Comitato ScientificoMaria Betãnia Amoroso - Brasile Massimo Arcangeli - ItaliaMaría Esther Badin – Argentina Hugo Beccacece – Argentina Alfonso Berardinelli – ItaliaAnna Ciliberti - ItaliaMaria Pia Lamberti –MessicoAngela Di Tullio – ArgentinaPatricia H. Franzoni – ArgentinaLuca Serianni – Italia Massimo Vedovelli – Italia

Comitato di Redazione Cecilia Casini – BrasileManuela Derosas – Messico Francesca Gallina –Italia Silvia Giugni – Italia Mariano Pérez Carrasco – ArgentinaNora Sforza – ArgentinaAnalía Soria – ArgentinaPaolo Torresan – ItaliaLucia Wataghin – Brasile

Direttore scientificoAlejandro Patat – Argentina / Italia

Direttore responsabileMassimo Naddeo

Progetto grafico e impaginazioneGabriel De Banos

ISSN 2239-0855Autorizzazione Tribunale di Firenze n. 5834 del 07/04/2011

Editore© 2011 Alma EdizioniViale dei Cadorna, 4450129 Firenze, [email protected]

editoriale

Sono felice di informare che car-tabianca cresce. In primo luogo, la quantità di pagine è aumen-

tata in modo significativo a partire da questo numero. Secondo poi, il comi-tato di redazione ha ricevuto negli ul-timi mesi molteplici richieste e sugge-rimenti, segno dell’inizio di un dialogo in cui avevamo sperato.

Vi ricordo che la rivista comprende tre grandi aree: quella della lingua, sia nella sua dimensione teorica che ap-plicativa; quella della cultura italiana e delle sue molteplici manifestazioni; quella dell’incontro tra il mondo ita-liano e il mondo latinoamericano. Eb-bene, questo secondo numero è, dal mio punto di vista, ricchissimo per ognuna di queste aree.

Per la lingua, c’è al centro della ri-vista un dossier di carattere scientifico che tira le somme del progetto, recen-temente approvato dal Governo ar-gentino (ma con proiezione continen-tale), destinato a promuovere nuove strategie per la formazione dei futuri docenti di lingue straniere, tra cui l’i-taliano. Insomma, un lavoro attorno al quale ruoterà gran parte delle discus-sioni nell’ambito della glottodidattica latinoamericana e, speriamo, italiana. Inoltre, il numero comprende una in-telligente proposta didattica basata su-gli studi di Gardner e un articolo che offre una nuova prospettiva sull’ita-liano degli immigrati di terza e quar-ta generazione nel mondo e, alla fine, varie recensioni sui libri di linguistica e glottodidattica, esplicative delle linee di ricerca attualmente in corso.

Per quanto riguarda la cultura, campeggia un articolo sull’architettu-

cartabianca crescera italiana, che pone il problema del dialogo tra tradizione e innovazione, in una chiave interpretativa che po-trebbe valere per tanti altri campi del-la produzione socio-culturale. A ciò si aggiungono una bellissima riflessione sugli ultimi dischi di Fabrizio De An-dré e nuove recensioni su libri di criti-ca letteraria e storia.

Nel campo dell’incontro tra Italia e America Latina, questo numero è davvero pieno di notizie e riflessioni. In primo piano, la questione della tra-duzione, affrontata sia con interviste e analisi dell’industria editoriale argen-tina sia con un sofisticato lavoro di traduzione dei proverbi. E, infine, un commento ad una lettera di Edmon-do De Amicis, recuperata dall’oblio, nonché l’interpretazione delle note brasiliane di un viaggiatore italiano dell’Ottocento.

Per ultimo, mi preme sottolineare l’importanza che riveste nel nostro campo di lavoro l’organizzazione di Momento Italia-Brasile, un evento culturale senza precedenti, con deci-ne e decine di manifestazioni, che si terranno in moltissime città brasiliane da ottobre 2011 ad aprile 2012 e di cui si danno puntuali notizie alla fine di questo numero.

Non mi rimane che augurarvi una lettura piacevole e la prosecuzione di un dialogo avviato con reciproco en-tusiasmo. Un grazie caloroso non solo ai lettori, ma anche ai colleghi del co-mitato di redazione, che si sono impe-gnati tanto, e ai membri del comitato scientifico, generosamente disponibili.

Alejandro Patat

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i n d i c e sezione in primo pianoi giovani di origine italiana: nuovi protagonisti della diffusione dell’italiano nel mondoFrancesca Gallina

Francesca Gallina, studiosa di glottodidattica, com-menta i risultati di una ricerca sull’italiano dei di-scendenti degli immigrati e auspica che la loro iden-tità plurilinguistica e pluriculturale possa diventare primaria nella futura diffusione della lingua.

4-6

sezione lingue in usoi proverbi: dallo spagnolo all’italianoBeatrice Garzelli

A partire dalla traduzione di un testo spagnolo del “Siglo de Oro”, Beatrice Garzelli riflette su come trasferire dallo spagnolo classico all’italiano d’og-gi nientemeno che i proverbi, muovendosi tra ogni tipo di trappole e pericoli.

30-31

sezione prof ilifabrizio de andré: plurilin-guismo come testamento artisticoAndrea Felici

Passa per le vie del dialetto e del mistilinguismo l’ultima produzione di Fabrizio De André, uno tra i più importanti interpreti della canzone italiana d’autore. Tappe fondamentali di questo viaggio nelle lingue sono gli album Creuza de mä, Le Nu-vole e Anime Salve, da considerare suoi testamenti artistici.

32-35

sezione il fumettol’italia di fabio vettori Fabio Vettori

In questa sezione si presenta una carta geografica di Fabio Vettori, accompagnata da un suo scritto autobiografico, in cui narra la nascita e la vita delle sue famosa formiche.

36-37

sezione viceversaa amazõnia de um aristocrata Aurora Bernardini

Con la sezione “viceversa” si vuole offrire uno spa-zio dedicato ai grandi autori latinoamericani sull’I-talia e degli italiani sull’America Latina. In questo numero, è stato scelto un breve brano in lingua portoghese dei Boletins Amazõnicos di Ermanno Stradelli, nobile viaggiatore dell’Ottocento italiano.

38-39

sezione in aulamettere alla prova l’intuito Paolo Torresan

Una proposta applicativa di attività linguistiche in aula, che parte dalle riflessioni teoriche di Gardner. Obiettivo: lo sviluppo delle competenze intuitive, che favoriscono la conoscenza di sé e degli altri.

7-10

sezione conversazioni 1“viaggiatore-traduttore”: una traversata tra insidia e incantoGiovanna Bruno

Un’interessante intervista a Cristina Secci, giovane mediatrice culturale tra l’Italia e il Messico, sui luo-ghi comuni e non della pratica traduttiva.

11-13

sezione conversazioni 2estudiar el medioevo desde el nuevo mundo. entrevista a nilda guglielmi Nora Sforza

Intervista ad una delle storiche argentine più pre-stigiose in America Latina ed Europa su un punto chiave: come studiare l’età medievale oltre l’oce-ano.

14-18

sezione traduzionila cultura italiana en traducción Mariano Pérez Carrasco

Osservazioni sulla recente pubblicazione di testi letterari, storici e filosofici italiani in lingua spa-gnola. Inoltre, una utile guida ai blog che discu-tono della traduzione dallo spagnolo all’italiano e viceversa.

19-22

25-29sezione cultura e societàla sindrome dello scultore frustato. architettura, forma-lismo, distaccoManuel Orazi

Manuel Orazi, docente di teoria dell’architettura all’Università di Camerino, analizza come l’archi-tettura contemporanea, sviluppandosi a partire da una concezione “scultorea”, perda di vista la fun-zionalità delle strutture.

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i n d i c e

sezione infoTutta l’informazione sulle attività formative, certi-ficazioni, congressi, incontri, progetti di ricerca e altro in Italia e in America Latina.

le celebrazioni dell’anno italia-brasile. intervista ad aniello angelo avella

Charlene Marques Alves e Jefferson Evaristo do Nascimento Silva

Conversazione con uno degli organizzatori dell’an-no Italia-Brasile, che avrà luogo in varie città del Brasile tra ottobre 2011 e giugno 2012.

Il Brasile e l’Italia a confrontoUna accurata rassegna di un anno davvero specia-le per i rapporti italo brasiliani, firmata da Cecilia Casini, docente d’Italiano dell’Universidade de São Paulo, con particolare attenzione agli incontri di carattere scientifico e ai progetti di ricerca relativi alla lingua e cultura italiana.

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sezione immaginiUna fotografia, tratta dall’archivio del Centro di Eccellenza. Osservatorio linguistico permanen-te dell’italiano diffuso fra stranieri e delle lingue immigrate (Università per Stranieri di Siena), che mette in evidenza gli spazi quotidiani della conta-minazione linguistica. In questo caso, un menù di un ristorante a Porto Alegre, Brasile.

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sezione angolo della memoriala svolta argentina di edmondo de amicisFederica Pastorino

Federica Pastorino, nella sua tesi di dottorato, ha riscattato dall’oblio una importantissima lettera di De Amicis sul suo viaggio in Argentina. Le sue ri-flessioni confluiranno in Cuore e Sull’oceano.

40-41

dossierquando formarsi vuol dire comprendere: l’argentina elabora un progetto innovativo per migliorare la formazione dei docenti di lingua stranieraMaría Emilia Pandolfi

Nel dossier – lo spazio più ampio di approfondi-mento scientifico della rivista – Maria Emilia Pan-dolfi descrive il nuovo progetto del Ministerio de Educación argentino, promosso dall’OEA, che detta le nuove linee guida della formazione di docenti di lingue straniere.

42-47

sezione letture e visioni per una storia linguistica dell’immigrazionepaola masilio

generi, funzioni, strutture dell’italiano A1 e A2giulia grosso

sintesi della linguistica degli ultimi due secolifrancesco feola

i luoghi della memoria nell’italia smemoratasilvia sferruzza

l’italia come idea, patria, nazione e statoanna colia

un intenso panorama della letteratura e del cinema italiano d’oggigiuseppe emiliano bonura

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55-56domani, il nuovo manuale d’italiano di alma edizionidialogo con gli autori

Un numero nutrito di recensioni, firmate perlopiù da dottorandi dell’Università per Stranieri di Peru-gia e di Siena, che mettono in luce quanto di più rilevante sia stato scritto negli ultimi mesi in Ita-lia nell’ambito dell’italianistica. In questo numero vengono analizzati libri di Vedovelli, Spinelli, Pa-trizi, Graffi, Isnenghi, Bruni e Tricomi.

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i giovani di origine italiana, nuovi protagonisti della diffusione dell’italiano nel mondo

Una riflessione su un aspetto particolare delle vicende linguistiche che riguardano i giovani discendenti di emigrati italiani all’estero di terza e quarta generazione.

Ciò che ci proponiamo in questa sede è di stimola-re una riflessione sulle condizioni linguistiche e identitarie dei giovani di origine italiana nel mon-

do, in una prospettiva che li pone al centro non tanto delle passate vicende linguistiche della nostra emigrazio-ne all’estero, di cui la Legge 153/711 costituisce uno degli aspetti che più li riguardano, ma piuttosto preferiamo collocarli in un quadro che li vede come protagonisti del presente e del futuro della diffusione dell’italiano nel mondo.

Francesca GallinaSiena

in primo piano

Ciò che accomuna i discendenti di terza e quar-ta generazione è una progressiva riduzione dello spazio linguistico collettivo e individuale.

Sono molti i contributi che hanno avuto come oggetto del proprio interesse le condizioni linguistiche e identita-rie dei giovani di origine italiana che vivono nei paesi in cui si ha una comunità italiana, dall’Europa al Sud Ame-rica, dall’Oceania al Nord America. Tuttavia, sono pochi i lavori che adottano una visione globale del fenomeno, uno sguardo capace di identificare i tratti più generali che accomunano le terze e quarte generazioni di giovani di origine italiana in diversi contesti, come ad esempio le ri-cerche Italiano 2000 di Tullio De Mauro (2002) e la stessa

1 Il progetto 153/71 (“Iniziative scolastiche, di assistenza scolastica e di for-mazione e perfezionamento professionali da attuare all’estero a favore dei lavoratori italiani e loro congiunti”) aveva tra i propri destinatari i figli degli emigrati italiani all’estero, ponendo tra i propri obiettivi quello di favorire, tramite classi o corsi preparatori, l’inserimento dell’italiano nelle scuole dei paesi di residenza e, d’altro canto, quello di istituire corsi di lingua e cultura italiana per i giovani discendenti di origine italiana.

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Storia linguistica dell’emigrazione italiana nel mondo di Vedovelli (2011). Sulla stessa linea, presso l’Università per Stranieri di Siena è in corso di realizzazione un progetto finanziato dal Ministero dell’Istruzione, Università e Ri-cerca, il cui obiettivo è quello di fotografare lo stato delle condizioni linguistico-identitarie dei giovani di origine italiana in tutto il mondo2, e di cui proponiamo qui al-cuni risultati preliminari, essendo prevista la conclusione dell’indagine alla fine del 2012.

Per quanto sia difficile trarre delle conclusioni valide per tutti i contesti migratori in cui si ha una presenza italiana (dal momento che la sua stessa consistenza, le condizioni di integrazione o isolamento degli emigrati, gli interventi istituzionali a favore del mantenimento della lingua e cultura italiana e molti altri fattori incidono di fatto sulle vicende linguistiche e sul mantenimento/recu-pero/apprendimento dell’italiano), riteniamo che sia pos-sibile individuare delle tendenze simili in tutti contesti in

I giovani di origine italiana parlano la lingua del paese ospite, conoscono spesso una lingua stra-niera, come l’inglese o altre lingue internaziona-li, ma in molti casi non hanno alcuna conoscenza della lingua o di un dialetto italiani.

cui sono presenti i discendenti di emigrati italiani. Ciò che emerge dalle indagini qui citate infatti è che, sebbene vi siano dinamiche linguistiche e identitarie peculiari tra i giovani di aree di emigrazione diverse, ciò che li acco-muna è una progressiva riduzione dello spazio linguistico collettivo e individuale. I giovani di origine italiana parla-no la lingua del paese ospite, conoscono spesso una lingua straniera, come l’inglese o altre lingue internazionali, ma in molti casi non hanno alcuna conoscenza della lingua o di un dialetto italiani. Il loro spazio linguistico cioè tende ad essere meno ampio rispetto agli emigrati delle gene-razioni precedenti, che potevano spaziare dall’italiano al dialetto fino alla lingua del paese che li aveva accolti. I giovani di origine italiana oggi, molto spesso, non hanno alcun contatto diretto con l’italiano o con un dialetto ita-liano, che non sono più parlati in famiglia e nei contesti sociali a loro più prossimi e che diventano dunque per loro una vera e propria lingua straniera a dispetto delle proprie origini.

Gli interventi istituzionali del Governo Italiano a favore del mantenimento dell’italiano hanno perso oramai il loro obiettivo iniziale, essendo attualmente sfruttati non tanto, e soprattutto non solo, dai destinatari per cui tali interven-ti erano stati originariamente pensati, ovvero i giovani di-scendenti degli emigrati italiani all’estero, ma soprattutto da studenti che non hanno origini italiane e che a partire dagli anni Novanta hanno iniziato a frequentare i corsi di italiano. In Germania, ad esempio, i corsi finanziati dallo Stato italiano per il mantenimento della lingua e cultura italiana sono frequentati da bambini di origine tedesca e turca, accanto a quelli di origine italiana. Inoltre spesso tali corsi, pensati per il mantenimento della lingua e della cultura di origine, non sono più in grado di rispondere alle reali esigenze di chi li frequenta, persone per le quali l’italiano deve essere appreso come una vera e propria L2, e non recuperato o mantenuto, non essendo mai stato una componente integrante del loro bagaglio linguistico.

2 La ricerca ha come titolo: Perdita, mantenimento e recupero dello spa-zio linguistico e culturale nella II e III generazione di emigrati italiani nel mondo: lingua, lingue, identità. La lingua e cultura italiana come valore e patrimonio per nuove professionalità nelle comunità emigrate (www.univer-soitaliano.it).

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L’italiano è dunque sostanzialmente slittato fuori dallo spazio linguistico dei giovani discendenti di origine ita-liana, non costituisce più un codice appreso nell’ambiente familiare, ma piuttosto diventa una L2 che spesso i giova-ni hanno la volontà di apprendere in un contesto di ap-prendimento formale. Le ragioni che oggi spingono i gio-vani di origine italiana a studiare l’italiano possono essere legate principalmente a due ordini di fattori: da un lato il recupero delle origini e dei valori identitari, sempre laddo-ve tale confronto non sia causa di conflittualità, dall’altro lato l’ormai riconosciuta e forte affermazione della lin-gua e cultura italiana come sistema di valori positivi, di cui la cucina, la moda, il design, la creatività italiana in senso lato rappresentano le forme più attuali. Si aggiun-ge inoltre un terzo ordine di fattori che possono spingere i giovani di origine italiana ad intraprendere un percor-so di apprendimento dell’italiano: la spendibilità sociale della nostra lingua, che è divenuta nel corso degli ultimi decenni un utile strumento per lo studio e l’inserimento nel mondo del lavoro. Superata oramai nell’immaginario collettivo l’immagine dell’emigrato italiano con la valigia di cartone, oggigiorno i giovani di origine italiana stanno riscoprendo le proprie origini in termini completamente diversi. La lingua e la cultura italiana, la stessa immagi-ne dell’Italia e della sua creatività si sono affermate negli ultimi anni come portatrici di valori capaci di attrarre gli stranieri di tutto il mondo. Tale cambiamento fa sì che i conflitti identitari con l’italiano e i suoi dialetti siano or-mai superati nelle terze e quarte generazioni, i quali, anzi, hanno riscoperto e stanno riscoprendo il valore delle pro-prie origini. Da questo punto di vista, il caso dell’Australia è paradigmatico anche rispetto a realtà di altri continenti:

Tutti i discendenti degli emigrati italiani all’estero potrebbero diventare il paradigma di un’identità plurima, che fondi le proprie ragioni d’essere su un modello positivo di integrazione di matrici culturali diverse.

la seconda generazione ha vissuto fortissime tensioni nei confronti delle proprie origini, considerando l’italiano e il dialetto come elementi fortemente negativi, da abbando-nare a favore del solo inglese. A partire dalla terza genera-zione, invece, si ha un’inversione di tendenza. Grazie alla progressiva affermazione nella società australiana della lingua e della cultura italiana in alcune sue declinazioni, come la cucina e la moda, le terze generazioni hanno ri-scoperto l’italiano e le proprie origini, mostrando un inte-resse verso la lingua della propria famiglia di origine per ragioni personali, etniche, affettive, ma anche di studio e professionali. In tal modo gli italoaustraliani, e come loro potenzialmente tutti i discendenti degli emigrati italiani all’estero, potrebbero diventare il paradigma di un’iden-tità plurima, che, superando il conflitto identitario delle generazioni precedenti, fondi le proprie ragioni d’essere su un modello positivo di integrazione di matrici culturali diverse.

In questa prospettiva, dunque, i giovani di origine ita-liana possono oggi diventare i protagonisti della diffusione dell’italiano nel mondo, un vero patrimonio per la nostra lingua e cultura per la loro capacità di essere portatori di una identità plurilingue e pluriculturale. È all’interno di questo quadro che l’immagine rinnovata dell’Italia deve trovare riscontro in azioni di sostegno alla diffusione della nostra lingua e cultura. I viaggi, la televisione, internet, i più frequenti e diretti contatti con la società italiana hanno un ruolo fondamentale in tutto ciò, dal momento che hanno modificato e stanno modificando profondamente l’immagi-ne e la percezione dell’Italia dall’estero, contribuendo così allo sviluppo del processo di apprendimento dell’italiano.

L’italiano non costituisce più un codice appre-so nell’ambiente familiare, ma piuttosto diventa una L2 che spesso i giovani hanno la volontà di apprendere.

in primo piano

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Nel 1983 Gardner presentò la sua celebre teoria del-le intelligenze (negli anni a seguire sarebbe stata lievemente ritoccata). Tra tutte egli distaccò una

coppia riferita al vissuto psicologico: l’intelligenza intra-personale e l’intelligenza interpersonale. La prima è col-legata alla conoscenza di sé, centrale nelle riflessioni di filosofi e psicologi, la seconda è collegata alla conoscenza dell’altro, imprescindibile per gestire al meglio le relazioni sociali (in genere un insegnante, al pari di un politico, di un commerciante o di un rappresentante, presenta un’in-telligenza interpersonale piuttosto spiccata). Nelle figg. 1 e 2 si dà una localizzazione cerebrale delle due intelligenze.

Come si vede dalle immagini, entrambe creano un ponte tra aree corticali e aree subcorticali, ovvero tra piano del-le decisioni e della pianificazione (corteccia) e piano delle emozioni (sistema limbico), tra io adulto e io bambino. Si tratta di abilità che hanno un’enorme importanza per la realizzazione della persona (Gardner 1987 [1983]: 262):

Mentre la decisione di usare (o non usare) la propria intelli-genza musicale o spaziale dipende da una scelta interamente libera dell’individuo, sono acute le pressioni a usare le proprie conoscenze personali: è considerato anormale l’individuo che non cerca di sviluppare la sua comprensione dell’ambito per-sonale, al fine di migliorare il suo benessere o il suo rapporto con la comunità.

in aula

mettere alla prova l’intuito

Una proposta di attività didattiche in aula per lo sviluppo delle com-petenze intuitive, che favoriscono la conoscenza di sé e degli altri.

Paolo TorresanVenezia

Fig. 1. Intelligenza intrapersonale: lobi parietali; lobi frontali; sistema limbico

Fig. 2. Intelligenza interpersonale: lobi frontali; sistema limbico

Ringraziamo Maria Simona Morosin e Furio Nave per le immagini.

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In questo intervento ci concentreremo sull’intelligen-za interpersonale, benché essa non sia del tutto autonoma dalla conoscenza che il soggetto ha di sé: al contrario, me-glio mi conosco, più posso vedere gli altri con uno sguardo libero da distorsioni percettive (legate, per esempio a pro-iezioni di vario genere), così come la conoscenza a fondo degli altri mi permette, a sua volta, di far luce in me. Di conseguenza, pur focalizzandoci sulla seconda, le osserva-zioni che ne trarremmo si dovranno estendere anche alla prima.

La questione dunque sarebbe: è possibile coltivare nella classe di italiano l’intelligenza interpersonale? O meglio, vista al contrario: è possibile far leva sulla capacità di una persona di cogliere le motivazioni degli altri per esercitare la lingua?

Finora sono poche le attività confezionate in tal senso nella didattica dell’italiano, in cui cioè gli studenti indaga-no sulle ragioni che determinano il comportamento degli altri, e più in generale, sulla personalità di altri.

Rimandiamo i lettori di cartabianca, per esempio, ad al-cune attività apparse sul Bollettino Itals, liberamente sca-ricabili dalla rete (Batista da Silva 2009; Dallia 2009; De Gennaro 2009a; 2009b; 2009c).

Qui presenteremo due attività inedite, volte a stimo-lare la conoscenza interpersonale all’interno della classe, a beneficio di un consolidamento del gruppo. La prima è un quesito a scelta multipla applicato non ad un testo ma alla personalità del docente. Il sottoscritto, per esempio, ha presentato ai suoi studenti il seguente questionario da completare intuitivamente sulla propria persona:

1 Da bambino ho allevato

a) un gabbiano

b) un coniglio

c) una pecora

2 Mi sono diplomato in un

a) istituto tecnico

b) liceo scientifico

c) liceo classico

3 Alle elementari la maestra

mi rimproverava perché

a) ero troppo lento

b) arrivavo in ritardo

c) parlavo dialetto

4 Alla scuola media ero un

pessimo studente di

a) matematica

b) educazione musicale

c) educazione artistica

5 Detesto

a) il caffé

b) gli alcolici

c) il latte

6 Quando ero adolescente

facevo parte di una

a) associazione sportiva

b) compagnia teatrale

c) compagnia di ballo

7 Da bambino volevo fare

a) l’insegnante di lingue

b) il fotografo di animali

c) il pilota di Formula Uno

8 Se faccio fatica ad

addormentarmi

a) conto le pecore

b) bevo una tisana

c) fisso un oggetto

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Le risposte verranno date più avanti. Nello stesso modo, il lettore proceda a redigere un que-

stionario simile sui propri gusti e sulle proprie abitudini. Quando ne avrà occasione, lo sottoponga alla classe, oral-mente, lanciando una sfida: quale, tra gli allievi, è in grado di avvicinarsi di più alla verità?

In un secondo momento, provveda a suddividere la classe in gruppi di tre, quattro persone; ogni studente stili un questionario simile riferito alla sua persona, che verrà infine somministrato oralmente ai compagni, tenuti a met-tere alla prova il loro intuito.

Si tratta quindi di un percorso modellato dall’insegnan-te e poi replicato in piccoli gruppi dagli studenti, che con-templa un esercizio tanto dell’abilità di scrittura quanto di quella del dialogo, stimolando al tempo stesso, appunto, la competenza interpersonale degli allievi.

In alternativa, si possono consegnare agli apprendenti questionari confezionati sulla falsariga del seguente.

QUELLO CHE PENSO DEI MIEI COMPAGNI

QUELLO CHE È VERO DI ME

...............……………(STUDENTE 2)

...............……………(STUDENTE 3)

...............……………(STUDENTE 4)

CREDI NEGLI

EXTRATERRESTRI?

QUANDO HAI UN’ORA DI

TEMPO LIBERO E TI VUOI

RILASSARE, COSA FAI?

UN ANIMALE CHE TI

VIENE IN MENTE ADESSO,

IN QUESTO MOMENTO

UN MOMENTO DELLA

GIORNATA CHE TI PIACE

PARTICOLARMENTE

OLTRE ALL’ITALIANO,

QUALE ALTRA LINGUA

TI SAREBBE PIACIUTO

IMPARARE?

La classe è divisa in gruppi di quattro; ognuno risponde segnando quello che è vero per sé (prima colonna) e quello che pensa sia vero riguardo ai compagni (seconda, terza e quarta colonna, con riportati i nomi dei compagni).

In un secondo momento, gli studenti si confrontano sulle ipotesi. Gli studenti 2, 3 e 4 rivelano per esempio se, a loro avviso, lo studente 1 crede o meno negli extraterre-sti (domanda 1); lo studente 1 conferma o nega. Si passa poi allo studente 2, sempre in riferimento alla domanda 1, e via di seguito.

Si noterà, come spesso accade nelle attività di produ-zione orale, che lo scambio procede in maniera disconti-nua, con picchi di intensità e momenti in cui gli studenti passano rapidamente a domande e risposte monosillabi-che. L’insegnante può decidere di starsene in disparte (a meno che non intervenga pure lui nella compilazione del questionario e nella formulazione delle ipotesi), limitan-dosi a notare i comportamenti linguistici degli allievi e

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tenendo sotto controllo l’ansia che può provare durante i momenti di calo della produzione linguistica e che lo porterebbe a intervenire nella discussione.

Infine, ecco le soluzioni alle domande del questionario a scelta multipla che riguarda i miei gusti e le mie abitu-dini: 1c; 2a; 3a; 4b; 5c; 6b; 7b; 8c.

Riferimenti bibliografici

Batista da Silva G., 2009, “Cara Anna”, Bollettino Itals, 7, 31, www.itals.it Dallia B., 2009, “Sai chi sono io?”, Bollettino Itals, 7, 31,

www.itals.it De Gennaro R., 2009a, “L’agenzia del fine-settimana”, Bolletti-

no Itals, 7, 31, www.itals.it De Gennaro R., 2009b, “Colazione: dalle 7.00 alle 10.00”, Bol-

lettino Itals, 7, 31, www.itals.it

Nella fase di ricognizione ad ogni allievo può essere concesso di riportare su un nuovo foglio, complementare al primo, le verità dei compagni e le ipotesi da loro avan-zate nei suoi confronti.

De Gennaro R., 2009c, “Rapporti di buon vicinato”, Bollettino Itals, 7, 31, www.itals.it Gardner H., 1987, Formae mentis. Saggio sulla pluralità dell’in-

telligenza, Feltrinelli, Milano (originale: 1983, Frames of Mind: The Theory of Multiple Intelligences, Basic Books, New York).

QUELLO CHE È VERO DEI MIEI COMPAGNI

QUELLO CHE I MIEI COMPAGNI

DICONO DI ME

...............……………(STUDENTE 2)

...............……………(STUDENTE 3)

...............……………(STUDENTE 4)

CREDI NEGLI

EXTRATERRESTRI?

QUANDO HAI UN’ORA DI

TEMPO LIBERO E TI VUOI

RILASSARE, COSA FAI?

UN ANIMALE CHE TI

VIENE IN MENTE ADESSO,

IN QUESTO MOMENTO

UN MOMENTO DELLA

GIORNATA CHE TI PIACE

PARTICOLARMENTE

OLTRE ALL’ITALIANO,

QUALE ALTRA LINGUA

TI SAREBBE PIACIUTO

IMPARARE?

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Giornalista e traduttrice, Ma-ria Cristina Secci vive a Cit-tà del Messico. L’abbiamo

incontrata per approfondire con lei alcune tematiche legate alla com-plessità del lavoro di traduttore.

Quali problematiche emergono nella traduzione letteraria dallo spagnolo americano all’italiano?

Onde, correnti contrarie, venti in poppa, terribili predatori e affasci-nanti sirene: tra le due lingue, come tra i due continenti, un oceano di minacce ma anche di opportunità, per cui, per evitare un pessimismo inutile al viaggiatore-traduttore, sarà bene parlare di rotte sconosciu-te, di vele ricucite a forza di tentati-vi, di pesci coloratissimi...

Le sfide nella traduzione lettera-ria sono inevitabili. A volte il dilem-ma può riguardare un’ironia incapa-ce di scatenare il sorriso che invece

“viaggiatore-traduttore”: una traversata tra insidia e incanto

Intervista a Cristina Secci, studiosa di filologia ispanica in Messico, e una delle più prestigiose traduttrici della cultura messicana in lingua italiana.

Giovanna Bruno Città del Messico

provoca nella lingua originale (o peggio, il contrario…) o un’accatti-vante complicità intimista che sem-bra piuttosto macchiarsi di volgarità o pettegolezzo una volta impressa nella traduzione. I meccanismi inter-ni, quasi numerici, rappresentano un problema quando ci si vede costretti a usare una frase per esprimere una sola parola. Per non parlare dei colpi di forbice che rischiano di equivale-re a vere e proprie censure prodotte dall’ignoranza (sia delle possibilità della lingua d’arrivo che dei signifi-cati della lingua di partenza) o sem-plicemente di indolenza. Le insidie, nella traduzione letteraria, riguar-dano poi le certezze di un tradutto-re e la ricerca dell’equilibrio tra la loro permanenza e la totale assenza perché, alle prese con un romanzo, spesso ci si sente come titani invin-cibili per poi girare pagina e sco-prirsi fragili e fin troppo facili prede

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delle parole. Potresti riportare qualche ambiguità linguistica culturale che reputi signi-ficativa in termini di complessità tra-duttiva?

Il rischio perennemente dietro l’an-golo di un errore fortuito, di una svista, di un “falso amico” è un fantasma co-stante per un traduttore. Così come una parola in più, un superlativo in meno, un pronome innecessario. Grattacapo sono le espressioni idio-matiche, i proverbi, i modismi che spesso combinano ironia, simboli concreti e astrazioni secondo codici personalissimi della cultura del pae-se. E così perfino i tabù, visto che ci sono espressioni, parole e situazioni che, in una cultura piuttosto che in un’altra, è meglio esprimere con una perifrasi. Ma complessi sono soprat-tutto i silenzi, per cui una virgola in meno o un punto mancato rappre-sentano, in una traduzione, un vero e proprio crimine: il furto del silenzio.

Come cambia l’approccio al testo dal punto di vista di un lettore che legge per gusto e passione da quello di un traduttore?

Sono purtroppo una minoranza i lettori che si preoccupano dei limiti o delle virtù di una traduzione, per questo bisognerebbe discuterne più spesso. Il lettore potrebbe investire a quel punto più gusto e passione, come un vero sommelier di parole.

Un traduttore dal canto suo non dovrebbe dimenticare quei doveri etici o morali che hanno a che vedere con la fedeltà, l’adesione, la metico-losità e la responsabilità (ma neppure intrappolarcisi). L’accusa di tradutto-re-traditore ormai strappa un sorri-so persino all’imputato in questione che per liberarsene dovrebbe poter

Il rischio perennemente dietro l’angolo di un errore fortuito, di una svista, di un “falso ami-co” è un fantasma costante per un traduttore. Così come una parola in più, un superla-tivo in meno, un pronome in-necessario.

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Cristina Secci si è specializzata grazie a un dottorato in Filologia Ispanica presso la U.A.M. di Madrid. Attualmente approfondisce temi le-gati alla teoria della traduzione in un progetto di ricerca presso l’Isti-tuto di Filologia della Universidad Nacional Autónoma de México. Ha tradotto in italiano Juan Villoro, Jorge Ibargüengoitia, Norma Huido-

bro, Mayra Montero e Roger Bartra. È autrice del saggio Con l’immagine allo specchio, l’autoritratto letterario di Frida Kahlo (Aracne, Roma 2007; UNAM, Messico 2009; 2011 prevista versione francese); ha curato Frida Kahlo, Diego Rivera: doppio ritratto (Nottetempo, Roma 2008) e Queri-do doctorcito: lettere a Leo Eloesser (Abscondita, Milano 2010).

dimostrare che il testo d’arrivo non ha sofferto perdite irrinunciabili né contaminazioni rispetto al testo di partenza. Susan Sontag spiega come tradurre significhi mettere in circo-lazione, trasportare, diffondere, spie-gare e rendere più accessibile un te-sto a un lettore che sappiamo vitale per un traduttore.

Che differenza c’è tra traducibilità culturale e traducibilità letteraria?

La cosiddetta traducibilità non è una prerogativa assoluta e a volte, come sostiene Paul Ricoeur, si tratta di una sfida difficile o perfino impos-sibile. Lo stesso concetto di traduci-bilità cambia a seconda del paese e cultura che può tendere maggior-mente a una fedeltà letterale rispet-to alla parola e al testo o all’adatta-

mento a vantaggio della leggibilità e scorrevolezza o perfino all’interpre-tazione. Senza cadere nell’errore di pensare che una traduzione letterale e fedele alle parole significhi neces-sariamente fedeltà alle sacrosante intenzioni e contenuti dell’autore e quindi al testo. Pensiamo solo all’or-dine dei pronomi personali in una frase come: io e Manuela abbiamo preso un caffè che nello spagnolo messicano diventerebbe, per obbligo di cortese precedenza, Manuela y yo hemos tomado un café. San Girola-mo, che traduceva in latino testi in ebraico e greco, confessava che per

lui l’ordine delle parole rappresenta-va un mistero, per questo preferiva rendere non tanto la parola con la parola, ma il senso con il senso.

Come situi la traduzione nel conte-sto della didattica della lingua? Quali sono le differenze tra tradurre per im-parare una lingua e tradurre per pro-durre un testo?

Un traduttore compie un lavoro di creazione letteraria che implica la registrazione del diritto d’autore. Certamente, mentre esercita la pro-pria attività, continua ad appren-dere: si forma, legge, si informa, si pente, conosce, si trasforma. L’eser-cizio della traduzione può indubbia-mente rappresentare uno strumento nella didattica della lingua, senza la pretesa di far assolvere allo studente il ruolo di traduttore né di obbligarlo al rigore di un professionista. Certo, in una classe di lingua funziona, an-che perché è una deliziosa tentazione per cercare e dare parole ai propri li-bri e autori.

Susan Sontag spiega come tradurre significhi mettere in circola-zione, trasportare, diffondere, spiegare e rendere più accessibile un testo a un lettore che sappiamo vitale per un traduttore.

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Profesora, ¿nos cuenta cuáles fueron los motivos que la acercaron al estudio de la ciudades italianas en el Medievo?

El ámbito ciudadano siempre me ha interesado. Inclusive al ingresar a la Academia Nacional de la Histo-ria elegí el sitial que había ocupado Juan Agustín García, autor de La ciu-dad indiana. Sin duda, la investiga-ción de los estudiosos italianos desde hace mucho tiempo se ha consagrado a este tema con diversos enfoques. Tema, por tanto, siempre presente dada la importancia que las formas ciudadanas han asumido a lo largo de los siglos. Ese mundo urbano ofrece peculiaridades políticas, económicas, sociales que se imponen al interés del investigador. Naturalmente, la riqueza de las fuentes sobre el tema

estudiar el medioevo desde el nuevo mundo. entrevista a nilda guglielmi

La mayor estudiosa del Medioevo en Argentina recorre una parte de su obra y explica por qué la investigación de aquel período nos ilumina para entender la actualidad.

Nora SforzaBuenos Aires

ha sido otro aliciente para privilegiar dicho campo de investigación.

¿Qué signficó para Ud. estudiar el Me-dioevo europeo desde la Argentina? ¿Cuáles fueron y cuáles son hoy las mayores dificultades?

Estudiar la Edad Media desde Argentina ha constituido, en prime-ra instancia, una opción, aceptada en gran parte y determinada por el prestigio de maestros como Claudio Sánchez-Albornoz. Pero adentrarse en una época tan rica, tan conflictiva, tan contradictoria, inmediatamente ejerce una fascinación a la cual es difícil negarse. La Edad Media siem-pre me atrajo por la contemporanei-dad que presenta con nuestros siglos XX y XXI. Una y otros son época de

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búsqueda, de interrogantes, también de logros. Creo que hay épocas “clá-sicas” y épocas “románticas”. Pien-so que la Edad Media – así como la nuestra – son momentos de dudas, de incertezas y de esfuerzos de supera-ción de las mismas.

Sin duda, en mi caso, realizar es-tudios de historia medieval en Argen-tina encontró, en principio, algunos inconvenientes como pueden ser la

lejanía de los repositorios y de las bibliotecas especializadas, el costo de los libros (muchas veces o, en la mayoría de los casos, adquiridos per-sonalmente), como también la lejanía de algunos interlocutores válidos.

Pienso que muchos de estos in-convenientes se han solucionado de diversas maneras. Por un lado, la cer-canía y el conocimiento han sido po-sibles mediante los viajes privados y las estancias por becas o invitaciones. Eso me permitió dialogar con profe-sores, asistir a seminarios, y a la vez, presentar mis investigaciones en esos seminarios, en conferencias o en cur-sos, como profesora invitada.

Además, ha sido importante para nuestro trabajo fuera de Europa la posibilidad de ampliar los enfoques,

La Edad Media siempre me atrajo por la contemporanei-dad que presenta con nuestros siglos XX y XXI. Una y otros son época de búsqueda, de interro-gantes, también de logros.

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Muchas veces se piensa que la marginación comprende sólo a los desposeídos, a los pobres. Considero, en cambio, que hay muchas circuns-tancias que pueden determinar marginación aunque sea temporaria.

aplicarlos a fuentes conocidas y es-tudiadas anteriormente. Por ejemplo, en lo referido al historiador, utilizar obras literarias o artísticas exami-nadas no con criterio estético sino histórico-social. Ejercer la interdis-ciplina también ha ayudado a agili-zar la labor entendiendo, sin duda, el cuidado con que ha de ejercerse esta tendencia.

¿Cómo se construye una generación de estudiosos del Medioevo en nues-tros países?

Considero que en la actualidad existe en Argentina una importante generación de medievalistas. Al ha-blar de medievalistas entiendo que son los estudiosos que se interesan en diversas disciplinas (historia, fi-losofía, arte, literatura) dentro de esa franja temporal.

Creo que en la constitución de este grupo han contribuido en gran medi-da los interesantes caminos historio-gráficos propuestos por la disciplina en los últimos años, caminos en lo que ha sido pionera. En verdad, pien-so que la historia medieval ha recogi-do una serie de desafíos como pueden ser la ampliación del campo de inves-tigación, la multiplicidad de fuentes a abordar, la variedad de enfoques que han permitido – sin abandonar los anteriores temas – enriquecer las perspectivas precedentes.

Sin duda eso se debió a persona-lidades que, como Jacques Le Goff, impulsaron la disciplina por nue-vos rumbos, sumamente atractivos y también, podría decir, peligrosos pues, para recorrerlos, hay que tener la suficiente clarividencia como para no caer en liaisons dangereuses.

La construcción de una generación

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de estudiosos de la Edad Media tam-bién se ha visto facilitada al ofrecer ámbitos institucionales de expresión, de colaboración, de intercambio.

En sus trabajos Ud. ha privilegiado al-gunos actores sociales del Medioevo: desde los marginados hasta las muje-res...

Efectivamente, uno de los temas-eje de mis investigaciones ha sido el de la marginalidad y la alienidad. Siempre he sido muy sensible a la cuestión de los límites ya que pienso que toda persona se encuentra dentro del “círculo de tiza caucasiano”, en-cerrada dentro de un cuerpo, vivien-do en ciertos ámbitos en una determi-nada época.

Eso me propuso el problema de los límites y de la posibilidad de su-perarlos. Muchas veces se piensa que la marginación comprende sólo a los desposeídos, a los pobres. Considero, en cambio, que hay muchas circuns-tancias que pueden determinar mar-

ginación aunque sea temporaria. En mi libro Guía para viajeros medie-vales podemos observar la orfandad en que se encuentran nobles o ricos comerciantes en su viaje por el Cer-cano Oriente, privados a veces de sus dineros, siempre dependiendo de la voluntad de guías, camelleros y por-tadores, teniendo que sufrir sus agre-siones o sus pretensiones excesivas, careciendo de vocabulario para pedir, acordar o litigar. Los problemas polí-ticos que perturbaron a las ciudades medievales determinaron situaciones que pudieron ser fluctuantes o transi-torias. Los exiliados, los condenados a abandonar su ciudad, los privados de sus derechos cívico-políticos se encontraban en condiciones parti-culares de no-pertenencia hasta que conseguían retornar o insertarse en otro ámbito que los acogía.

Al tomar a la familia como peque-ño núcleo que sintetiza la sociedad mayor, he subrayado la posición de menor importancia, de alguna mane-

Los estudios medievales en la Argentina

Por iniciativa de Nilda Guglielmi, el Consejo Nacional de investigacio-nes científicas y técnicas (Conicet) dio lugar a un Programa de investi-gaciones medievales que se convirtió luego en el Departamento de inves-tigaciones medievales del Instituto de historia y ciencias humanas de esa institución.

La revista «Temas medievales» (este año aparece el nº 18) cuenta con la colaboración de grandes pro-fesores y crea espacios para que las nuevas generaciones de estudiosos

den a conocer sus investigaciones.Hace más de veinte años ha

sido creado una reunión que en un principio se llamó Curso de actua-lización en historia medieval y a la que luego se agregaron las Jornadas internacionales de estudios medie-vales. En el año 2011 se celebrarán el XXI° Curso de actualización y las XI° Jornadas. En dichas reuniones se realizan críticas y comentarios de obras recientes; también los asis-tentes presentan trabajos de inves-tigación personal y los profesores extranjeros invitados pronuncian conferencias de su especialidad.

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ra excéntrica en lo referido al exterior (es decir, al grupo social más amplio) en que eran colocadas las mujeres.

Una situación de marginalidad-alienidad era la que correspondía a individuos de religiones diferentes, en lo que hemos llamado “ecumenidad cristiana” medieval; se trataba de in-dividuos que se encontraban en una situación de marginalidad y margina-ción pero que, al mismo tiempo, eran alógenos puesto que no participaban de la fe, esencia fundamental de esa sociedad. Marginales, marginados, in-tegrados, alógenos... situaciones di-versas dentro de una sociedad, situa-ciones que podían o no revertirse.

Además de su trabajo como estudiosa, Ud. ha dado una gran importancia a la traducción. Pienso en El fisiólogo. Pri-mer bestiario medieval, la Crónica de Giovanni Villani, el volumen de Teatro medieval o su edición de Odorico da Pordenone.

Muchas veces se hace referencia al trabajo de traducción que me ha ocu-pado repetidas veces. En realidad, se trata de un trabajo difícil y no siem-pre enteramente satisfactorio. Mi pro-pósito al realizar esas traducciones es acercar la palabra y el pensamiento de personajes lejanos a nuestra con-temporaneidad. Se trata de palabras y pensamientos de gran vivacidad que nos hablan de individuos y de épocas, de sentimientos violentos, de actitudes pasionales o de mesura y compostura. Como decía antes, es un trabajo no enteramente satisfactorio porque el traductor se siente como

La professoressa Nilda Gugliel-mi ha ottenuto i suoi dottorati di ricerca in Storia presso l’Universi-dad de Buenos Aires (Argentina) e l’Université d’Aix-Marseille (Fran-cia). Ricercatrice del Consejo Na-cional de Investigaciones Científi-cas y Técnicas (Conicet), è stata professoressa ordinaria di Storia Medievale presso le Università di Buenos Aires, di La Plata e del Sud (Argentina), nonché visiting professor presso le università di Firenze, Roma, Bologna, Genova e Cagliari (Italia); Barcellona, Ma-drid, Siviglia, Alcalá di Henares (Spagna), Porto (Portogallo), Pa-rigi-Sorbonna, Niza e Strasburgo (Francia) e direttrice dell’Instituto de Historia Antigua y Medieval dell’Universidad de Buenos Aires. Dal 1998 è anche membro dell’Ac-cademia degli Immobili (Alessan-dria, Italia).

Considerata una delle più note

e sensibili medieviste argentine di tutti i tempi, i suoi scritti hanno contribuito enormemente alla for-mazione di generazioni di studiosi dei più svariati volti del Medioevo. Per i suoi meriti accademici è stata inoltre insignita del titolo di Cava-liere della Repubblica Italiana.

Fra i suoi scritti, ricordia-mo Memorias medievales (1981); La ciudad medieval y sus gentes (1981); El eco de la rosa y Bor-ges: Eco, Borges y el jardín de los senderos que se bifurcan (1988); Marginalidad en la Edad Media (1986); Guía para viajeros medie-vales (1994); Aproximación a la vida cotidiana en la Edad Media (2000); Ocho místicas medievales (Italia, siglos XIV y XV) (2007).

Nilda Guglielmi ha inoltre fon-dato, nel 1991, la rivista «Temas Medievales» e la collezione di mo-nografie «Temas y testimonios».

interposita persona. Y, sin duda, esa interposición puede quitar color, ma-tices a la palabra original.

En todo caso – para destacar lo positivo – una traducción permite el conocimiento de obras no siempre al alcance de la mano o incita a leer o releer la obra original. En suma, la traducción permite cancelar de al-guna manera el hiato temporal que separa al “curioso lector” de hoy del testimoniador de otrora.

La traducción permite cancelar de alguna mane-ra el hiato temporal que separa al “curioso lec-tor” de hoy del testimoniador de otrora.

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la cultura italiana en traducción

Mariano Pérez Carrasco, docente de Filosofía Medieval en la Universidad de Buenos Aires y traductor de Dante, ana-liza las últimas publicaciones italianas en la Argentina

Mariano Pérez CarrascoBuenos Aires

Para empezar: algunos datos estadísticos

Durante los últimos años, gracias a una cierta bonanza económica y a un tipo de cambio competitivo, la Argentina se ha ido reposicionando en el mercado de la traducción. Han surgido nuevos proyectos editoriales y colecciones enteras dedicadas a la traducción tanto de autores clásicos como de otros jóvenes o poco conocidos. Sin embargo, los libros traducidos apenas alcanzan al 2% del mercado local (581 títulos se tradujeron en 2010 y 555 en 2009), según datos de la Cámara Argentina del Libro. En este marco general, la literatura italiana ocupa un lugar pequeñísimo, que contrasta con la importancia que la cultura italiana ha tenido – y tiene – en nuestro país. De ese 2% de títulos traducidos, apenas alrededor de un 3% proviene del ita-liano, contra circa un 65% del inglés, un 16% del francés y un 5% del alemán. Aun con estos magros porcentajes, los últimos dos años han visto aparecer en el mercado ar-gentino algunas obras traducidas con gran cuidado y que guardan un extraordinario interés.

Un Maquiavelo poco conocido

Por la cantidad y calidad de sus traducciones, la co-lección Clásica de editorial Colihue, dirigida fundamen-talmente a un público universitario, viene ejerciendo una notable influencia en el ambiente cultural local. Se trata de ediciones profusamente anotadas, a menudo de un rigor erudito. Bajo el título genérico Textos literarios,

traduzioni

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en 2010 la editorial poteña ha publicado un conjunto de obras poco conocidas de Nicolás Maquiavelo, que llenan un grueso volumen de 369 páginas. La traducción, intro-ducción y notas han estado a cargo de Nora Sforza, quien ha logrado volcar al castellano la gracia, el tono irónico y cierta picardía propias del estilo de Maquiavelo.

Conocido fundamentalmente por su tratado político El príncipe, Maquiavelo se ha convertido en un sinónimo de la Real Politik, al punto de que el adjetivo derivado de su nombre – ‘maquiavélico’ – hace alusión al ejercicio de una política completamente desvinculada de todo valor moral. Este volumen muestra otra cara del genio florentino: sus gustos literarios, su humor, su sensibilidad como poeta. Textos literarios reúne dos obras teatrales (Mandrágora y Clizia), un conjunto de poemas (Decenales, El asno, Capí-tulos), un grupo de Poesías diversas, otro de Prosas varias y 27 cartas íntimas. Una muestra del humor de Maquiave-lo es esta suerte de consejo contenido en «Capítulos para una compañía de placer», un texto que anticipa los gustos libertinos del siglo XVIII: «Que las mujeres de dicha com-pañía no tengan suegra y, si alguna todavía la tuviese, deba, dentro de seis meses, con escamonea, u otros re-medios similares, sacársela de encima; podrán usar dicha medicina también con los maridos que no cumpliesen con sus obligaciones».

Viejos y nuevos poetas

También La amarga miel (Alción, Córdoba, 2010, 142 págs.) nos presenta un rostro poco conocido del novelista Gesualdo Bufalino: su rostro de poeta. Los lectores de esa obra maestra que es Argos el ciego conocen la profunda vena lírica de Bufalino; aquí podrán leerla, no ya en esa prosa barroca que remeda, en ocasiones, la sintaxis lati-na, sino en versos de una claridad y sencillez que nada menguan – más bien aumentan – la belleza. La edición es bilingüe, de modo que el lector puede constatar y evaluar el trabajo del traductor Ricardo Herrera, él también reco-nocido poeta.

Durante los últimos años, gracias a una cierta bonanza económica y a un tipo de cambio com-petitivo, la Argentina se ha ido reposicionando en el mercado de la traducción.

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Así presenta Bufalino sus poemas: «Estas palabras es-critas sin fe,/ y sin embargo llorando,/ a un yo mismo niño que maté o se mató,/ pero que de vez en cuando, una o dos veces al año,/ no sé cómo renace débilmente/ y vuelve a recitarlas solo...». Y lo que se lee luego son algunos versos preciosos, no sé si tocados con la vara de la gran poesía –que tan a menudo, excepto en unos poquísimos casos, pa-rece una impostura, una burla– pero sí con el encanto de una auténtica poesía: «En la celda de tus ojos/ inverna una estrella dura, una gema eterna.// Y en tu voz hay un mar que se serena/ en una ría de antiguas conchillas,/ donde enjoyar las manos y la palma/ en el aire se maravilla.// También eres la hierba, la nube y la naranja.../ Te quiero como a una comarca».

Los clásicos Leopardi y Ungaretti se juntan en el vo-lumen Secreto del poeta (Del Copista, Córdoba, 2010, 131 pags.), vertidos también por Herrera, y en edición bilin-güe. Se trata de una antología que recoge las últimas poe-sías de Ungaretti y algunos de los poemas más conocidos de Leopardi. Del primero se destaca – tanto por la be-lleza del original cuanto de la traducción – el Recitativo de Palinuro, donde Ungaretti reactualiza la forma sextina para contar la historia del timonel de Eneas que, al que-darse dormido mientras dirigía la nave de troyanos hacia Hesperia (Italia), cae al mar y es devorado por las aguas. De Leopardi, se destaca la versión de uno de los poemas más potentes de la lengua italiana: Le ricordanze. Toda la lúcida melancolía de Leopardi está contenida en esos versos que describen las habitaciones donde «el amargo y desdeñable/ misterio de las cosas se mostraba/ con su falsa dulzura», y «no cesaba de hablarme la imperiosa mentira».

Algo de filosofía romana

Una de las frases gnómicas más famosas de Lacan – «la mujer no existe» – alude a un antiguo problema de la fi-losofía, el llamado problema de los universales, que puede ser formulado de este modo: los términos generales que utilizamos para referirnos a las cosas particulares, ¿tienen una existencia real o sólo existen en nuestra mente? En la frase de Lacan: ¿existe algo así como ‘la’ mujer inde-pendientemente de Juana, Emilia y María? Si no existiera ninguna rosa en el universo, ¿tendría sentido hablar de la rosa?

El filósofo romano Severino Boecio (476-524), canci-ller del emperador Teodorico – por quien fuera condena-

do a muerte bajo la acusación de traición y, en la cárcel, escribiera el influyente tratado filosófico-poético La con-solación de la filosofía –, fue quien planteó con mayor claridad este problema en aquellas inciertas épocas entre la Antigüedad y el Medioevo. Antonio Tursi ha traducido los principales textos de Boecio sobre los universales, y los ha editado junto con otros textos sobre el mismo tema de Porfirio (traducido por M. F. Marchetto) y Abelardo, en el volumen La cuestión de los universales en la Edad Media (Winograd, Buenos Aires, 2010, 243 págs.). Si bien se trata de un libro destinado especialmente a los estudiantes de filosofía, su lectura puede resultar provechosa a aquellos lectores interesados en los arduos problemas de la signifi-cación y la naturaleza del lenguaje.

El fenómeno Agamben

Desde 2007, la editorial Adriana Hidalgo, de la capital argentina, viene publicando un libro de Giorgio Agamben por año. Cada nuevo libro de Agamben, escrito con «esa facilidad de elocución que los envidiosos llaman charla-tanería» (Balzac), provoca un placer intelectual (y estético, ya que Agamben es un gran escritor), a la vez que suscita estériles polémicas en torno a si se trata de la obra de un filósofo o un ensayista extralimitado, es decir, un sofista (opinión sostenida, en general, por esos envidiosos balza-cianos que lo acusan, justamente, de charlatán).

En el último bienio fueron publicados El sacramento del lenguaje (traducido por M. Ruvituso, 2010) y Desnu-dez (traducido por M. Ruvituso, M.T. D’Meza y C. Sardoy, 2011). Ambos textos prosiguen la línea de análisis de las tradiciones teológicas judeocristianas y sus vinculaciones con los más diversos temas de la cultura occidental, des-de la economía hasta el denudismo, desde la literatura a la constitución del poder político. En el primero, Agam-ben lleva a cabo una arqueología del juramento (lo cual involucra problemas de filosofía del lenguaje, de teoría

Distintos blogs realizan una tarea significativa en la traducción de literatura italiana. En estas publicaciones se han producido también inte-resantes intercambios acerca de la teoría de la traducción y polémicas vinculadas a los criterios de traducción poética.

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política y de teología), mientras que en el segundo estudia el fenómeno de la desnudez y del nudismo, remontando el análisis hasta los orígenes de las oposiciones teológicas naturaleza/gracia y denudez/vestido, que aparecen en las interpretaciones tradicionales del pecado de Adán.

Blogs y revistas

Distintos blogs realizan una tarea significativa en la traducción de literatura italiana. Jorge Aulicino tiene uno de los blogs de más ágil diseño (Otra iglesia es imposible); allí ha dado a conocer su traducción integral de la Divina Comedia, así como poemas de Cesare Pavese, Pasolini y muchos otros. Pablo Anadón (director a su vez de la revis-ta de poesía Fénix), en un blog más tradicional (El trabajo de las horas), ha publicado poemas de Daniele Moretto, Milo de Angelis, Ungaretti, Gatto y otros. También el blog de la revista Hablar de poesía ha publicado a Alfonso Be-rardinelli, Virgilio Giotti, etc. En estas publicaciones se han producido también interesantes intercambios acerca de la teoría de la traducción y polémicas vinculadas a los criterios de traducción poética.

Otros textos

Otros textos que aquí no hay espacio para comentar han visto la luz en el último tiempo: La divina mímesis, de Pier Paolo Pasolini, traducido por D. Bentivegna, El Cuen-co de Plata, Buenos Aires 2011; El hilo y las huellas. Lo verdadero, lo falso, lo ficticio, de Carlo Guinzburg, trad. L. Padilla López, Fondo de Cultura Económica, Buenos Aires 2010; Giovanni Papini, Pragmatismo, trad. S. Venturini, Cactus, Buenos Aires 2011.

Como puede apreciarse, existe un importante interés de las editoriales argentinas (muy a menudo pequeñas em-presas) en la producción literaria italiana. Hay también un creciente intercambio cultural, especialmente a nivel académico, entre ambos países, que tienen tradiciones de investigación comunes. Sin embargo, parece faltar una

política más integral de promoción del libro italiano, una política como la que vienen llevando a cabo instituciones alemanas, norteamericanas, francesas, y sus respectivos Estados.

No estoy capacitado para determinar cuáles son las múltiples causas que, tal como muestran los porcentajes citados al comienzo de esta nota, han relegado a la litera-tura italiana a un lejano cuarto puesto entre las más tra-ducidas. Lo cierto es que la literatura y la filosofía italia-nas han dado una nota única en el concierto general de la cultura europea, y que esa nota es hoy, aún, escasamente conocida. Entrar a una librería y encontrar un volumen de Petrarca, Vico, D’Annunzio, o de Dionisotti, Berardinelli, Piaia, resulta algo excepcional, improbable: una sorpresa. No sólo los autores más nuevos están ausentes de las ba-teas, también los clásicos. Y esto contribuye a que el lector que no puede acceder al original tenga una visión ampu-tada de la historia europea, en la cual la cultura italiana ha dado una nota fundamental. Por eso, promocionar la literatura y la filosofía italianas no constituye un impera-tivo abstracto, sino una necesidad: sin un conocimiento de ellas se vuelve imposible comprender la evolución de la cultura europea desde el medioevo hasta la actualidad; y eso, en nuestro caso, que vivimos en esta eadem utraque Europa (la misma y la otra Europa), conlleva, también, la imposibilidad de saber quiénes somos.

Promocionar la literatura y la filosofía italianas no constituye un imperativo abstracto, sino una necesidad.

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la sindrome dello scultore frustrato. architettura, formalismo, distacco.Manuel Orazi

MacerataManuel Orazi, docente di teoria dell’architettura all’Università di Cameri-no, analizza come l’architettura contemporanea, sviluppandosi a partire da una concezione “scultorea”, perda di vista la funzionalità delle strutture.

“In ogni paese, la produzione corren-te dell’architettura rispecchia alcu-ni comuni caratteri, sempre medio-cri appunto perché comuni, e che, in sostanza coincidono con le generiche tendenze ed i generici costumi dei sin-goli popoli”.Roberto Pane, Architettura e arti figu-rative, Neri Pozza, Vicenza 1948

“Non sono interessato a fare polemiche, sono solo interessato alle idee, ma bi-sogna stare attenti a generare forme in libertà perché si rischia di produrre delle sculture inconsapevoli. Se Le Corbusier a Ronchamp ha prodotto un capolavoro è perché era anche un esperto scultore, con anni di pratica alle spalle. Gli archi-tetti puri, invece, rischiano di produrre solo cattive sculture”.Yona Friedman, Frank Gehry, Diaologo di utopie, «Abitare», n. 504, settembre 2010

Nessuno come Frank O. Geh-ry incarna meglio le fattezze della cosiddetta “archistar” e

per questo è il bersaglio per eccel-lenza della critica disciplinare e non. Gehry è “archistar” per antonomasia, non tanto perché vive nei paraggi di Hollywood, quanto perché è l’uni-co architetto a cui è stato dedicato non solo un dvd ma un intero film distribuito nei cinema: un’opera d’autore peraltro, visto che è l’unico documentario che abbia mai girato Sydney Pollack1, uno dei suoi non pochi amici dello star system. So-prattutto però Gehry è noto per ge-nerare edifici di cui a prima vista è difficile intuire la funzione: in fondo la Walt Disney Concert Hall di Los Angeles potrebbe essere un museo e

1 Sydney Pollack, Frank Gehry. Creatore di sogni, libro e dvd, Feltrinelli, Milano 2007.

cultura e società

Disney Concert Hall di Carol Highsmith

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il Guggenheim di Bilbao un edificio con più sale da concerti e non vice-versa. Ed è proprio questa la carat-teristica che viene rimproverata alle archistar in generale: quella di pro-durre architetture astratte dalle loro funzioni, dunque superflue, nient’al-tro che sculture.

Se il Movimento Moderno, quel-la eterogenea compagine di archi-tetti celebrata e anzi “inventata” da storici come Siegfried Giedion, Emil Kaufmann, Nikolaus Pevsner – tutti storici dell’arte di formazione – e at-tiva fra le due guerre o subito dopo la seconda, era accomunato dallo slo-gan “form follows function”, l’accusa verso coloro, tradizionalisti e no, che perseguivano altri obiettivi e metodo-

logie era grosso modo una sola: essere formalisti. Ancora oggi suona come l’accusa estrema per un architetto, anche se, a partire dalla metà degli anni ’60, la questione della forma è ritornata prepotentemente al centro del dibattito architettonico fino a de-generare nella condizione mediatica attuale, in cui la committenza priva-ta, sempre più predominante, istiga i progettisti a gareggiare in esuberan-za ed eccentricità, trasformandoli in macchiette stereotipate, stilisti dalla battuta facile su qualsiasi argomento e attorniati da paparazzi e giornalisti.

Il grande Adolf Loos sarebbe inorridito dell’architettura contem-poranea: “Niente ho aborrito di più in tutta la mia vita che creare nuove forme”. Tutto il contrario di ciò che avviene oggi quando assistiamo a una diffusione planetaria di “forme

in cerca di funzioni, come paguri in cerca di un guscio vuoto”2, specie nel caso dei musei, le nuove cattedrali laiche che gareggiano nel rendere se-condarie le opere d’arte esposte.

Eppure scultura e pittura da sem-pre hanno esercitato un influsso ir-resistibile sull’architettura del proprio tempo, e sarebbe vano cercare qui di riassumerne i casi anche per sommi capi. Basti pensare alle maquette di Theo van Doesburg e Georges Van-tongerloo, indispensabili per preci-sare la poetica del Neoplasticismo olandese, o alle sotterranee relazioni fra la pittura del gruppo Novecento di Margherita Sarfatti e l’architet-

Oggi la committenza privata, sempre più predo-minante, istiga i progettisti a gareggiare in esu-beranza ed eccentricità, trasformandoli in mac-chiette stereotipate, stilisti dalla battuta facile su qualsiasi argomento e attorniati da paparazzi e giornalisti.

2 Rem Koolhaas, Junkspace. Per un ripensamento radicale dello spazio urbano, a cura di G. Mastri-gli, Quodlibet, Macerata 2006, p. 70.

Disney Concert Hall di Carol Highsmith

Frank O. Gehry in una puntata di I Simpson

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Ed è proprio questa la carat-teristica che viene rimprove-rata alle archistar in generale: quella di produrre architettu-re astratte dalle loro funzioni, dunque superflue, nient’altro che sculture.

Ecco allora perché buona par-te dell’architettura dell’ultimo quindicennio appare a chiun-que più prossima all’arte, alla scultura: perché mai come oggi il programma funzionale è sta-to così vago.

tura di Giuseppe Terragni, o ancora agli objets trouvés collezionati sulle spiagge da Le Corbusier – pittore di formazione – ai quali si ispirava per le proprie sculture e per i suoi ultimi capolavori come Notre-Dame du Haut a Ronchamp, criticatissima dalla cri-tica modernista ortodossa, che non

vi riconosceva più il vecchio mae-stro del funzionalismo. Certo, però, la scultura gioca un ruolo del tutto par-ticolare in tutto ciò: sempre il vecchio Loos, ammoniva che “se si vogliono mettere in fila le arti e si comincia con la grafica, troviamo che da essa si può passare alla pittura. Da questa si può arrivare alla scultura attraver-so la scultura policroma e dalla scul-tura si può giungere all’architettura. Grafica e architettura sono l’inizio e la fine di una medesima linea”. Ma per Loos l’architettura non può essere considerata arte, perché “la casa deve piacere a tutti. A differenza dell’opera d’arte che non ha bisogno di piacere a nessuno... Soltanto una piccolissi-ma parte dell’architettura appartiene all’arte: il sepolcro e il monumento. Il resto, tutto ciò che è al servizio di uno scopo, deve essere escluso dal re-gno dell’arte”.3

Ecco allora perché buona parte dell’architettura dell’ultimo quindi-cennio appare a chiunque più prossi-ma all’arte, alla scultura: perché mai

come oggi il programma funzionale è stato così vago. Non solo e non tan-to il nuovo MAXXI, che però ancora non ha una precisa identità museale (e magari è anche un bene), ma so-prattutto edifici o progetti faraonici come il nuovo iper-museo di Abu Dhabi progettato da Gehry o ai vari musei di Dubai, dove non è per niente chiaro quali opere e che genere d’arte vi verrà conservato (essendo le col-lezioni locali evidentemente insuffi-cienti).

Alcuni architetti più di altri si sono trovati a loro agio in questo statu quo: Gehry ne è il capofila e l’emblema per eccellenza, nono-

3 Adolf Loos, Architettura, in Parole nel vuoto, Adelphi, Milano 1972, pp. 246-254

Auditorium di Roma di Renzo Piano

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stante la sua iniziale eccentricità. Il Guggenheim di Bilbao, con tutte le sue implicazioni mediatiche ed eco-nomiche, è divenuto infine, più che un modello, un paradigma dell’archi-tettura contemporanea. Sancisce in modo eclatante la possibilità di mo-dellare un edificio come un oggetto, come un guscio, così come un pez-zo dello scultore Richard Serra. È lo stesso Gehry che fa questo esempio nel 1980, e non casualmente Serra è il massimo protagonista del museo di Bilbao, dove gli è dedicata la sala più grande delle collezioni permanenti.

Molta architettura contemporanea di fatto si delinea come una scultura,

e finisce inevitabilmente per tendere verso i due estremi loosiani di tomba e monumento, senza riuscirci. I mu-sei per divenire monumentali devono raggiungere la scala del mausoleo, ma pochissimi progetti si avvicina-no a tali estremi come il Monumento agli ebrei uccisi d’Europa di Berlino,

di Peter Eisenman, dove una selva di steli privi di scritte si dispone enigmaticamente

a poca distanza dal Reichstag e dalla porta di Brandeburgo (e

di fronte a un edificio di Gehry). Una necropoli dunque, un’opera di architettura estrema. Frutto

di un concorso internazio-nale, che Eisenman vinse insieme con Richard Serra, uno scultore, guarda caso.

L’Italia non fa ecce-zione, nonostante attra-versi un periodo storico certo non brillante per

Il Guggenheim di Bilbao, con tutte le sue implicazioni me-diatiche ed economiche, è dive-nuto infine, più che un modello, un paradigma dell’architettura contemporanea.

la propria cul-tura architet-tonica, grazie anche al fat-to che mai la committen-za pubblica è stata così mediocre. Pippo Ciorra, nel suo recente sag-gio Senza architettura. Le ragioni di una crisi (Laterza, Roma-Bari 2011) ha suonato diversi campanelli d’al-larme. Il primo viene dal confronto con la situazione internazionale: l’I-talia è paralizzata e incapace di ac-cogliere ed elaborare in chiave locale le tendenze dominanti nel mondo; il secondo campanello d’allarme è che mai come oggi l’architettura è stata seguita e vezzeggiata dai media ‘ge-neralisti’. Ma la diffusa attenzione agli eventi di architettura non sem-bra tradursi in un parallelo affermarsi di una nuova generazione di archi-Torre-modulor di Beniamino Servino

Fiera di Milano di Massimiliano Fuksas

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internazionali del panorama italiano. Il Museo dell’automobile di Cino Zuc-chi a Torino, il centro della cultura mediterranea di Stefano Boeri a Mar-siglia, la complicata ristrutturazione del Museo del Novecento di Italo Rota a Milano, il progetto per la sede della regione Lombardia di Metrogramma, i laboratori per l’Università Tor Ver-gata di Ian a Roma, la torre-modulor di Beniamino Servino a San Marco Evangelista, sono solo alcuni esempi di architetture italiane del tutto ete-rogenee, accomunate però da una co-mune volontà di resistenza verso la deriva scultorea e iconica che sembra non avere alternative per i progetti europei contemporanei.

tetture e spazi pubblici di qualità nel nostro paese; il terzo campanello, in-fine, è la preoccupazione legata alla sensazione di spreco del tessuto di energie nuove e quasi sempre frustra-te: studenti e giovani architetti abi-tuati a viaggiare, scambiare e lavora-re in giro per il mondo, professionisti aggiornati e capaci che potrebbero lasciare ben altra traccia nel paese. Eppure, nonostante le grandi firme internazionali lavorino sempre di più in Italia (Zaha Hadid a Roma e Mila-no, Arata Isozaki a Torino e Milano, Jean Nouvel a Brescia, Rem Koolhaas a Milano e Venezia, Peter Eisenman a Pompei e Milano), la scena archi-tettonica italiana rimane vitale anche se è vero che appare più resistente a conformarsi alla “sindrome dello scultore frustrato” – come, a ragione, sostiene Ciorra. A parte alcuni casi come la Fiera di Rho di Massimilia-no Fuksas o l’Auditorium di Roma e il centro commerciale Vulcano buono di Renzo Piano a Nola, gli architet-ti italiani continuano a preferire un certo distacco dalla tendenza inter-nazionale che li spingerebbe verso la costruzione di archi-sculture, a ecce-zione di Piano e Fuksas, che non a caso sono proprio gli architetti più

L’Italia è paralizzata e incapa-ce di accogliere ed elaborare in chiave locale le tendenze domi-nanti nel mondo.

Museo dell’automobile di Cino Zucchi

Centro della cultura mediterranea di Stefano Boer

Progetto per la sede della regione Lombardia di MetrogrammaLaboratori per l’Università

Tor Vergata di Ian

Vulcano buono di Renzo Piano

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La desordenada codicia de los bienes ajenos, uscita a Parigi nel 1619 a firma di Carlos García – spagnolo emigrato in Francia sulla cui biografia continua-

no a celarsi molti misteri – è un’opera che si avvale di alcune strutture della narrativa picaresca, alternandole con tratti romanzeschi di natura burlesca provenienti da correnti europee poco conosciute nella Spagna del XVII secolo. È la storia di un prigioniero che racconta le sue avventure sullo sfondo di un paesaggio carcerario che altro non è se non l’allegoria di un terribile inferno popolato da diavoli. Tale racconto si costruisce sull’elo-gio dell’antichissima arte del furto e dei suoi pittoreschi rappresentanti, che paradossalmente compongono una società più libera e giusta di quella corrotta e cupida dominata da una borghesia arricchita.

La prima traduzione in italiano del testo seicentesco, curata dalla sottoscritta e da Alessandro Martinengo (ETS, Pisa 2011) per un progetto approvato e finanziato dalla Comunità europea, offre l’occasione per riflettere sulle dif-ficoltà di passaggio dallo spagnolo barocco di García, in-triso di aragonesismi e francesismi, all’italiano moderno. La trasposizione italiana è stata condizionata in partico-lare dalla resa di un gergo legato al mondo della malavita dell’epoca, e più in generale da uno stile graffiante che si muove, senza soluzione di continuità, dal linguaggio alto di alcune speculazioni filosofiche, contenute nella prima parte, a quello triviale della banda dei ladri che gravita attorno al protagonista narrante Andrés. Un discorso, il suo, condotto sul sottile filo dell’ironia, non facilmente replicabile – nei toni e nelle sfumature – nella lingua

i proverbi: dallo spagnolo all’italiano

Beatrice Garzelli, docente di lingua e traduzione spagnola a Siena, riflette sul passaggio dei proverbi spagnoli in italiano, analizzando la sua esperienza di traduzione di un testo del ‘Siglo de Oro’.

Beatrice Garzelli Siena

italiana dei nostri giorni.Uno degli ambiti in cui deve cimentarsi il traduttore

de La sfrenata cupidigia riguarda senz’altro il campo della proverbialità: qui la forza del registro popolare, collegata alle categorie di ladri ed agli sventurati che in essi incor-rono, si concentra spesso intorno ad una serie di proverbi che in molte occasioni non trovano corrispondenza nel costume italiano moderno. Si tratta di questioni di straor-dinaria complessità, dal momento che non solo ci si deve confrontare con la nuda semantica della singola parola e sulle eventuali ambivalenze semantiche che essa può in-cludere, ma va pure salvaguardata la frase espressiva nel suo complesso figurativo, valutando inoltre l’uso di rime o giochi fonici, il tutto sullo sfondo di una cultura altra e di un’epoca, il Siglo de Oro, ricco di complesse implicazioni contenutistiche ed estetiche.

I casi che di seguito proponiamo dimostrano che le strategie traduttive adottate sono state composite e multi-formi. In alcune occasioni si è optato per una traduzione letterale, laddove – per esempio – era importante man-tenere il gioco fonico: unos tienen la fama y otros lavan la lana, proverbio con cui il ladro protagonista rimarca che spesso si attribuiscono ad una persona i meriti di un’altra, è dunque stato tradotto specularmente in italiano con “al-cuni hanno la fama ed altri lavano la lana”.

In altri contesti abbiamo invece scelto di adattare nella lingua di arrivo il proverbio originale: fui por lana y volví trasquilado, detto attestato in diversi testi medievali che letteralmente significa “andai per lana ma venni tosato”, è stato reso con l’espressione italiana “partii in carrozza

lingue in uso

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e tornai a piedi”, salvaguardando il senso della fonte, e cioè che colui che si propone un obiettivo, non solo non lo raggiunge, ma rimane deluso e burlato, proprio come succede al ladro Andrés, incapace di rubare una collana di perle ad una dama che ha tentato invano di irretire. Sul-la stessa linea traduttiva l’espressione si las nueces eran tantas como el ruido, letteralmente “se le noci erano tante quanto il rumore”, proverbio documentato nel Libro de Buen Amor nella forma es más el ruido que las nueces, che diventa nella versione italiana “se c’era tanto arrosto quanto fumo”. Qui troviamo ancora il ladro alla prese con la signora dall’appetibile filo di perle, la quale, a sua volta, si mostra interessata più al portafoglio di Andrés – che si spaccia ricco mercante – che ad una passione amorosa genuina:

Ordenó, pues, mi desgracia que ella, incrédula de la cantidad que dije haber recebido y ocasionada de mi fingido sueño, quisiese reconocer las faldrique-ras de mis calzones por ver si todo lo que relucía era oro y si las nueces eran tantas como el ruido (C. García, La desordenada codicia de los bienes ajenos, ed., introd. y notas de V. Roncero López, Pamplona, Eunsa, 1998, 2° ed, cap. XI, pp. 150-151)= [D].

Volle però la mia disgrazia che ella, scettica sul-la quantità di danaro che dicevo di aver ricevuto e favorita dal mio sonno simulato, si decidesse ad esplorare le tasche dei miei calzoni per vedere se era tutto oro quello che luccicava e se c’era tanto arrosto quanto fumo (D2, cap. XI, p. 114).

Nell’ambito non propriamente proverbiale, ma an-corato ad un mondo popolaresco tradizionale, troviamo l’espressione jugar al abejón, che ha richiesto una solu-zione leggermente diversa rispetto alla fonte. Trattasi di un gioco, attestato pure dal Tesoro de la lengua castellana di Covarrubias (1611), a cui prendevano parte tre ragazzi: il conduttore si posizionava in mezzo, imitando il ronzio del calabrone per distrarre i compagni, ai quali tentava di assestare degli schiaffi, cercando contemporaneamente di schivare quelli degli altri due. La locuzione ha assunto per estensione il significato di “prendere in giro”, tutta-via, considerando il contesto originale, si è preferito mo-dificare l’antico gioco, giungendo nella versione tradotta all’espressione “giocare al gatto col topo”, soluzione più

conosciuta nel panorama culturale italiano. Ecco dunque il frammento originale e quello in traduzione, in cui si segnala pure la difficoltà di rendere nella lingua italiana il verbo mantear, azione compiuta per sballottare – dentro una coperta – una persona o un animale, tirandone di concerto, vari individui, gli orli. Una burla carnevalesca, quest’ultima, ricordata pure nel Guzmán de Alfarache e nel Quijote, e qui riservata all’incauto ladro:

Pues es certísimo que si con mis manos encerotadas, devantal y otras insignias zapaterescas llegara a la puerta de algún caballero, no habían de dejarme entrar si no fuese para mantearme o jugar conmigo al abejón (D, cap. IV, pp. 98-99).

È infatti più che certo che se con le mani incera-te, il grembiule e altri strumenti da calzolaio, fossi giunto alla porta di un signore, non mi avrebbe-ro lasciato entrare se non per sbatacchiarmi dentro una coperta e giocare con me al gatto col topo (D2, cap. IV, p. 63).

Si può concludere osservando che non esistono ricette precostituite per la traduzione dei proverbi: ogni conte-sto richiede una o più soluzioni possibili (dalla traduzione letterale al calco, dall’adattamento alla libera traduzione), nel tentativo di rendere nella lingua italiana contempora-nea uno spaccato di saggezza popolare seicentesca. Tale ricerca va condotta nella direzione di non uniformare o schiacciare le diversità culturali con artifici stilistici o fal-se patinature antiche e, al tempo stesso, di non allontanare eccessivamente i due orizzonti linguistici, ricchi ancora di affinità, nonostante lo scarto di quasi quattro secoli.

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Prima di eseguire La città vecchia in una delle sue ultime esibizioni dal vivo al Teatro Brancaccio di Roma nel 1998, Fabrizio De André (Genova, 1940

– Milano, 1999) dichiarò che quel brano, pur essendo stato scritto più di trent’anni prima, rispecchiava con precisione la stessa etica dei suoi lavori più recenti. Ciò dimostrava che il suo modo di pensare e la sua poetica musicale erano sempre stati il frutto evidente «di pochis-sime idee, ma in compenso fisse», espresse in uno stile poetico capace di rinnovarsi e differenziarsi nel corso del tempo. L’attenzione verso gli emarginati, la diffidenza nei confronti del pensiero borghese, la critica alla mo-rale comune, spesso pungente nelle sue valenze ironi-che, rappresentano i tratti caratterizzanti l’intera opera di De André. L’ipocrisia che condannava Bocca di rosa nel 1967 è la medesima perpetuata da coloro che di-sprezzano il popolo rom di Anime salve, giudicandolo senza conoscerne le tradizioni, gli usi e costumi, sempre studiati e rivalutati dalla classica ottica del cantautore genovese. Un viaggio all’insegna della linearità morale, quindi, quello che determina l’evoluzione dell’opera di

prof ili

fabrizio de andré: plurilinguismo come testamento artistico

Passa per le vie del dialetto e del mistilinguismo l’ultima produzione di Fabrizio De André, uno tra i più importanti interpreti della can-zone italiana d’autore. Tappe fondamentali di questo viaggio nelle lingue sono gli album Creuza de mä, Le Nuvole e Anime Salve, da considerare suoi testamenti artistici.

Andrea FeliciSiena

De André, ma anche dell’innovazione e della ricerca di nuovi veicoli espressivi.

Sebbene già Volume VIII (Produttori Associati, 1975) e Rimini (Ricordi, 1978), soprattutto in canzoni come Amico fragile, Giugno ’73, Volta la carta, mostrino un De André stilisticamente lontano dai repertori classici e d’ispirazione francese che avevano segnato la prima produzione fino a La Buona Novella (Produttori Associati, 1970), è in Creuza de mä che va individuata la svolta cruciale della poetica deandreiana. Pubblicato nel 1984, scritto e cantato in-teramente in dialetto genovese, l’album è il frutto della collaborazione artistica con Mauro Pagani, compositore e arrangiatore dei brani, che ne determina l’impianto sonoro

L’attenzione verso gli emarginati, la diffidenza nei confronti del pensiero borghese, la critica alla morale comune, spesso pungente nelle sue valenze ironiche, rappresentano i tratti caratte-rizzanti l’intera opera di De André.

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mediterranee di una Liguria arcaica, sorella dell’Islam, e culturalmente sviluppata sul retaggio delle proprie rotte commerciali. Rivoluzionarie, pertanto, risultano le scelte linguistiche di Creuza. Consueti, al contrario, si rivelano molti degli ambienti e dei personaggi che ne affollano i brani: dai marinai che percorrono la creuza (‘il sentiero’) che conduce al mare, ai personaggi singolari come ’ Pit-tima (‘l’usuraio’) e la donna dell’amore travolgente (Ja-min-a), alle prostitute che in  duménega (‘la domenica’) passeggiano per la città osservate dai benpensanti.

Le nuvole e Anime salve

Sia Le nuvole (Ricordi, 1990) che Anime Salve (Ricor-di, 1996), i due ultimi lavori firmati da Fabrizio De An-dré, sembrano portare all’estremo tutte le componenti che hanno attraversato la produzione dell’autore, modifican-done lo stile, la forma, l’espressione retorica, pur lasciando intatte le convinzioni ideologiche. Se Creuza de mä identi-fica la svolta neodialettale della canzone deandreiana, Le nuvole e Anime salve rappresentano a pieno titolo i testa-menti artistici di Fabrizio De André: dei veri e propri tra-guardi poetici, in cui le precedenti esperienze linguistiche arrivano a concentrarsi e riassumersi, pur realizzandosi in nuove soluzioni.

Ciò vale per Le nuvole, il secondo album scritto insieme a Pagani: un lavoro particolarmente ragionato, frutto di molteplici ispirazioni e influssi culturali, nonché di op-poste contaminazioni linguistiche. Partito come progetto di un album ideologicamente e musicalmente di gusto ot-tocentesco, poi contrapposto ad un secondo lavoro sulla lingua e la cultura di Genova, Le nuvole si presenta come una vera e propria miscellanea di idee, di spunti narrativi e linguistici, spesso disomogenei e apparentemente scon-nessi. Il titolo dell’opera richiama volutamente l’omonima commedia di Aristofane: un’opera classica che, nonostan-te la retrodatazione, era in grado, secondo De André, di rispecchiare fedelmente la realtà sociale dell’Italia degli anni Ottanta. Eterogeneo è il profilo strutturale dell’al-bum, risultato dei diversi propositi compositivi convissuti nella sua preparazione: ciò spiega la compresenza al suo interno di canzoni scritte in italiano (nel lato A dell’opera,

Rivoluzionarie risultano le scelte linguistiche di Creuza.

di gusto orientale e arabeggiante. Innovativa è la scelta dell’uso del dialetto di Genova, dovuta a ragioni molte-plici: l’importanza storica rivestita dall’antica repubblica marinara; la musicalità offerta dalla struttura fonetica del-la parlata ligure; la naturale espressività popolare, libera da artificiosità letterarie, caratterizzante generalmente il dialetto; i vantaggi metrici dati dalla scrittura in dialetto piuttosto che in italiano. La lingua di Creuza, notevol-mente distante dai connotati del genovese moderno, è il risultato di una delicata operazione filologica compiuta dall’autore: un accurato spoglio linguistico fatto a tavo-lino tra le pagine di vocabolari liguri ottocenteschi (come dichiarerà lo stesso De André). L’esito è quello di un arte-fatto, una lingua spesso immaginaria e ricca di termini più orientali che vernacolari. Un genovese utopico e cosmopo-lita, quindi, capace di entrare in simbiosi con le sonorità

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diretto discendente del progetto di album “ottocentesco”) con altre in dialetto (nel lato B). La divisione in spazio linguistico e dialettale riflette la polimorfia stilistica delle tracce che compongono uno stesso lato dell’opera. Ciò av-viene soprattutto nel lato A, intrecciato sull’operetta buf-fa di Ottocento, sulla tarantella napoletana di Don Raffaè (ispirata alla figura di Raffaele Cutolo) chiudendosi nel visionario affresco, tutto giocato su accostamenti erme-tici di figure antitetiche, de La domenica delle salme; ma anche nel repertorio vernacolare del lato B, modellato sul genovese di Mégu megún e ’Â çímma, sul napoletano de La nova gelosia e il sardo di Monti di Mola.

Il pellegrinaggio linguistico all’interno dello spazio dialettale, scoperto in Creuza de mä e ampliato in Le nu-vole, trova conferma anche in Anime salve. Cofirmatario dei testi dell’album è Ivano Fossati, già collaboratore di De André in Mégu megún e ’Â çímma nel precedente al-bum. Raffinato nelle scelte musicali e testuali (ancora una volta divise nell’uso della lingua nazionale e del dialetto), particolare nelle sue componenti sociologiche e stilisti-che, Anime salve racconta il viaggio spirituale dell’anima all’interno del mondo e delle sue contraddizioni morali. Concettualmente continuo rispetto alla linea filosofica perseguita dall’autore in tutta la sua opera, Anime salve può essere assunto come punto d’arrivo ideale della poeti-ca di De André, improntata allo studio e alla rivalutazio-ne di culture considerate marginali, di scene e personag-gi isolati dalla morale comune. Contrariamente a quanto sperimentato nella produzione a cavallo tra gli anni Set-tanta e Ottanta, l’impostazione testuale dell’ultima ope-ra segna il ritorno al più raffinato verso poetico, seppur influenzato (e maturato) dalle esperienze compiute negli anni precedenti: organizzati e limati classicamente, spesso incastrati in elaborate costruzioni retoriche, i versi risul-tano narrativamente complessi, decifrabili solo tramite le note esplicative poste in calce ai testi riportati nel libretto dell’album (diventate usuali nei format grafici dell’ultimo De André). I testi dei brani pullulano di costrutti metafo-

rici e analogici, spesso interpretabili unicamente tramite previa spiegazione: ne è un esempio perfetto la canzone Dolcenera, interamente costruita sul parallelo immagina-rio tra forza del desiderio d’amore e potenza distruttrice del mare (con riferimento sottinteso ad un’alluvione geno-vese degli anni Settanta), e pienamente comprensibile solo se adeguatamente introdotto.

È il tema della solitudine, esplorata in tutte le sue forme e significati, a fare da filo conduttore nella narra-zione dell’opera, come metaforica espressione di libertà personale, spesso confinante con l’emarginazione della società: l’essere soli può nascondere trascorsi sessuali e amorosi (come in Prinçesa o Dolcenera); oppure può ri-velarsi come culturalmente connotativo del proprio modo di esistere, come testimoniato dal continuo vagabonda-re dei popoli rom di Khorakhanè, esempio ineguagliabi-le di libertà vissuta nella totale rinuncia di beni e valori stanziali. Ma rimane, più generalmente, un’espressione di controtendenza. Come gli itinerari poetici di Anime salve si compongono di personaggi e culture apparentemente disarticolate, così avviene anche nei veicoli linguistici di riferimento: oltre all’italiano dei testi cantati, sono in lin-gua portoghese i cori di Prinçesa, in genovese quelli di Dolcenera e l’intero testo di  cúmba (‘la colomba’); il finale di Khorakhanè è in lingua rom, mentre è in sardo il titolo della sesta canzone, Disamistade. A conclusione dell’album è Smisurata preghiera: una mistica invocazio-ne al divino per tutti quegli emarginati («il vomito dei respinti») che hanno fatto della libertà la propria scelta di vita, spesso a scapito della considerazione altrui. I versi del brano altro non sono che citazioni sparse dell’opera di Alvaro Mutis, scrittore colombiano particolarmente caro all’ultimo De Andrè: incollate arbitrariamente in un ete-rogeneo mosaico poetico, sembrano erigersi a conclusione ideale di Anime salve e del viaggio negli spazi linguistici attraversato da Fabrizio De André nei suoi ultimi lavori.

Anime salve può essere assunto come punto d’arrivo ideale della poetica di De André, im-prontata allo studio e alla rivalutazione di cultu-re considerate marginali, di scene e personaggi isolati dalla morale comune.

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Le parole di De André su Creuza de mä

“Cercai di esprimermi in modo, finalmente, popolare. Il che non ti è concesso con l’italiano, dove sei schiavo della lingua aulica. In questo senso abbiamo cercato di tornare all’antico, quando l’idioma non divideva ma avvicinava le classi.”

(F. De André, in C. G. Romana, Amico fragile. Fabrizio De André, Sperling & Kupfer, Milano 1991)

“Scrivere canzoni in italiano è difficile tecnicamente, perché le esigenze della metrica ti rendono necessaria una gran quantità di parole tronche, che in italiano non ci sono, o comunque non abbondano. [...] Invece il genovese è una lingua agile, è possibile trovare un sinonimo tronco che abbia lo stesso senso della traccia in prosa che tu hai buttato giù per poi tradurla in versi, visto che difficilmen-te le idee ti nascono già organizzate metricamente.”

(F. De André, in L. Coveri, Parole in musica nella can-zone d’autore italiana, Interlinea, Novara 1996)

Le parole di De André su Anime salve

“Anime salve trae il suo nome dall’etimologia delle due parole “anime salve” e significa “spiriti solitari”. Si po-trebbe fare del facile umorismo: come mai spiriti solitari, è meglio vivere da soli anziché in branco? [...] Forse vi-vendo da soli, vivendo appartati il più possibile dal resto dell’umanità, si riesce a conoscere meglio il circostante.”

(F. De André, in Volammo davvero. Un dialogo interro-to, Rizzoli, Milano 2007)

Per approfondire

La canzone di De André, in G. Borgna- L. Serianni (a cura di), La lingua cantata. L’italiano nella canzone d’autore dagli anni ’30 ad oggi, Garamond, Roma 1995, pp. 63-85.

A. Podestà, Fabrizio De André. In direzione ostinata e contra-ria, Civitella in Val di Chiana, Zona 2003.

E. Valdini (a cura di), Volammo davvero. Un dialogo ininterrot-to, Rizzoli, Milano 2007.

Esce nell’ottobre del 1961, presso l’etichetta di-scografica Karim, il primo 45 giri di Fabrizio De André. Il disco contiene due brani: E fu la notte e Nuvole barocche. Negli anni seguenti De André inizia ad affermarsi come uno dei principali interpreti di quella che la critica ha definito “Scuola geno-vese”: una corrente eterogenea di cantautori, nati e operanti nel capo-luogo ligure negli anni Sessanta, ac-comunati dalla ferma volontà di rin-novare i repertori tradizionali della canzone italiana. Loro caratteristi-che peculiari sono la forma prosai-ca dei testi, il costante riferimento alla dimensione quotidiana nei soggetti trattati, la forte atmosfera di critica sociale che attraversa le loro canzoni.

I Sessanta sono, per De André, gli anni del debutto e dei primi importanti album: Tutto Fabrizio De André (Ka-rim, 1966), Volume I (Bluebell Records, 1967), Volume III (Bluebell Records, 1968). È in questi lavori, e specialmente in brani come La canzone di Marinella, La città vecchia,

Via del Campo, Bocca di rosa, che si presenta al pubblico come cantautore colto e raffinato, abile nel condensare nei propri versi mol-teplici tendenze e ispirazioni. I suoi principali modelli sono gli chanson-niers francesi: Charles Aznavour, Jacques Brel, George Brassens. Dai loro testi De André ricalca le atmo-sfere crude e popolari, i personaggi maledetti, le immagini fortemente ironiche e poco forbite che segne-ranno in modo indelebile tutta la sua produzione.

Particolarmente forte è il contatto con Brassens, di cui De André traduce e riadatta in italiano di-verse canzoni. Tra queste, si ricordano Il gorilla e Le passanti.

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Ho sempre disegnato fin da piccolo. Alle scuole medie, quando era il momento di

disegnare non la smettevo più, tanto che spesso i professori mi ritiravano i disegni. Erano disegni pieni di par-ticolari. Fu nel 1972, nel mio primo anno all’istituto superiore che le for-miche si fecero vive, erano gli anima-letti giusti, adatti a dar vita ai miei paesaggi, calore alle mie idee. Fami-liari ed amici, cominciarono ad inte-ressarsi ai miei disegni, a volte con delle richieste precise che, eseguite, non mi ripagavano del tanto tempo impiegato e del dispiacere di separar-mi dalla mie creature.

All’inizio le formiche erano alte all’incirca 3 cm, erano un po’ goffe e rigide sulle gambe e spesso disegna-te solo di profilo. Non curavo molto i soggetti ritenendo maggiormente importante disegnarne tanti. Le ta-vole erano sempre in bianco e nero in china e il colore faceva capolino, con la delicatezza della matita, dentro una carota arancione, su di un fungo rosso o nel blu di un corso di acqua.

Nel 1982 mi venne offerta la pos-sibilità di tenere la mia prima mostra personale, che dava una prima idea di ciò che volevo comunicare con i miei disegni e di che cosa essi si nutrissero.

l’italia di fabio vettoriFabio Vettori (Trento, 1957) è ormai riconosciuto come fumettista per il suo “mondo di formiche”. In queste pagine, la storia autobio-grafica della sua formazione e una mappa che interpreta con sottile umorismo l’Italia di oggi e di ieri.

Fabio VettoriTrento

Nel 1984 venni invitato ad espor-re nei locali del circolo artistico ro-veretano, divenne la mia seconda personale, in cui presentare soggetti nuovi e diversi, disegnando alcuni scorci della cittadina che mi ospita-va. Finalmente nel 1985, mi accordai con un distributore che mi permise di inserire le mie formiche nei migliori negozi italiani con calendari, poster e quant’altro venivo producendo.

Quante mostre ho fatto dalla pri-ma e quanta strada hanno fatto con me le mie formiche! Dopo quasi qua-rant’anni che le disegno, sono riusci-to a renderle morbide e dinamiche caratterizzandole nella testolina mo-bile, negli occhi espressivi e nel cor-po. Le formiche fanno parte del mio essere e, ogni tanto, coccolandole, posso giocare con la poesia.

Le formiche fanno parte del mio essere e, ogni tanto, coc-colandole, posso giocare con la poesia.

il fumetto

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O que terá levado o jovem Ermanno Stradelli, nas-cido em 8 de dezembro de 1852, no castelo dos condes de Borgotaro (Parma), do pai Francesco

e da mãe Marianna Douglas Scotti, de antiga família, nobre desde os tempos de Maria Luiza de Bourbon, que a agraciou com o título, a abandonar riqueza, estudos, amigos, condição privilegiada, trabalho promissor para vir se aventurar entre os índios da selva amazônica a subir rios, a procurar fontes, a conviver com febres e desconfortos constantes, enfim, a dedicar 43 anos de sua vida, desde seu 27o aniversário, a isso tudo?

Muitas razões e uma gota d’água.Era fantasia muito freqüente entre os rebentos no-

bres de famílias de recursos, na Europa do século XIX, a aventura em expedições geográficas exploratórias em terras estranhas. Basta verificar quem eram os membros das Sociedades Geográficas dos diferentes países. Condes, duques, marqueses, até mesmo príncipes e..., naturalmen-te, capitalistas. Escolhiam, de preferência, lugares exóticos da Ásia e da África (entre os italianos, Matteucci, Antino-ri, Manfredo Camperio...). Alguns escolheram a América Latina e, nela, o Brasil. Foi o caso de Boggiani, da Reale Società Geografica Italiana, de Alessandro Sabatini e do conde Antonelli, todos eles contemporâneos de Stradelli.

Qual terá sido o episódio definitivo que impeliu o jovem

a amazônia de um aristocrata

Aurora Bernardini publicou há pouco no Brasil os Boletins Amazô-nicos que Ermanno Stradelli, nobre italiano do oitocentos, escreveu durante sua longa viagem pelo norte do Brasil, de 1880 a 1891. Apresenta-se aqui um fragmento sobre os índios do Baixo Uaupés, contendo interessantes observações antropológicas.

Aurora BernardiniSão Paulo

conde Stradelli a deixar pela metade o curso de Direito na Universidade de Pisa, os amigos poderosos, os cunhados ilustres (entre os quais o general Santoro de Florença), o futuro assegurado, para juntar seus pertences, contrariar o desejo da mãe (o pai tinha morrido) e –provavelmente de Marselha–, num belo dia do começo de 1879, embarcar para o Brasil?

Talvez algum desapontamento amoroso? Seus versos juvenis, reunidos em 1877 com o título de Tempo desper-diçado, deixam entrever certa propensão a essas insatis-fações, que, entretanto, deveriam ser muito mais vastas.

Qualquer que tenha sido o movente final de sua vinda –e muito provavelmente, pois em 1884, após cinco anos de febris atividades em terras brasileiras, Stradelli voltou à Itália para finalizar o curso universitário interrompido e adquirir prática de advocacia em Gênova–, não há duvida de que, para isso, ele se havia preparado material e espiri-tualmente. De fato, no começo de 1887, ele retorna defini-tivamente ao Brasil. Durante sua vida acidentada escreveu muito. Além de obras jurídicas e cartográficas, escreveu seus Boletins, que ele enviou à Reale Società Geográfica Italiana de 1887 a 1900, traduzidos e comentados. A pre-sentaremos, a seguir, como amostra do interesse de seu trabalho, um fragmento em que Stradelli relata certos usos dos indios do Baixo Uapés.

viceversa

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Originariamente, os casamentos deviam ser exógamos e feitos por rapto; ainda hoje esse uso é muito freqüente. O rapto da moça escolhida data do tempo dos grandes dabucury. O raptor conduz a escolhida até um lugar dis-tante, já preparado há tempo. Os parentes fazem estrépito, gritam, mas não se mexem, embora saibam perfeitamente onde os fugitivos se esconderam. Um ano depois, mais ou menos, os noivos voltam. Se a moça está grávida, o espo-so presenteia o sogro com um cinto de dentes de taiussú [taiuçu], objeto muito apreciado e ao qual atribuem uma influência sobre a duração da vida de quem o possui; o pajé sopra sobre os esposos e o matrimônio é concluído sem outras formalidades. Em caso contrário, a moça é de-volvida aos parentes que a aceitam de volta, sem objeção. Conheço algumas que, dessa maneira, foram raptadas três ou quatro vezes e ainda não encontraram marido. Jurupa-ry estabeleceu a indissolubilidade do matrimônio, e talvez seja por isso que eles experimentam antes se a esposa ser-ve. Ao ato da cópula em si não é dada grande importância: o que consagra o matrimônio é o dever dos pais de cria-rem seus filhos; quando isso não existe, a união dos côn-juges não tem mais razão de ser; e é por isso que, mesmo quando não houve o rapto, se de qualquer união nascer um filho, o matrimônio existe e é indissolúvel, escravos nisso do próprio dever. Jurupary estabeleceu a exceção da esterilidade para os tuxáua; hoje, porém, é geral, e é essa idéia, que têm do matrimônio e de sua razão de ser, que

muitas vezes fez, sim, com que, casados pelo missionário, depois de algum tempo, alguns retornassem com outra mulher para serem casados novamente; e à pergunta se a primeira mulher havia morrido, ele teria ouvido responder ingenuamente: “Não, mas o que posso fazer, se ela é esté-ril?”. Os missionários, é verdade, mandavam-nos de volta sem casá-los, depois de um sermão daqueles, do qual, na maioria das vezes, não compreendiam uma vírgula. E eles iam embora, mas não para conviver novamente com a primeira mulher. Se o missionário não os quisera casar novamente, tanto pior, eles abriam mão disso, no máximo, e são casos mais freqüentes, ficavam com ambas as mu-lheres. Mandú de Maximiano Táua, o tuxáua de Oconory e outros que o digam.

Pois bem, isso não seria de se prever pelo ciúme com que são custodiadas as moças antes que atinjam a puber-dade.

Qualquer contato com os homens é-lhes interdito, e essa interdição é tanto mais rigorosamente observada, quanto mais se vai longe das Missões. Quando a puberda-de chega, a moça é trancada num quarto feito para essa finalidade e inacessível aos homens, onde passa um mês jejuando, servida apenas por mulheres. Diziam-me que se um homem a visse, a estragaria. É nessa época que seus cabelos são cortados. Quando eles voltam a crescer e as moças são apresentadas no grande dabacury ou no cachi-ry de cada mês, estão liberadas para terem quantos aman-tes quiserem, porém, onde a assim chamada civilização ainda não levou a prostituição, elas não abusam.

Ermanno Stradelli, Lendas e notas de viagem. A Amazônia de Ermanno Stradelli, Ed. Martins Fontes,

São Paulo, 2009.

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Il 6 settembre 1884, dopo circa un mese e mezzo dal suo ritorno dal viaggio in Sudamerica, Edmondo De Amicis riprende a scrivere per «El Nacional», il quo-

tidiano di Buenos Aires con il quale collaborava dal feb-braio del 1883.

Anche se molti non lo sanno, o non lo ricordano, De Amicis per trent’anni – dal 1878 al 1908 – scrisse per varie testate argentine, facendo così conoscere l’Italia agli ar-gentini e agli italiani emigrati in Argentina.

La lunga lettera datata “Pinerolo, 6 settembre 1884”, rimasta ignota ai lettori italiani e dimenticata da quelli argentini, risulta estremamente preziosa per tre motivi: in essa lo scrittore seminò immagini e riflessioni che sareb-bero poi germogliate in successivi racconti – Quadri della Pampa, I nostri contadini in America e La mia officina – e in discorsi pubblici; in essa aleggiano in nuce i mo-tivi che avrebbero trattenuto De Amicis dallo scrivere il tanto agognato libro sull’esperienza sudamericana e che probabilmente lo influenzarono anche verso scelte politi-che radicali; infine, essa rivela un De Amicis sconosciuto, capace di rappresentazioni visionarie, quasi al limite del surrealismo.

Il “gran cambio” che il viaggio in Sud America portò nel “pequeño mundo” di casa De Amicis si manifesta in-fatti anche e soprattutto a livello stilistico: nella lettera non v’è traccia della concretezza tipica delle prose deami-cisiane, delle accurate descrizioni delle località visitate o dei bozzetti dei personaggi incontrati durante il viaggio, né delle confortanti similitudini cui aveva abituato i suoi lettori.

la svolta argentina di edmondo de amicis

Federica Pastorino, nella sua tesi di dottorato, ha riscattato dall’oblio una importantissima lettera di De Amicis sul suo viaggio in Argen-tina. Le sue riflessioni confluiranno in Cuore e Sull’oceano.

Federica PastorinoGenova

La prima metà della lettera è pervasa da un’atmosfera onirica: immagini e oggetti provenienti dal Sud America sembrano aver invaso la casa dello scrittore e l’Argentina pare essere divenuta una sua ossessione. Egli non riesce a togliersi dalla mente “la chirimoya, esa maravillosa fruta de Salta, con olor de frágola y de rosa y sabor de ananás y de banana”, che diviene metafora dell’Argentina me-desima: un frutto dal profumo – ossia, l’aspetto esterno – familiare a un europeo, che addentandolo ne scopre la natura esotica, insolita al suo palato; un frutto designato inoltre da una parola proveniente da una lingua delle po-polazioni indigene, che rammenta a De Amicis l’esistenza di un’Argentina precedente la conquista europea, che la nuova Argentina in via di formazione, “civilizzata” dagli europei, non potrà cancellare del tutto.

Del breve ma intenso viaggio in Sud America, delle città e delle colonie visitate, dei paesaggi attraversati, di tutto questo, ciò che rimase profondamente impresso nella mente dello scrittore furono solamente due linee infini-te, “el horizonte verde de la pampa, el horizonte azul del Océano”.

La visione dell’“inconmensurable” spazio americano

La prima metà della lettera è pervasa da un’atmosfera onirica: immagini e oggetti pro-venienti dal Sud America sembrano aver invaso la casa dello scrittore e l’Argentina pare essere divenuta una sua ossessione.

angolo della memoria

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L’Argentina “infinita” apparve probabilmente di ardua rappresentazione a uno scrittore come De Amicis, abituato a descrivere gli spazi del Vec-chio Mondo

trasgredisce, travalica la mente dello scrittore, travolge e squarcia gli spazi italiani, “dos inmensas superfícies verde y azul cubrían la Exposición, el Piamonte, la Italia”. Lo spazio argentino è così immenso che la mente di De Ami-cis non riesce a contenerlo: esso travolge letteralmente e letterariamente lo scrittore facendogli perdere il controllo della scrittura.

Solo la rievocazione di avvenimenti della storia ita-liana, o la lettura dei propri appunti di viaggio e di libri relativi alle terre visitate riescono a calmare momentanea-mente le allucinazioni argentine che lo assillano.

Nella seconda parte della lettera, De Amicis espone le sue prime riflessioni sul fenomeno migratorio italiano verso le Americhe e, come farà Gramsci, esorta altri gior-nalisti e letterati a rivolgere il loro interesse al “estudio de la emigración, [...] las cruzas de las nacionalidades, las tranformaciones del italiano en el argentino”.

Infine, in questa lettera De Amicis promette ufficial-mente il libro sulle terre del Rio de la Plata e sui connazio-nali emigrati. Promessa che, come sappiamo, non manten-ne, perché, come avrebbe poi spiegato in La mia officina, il lavoro “non sarebbe riuscito né originale né utile per insufficienza di dati personali e diretti, ma un libro fatto coi libri, faticoso e non sincero”.

L’Argentina “infinita” apparve probabilmente di ardua rappresentazione a uno scrittore come De Amicis, abituato a descrivere gli spazi del Vecchio Mondo e dell’Italia in particolare: spazi circoscritti da confini naturali facilmen-te esperibili e deposito di immagini letterarie inveterate e note, alle quali era possibile attingere per offrire rappre-sentazioni della realtà che incuriosivano, ma non destabi-lizzavano l’immaginario dei lettori.

Di fronte allo spettacolo di quel “Nuovo Mondo”, tanto immenso da non essere paragonabile con alcun luogo co-nosciuto né a lui, né ai suoi lettori, De Amicis sentì forse inappropriati i propri strumenti narrativi. Anche le letture e le conoscenze che un’intera biblioteca avrebbero potuto offrirgli si mostrarono insufficienti perché, come spiega nella lettera, “si los libros cubren, no llenan los vacíos de un viaje”.

Incipit della lettera di Edmondo De Amicis datata “Pinerolo, 6 settembre 1884”, pubblicata su «El Nacional» il 6 ottobre 1884.

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sierquando formarsi vuol dire comprendere:l’argentina elabora un progetto innovativo per migliorare la formazione dei docenti di lingua straniera

È stato presentato dal Ministerio de Educación argentino un ambizioso progetto, promosso dall’OEA, che detta le nuove linee su cosa e come si devono formare le future generazioni di docenti di lingue straniere.

María Emilia PandolfiBuenos Aires

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Introduzione: una preoccupazione

Quanto di quello che ci hanno in-segnato ci é stato veramente utile nel momento in cui noi, docenti di Lin-gua Straniera (LS), ci siamo trovati davanti a una classe?

Le competenze che un docente di lingua straniera è tenuto ad avere non sono sempre acquisite durante il percorso di formazione.

La distanza che intercorre tra la situazione aulica concreta e quella che si studia e analizza in contesto di formazione e – perché no? – si sogna è misurabile attraverso la quantità e qualità di problemi concreti che il docente, finita la formazione, non è in grado di risolvere quando arriva il momento di insegnare. Infatti si veri-fica oggi che la formazione docente è spesso lacunosa per molti aspetti, non solo per quelli disciplinari ma anche per quelli didattici, socio-relazionali, interculturali, ecc. Il divario tra i sa-peri e le relative applicazioni lo rende un campo di analisi con tanti aspetti ancora irrisolti.

Un problema rischioso

No alarma poco darnos cuen-ta de que no actuamos como sabemos: existe una enorme brecha entre nuestras teorías y nuestras prácticas.

Con queste parole Paula Pogré1 (2002:102) si riferisce alla disconti-nuitá esistente tra la formazione e il lavoro in aula.

La studiosa dimostra come i sape-ri della formazione sono spesso co-noscenza fragile e cioè quella che si acquisisce ma non diventa significa-tiva, non è utile né riutilizzabile. Si impara ma non si sa perché s’impara quello che s’impara né a quale scopo. D’altra parte la possibilità di appli-care la conoscenza acquisita spesso viene meno in quanto i contesti di insegnamento presentano delle realtá completamente diverse da quelle im-maginate mentre ci si forma. Il ver-

bo della citazione, allarmare, mette sull’attenti gli attori della formazione e fa intravedere una situazione peri-colosa. Infatti l’incoerenza tra i saperi e il fare è una situazione di rischio, di pericolo, di disorientamento.

Il progetto

Partendo quindi dalla consape-volezza del bisogno di rinnovare la formazione docente per far sì che formazione e lavoro in aula siano un continuum coerente, viene avviato in Argentina un progetto che focalizza la problematica generale dell’educa-zione linguistica, tra altre, e assume come sfida la necessità di un ripen-samento a livello di formazione do-cente che comporti un’ottimizzazione delle proposte attuali.2

Il Ministerio de Educación, attra-verso la Secretaría de Políticas Uni-versitarias, coordinata da Mariana Fernández, insieme all’Instituto Na-cional de Formación Docente, nei primi mesi dello scorso anno, ha con-vocato gli attori della formazione – i docenti di livello superiore e univer-sitario – per riflettere sulla forma-zione attuale dell’insegnante di LS e formalizzare la discussione attraverso la stesura di un documento organico. Il nome del progetto é: Proyecto de Mejora de la Formación Docente Ini-cial para el Nivel Secundario orienta-

Il divario tra i saperi e le rela-tive applicazioni lo rende un campo di analisi con tanti aspetti ancora irrisolti.

1 Paula Pogré é un’esperta argentina in Scienze dell’Educazione, ricercatrice e consulente dell’U-NESCO.

2 Questo progetto s’inquadra all’interno di un progetto generale di revisione dell’intera forma-zione docente nelle diverse aree e non solo per le lingue straniere.

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do a la disciplina Lengua Extranjera. Per il progetto sono stati selezio-

nati 35 docenti di 4 LS: inglese, fran-cese, portoghese e italiano. I docenti scelti, tutti con un’ampia esperienza nella formazione di formatori, erano provenienti da diverse province ar-gentine nonché da differenti ambiti della formazione. Nel caso dell’ita-liano hanno partecipato al progetto, oltre che la sottoscritta, gli studiosi Monica Arreghini, Claudia Fernán-dez Speier, Julio Jazmín e Alejandro Patat.

Il lavoro sarebbe stato svolto nell’arco di sei mesi con una modali-tà mista: lavoro on line e due incon-tri in presenza di due intere giornate ciascuno e sotto la guida di Paula Po-gré e il coordinamento scientifico di Estela Klett, docente dell’Universidad de Buenos Aires. I lavori, iniziati nel secondo semestre 2010 si sono con-clusi agli inizi del 2011 e sono stati presentati e pubblicati in versione definitiva nel mese di maggio del corrente anno (vedi sotto dove scari-care i documenti).

Lo spirito del progetto

a. Uno sguardo plurale

Presentar las lenguas juntas y posicionarlas en un nivel de paridad es un gesto político contundente, pues es una for-ma de combatir las jerarquías

instaladas en el imaginario so-cial.3

Le diverse lingue insegnate a scuola hanno affrontato processi di evoluzione a sé stanti a seconda delle politiche linguistiche applica-te, hanno assunto principi didattici e modalità di insegnamento propri, di-fendendo spesso i propri interessi di espansione a scapito delle altre lingue straniere presenti nelle comunità lin-guistiche del Paese.

D’altronde il principio della spen-dibilitá delle lingue, secondo cui una lingua va insegnata se “utilizzabile”, ha regolato la bilancia delle decisio-ni su quali lingue insegnare, quanto, come, a chi e, naturalmente, quale formazione impartire a coloro che si preparano per insegnare.

Uno dei punti innovativi del pro-getto è stato capire che i cambiamen-ti nella formazione dell’insegnante di una LS non si possono verificare se non in armonia con analoghi cam-biamenti in tutte le lingue insegnate.

Le lingue – compresa quella materna – costituiscono un tutto nel sillabo del-la formazione e non conta tanto quale lingua ma quanta riflessione metalin-guistica si è in grado di fare a partire dallo studio di una lingua.

Come detto, dunque, la discus-sione si é svolta in gruppi eterogenei formati da insegnanti delle diverse lingue, provenienti sia da ambiti uni-versitari che da istituti di formazio-ne4, contesti questi ben differenziati e con proposte formative a sé stanti.

In questo modo, la riflessione ha consentito la valorizzazione della di-versità e ha affermato la consapevo-lezza dell’alterità, principi che hanno in egual misura regolato la discussio-ne e permesso uno scambio plurale e un arricchimento reciproco.

Il dibattito ha palesato inoltre che ogni esperienza linguistica si affer-ma e consolida a partire dalla L1. La conoscenza descrittiva e pragmatica della propria lingua agevola l’aper-tura al contatto con piú lingue, cre-ando analoghe o antagoniche stra-tegie di confronto, riflessione e uso. È attraverso la propria lingua che si approfondiscono e allargano le sfere metalinguistiche, metacognitive e in-terculturali.

E la possibilità di utilizzare un metalinguaggio comune crea le con-

Uno dei punti innovativi del progetto è sta-to capire che i cambiamenti nella formazione dell’insegnante di una LS non si possono verifica-re se non in armonia con analoghi cambiamenti in tutte le lingue insegnate.

La conoscenza robusta si sostituisce a quella fra-gile quando imparare vuol dire comprendere.

3 Parole di Estela Klett in occasione della presen-tazione ufficiale del documento presso il Mini-sterio de Educación Argentino. Buenos Aires, 4 maggio 2011.

4 In Argentina, gli Istituti di Formazione Docente o “Institutos Superiores del Profesorado”, rag-gruppati dall’INFOD (Instituto Nacional de For-mación Docente) sono delle istituzioni superiori che offrono una formazione specialistica pari a quella universitaria finalizzata esclusivamente alla formazione degli insegnanti.

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5 La traduzione è a cura della redazione.

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dizioni per “richiamare l’attenzione sul processo di riconfigurazione della lingua materna che inizia a partire dal contatto – e il conflitto – con la lingua straniera” (Franzoni 1992:15-16)5.

b. Formarsi per comprendere

La conoscenza robusta si sostitui-sce a quella fragile quando imparare vuol dire comprendere. Aderendo alla definizione di comprensione data dal-la Pogré (2004:18-19):

Comprender es pensar y actuar flexiblemente en cualquier cir-cunstancia a partir de lo que uno sabe acerca de algo,

formarsi diventa imparare a com-prendere e far comprendere. In que-sta prospettiva, secondo la studiosa, l’educazione per la comprensione

parte de reconocer que los estu-diantes siempre tienen algu-na comprensión sobre aquello que deseamos que comprendan aunque tales comprensiones intuitivas sean preconceptos que los estudiantes poseen de su entorno y de la manera en el que éste funciona (ivi: 70).

Formare allora non è solo trasmet-tere conoscenze ed esperienze bensì approfittare delle esperienze che ha l’altro per poter risignificarle. La co-noscenza si costruisce nell’interazio-ne. Ed è possibile concettualizzare, visualizzare la comprensione che ne deriva attraverso delle attivitá o azio-ni che consentono sia allo studente

che al docente di essere consapevoli di che cosa si comprende. Ne sono esempi, azioni quali: interpretare, pa-ragonare, spiegare, applicare, stabili-re rapporti, fare analogie, ecc.

I tre quesiti e i nuclei della formazione

Lungi dall’intenzione di presenta-re una lista di contenuti – tradiziona-li o nuovi che fossero –, il progetto si è articolato intorno a quattro assi problematizzanti la formazione del docente di LS, che sono stati in se-guito i quattro nuclei del documento elaborato:

• apprendimento• cittadinanza• interculturalità• pratiche discorsive

Il nucleo Apprendimento del do-cumento affronta i problemi cogniti-vi, sociali, affettivi che sperimenta lo studente di una LS quando apprende. Questo nucleo si propone di offrire degli elementi non solo per la forma-zione a livello teorico delle diverse prospettive coinvolte ma soprattutto per poter accompagnare attivamente lo studente nel processo di appren-dimento. L’équipe che ha lavorato in questo campo ha tenuto conto delle teorie sull’analisi dell’errore e sull’in-terlingua e ha analizzato il ruolo del-le TIC nello studio linguistico.

Il nucleo Cittadinanza si è posto il problema di quanto influiscano le diverse politiche linguistiche nella

democratizzazione dell’insegnamento e nella creazione e rispetto dello spa-zio linguistico-culturale. L’équipe ha valorizzato il ruolo del docente come agente di mediazione sociale, respon-sabile di costruire una società sempre piú plurale.

Il nucleo Interculturalitá propone uno sguardo plurale da parte del do-cente che valorizza l’interesse e il ri-spetto della cultura altrui con la quale lo studio della LS stabilisce un rap-porto, senza pregiudizi né stereotipi. Offre degli spunti per formarsi nella diversità, per riflettere sulla propria cultura e posizionarla nei confronti della cultura straniera.

Il nucleo Pratiche discorsive ri-flette sulla lingua come costruzione sociale. L’idea che i significati emer-gano nell’interazione all’interno di contesti comunicativi concreti pone al centro la lingua non solo come sistema ma anche come potenzialità d’uso. Il parlante è ritenuto sogget-to dell’enunciazione che stabilisce dei rapporti con il mondo attraverso la convenzionalità delle pratiche di-scorsive.

a. Il primo quesito

Capito lo spirito del progetto, e partendo dalla premessa che formarsi è comprendere, il gruppo di studiosi richiamati ad elaborare i nuovi do-cumenti per la formazione si è posto questa prima domanda:

Formare allora non è solo trasmettere conoscenze ed esperienze bensì approfittare delle esperienze che ha l’altro per poter risignificarle. La conoscen-za si costruisce nell’interazione.

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“Che cos’è che interessa veramen-te che i futuri docenti comprendano del campo disciplinare della lingua straniera?”

Come risposta a questo quesito sono emersi dei grandi assi di rifles-sione – dei fili conduttori – facendo uso della terminologia proposta dalla Pogré. In essi l’aspetto prettamente disciplinare e quello didattico appa-rivano strettamente legati in un rap-porto vicendevole.

b. Il secondo quesito

“Come possono i futuri docenti costruire quelle comprensioni?” Ecco la seconda domanda postaci, la qua-le ha trovato risposta attraverso la formulazione delle cosiddette mete, esperienze e mappe di progresso. In altre parole, focalizzati i nuclei, la discussione si è orientata verso la definizione di obiettivi concreti rag-giungibili attraverso esperienze al-trettanto concrete che sono quelle che veramente fanno capire che i fu-turi docenti hanno compreso quello che a noi, formatori, interessava che comprendessero.

c. Il terzo quesito

Una terza domanda ha dato luogo a nuove discussioni: “Come si può sa-pere se gli studenti hanno veramente

compreso?”.Le esperienze che affronta chi si

sta formando sono la risposta a que-sta terza domanda. Formatori e futu-ri docenti capiranno se gli studenti hanno compreso nella misura in cui realizzeranno determinate esperienze. Tali esperienze da affrontare dovreb-bero evolversi nell’arco della forma-zione e maturare durante l’esperienza dell’insegnamento.

La fase finale del documento pro-pone una serie di descrittori qualitati-vi che consentono di esplicitare l’im-portanza e pertinenza di ogni meta nei diversi momenti della formazio-ne. Partendo da un descrittore comu-ne l’evoluzione della meta mostra de-gli stadi di approfondimento diversi.

Un esempio

Prendiamo un esempio dal docu-mento. Soffermiamoci sul nucleo In-terculturalitá7.

Riteniamo importante – per esem-pio – che il futuro docente compren-da il valore di un’adeguata compe-tenza interculturale e plurilingue. Se ci chiediamo come possa costruire questa comprensione, proponiamo la meta:

La presenza dell’Italiano non solo allarga la prospettiva plurale e plurilingue ma offre altresì un contributo altamente illuminante al processo di democratizzazione dell’insegnamento linguistico in Argentina, data la sua esperienza di lingua di immigrazione costi-tutiva del tessuto sociale e identitario della nostra realtà attuale.

6 In spagnolo, i teorici delle Scienze dell’Educa-zione utilizzano la parola “desempeño”.

7 L’esempio é tratto dal documento presentato, scritto interamente in lingua spagnola. La tradu-zione è a cura della redazione.

ESPERIENZE• Prepara materiali didattici

adeguati a diversi contesti locali di insegnamento/apprendimento

della LS, che contengano attivitá discorsive di confronto

interculturale per favorire le percezioni interculturali e

contrastare pregiudizi su valori, credenze, tradizioni.

• Osserva e analizza proposte didattiche relative a approcci

plurali (ad es. le pratiche di intercomprensione) che

favoriscono la comunicazione plurilingue e interculturale.

METAAnalizzare criticamente i diversi approcci di insegnamento che

favoriscano gli scambi plurilingui e pluriculturali.

Enunciata la meta, proposte le esperienze, il documento esplicita la seguente progressione formativa (scandita in tre diversi tempi) per il descrittore competenza plurilingue e interculturale.

Le esperienze che dovrá affrontare chi si sta formando sono:

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dos

sier

1. A METÀ DEL PROCESSO DI FORMAZIONE

2. QUANDO HA FINITO IL CORSO DI FORMAZIONE DOCENTE

3. QUANDO INIZIA A INSEGNARE

Conosce e utilizza gli strumenti metodologici per l’analisi delle realtà

linguistico-culturali differenti dalla propria.

Elabora griglie di rilevamento dati applicabili a diversi contesti

di insegnamento/apprendimento e individua aspetti socio-culturali,

istituzionali, aulici e personali che configurano le culture

di insegnamento/apprendimento della LS.

Seleziona e propone argomenti da approfondire che pongano degli interrogativi

su pratiche interculturali non previste dal corpus della formazione.

Utilizza i dati raccolti per rivedere la dinamica delle componenti della situazione aulica e propone delle strategie per ottimizzare

i rapporti tra i diversi attori. A partire dalla realtà interculturale in cui

è inserito, elabora delle attività contestualizzate al di fuori della realtà dell’aula.

8 “Per mercato delle lingue intendiamo il sistema che vede diffondersi le lingue a livello interna-zionale, in quanto oggetto di apprendimento da parte di stranieri. Esso è il frutto, però, non solo della intrinseca identità semiotica e strauttura-le delle lingue, ma anche del sistema che nella lingua fa convergere le dinamiche sociali e pro-duttive delle comunità dei suoi utenti primari, le politiche istituzionali di promozione della diffu-sione, la capacità che le società hanno di propor-re al resto del sistema internazionale le proprie identità sociali e culturali in termini di punti di riferimento, di modelli dotati di prestigio e suc-cesso” (De Mauro et al. 2002: 46).

chimento culturale e allo stesso tem-po l’esperienza della debolezza di una lingua che stenta ancora a guada-gnarsi lo spazio linguistico che me-rita all’interno del cosiddetto mercato delle lingue8.

Negli ultimi anni la presenza dell’i-taliano è aumentata non solo a livel-lo di insegnamento/apprendimento e conseguente apertura di nuovi corsi in sempre più svariati ambiti di for-

Conclusioni

Riteniamo doveroso spendere qualche parola per evidenziare l’im-portanza della presenza dell’Italiano in un discussione a livello nazionale in cui si visualizza una politica lin-guistica che si pone il problema della formazione dell’insegnante di LS e che allo stesso tempo intende apri-re un risvolto innovativo ed efficace nell’insegnamento delle LS.

La presenza dell’Italiano non solo allarga la prospettiva plurale e pluri-lingue ma offre altresì un contributo altamente illuminante al processo di democratizzazione dell’insegnamento linguistico in Argentna, data la sua esperienza di lingua di immigrazione costitutiva del tessuto sociale e iden-titario della nostra realtà attuale; la robustezza di una lingua di cultura che contribuisce oltremodo all’arric-

Riferimenti bibliografici

Aguerrondo, Inés. Lugo, María Te-resa. Pogré, Paula. Rossi, Mariana. Xifra, Susana (2002). Las escuelas del futuro II. Cómo planifican las escue-las que innovan. Buenos Aires: Papers editores. Franzoni, Patricia (1992). Nos Ba-

stidores da “Comunicácao auténtica” Uma reflexáo em lingüística aplicada. Campinas: Unicamp/Funcamp. Pogré, Paula. Lombardi, Graciela

(2004). Escuelas que enseñan a pen-sar. Un marco teórico para la acción. Buenos Aires: Papers editores. De Mauro, Tullio. Vedovelli, Massi-

mo. Barni, Monica. Miraglia, Lorenzo (2002). Italiano 2000. I pubblici e le motivazioni dell’italiano diffuso fra stranieri. Roma: Bulzoni.

mazione, ma anche a livello decisio-nale in contesti di politica linguistica.

E per queste nuove sfide, ci vo-gliono insegnanti preparati, in grado di affrontare i nuovi scenari del mon-do del lavoro, della politica e della formazione di nuovi insegnanti. Ci auguriamo che la sfida compresa e assunta dai formatori a Buenos Aires possa essere un esempio stimolante anche per chi opera in altri paesi.

Dove scaricare gratis i documenti

http://www.me.gov.ar/spu/guia_tematica/CALIDAD/calidad_proyectos_de_articulacion.htmlTesto che spiega l’articolazione fra gli Istituti di formazione docente e le uni-versità per l’elaborazione dei documenti http://www.me.gov.ar/infod/documentos/lenguas_extranjeras.pdf

Testo integrale prodotto dalla commissione mista dell’Instituo Nacional de Formación Docente e la Secretaría de Políticas Universitarias.

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Nell’anno in cui si celebra il cen-tocinquantesimo anniversario

dell’Unità d’Italia è uscito il volume Storia linguistica dell’emigrazio-ne italiana nel mondo (d’ora in poi SLEIM), a cura di Massimo Vedovel-li. Si tratta della prima opera che ha come oggetto il destino della lingua italiana portata nel mondo a seguito delle varie ondate di emigrazione che hanno interessato il nostro Paese a partire dall’Unità.

La SLEIM presenta una caratteriz-zazione prevalentemente linguistica e s’inserisce nel panorama della ricer-ca scientifica che verte sui linguaggi, sulle lingue e sui codici, riconoscendo nell’esperienza migratoria non solo un tratto strutturale dell’identità so-ciale italiana, ma anche la funzione di centro propulsore degli assetti lin-guistici che si sono definiti nel corso della nostra storia idiomatica.

La SLEIM sposa la tesi avanzata

per una storia linguistica dell’immigrazione

Massimo Vedovelli conduce un’innovativa ricerca e rifles-sione sulla lingua degli emigrati italiani in concomitanza con i 150 anni dell’Unità d’Italia.

>> Vedovelli M. (a cura di), Storia lin-guistica dell’emigrazione italiana nel mondo, Carocci Editore, Roma 2011, pp. 568.

nell’innovativa ricostruzione della Storia linguistica dell’Italia unita di T. De Mauro (1963), secondo la qua-le i flussi migratori non possono non aver generato implicazioni linguisti-che, e anzi hanno contribuito a de-finire il quadro linguistico del nostro Paese. L’analisi condotta segue un’i-potesi retrospettiva: guardando alla situazione attuale si cercano di rico-struire i fattori e le condizioni con-testuali che possono aver costituito uno dei motori della storia linguistica italiana.

Il volume è articolato in due par-ti. La prima parte introduce il qua-dro teorico di riferimento, definendo i modelli descrittivi e interpretativi cui ricondurre l’analisi curata nella seconda parte. Il punto di partenza è la definizione dell’andamento gene-rale delle dinamiche linguistiche che hanno coinvolto le comunità italiane all’estero, attraverso tre nuclei d’i-

potesi: il “parallelismo”, la “discon-tinuità” e lo “slittamento”. Il primo elemento del modello descrittivo pro-posto dalla SLEIM, il “parallelismo”, descrive il rapporto tra le dinamiche linguistiche delle comunità italiane all’estero e quelle della società italia-na in via di formazione entro i con-fini nazionali. Riprendendo la lezione di De Mauro, si riconosce un’analogia tra le due realtà sociolinguistiche. La partenza dei nostri connazionali, in particolar modo nella prima grande ondata migratoria, non ha determi-nato un vero e proprio distacco dalla realtà d’origine, al contrario ha segna-

I flussi migratori non possono non aver generato implicazioni linguistiche, e anzi hanno contribuito a definire il quadro linguistico del nostro Paese.

letture e visioni

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to l’inizio di un costante e dinamico rapporto, alimentato primariamen-te dai continui flussi di rientro. Tale rapporto, a sua volta, ha contribuito ad innescare, entro e fuori i confini nazionali, dinamiche linguistiche pa-rallele, con moduli di convergenza orientati verso l’italiano o, meglio, verso l’immagine che si aveva dell’i-taliano. Immagine di una lingua di fatto non posseduta, essendo le co-munità italiane all’estero portatrici di una pluralità di dialetti come lingua madre, ma soltanto appartenente allo spazio linguistico di riferimento e og-getto di continua conquista e riela-borazione. Il secondo elemento costi-tutivo del modello interpretativo è la “discontinuità”, con cui si descrive la parziale frattura della seconda gran-de ondata migratoria italiana verso l’estero rispetto a quanto accaduto in precedenza. Si tratta di uno scarto che coinvolge non esclusivamente i tratti linguistici, bensì le condizioni socioculturali, economiche e tecnolo-giche che vanno a definire un nuovo assetto idiomatico di partenza. Gli italiani che sono partiti nel secondo dopoguerra hanno un contatto con la lingua italiana senza dubbio maggio-re rispetto al passato; di conseguenza nel loro spazio linguistico s’introduce un polo, seppur limitato nelle abilità, riservato all’italiano. Il terzo nucleo di ipotesi, lo “slittamento”, descrive la condizione linguistica della gene-razione dei giovanissimi, ovvero dei figli degli attuali giovani adulti di-scendenti della prima grande onda-ta migratoria. Da uno dei poli dello spazio linguistico dell’emigrazione italiana, in questa terza fase, l’italia-no slitta letteralmente fuori dal piano della competenza linguistico-comu-nicativa, diventando una vera e pro-

pria lingua straniera. L’uso esclusivo della lingua del Paese di destinazione supera il 60% nei giovanissimi, men-tre il dialetto risulta essere totalmen-te assente, così come l’italiano non rientra più nello spazio linguistico-culturale identitario di riferimento. Si procede, a questo punto, con la defi-nizione dei tratti che vanno a costi-tuire il cosiddetto ‘spazio linguistico italiano globale’, integrazione dell’o-riginale modello demauriano. A un impianto di analisi prevalentemente sociolinguistico, segue una riflessio-ne, a cura di M. C. Castellani, sul ruo-lo dell’istituzione scolastica e sulle li-nee d’intervento adottate dallo Stato italiano in ambito formativo a favore delle comunità italiane all’estero.

La seconda parte è dedicata, in-vece, alle analisi areali, ovvero alla descrizione sintetica, attraverso dati linguistici e non, dell’esperienza mi-gratoria vissuta dai nostri connazio-nali nelle varie aree di destinazione: Europa (a cura di M. Barni), America Latina (a cura di C. Bagna), Ameri-ca del Nord (a cura di S. Machetti), Australia e Nuova Zelanda (a cura di F. Gallina), Africa (a cura di R. Sie-

betcheu Youmbi), Giappone ed Estre-mo Oriente (M. Maruta). L’operazione di sintesi, resa necessaria dalla vastità della materia, non esclude la possibi-lità di riscoprire casi locali, esemplari di dinamiche specifiche o frequenti.

Il presente volume è stato realiz-zato nell’ambito del Progetto Strate-gico Nazionale di ricerca FIRB-MIUR “Perdita, mantenimento e recupero dello spazio linguistico e culturale nella seconda e terza generazione di emigrati italiani nel mondo: lingua, lingue, identità”, che vede capofila l’Università per Stranieri di Siena. Hanno collaborato alla realizzazio-ne del volume il gruppo di studiosi/e che operano all’interno del Centro di Eccellenza dell’Università per Stra-nieri di Siena e altri studiosi esterni, ugualmente impegnati in studi mi-gratori. La pluralità di voci coinvol-ta nella stesura del testo rappresenta senza dubbio uno dei punti di forza del lavoro, nonché una garanzia di ricchezza di contenuto e maggiore articolazione dell’opera stessa.

Paola Masillo

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L’opera si compone di un volume, un CD Rom e un sito internet

dedicato. Essa costituisce uno degli strumenti che integrano il Quadro Co-mune Europeo di Riferimento per le lingue ed è promosso dalla Divisione delle politiche linguistiche del Consi-glio d’Europa in collaborazione con diverse università europee.

Pertanto, con un taglio molto con-creto ed allo stesso tempo solidamente ancorato a riferimenti teorici chiari, il Profilo della lingua italiana risponde all’esigenza di delineare con preci-sione i contenuti linguistici specifici per l’italiano dei livelli di competen-za del Quadro, dall’A1 al B2, con una suddivisione in inventari (funzioni linguistiche, strutture grammaticali, nozioni generali, nozioni specifiche, lessico).

L’approccio metodologico seguito per la definizione dei descrittori lin-guistici è di tre tipi:

1. approccio intuitivo, tramite l’i-dentificazione della materia ver-bale, costituita da lessico, strutture grammaticali e funzioni linguisti-che, dal livello A1 al B2;2. approccio qualitativo: attraver-so la raccolta di dati autentici, fra le produzioni orali e scritte di un campione di candidati agli esami CELI; 3. approccio quantitativo: sono

generi, nozioni, funzioni e strutture dell’italiano A1 e A2Finalmente si pubblica in Italia un volume che delinea con precisione i contenuti linguistici dell’italiano per i livelli A e B del Quadro comune.

state create delle liste di frequen-za tramite l’elaborazione dei dati contenuti nei corpora per realizza-re gli inventari lessicali.Gli inventari linguistici (dei ge-

neri, delle funzioni, delle nozioni, specifiche e generali, delle strutture grammaticali) permettono ai fruito-ri del testo di programmare percorsi differenziati a seconda delle esigen-ze didattiche o metodologiche, sono collegati tra di loro ed hanno una struttura pensata per la consultazione incrociata, facilmente praticabile at-traverso la navigazione nel CD Rom, all’interno del quale vengono fornite delle esemplificazioni utili alla costru-

zione di curricoli di corsi predisposti per i diversi livelli di competenza del Quadro, e che, come più volte viene sottolineato dalle autrici, vanno op-portunamente “contestualizzati”.

Nel volume viene posta enfasi sull’aspetto interazionale dell’ap-prendimento linguistico, derivante dall’approccio orientato all’azione del Quadro e dalla creazione dell’in-ventario dei “generi” in interazio-ne. Francesca Parizzi individua nel genere discorsivo, nella concezione bakhtiniana del termine, la catego-ria idonea a fungere da “ponte” tra il Quadro e i Referenziali delle singole lingue sulla scia del modello francese.

Il genere viene innovativamente collocato dall’autrice in una prospet-tiva sociocostruzionista, in cui rap-presenta una vera a propria “azione sociale, un’azione retorica tipizzata” che si realizza in risposta a una situa-zione ricorrente socialmente definita; esso viene individuato quale primo strumento utile per la selezione e la presentazione graduata dei contenuti agli studenti.

Il Profilo, come più volte ricordato dalle curatrici ed autrici, è quindi da considerare uno strumento in costan-te evoluzione, un work in progress, un’opera la cui intenzione è da ricer-care nel processo di negoziazione del significato dell’esperienza didattica condivisa tra il lector, il pubblico a cui esso è rivolto, e l’auctor, ovvero le curatrici e autrici dell’opera.

Giulia Grosso

>> Spinelli B. / Parizzi F., Profilo della lingua italiana, La Nuova Italia, Scan-dicci 2010, pp. 224.

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A dispetto del titolo, il volume di Giorgio Graffi abbraccia l’intero

arco della linguistica occidentale dal-le origini ai giorni nostri. Un denso capitolo introduttivo, infatti, riper-corre la storia di questa disciplina a partire dai filosofi della Grecia antica fino ad arrivare alle teorie illumini-ste, consentendo in tal modo anche al lettore meno esperto di entrare con gradualità nella trattazione e di os-servare come molte delle questioni dibattute negli ultimi due secoli siano presenti da migliaia di anni nel pen-siero occidentale. Ad esempio, sot-tolinea Graffi, “il sistema delle parti del discorso elaborato dai grammatici antichi rimarrà un punto di partenza imprescindibile per tutta la linguisti-ca successiva, come lo è ancora oggi”.

La scelta di focalizzare l’attenzione sugli ultimi due secoli si basa, inve-ce, sulla considerazione che nell’Ot-tocento avvengono delle trasforma-zioni che segnano profondamente il cammino della linguistica: da una parte, il radicale cambiamento di metodo nell’indagine sulla parentela delle lingue, per cui non è infondato far risalire a questo periodo l’inizio della fase ‘scientifica’ della riflessione sul linguaggio; dall’altra, l’acquisi-zione da parte della linguistica dello statuto di disciplina autonoma, che

sintesi della linguistica degli ultimi due secoli Giorgio Graffi identifica tre grandi periodi nello sviluppo del pensiero linguistico tra Otto e Novecento, ma rimanda, in una lunga introduzione, alle prime grandi intuizioni dei filosofi greci.

>> Graffi G., Due secoli di pensiero linguistico. Dai primi dell’Ottocento a oggi, Carocci, Roma 2010, pp. 493.

da cui consegue che “la linguistica è parte della psicologia” e che essa “deve concentrarsi in modo parti-colare sulla ricerca degli universali, cioè delle proprietà comuni a tutte le lingue umane”, p. 358), delle quali Graffi si è a più riprese occupato: a lui si deve, tra gli altri contributi, Che cos’è la grammatica generativa (Ca-rocci, Roma 2008), un’introduzione alla teoria chomskiana che condivide con il presente volume agilità e chia-rezza d’esposizione.

Tra gli altri pregi di questa storia del pensiero linguistico vanno infine ricordate la selettività degli autori e degli argomenti trattati, secondo un’impostazione che privilegia la qualità sulla quantità; le numerose citazioni di passi degli studiosi pre-si in esame, che permettono di avere un approccio diretto con i testi; le bi-bliografie ragionate poste alla fine di ogni sezione, che offrono indicazioni di lettura a chi voglia approfondire singole questioni e che vanno in tal modo ad arricchire la bibliografia ge-nerale che chiude il volume.

Francesco Feola

ha una data precisa, il 1821, quando l’Università di Berlino affida a Franz Bopp la cattedra di filologia orienta-le e linguistica generale, la prima di questa materia.

Vengono così a delinearsi tre pe-riodi, affrontati in altrettante sezio-ni: “l’Ottocento”, “dalla fine dell’Ot-tocento alla metà del Novecento” e “l’ultimo mezzo secolo”. Se il primo di questi periodi è dominato, come si è già accennato, dalla linguistica storico-comparativa dei vari Rask, Grimm, Schleicher, solo per citare alcuni suoi rappresentanti, nel Nove-cento prevale l’interesse per l’analisi sincronica, legato all’affermarsi della concezione della lingua come siste-ma: dobbiamo in particolare a Fer-dinand de Saussure aver evidenziato che la langue è strettamente connessa alla realtà sociale, affermando che “la langue non è completa in nessun in-dividuo, ma esiste perfettamente sol-tanto nella massa” (cfr. F. De Saus-sure, Corso di linguistica generale, Laterza, Bari 1967, p. 23). Nell’ultima sezione, dopo l’esposizione delle teo-rie di Morris, Wittgenstein e Austin, viene dedicato ampio spazio all’ope-ra di Chomsky, alla luce dell’indub-bia carica di novità delle sue ricerche (che partono dal presupposto che “il linguaggio è una capacità mentale”,

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“Macché mandolini e ‘O sole mio. Siamo un paese tragi-

co, fors’anche senza saperlo (e questo iato tra fatti, coscienza e rappresen-tazione ci avvicina al cuore del pro-blema)”.

Appartenenze e diversità, storia degli eventi e storia dei simboli, rico-struzioni e narrazioni: il problema cui la rassegna di saggi curata da Mario Isnenghi cerca di dare rappresenta-zione e insieme soluzione è quello del patrimonio di memorie del popolo ita-liano dall’unificazione in poi.

Già nel 1996, anno della prima edizione, la congiuntura politico-cul-turale rendeva necessario un lavoro che radunasse ricordi comuni e imma-ginari collettivi, per ripensare la storia unitaria e restituire “l’inesauribile e italianissima geografia delle differen-ze”. Chiamati a cooperare da Isnenghi, molti fra i maggiori storici contempo-raneisti (ma anche antropologi, lin-guisti, semiologi) avevano contribuito a disegnare un ampio panorama delle condensazioni e dei conflitti delle me-morie: un insieme di luoghi, comuni e meno comuni, da visitare per capire cosa significhi “Italia”.

Oggi più che mai, allo scoccare di un 150° anniversario saturo di pole-miche, divisioni e “imbarazzi tangibi-li”, la riedizione di un’opera con tale ambizione (arricchita dall’aggiunta di due saggi e una tagliente nuova

i luoghi della memoria nell’italia smemorata Una raccolta di saggi sui simboli, miti, eventi e personaggi che l’Italia dovrebbe ricordare.

introduzione) risulta significativa. “Quindici anni di abusi della memoria hanno reso più problematico il rap-porto con la parola regina di questo insieme di ricerche”: delegittimata non dal difetto ma dall’eccesso abu-sivo di memorie, dalla cronaca gior-nalistica e da un “anarchicheggiante ‘fai-da-te’ in cui ogni asserzione sul passato vale l’altra e tutte sono ugual-mente indimostrabili e insignificanti”, la ricerca storiografica ha ancora più bisogno di far risuonare forte e chiara la sua voce. La storia, dunque, storia degli eventi e della loro percezione, è l’unico antidoto a questo proliferare incontrollato di simboli, miti e versio-ni dei fatti; alle “abrogazioni di vis-suti collettivi, autodafè di memorie, e morti – godute o sofferte – di conce-zioni del mondo” bisogna opporre la fermezza del metodo.

E il team di Mario Isnenghi lo fa con precisione scientifica e chiarezza divulgativa: i tre volumi, autosuffi-cienti ma legati dalla stessa logica, Simboli e miti, Strutture ed eventi, Personaggi e date dell’Italia unita, presentano una vasta gamma di em-blemi e problemi dell’italianità. Così si passa dal Risorgimento al ‘68, da campane e campanili a piazza Fon-tana, da Matteotti all’utilitaria, attra-versando anche luoghi che si stanno svuotando (la piazza, il liceo classico) e memorie che stanno scomparendo

(il ‘56, il 1° maggio). I diversi studiosi propongono tagli diversi e una plura-lità di approcci, con l’obiettivo comu-ne di combattere la “decomposizione mentale dell’idea di Italia”.

Una celebrazione intelligente, non patriottica ma problematizzante, non solo politica ma culturale, sociale, “che vuole tenere al centro ciò che ricorda e pensa della storia la gente e non solo gli storici di professione”, ma anche una rivendicazione del ruo-lo della storiografia rispetto a inva-sioni di campo e strumentalizzazioni politiche. Un lavoro di trincea e di se-taccio, per ripristinare i punti fermi e valorizzare la pluralità. Per fare l’Ita-lia, ancora una volta.

“Spetta poi a coloro che via via ci vivranno, riconoscere, immedesimar-si o smarrire quei segni identitari. Le certezze su se stessi si affidano spesso alle pietre, cioè alla certezza e conti-nuità del paesaggio visivo in cui si è vissuti immersi”.

Silvia Sferruzza

>> I luoghi della memoria, 3 voll.: Simboli e miti, Strutture ed eventi, Personaggi e date dell’Italia unita a cura di Mario Isnenghi, Laterza, Roma 2010, pp. 732, pp. 604, pp. 514 rispettivamente.

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Tredici sono i capitoli di questo li-bro in cui, per raccontare l’idea

d’Italia, se ne stringono le fila delle informazioni di tipo storico, politico, letterario e linguistico dal V secolo a.C. agli albori dell’Unità, rintrac-ciandone le origini come nazione e dimostrando che come Stato non è nato ex abrupto nell’Ottocento.

Con questo intento, dunque, si tende lo sguardo molto indietro (si va da prima della Roma augustea all’I-talia medievale di Dante e Petrarca, dall’Umanesimo al Rinascimento, dal Cinquecento della Riforma al Seicen-to tanto mistificato, fino ad arrivare, alla fine del Settecento, alle origini dell’Unità d’Italia) e si dispongono le vicende in capitoli soltanto appa-rentemente chiusi in se stessi. È l’i-dea d’Italia, infatti, con i valori che la compongono e la storia che le ha dato forma di Nazione e di Stato, il filo conduttore.

Inoltre, originale è il punto di vi-sta di chi scrive, che non è soltan-to quello di uno studioso stanco di quell’“incapacità di fare i conti con la tradizione” che si manifesta o in una visione distorta e pessimistica del passato o, peggio, nell’andare avanti senza prima guardarsi indietro, ma anche quello di un italiano che vor-rebbe vedere l’Italia riprendersi dallo stato di crisi stagnante in cui si trova. Il libro, dunque, attraverso uno stile

l’italia come idea, patria, nazione e statoPercorso storico-culturale del concetto d’Italia attrraverso il tempo.

narrativo reso appetibile dall’accosta-mento di fatti e termini del passato e del presente, sembra un tentativo di rivolgersi agli italiani e a chi politi-camente li rappresenta per risvegliare in loro la consapevolezza di ciò che l’Italia è stata, è e potrebbe essere.

Un’idea raccontata da un auto-re che, volendo convincere il lettore che dal passato, anche da quello da molti storici ritenuto “trascurabile” o “decadente”, si può e si deve im-parare, propone riflessioni su opere che, come l’Italia Illustrata di Bion-do Flavio, ebbero come “centro di gravità il presente che li rimanda al passato, senza il quale il presente sa-rebbe incomprensibile”. Ed è così che Bruni, facendo emergere ciò che ha fatto e farebbe ancora dell’Italia un Paese all’avanguardia, riesce anche a contrastare con tesi storiche basa-te sul complesso d’inferiorità nazio-nale rispetto a Paesi come Francia e Inghilterra. Proprio la cultura, infatti, insieme all’ingegno fu il punto di for-za dell’Italia: come dimenticare che la cultura umanistica italiana le aveva assicurato un “anticipo in fatto di co-dificazione della lingua volgare” (p. 237)? Come dimenticare che mentre “i grandi scrittori della letteratura ita-liana erano apparsi già nel Trecento”, i classici delle letterature nazionali di Paesi come Francia, Inghilterra e Spagna sarebbero nati alla fine del

Cinquecento e nel Seicento (p. 226)? Ma nel testo non c’è solo “il bello” dell’idea, ma anche le difficoltà per concretizzarla e i punti di debolezza della “macchina Italia”, spesso gli stessi che si son portati dietro fino ad oggi: in primis la mancanza di coe-sione politica e sociale.

Un libro utile e interessante che, unendo la geopolitica alla letteratura e alla linguistica, mostra l’Italia come Idea, Patria, Nazione e Stato nel suo farsi, e che ha tutte le carte in regola per far riscoprire gli italiani come cit-tadini e, in fin dei conti, come artefici del proprio destino.

Anna Colia

>> Francesco Bruni, Italia Vita e avventura di un’idea.Il Mulino, Bologna 2010, pp. 568.

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Antonio Tricomi, l’autore di que-sto interessante volume “non

di saggi, ma organizzato per saggi”, offre al lettore uno studio compara-tivo e diamesico, dalla letteratura al cinema, sull’Italia e sulla cultura con-temporanea.

Il volume contiene quattordici saggi, editi e inediti. Si inizia con l’analisi del film Buongiorno notte di Marco Bellocchio, e si continua con vari scritti su autori, opere e temi vari: Bianciardi, Pasolini, Volponi, Balestrini, la letteratura moderna e post-moderna, Roland Barthes, Al-fonso Berardinelli, Walter Siti, Eraldo Affinati, Gomorra, Franco Cordelli e Il Duca di Mantova, Il Divo di Sorren-tino e il suo rapporto con Todo modo di Sciascia.

Ogni autore ed ogni opera vengo-no analizzati confrontandoli con nu-merosi altri scritti, rendendo inesatta o inutile una loro sintesi e illustra-zione all’interno di una recensione. Si ritrova ad esempio nei saggi una insistente sintesi speculativa che trae spunto dalle analisi dell’opera di Pier Paolo Pasolini, il quale appare l’intel-lettuale più citato e ripreso all’interno del volume. Pasolini è visto come il “fiero avversario della neoavanguar-dia”, diverso sia dagli altri scritto-

un intenso panorama della letteratura e del cinema italiano d’oggiAntonio Tricomi, critico letterario, analizza alcuni tra i ro-manzi e i film più significativi dell’Italia contemporanea. Il punto di riferimento rimane però l’opera di Pier Paolo Pasolini.

>> Tricomi A., La Repubblica delle Lettere: Generazioni, scrittori, società nell’Italia contemporanea, Quodlibet, Macerata, 2010, pp. 552.

ri a lui contemporanei sia a coloro che esordirono dalla fine degli anni Settanta in poi, egli è il poeta civi-le e l’intellettuale utopico, colui che scrivendo la recensione a Un po’ di febbre del poeta Sandro Penna la inti-tolò: «Che Paese meraviglioso era l’I-talia durante il periodo del fascismo e subito dopo!» (raccolta in seguito negli Scritti corsari): “… attenzio-ne! A parlare non è qui un uomo di destra. Pasolini non rimpiange il fa-scismo, ma semplicemente un’epoca in cui, a suo parere, esistevano zone di resistenza al Potere e una cultura, una forma di vita giornaliera, tradi-zioni, quelle popolari, capaci, seppur sottomesse e vessate, di mantenersi incorrotte e, al limite, di offrirsi come

modelli e agenti di una lotta di libe-razione” (p. 75). Anche il ’68 è una tema che ricorre più volte, ed ancora una volta non può che essere richia-mato Pasolini.

Particolarmente riuscita appare l’operazione di sintesi intellettuale tra la letteratura ed il cinema, proponen-do peraltro un’operazione pedagogica di ampio respiro ed interesse. Il vo-lume di Tricomi da questo punto di vista può rappresentare un condivi-sibile e auspicato approccio didattico, applicabile sempre più con profitto in un mondo – anche quello della scuola e della università – che si evolve ver-so l’utilizzo delle risorse virtuali. La possibilità di utilizzare la forza cono-scitiva di più arti messe in relazione è un principio importante su cui con-tinuare ad investire risorse intellet-tuali ed editoriali, per questo sarebbe auspicabile un’appendice digitale e ipertestuale al volume che consenta di fruirne a pieno le potenzialità.

È tuttavia da sottolineare come i numerosi titoli e autori presi in con-siderazione all’interno di ogni saggio rendono di difficile lettura un libro senz’altro interessante, ma che avreb-be potuto prevedere uno spazio più ampio per inserti di citazioni, le quali avrebbero consentito al lettore medio di seguire con più facilità le tesi di Antonio Tricomi.

Alla fine del libro si trova un ac-curato e utile indice dei nomi di sicu-ro orientamento per il lettore.

Giuseppe Emiliano Bonura

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domani, il nuovo manuale d’italiano di Alma Edizioni, punto di arrivo di anni di studio, ricerca e sperimentazioneDialogo con gli autori, Ciro Massimo Naddeo e Carlo Guastalla, in occasione dell’uscita del secondo volume.

Da cosa è nata l’esigenza di pubblicare un nuovo manuale?

ciro massimo naddeo Domani nasce da una presunzione: quella di pro-durre un testo che si differenzias-se da tutti i manuali attualmente in commercio, proponendo qualcosa di nuovo. Domani rappresenta infatti la sintesi della nostra visione didattica. È il punto d’arrivo di anni di produ-zione editoriale, studio, ricerca e spe-rimentazione nelle classi.carlo guastalla In Domani siamo par-titi dalle indicazioni del Quadro co-mune europeo di riferimento per le lingue, ormai diffusamente accettate, con l’obiettivo però di realizzare un prodotto che si spingesse ancora ol-tre, fosse cioè innovativo, stimolante, creativo, con forti tratti distintivi.

Entriamo nel merito. In che modo Do-mani si differenzia dagli altri manuali di italiano oggi disponibili?

carlo guastalla Oltre a seguire con-cetti ormai assodati nell’ambito dell’apprendimento linguistico – la centralità e l’autonomia dello stu-dente, l’autenticità della lingua, la dimensione cooperativa, lo sviluppo dell’abilità di imparare a imparare, il “saper fare” con la lingua e il metodo

induttivo – abbiamo voluto dare spazio a tecniche e strategie non convenzionali, come, ad esempio, la proposta di percorsi di-dattici che permettono allo studente di focaliz-zare gli obiettivi in modo progressivo. Le attività sono cioè composte da passi successivi, recepiti sì come impegnativi ma mai come troppo difficili per poter essere svolti. In questo modo alla fine di un percorso lo studente raggiunge una competenza a cui, prima di comin-ciare, non avrebbe mai pensato di poter arrivare in così breve tempo.ciro massimo naddeo Questo è stato uno dei punti sui quali ci siamo con-centrati maggiormente: fare in modo che le singole attività risultassero sempre fattibili, ma anche stimolanti e impegnative, mai scontate; e tut-to cercando di non rinunciare mai alla ricchezza della lingua. Gli input sia scritti che orali di primo acchito potrebbero sembrare difficili per un principiante (o quantomeno meno facili di quelli proposti in manuali equivalenti), ma non sono recepiti come impossibili dagli studenti, sia per le strategie descritte da Carlo che

per il fatto che abbiamo adottato una sorta di narrazione a catena, nella quale nei testi proposti tornano ele-menti (situazioni o personaggi) già noti allo studente perché protagonisti di altri testi nelle attività precedenti. Attraverso la ridondanza di elemen-ti parzialmente conosciuti, frequenti ritorni al testo orale o scritto, l’atti-vazione costante di conoscenze pre-gresse e il rilancio continuo della motivazione, lo studente segue un processo di apprendimento impegna-tivo ma gratificante.

Voi, nell’introduzione al volume, par-late di approccio multisensoriale. Che cosa intendete?

carlo guastalla Le attività del corso si alternano in modo da attivare ogni

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volta un canale e un tipo di atten-zione diversa (uditiva attraverso bra-ni audio, visuale attraverso esercizi incentrati sulle immagini, dinamico-spaziale attraverso il gioco…).In questo modo abbiamo cercato di venire incontro alle esigenze dei di-versi stili di apprendimento necessa-riamente presenti in una classe. L’in-segnante, qualsiasi sia il suo contesto di lavoro, non può non tenere conto delle particolari attitudini, sensibilità e abitudini dei singoli allievi.

Una domanda di particolare rilevanza per chi insegna italiano all’estero: in che modo Domani presenta la cultura italiana?

ciro massimo naddeo Va detto in primo luogo che il corso ha un for-tissimo taglio culturale, nel senso che all’interno delle unità e dei percorsi ci sono continui riferimenti alla cultura intesa come arte, storia, letteratura, musica, cinema... Si tratta quindi di un discorso che si sviluppa in modo integrato con quello più prettamente linguistico. Ma c’è di più: per noi la cultura va intesa anche e soprattutto come un insieme di regole socio rela-zionali utili per vivere e comunicare all’interno di una comunità. Tenuto conto che oggi in glottodidattica si parla di lingua-cultura, vediamo la lingua come l’insieme degli aspet-ti che ogni volta entrano in gioco quando si comunica: aspetti pragma-tici, conversazionali, lessicali, e an-che socioculturali. Domani cerca di trattare lo studio della lingua consi-derando questa pluralità di elementi e rendendo lo studente consapevole di cosa implica l’inviare o il ricevere un messaggio in italiano. È insomma un approccio alla lingua di tipo glo-bale. Per questo, ad esempio, abbia-

mo ritenuto opportuno soffermarci su modalità espressive, sociali e non stereotipate dell’essere italiani, spes-so ignorate nei livelli bassi (come l’imprecazione), o andare più a fon-do nella presentazione di aspetti so-ciolinguistici spesso non esplicitati: nella sezione dedicata ai saluti, tutti i manuali per principianti indicano fin dalle prime unità “buongiorno” e “buonasera”, tuttavia quasi nessuno di essi fa capire allo studente in qua-le momento della giornata si smet-te di utilizzare la prima formula per passare alla seconda (curiosità che emerge quasi sistematicamente e in modo del tutto legittimo nelle classi di principianti). Domani si propone di colmare lacune di questo tipo.

Per Alma Edizioni il gioco è sem-pre stato un elemento fondamentale nell’apprendimento linguistico. Lo è anche in Domani?

carlo guastalla In effetti lo è da quan-do è nata Alma Edizioni. Il gioco è, se ben dosato in funzione del tipo di classe che si ha davanti, fonte di piacere, quindi di motivazione. Coin-volge la sfera affettiva ed emotiva dello studente, eliminando così ansia e stress e contribuendo a creare un ambiente piacevole e rilassato, con-dizione sine qua non per un appren-dimento efficace. Tutti i percorsi di-dattici di Domani mirano a stimolare lo studente attraverso attività ludiche e creative che prevedono la collabo-razione tra membri di una squadra, lo spostamento nella classe e il ri-corso anche a linguaggi non verbali (come il mimo).

Di cosa si compone il corso completo?

ciro massimo naddeo Di un libro per lo studente con eserciziario in-

tegrato, un CD audio, un DVD ROM e una guida per l’insegnante. Tra le altre cose, il DVD ROM contiene la versione animata del fumetto presen-te alla fine di ogni modulo del libro dello studente, una canzone-karaoke, un cortometraggio, visionabile con o senza sottotitoli e le relative atti-vità didattiche. Il DVD ROM è nato proprio dall’esigenza di adottare un approccio realmente multisensoriale e venire incontro a diversi stili di ap-prendimento: abbiamo voluto offrire un corso nel quale fossero presenti vari tipi di supporto, quello filmico, quello canoro, quello testuale… In-fine, abbiamo prodotto un software per la LIM, la Lavagna Interattiva Multimediale, che in molti paesi è sempre più utilizzata.

Puntando in modo così marcato sull’innovazione, non c’è il rischio di creare dei materiali troppo difficili da utilizzare?

carlo guastalla Beh, in realtà una delle cose che ci stava più a cuore era che il manuale risultasse semplice da usare per l’insegnante e intuitivo per lo studente. Abbiamo cercato di for-mulare le istruzioni delle attività in modo chiaro ed esaustivo, al fine di limitare il più possibile il ricorso alla guida e di svolgere le lezioni senza che sia richiesta una grande prepa-razione o capacità d’uso. Volevamo che Domani si distinguesse inoltre per una grafica più moderna e accat-tivante rispetto a quella dei tradizio-nali corsi di lingua. Insomma, ave-vamo voglia di realizzare qualcosa di veramente nuovo. Ora starà agli insegnanti e agli studenti dire se ci siamo riusciti.

Redazione, Roma

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lI nuovo corso di italianodi ALMA EDIZIONIper chi vuole

entrare nel futuro

Ogni livello di Domani si compone di:

gli esercizii test di valutazione e autovalutazione

una canzone karaoke

i brani audio per la classei brani musicali per la classeÈ inoltre disponibile una guida per l'insegnante.

CD

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1. attività formative

2. certificazioni

SOCIEtà DANtE ALIGHIERI – ROMA

InaugurazIone Scuola dI ScrIttura dante alIghIerI, dIretta da MaSSIMo arcangeli. Laboratorio di scrittura creativa: A ciascuno il suo (genere), a cura di Filippo La Porta10 novembre 2011 – 8 marzo 2012Minilaboratorio: Introduzione ai generi letterari.4 moduli (ciascuno di 6 ore) dedicati a: il saggio; il reportage narrativo, il racconto, la canzone. Partecipano: Andrea Di Consoli, Sandra Petrignani, Massimo Onofri.

XXIV corSo dI aggIornaMento per docentI: Il MIo canto lIbero. la canzone ItalIana nelle claSSI dI l2/lSSede Centrale, Palazzo FirenzeRoma, 11-13 novembre 2011Il XXIV corso di aggiornamento per docenti della Società Dante Alighieri - PLIDA inaugura una nuova formula: un corso compatto in un fine settimana, per una durata complessiva di 17 ore, da venerdì pomeriggio (inizio ore 15.00) a domenica (termine ore 13.00).I Corsi di aggiornamento PLIDA sono destinati a docenti di lingua italiana a stranieri che operano presso i Comitati della Dante Alighieri o in altre istituzioni e scuole, in Italia e nel mondo. Info e iscrizioni: [email protected]

SOCIEtà DANtE ALIGHIERI – BUENOS AIRES

corSI dI ForMazIone e aggIornaMento docente on lIne organIzzatI dall’ISda per docentI dI ItalIano 4 ottobre - 27 dicembre 2011Info: [email protected]

corSo dI aggIornaMento dIdattIco-edItorIale SocIetà dante alIghIerI Sede centrale e alMa edIzIonI 3-5 novembre 2011Info: [email protected]

bando 4 borSe dI StudIo per l’IScrIzIone al corSo dI ForMazIone dI FonodIdattIca dell’ItalIano da SVolgerSI on lIne, In collaborazIone con l’unIVerSItà ca’ FoScarI dI VenezIa. Inizio: ottobre 2011. Durata: un anno accademico.

UNIVERSItà PER StRANIERI DI PERUGIA

l’unIVerSItà organIzza corSI dI lIngua e cultura ItalIana, corSI dI laurea e laurea MagIStrale, corSI dI aggIornaMento e ForMazIone per docentI, corSI dI alta cultura e SpecIalIzzazIone, dI MaSter e dottorato dI rIcerca

Info: www.unistrapg.it/didattica

UNIVERSItà PER StRANIERI DI SIENA

oltre aI corSI dI lIngua e cultura ItalIana, aI corSI dI laurea e laurea MagIStrale, aI VarI MaSter, l’unIVerSItà organIzza: Corso per docenti stranieri che insegnano la lingua italiana all’esteroSiena, 9-31 gennaio 2012 Info: www.cluss.unistrasi.it.

corSI per SoMMInIStratorI dI eSaMI cIlS - certIFIcazIone dI ItalIano lIngua StranIera dI prIMo e Secondo lIVello Siena, 17-18 novembre 2011 Info: www.cils.unistrasi.it.

corSo per ForMatorI e SoMMInIStratorI dItalS 3-4 febbraio 2012 Info www.ditals.unistrasi.it.

ModulI preparatorI alla certIFIcazIone dItalS dI I e dI II lIVello con erogazIone on-lIne:Analisi di testi e materiali didattici: 12 settembre - 7 ottobre 2011 / 19 dicembre 2011 - 13 gennaio 2012 / 2 - 27 aprile 2012 / 10 settembre - 5 ottobre 2012. Progettazione di materiali didattici: 17 ottobre – 11 novembre 2011 / 16 gennaio - 10 febbraio 2012 / 30 aprile - 25 maggio 2012 / 15 ottobre - 9 novembre 2012.Gestione della classe: 14 novembre - 9 dicembre 2011 / 4 - 29 giugno 2012 / 12 novembre - 7 dicembre 2012. Info: www.ditals.unistrasi.it

Scuola dI SpecIalIzzazIone e dottorato dI rIcerca

Dottorato di ricerca in Linguistica e Didattica dell’Italiano a Stranieri Dottorato di ricerca in Letteratura, Storia della lingua, Filologia ItalianaScuola di Specializzazione in Didattica dell’Italiano come Lingua StranieraInfo: www.unistrasi.it

celIPromosso dal Centro per la Valutazione e le Certificazioni Linguistiche dell’Università per Stranieri di Perugiawww.unistrapg.it

cIlSCertificazione di Italiano Lingua Straniera 1 dicembre 2011 presso tutte le sedi CILS. Per l’elenco delle sedi CILS e informazioni sule tasse d’esame consultare il sito www.cils.unistrasi.it. Iscrizioni entro 40 giorni prima dell’esame.

cIlS-dIt/c2 24-25 ottobre 2011 presso l’Università per Stranieri di Siena. Info: www.cils.unistrasi.it.

dItalSDidattica dell’Italiano Lingua Straniera di I e II livello 8 ottobre 2011 e 17 dicembre 2011 presso le sedi DITALS. Per l’elenco delle sedi DITALS e informazioni sule tasse d’esame consultare il sito www.ditals.unistrasi.it.

info

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3. convegni

4. altro

plIdaProgetto Lingua Italiana Dante AlighieriSessione novembre/dicembre 2011 Mercoledì 30 novembre 2011 (livelli A1, A2, B1)Giovedì 1 dicembre 2011 (livelli B2, C1, C2)Venerdì 2 dicembre (inizio prove orali)

XXVIII congreSo de lengua y lIteratura ItalIanaS de la aSocIacIón de docenteS e InVeStIgadoreS de lengua y lIteratura ItalIanaS (adIllI)Buenos Aires, septiembre 2012 Tema: Lo culto y lo popularInfo: www.adilli.blogspot.com

SIMpóSIo InternacIonal

Tema: Os cento e cinquenta anos da unificação italiana e as questões de identidade nacional no Brasil e na ItáliaFaculdade de Filosofia, Letras e Ciências Humanas – Universidade de São PauloSão Paulo, 7-11 de novembro de 2011info: [email protected]

MoStra “ItalIa una. la lIngua ItalIana nell’ItalIa unIta”. MoStra Sulla lIngua ItalIana. Biblioteca delle Oblate, Firenze11 ottobre-30 novembre 2011Una grande mostra in occasione dei 150 anni dell’Unità italiana a cura della Società Dante Alighieri in collaborazione con l’Accademia della Crusca e l’Associazione per la Storia della Lingua Italiana.Direzione Scientifica: Luca Serianni, Nicoletta Maraschio, Silvia Morgana.

Progetto FIRB: “Perdita, mantenimento e recupero dello spazio linguistico e culturale nella II e III generazione di emigrati italiani nel mondo: lingua, lingue, identità. La lingua e cultura italiana come valore e patrimonio per nuove professionalità nelle comunità emigrate”. (Università per Stranieri di Siena in collaborazione con l’Università degli Studi di Salerno, l’Università degli Studi di Udine, l’Università degli Studi della Tuscia,

plIda JunIoreS

Giugno 2011 (tutti i livelli e tutte le prove) I termini per le iscrizioni alle sessioni degli esami di certificazione PLIDA scadono una settimana prima della data di svolgimento.

XX conVegno aIpI (aSSocIazIone InternazIonale proFeSSorI d’ItalIano) teMa: l’ItalIa e le artI. lIngua e letteratura a dIalogo con arte, MuSIca e Spettacolo

Salzburg, 5 - 8 settembre 2012 Info: www.infoaipi.org oppure Prof. Dr. Peter Kuon ([email protected])

l’Università della Calabria e la Società ELEA). Il progetto, che ha avuto inizio nel 2009 e si concluderà nel 2012, ha tra i propri obiettivi una ricognizione delle condizioni linguistiche delle giovani generazioni di discendenti degli emigrati italiani all’estero. Per collaborare alla ricerca è possibile compilare i questionari on line del progetto. Il primo questionario è destinato a tutti i giovani discendenti di emigrati italiani (da 0 a 35 anni). Qualunque giovane può compilarlo on line sul sito del progetto www.universoitaliano.it. Il secondo questionario è invece destinato a tutti i soggetti (associazioni, scuole, Istituti Italiani di Cultura, comitati della Dante Alighieri ecc.) che promuovono la lingua e la cultura italiana nel mondo per i giovani di origine italiana. Se fai parte di qualche associazione o se ne conosci qualcuna, fai compilare il questionario sul sito www.universoitaliano.it dopo una breve procedura di registrazione. Info: [email protected].

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le celebrazioni dell’anno italia-brasile. intervista a aniello angelo avella.

Tra ottobre 2011 e giugno 2012 avrà luogo in varie città del Brasile un vasto calendario di eventi che vanno dall’economia all’arte, dall’industria alla gastronomia.

Quali sono i temi attorno ai quali ruote-rà l’anno Italia- Brasile?

L’anno Italia–Brasile ha un nome particolare: Momento Italia–Brasile, e avrà luogo fra ottobre 2011 e giugno 2012.

Obiettivo principale di questa ma-nifestazione è quello di presentare al pubblico brasiliano un’immagine dell’Italia contemporanea. Ovviamen-te cerchiamo di presentare gli aspetti migliori dell’Italia, le sue eccellenze in tutti i settori: ricerca, industria, moda, design, gastronomia. Insomma, le voci più importanti che compongono il si-stema Italia, oltre agli aspetti tipici della nostra cultura: l’opera, la musica, sia classica che leggera, l’arte (sono in programma alcune grandi mostre, fra cui una importantissima coi disegni di Leonardo Da Vinci, una su Caravaggio, una su De Chirico e l’arte contempora-nea), la storia (avremo un’altra gran-de manifestazione sull’impero romano dal suo nascere fino alla decadenza). Si farà sempre particolare riferimento ai legami fra i due Paesi: ci saranno manifestazioni per ricordare la presen-za in Brasile di personaggi eminenti, come Giuseppe e Anita Garibaldi, o l’Imperatrice Thereza Cristina, moglie di Don Pedro II, che era napoletana e di cui in Brasile si parla molto poco.

Si sta organizzando anche una grande mostra archeologica, perché il Brasile possiede una collezione di arte etrusca, pompeiana e italica che fu

portata in Brasile dall’imperatrice.Al seguito di Thereza Cristina, all’e-

poca, vennero in Brasile vari artisti ita-liani: a loro sarà dedicata una mostra presso il Museu Imperial di Petrópolis.

Avremo poi una tournée del Tea-tro Alla Scala di Milano e del Piccolo Teatro di Milano. Ci sarà una mostra dedicata a Maria Callas e un’altra sarà dedicata ad una grande attrice italiana molto popolare qui in Brasile: Eleonora Duse.

Oltre a tutto ciò ci saranno eventi di diverso genere in varie città: Rio, São Paulo, Brasilia, Curitiba, ecc. A Maceió, per esempio, l’Italia sarà Paese ospite nella fiera internazionale del libro.

Varie università saranno coinvol-te nelle celebrazioni. La Universidade do Estado do Rio de Janeiro, assieme all’Instituto Histórico e Geográfico Brasileiro, alla Academia Brasileira de Letras e alla Università degli Studi di Roma Tor Vergata, in collaborazione con l’Istituto Italiano di Cultura di Rio de Janeiro, organizzerà una serie di se-minari sulla letteratura, la geografia, il diritto, la medicina dello sport, e così via. Insomma, è un programma davve-ro molto ricco.

Quali sono gli invitati più importanti che parteciperanno all’evento? Ci sarà la presenza anche di artisti?

È prevista la presenza di Claudio Magris, Umberto Eco, Andrea Bocelli, e, per quanto riguarda la musica leg-

Charlene Marques AlvesJefferson Evaristo do Nascimento Silva

Rio de Janeiro

gera, probabilmente Laura Pausini e Antonello Venditti.

È importante ricordare che questa manifestazione è stata fortemente vo-luta dall’Ambasciata d’Italia in Brasile. L’Ambasciatore Gherardo La France-sca, persona di grande capacità orga-nizzativa, ne è il principale animatore.

L’iniziativa, che cade nella ricor-renza dei 150 anni dell’unità d’Italia, assume un significato particolare an-che perché può creare straordinarie sinergie fra il nostro Paese, che attra-versa un periodo difficile, e un Paese in grande espansione come il Brasile. Italia e Brasile hanno bisogno di dia-logare di più.

Dato che l’evento sarà realizzato a livel-lo nazionale, e ciò sarà appunto impor-tante per diffondere la cultura italiana, Lei pensa che possa stimolare l’interesse dei brasiliani per la lingua italiana?

Decisamente sì. In Brasile c’è un vero e proprio amore per l’Italia, come ha dimostrato l’enorme successo della novela “Passione”. Noi siamo certi che la manifestazione Momento Italia-Bra-sile aumenterà l’interesse per la lingua italiana.

Poi non dimentichiamo un dato im-portante: il Brasile conta su una colo-nia di oriundi italiani stimata intorno ai 30 milioni di persone, quindi la lin-gua italiana è un richiamo molto forte che si cercherà di stimolare.

C’è stata la proposta, se non sba-

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glio per iniziativa della Universidade do Estado do Rio de Janeiro, di inseri-re l’insegnamento della lingua italiana nelle scuole: sarebbe uno strumento straordinario per promuoverne la dif-fusione.

Le manifestazioni riguarderanno varie città del Brasile. Ci saranno eventi in parallelo anche in Italia?

L’Ambasciata del Brasile a Roma, in collaborazione con l’Ambasciata d’Ita-lia a Brasilia, sta organizzando nella capitale italiana una serie di incontri sulla cultura brasiliana. C’è un proget-to legato a Candido Portinari, pittore di origine italiana, autore del magni-fico polittico Guerra e Pace, che ora è oggetto di restauro da parte di una équipe italo-brasiliana e che a partire dal 21 dicembre 2010 è stato esposto al pubblico nel Teatro Municipal di Rio de Janeiro. Alla fine del Momento Ita-lia-Brasile il dipinto dovrebbe essere portato in Italia.

Qual è il ruolo della letteratura brasilia-na e più in generale della cultura brasi-liana nell’immaginario italiano?

La letteratura, come sappiamo, è uno degli strumenti più efficaci per ac-costarsi a un altro popolo e cercare di intenderne lo spirito. Si stabilisce sem-pre una relazione di scambio nel senso che, col mutare delle contingenze sto-riche, politiche, economiche, mutano i gusti del pubblico e la sua sensibilità, insieme alle aspettative rispetto alle opere e alla cultura di cui sono espres-sione. Il rapporto fra il pubblico italia-no e la letteratura brasiliana è dunque in continua evoluzione. Io ho comin-ciato a fare il mio lavoro di professore di letterature portoghese e brasiliana negli anni Ottanta e devo dire che da allora l’approccio del pubblico italiano è profondamente cambiato. Nel corso del tempo la conoscenza tra la due cul-ture è aumentata, si è fatta più attenta e sensibile alle manifestazioni delle di-

versità, per cui oggi il pubblico italia-no non si accontenta del tropicalismo nelle sue svariate declinazioni artisti-che ma vuole conoscere, anche attra-verso la letteratura, gli aspetti meno consueti di un universo complesso e variegato come quello brasiliano. Esi-ste inoltre notevole interesse per alcuni autori “anfibi”, quelli cioè che rivela-no nella loro opera l’eredità culturale della tradizione degli avi. Fra questi, penso soprattutto a Marco Lucchesi, che pubblica in portoghese ed in ita-liano oltre che in svariate altre lingue; in Italia ha ricevuto molti premi per la sua attività letteraria e di recente è stato definitivamente consacrato come membro della Academia Basileira de Letras.

Lei è professore di letteratura all’Univer-sità di Roma “Tor Vergata”; com’è sorto il suo interesse per la letteratura e più in generale per la cultura brasiliana?

Credo che ciascuno di noi abbia dentro di sé degli orizzonti, degli uni-versi di cui non sempre ha completa coscienza, dei quali assume consape-volezza a volte in maniera casuale. Nel mio caso, questo orizzonte sul Brasile si è aperto grazie a un amico di cer-ti miei parenti di Gaeta, la città dove sono nato; era un ufficiale della marina mercantile e quando lo incontravo – io avevo quattordici o quindici anni – mi parlava di una città meravigliosa dove la gente era allegra, cordiale, ospitale: Rio de Janeiro. Da quel momento ho capito che non avrei potuto fare a meno di conoscere quella città, di trasformare il sogno in vita vissuta.

Poi, quando mi sono iscritto all’u-niversità, ho avuto la fortuna di in-contrare quel grande personaggio della letteratura mondiale che è stato Murilo Mendes, rappresentante della seconda generazione modernista. Era vissuto per molti anni a Parigi, dove era stato in contatto con le avanguardie arti-stiche del Novecento. Fra la fine degli

anni Sessanta e i primi dei Settanta fu professore di Letteratura e Cultura Bra-siliana all’Università di Roma. Il magi-stero di Murilo Mendes rese ancor più intensa la mia passione per il Brasile. Era molto cordiale, spesso invitava gli studenti nel suo appartamento nel cuo-re della Roma barocca, vicino all’Am-basciata del Brasile. Ricordo sempre quella casa piena di quadri, sculture, oggetti artistici di ogni genere, un vero museo animato dalla sottile eleganza del gentiluomo cosmopolita, dall’in-ventiva del poeta. Conservo nei con-fronti di Murilo, il magnifico Maestro, un sentimento di enorme gratitudine.

Il profiloAniello Angelo Avella ha con-seguito la laurea in Lettere presso l’Università degli Studi di Roma La Sapienza (1969) e il dottorato in Sociologia pres-so la Karl-Franzens Universität di Graz (1983). Insegna Lette-rature Portoghese e Brasiliana presso l’Università degli Studi di Roma Tor Vergata ed è re-sponsabile scientifico della Cátedra Agustina Bessa-Luís, istituita dall’Istituto Camões presso la stessa università. At-tualmente è visiting professor presso l’Universidade do Esta-do do Rio de Janeiro. Ricerca-tore del Consiglio Nazionale delle Ricerche, consulente del MIUR, corrispondente dell’In-stituto Histórico e Geográfico Brasileiro e socio del Centro Italiano per gli Studi Storico-Geografici. Collabora con l’I-stituto Italiano di Cultura di Rio de Janeiro in vista del Mo-mento Italia- Brasile.

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il brasile e l’italia a confronto Un anno davvero speciale per i rapporti italo-brasiliani nell’accurata rassegna di Cecilia Casini, docente d’Italiano dell’Universidade de São Paulo, con particolare attenzione agli incontri di carattere scientifico e ai progetti di ricerca relativi alla lingua e cultura italiana.

Anche in Brasile, meta di tanta emi-grazione italiana, si festeggiano i 150

anni dell’unità d’Italia. Le iniziative sono molte e interessano i più svariati ambiti socio-culturali. Per quanto riguarda l’uni-versità, i dipartimenti di italianistica di al-cuni atenei hanno preparato eventi diversi, a volte anche in collaborazione fra di loro.

In omaggio a una data così significativa, nell’Universidade de São Paulo (USP) l’Área de Língua, Cultura e Literatura Italiana ha organizzato un ciclo di manifestazioni pen-sato specificamente come spazio di dialo-go con la società e la cultura del Brasile, partendo proprio dal riconoscimento della presenza degli italiani nella storia e cultura locali e della loro importanza nel processo di costruzione dell’identità brasiliana.

La IX Settimana della lingua italiana nel mondo (17-21 ottobre) segna l’inizio ufficiale del Momento Itália-Brasil, la se-rie di manifestazioni previste dal governo italiano per coinvolgere nei festeggiamenti per i 150 anni di unità nazionale i quasi 25 milioni di brasiliani di origine italiana, con durata fino al giugno 2012 (mese della festa della Repubblica). I lavori si apriran-no con il lancio dell’ultima traduzione de I promessi sposi in portoghese, e la prima in assoluto della Storia della colonna infame, di Alessandro Manzoni, ad opera di France-sco Degani, un alunno della Pós-Graduação di Italiano dell’USP.

Nello stesso ambito segnaliamo altre due iniziative dell’Area di Italiano dell’USP: il “II Concorso di Redazione in Lingua Ita-liana” e il ciclo di lezioni “A Itália vai ao CEL”. Il concorso, aperto agli studenti di italiano di vari istituti, si pone come obietti-vo di stimolare lo studio della lingua italia-na all’estero, e, in omaggio alla ricorrenza dei 150 anni di unità nazionale, propone la redazione di un testo a partire dal titolo stesso della “Settimana”: Buon compleanno Italia!. I lavori concorrenti verrano ana-

lizzati e premiati da una giuria composta da docenti dell’Area di Italiano dell’USP. Il progetto “A Itália vai ao CEL” intende pro-muovere e diffondere la conoscenza della cultura italiana anche fuori dall’università grazie a lezioni, conferenze e mostre di ci-nema tenute su aspetti diversi della lingua e della cultura italiana da studenti della Pós-Graduação, con il coordinamento di docen-ti dell’Area, nei vari Centros de Estudos de Línguas (CELs) facenti capo alla Segretaria da Educação dello Stato di San Paolo. I CELs sono centri educativi, principalmente preposti all’insegnamento delle lingue stra-niere (fra cui l’italiano), presenti su tutto il territorio della città e dello Stato di San Pa-olo, normalmente in aree periferiche e con alunni di classi sociali svantaggiate. L’ini-ziativa si propone dunque come un tenta-tivo di raggiungere anche questi studenti d’italiano, rendendo possibile l’incontro fra l’universo degli studi accademici e la real-tà sociale e educativa, spesso assai difficile, delle periferie urbane del Brasile.

Sempre nell’ambito delle attività del “Momento Itália-Brasil”, fra il 31 ottobre e il 3 novembre si terrà nell’Universidade de Brasília (UnB) il XIV Congresso dell’Asso-ciação Brasileira dos Professores de Italiano (ABPI), intitolato “150 anos de Itália uni-da: língua, literatura e identidade”, con al suo interno l’VIII Incontro Internazionale di Studi Italiani e la III Giornata di Italia-nistica dell’America Latina. Il congresso, che si realizza regolarmente ogni due anni, è il punto di ritrovo degli italianisti brasi-liani, che hanno così modo di confrontare e scambiare le proprie esperienze di studio e ricerca. Gli invitati italiani sono i proff. Alberto Asor Rosa, Tullio De Mauro, Marina Zancan, Piero Boitani (Università di Roma “La Sapienza”), Guido Baldassarri (Univer-sità degli Studi di Padova) e Marilena Giam-marco (Università Gabriele D’Annunzio di Pescara).

Cecilia CasiniSan Paolo

Più specificamente dedicato a stabilire un confronto fra i temi dell’identità nazio-nale in Brasile e in Italia sarà, nel mese di novembre, il Simposio internazionale “Os cento e cinquenta anos da unificação ita-liana e as questões de identidade nacional no Brasil e na Itália”. Il fine dell’incontro è quello di stimolare una riflessione sulla costruzione dell’idea di identità nazionale in due paesi che lottarono a lungo, e quasi negli stessi anni, per il riconoscimento della propria indipendenza; e verificare come ciò si sia riflesso nei vari ambiti di consocenza (lingua, letteratura, studi dell’emigrazio-ne, arte, cultura, ecc.). Nel periodo in cui il Brasile diveniva un impero indipenden-te dal Portogallo (1822), nell’Italia ancora divisa iniziava il Risorgimento. Tale perio-do storico ebbe ripercussioni significative in Brasile: in primo luogo, con l’arrivo di vari patrioti italiani in esilio (molti dei quali ebbere parte attiva nei moti locali di libe-razione, come Giuseppe Garibaldi), e con l’influenza esercitata dal pensiero rivolu-zionario italiano (specialmente mazziniano) sulla stampa brasiliana repubblicana; in se-condo luogo, con l’esplosione del fenomeno dell’emigrazione, che fra gli ultimi decen-ni del secolo XIX e i primi del XX ebbe il Brasile come una delle mete privilegiate. Oltre a ciò, moltissimi sono gli artisti ita-liani presenti in Brasile alla fine del secolo XIX, artisti che esercitarono un ruolo im-portante nella realizzazione di opere fonda-mentali della storia brasiliana, soprattutto a San Paolo (come il monumento-edificio dedicato all’Indipendenza del Brasile, at-tuale Museu do Ipiranga, dell’architetto Tommaso Gaudenzio Bezzi). Allo stesso modo, direttamente legati all’Italia sono momenti importanti per la costruzione dell’idea dell’identità nazionale brasiliana (come la venuta di Anita Garibaldi in Ita-lia e la sua lotta per la libertà del Paese; o la realizzazione, a Firenze, del quadro O

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grito do Ipiranga, del pittore José Américo, illustrante un episodio fondante la storia del Brasile come paese sovrano, specificamen-te richiesto dall’imperatore brasiliano, Dom Pedro II). Si può forse dire, insomma, che il processo che portò all’unificazione politica italiana e all’emancipazione e al consolida-mento dello Stato brasiliano estrapolano le frontiere nazionali, interessando reciproca-mente entrambi i paesi in vari campi delle arti e della cultura.

Il simposio, coordinato dall’Area di Ita-liano dell’USP in collaborazione con varie altre università brasiliane (l’Universidade Federal de São Paulo – UNIFESP, l’Univer-sidade Estadual de Campinas - UNICAMP e l’Universidade Federal de Santa Catarina - UFSC), sarà realizzato all’USP dall’8 all’11 novembre, e godrà dell’appoggio della più importante fondazione di sostegno alla ri-cerca dello Stato di San Paolo (la Fundação de Amparo à Pesquisa do Estado de São Paulo - FAPESP), della casa editrice uni-versitaria EDUSP, della casa editrice Alma Edizioni. Inoltre rappresenterà un evento importante del Momento Itália-Brasil, e sarà sostenuto dal Consolato generale d’I-talia di San Paolo e dall’Istituto Italiano di Cultura di San Paolo. Oltre a contare sulla partecipazione di vari docenti dell’Area di Italiano dell’USP, l’incontro riceverà molti invitati internazionali: Rita Librandi (Uni-versità degli Studi di Napoli “L’Orientale”); Lucia Strappini e Alejandro Patat (Univer-sità per Stranieri di Siena), Sandra Bagno e Guido Baldassarri (Università degli Stu-di di Padova), Duilio Caocci (Università di Cagliari), Emilio Franzina (Università degli Studi di Verona), Angelo Trento (Università degli Studi di Napoli “L’Orientale”), Federi-co Croci (Università degli Studi di Genova), che si uniranno nel dibattito a importanti invitati brasiliani e italiani residenti in Bra-sile, come i professori João Adolfo Hansen, Telê Ancona Lopes, Marcos Antonio de Mo-raes, Luciano Migliaccio e Lorenzo Mammì (USP), Endrica Geraldo e Michael M. Hall (UNICAMP), Oswaldo Truzzi (Universidade Federal de São Carlos - UFSCar), Vitalina Frosi (Universidade de Caxias do Sul - UCS). L’idea è quella di aprire uno spazio di di-scussione interculturale fra l’Italia e il Brasi-le sull’attualità dell’idea di identità naziona-le nella cultura contemporanea, stimolando uno scambio fra studiosi che contribuisca ad aggiornare la riflessione sul tema. Allo stesso tempo si vuole offrire al pubblico brasiliano l’opportunità di seguire le più re-centi discussioni in proposito, considerando

che l’occasione del sesquicentenario dell’u-nità italiana ha dato origine a nuovi studi e pubblicazioni sulla questione dell’identità nazionale, in un momento, fra l’altro, par-ticolarmente critico per la nostra nazione.

Fra la fine di febbraio e l’inizio di mar-zo del 2012 si svolgerà a Belo Horizonte, nell’Universidade Federal de Minas Gerais (UFMG), il “IV Congresso Internaziona-le sulla Comunicazione Parlata: corpora e parlato”, coordinato dal professor Tomma-so Raso. Si tratta di un evento di grande rilevanza internazionale, che dimostra l’in-teresse della linguistica italiana per il Bra-sile. La Società di Linguistica Italiana, in-fatti, attraverso il suo Gruppo di Studi sulla Comunicazione Parlata (GSCP), organizza ogni due anni un grande congresso inter-nazionale sulla lingua parlata; per la prima volta tale congresso si terrà fuori dall’Italia e avrà una commissione scientifica italia-na, una brasiliana e una internazionale. La sede brasiliana è dovuta alla coincidenza di due fattori: la volontà del GSCP di interna-zionalizzare anche la sede del Congresso e la presentazione di un importante progetto italo-brasiliano di Corpus di parlato spon-taneo. Il progetto, denominato C-ORAL-BRASIL, finanziato in Brasile dal Centro na-cional de Pesquisa (CNPq), dalla Fundação de Amparo à Pesquisa do Estado de Minas Gerais (FAPEMIG) e dalla stessa UFMG, ha realizzato un corpus di parlato spontaneo del portoghese brasiliano secondo la stes-sa architettura e gli stessi criteri del gran-de progetto C-ORAL-ROM, per l’italiano, il portoghese europeo, il francese e lo spagno-lo (il C-ORAL-ROM è stato diretto dai pro-fessori Emanuela Cresti e Massimo Mone-glia dell’Università degli Studi di Firenze e finanziato dall’Unione Europea). Grazie alla presenza del congresso in suolo brasilia-no, un grande progetto europeo coordinato dall’Italia comprende ora anche il Brasile. Il congresso si presenta quindi come uno spa-zio privilegiato per mostrare in Brasile i ri-sultati della linguistica italiana nel mondo; e allo stesso tempo come un’occasione per portare in Brasile alcuni tra i maggiori lin-guisti italiani che, per l’occasione, potranno tenere conferenze, corsi e altre attività in varie città brasiliane, e potranno stringere legami scientifici con colleghi e con istitu-zioni brasiliane. Fra gli invitati, ricordiamo Pier Marco Bertinetto (Scuola Normale Su-periore di Pisa), Emanuela Cresti e Massimo Moneglia (Università degli Studi di Firen-ze), Plínio Barbosa (Universidade Estadual de Campinas – UNICAMP), Douglas Biber

(University of Northern Arizona), Philippe Martin (Université Paris Diderot), João A. Moraes (Universidade Federal do Rio de Janeiro - UFRJ), Klaus Scherer (Université de Genève), Véronique Aubergé (Grenoble Universités).

In concomitanza con il congresso, il Programa de Pós-Graduação dell’Universi-dade de São Paulo (USP) offrirà agli stu-denti di italianistica e di studi linguistici il corso “Os corpora no ensino do italiano L2”, sotto la responsabilità del prof. Mas-simo Moneglia, dell’Università di Firenze, e della prof. Cecilia Casini, dell’USP. Il corso presenterà una proposta di uso della rete con l’obiettivo di costituire corpora dina-mici e facilmente interrogabili da utilizza-re per l’insegnamento e per la traduzione dell’italiano all’estero. In particolare verrà presentata l’esperienza dell’user group bra-siliano del corpus RIDIRE, recentemente formatosi presso l’UFMG e l’USP. Il proget-to RIDIRE.it (Risorsa Dinamica Italiana di Rete), finanziato dal Fondo Italiano per la ricerca di base e coordinato dalla Società Internazionale di Filologia e Linguistica Italiana (SILFI) è dedicato a costituire una base dati dell’uso linguistico italiano at-traverso il crawling dei contenuti della rete più rappresentativi per la cultura italia-na e a fornire strumenti di computazione dell’informazione linguistica che sfruttino le potenzialità dei grandi corpora a fini di apprendimento linguistico. L’idea è quella di fornire agli apprendenti l’italiano come L2 un ambiente di rete per l’accesso selet-tivo all’uso linguistico italiano, sia a livello funzionale, sia nei domini dell’eccellenza italiana nel mondo (informazione, econo-mia, legislazione, religione, politica, lette-ratura, arte e design, cinema, cucina, ecc.). L’infrastruttura è fondata su un web corpus di contenuti italiani di rete indicizzati per dominio semantico e per valore funzionale, ed è integrata da strumenti computazionali per l’estrazione dell’informazione e per la ricerca linguistica.

Infine, sempre nell’ambito del Mo-mento Itália-Brasil, è prevista per i mesi di marzo-aprile del 2012 l’inaugurazione di una grande mostra sulla lingua italiana in Brasile nella sede del Museu da Língua Portuguesa di San Paolo. La mostra, frutto del lavoro di collaborazione fra il Museo da Língua Portuguesa, l’Istituto Italiano di Cul-tura di San Paolo, il Colégio Dante Alighie-ri di San Paolo, avrà la curatela scientifica dell’Area di Língua, Cultura e Literatura Ita-liana dell’Universidade da São Paulo (USP).

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Una fotografia, che segnala gli spazi quotidiani della contaminazione linguistica. In questo caso, un menù di un ristorante a Porto Alegre, Brasile.

(Archivio sugli italianismi del Centro di Eccellenza. Osservatorio linguistico permanente dell’italiano diffuso fra stra-nieri e delle lingue immigrate dell’Università per Stranieri di Siena).

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