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B O L L E T T I N OD ’ A RC H I V I O

DELL’UFFICIO STORICO DELLAMARINA MILITARE

Anno XXXIII

Settembre/Dicembre 2019

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BOLLETTINO D’ARCHIVIODELL’UFFICIO STORICO DELLA MARINA MILITARE

Periodico trimestrale - Anno XXXIII - 2019EditorE

MINISTERO DELLA DIFESAdirEzionE E rEdazionE

Via Taormina, 4 – 00135 RomaTel.: 06 3680 7220Fax: 06 3680 7222

Email: [email protected]

dirEttorE rEsponsabilE

Capitano di Vascello Giosuè ALLEGRINI

Comitato sCiEntifiCo

C.A. (aus) Pierpaolo RAMOINO, Prof. Antonello BIAGINI, Prof. Massimo DE LEONARDIS, Prof. Mariano GABRIELE, dott. Giorgio GIORGERINI, Prof. Marco

GEMINIANI, Arch. Prof. Piero CIMBOLLI SPAGNESI

Comitato di rEdazionE

C.F. Claudio RIZZA, C.F. Marco Sciarretta, 1° Lgt. Nicola Hazidimitriou, sig.ra Paola NOLI

nuClEo vEnditE

Tiziana PATRIZI (Tel. 0636807240)Via Taormina, 4 - 00135 Roma

[email protected]

Registrazione al Tribunale Civile di Roma (versione cartacea) n. 181 del 1° aprile 1987Registrazione al Tribunale Civile di Roma (versione on line) n. 127 del 4 aprile 2011

La collaborazione al BdA è aperta a tutti. Il pensiero e le idee riportate negli articoli sono di diretta responsabilità degli Autori.Alla Direzione non è attribuita che la responsabilità inerente alla morale correttezza delle cose stampate nei riguardi delle patrie istituzioni, della disciplina morale e del rispetto civile.Le norme di collaborazione sono consultabili al linkhttp://www.marina.difesa.it/storiacultura/ufficiostorico/Pagine/Normeperlacollaborazione.aspxIl Bollettino d’Archivio dell’Ufficio Storico della Marina Militare è consultabile on line al sitohttp://www.marina.difesa.it/conosciamoci/editoria/bollettino/Pagine/numeri_bollettino.aspxUn fascicolo cartaceo può essere acquistato al prezzo di 18,00 Euro (12,00 Euro per aventi diritto)

ISSN 1826 - 6428ISBN 978 - 88 - 99642 - 21 - 1

© Copyright Ufficio Storico della Marina Militare

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INDICE

5 Editoriale.

7 Marco SANTARINI: La letalità dei proietti tattici sparati dai cannoni da 381/50 Ansaldo-OTO delle RRNN classe “Littorio”.

103 Augusto DE TORO: Le Marine italiana e francese da Versailles a Washington. I programmi navali francesi e italiani del primo dopoguerra (1919-1923).

149 Aldo ANTONICELLI: Le cannoniere francesi nella seconda guerra di indipendenza.

173 Vincenzo GRIENTI: L’impiego dei cacciamine classe “Alberi” nel Canale di Suez e nel Golfo Persico negli anni ´80.

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EDITORIALE

Concluse le celebrazioni per il centenario della Prima guerra mondiale, cui la Redazione e i collaboratori del Bollettino d’Archivio hanno fornito un importante contributo attraverso la realizzazione di tre ben numeri monografici: uno speciale sulla Grande Guerra nel 2017, uno dedicato all’azione di Premuda nel 2018 e uno relativo ai “Diari dell’ammiraglio Thaon di Revel” nel 2019; questo nuovo numero del Bollettino segna la ripresa della pubblicazione nella sua consueta veste dedicata a tutti i periodi storici della nostra Marina. E’ così la volta di quattro studi basati su una solida documentazione d’archivio redatti da altrettanti apprezzati nostri collaboratori di lunga data.

Da questo numero, inoltre, i lettori potranno notare che il Colophon segnala un’importante novità. Il Bollettino d’Archivio dell’U.S.M.M. ora dispone, infatti, di un Comitato Scientifico e di un Comitato di Redazione. Il primo è un organo di consulenza e d’indirizzo scientifico, e il secondo una branca operativa, la cui costituzione si è resa necessaria allo scopo di chiedere ufficialmente all’ANVUR, l’Agenzia Nazionale di Valutazione del Sistema Universitario e della Ricerca, l’ammissione della nostra pubblicazione in vista dell’auspicata classificazione della testata nel novero, necessariamente ristretto, delle “Riviste Scientifiche”.

L’auspicato ingresso del Bollettino d’Archivio dell’U.S.M.M. nella categoria delle Pubblicazioni certificate dall’ANVUR non è un titolo onorifico, ma una condizione necessaria per assicurare al nostro periodico una precisa condizione di riferimento e di affidabilità nell’ambito del mondo accademico italiano e internazionale. E ciò allo scopo sia di affermare in modo non equivoco la rilevanza degli argomenti trattati, sia di stimolare un circolo virtuoso nel mondo accademico, universale e ricco di spunti, anche non convenzionali, come il mare stesso.

Questo nuovo passo, naturalmente impegnativo e che è stato lungamente meditato prima di essere intrapreso dato l’ulteriore impegno che richiederà a tutti coloro che desidereranno pubblicare sui queste pagine, assicurerà ai Lettori un ulteriore e fresco apporto di nuovi saggi di assoluto rigore scientifico destinati ad affiancarsi a quelli, altrettanto rigorosi, dei nostri collaboratori. L’ambizione - legittima - è pertanto quella di far riconoscere da tutti al nostro periodico lo status di pubblicazione di riferimento nell’ambito della storia navale in Italia, in analogia con altre illustri testate straniere, in particolar modo anglosassoni e francesi.

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E’ una sfida ambiziosa che la Redazione del Bollettino e l’Ufficio Storico affrontano con impegno ed entusiasmo. Ringrazio sin d’ora i professori e gli studiosi del Comitato Scientifico per l’impegno e il preziosissimo supporto che dimostreranno davanti, in primo luogo, a se stessi. L’obiettivo è quello di essere sempre fedeli, con la severità, l’imparzialità ce la serenità che contraddistingue le scienze morali, al nostro motto: nulla virtus veritate potior. Buon lavoro.

La Direzione

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LA LETALITÀ DEI PROIETTI TATTICI SPARATI DAI CANNONI DA 381/50 ANSALDO-OTO DELLE RR.NN.

CLASSE “LITTORIO”

Marco Santarini

In ricordodell’Ammiraglio Paolo Cottrau (Napoli 1837 - † Roma 1896)

che nel grado di CF comandò il balipedio di La Spezia (Muggiano)e condusse nel 1876 le prove tecniche per la verifica dei requisiti

sui celebri cannoni Armstrong da 100 tonnellate

Parte 1a: La letalità dei proietti di artiglieria

Scopo dello studio – esame delle armi navali di grosso calibro italiane 1937÷1943

Quando si parla delle grandi artiglierie navali, il pensiero corre subito alle gigantesche bocche da fuoco che un tempo rappresentavano la caratteristica più evidente e più impressionante delle Navi da battaglia, a lungo considerate la spina dorsale delle Flotte militari. Tuttavia a stretto rigore quegli enormi cannoni, che verso la fine degli anni ‘30 raggiunsero un peso unitario compreso tra 60 e 150 tonnellate metriche e una lunghezza massima intorno ai 20 metri, non possono essere considerate le “vere” armi delle Navi da battaglia del passato, ma solo poderosi strumenti di lancio di quelli che furono i reali mezzi di offesa di quelle grandi Unità: i loro proietti di grosso calibro per uso tattico, cioè destinati ad essere sparati in combattimento e non per attività di esercitazione.

La sottolineatura di questo aspetto non discende solo da una puntigliosa esigenza semantica, ma dalla necessità di considerare con la dovuta attenzione materiali bellici la cui importanza è stata in generale così rilevante da travalicare lo stesso livello Tecnico-Terminale in cui essi hanno operato, per influire in misura significativa sui risultati Tattici di molte battaglie navali del passato.Ogni Nave è un grande “Sistema di sistemi” e, nel caso di quelle militari, rappresenta

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Marco Santarini

ciò che può essere definito come “Unità tattica”, ovvero come strumento destinato ad operare a “Livello tattico”, in cui le decisioni e le conseguenti azioni di manovra sono stabilite dal Comando di bordo con il supporto di idonei mezzi di Comando, Controllo e Comunicazione (C3).

Ogni manovra cinematica di combattimento è intesa a posizionare al meglio la Nave rispetto al nemico, così da consentire ai propri “Sistemi d’arma” di contrastare quest’ultimo con le migliori probabilità di successo.

L’azione dei “Sistemi d’arma” ha luogo in quello che può essere indicato come “Livello tecnico”: livello di interazione che occupa una posizione più bassa e subordinata al “Livello tattico”, nell’ambito del processo logico di informazione-decisione-azione che ripete sempre se stesso con architettura di tipo frattale ed è caratteristico del pensiero umano. Le decisioni e le attività svolte a “Livello tecnico” sono guidate da una “Dottrina di impiego” assai più cogente e prescrittiva di quella adottata nel superiore “Livello tattico”. Per questo motivo la “Dottrina di impiego tecnico” ammette in alcuni casi e in determinate condizioni anche una operatività automatica dell’intero sistema, che è gestita dal rispettivo computer di Comando e Controllo (C2).

Quando le bocche da fuoco sparano, ha inizio l’azione di contrasto dei bersagli selezionati. Tuttavia la “vera” azione di contrasto ha luogo successivamente, quando cioè le armi terminali (ovvero quelle destinate al più basso livello di interazione che richiede una qualunque decisione logica) raggiungono il bersaglio contro cui sono state lanciate.

L’interazione avviene nell’ambito di quello che può essere denominato “Livello terminale” il cui “orizzonte spazio-temporale” è così ristretto da richiedere necessariamente la completa automazione delle decisioni e delle azioni conseguenti. Ciò è attuato dall’organo elaborativo di Comando (C) presente nella “spoletta”, che è contenuta in ogni arma terminale dotata di esplosivo di scoppio. Questo organo di calcolo sceglie l’istante più propizio per comandare la detonazione della carica esplosiva sulla base di informazioni riguardanti il bersaglio1, fornite dal/dai sensori ad esso collegati. Nel passato le spolette erano assai semplici, mentre oggi sono particolarmente complesse e richiedono l’impiego di componenti elettronici robusti, affidabili e tecnologicamente molto avanzati.

Tenuto conto di queste considerazioni si propongono di seguito alcune analisi di letalità riferite ai proietti per uso tattico “Palla” e “Granata Perforante” impiegati

1 Vi sono anche esempi di sistemi in cui il comando dello scoppio della munizione non è affidato ad una spoletta presente su di essa, ma a segnali generati a distanza, dalla Centrale di tiro. Tuttavia in questo caso possono insorgere alcune problematiche tra cui: la possibile interferenza esterna (ostile o meno) sul comando a distanza; l’impossibilità di gestire il comando di scoppio in funzione di informazioni dettagliate riguardanti il bersaglio, che sono reperibili in prossimità di quest’ultimo e sono più precise di quelle ottenibili da sensori molto più lontani.

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La letalità dei proietti sparati dai cannoni da 381/50 Ansaldo-OTO delle RR.NN. classe “Littorio”

dal cannone ANSALDO 381/50 mod. 1934: bocca da fuoco che fu installata in nove esemplari a bordo di ciascuna Nave da battaglia della classe “Littorio”. La grande mole di queste artiglierie ha sempre colpito l’immaginazione di chi si è soffermato ad ammirare le elegantissime linee di quelle possenti Unità navali. Nonostante ciò assai poco è stato sinora scritto in merito alle loro reali caratteristiche belliche. Questo studio intende quindi approfondire gli aspetti pertinenti la letalità delle munizioni sparate da quei cannoni, ossia la loro capacità tecnica di danneggiare i bersagli, per il contrasto dei quali era previsto il loro impiego in combattimento.

Prima di affrontare la trattazione della materia appare doveroso ricordare che essa non è in realtà così arida e tecnica come potrebbe essere frettolosamente giudicata. Una sua migliore comprensione infatti permette innanzi tutto di conoscere meglio le caratteristiche degli strumenti di offesa di cui furono dotate le Navi da battaglia della Regia Marina durante il Secondo Conflitto Mondiale.

In secondo luogo queste pagine tornano ad esaminare un argomento, quale quello della letalità, che quasi un secolo e mezzo fa fece assurgere la Regia Marina a un rango di primo piano in ambito mondiale, riscattando sul piano tecnico la bruciante onta di Lissa. Ciò fu dovuto in larga misura alle caratteristiche degli enormi cannoni Armstrong ad avancarica da 100 tonnellate (“tonnellate lunghe” britanniche) installati sulle RR.NN. Duilio e Dandolo e delle rispettive munizioni (vedasi fig. 1): materiali di artiglieria (costruiti in Gran Bretagna) la cui potenza all’epoca ineguagliata si estrinsecava in un potere perforante irresistibile. Le prove di perforazione eseguite contro le corazze tecnicamente più avanzate di allora e le rilevazioni del caso furono condotte nel 1876 sotto la direzione dell’allora CF Paolo Cottrau (vedasi figg. 2 e 3), cui è intitolato il balipedio di La Spezia (che sorge oggi presso Punta Castagna)2. 2 È senz’altro interessante ricordare che le prove tecniche in oggetto furono eseguite con cannoni

Armstrong da 100 tonnellate, caratterizzati però da un calibro di 17 pollici ovvero 431,8 mm (431,8/21,34). Vedasi: R. De Luca, Il cannone da 100 tonnellate e le corazze da 55 centimetri in “Rivista Marittima”, anno VIII, n. 11 dicembre 1876, pagg. 527÷573. I risultati ottenuti furono pienamente soddisfacenti, ma l’Ammiraglio Albini (responsabile per la scelta delle artiglierie e dei siluri da acquisire per le Navi della Regia Marina) e il Generale Brin, decisero concordemente di adottare un cannone ancora più potente. Pertanto fu richiesta alla Armstrong la costruzione di un nuovo cannone che, pur risultando prestazionalmente superiore al precedente, non superasse il peso di 100 tonnellate: ciò al fine di non invalidare tutti i calcoli già eseguiti dal Brin per la progettazione delle nuove Corazzate. La ditta britannica realizzò quindi la bocca da fuoco da 17,72 pollici (450/20,4) di peso pari a quello della bocca da fuoco da 17 pollici e in grado di sparare proietti di peso uguale a quello delle munizioni di quest’ultima (908 Kg), ma dotati di una superiore velocità iniziale. Ciò conferì quindi al nuovo cannone da 450/20,4 caratteristiche di letalità uniche all’epoca. Al riguardo si osserva che alla voce “cannone”, riportata dalla Nuova Enciclopedia Italiana – Dizionario Generale di Scienze, Lettere, Industrie, ecc. a cura del Prof. Gerolamo Boccardo (Unione Tipografica-Editrice Torinese – UTET. Torino, 1877), è possibile leggere (a pag. 958) che sulla R.N. Duilio era prevista l’installazione di quattro cannoni da 43 centimetri di calibro, lunghi 21,34 calibri. La R.N. Duilio fu varata nel 1876 ma entrò in servizio nel 1880. I lunghi tempi di completamento furono dovuti anche alla modifica “in corso d’opera” del suo armamento principale. Per completezza si ricorda infine che il 6 marzo 1880 uno dei cannoni

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Documenti riguardanti gli studi sulle capacità di perforazione delle artiglierie navali, eseguiti in precedenza dal Cottrau (1874), sono tuttora conservati presso gli archivi della MMI (figure 4 e 5).

Letalità delle armi – considerazioni generali

Con il termine “letalità” si intende la capacità di una determinata arma di arrecare danno ad uno specifico bersaglio, ottenendo una diminuzione della sua funzionalità e della sua capacità di portare a termine la missione assegnatagli.

Questa semplice definizione sottende però aspetti assai importanti e complessi che sottolineano il carattere relativo, condizionato e probabilistico della “letalità”.

della torre di poppa di tale Unità esplose accidentalmente, nel corso di tiri di prova da bordo. Non vi furono vittime, ma i feriti risultarono numerosi. La causa dell’incidente fu attribuita ad un errato doppio caricamento. Fino alla fine del secolo scorso era possibile vedere ancora entro l’Arsenale MMI di La Spezia la cosiddetta “Mancina Idraulica”, cioè l’antica e gigantesca gru inizialmente destinata alla movimentazione (terra/bordo e viceversa) degli enormi cannoni Armstrong da 100 tonnellate.

Figura 1: Sezione di una corazzata classe “Duilio” (1876) con la sistemazione di una torre da 450/20,4 mm con la dimostrazione del suo sistema di caricamento.

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La letalità dei proietti sparati dai cannoni da 381/50 Ansaldo-OTO delle RR.NN. classe “Littorio”

Tale grandezza dipende infatti sia dalle caratteristiche dello strumento di lancio e dell’arma terminale, che da quelle del bersaglio.

Innanzi tutto quest’ultimo deve essere colpito; successivamente occorre considerare sia il rapporto tra l’energia dell’arma che giunge a segno e la robustezza del bersaglio nel punto raggiunto; infine è particolarmente rilevante il grado di importanza rivestito dall’area colpita, nei confronti della funzionalità complessiva del bersaglio. Infatti la criticità delle parti interne, ai fini della funzionalità dell’intero bersaglio, non è uniforme e varia in genere da un tipo di bersaglio ad un altro. Da ciò si comprende la natura probabilistica della “letalità”: grandezza la cui “misura” può essere eseguita ricorrendo necessariamente a strumenti di calcolo statistico, che tengano conto della aleatorietà propria di ciascun evento che si verifica durante l’interazione tra arma terminale e bersaglio. In sintesi è possibile considerare la Probabilità che una determinata arma possa infliggere al bersaglio un danno tale da impedirgli di continuare ad assolvere la sua missione. Questa grandezza è detta “Probabilità di distruzione” ( “Kill Probability” - KP - oppure, più frequentemente PK “Probability of Kill”) ed è condizionata dal presentarsi dell’evento “bersaglio colpito” caratterizzato dalla “Probabilità di colpire” (“Hit Probability” o HP) posseduta

Figura 2: Disegni effettuati durante le prove di perforazione effettuate in Balipedio nel 1876.

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dall’arma terminale stessa nei confronti del bersaglio considerato. La HP è peraltro del tutto indipendente dalla Probabilità PL che l’arma in oggetto, dopo essere giunta a segno su un punto qualunque del bersaglio, raggiunga la “zona vitale” di quest’ultimo e infligga ad essa danni letali.

Con il termine “zona vitale” 3 si intende la parte (in genere interna e protetta) del

3 Al riguardo è possibile ricordare ad esempio il proietto APC da 15-inch (381 mm) sparato dalla HMS Warspite alle 15.59 del 9 luglio 1940 (Battaglia di Punta Stilo) che colpì il fumaiolo poppiero della RN Giulio Cesare, esplodendo poi sul ponte di Coperta. In quel caso, pur a fronte della dolorosa perdita di alcune decine di uomini e del temporaneo spegnimento di 4 delle 8 caldaie di bordo (con riduzione della velocità della Nave da 26 a 18 Nodi) l’Unità italiana non fu colpita nella sua zona vitale e, per quanto temporaneamente menomata, non fu gravemente lesa la sua capacità funzionale né quella operativa. Viceversa un proietto “Panzersprenggranate” Pzspg L/4,4 da 38 cm (380/47) sparato dal KMS Bismarck alle 06.00 del 24 maggio 1941 (Battaglia del Canale di Danimarca) giunse a colpire il Deposito Munizioni di grosso calibro di poppa della HMS Hood provocando un’apocalittica esplosione e il rapido affondamento di quell’incrociatore da battaglia britannico. Quest’ultimo fu senz’altro un evento a bassissima probabilità di occorrenza. Esso ebbe luogo dopo che il KMS Bismarck aveva sparato appena 40 colpi, di cui solo 32 in efficacia.

Figura 3: Le piastre di corazza utilizzate per le prove di perforazione eseguite nel 1876 sotto la direzione del CF Paolo Cottrau.

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La letalità dei proietti sparati dai cannoni da 381/50 Ansaldo-OTO delle RR.NN. classe “Littorio”

bersaglio in cui sono presenti sistemi, apparecchiature, impianti, depositi e strutture che, se distrutti, impediscono a quest’ultimo la continuazione della missione.

La PL dipende a sua volta (ed è quindi condizionata) dal verificarsi degli eventi seguenti, tutti tra loro compatibili e indipendenti4, ciascuno dei quali ha una sua specifica probabilità di occorrenza:

- evento “impatto su parte del bersaglio al cui interno è presente la zona vitale”, caratterizzato da probabilità “PZV”;

- evento “superamento delle difese5 del bersaglio”, caratterizzato da probabilità “PSD” ;

- evento “buon funzionamento dell’arma”6, caratterizzato da probabilità PBF;- evento “distruzione della zona vitale del bersaglio”, caratterizzato da

probabilità “PDV”.

In generale risulta quindi:

PL = PZV * PSD * PBF * PDV

PK = HP * PL = HP * (PZV * PSD * PBF * PDV)

Si ricorda che la letteratura tecnica7 considera la seguente relazione per esprimere la “Probabilità di distruzione della zona vitale del bersaglio” PDV:

PDV = 1 – e– K * L (K * L ≥ 0)

dove il termine “K” è una costante dipendente dalla robustezza e dalla densità (quantità per m³) delle parti critiche interne (impianti, sistemazioni, depositi e apparecchiature protette dalle difese passive) del bersaglio, mentre “L” è in generale proporzionale all’energia che l’arma terminale, una volta raggiunta la “zona vitale del bersaglio”, può trasferire ad essa e dipende principalmente dal peso della carica di scoppio contenuta nella munizione.

In alcuni testi il valore della PDV è espressa come reciproco del numero “N”

4 Eventi diversi sono “compatibili” quando il verificarsi di uno non esclude gli altri e sono “indipendenti” quando il verificarsi di uno non condiziona la probabilità di presentazione degli altri.

5 Con tale termine in questa sede si intendono le sole difese passive costituite da robuste strutture di protezione (che possono comprendere anche piastre di corazza) intese a resistere all’offesa portata unicamente da proietti di artiglieria e bombe aviolanciate. Non sono quindi considerate le né le difese attive di bordo, né le difese passive anti-siluro.

6 Con questo termine si intende la Probabilità che l’arma terminale non si guasti/danneggi/frat-turi né durante il volo, né durante la fase di superamento delle difese del bersaglio e che quindi, una volta oltrepassate queste ultime, sia in grado di funzionare correttamente, assicurando le prestazioni nominali di progetto.

7 Vedasi: riferimento bibliografico n. 29 (pag. 225).

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dei colpi giunti a segno (su un punto qualunque del bersaglio) che ha ottenuto la sua distruzione o l’interruzione della sua missione. Ciò però ha valenza statistica solo se N è ricavato dall’esame di moltissimi eventi, mentre come è noto i duelli tra Navi da battaglia avvenuti in particolare durante il Secondo Conflitto Mondiale e con il solo impiego delle artiglierie, sono stati pochi.

Occorre inoltre osservare che la “Probabilità di superamento delle difese passive del bersaglio” PSD è una funzione f del rapporto tra le caratteristiche dimensionali, di robustezza e di velocità del proietto e la robustezza del bersaglio: grandezza quest’ultima a sua volta dipendente dal materiale e dallo spessore che caratterizzano le predette difese passive.

Figura 4: Documento del 1874 riguardante gli studi sulle capacità di perforazione delle artiglierie navali, eseguiti in precedenza dal Cottrau.

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La letalità dei proietti sparati dai cannoni da 381/50 Ansaldo-OTO delle RR.NN. classe “Littorio”

Se durante l’azione di contrasto è impiegata una sola arma, allora la HP è indicata come “Probabilità di colpire unitaria” (“Single Shot Hit Probability” o “SSHP”).

Se invece sono impiegate “n” armi, allora la “Probabilità cumulata che almeno una delle n munizioni impiegate colpisca” (“Cumulated Hit Probability” o CHP) è pari a:

CHPn = 1 – (1 – SSHP1) * (1 – SSHP2) * … … * (1 – SSHPn)

oppure a:

CHPn = 1 – (1 – SSHP )n

nel caso in cui eventualmente risulti:

SSHP1 = SSHP2 = … … … = SSHPn

Figura 5: Grafici e schizzi facenti parte degli studi sulle capacità di perforazione delle artiglierie navali.

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situazione quest’ultima che di massima si può assumere nel caso del tiro in “salva” delle artiglierie di una batteria (tiro simultaneo di più cannoni uguali, appartenenti alla stessa batteria di una Nave, che sparano lo stesso tipo di munizione, con la stessa velocità iniziale e sono impiegati contro lo stesso bersaglio).

È importante osservare che il “superamento difese passive del bersaglio” ha luogo a seguito dei processi (in genere concomitanti) descritti di seguito:

- “sfondamento” ad opera dalle forze di pressione esercitate dal proietto sulle “difese passive del bersaglio” con fessurazioni, crepe e/o arretramento di una loro porzione fino a farla staccare completamente dalle parti adiacenti (azione detta di “stamponamento”). Ciò crea l’apertura di un varco attraverso il quale la munizione oltrepassa le difese in oggetto;

- “perforazione” dovuta all’incisione delle “difese passive del bersaglio” da parte della punta d’ogiva del proietto e alla progressiva separazione/allontanamento delle parti limitrofe di tali difese ad opera dell’ogiva stessa del proietto, che si incunea tra di esse. In tal modo il proietto attraversa le difese fino ad oltrepassarle completamente.

Sia lo “sfondamento” che la “perforazione” possono avvenire in modo parziale. Nel caso di perforazione parziale si parla di “penetrazione”.

Tenuto conto delle definizioni e dei concetti espressi in precedenza, si precisa che questo studio ha lo scopo di esaminare la letalità dei proietti tattici da 381/50 verificando in particolare la loro capacità di:

- superare le difese passive dei bersagli considerati tipici per queste armi terminali;

- risultare correttamente funzionanti dopo il superamento delle difese di cui sopra;

- distruggere infine parti importanti della “zona vitale” dei bersagli in oggetto,

nel caso in cui tali proietti fossero giunti a segno. Si evidenzia quindi che le analisi qui proposte non sono state estese né all’esame della “Probabilità di colpire” HP dei materiali di artiglieria considerati, né a quello della probabilità PZV che la munizione terminale giunga su una parte del bersaglio, all’interno della quale sia presente la “zona vitale” (o parte di essa). Si sottolinea infine che, secondo l’Autore, le tre azioni sopra elencate esprimono nel loro insieme una grandezza che potrebbe essere definita come “Letalità intrinseca” della munizione considerata, nei confronti del bersaglio tipo. Tale grandezza infatti prescinde sia dal fatto che il proietto colpisca o meno, sia dal punto del bersaglio che è stato raggiunto dalla munizione (quando ciò accade): elementi che in sostanza dipendono entrambi da aspetti di Balistica Esterna. Viceversa la “Letalità intrinseca” sopra definita dipende essenzialmente da aspetti di Balistica Terminale.

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La letalità dei proietti sparati dai cannoni da 381/50 Ansaldo-OTO delle RR.NN. classe “Littorio”

Il retaggio antico

Quando tra il XIII e il XIV secolo apparvero in occidente le bocche da fuoco, esse “ereditarono” la modalità di generazione del danno da strumenti più antichi8. Tale processo era all’epoca basato esclusivamente sul trasferimento al bersaglio di un’elevata quantità di energia cinetica su un’area, la cui estensione doveva essere tanto più ristretta quanto maggiore era la robustezza (nota o presunta) della zona da colpire. Se tale zona era difesa da superfici protettive (abbigliamento di spesso cuoio; cotta di maglia metallica; corazza di ferro parziale o completa) era indispensabile superarne la resistenza per giungere a ferire i malcapitati. Questo era in sostanza il principio vulnerante delle armi da taglio (spade, sciabole, ecc. la cui superficie d’azione era rappresentata da una porzione della lama) e delle armi da punta, tra cui in particolare i pugnali, le frecce degli archi e i quadrelli delle balestre: questi ultimi riuscivano a penetrare le cotte di maglia metallica e le armature di ferro indossate dai nemici sino a distanze ragguardevoli. Analogamente, per obbligare i difensori di un castello a capitolare era necessario aprire brecce nelle mura perimetrali, per recare danni all’interno e permettere un’eventuale irruzione delle fanterie. Pertanto sia i proiettili delle armi portatili, che i proietti delle bocche da fuoco di maggior calibro furono unicamente impiegati per un periodo lunghissimo come “trasferitori” di energia cinetica: i primi impiegano tuttora in modo pressoché esclusivo quella modalità vulnerante, mentre già verso il XVI secolo le artiglierie cominciarono a lanciare proietti esplosivi. Questa capacità posseduta inizialmente solo dalle bocche da fuoco a tiro curvo (mortai e trabocchi con angolo di proiezione > 45°) fu estesa più tardi (di massima dopo il 18229) anche a quelle a tiro teso di vario tipo (con angolo di proiezione < 45°).

8 Ciò, ad eccezione delle:- armi batteriologiche e chimiche (veleni), che peraltro furono esclusivamente impiegate

contro esseri viventi e non contro i bersagli tipici delle artiglierie navali, quali i mezzi meccanici (di qualunque tipo) e gli edifici a terra;

- armi incendiarie, che tuttavia furono generalmente impiegate contro bersagli di ampie dimensioni, per colpire i quali non era indispensabile una grande precisione.

9 In quell’anno infatti il Colonnello (poi Generale) Henri Joseph Paixhans dell’Esercito Francese propose l’impiego di un particolare tipo di proietto esplosivo utilizzabile da artiglierie a tiro teso. Questa munizione fu poi adottata da molti Paesi sin dal 1837. È tuttavia necessario ricordare anche il “cannone da 200” (circa 265,9 mm) realizzato verso la fine del XVII secolo dal veneziano Sigismondo Alberghetti (vedasi il testo “La moderna artilleria veneta” scritto nel 1699 e pubblicato a Venezia nel 1705). Quest’arma a tiro teso impiegava infatti proietti oblunghi pesanti 200 libbre venete “sottili” (circa 60 Kg) contenenti polvere nera e dotati di “spoletta a tempo”. Quest’ultima era realizzata con una corta miccia arrotolata attorno ad un tappo di legno tronco-conico inserito nel corpo metallico della munizione. A causa della mancanza di stabilizzazione in volo, la gittata e la precisione di questi proietti non era però elevata.

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A fronte dei progressi consentiti dai proietti esplosivi, la capacità di perforare corazze di vario genere sempre più spesse e resistenti, rimase comunque un requisito indispensabile per tutte le munizioni di artiglieria. A partire dalla seconda metà del XIX secolo sorse quindi una distinzione tra:

- proietti esplosivi dotati di uno spessore di parete ridotto, destinati ad essere impiegati contro bersagli sprotetti. La loro capacità vulnerante era basata sugli effetti dirompenti assicurati dall’esplosione della carica di scoppio (energia dell’onda d’urto generata dall’esplosione + energia cinetica delle schegge prodotte dalla frantumazione del corpo del proietto);

- proietti non esplosivi destinati ad essere impiegati contro bersagli molto protetti. La loro capacità vulnerante era basata sulla perforazione delle corazze, conservando poi un’energia cinetica residua sufficiente per arrecare danni alla parte interna del bersaglio;

- proietti dotati di grossi spessori di parete, di grande capacità perforante e di una piccola carica esplosiva, destinati ad essere impiegati contro bersagli protetti, combinando le modalità vulneranti di entrambe le munizioni precedenti.

Tuttavia si comprese ben presto che i proietti di impiego navale destinati in primo luogo al contrasto delle Navi nemiche, dovendo arrecare danni ad apparecchiature, strutture o impianti e sistemi variamente distribuiti entro spazi interni abbastanza ampi, necessitavano senz’altro di un’elevata capacità perforante, ma dovevano contenere parimenti una potente carica esplosiva. Per la lotta anti-Nave si rinunciò quindi ai proietti non esplodenti, che non potevano assicurare prestazioni sufficienti10 pur proseguendo lo studio e la realizzazione di munizioni perforanti sempre più performanti. A questo riguardo importantissimo fu il contributo dell’Ammiraglio russo Stepan Osipovič Makarov che nel 1894 introdusse il cosiddetto “cappuccio” per proietti perforanti. Tale componente era costituito da un’ogiva supplementare saldamente fissata al di sopra dell’ogiva originale del proietto. Il “cappuccio” riduceva notevolmente la possibilità di frantumazione del proietto, aumentandone così la capacità perforante in misura assai elevata (Fig. 6).

10 Diversa è la situazione per le armi terrestri anti-carro, che impiegano tuttora e con grande successo proietti privi di esplosivo, caratterizzati da elevatissime capacità perforanti. Tali proietti, una volta vinta la resistenza delle piastre corazzate del carro armato, devastano tutto ciò che si trova nel limitatissimo spazio interno del veicolo. Invece, nel caso dei bersagli aerei vengono impiegati proietti esplosivi quando la distanza di contrasto è così elevata da rendere il tiro impreciso: situazione che non assicura l’impatto diretto delle munizioni contro il velivolo. In tal modo il danno può essere arrecato dalle schegge prodotte dalla detonazione dei proietti, sino a distanze di alcune decine di metri dal punto di scoppio.

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La letalità dei proietti sparati dai cannoni da 381/50 Ansaldo-OTO delle RR.NN. classe “Littorio”

I proietti delle grandi artiglierie navali in uso nel XX secolo

Le artiglierie navali di grosso calibro all’inizio del XX secolo erano destinate in primo luogo al contrasto di Navi da battaglia pesantemente corazzate, ma dovevano

Figura 6: Il “cappuccio” di un proiettile perforante.

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poter essere impiegate anche contro Unità poco protette. Si svilupparono quindi due linee di pensiero:

- una (A) privilegiava l’adozione di proietti “specializzati”11, in grado di arrecare il massimo danno quando impiegati contro lo specifico tipo di bersaglio per il quale erano stati progettati;

- l’altra (B) ricercava invece la possibilità di standardizzare al massimo il munizionamento in uso, riducendone drasticamente le tipologie allo scopo di ottimizzare la produzione e semplificare le modalità di conservazione e di impiego.

Durante la Seconda Guerra Mondiale vennero pertanto adottati di massima i seguenti tipi di proietti di grosso calibro ( > 210 mm ):

Tipo di bersaglio verso

i quali era previsto l’uso

del proietto per uso tattico

Linea di pensiero(A) (B)

Denominazione dei proietti

R = Peso esplosivo/Peso proietto ( % )

SpolettaSigla Royal Navy e US

Navy

Denominazione dei proietti

Sigla Royal Navy e U.S.

Navy

Navi pesantemente

corazzate“Palla” 1 ÷ 1,25 Fondello /// /// ///

Navi dotate di protezione

“Granata perforante” 1,5 ÷ 3,5 Fondello APC APCBC “Granata

perforante” APC APCBC

Navi militari leggere o bunker

a terra“Granata semi-

perforante” 4 ÷ 4,5 Fondello SAP

“Granata dirompente”

HEHE HC

Navi da trasporto o edifici non

protetti“Granata

dirompente” 5 ÷ 6 Ogiva HE

Truppe allo scoperto e

automezzi non protetti

“Granata dirompente ad alta capacità”

6,5 ÷ 10 Ogiva HE - HC

Negli anni ’30 presso la Regia Marina fu studiata la possibilità di adottare un “proietto unico”, ma si decise poi di adottare per i grossi e medi calibri navali due diversi tipi di munizione. Durante il Secondo Conflitto quindi la Regia Marina impiegò tatticamente solo i seguenti proietti:

11 APC: Armour Piercing (Proietto perforante con “cappuccio”); APCBC (APC con “tagliavento”: Ballistic Cap); SAP: Semi-Armour Piercing (Proietto perforante); HE: High Explosive (Proietto dirompente); HC: High Capacity (Proietto dirompente contenente grandi quantità di esplosivo di scoppio).

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La letalità dei proietti sparati dai cannoni da 381/50 Ansaldo-OTO delle RR.NN. classe “Littorio”

Tipo di Artiglieria Tipo di munizione

Grosso calibro (381/50 e 320/44)“Palla”

“Granata perforante”

Medio calibro (incluso il 203 mm)“Granata perforante”“Granata dirompente”

La figura 7 mostra la colorazione dei proietti in uso nella Regia Marina nel periodo 1930÷1945.

È interessante osservare che la Regia Marina non ritenne necessario dotarsi di munizionamento dirompente di grosso calibro. Ciò indica che l’impiego delle grandi artiglierie nel Tiro contro costa non fu considerato prioritario o importante. D’altra parte, l’uso del proietto tipo “Palla” (già prima della Grande Guerra) mostra che fu ricercata la disponibilità di una munizione molto specializzata per il contrasto di Unità pesantemente corazzate: munizione caratterizzata da un rapporto R assai basso, che non fu adottato da altre Marine12.

Il cannone da 381/50 ANSALDO-OTO mod. 1934

Sebbene i Trattati navali internazionali del 1922 e 1930 consentissero di installare a bordo armi da 406 mm (16 inch), la Regia Marina decise di dotare le future Navi da battaglia classe “Littorio” di armi di calibro inferiore: il 381 mm. Su questa scelta influì senz’altro l’esperienza già maturata13 dall’Industria nazionale del settore nella realizzazione di armi da 381/40: quelle costruite nel 1914 dalla francese Schneider (con la collaborazione della Ansaldo di Genova) dalla Armstrong di Pozzuoli e dalla Vickers di La Spezia (poi OTO) per le Unità della classe “Caracciolo”14, la cui

12 Vedasi il riferimento bibliografico n° 28 (pag. 6÷279).

Marine Calibro R Tipo proiettoKriegsmarine 28 cm - 38 cm 2-2,5% APCBCRoyal Navy 14-inch -15-inch - 16-inch 2-2,5% APCBCUS Navy 14-inch - 16-inch 1,5% APCBC

Marina imperiale giapponese 360 mm - 410 mm - 460 mm 1,46 - 1,65% APCBCMarine National 330 mm 380 mm 3,6% - 2,45% APC APCBC

13 I cannoni da 381/40 ebbero caratteristiche balistiche molto differenti da quelle che avrebbe poi posseduto il 381/50 (tra cui una velocità iniziale tabulare largamente inferiore: 700 m/s). Tuttavia gli studi già eseguiti su quell’arma fornirono senz’altro utili indicazioni per la realizzazione del nuovo cannone di quel calibro.

14 Tali artiglierie furono collocate a bordo di Monitori (installazione binata: Faa Da Bruno; Cappellini) e Pontoni armati (installazione singola: Sabotino, Monte Santo, Monte Grappa, Monte Novegno, Monte Cengio, Montello) oppure sistemate a terra in posizione fissa: una torre binata fu installata a Venezia (batteria Amalfi) mentre a difesa di Brindisi fu collocata una torre binata (batteria Fratelli Bandiera)

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costruzione venne inizialmente sospesa e poi cancellata nel 1919.

Per “bilanciare” l’inferiorità del calibro scelto rispetto a quello massimo

e un cannone in postazione rotante singola. Alcuni cannoni da 381/40 vennero infine ceduti al Regio Esercito che li impiegò su affusto ferroviario.

Figura 7: Indicazioni e colorazioni distintive dei proietti in uso nella R. Marina 1930-1945.

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La letalità dei proietti sparati dai cannoni da 381/50 Ansaldo-OTO delle RR.NN. classe “Littorio”

consentito, lo Stato maggiore richiese un’arma ad alta velocità iniziale.Ciò, sia per elevare il più possibile l’energia cinetica di impatto (parametro

importante per la perforazione delle corazze avversarie) sia per ottenere una traiettoria dei proietti molto “piatta” a tutte le gittate, allo scopo di aumentare la Probabilità di colpire15. Purtroppo lo Stato maggiore della Regia Marina non era pienamente consapevole (né poteva esserlo, mancando all’epoca le conoscenze teoriche necessarie) del negativo effetto che questo avrebbe avuto (in concomitanza con le altre caratteristiche dimensionali e dinamiche delle munizioni) sulla dispersione di tiro: effetto che in definitiva avrebbe poi comportato una diminuzione della Probabilità di colpire (a tiro centrato) nonostante la traiettoria “piatta” dei proietti. Il requisito per le armi da 381/50 fu emesso dalla Regia Marina nella primavera del 1934, ma la loro realizzazione richiese complessivamente circa quattro anni. Questi cannoni furono progettati e realizzati dalla Ansaldo, ma vennero costruiti anche

15 Ciò a causa della cosiddetta “zona battuta” la cui ampiezza, per un bersaglio navale alto “h” metri sull’acqua risulta pari a: h/tang ω essendo “ω” l’angolo di caduta: grandezza il cui valore è piccolo per proietti con traiettoria “piatta”.

Figura 8: Le torri prodiere da 381/50 della R.N. Roma.

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dalla OTO con lievi differenze tecniche che però non comportarono prestazioni differenti.

Tali armi conseguivano gittate massime molto elevate (oltre 42 Km all’elevazione massima di 36° consentita a bordo dall’affusto) con una capacità di perforazione sostanzialmente analoga a quella di tante armi da 406 mm. Peraltro una loro caratteristica non ottimale fu rappresentata dalla bassa celerità di tiro pari a 1,33 colpi/min per arma (1 colpo ogni 45 secondi): aspetto che pose conseguentemente limiti alla potenza di fuoco. Per confronto si ricorda ad esempio che le ben più vecchie artiglierie da 15 inch (381/42) realizzate in Gran Bretagna dalle Ditte Armstrong e Vickers nel 1911 potevano sparare 2 colpi/min.

Figura 9: Caratteristiche della bocca da fuoco Ansaldo e OTO da 381/50 Mod. 1934.

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La letalità dei proietti sparati dai cannoni da 381/50 Ansaldo-OTO delle RR.NN. classe “Littorio”

I proietti impiegati dal cannone 381/50 ANSALDO mod. 1934

I proietti destinati ad essere impiegati dal cannone in oggetto furono quelli indicati di seguito16 17:

Denominaz. Uso Tavole di Tiro Dati Unità di misura Valore

“Palla” tattico

T. T. n. 1 a 1a carica (Balipedio

“Gregorio Ronca”, Viareggio 1939)

Velocità iniziale tabulare m/s 850

Diametro max del proietto mm 380

Lunghezza (con tagliavento) mm 1700

Peso proietto completo (1) Kg 884,8

Peso esplosivo di scoppio (2) Kg 10,16

Rapporto R = (2)/(1) % 1,15

Tipo di esplosivo di scoppio /// TNT

Spoletta Krupp F.K. R. 34/39 oppure Borletti F. Bo R.

/// 1 di Fondello con ritardo

Carica di lancio N.A.C. Kg 271,65

Carica di lancio F.C. 4 276

“Granata Perforante” tattico

T. T. n. 4 a 1a carica

(Balipedio “Gregorio Ronca”,

Viareggio 1940)

Velocità iniziale tabulare m/s 870

Diametro max del proietto mm 380

Lunghezza (con tagliavento) mm 1702

Peso proietto completo (1) Kg 824,3

Peso esplosivo di scoppio (2) Kg 29,515

Rapporto R = (2)/(1) % 3,6

Tipo di esplosivo di scoppio /// TNT

Spoletta Krupp F.K. R. 34/39 oppure Borletti F. Bo R. ///

1 di Fondello con ritardo

Carica di lancio N.A.C.Kg

271,65

Carica di lancio F.C. 4 276

Esercizio (tipo economico)

inerte daesercitazione

T. T. n. 3 a 2a carica (Balipedio

“Gregorio Ronca”, Viareggio 1940)

Velocità iniziale tabulare m/s 650

Diametro max del proietto mm 379,9

Lunghezza (con tagliavento) mm 1700

Peso proietto completo Kg 795,4

Carica di lancio C.Kg

152,5

Carica di lancio F.C. 4 149,6

16 Dati tratti da: riferimento bibliografico n. 8, riferimento bibliografico n. 9, riferimento bibliografico n. 10, riferimento bibliografico n. 13, riferimento bibliografico n. 14, riferimento bibliografico n. 15, riferimento bibliografico n. 16.

17 Peso esplosivo di scoppio tratto dal riferimento bibliografico n. 21 (pag. 70). In un documento originale (senza data e senza indicazioni di protocollo né di origine) per la “Granata perforan-te” è indicato un peso di TNT pari a 30,2 Kg.

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Denominaz. Uso Tavole di Tiro Dati Unità di misura Valore

EsercizioAlleggerito

inerteda

esercitazione

T. T. n. 2 a 3a carica (Balipedio

“Gregorio Ronca”, Viareggio 1940)

Velocità iniziale tabulare m/s 850

Diametro max del proietto mm 379,9

Lunghezza (con tagliavento) mm 1700

Peso proietto completo Kg 418,3

Carica di lancio C.

Kg

125

Carica di lancio N.A.C. 131,7

Carica di lancio F.C. 4 130,8

Era possibile sparare a 1a carica per esercitazione anche proietti analoghi alla “Palla” e alla “Granata Perforante” di peso e dimensioni uguali a quelli tattici, ma inerti (contenenti scagliola al posto del TNT e privi di spoletta).

Tuttavia questi proietti erano costosi e il loro uso fu essenzialmente limitato ai tiri di balipedio, dopo aver verificato che essi fossero perfettamente conformi ai dati dimensionali di progetto (lunghezza delle singole parti; peso complessivo e distribuzione delle masse) ovvero che essi fossero idonei allo svolgimento di prove e misure tecniche necessarie per la compilazione delle Tavole di Tiro (proietti “al peso”).

La Fig. 10 mostra l’autore presso una “Palla” da 381/50 ( o p p o r t u n a m e n t e d e m i l i t a r i z z a t a ) attualmente conservata presso l’Accademia Figura 10: L’Autore posa accanto ad una “Palla” (demilitariz-

zata) da 381/50.

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La letalità dei proietti sparati dai cannoni da 381/50 Ansaldo-OTO delle RR.NN. classe “Littorio”

Navale di Livorno (stanza didattica di artiglieria navale intitolata al CF M. O. V. M. Vittorio Giannattasio).

Proietti da 381/50 per uso tattico – considerazioni generali

Osservando la sezione longitudinale della “Palla” e della “Granata Perforante” da 381/50 (fig. 11), risulta evidente che la ragion d’essere della prima era la ricerca della massima capacità di penetrazione nei confronti di bersagli pesantemente corazzati.

Ciò richiedeva un “cappuccio” p a r t i c o l a r m e n t e robusto e pareti laterali molto spesse: caratteristiche che limitavano entrambe l’ampiezza della cavità interna destinata a contenere l’esplosivo di scoppio (e la spoletta) e conseguentemente la capacità dirompente del proietto stesso. Si ricorda al riguardo che la “Granata Perforante” possedeva un “cappuccio” più piccolo e spessori di parete inferiori a quelli della “Palla”, ma con una carica esplosiva tre volte più pesante.

La spoletta (fig. 12) si attivava nell’istante di impatto del proietto contro la corazza, pur trasmettendo il comando di esplosione al detonatore (fig. 13) della carica di TNT con un certo ritardo. Ciò era necessario per far sì che la detonazione avvenisse dopo la completa perforazione delle piastre di protezione e bene all’interno

Figura 11: Sezione longitudinale di una “Palla” e di una “Granata” perforante da 381/50.

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della Nave nemica, arrecando così il massimo danno alle sue parti più sensibili.

Le spolette impiegate nei proietti da 381/50 per uso tattico erano avvitate nella piastra alla base della munizione (“fondello”) e disponevano di un sensore di impatto, costituito da una massa metallica trattenuta da una molla. Tale massa all’urto andava a colpire per inerzia la capsula incendiva del detonatore che trasmetteva il comando di detonazione alla carica esplosiva principale. Questa trasmissione era tuttavia subordinata al consenso di vari dispositivi di sicurezza18 ed era temporizzata tramite la semplice interposizione di un componente pirico che ritardava la trasmissione del segnale di un intervallo temporale fisso e prestabilito19. Data la tecnologia dell’epoca, non era possibile disporre di spolette dotate (come oggi accade) di ritardo variabile in funzione delle

condizioni di Balistica Terminale nell’istante di impatto (tipologia

del bersaglio; angoli di impatto; andamento nel tempo della decelerazione nella fase di impatto, ecc.).

18 La “sicurezza di maneggio” impediva che il proietto potesse esplodere durante le operazioni di trasporto e stivaggio svolte a terra e a bordo. La “sicurezza di volata” impediva che il proietto potesse esplodere subito dopo lo sparo, prima di essere uscito dalla canna. La “sicurezza di traiettoria” impediva infine che il proietto potesse esplodere troppo vicino alla Nave o al sito di balipedio da cui era stato sparato.

19 La durata prefissata del ritardo era assicurata (entro una ristretta fascia di incertezza temporale) dall’impiego di un piccolo grano di esplosivo la cui velocità di combustione era sufficientemente costante e ben nota. Di massima le spolette Krupp per i proietti di grosso calibro in uso presso la Regia Marina, erano caratterizzate da un ritardo pari a 3,5 centesimi di secondo. Vedasi il riferimento bibliografico n. 35.

Figura 12: Spoletta di fondello modello P.K 34/39 impiegata nei proietti tattici da 381/50.

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La letalità dei proietti sparati dai cannoni da 381/50 Ansaldo-OTO delle RR.NN. classe “Littorio”

Tenuto conto di quanto sopra esposto, si precisa che per esaminare le caratteristiche di letalità dei proietti tattici da 381/50 saranno analizzate:

- la loro capacità perforante nei confronti delle corazze di cintura;- le loro caratteristiche dirompenti, ovvero la loro capacità di proiettare una

potente onda d’urto e numerose schegge all’atto della detonazione, destinate a provocare il danneggiamento del bersaglio interagendo meccanicamente con esso.

Figura 13: Detonatore per proiettili perforanti.

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Parte 2a: Il potere perforante dei proietti tattici da 381/50

Materiali impiegati per la protezione passiva dell’Opera Morta delle Navi da battaglia

Il fenomeno della perforazione è uno degli esiti della interazione terminale tra proietto e bersaglio. È evidente quindi che per affrontare l’esame della capacità perforante della “Palla” da 381/50 occorre considerare innanzi tutto le caratteristiche resistenziali delle corazze contro cui tale proietto avrebbe dovuto impattare. Sulle Navi da battaglia queste corazze erano destinate a proteggere la “zona vitale” di bordo contro l’offesa portata da proietti di artiglieria e da bombe aviolanciate: armi terminali che generalmente giungono all’impatto contro l’Opera Morta20 delle Unità navali.

L’evoluzione delle tecnologie metallurgiche impiegate per realizzare le piastre di corazza per uso navale ebbe inizio nel 1858 con l’adozione della protezione di cintura in ferro dolce fucinato, spessa circa 120 mm, sulla Pirofregata corazzata ad elica Gloire della Marina Francese. Seguì lo sviluppo incessante di metodi costruttivi e procedimenti siderurgici sempre più efficaci che portarono alle corazze composite “Compound” di ferro dolce fucinato (1875), alla comparsa delle prime piastre di corazza di ferro al nichel (1890) e alla messa a punto di particolari tecniche di indurimento superficiale (importanti quelle del britannico Tressider nel 1887 e dello statunitense Harvey nel 1890). Giunse poi il processo di cementazione Krupp (“Krupp Cemented” KC verso il 1893÷1895) e l’adozione di leghe di acciaio ternarie (ferro-nichel-cromo) e quaternarie (ferro-nichel-cromo-molibdeno)21. Questa evoluzione portò ad un grande aumento delle caratteristiche resistenziali delle corazze22: indicando con “1” la resistenza alla perforazione del ferro fucinato dolce è possibile attribuire quasi il valore “4” alle corazze KC degli anni ‘30 e ‘40.

La tabella che segue, riassume in sintesi le caratteristiche di materiali da

20 Questo termine indica la parte della Nave che sta sopra la linea di galleggiamento. Proietti di artiglieria e bombe d’aereo generalmente giungono a segno su questa porzione della Nave. Tuttavia i proietti che cadono in mare “corti” rispetto al bersaglio, talvolta possono colpire anche lo scafo immerso (“Opera Viva”) dopo un breve percorso subacqueo.

21 La cementazione è un trattamento superficiale inteso ad indurire fortemente la faccia della corazza sottoposta ad esso, pur assicurando un’adeguata elasticità alla parte retrostante della piastra. Esso si basa su un processo di tempra nell’ambito del quale, durante la fase di riscaldamento ad alta temperatura, la corazza è immersa in un’atmosfera satura di monossido di carbonio. L’indurimento superficiale della corazza serviva per conseguire la rottura del “cappuccio” all’impatto, diminuendo così la capacità di perforazione del proietto.

22 Vedasi: G. Pellizzoni, L’Evoluzione delle piastre di corazzatura dalla Guerra di Crimea alla Grande Guerra, in “Rivista Marittima”, anno CXV, dicembre 1983.

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costruzione e da corazza23 in uso presso alcune tra le principali Marine nel periodo 1930÷1945.

Dall’esame di questi dati si può desumere in particolare che le capacità resistenziali dei materiali impiegati per la protezione dei ponti delle grandi Unità erano generalmente inferiori a quelle degli acciai speciali adottati per realizzare le corazze di cintura24.

Marine Tipo Impiego

Limite di snervamento

Limite di rottura

Allung. % Durezza

σs σr A(Kg/mm2) (Kg/mm2) % (BHN)

IT

ER Fasciame e controcarene 55 89 22 170 costante

OD Protezione dei Ponti 80 120 16 225 costante

KCCorazze di cintura

70 110 18 650 → 215

UK

HT Fasciame e controcarene 55 89 22 170 costante

NCA Protezione dei Ponti 85 120 25 225 costante

CA Corazze di cintura 85 120 25 600 → 225

US

HT Fasciame e controcarene 55 89 22 170 costante

STS Protezione dei Ponti 80 120 25 220

Class A Corazze di cintura 80 110 26 650 → 220

Calss B Protezione torri di Co-mando e di art. 83 120 25 220

GE

Ww Fasciame e controcarene 68 105 22 180

Wh Protezione dei Ponti 79 120 18 240

KcN/A Corazze di cintura 87 115 22 670 → 240

Il fenomeno della perforazione – aspetti generali

È sempre stato molto difficile formulare stime previsionali esatte in merito alla capacità perforante delle munizioni, o viceversa individuare le reali capacità

23 Dati tratti dal riferimento bibliografico n. 34. Gli stessi materiali impiegati per realizzare corazze e protezioni dei Ponti erano anche usati nella fabbricazione dei proietti perforanti. Il trattamento superficiale di cementazione delle corazze KC interessava circa il 20 % dello spessore totale delle piastre, cui seguiva una zona di transizione spessa circa il 15 ÷ 20% dello spessore totale. La durezza espressa in gradi “Brinell” (BHN) dell’acciaio cementato passava quindi dal valore massimo, posseduto da un sottile strato (circa 1 cm) subito sottostante alla faccia sottoposta a trattamento, sino al valore proprio dell’acciaio non cementato: valore raggiunto al termine della zona di transizione (ampia quindi il 35 ÷ 40 % circa dello spessore della piastra), con una diminuzione della durezza pressoché lineare (→).

24 Il simbolo → nella sottostante tabella indica una diminuzione lineare della durezza dell’acciaio tra il valore massimo indicato a sinistra e quello minimo indicatona destra.

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resistenziali delle corazze. La difficoltà che si incontra affrontando questa materia discende dall’estrema complessità del fenomeno di interazione terminale tra proietto e struttura protettiva, su cui influiscono in modo non lineare molti fattori. Tra essi vi sono: l’architettura delle strutture protettive; i materiali e il tipo dei trattamenti termici e di indurimento superficiale impiegati nella fabbricazione di corazza e proietto; il calibro, la massa, la lunghezza, gli spessori di parete25, la velocità e l’angolo d’impatto di quest’ultimo; l’eventuale esistenza del “cappuccio” e la forma del suo profilo. Attualmente esistono svariate teorie e numerosi procedimenti di calcolo numerico agli elementi finiti, in grado di descrivere in modo efficace il fenomeno della perforazione di strutture realizzate con materiali di vario tipo, ad opera di proietti di artiglieria. Ciò è ottenuto con gli avanzati software di simulazione, impiegati da moderni elaboratori digitali ad alta velocità di processo, che considerano modelli del fenomeno molto dettagliati. In tal modo essi tengono conto anche della struttura micro-cristallina dei metalli impiegati nella realizzazione dei proietti e (se del caso) delle corazze, descrivendo le deformazioni subite dai reticoli cristallini nella fase di impatto. Anche questi moderni metodi tuttavia basano la loro attendibilità su dati desunti da prove pratiche di balipedio, oltre a risultare assai specifici, cioè validi ed applicabili solo in determinati casi. A tutt’oggi infatti non è stata ancora individuata una sola legge scientifica in grado di descrivere in modo unitario il fenomeno della perforazione, ma è necessario ricorrere a teorie basate su ipotesi differenti a seconda della velocità di impatto e della tipologia dei materiali interessati. Al proposito un noto testo di Artiglieria26 di qualche anno fa:

“… (omissis) … The penetrating power of a kinetic energy projectile depends essentially on the following factors: caliber, projectile energy and angle of impact, and also the quality of the materials of which the projectile and the armour-plating are made. Despite repeated attempts, it has not yet proved possible to find an infallible theoretical method of predicting the likely degree of penetrating power. Consequently, we have to rely on an empirical method. … (omissis) …”

Il metodo indicato dal testo citato implica il ricorso a relazioni matematiche empiriche o semi-empiriche atte a descrivere la funzione F che esprime la “Probabilità di superamento delle difese passive del bersaglio” PSD citata in precedenza. Questa funzione a sua volta dipende dalle caratteristiche fisiche e dinamiche del proietto e dalla robustezza del bersaglio:

25 Gli spessori di parete sono tanto più sottili quanto più grande è la cavità interna al proietto che contiene l’esplosivo di scoppio, ovvero tanto più basso è il rapporto tra peso della parte metallica (“bicchiere”) e peso totale della munizione.

26 Vedasi il riferimento bibliografico n. 29 (pag. 195).

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F = f (massa, area sezione retta e velocità di impatto del proietto; robustezza del bersaglio)

La funzione F non fu dedotta in modo univoco dai molti studiosi di Balistica Terminale che l’hanno cercata, né venne formulata con modalità scientifiche rigorose, ma fu variamente definita sulla base dell’esame dei risultati di innumerevoli prove pratiche di balipedio. Queste ultime permisero di comprendere quali fossero le condizioni di impatto che consentivano la sicura perforazione delle corazze (PSD = 100 %) e suggerirono l’articolazione stessa delle formule che furono proposte. Inoltre grazie ad esse furono dedotti i valori più idonei da attribuire ai parametri di proporzionalità presenti nelle formule. Tra l’altro questi parametri consentono anche di esprimere i dati delle formule nelle unità di misura usate più di frequente in Artiglieria. Perciò queste formule appaiono formalmente scorrette dal punto di vista dimensionale, dato che le unità di misura usate spesso non sono coerenti tra loro. Tuttavia occorre ricordare lo scopo eminentemente pratico di tali relazioni matematiche, che forniscono comunque risultati più che soddisfacenti.

L’esigenza di queste formule sorse nell’ultimo quarto del XIX secolo, essendo divenuto necessario disporre di dati sulle capacità perforanti dei proietti di artiglieria (o, per converso, sulle caratteristiche resistenziali delle corazze da valutare) senza ricorrere troppo frequentemente alle prove tecniche di balipedio. Queste ultime infatti erano di realizzazione assai complessa richiedendo il pre-calcolo del peso e lo specifico confezionamento della carica di lancio da impiegare, per ottenere la velocità di impatto voluta corrispondente alla distanza di tiro di interesse. Inoltre tali prove erano costose dovendo essere ripetute molte volte per ottenere valori statisticamente affidabili. Pertanto tra la fine dell’800 e i primi anni ’30 del secolo scorso27 studiosi di Balistica Terminale di varie Nazioni definirono le formule empiriche citate i cui risultati, sebbene non molto precisi e in genere non sempre concordi tra loro, erano però sufficientemente indicativi oltre che sostanzialmente coerenti con quelli delle prove tecnico-pratiche di balipedio.

Il fenomeno della perforazione – descrizione qualitativa approssimata

Per descrivere qualitativamente il fenomeno in esame si è scelto di non descrivere alcuna teoria tra le molte oggi considerate, restringendo la trattazione ad alcuni aspetti pratici dell’interazione terminale tra proietto e corazza. Sarà

27 Con la scomparsa delle Navi corazzate e delle grandi artiglierie, l’interesse della materia è molto diminuito in campo navale, permanendo solo nel settore della difesa anti-missile di bordo. Tale interesse è invece tutt’oggi molto vivo sia presso gli Eserciti e le Aeronautiche militari per il contrasto di bersagli protetti (carri armati; bunker) sia presso le Agenzie Aerospaziali per la protezione contro l’urto di micro meteoriti dei veicoli destinati all’impiego eso-atmosferico.

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inoltre analizzato solo ciò che riguarda i proietti navali di grosso calibro dotati di “cappuccio” (tipo “Palla”, “Granata Perforante” e APC) che furono impiegati dalle artiglierie delle Navi da battaglia di un tempo. Tenuto conto di quanto sopra, occorre osservare che oggi viene considerato il cosiddetto “Limite balistico” ovvero la velocità di impatto definita come minimo valore della velocità (relativa) del proietto alla quale ha luogo la perforazione della struttura protettiva del bersaglio. Tale valore limite viene definito in modo statistico, come velocità di impatto “V50” (“velocità di perforazione probabile”) che nel 50% di innumerevoli tiri effettuati consente la perforazione completa28 della piastra protettiva del bersaglio da parte di uno specifico tipo di proietto. Nel passato invece si faceva riferimento alle cosiddette “Velocità critiche” in corrispondenza delle quali avveniva la perforazione di una corazza disposta verticalmente, di spessore uguale al calibro del proietto (corazza “omocalibro”) da parte di tutta la munizione (intera o frammentata). Ciò con la riduzione a zero della sua velocità (o quella dei suoi frammenti) di post-perforazione e senza tenere alcun conto dell’eventuale scoppio della sua carica esplosiva. La velocità critica così definita era pertanto quella che conferiva al proietto la sola energia cinetica indispensabile per conseguire la perforazione restando integra o fratturandosi: perforazione che assorbiva quindi tutta l’energia cinetica posseduta all’impatto dal proietto, che perciò si fermava del tutto, subito dopo aver oltrepassato la piastra. Pertanto la velocità critica era una grandezza limite detta anche “Velocità di stretta perforazione”29. In particolare, per proietti sparati contro la stessa corazza verticale “omocalibro”, erano considerate le seguenti velocità critiche (V2 < V1 < V3):

Velocità di stretta perforazione di una corazza verticale di spessore pari al calibro dei proietti

proietto senza “cappuccio”

Valori della velocità del proiettoV1 V1 < V < V3 V3

non perfora perfora a proietto rot-to/fratturato

perfora a proietto intero

proietto con “cappuc-cio”

Valori della velocità del proiettoV2

perfora a proietto rotto/fratturato perfora a proietto intero

28 Vedasi il riferimento bibliografico n. 30 (pag. 111÷115). La condizione di perforazione completa è peraltro essa stessa oggetto di discussione. Lo US ARMY assume che la perforazione completa abbia luogo quando la piastra risulta fessurata a sufficienza per vedere un raggio di luce proveniente dal lato opposto. Altri criteri considerano che un proietto perfori completamente la corazza quando almeno metà del proietto ha superato la corazza, oppure quando un sottile foglio di alluminio posto ad una certa distanza dietro la piastra risulta perforato.

29 Vedasi il riferimento bibliografico n. 3 (pag. 276÷286) e il riferimento bibliografico n. 4 (pag. 181÷187).

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Da quanto precedentemente indicato e tenuto conto della necessità di impiegare sempre proietti esplosivi nel Tiro contro bersagli navali, risulta evidente l’importanza che fu attribuita alla conoscenza della “Velocità di stretta perforazione” a proietto intero: unica condizione in cui è possibile ritenere che il funzionamento della spoletta, del detonatore e della carica di scoppio abbia luogo correttamente, assicurando una regolare detonazione del proietto. Inoltre occorre osservare che, nel caso in cui il proietto si fratturi, il lavoro di frantumazione avviene a spese dell’energia cinetica posseduta dalla munizione all’impatto. È quindi evidente che, in caso di rottura, le capacità di perforazione del proietto si riducono.

La formula originale di Jacob De Marre

Tra le formule più conosciute e più diffuse per definire la funzione f vi è quella proposta tra il 1870 e il 1880 dall’Ufficiale della Marina Francese Jacob De Marre, studioso di Balistica Terminale in servizio presso il celebre Centro tecnico di Gâvre, situato unitamente al relativo balipedio sulla piccola penisola omonima, presente davanti al porto atlantico di Lorient. Tale formula semi-empirica infatti fu largamente impiegata dagli Organi tecnici di tutte le principali Marine e fu di uso corrente anche presso la Regia Marina30 (vedasi Appendice 1). Di seguito se ne riporta la forma originale, che inizialmente indicava il valore della velocità di impatto V1 per proietti privi di “cappuccio”31, sparati con asse longitudinale in direzione normale (├) a piastre di corazza “omocalibro” in acciaio dolce (acciaio in cui la presenza di carbonio è di massima inferiore allo 0,2 %):

V1├ = 1530 * C 0,75 (1) P 0,5

dove risulta:

- 1530 valore originale della “Costante di De Marre”- C calibro (diametro)32 del proietto (dm)- e spessore perforato completamente (dm)- P peso del proietto (Kg)

Secondo l’Autore, questa formula, al pari di quelle che saranno presentate nel

30 Vedasi il riferimento bibliografico n. 2 (pag. 515). Questa formula venne usata tra l’altro per stabilire le condizioni di collaudo delle piastre di corazza e dei proietti muniti di “cappuccio”.

31 Si ricorda che il “cappuccio” per proietti perforanti fu introdotto in uso nel 1894, cioè circa 15 anni dopo la definizione di questa formula.

32 Il diametro massimo del proietto è in realtà sempre leggermente inferiore al calibro del cannone che lo spara.

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seguito, pur essendo tutte espresse in modo deterministico, possiedono però una valenza statistica. In particolare il risultato della (1), essendo riferito ad una “Velocità di stretta perforazione”, può essere ritenuto il valore della velocità che consente al proietto in esame di perforare la piastra di corazza di spessore e nel 50 % delle prove (“velocità di perforazione probabile”). Per verificare ciò occorre considerare tutti i proietti tra loro uguali, ciascuno dei quali animato da una velocità compresa in un intorno circolare di raggio “ρ” del valore V1 fornito dalla (1). In questo caso risulta che tutti i proietti (in teoria infiniti) che hanno velocità appartenenti a quell’intorno e sono inferiori a quel valore non perforano la piastra, mentre tutti quelli (in teoria infiniti + 1) che sono animati da velocità sempre appartenenti a quell’intorno ma pari o superiore a V1 ├ la perforano. Facendo poi tendere a zero il raggio dell’intorno circolare di cui sopra (ρ → 0), risulta in sostanza che la metà dei proietti animati dalla velocità V1 ├ perfora la corazza, mentre l’altra metà non ci riesce. Questa è appunto la definizione di “velocità di perforazione probabile”. Parimenti, le formule che in seguito saranno impiegate per dedurre gli spessori di corazza perforati da proietti animati da specifiche “Velocità di stretta perforazione”, possono essere ritenute quelle che forniscono gli spessori che ci si attende siano perforati nel 50% dei casi. Pertanto tali formule indicano in realtà il “valore probabile” dello spessore perforato da un proietto di un determinato peso e calibro, animato da una certa velocità.

Successivamente, con la realizzazione di corazze di acciaio al nichel e cromo-nichel sempre più resistenti e sottoposte a procedimenti di indurimento superficiale via via più avanzati (vari tipi di tempra; carburazione; cementazione), la relazione ( 1 ) dovette essere aggiornata. Infatti, considerando invariate le caratteristiche e il calibro dei proietti, il grande aumento della robustezza delle corazze richiese un significativo incremento della velocità di impatto. Ciò fu espresso modificando la formula nel modo seguente:

V1 ├ = 1530 * K1 * C 0,75 * e 0,7 (2) P 0,5

dove, con il termine K1 è indicata una costante generalmente denominata “Coefficiente piastra-proietto” il cui valore (sempre > 1) cresce con l’aumentare della robustezza della corazza. In particolare:

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Valori attribuiti a K1 Condizioni di attribuzione dei valori K2 = 1530 * K1

1 proietti senza “cappuccio” sparati contro corazze di acciaio dolce 1530

1,05 ÷ 1,1 proietti senza “cappuccio” sparati contro corazze di acciaio al nichel non cementate 1607 ÷ 1683

1,15 ÷ 1,2 proietti senza “cappuccio” sparati contro corazze di acciaio al cromo-nichel non cementate 1760 ÷ 1836

1,3 ÷ 1,45 proietti senza “cappuccio” sparati contro corazze di acciaio al cromo-nichel cementate (KC) 1989 ÷ 2219

Infine, con l’introduzione dei proietti perforanti dotati di “cappuccio”, si ebbe una certa diminuzione della velocità di impatto necessaria per perforare una corazza “omocalibro” di ultima generazione33:

Valori attribuiti a K1

Condizioni di attribuzione dei valori K2 = 1530 * K1

1,15 ÷ 1,25 proietti dotati di “cappuccio” sparati contro corazze di acciaio al cromo-nichel cementate (KC) 1760 ÷ 1913

Tenendo inoltre conto del valore del nuovo “Coefficiente piastra-proietto” risultante dal prodotto K2 = 1530 * K1 la relazione (2) può essere indicata come segue:

V2├ = K2 * C 0,75 * e 0,7 (3) P 0,5

Verso l’inizio degli anni ’30 si affermò però la necessità di considerare in realtà valori di V2 superiori a quelli dedotti tramite la ( 3 ). Infatti tale formula fornisce il valore limite della velocità di impatto del proietto, al di sotto del quale la munizione, pur dotata di “cappuccio” e pur perforando la corazza, si frattura: situazione quest’ultima che occorreva evitare con certezza. In pratica quindi vennero considerati valori maggiorati da attribuire al “Coefficiente piastra-proietto” di De Marre. Nel caso di proietti con “cappuccio” sparati contro corazze al cromo-nichel cementate (KC) il campo di variazione per tale parametro fu il seguente34:

K2 = 1530 * (K1 = 1,15) * 1,15 ↔ 1530 * (K1 = 1,25) * 1,2 = 2023 ↔ 2295 (4)

Tale maggiorazione avrebbe anche permesso di tenere in conto con sufficiente confidenza anche delle stime che indicavano spessori perforati superiori al calibro

33 Per i valori di questa tabella e di quella precedente vedasi il riferimento bibliografico n. 3 (pag. 286) e il riferimento bibliografico n. 4 (pag. 190).

34 Vedasi il riferimento bibliografico n. 3 (pag. 286) con specifico riferimento alla nota presente a piè di pagina.

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del proietto: quindi non più spessori di corazze esattamente “omocalibro” ma anche superiori al diametro della munizione fino a un massimo del 10 % in più.

Nuovi fattori K1 maggiorati Condizioni di attribuzione dei valori Nuovi fattori K2

maggiorati1,15 * 1,15 = 1,32

÷ 1,25 * 1,2 = 1,5

proietti dotati di “cappuccio” sparati contro piastre di acciaio al cromo-nichel cementate 2023 ÷ 2295

Questo nuovo campo di variazione per il Coefficiente in esame fu considerato in genere da tutte le Marine dell’epoca, sebbene spesso non vi sia stata concordanza sulla scelta dello specifico valore da attribuire a tale parametro.

Formula di De Marre per spessori perforati con impatto normale – interpretazione fisica

La relazione di De Marre nella forma indicata dalla (3) permette di conoscere la “Velocità di stretta perforazione” V2 in relazione ad una corazza di spessore e caratteristiche tecniche note. Tuttavia è possibile ottenere da tale forma quella equivalente (5) che fornisce lo spessore perforato di una piastra di caratteristiche note, su cui impatta un proietto dotato di “cappuccio”, animato da una velocità conosciuta e asse longitudinale normale alla corazza:

e ├ = [(V├ * P 0,5 )/(K2 * C 0,75)]10/7 (5)

Le dimensioni dei dati di ingresso e del risultato sono quelle già specificate. Adeguando opportunamente il valore di K2 si possono considerare anche dimensioni differenti, come è mostrato dalla tabella che segue, in cui sono state variate le dimensioni delle grandezze di interesse, per tener conto delle specifiche modalità riguardanti la loro indicazione, all’epoca in uso presso alcune Marine:

Relazioni tra le varie espressioni del Coefficiente di De Marre (proietti dotati di “cap-puccio” sparati contro corazze di acciaio al cromo-nichel cementate KC)

Coefficiente di De Marre

Dimensione diametro del proietto (C)

Dimensione spessore

perforato (e)

Dimensione peso del pro-

ietto (P)

Dimensione velocità di

impatto proietto (C)

Tipico campo di

variazione del Coefficiente di

De MarreK2 dm dm Kg m/s 2023 ÷ 2295K2’ mm mm Kg m/s 2,55 ÷ 2,89K2’’ cm mm Kg m/s 14,32 ÷ 16,25K2’’’ inch inch lbs ft/s 1350 ÷ 1532

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Per cercare un’interpretazione fisica della ( 5 ) occorre notare che essa potrebbe essere scritta così:

e ├ = {[(V├ * P 0,5 )/(K2 * C 0,75)] 2}5/7

e ├ = [(V├ 2 * P)/(K2

2 * C 1,5)]5/7

e ├ = [(V├ 2 * m * g)/(K2

2 * C 1,5)]5/7

e ├ = [(½ * V├ 2 * m * g)/(½ * K2

2 * C 1,5)]5/7

e ├ = [(½ * V├ 2 * m * g * C 0,5 * ¼)/(½ * K2

2 * C 1,5 * π * C 0,5 * ¼)]5/7

e ├ = [(½ * m * V├ 2 * g * C 0,5 * ¼)/(½ * K2

2 * C 2 * π * ¼)]5/7

Considerando a questo punto le seguenti relazioni:

K3 = (g * ¼)/(½ * K22) KE = ½ * m * V ├

2 A = C 2 * π * ¼

risulta:

e├ = [(KE * √ C * K3)/A]5/7

Ponendo quindi:

δKE = KEPROIETTO ALL’IMPATTO / ASEZIONE RETTA DEL PROIETTO(Densità sezionale di KE del proietto all’impatto)

si ottiene infine:

e├ = (δKE * K3 * √ C)5/7 (6)

Pertanto la formula di De Marre, che fornisce lo spessore di una corazza perforata con impatto normale, indica in sostanza che tale grandezza è direttamente proporzionale alla “Densità sezionale di energia cinetica del proietto all’impatto”: una proporzionalità la cui esistenza è senz’altro intuitiva e facilmente riscontrabile nelle prove pratiche di Balistica Terminale in balipedio.

La formula di De Marre per gli spessori perforati con impatto obliquo

È importante sottolineare a questo punto che la (5) è unicamente riferita a impatti tra munizione e corazza in cui l’asse longitudinale del proietto colpisce la piastra con direzione normale (├). Tuttavia non sempre (anzi quasi mai) la geometria

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di impatto è di questo tipo, essendo caratterizzata nella maggioranza dei casi da condizioni di urto obliquo. Infatti possono essere considerati impatti in direzione normale alla corazza solo quelli riferiti a:

- tiro contro una piastra ipoteticamente collocata a distanza zero dalla volata (“bersaglio alla bocca”) e disposta con giacitura normale all’asse del cannone;

- bombe aviolanciate, sganciate da quote elevate, che colpiscono superfici orizzontali.

Per quanto concerne la geometria di impatto, considerando una piastra verticale di corazza, l’angolo compreso tra il Piano di tiro (Piano verticale contenente la porzione terminale della traiettoria) e il Piano della piastra, nella Regia Marina era detto “angolo di imbatto” (angolo β) mentre quello ad esso complementare (riferito quindi al Piano normale alla corazza) era denominato “angolo di inclinazione del tiro” (angolo α). Entrambi tali angoli giacciono sul Piano orizzontale. Inoltre il proietto (prescindendo dalla condizione teorica di “bersaglio alla bocca” sopra menzionata) giunge sempre con un suo “angolo di caduta” (angolo ω) rispetto al Piano orizzontale: angolo che giace nel Piano di tiro35, la cui ampiezza dipende dalla Balistica Esterna del proietto e dalla distanza di tiro. Quanto sopra evidenzia che la formula di De Marre e tutte le altre analoghe, non possono essere impiegate se non vengono adeguatamente modificate per tener conto dell’obliquità dell’impatto, dipendente dagli angoli β e ω sopra citati.

Sebbene i proietti perforanti (“Armour Piercing” AP) e ancor più quelli tipo “Palla” fossero robustissimi, la loro capacità perforante dipendeva in modo rilevante dall’angolo di obliquità complessiva all’impatto, ovvero dall’angolo esistente tra l’asse longitudinale del proietto e la direzione normale alla superficie della piastra di corazza. Infatti al crescere di tale angolo aumentavano grandemente le sollecitazioni trasversali (di taglio) agenti sulla munizione, che ne provocavano poi la rottura quando veniva superata una determinata soglia, dipendente dal tipo di acciaio e dallo spessore della parete laterale del proietto. Da ciò si comprende quanto fosse difficile definire formule empiriche di perforazione valide per gli urti obliqui e quanto strettamente esse dipendessero dal tipo di proietto impiegato (ovvero dalla sua robustezza) a parità di corazza considerata.

Peraltro le condizioni di impatto obliquo non avevano luogo solo quando la Nave colpita sulla cintura corazzata si presentava con un angolo di aspetto β ≠ 90° ma anche quando il proietto colpiva il Ponte dell’Unità nemica (evidentemente a prescindere dall’angolo di aspetto): caso in cui l’angolo di caduta ω era sempre

35 Tutte queste definizioni, sebbene semppre considerate per convenzione, trascurano tuttavia il pur piccolo angolo di incidenza tra la direzione della velocità del proietto e quella del suo asse longitudinale: angolo dovuto al moto di precessione impresso al proietto stabilizzato per rotazione della rigatura della canna che lo ha sparato.

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caratterizzato da forte obliquità. Da ciò si comprende come le condizioni di impatto obliquo non potessero essere trascurate verificandosi con frequenza nella realtà dei casi: anzi la loro importanza era tale da imporre l’introduzione di adeguate modifiche alle versioni originali delle formule di penetrazione empiriche esistenti.

Molte furono quindi le modifiche in oggetto (sempre definite empiricamente) adottate dagli studiosi di Balistica Terminale e dai tecnici delle varie Marine. Tali modifiche vennero sempre dedotte a seguito dell’analisi dei risultati di prove pratiche di balipedio e furono definite ogni volta in modo specifico per ottenere un buon accordo tra i valori di perforazione rilevati dal vero e quelli ottenuti tramite calcolo. È quindi evidente che le modifiche introdotte in tal senso furono sempre caratterizzate da un certo grado di “personalizzazione” per cui, tanto maggiore era l’obliquità di impatto tanto più esse divenivano specifiche e capaci di fornire valori accurati solo per i cannoni e i proietti impiegati nelle prove pratiche di balipedio, in base alle quali esse erano state definite. Viceversa, tanto più piccola era l’obliquità di impatto tanto maggiore era la possibilità di considerare la validità di quelle formule anche per differenti binomi cannone-munizione.

Si osserva infine che l’obliquità di impatto può essere espressa sia tenendo conto separatamente dell’angolo di caduta ω e dell’angolo di imbatto β sia considerando l’angolo di obliquità complessiva di impatto Ob definito con le relazioni seguenti, in base agli angoli precedentemente citati:

Ob = 90° – arc sen (cos ω * sen β) Ob = 90° – ω (impatto contro la corazza di cintura) (impatto contro la protezione orizzontale)

Nel caso ipotetico di impatto con direzione perfettamente normale sarebbe quindi risultato:

Ob = 0°

Per evitare possibili fraintendimenti, occorre ricordare che in passato gli Organi tecnici di alcune Marine hanno preferito considerare l’angolo di obliquità complessiva d’impatto Υ così definito:

Υ = 90° – Ob = arc sen (cos ω * sen β)

La figura 14 illustra la geometria generale di impatto dei proietti di artiglieria.

Come detto in precedenza, gli Organi tecnici della Regia Marina impiegarono la formula semi-empirica di De Marre sin da epoche antecedenti il Primo Conflitto Mondiale, per analisi e stime previsionali riferite alla resistenza delle corazze e alla capacità di perforazione dei proietti. In particolare, per tener conto delle condizioni

KA

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di impatto obliquo del proietto (dotato di “cappuccio”), gli Organi tecnici della Regia Marina considerarono la seguente versione modificata della formula di De Marre, in cui l’obliquità era espressa mettendo a calcolo gli angoli ω e β definiti in precedenza:

eDE MARRE (ω ; β) = eDE MARRE ├ * f (ω ; β) f (ω ; β) = (cos ω) 10/7 * (sen β) 10/7

eDE MARRE (ω ; β) = {[(V * P 0,5)/(K2 * C 0,75)]10/7} * f (ω ; β)

eDE MARRE (ω ; β) = [(V * cos ω * sen β * P 0,5)/(K2 * C 0,75)] 10/7 (7)

La formula (7) tuttavia forniva risultati sufficientemente accurati e validi per differenti binomi cannone-munizione solo quando:

- l’angolo di caduta ω non superava 30° per impatto contro la protezione di cintura;

- l’angolo di caduta ω era compreso tra 60° e 120° per impatto contro la protezione orizzontale;

- l’angolo di imbatto β non era inferiore a 60° per impatto contro la protezione di cintura;

- l’angolo di obliquità complessiva Ob non era superiore a circa 41°

Figura 14: Geometria generale d’impatto dei proiettili d’artiglieria.

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La letalità dei proietti sparati dai cannoni da 381/50 Ansaldo-OTO delle RR.NN. classe “Littorio”

Pertanto l’impiego della (7) era limitato alla stima della capacità di perforazione di proietti sparati contro la protezione di cintura e delle bombe d’aereo sganciate da alta quota che colpivano la protezione orizzontale di un’Unità navale. Quindi tali limiti impedivano di fatto l’uso della (7) per stimare la capacità perforante di un proietto giunto all’impatto contro la protezione orizzontale.

La capacità di perforazione della “Palla” da 381/50 – Stime e dati ufficiali

Tenuto conto della (7) e in base ai dati balistici del proietto in esame indicati in funzione della gittata dalle relative Tavole di Tiro, si possono dedurre gli spessori di corazza cementata KC in acciaio al nichel-cromo perforati da quella munizione:

Dati balistici tratti dalla Tavola di Tiro n° 1 per cannone da 381/50 e proietto tipo “Palla”(dati ufficiali Regia Marina 1939)

Tipo diproietto

Caratteristiche fisiche del proietto Distanza di

tiro

Caratteristiche di Balistica Esterna del proietto

calibro peso Velocità d’impatto

angolo di caduta

“Palla” da 381/50

C P X V ω

(mm) (Kg) (m) (m/s) ( ° ) ( ‘ )

381 884,8

26.000 513 21 13

24.000 528 18 31

22.000 547 16 1

20.000 569 13 43

19.000 580 12 38

18.000 591 11 37

17.000 603 10 38

16.000 615 9 42

15.000 628 8 49

La figura 15 e la figura 16 mostrano i dati di perforazione che furono ufficialmente considerati dalla Regia Marina36 per i proietti tattici in uso durante la 36 La figura in oggetto mostra le tabelle di perforazione riportate dal riferimento bibliografico n. 21

(pag. 71).

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Seconda Guerra Mondiale. I valori riguardanti la perforazione di corazze verticali di cintura sono riportati nella tabella che segue, unitamente alle stime eseguite con la formula di De Marre. Ciò permette un agevole confronto tra tali valori, da cui si rileva una loro ottima concordanza, soprattutto quando: 60° ≤ β ≤ 90°.

Figura 15: Dati di perforazione delle corazze verticali considerati dalla R. Marina per i proietti tattici da 381/50 e 320/44.

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La letalità dei proietti sparati dai cannoni da 381/50 Ansaldo-OTO delle RR.NN. classe “Littorio”

Figura 16: Dati di perforazione dei ponti corazzati considerati dalla R. Marina per proietti tattici di vario calibro.

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Dati di perforazione della “Palla” da 381/50 (calibro C = 381 mm – corazza verticale – acciaio KC – peso proietto 884,8 Kg) stimati con formula di De Marre ( K2

’ = 2,87 ) e dati ufficiali Regia Marina

Distanza di tiro (m)

Angolo β

90° 80° 70° 60° 50°

dati De

Marre

dati uf-ficiali

dati De

Marre

dati uf-ficiali

dati De

Marre

dati uf-ficiali

dati De

Marre

dati uf-ficiali

dati De

Marre

dati uf-ficiali

26.000 326 325 319 318 299 299 266 266 223 223

24.000 348 348 341 340 319 320 284 285 238 238

22.000 374 N.N. 365 N.N. 342 N.N. 304 N.N 255 N.N

20.000 401 402 393 392 367 367 327 326 274 260

19.000 415 416 406 406 380 380 338 338 284 260

18.000 429 N.N. 419 N.N. 392 N.N. 349 N.N. 293 N.N.

17.000 443 N.N. 434 N.N. 406 N.N. 361 N.N. 303 N.N.

16.000 458 N.N. 448 N.N. 419 N.N. 373 N.N. 313 N.N.

15.000 473 N.N. 463 N.N. 433 N.N. 385 N.N. 323 N.N.

Le differenze tra i dati stimati con la formula di De Marre e quelli ufficiali sono generalmente inferiori a ± 1 % (60° ≤ β ≤ 90°) e sono così piccole da non poter essere considerate casuali. È tuttavia possibile notare che le differenze più significative tra le stime calcolate con il metodo De Marre e i dati ufficiali Regia Marina sussistono quando gli angoli β eccedono il limite di applicabilità della formula modificata per l’impatto obliquo. In particolare le differenze maggiori (evidenziate in grigio) riguardano le perforazioni con β = 50° per distanze di tiro minori o uguali a 20.000 metri (e quindi per energie cinetiche di impatto molto elevate).

Ciò probabilmente è da imputarsi alla tendenza della pur robustissima “Palla” da 381/50 a fratturarsi in quelle condizioni di violento urto obliquo (velocità di impatto > 560 m/s), con conseguente diminuzione della sua reale capacità perforante. Per questa ragione maggiori obliquità di impatto non erano considerate.

Un analogo livello di concordanza può essere riscontrato anche per i valori riguardanti la “Palla” da 320/44 (fig. 17) riportati di seguito37:

37 È importante notare che la carica esplosiva di scoppio di questo proietto era pari a 6,38 Kg per cui la sua percentuale in peso sul totale della munizione era 1,22%. Vedasi il riferimento bibliografico n. 21 (pag. 70).

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Dati balistici tratti dalla Tavola di Tiro n° 1 per cannone da 320/44 e proietto tipo “Palla”(dati ufficiali Regia Marina 1936)

Tipo diproietto

Caratteristiche fisiche del proietto

Distanza di tiro

Caratteristiche di Balistica E. del proietto

calibro peso Velocità d’impatto angolo di caduta

“Palla” da 320/44

a P X V ω(mm) (Kg) (m) (m/s) ( ° ) ( ‘ )

320 525

26.000 447 28 1824.000 454 24 5022.000 467 21 3020.000 482 18 2119.000 491 16 5018.000 501 15 2317.000 512 14 0016.000 524 12 4315.000 537 11 30

Dati di perforazione della “Palla” da 320/44 (calibro C = 320 mm – corazza verticale – acciaio KC – peso proietto 525 Kg) stimati con formula di De Marre ( K2

’ = 2,87 ) e Dati ufficiali Regia Marina

Distanza di

tiro(m)

Angolo β

90° 80° 70° 60° 50°

dati De Marre

dati ufficiali

dati De Marre

dati ufficiali

dati De Marre

dati ufficiali

dati De Marre

dati ufficiali

dati De Marre

dati ufficiali

26.000 205 N.N. 201 N.N. 188 N.N. 167 N.N. 140 N.N.

24.000 219 221 214 216 200 202 178 179 150 150

22.000 236 238 231 232 216 218 192 194 161 162

20.000 254 256 249 249 233 235 207 209 174 174

19.000 264 N.N. 259 N.N. 242 N.N. 215 N.N. 181 N.N.

18.000 275 276 269 270 251 254 224 225 188 189

17.000 286 N.N. 280 N.N. 262 N.N. 233 N.N. 195 N.N.

16.000 298 N.N. 291 N.N. 273 N.N. 243 N.N. 204 N.N.

15.000 311 N.N. 304 N.N. 284 N.N. 253 N.N. 212 N.N.

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Ciò si ritiene molto indicativo sia dell’effettivo impiego da parte degli Organi tecnici della Regia Marina della formula empirica di De Marre che dell’attribuzione alla relativa Costante “piastra-proietto” K2

’ del valore 2,87.

Si osserva al riguardo che quest’ultimo è abbastanza prossimo al valore massimo pari a 2,96 suggerito dai testi tecnici di riferimento dell’epoca38.

Occorre infine osservare che i dati ufficiali di perforazione non erano estesi al di fuori dell’intervallo di gittata, pari alla fascia di distanza contemplata dalla Normativa tattica della Regia Marina per il combattimento navale39 con cannoni di grosso calibro. Tuttavia non furono indicati spessori perforabili a distanze inferiori a 18.000 ÷ 19.000 metri forse anche perché in quel caso i valori forniti dalla formula di De Marre iniziano a

superare il calibro dell’arma con scostamenti che raggiungono e superano il 10% (considerando valori elevati dell’angolo β): situazione che secondo i canoni tecnici della Regia Marina rendeva i dati di perforazione calcolati poco affidabili40.

38 Vedasi le precedenti relazioni (3) e (4).39 Tale Normativa prescriveva le fasce di distanza seguenti. Vedasi il riferimento bibliografico n° 21

(pag. 56÷60):

CalibroInizio fase di “Aggiustamento” Tiro in efficacia

(m) (m)381/50 25.000 ÷ 30.000 19.000 ÷ 21.000320/44 22.000 19.000 ÷ 21.000

40 Vedasi il precedente paragrafo n. 10.

Figura 17: L’Autore accanto a una “palla” da 320/44 parzialmente sezionata.

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Altri dati di perforazione

Il testo Battleship di Robert O. Dulin e William H. Garzke41 riporta per il materiale italiano da 381/50 spessori perforati (relativi al solo angolo di imbatto β = 90°) stimati in base a un (non meglio precisato) procedimento empirico US Navy. Tali dati di perforazione42, pur essendo riferiti a velocità ed angoli di caduta del proietto “Palla” da 381/50 non del tutto uguali a quelli reali, risultano comunque assai superiori ai valori che furono considerati ufficialmente dalla Regia Marina:

Dati di perforazione della “Palla” da 381/50 (calibro C = 381 mm – corazza verticale – acciaio KC – angolo β = 90° ─ peso proietto 884,8 Kg) stimati con procedimento

empirico US Navy – dal testo “Battleships” citatoDistanza

di tiroCaratteristiche di

Balistica E. del proiettoDensità

sezionale di energia cinetica

Spessore perforato

e

Rapporto e/C

Velocità d’impatto

angolo di caduta

X V ω δKE IMPATTO dati da “Battle ships”

d. De Marre

K2’ = 2,52

%rispetto a dati testo

(m) (m/s) ( ° ) ( ‘ ) (Kg/m) (mm) (mm)26.000 518 20 40 1,06 * 10 8 403 400 + 624.000 530 18 3 1,11 * 10 8 427 423 + 1222.000 546 15 39 1,18 * 10 8 453 450 + 1920.000 563 13 24 1,25 * 10 8 480 477 + 26

[ 19.000 ] [ 574 ] [ 12 ] [ 28 ] 1,3 * 10 8 [ 495 ] 493 + 3018.000 584 11 20 1,35 * 10 8 510 508 + 34

[ 17.000 ] [ 595 ] [ 10 ] [ 30 ] 1,4 * 10 8 [ 525 ] 524 + 3816.000 607 9 30 1,46 * 10 8 540 542 + 42

[ 15.000 ] [ 620 ] [ 8 ] [ 42 ] 1,52 * 10 8 [ 555 ] 560 + 46

Pur non conoscendo il procedimento di calcolo semi-empirico US Navy, ricorrendo al metodo De Marre è stato possibile trovare il valore del “Coefficiente piastra-proietto” K2’ = 2,52 che permette di ottenere risultati molto prossimi (scarto massimo inferiore a ± 1 %) a quelli riportati dal testo citato. Si è constatato così che il procedimento US Navy indica una capacità di perforazione della “Palla” da 381/50 assai più elevata di quella che fu considerata dalla Regia Marina.

Oltre a ciò, anche dall’analisi di documenti grafici Krupp43, concernenti il

41 Vedasi il riferimento bibliografico n. 26 (pag. 232).42 I valori indicati tra parentesi quadra non sono riportati dal testo citato, ma sono stati interpolati

dall’Autore in base a quelli effettivamente presenti allo scopo di poter disporre di tabelle con dati tra loro confrontabili.

43 Vedasi il riferimento bibliografico n. 11 e il riferimento bibliografico n. 12. Si sottolinea in

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celebre cannone SK C 34 da 38 cm di calibro prodotto da quella Ditta (imbarcato in otto esemplari a bordo di ciascuna Nave da battaglia classe Bismarck) e il relativo proietto perforante “Panzersprenggranate” L/4,4 da 38 cm e 800 Kg di peso, sono emersi elementi che indicano l’esistenza di significative differenze tra i valori di perforazione contro corazza verticale stimati dagli Organi tecnici della Regia Marina e quelli considerati dalla Krupp tramite la formula “Krupp 1930” (Appendice 2).

In particolare, confrontando i risultati forniti dalla formula di De Marre e dalla formula “Krupp 1930” per il proietto “Panzersprenggranate” L/4,4 da 38 cm si osserva che una loro pur non perfetta coerenza (scarto massimo inferiore a ± 4 %) si ottiene quando il “Coefficiente piastra-proietto” K2’ di De Marre assume il valore 2,43: valore che è abbastanza lontano dal 2,87 considerato dalla Regia Marina per la “Palla” da 381/50.

È interessante notare infatti che i dati di perforazione ufficiali Krupp per il proietto citato (figura 18) sono in alcuni casi addirittura leggermente superiori (a parità di distanza di tiro e di angolo di imbatto β) a quelli ritenuti validi in Italia per la “Palla” da 381/50 sebbene quest’ultima fosse caratterizzata da una “Densità sezionale di energia cinetica del proietto all’impatto” sempre molto superiore44.

particolare che il secondo dei documenti qui citati è un grafico di perforazione realizzato dalla KRUPP sulla base di prove pratiche di balipedio svolte con il proietto in esame e della formula semi-empirica di perforazione “Krupp 1930”.

44 Vedasi la precedente relazione (6). In merito al documento grafico Krupp che mostra la capacità del proietto “Panzersprenggranate” L/4,4 da 38 cm (originale Krupp, tradotto in lingua Inglese) è necessario osservare che:- l’indicazione “shell penetrates intact” è posta in alto a sinistra, a significare che maggiore è la

velocità di impatto e più elevato è l’angolo Ob più grande è la probabilità che la munizione non si fratturi durante la perforazione;

- oltre la curva che indica uno spessore perforato di 460 mm il grafico in esame non mostra altri valori. Ciò potrebbe essere dovuto alla considerazione di quel valore da parte della Krupp quale limite oltre il quale i dati di perforazione forniti dal grafico non erano più sufficientemente affidabili. In questa ipotesi la Krupp avrebbe considerato possibile un rapporto e/C pari a circa il + 20% con proietti intatti dopo la perforazione;

- la traduzione britannica del documento grafico originale tedesco riporta l’indicazione “impact angle 0°” in corrispondenza dell’angolo di obliquità di 90° che compare sull’asse delle ascisse. Ciò perché mentre gli Organi tecnici britannici consideravano l’angolo di obliquità complessiva Ob la Krupp preferì all’epoca riferire il grafico all’angolo Υ

I valori di perforazione indicati nella tabella entro parentesi tonde non sono riportati a stampa dal grafico originale, ma sono stati interpolati dall’Autore in base a quelli effettivamente presenti, allo scopo di poter disporre di tabelle con dati tra loro confrontabili.

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Dati balistici e di perforazione Krupp del proietto “Panzersprenggranate” L/4,4 da 38 cm(calibro C = 380 mm – corazza verticale – acciaio KC – angolo β = 90° – peso proietto 800 Kg)

Distanza di tiro

Caratteristiche di Balistica E. del proietto

Densità sezionale di energia cinetica

Spessore perforato

eRapporto e/C

Velocità d’impatto

angolo di caduta

X V ω δKE IMPATTO dati ufficiali

d. De MarreK2’

= 2,43

% rispetto a dati uff.

(m) (m/s) ( ° ) ( ‘ ) (Kg/m) (mm) (mm)26.000 468 25 24 0,79 * 10 8 312 324 -1824.000 479 22 12 0,83 * 10 8 344 347 -922.000 493 19 11 0,88 * 10 8 379 372 020.000 511 16 24 0,94 * 10 8 410 400 + 819.000 521 15 6 0,98 * 10 8 426 415 + 1218.000 532 13 48 1,02 * 10 8 443 431 + 1717.000 543 12 37 1,06 * 10 8 462 447 + 2216.000 555 11 29 1,11 * 10 8 ( 483 ) 464 + 2715.000 568 10 24 1,16 * 10 8 ( 500 ) 482 + 32

Figura 18: Grafico di perforazione basato su dati Krupp per il proietto perforante “Panzersprenggranate” L/4,4 da 38 cm.

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Dati balistici e di perforazione del proietto “Palla” da 381/50(calibro C = 381 mm – corazza verticale – acciaio KC – angolo β = 90° – peso proietto 884,8 Kg)

Distanza di tiro

Caratteristiche di Balistica E. del proietto

Densità sezionale di energia cinetica

Spessore perforato

eRapporto e/C

Velocità d’impatto

angolo di caduta

X V ω δKE IMPATTO dati ufficialid. De

Marre K2’ = 2,87 %

(m) (m/s) ( ° ) ( ‘ ) (Kg/m) (mm) (mm)26.000 513 21 13 1,04 * 10 8 325 326 - 1424.000 528 18 31 1,1 * 10 8 348 348 - 922.000 547 16 1 1,18 * 10 8 N.N. 374 - 220.000 569 13 43 1,28 * 10 8 402 401 + 519.000 580 12 38 1,33 * 10 8 416 415 + 918.000 591 11 37 1,38 * 10 8 N.N. 429 + 1317.000 603 10 38 1,44 * 10 8 N.N. 443 + 1616.000 615 9 42 1,5 * 10 8 N.N. 458 + 2015.000 628 8 49 1,56 * 10 8 N.N. 473 + 24

Figura 19: La boma radioguidata tedesca PC 1400 X.

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D’altra parte il testo Battleship già citato riporta anche45 i dati di perforazione contro una corazza verticale, riguardanti il cannone britannico da 15 inch (381/42) impiegante proietti APC 6 crh da 879 Kg. Questi dati ottenuti con un procedimento di calcolo non indicato dal testo e riportati come valori ufficiali Royal Navy, risultano coerenti con le stime fornite dalla formula di De Marre (scarto massimo inferiore a ± 2%) quando al “Coefficiente piastra-proietto” K2’ è attribuito il valore 2,84 che è molto prossimo a quello messo a calcolo dagli Organi tecnici della Regia Marina:

Dati balistici e di perforazione del proietto APC 6 crh da 381/42(calibro C = 381 mm – corazza verticale – acciaio KC – angolo β = 90° – peso proietto 879 Kg)

Distanza di tiro

Caratteristiche di Balistica E. del proietto Densità sezionale

di energia cinetica Spessore perforato e Rapporto e/CVelocità

d’impattoangolo di ca-

duta

X V ω δKE IMPATTO dati ufficialid. De

Marre K2’ = 2,84 %

(m) (m/s) ( ° ) ( ‘ ) (Kg/m) (mm) (mm)26.000 439 30 43 0,76 * 10 8 238 235 - 3824.000 441 28 31 0,76 * 10 8 252 244 - 3422.000 449 24 40 0,79 * 10 8 266 263 - 3020.000 461 21 8 0,83 * 10 8 283 283 - 2619.000 468 19 29 0,86 * 10 8 291 294 - 2418.000 477 17 53 0,89 * 10 8 301 306 - 2117.000 486 16 20 0,93 * 10 8 313 318 - 1816.000 496 14 49 0,97 * 10 8 325 331 - 1515.000 507 13 24 1,01 * 10 8 337 344 - 12

Alla ricerca di una sintesi

Come si è visto i dati di perforazione sopra riportati, al di là della modalità di calcolo semi-empirico adottato per eseguire le stime (a parità corazza perforata “Krupp Cemented” e di distanza di tiro), possono essere sostanzialmente ripartiti in due gruppi:

- quello che comprende i dati indicanti capacità di perforazione dei proietti più elevate (dati ottenuti con il “Procedimento US Navy” e dati ufficiali tedeschi forniti dalla formula “Krupp 1930”) sottolineate dall’adozione di più bassi valori del “Coefficiente piastra-proietto”. Il valore medio attribuito nell’ambito di questo gruppo a tale “Coefficiente” può essere ritenuto pari a K2’ = 2,47;

45 Vedasi il riferimento bibliografico n. 26 (pag. 237).

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- quello che include i dati indicanti minori capacità di perforazione dei proietti (dati ufficiali Royal Navy e Regia Marina) sottolineate dall’adozione di più elevati valori del “Coefficiente piastra-proietto”.

È quindi opportuno cercare di comprendere quale fosse la stima di perforazione più corretta, ovvero quale valore dovesse essere attribuito al “Coefficiente piastra-proietto” per ottenere stime di perforazione il più possibile prossime al reale. È lecito infatti chiedersi in particolare se fossero più valide le stime della US Navy e della Kriegsmarine o quelle della Regia Marina. Non disponendo dei dati originali, relativi agli esiti delle prove pratiche di perforazione condotte dalle Marine citate, per rispondere a questa domanda risulta necessario seguire un percorso indiretto, che tuttavia può consentire di giungere a conclusioni sufficientemente indicative.

A questo scopo è possibile considerare il pur tristissimo evento che nel pomeriggio del 9 settembre 1943 portò all’affondamento nelle acque dell’Asinara della RN Roma e alla perdita di un grande numero di vite umane: tra esse anche quella dell’Ammiraglio Carlo Bergamini, all’epoca Comandante delle Forze Navali da battaglia della Regia Marina. La considerazione degli aspetti tecnici che hanno caratterizzato la perdita della RN Roma permettono infatti di eseguire alcune stime (con l’attenzione e la reverenza che il ricordo di quell’evento terribile impone) sulla capacità di perforazione dei ponti protetti di quella grande Unità da parte della bomba PC 1400 X (fig. 19): stime in base alle quali è poi possibile risalire a utili indicazioni sul reale potere perforante della “Palla” da 381/50 nei confronti delle corazze di cintura di cui erano dotate le Navi da battaglia.

Procedimento seguito per l’analisi e l’esecuzione delle stime di perforazione

Per poter eseguire valutazioni comparative in merito alle capacità di perforazione delle due munizioni è necessario conoscere la relazione (ovvero il rapporto) esistente tra il valore del “Coefficiente piastra-proietto” riferito al binomio “PC 1400 X – ponti protetti della RN Roma” e quello del medesimo parametro riferito al binomio “Palla da 381/50 – corazza di cintura”.

A questo scopo occorre innanzi tutto osservare che la bomba PC 1400 X era casualmente caratterizzata da (quasi) gli stessi rapporti esistenti nella “Palla” da 381/50 tra le grandezze fisiche che secondo De Marre concorrono alla definizione del potere perforante.

È facile verificare che, a parità di “Coefficiente piastra-proietto”, della velocità e dell’angolo di impatto, ciò comporta una capacità perforante quasi uguale per le due armi terminali in esame. Per ottenere una coincidenza perfetta occorre moltiplicare il parametro K2’ riferito alla bomba PC 1400 X per il valore R1k = 1,0048:

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Velocità di

impattoAngolo di impatto

Coefficiente piastra-proietto

K2’

Spessore perforato “Palla” da

381/50

Spessore perforato

Bomba PC 1400 X

ΔR1k

(a) (b) (b)/(a)(m/s) (mm) (mm) ( % )

200 normale (├)2 157,3 156,2 0,7

1,0048

3 88,1 87,5 0,74 58,4 58 0,7

300 normale (├)2 280,7 278,8 0,73 157,3 156,2 0,74 104,3 103,6 0,7

400normale (├)

2 423,4 420,6 0,73 237,3 235,6 0,74 157,3 156,2 0,7

500 normale (├)2 582,4 578,5 0,73 326,3 324,1 0,74 216,4 214,9 0,7

La condivisione dei rapporti citati è piuttosto singolare, sebbene occorra sottolineare che la quasi perfetta analogia del potere perforante delle due munizioni (qualora si consideri per entrambe il medesimo valore di “Coefficiente piastra-proietto” e a parità della velocità e dell’angolo di impatto) aveva luogo in un campo di velocità terminale che nella realtà non era comune ad esse. Infatti, pur al termine della sua caduta dalla massima quota di sgancio prevista, la PC 1400 X non poteva raggiungere la velocità di caduta della “Palla” da 381/50 sparata a 1a carica, che non scendeva mai al di sotto di 482 m/s (Mach 1,418). A fronte di ciò è tuttavia comunque possibile considerare in sede ipotetica un campo di velocità comune, tenendo conto che il “Coefficiente piastra-proietto” della formula di De Marre non dipende dalla velocità di impatto dell’arma terminale considerata.

Il fatto che le caratteristiche delle due armi terminali fossero analoghe tuttavia non significa che il “Coefficiente piastra-proietto” fosse lo stesso per entrambe. Infatti, pur a fronte di una (quasi) perfetta condivisione dei rapporti sopra citati, esse erano state progettate per perforare diversi tipi di corazza. La “Palla” da 381/50 era dotata di uno spesso “cappuccio” e di pareti molto robuste soprattutto per vincere la resistenza delle corazze di cintura delle Navi da battaglia, realizzate con le più moderne tecniche metallurgiche. Viceversa la pur robusta bomba PC 1400 X era priva di “cappuccio” ed era stata studiata per trapassare i Ponti protetti delle grandi Unità da guerra, costituiti da piastre di acciaio meno resistenti delle corazze di cintura. Tenuto conto di ciò e dato che il “Coefficiente piastra-proietto”

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di De Marre non dipende solo dalle caratteristiche dell’arma terminale, ma anche dalla robustezza della piastra da perforare, è senz’altro necessario esaminare in che misura la diversa resistenza degli acciai impiegati per le piastre di protezione influisce su tale parametro.

Dopo aver individuato la relazione tra il valore del “Coefficiente piastra-proietto” delle due armi terminali, è possibile ricorrere alla formula di De Marre per verificare per quale valore di quel parametro si ottengono risultati atti a descrivere con valida coerenza quanto effettivamente avvenne a bordo della RN Roma nel primo pomeriggio del 9 settembre 1943, cioè:

- la completa perforazione dei ponti (ponte di Castello; ponte di Coperta; ponte di 1° Corridoio46) da parte di entrambe le bombe PC 1400 X che colpirono l’Unità;

- la fuoriuscita sotto la chiglia dell’Unità della 1a bomba, seguita dalla sua esplosione in acqua al di sotto della Nave e la successiva esplosione entro lo scafo della 2a bomba.

E’ inoltre importante osservare che l’applicazione della formula di De Marre nella forma indicata dalla espressione (7) è possibile perché l’ampiezza dell’angolo di caduta ω delle bombe che colpirono il Ponte di Castello della RN Roma, fu quasi certamente compresa tra 60° e 120°, risultando percciò discosta dalla normale al Ponte di Castello per non più di 30°.

Successivamente, dopo aver verificato i risultati dell’analisi di cui sopra e aver definito la relazione esistente tra i rispettivi “Coefficienti piastra-proietto” delle due munizioni, è possibile valutare quale fosse il valore più idoneo da attribuire al parametro pertinente alla “Palla” da 381/50.

L’attacco alla RN Roma con bombe guidate PC 1400 X

Come noto la RN Roma fu colpita da due bombe guidate tipo PC 1400 X (arma conosciuta anche come SD 1400 X o Fritz-X 1400) sviluppate47 in Germania dalla Ruhrstl su progetto del Prof. Max Kramer (dipendente dal DVL, a sua volta parte del RLM tedesco). Queste bombe guidate ma non autopropulse furono provate nel 1942 anche presso l’aeroporto di Foggia e vennero poi impiegate operativamente sul territorio italiano in varie occasioni48 tra il luglio e il settembre 1943.

46 Questo ponte è talvolta indicato anche come Ponte di batteria.47 Alla produzione prese parte anche la Rheinmetall-Borsig.48 In particolare il 9 settembre 1943 si ebbe l’attacco alle Forze Navali da Battaglia italiane, durante

il quale furono colpite le RRNN Italia e Roma, mentre fu mancata di misura la RN Eugenio Di savoia. Nel periodo tra l’11 e il 17 settembre 1943 la bomba Fritz-X 1400 fu poi impiegata in attacchi contro Unità navali alleate, impegnate durante lo sbarco di Salerno. Ben noti furono i

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Il lancio era eseguito da bombardieri bimotori Dornier DO-217 delle versioni K2 e K3 appartenenti allo Stormo KG 100 basato nella Francia meridionale, ad Istres: città a circa 60 Km a NW di Marsiglia.

Le bombe impiegate contro la RN Roma, lanciate a pochi minuti di distanza una dall’altra, colpirono entrambe. La prima di esse perforò completamente lo scafo della grande Nave, esplodendo poi in acqua al di sotto della chiglia. I danni in quel caso furono molto gravi ma non irreparabili.

Viceversa la seconda bomba, dopo aver perforato il ponte di Castello, il ponte di Coperta e il ponte di 1° Corridoio, esplose all’interno dello scafo (probabilmente nel locale macchine di prora) provocando la deflagrazione del Deposito di prora delle cariche da 152/55 e subito dopo quella del Deposito prodiero delle cariche da 381/50. La gigantesca esplosione (che potrebbe49 aver interessato circa 150 tonnellate di esplosivo propellente) causò l’espulsione della torre 2 da 381/50 (pesante circa 1500 t) e successivamente lo sbandamento e il rovesciamento della Nave che si spezzò poi in due tronconi, affondando rapidamente.

Per esaminare le condizioni di impatto che portarono alla perforazione dei Ponti della RN Roma è importante disporre dei dati dimensionali e di una realistica stima della velocità di impatto di quelle bombe. Gli elementi indicati di seguito sono stati reperiti da documenti ufficiali di origine tedesca (Fig. 20) e statunitense e da un testo britannico50:

gravi danni riportati in quell’occasione dalla Nave da battaglia HMS Warspite e dagli incrociatori leggeri HMS Uganda e USS Savannah. Tali Unità però non affondarono perché paradossalmente la loro protezione orizzontale non era robusta come quella della RN Roma e consentì sempre la completa perforazione dello scafo da parte delle bombe giunte a segno, che esplosero quindi sott’acqua al di sotto di quelle Navi, causando loro danni importanti ma non letali.

49 Si ricorda che ciascuna 1a carica di lancio per i proietti da 381/50 pesava oltre 270 Kg. Per ognuno dei sei cannoni delle torri di prora erano presenti a bordo circa 80 cariche di lancio di quel tipo. Inoltre ogni 1^ carica di lancio per i proietti da 152/55 pesava oltre 16 Kg. Per ciascuno dei sei cannoni delle torri di prora erano conservate almeno 200 cariche di lancio di quel tipo.

50 Vedasi il riferimento bibliografico n. 25 (pag. 32); il riferimento bibliografico n. 18; il riferimento bibliografico n. 20 (pag. 165; 195÷196).

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Bomba guidata non autopropulsa PC 1400 XCaratteristiche Dim. Valore Note

Peso totale allo sgancio Kg 1570 Peso complessivo della bomba in condizioni operativePeso parte metallica della

sezione esplosiva Kg 1090 Peso della sola parte metallica (“bicchiere”) priva dell’e-splosivo di scoppio

Peso dell’esplosivo di scoppio Kg 300 Dato Rheinmetall-Borsig

Peso della spoletta e del detonatore Kg 5

Peso della sezione poste-riore della bomba Kg 120

Sezione contenente le apparecchiature di guida e governo, la batteria di alimentazione elettrica, i piani di coda (fissi e

mobili) e il pirotecnico di segnalazionePeso totale delle 4 ali Kg 55 Superfici fisse

Lunghezza massima della bomba guidata m 3,262

Diametro massimo del corpo della bomba mm 562

Apertura alarem 1,350

Apertura e altezza degli impennaggi di coda m 1,22 x

0,8Impennaggi scatolati dotati di freni aerodinamici fissi e di

4 superfici di controllo mobiliRitardo della spoletta (valori selezionabili in

alternativa)s

0,0450,10,2

Spoletta Rheinmetall, modello (38)B di tipo meccanico-elettrico. Dati Rheinmetall-Borsig

Velocità terminale di caduta da 8000 metri m/s 290 Dato Rheinmetall-Borsig

Velocità terminale di caduta da 4000 metri m/s 250 Dato Rheinmetall-Borsig

Velocità terminale di cadu-ta da 7000 metri m/s 270 Dato riportato dal documento US Navy OP 1666, che

indica anche un tempo di caduta da 7000 m di 42 sTempo di caduta da 6000

metri s 38 Dato riportato dal documento US NavyOP 1666

spessore perforato con caduta da 6000 metri mm 130 Dato Rheinmetall-Borsig

(spessore di piastra di acciaio Wh)

E’ importante osservare che nel 1942, nell’ambito dello sviluppo della bomba in oggetto fu fatto ricorso anche ad una galleria del vento realizzata presso la sede della ditta Ruhrstahl in Vestfalia. Ciò consente di ritenere affidabili i dati di velocità di impatto della bomba sganciata dalle varie quote. Sono state inoltre eseguite verifiche51 i cui risultati hanno mostrato un’ottima coerenza con i dati ufficiali:

51 Nell’ambito di questa verifica è stato stimato il valore medio assunto dal “Coefficiente di resistenza aerodinamica” CD durante la caduta della bomba dalla quota indicata.

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Figura 20: Dati tecnici originali riguardanti la bomba PC 1400 X.

Quota di sgancio

Velocità d’impatto

(doc. ufficiali)

Velocità d’impatto

(calc. dall’Autore)

Tempo di caduta(doc. ufficiali)

Tempo di caduta(calc. dall’Autore)

(m) (m/s) (m/s) (s) (s)8000 290 290,1 --- ---7000 270 267,7 42 426000 --- --- 38 384000 250 249,9 --- ---

In base ad ulteriori elaborazioni è possibile considerare i seguenti dati riferiti ad altre quote di sgancio:

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Quota di sgancio Velocità d’impatto (calcolata dall’Autore)

(m) (m/s)6500 2656000 2605000 255

Tenuto poi conto della quota di sgancio della PC 1400 X generalmente compresa tra 6000 e 7000 metri52 appare possibile ritenere che la velocità terminale di caduta più probabile delle bombe giunte a colpire la RN Roma sia stata compresa di massima tra 265 e 275 m/s. Tuttavia i limiti di velocità considerati nei calcoli sono stati 250 e 300 m/s: l’energia cinetica della bomba con impatto a 300 m/s supera del 23,55% quella corrispondente alla velocità di 270 m/s (velocità quest’ultima che è quella media tra i valori nominali per lo sgancio da 4.000 e da 8.000 metri).

52 Vedasi il riferimento bibliografico n. 33 (pag. 120) in cui sono riportati elementi tratti dai diari di guerra tedeschi.

Figura 21: Corazzatura dei ponti orizzontali delle unità della classe “Littorio”.

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Figura 22: Presumibile percorso della 1a bomba PC 1400 X andata a segno sulla RN Roma.

Inoltre, sulla base della testimonianza del superstite che si trovava all’interno della cassa di bilanciamento di dritta della RN Roma, appare possibile ritenere che la prima bomba PC 1400 X giunta a colpire sia stata caratterizzata da un angolo di impatto ω ampio circa 65° tra l’asse longitudinale della bomba e il ponte di Castello.

Per quanto concerne invece l’ampiezza dell’angolo di impatto della 2a bomba PC 1400 X è stato considerato un campo di possibile variazione compreso tra 90° e 120°.

Infine i calcoli sono stati eseguiti in corrispondenza di ciascuno dei tre valori di ritardo della spoletta (0,045 s ; 0,1 s ; 0,2 s) che potevano essere selezionati prima dello sgancio delle bombe.

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Figura 23: Presumibile percorso della 2a bomba PC 1400 X andata a segno sulla RN Roma.

Resistenza dei Ponti della RN Roma e analisi del potere perforante delle bombe PC 1400 X

Facendo diretto riferimento alla posizione conosciuta dei punti di impatto, si può dedurre lo spessore dei Ponti protetti (figure 21, 22 e 23) che fu perforato dalle bombe in oggetto. I Ponti protetti, le paratie interne e il fasciame del triplo fondo53

53 Le paratie interne e il fasciame del triplo fondo furono perforati solo dalla 1^ bomba PC 1400 X che il 9 settembre 1943 giunse a colpire la RN ROMA. Le paratie interne interessate in quell’occasione furono la corazzetta para-schegge e la paratia divisoria verticale che delimitava il locale caldaie 5 e 6 sul lato destro. Il fasciame del triplo fondo era invece costituito dal “Ponte di

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avevano gli spessori seguenti:

Ponte di Castello Ponte di Coperta

Ponte di 1° Corridoio(spessori diversi nelle varie zone)

Corazza (acciaio OD)

Fasciame (acciaio ER)

Fasciame(acciaio ER)

Corazza(acciaio OD)

Fasciame(acciaio ER)

Ubicazione a bordo

(mm) (mm) (mm) (mm) (mm)

36 9 12

90 12 in prossimità dei trincarini(impatto della 1a bomba)

100 12 sopra l’Apparato di Propulsione

150 12 sopra i Depositi Munizioni(impatto della 2a bomba)

Corazzatta inclinata para schegge (OD)

Paratia verticale interna (ER)

Ponte di Stiva(acciaio ER)

Doppio fondo(acciaio ER)

Chiglia(acciaio ER)

(mm) (mm) (mm) (mm) (mm)

24 8 9 12 17

Tenuto conto di quanto precede è quindi possibile impiegare il metodo De Marre nel calcolo degli spessori perforabili dalla bomba PC 1400 X, osservando inoltre che la “Velocità post-perforazione”, posseduta dall’ordigno dopo aver superato ciascun Ponte, può essere dedotta con il procedimento di calcolo mostrato dallo schema riportato di seguito, in cui:

- le linee continue indicano la successione logica dei calcoli, mentre quelle tratteggiate mostrano i flussi intermedi dei dati;

- la direzione della “Velocità di post-perforazione” è stata assunta pari a quella dell’angolo di caduta per ciascuna delle piastre perforateIn base alla velocità di post-perforazione così ottenuta, è stato poi calcolato lo

spostamento della bomba all’interno della Nave, a sua volta condizionato dal valore

Stiva” (cioè il piano di calpestio dei locali dell’Impianto di Propulsione) il “Doppio fondo” e la “Chiglia”.

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del possibile ritardo di scoppio della sua spoletta. In tal modo è stato verificato il soddisfacimento delle condizioni di perforazione dei Ponti da parte delle due bombe e quelle relative alla posizione dei loro punti di scoppio.

Individuazione del “Coefficiente piastra-proietto” da attribuire alla bomba PC 1400 X

Allo scopo di valutare in che misura la diversa resistenza degli acciai impiegati per le piastre di protezione influisce sul “Coefficiente” di De Marre da attribuire alle armi terminali in esame, è stato calcolato il rapporto R2k esistente54 tra i valori attribuiti al parametro K1 riferiti a munizioni senza “cappuccio” impiegate contro piastre di acciaio ER oppure OD (caso della bomba PC 1400 X) e quelli riguardanti proietti dotati di “cappuccio” sparati contro corazze KC (caso della “Palla” da 381/50):

Valori attribuiti a K1 Condizioni di attribuzione dei valori

Rapporto R2k = (x)/(c )(x = a oppure b)non

maggiorati maggiorati

(a) 1,05 ÷ 1,1 1,21 ÷ 1,32proietti senza “cappuccio” contro piastre di acciaio al nichel non cementate ( ER )

0,913 ÷ 0,88

(b) 1,15 ÷ 1,2 1,32 ÷ 1,44proietti senza “cappuccio” contro piastre di acciaio al cromo-nichel non cementate ( OD )

1 ÷ 0,96

(c) 1,15 ÷ 1,25 1,32 ÷ 1,5proietti dotati di “cappuccio” contro piastre di acciaio al cromo-nichel cementate ( KC )

1

54 Da notare che il rapporto Rk non varia sia che si considerino i valori maggiorati o meno di K1.

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La letalità dei proietti sparati dai cannoni da 381/50 Ansaldo-OTO delle RR.NN. classe “Littorio”

Risulta quindi quanto segue:

“Coefficiente piastra-proietto” K2’ PROIETTO

per “Palla” da 381/50 contro corazza KC

RR = R1k * R2k

“Coefficiente piastra-proietto” K2’ BOMBA

per bomba PC 1400 X(K2’ BOMBA = R * K2

’ PROIETTO )

2,87RR = 0,88 * 1,0048 = 0,8842 2,5377 contro piastra

ER

RR = 0,96 * 1,0048 = 0,9646 2,7684 contro piastra OD

2,47

RR = 0,913 * 1,0048 = 0,9174 2,266 contro piastra ER

RR = 1 * 1,0048 = 1,0048 2,4819 contro piastra OD

Eseguendo quindi i calcoli secondo il procedimento De Marre e considerando i valori sopra definiti per il “Coefficiente piastra-proietto” K2’BOMBA

riferiti alla bomba PC 1400 X impiegata contro Ponti protetti da piastre in acciaio OD, il cui fasciame è in acciaio ER, è possibile verificare quali siano quei valori del predetto “Coefficiente” che permettono di ottenere risultati coerenti con quanto effettivamente avvenne a bordo della RN Roma nel primo pomeriggio del 9 settembre 1943. Una volta individuati tali valori è infine possibile risalire direttamente al più idoneo valore da attribuire al “Coefficiente piastra-proietto” K2’ PROIETTO per la “Palla” da 381/50.

Risultati ottenuti e loro esame

Le tabelle che seguono presentano in sintesi, secondo la simbologia sotto specificata, i risultati dei calcoli eseguiti. In tali elaborazioni sono stati attribuiti al “Coefficiente piastra-proietto” K2’ della bomba PC 1400 X i valori indicati nella tabella precedente, che corrispondono direttamente a quelli pertinenti alla “Palla” da 381/50 e per i quali viene svolta l’analisi: ovvero 2,87 e 2,47.

I simboli impiegati nelle tabelle successive sono:

( 0 ) = la 1a bomba non perfora la chiglia ed esplode entro la Nave( 00 ) = la 2a bomba non perfora il ponte protetto (ponte di 1° Corridoio)( ↓ ) = la 1a bomba perfora tutto lo scafo ed esplode al di sotto della chiglia( ↓X ) = la 2a bomba perfora il ponte protetto (ponte di 1° Corridoio) ed esplode

entro la Nave (nel locale Macchine 5-6)( ↓↓ ) =la 2a bomba perfora tutto lo scafo ed esplode sotto la chiglia.

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Marco Santarini

Nelle tabelle che seguono sono stati evidenziati gli elementi sotto specificati come indicato:

- le velocità di caduta terminale della bomba PC 1400 X comprese entro il campo di variazione considerato (250 ÷ 290 m/s) sono sottolineate;

- i casi di pieno accordo tra i dati calcolati e i tragici eventi di interesse, che ebbero luogo a bordo della RN ROMA il 9 settembre 1943 sono evidenziati in colore grigio.

Risultati ottenuti – per binomio “bomba PC 1400 X – protezione e fasciame dei ponti della RN Roma”

(“Coefficiente piastra KC-proietto Palla da 381/50” - K2’ = 2,87)Velocità di impatto di

entrambe le bombe

Angolo di caduta della 2^ bomba che colpì la RN Roma(l’angolo di caduta della 1^ bomba è assunto pari a 65° )

(m/s) 90° 95° 100° 105° 110° 115° 120°

250 ( 0 )( 00 )

( 0 )( 00 )

( 0 )( 00 )

( 0 )( 00 )

( 0 )( 00 )

( 0 )( 00 )

( 0 )( 00 )

255 ( 0 )( 00 )

( 0 )( 00 )

( 0 )( 00 )

( 0 )( 00 )

( 0 )( 00 )

( 0 )( 00 )

( 0 )( 00 )

260 ( 0 )( 00 )

( 0 )( 00 )

( 0 )( 00 )

( 0 )( 00 )

( 0 )( 00 )

( 0 )( 00 )

( 0 )( 00 )

265 ( 0 )( 00 )

( 0 )( 00 )

( 0 )( 00 )

( 0 )( 00 )

( 0 )( 00 )

( 0 )( 00 )

( 0 )( 00 )

270( valore medio )

( 0 )( 00 )

( 0 )( 00 )

( 0 )( 00 )

( 0 )( 00 )

( 0 )( 00 )

( 0 )( 00 )

( 0 )( 00 )

275 ( 0 )( 00 )

( 0 )( 00 )

( 0 )( 00 )

( 0 )( 00 )

( 0 )( 00 )

( 0 )( 00 )

( 0 )( 00 )

280 ( 0 )( 00 )

( 0 )( 00 )

( 0 )( 00 )

( 0 )( 00 )

( 0 )( 00 )

( 0 )( 00 )

( 0 )( 00 )

285 ( 0 )( 00 )

( 0 )( 00 )

( 0 )( 00 )

( 0 )( 00 )

( 0 )( 00 )

( 0 )( 00 )

( 0 )( 00 )

290 ( ↓ )( 00 )

( ↓ ) ( 00 )

( ↓ ) ( 00 )

( ↓ ) ( 00 )

( ↓ ) ( 00 )

( ↓ ) ( 00 )

( ↓ ) ( 00 )

295 ( ↓ )( ↓X )

( ↓ ) ( 00 )

( ↓ ) ( 00 )

( ↓ ) ( 00 )

( ↓ ) ( 00 )

( ↓ ) ( 00 )

( ↓ ) ( 00 )

300 ( ↓ )( ↓X )

( ↓ )( ↓X )

( ↓ )( ↓X )

( ↓ ) ( 00 )

( ↓ ) ( 00 )

( ↓ ) ( 00 )

( ↓ ) ( 00 )

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La letalità dei proietti sparati dai cannoni da 381/50 Ansaldo-OTO delle RR.NN. classe “Littorio”

Risultati ottenuti – per binomio “bomba PC 1400 X – protezione e fasciame dei Ponti della RN ROMA”

(“Coefficiente piastra KC-proietto Palla da 381/50” - K2’ = 2,47)Velocità di impatto di

entrambe le bombe

Angolo di caduta della 2^ bomba che colpì la RN ROMA(l’angolo di caduta della 1^ bomba è assunto pari a 65°)

(m/s) 90° 95° 100° 105° 110° 115° 120°

250 ( 0 )( 00 )

( 0 )( 00 )

( 0 )( 00 )

( 0 )( 00 )

( 0 )( 00 )

( 0 )( 00 )

( 0 )( 00 )

255 ( 0 )( 00 )

( 0 )( 00 )

( 0 )( 00 )

( 0 )( 00 )

( 0 )( 00 )

( 0 )( 00 )

( 0 )( 00 )

260 ( ↓ ) ( 00 )

( ↓ ) ( 00 )

( ↓ ) ( 00 )

( ↓ ) ( 00 )

( ↓ ) ( 00 )

( ↓ ) ( 00 )

( ↓ ) ( 00 )

265 ( ↓ )( ↓X )

( ↓ ) ( ↓X )

( ↓ ) ( 00 )

( ↓ ) ( 00 )

( ↓ ) ( 00 )

( ↓ ) ( 00 )

( ↓ ) ( 00 )

270( valore medio )

( ↓ ) ( ↓X )

( ↓ ) ( ↓X )

( ↓ ) ( ↓X )

( ↓ ) ( 00 )

( ↓ ) ( 00 )

( ↓ ) ( 00 )

( ↓ ) ( 00 )

275 ( ↓ )( ↓↓ )

( ↓ )( ↓↓ )

( ↓ ) ( ↓X )

( ↓ ) ( ↓X )

( ↓ ) ( 00 )

( ↓ ) ( 00 )

( ↓ ) ( 00 )

280 ( ↓ )( ↓↓ )

( ↓ )( ↓↓ )

( ↓ )( ↓↓ )

( ↓ ) ( ↓X )

( ↓ ) ( ↓X )

( ↓ ) ( 00 )

( ↓ ) ( 00 )

285 ( ↓ )( ↓↓ )

( ↓ )( ↓↓ )

( ↓ )( ↓↓ )

( ↓ )( ↓↓ )

( ↓ ) ( ↓X )

( ↓ ) ( 00 )

( ↓ ) ( 00 )

290 ( ↓ )( ↓↓ )

( ↓ )( ↓↓ )

( ↓ )( ↓↓ )

( ↓ )( ↓↓ )

( ↓ ) ( ↓X )

( ↓ ) ( 00 )

( ↓ ) ( 00 )

295 ( ↓ )( ↓↓ )

( ↓ )( ↓↓ )

( ↓ )( ↓↓ )

( ↓ )( ↓↓ )

( ↓ )( ↓↓ )

( ↓ ) ( ↓X )

( ↓ ) ( 00 )

300 ( ↓ )( ↓↓ )

( ↓ )( ↓↓ )

( ↓ )( ↓↓ )

( ↓ )( ↓↓ )

( ↓ )( ↓↓ )

( ↓ ) ( ↓X )

( ↓ ) ( 00 )

Come si nota osservando le tabelle precedenti, i dati raccolti avvalorano senz’altro l’ipotesi secondo cui il valore da attribuire al “Coefficiente piastra-proietto” riferito al binomio “Palla da 381/50 – corazza di cintura cementata al cromo-nichel” (KC) fosse in realtà minore di quello considerato dagli Organi tecnici della Regia Marina per le stime di perforazione ufficiali. È quindi possibile ritenere che il valore più idoneo da attribuire al “Coefficiente piastra-proietto” riferito al binomio citato fosse il seguente:

K2’ = 2,47

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Marco Santarini

In definitiva appare probabile che le valutazioni considerate dagli Organi tecnici della Regia Marina in merito al potere perforante della “Palla” da 381/50 siano state molto cautelative, sottostimando quindi le reali capacità perforanti di quel proietto.

Attribuendo a tale “Coefficiente” il valore individuato per la “Palla” da 381/50 si ottengono i seguenti dati di perforazione, riferiti ad una corazza di cintura KC:

Dati balistici e di perforazione del proietto “Palla” da 381/50(cal. C = 381 mm – corazza vert. – acciaio KC – angolo β = 90° – peso proietto 884,8 Kg)

Distanza di tiro

Caratteristiche di Balistica E. del proietto

Densità sezionale di energia cinetica

Spessore perforatoe

Rapporto e/CVelocità

d’impattoangolo di

caduta

X V ω δKE IMPATTO

dati ufficiali

d. De MarreK2’ = 2,47 %

(m) (m/s) ( ° ) ( ‘ ) (Kg/m) (mm) (mm)26.000 513 21 13 1,04 * 10 8 325 404 624.000 528 18 31 1,1 * 10 8 348 432 13,422.000 547 16 1 1,18 * 10 8 N.N. 463 21,520.000 569 13 43 1,28 * 10 8 402 497 30,419.000 580 12 38 1,33 * 10 8 416 514 34,918.000 591 11 37 1,38 * 10 8 N.N. 531 39,417.000 603 10 38 1,44 * 10 8 N.N. 549 44,116.000 615 9 42 1,5 * 10 8 N.N. 567 48,815.000 628 8 49 1,56 * 10 8 N.N. 587 54,1

Al riguardo si osserva che i valori del rapporto e/C eccedono largamente, sino alla distanza di 24.000 metri, il margine del 10% oltre il valore del calibro del proietto. Ciò, se da un lato rende meno attendibili i valori ottenuti con l’impiego della formula di De Marre, per contro lascia comunque presumere che i reali dati di perforazione riguardanti la “Palla” da 381/50 fossero in ogni caso superiori a quelli considerati ufficialmente. Quanto sopra pure in considerazione della grande robustezza del proietto in esame, che era maggiore di quella delle munizioni di grosso calibro in servizio all’epoca presso le altre Marine. In particolare anche se, in ossequio alla modalità di impiego tradizionale della formula di De Marre, si assumesse il margine del 10% sopra citato quale limite invalicabile ai fini dell’applicabilità di quest’ultima, risulterebbe comunque quanto segue:

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La letalità dei proietti sparati dai cannoni da 381/50 Ansaldo-OTO delle RR.NN. classe “Littorio”

Dati balistici e di perforazione del proietto “Palla” da 381/50(cal. C = 381 mm – corazza vert. – acciaio KC – angolo β = 90° – peso proietto 884,8 Kg)

Distanza di tiro

Caratteristiche di Balistica E. del proietto

Densità sezionale di energia cinetica

Spessore perforatoe

Rapporto e/CVelocità

d’impattoangolo di

caduta

X V ω δKE IMPATTO

dati ufficiali

d. De Marre

K2’ = 2,47

%

(m) (m/s) ( ° ) ( ‘ ) (Kg/m) (mm)Valori limitati(mm)

26.000 513 21 13 1,04 * 10 8 325 404 624.000 528 18 31 1,1 * 10 8 348 419 1022.000 547 16 1 1,18 * 10 8 N.N. 419 1020.000 569 13 43 1,28 * 10 8 402 419 1019.000 580 12 38 1,33 * 10 8 416 419 1018.000 591 11 37 1,38 * 10 8 N.N. 419 1017.000 603 10 38 1,44 * 10 8 N.N. 419 1016.000 615 9 42 1,5 * 10 8 N.N. 419 1015.000 628 8 49 1,56 * 10 8 N.N. 419 10

Si osserva d’altra parte che un’analoga riflessione non è necessaria per quanto riguarda le capacità di penetrazione della bomba PC 1400 X, perché lo spessore complessivo dei Ponti protetti della RN Roma era comunque largamente inferiore al diametro di quell’ordigno.

È inoltre importante notare che la probabile considerazione da parte della Royal Navy di un valore del “Coefficiente piastra-proietto” per i proietti ACP da 15-inch (K2

’ = 2,84) sostanzialmente analogo a quello attribuito nell’ambito della Regia Marina alla “Palla” da 381/50 (K2

’ = 2,87), non fosse anch’esso frutto di una sottostima della capacità di perforazione di tali munizioni, ma tenesse invece conto della loro effettiva robustezza, senz’altro inferiore a quella della “Palla” da 381/50. Al riguardo occorre infatti considerare che a fronte di un peso unitario totale e di dimensioni molto prossime, oltre a un calibro uguale, i proietti britannici da 15-inch erano dotati di una carica esplosiva di peso più che doppio rispetto a quello della “Palla” da 381/50: 21,8 Kg contro 10,16 Kg. Tenuto conto del valore del Peso Specifico degli esplosivi di scoppio impiegati (PsTNT = 1600 Kg/m3 ; PsLYDDITE = 1800 Kg/m3) si evince che la cavità interna alle munizioni britanniche in oggetto era assai più ampia di quella presente entro la “Palla” da 381/50: 12,1 litri contro 6,3 litri. È quindi evidente che il “cappuccio” e/o le pareti dei proietti da 15-inch possedevano uno spessore inferiore a quello della munizione italiana in esame.

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Assumendo quindi che gli acciai impiegati nella realizzazione di questi proietti possedessero caratteristiche meccaniche simili, ne discende che le munizioni da 15-inch erano con tutta probabilità meno robuste della “Palla” da 381/50. Ciò quindi giustificherebbe l’attribuzione da parte britannica di un valore del “Coefficiente piastra-proietto” per i proietti ACP da 15-inch, superiore a quello di K2’ = 2,47 che è stato individuato in precedenza per la “Palla” da 381/50.

È infine interessante osservare che, sulla base delle stime e delle considerazioni suesposte, anche il valore della spessore perforato dalla bomba PC 1400 X sganciata da 6.000 metri, indicato in 130 mm dalla Ditta Rheinmetall-Borsig, appare sottostimato.

Infatti mettendo a calcolo una velocità di impatto di 260 ÷ 270 m/s e un angolo di impatto normale, tale spessore perforato può essere ottenuto attribuendo al “Coefficiente piastra-proietto” un valore rispettivamente pari a 2,95 ÷ 3,05 che è ben superiore a quello dedotto in base all’esame dei tristi eventi che portarono all’affondamento della RN Roma.

La capacità di perforazione della “Granata Perforante” da 381/50

Dopo aver analizzato in dettaglio la capacità di perforazione della “Palla” da 381/50 è necessario completare questo studio esaminando anche le caratteristiche della “Granata Perforante” pari calibro di cui la tabella che segue riporta i dati balistici.

In questo caso però è possibile solo prendere atto dei valori ufficialmente considerati dalla Regia Marina55, che sono indicati in anch’essi in (figg. 15 e 16). Infatti non risultano disponibili criteri atti a verificare la validità di questi dati ufficiali, mentre il ricorso al metodo De Marre non fornisce stime che risultino sufficientemente coerenti con tali valori. In particolare impiegando questo procedimento semi-empirico è possibile ottenere dati di perforazione che sono in media abbastanza prossimi a quelli ufficiali (pur discostandosi da essi in alcuni casi anche superiori al 10%) solo attribuendo al “Coefficiente piastra-proietto” valori K2

’ > 4.Al riguardo appare possibile ritenere che i ridotti valori di perforazione di

una corazza “Krupp Cemented” (KC) considerati ufficialmente per il proietto in esame possano derivare da valutazioni da parte degli Organi tecnici della Regia Marina, che tennero conto (con stime basate su specifiche modalità di calcolo) della minore robustezza strutturale della “Granata Perforante” da 381/50 (in cui il peso dell’esplosivo era pari al 3,6 % del peso totale) rispetto alla “Palla” pari calibro (in cui il peso dell’esplosivo era pari al 1,15 % del peso totale). In pratica, mentre la robustezza della “Palla” non aveva eguali, quella della “Granata Perforante” da 381/50 era senz’altro inferiore, probabilmente anche di quella dei proietti britannici da 15-

55 I dati di perforazione sono stati tratti dal riferimento bibliografico n° 21 (pag. 71).

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La letalità dei proietti sparati dai cannoni da 381/50 Ansaldo-OTO delle RR.NN. classe “Littorio”

inch, in cui il peso dell’esplosivo era pari al 2,5 % del peso totale.

Dati balistici tratti dalla Tavola di Tiro n° 4 per cannone da 381/50 e proietto tipo “Granata Perforante”

(dati ufficiali Regia Marina 1940)Tipo diproietto

Caratteristiche fisiche del proietto

Caratteristiche balistiche del proietto

Calibro Peso Distanza di tiro Velocità d’impatto

Angolo di caduta

“Granata Perforante” da 381/50

C P X V ω(mm) (Kg) (m) (m/s) ( ° ) ( ‘ )381 824,3 26.000 514 20 45

24.000 529 18 1322.000 546 15 4920.000 566 13 3619.000 577 12 3318.000 589 11 3217.000 601 10 3316.000 613 9 3715.000 626 8 44

Sulla base di queste considerazioni puramente qualitative, appare possibile ritenere che anche la minore validità delle stime ottenute con il metodo De Marre nella forma proposta dalla (7) sia imputabile alla mancata conoscenza delle specifiche modalità di calcolo che furono seguite all’epoca per valutare la capacità perforante della “Granata Perforante” da 381/50.

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Parte 3^ - Proietti tattici da 381/50 - Proiezione di onda d’urto e schegge

La detonazione della carica di scoppio di un proietto contro un bersaglio di superficie

Quando la spoletta provoca la detonazione dell’esplosivo di scoppio, le forze generate superano rapidamente (in pochi micro-secondi) la resistenza del metallo con cui è realizzato il corpo del proietto: elemento quest’ultimo detto comunemente “bicchiere”. Si producono così:

- un’onda di detonazione associata al fronte di reazione chimica che si propaga entro la massa di esplosivo con velocità costante, pari ad alcune migliaia di m/s e direzione normale al fronte d’onda. Tale onda si proietta quindi all’esterno dell’esplosivo producendo nel mezzo circostante una forte onda d’urto: una violenta onda che inizialmente si propaga a velocità supersonica, rallentando poi rapidamente fino a quella del suono a causa dell’urto e dell’attrito con le molecole d’aria;

- una massa di gas prodotti dalla detonazione che si espandono alla velocità del suono e producono un’onda di espansione che segue l’onda d’urto. L’effetto di quest’onda è particolarmente sensibile in acqua (a causa della incompressibilità di tale fluido) mentre è meno significativo nel caso di esplosioni in aria. Per questa ragione gli effetti dell’onda di espansione non saranno considerati nel seguito;

- la frammentazione del “bicchiere” in numerose schegge, che vengono proiettate verso l’esterno ad alta velocità.

L’onda d’urto, l’onda di pressione e le schegge interagiscono con i bersagli incontrati lungo la traiettoria, cedendo ad essi (in tutto o in parte) l’energia cinetica posseduta: se l’energia ceduta supera il limite resistenziale del materiale di cui è costituito il bersaglio, allora quest’ultimo subisce un danno.

In generale il numero e le dimensioni delle schegge dipendono dal tipo di esplosivo di scoppio e dai seguenti elementi (da considerare in alternativa tra loro):

- tipologia del metallo del “bicchiere” (proietto a frammentazione naturale NF);

- tipo di metallo del “bicchiere” e numero di schegge pre-intagliate in esso, cioè incise sulla parte interna delle sue pareti, ma non completamente separate da

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La letalità dei proietti sparati dai cannoni da 381/50 Ansaldo-OTO delle RR.NN. classe “Littorio”

esso (proietto a pareti pre-intagliate);- numero e massa (definiti entrambi in sede di progetto del proietto) delle

schegge precostituite, contenute entro il “bicchiere”56 (proietto pre-frammentato PFF).

Onda d’urto generata dallo scoppio di un proietto da 381/50

L’onda d’urto arreca danni per “effetto blast” all’ambiente circostante e la sua azione è tanto maggiore quanto minore è la distanza tra il punto di esplosione e il bersaglio. Infatti l’energia cinetica associata a tale fronte in espansione decade rapidamente all’aumentare della distanza. Pur senza approfondire la materia, si ricorda che l’onda d’urto generata dallo scoppio di una massa di esplosivo non confinata57, si propaga nello spazio libero circostante producendo un picco di sovrappressione “P” il cui valore (espresso in KPa) nel caso di una carica di TNT, può essere dedotto con la seguente formula semi-empirica58:

P = 67/Z + 370/Z2 Z = ( S / Pe 1/3 ) (9)

dove risulta:

- Pe: peso (espresso in Kg) della carica di TNT;- S: distanza (espressa in m) dal punto di scoppio.

56 I proietti britannici tipo “Shrapnel” (in uso dal 1804) e gli “Universal Shell” (prodotti dalla Krupp nei primi anni del ‘900 e impiegati di massima fino al 1950) contenenti entrambi sferette metalliche (“pallette”), furono gli antesignani delle moderne munizioni PFF. Le schegge pre-formate di queste ultime sono in genere realizzate con metalli molto densi (tungsteno o eventualmente uranio impoverito). In tal modo ciascuna scheggia PFF è caratterizzata dalla maggiore possibile densità sezionale di energia cinetica δKE all’impatto: a parità di massa infatti una scheggia realizzata con metallo più denso presenta una sezione retta di superficie più ridotta. L’eventuale impiego di uranio impoverito (che peraltro non è mai stato usato dalle Forze Armate Italiane) conferisce alle schegge anche un elevato potere incendiario, date le alte temperature raggiunte per attrito da questo metallo durante il volo e nell’istante di impatto della scheggia. L’uranio impoverito conserva bassi livelli di radioattività residua, paragonabili a quella emessa dal sottile strato di radio spesso utilizzato per rendere fosforescenti le lancette degli orologi da polso.

57 Il termine “non confinata” indica una carica esplosiva non racchiusa entro alcun contenitore di qualunque tipo. La carica esplosiva di un proietto è quindi confinata.

58 Formula ricavata per interpolazione dei dati Pressione-distanza forniti da Brasie e Simpson nel 1968 e da Baker nel 1996. Si ricorda che (1 Newton = 1 Kg/9,81):- 1 Pascal (Pa) = 1 Newton/m2 = 0,1019 Kg/m2 ì = 0,00001019 Kg/cm2

- 1 Pascal (Pa) = 0,00001 bar= 1 Mega Pascal (MPa) = 10 bar = 10,19 Kg/cm2

- 1 Kilo Pascal (KPa) = 1000 Newton/m2 = 101,9 Kg/m2 = 0,01019 Kg/cm2 = 0,01 bar- 1 atmosfera (atm) = 1,01325 bar 1 Kilo Pascal (KPa) = 10 millibar (mbar)

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In genere lo scoppio di cariche esplosive confinate dà luogo a picchi di sovrappressione più elevati. Pertanto le stime sotto riportate indicano valori che furono senz’altro superati nella realtà.

Si ritiene che un picco di sovrappressione pari a 30 KPa possa danneggiare gravemente strutture metalliche leggere, apparecchiature, armadi e contenitori metallici. Nel caso di proietti da 381/50 la detonazione della carica di scoppio produceva nello spazio libero un’onda d’urto il cui valore di picco risultava pari o superiore alla soglia di 30 KPa fino alle seguenti distanze dal punto di scoppio:

S = 10,4 metri (“Palla”) S = 14,8 metri (“Granata Perforante”)

Nel caso di esplosione del proietto entro la Nave colpita, ovvero dopo la perforazione della sua (eventuale) corazza di protezione, si sarebbero poi verificati complessi fenomeni di riflessione dell’onda d’urto da parte delle paratie interne, di vario spessore e variamente disposte rispetto al punto di esplosione. Ciò avrebbe provocato l’insorgenza di valori di sovrappressione localmente anche più elevati, dovuti alla somma (algebrica) tra l’onda d’urto diretta e quella riflessa. Tuttavia ben più elevati erano i danni concomitanti, arrecati dalle schegge prodotte dalla detonazione, in grado di perforare paratie interne, impianti, tubolature, caldaie, motrici, macchinari e apparecchiature di bordo di vario genere.

Colonne d’acqua sollevate dalla caduta in mare di un proietto

Quando un proietto cade in mare solleva sempre una colonna d’acqua che si erge verticalmente rispetto alla superficie. Il tempo di formazione, quello di permanenza in aria e l’altezza massima di tale colonna variano a seconda che la munizione scoppi in acqua oppure no. Nel caso in cui il proietto scoppi in mare, la colonna d’acqua è generalmente più alta e impiega un tempo maggiore per giungere alla sua massima altezza. In tal caso infatti, oltre all’energia cinetica posseduta all’impatto, il proietto libera in acqua anche l’energia sviluppata dall’esplosivo all’atto dello scoppio. Inoltre, quando il proietto esplode in mare, la colonna d’acqua sollevata assume un colore diverso da quello biancastro proprio della schiuma: scuro o nerastro se il proietto non libera allo scoppio alcuna sostanza colorante; il colore della tonalità voluta in caso contrario. La conoscenza degli elementi sopra citati riguardanti la colonna d’acqua era molto importante per i Direttori di tiro di un tempo, perché in base ad essi era possibile valutare l’istante più opportuno per l’osservazione degli scarti del tiro e per comprendere se tali scarti erano associati ai proietti sparati dalla propria Nave o dalle altre Unità, eventualmente impegnate in contemporanea contro lo stesso bersaglio.

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La letalità dei proietti sparati dai cannoni da 381/50 Ansaldo-OTO delle RR.NN. classe “Littorio”

La tabella che segue59 fornisce i valori attesi riguardanti l’altezza massima e il tempo di formazione della colonna d’acqua sollevata dallo scoppio in mare dei proietti considerati:

Calibro Tempo di formazione “t1” della colonna

d’acqua

Tempo di permanenza in aria “t2” della colonna

Altezza massima “h” della colonna d’acqua

(mm) (s) (s) (m)100 2 4 20120 --- --- 26135 --- --- 29152 2,5 5 33203 3 7 37320 4 10 60381 5 12 65

I valori di t1, t2 ed h possono essere dedotti con sufficiente approssimazione tramite le relazioni empiriche seguenti, in cui il calibro è espresso in mm, h in metri, t1 e t2 in secondi:

h = (2 * Calibro)(1 – Calibro/10000) t1 = h/13 t2 = h/5,5 (10)

Numero, peso e velocità iniziale delle schegge proiettate dallo scoppio di un proietto

Per stimare i valori delle grandezze in oggetto anche in questo caso, al pari di quanto visto per la capacità di perforazione dei proietti, è necessario ricorrere a formule semi-empiriche, il cui valore indicativo è stato peraltro confermato da molteplici prove eseguite in balipedio. In merito al numero delle schegge un importante testo tecnico degli anni ‘30 dice60:

“… (omissis) … La frantumazione di un proietto [all’atto dello scoppio. N.d.A.] dipende dalla resistenza delle pareti e dal potere dirompente dell’esplosivo; essa risulta tanto più minuta quanto minore è la prima e maggiore il secondo. La resistenza delle pareti dipende a sua volta dal loro spessore e dalle caratteristiche meccaniche del metallo e in particolare dell’attitudine di questo a sopportare urti improvvisi, vale a dire della sua resilienza. Secondo le esperienze dei Tecnici delle FF.SS. [Ferrovie dello Stato. N.d.A.] valori della resilienza molto bassi portano a una scheggiatura molto minuta … (omissis) … valori troppo alti

59 I valori indicati in tabella sono stati tratti dal riferimento bibliografico n. 23 (pag. 9.40).60 Vedasi il riferimento bibliografico n. 4 (Capitolo X, pag. 217-218).

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(specie se accompagnati a valori bassi del limite elastico) a schegge grosse e mal dilamate. Si può … avere un’idea … del numero totale di schegge prodotte [all’atto dello scoppio di un proietto. N.d.A.] usando la formula di Justrow. … (omiss.) ...”.

Per ottenere quindi una stima indicativa del numero “N0” delle schegge prodotte dalla detonazione dei proietti (a frammentazione naturale) da 381/50 è possibile quindi ricorrere alla formula semi-empirica di Justrow:

N0 = Pe * a (11) C * Σ * Al * r2 – 1 r2 + 0,5

I simboli impiegati in questa relazione indicano le grandezze seguenti riferite ai proietti in esame:

Simbolo Grandezza Dimensioni Valore

Pe peso dell’esplosivo di scoppio grammi 10160 (“Palla”)29515 (“Gr. Perf.”)

a costante dell’esplosivo di scoppio adimensionale 46C Calibro del proietto centimetri 38,1

σRcarico di rottura per trazione

dell’acciaio del proietto Kg/mm2 70

σScarico limite di snervamento per trazione

dell’acciaio del proietto5 Kg/mm2 50

Σ Σ = σR/σS adimensionale 1,4

Al allungamento percentuale per trazione dell’acciaio del proietto6 % 15

r = re/riRapporto tra raggio medio esterno (re) del proietto e raggio medio (ri) della sua

cavità internaadimensionale 1,7 (“Palla”)

1,4 (“Gr. Perf.”)

Tale relazione mostra che il numero totale delle schegge di vario peso, generate allo scoppio dalla frammentazione naturale del “bicchiere” di una “Palla” da 381/50, erano poco più di mille (1038) mentre la “Granata Perforante” dello stesso calibro ne produceva ben oltre il quadruplo (4371).

Successivamente è possibile ricorrere alla formula semi-empirica di Mott e Lindfoot61 che fornisce il numero atteso “N” delle schegge (a frammentazione naturale) di peso non inferiore ad un valore “p” stabilito a priori:

N = N0 * e─ (√ p/√ μ) (12)

61 Vedasi il riferimento bibliografico n. 30 (pag. 140).

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La letalità dei proietti sparati dai cannoni da 381/50 Ansaldo-OTO delle RR.NN. classe “Littorio”

I simboli impiegati in questa relazione e non descritti in precedenza, sono i seguenti:

Simbolo Grandezza Dimensioni Notep Peso della scheggia considerato Kg Valore in esame

√ μ Parametro dipendente dal tipo dell’esplosivo di scoppio adimensionale per il TNT vale 0,972

e Numero di Nepero /// 2,718212....

Grazie alla (10) e scegliendo opportunamente i valori da attribuire a “p” è possibile ripartire in classi di peso le schegge prodotte dallo scoppio di un proietto. Si può inoltre conoscere il numero delle schegge che appartengono a ciascuna classe di peso. Tenuto conto di ciò e ricordando che la carica di scoppio dei proietti da 381/50 era costituita da TNT, è stata adottata la seguente ripartizione delle schegge generate dall’esplosione di quei proietti:

Numero totale delle

schegge

Numero totale delle

classi di peso considerate

Peso medio delle schegge in “classe 1”

Peso medio delle schegge

in ultima classe

(Kg) (Kg)“Palla” da 381/50 1038 57 20,5 ≈ 0

“Granata Perforante” da 381/50 4371 71 6,4 ≈ 0

Per il calcolo della velocità iniziale statica 62 “V0” delle schegge si ricorre in genere alla celebre formula semi-empirica del Gurney63:

V0 = √ 2E * √ (R/[1 + R * KL]) (13)

I simboli impiegati in questa relazione e non descritti in precedenza, sono i seguenti:

62 Con il termine “Velocità iniziale” della scheggia e dei gas in espansione si intende quella posseduta ad una distanza nulla dalla superficie esterna del “bicchiere” considerato ancora integro. Per “Velocità statica” si intende la velocità assunta dalla scheggia quando il proietto esplode da fermo.

63 Questa legge semi-empirica fu definita negli anni ‘40 del XX secolo dallo studioso statunitense di Balistica Terminale Ronald Gurney. Vedasi il riferimento bibliografico n. 30 (pag. 137) e il riferimento bibliografico n. 31 (pag. 391).

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Simbolo Grandezza Dimensioni Note

√ 2E“Costante di Gurney” che dipende dal tipo di esplosivo di scoppio

m/sIl simbolo non indica la relazione matematica che dà il valore della

“Costante”

PcPeso della sola parte metallica del proietto

(“bicchiere”)Kg per la “Palla” da 381/50 era 874,7 Kg

per la “Gr. Pf.” da 381/50 era 794,3 Kg

R = Pe/Pc

Rapporto “Carica/Metallo del bicchiere” adimensionale

KL

“Costante di Lagrange” che dipende dalla forma

del proiettoadimensionale per proietti cilindro-ogivali vale 0,5

La “Costante di Gurney” dipende in particolare dal “Calore di esplosione” Q (espresso in Kcal/Kg) dell’esplosivo di scoppio. In particolare si ha:

potenziale dell’esplosivo E = Q * equivalente meccanico della Kcal = Q * 427 [ Kgm/Kg ]

√ 2E = KC * √ (2 * E * g) [adimensionale * √ (Kgm/Kg * m/s2) = m/s] (14)

dove “g” è il valore dell’accelerazione di gravità e “KC” è un parametro adimensionale il cui valore deve essere determinato sperimentalmente: di massima oscilla tra 5/7 e 6/7 a seconda del tipo di esplosivo di scoppio.

Nella letteratura tecnica sono indicati valori della “Costante di Gurney” per il TNT (Q TNT = 980 Kcal/Kg) che generalmente variano tra 2115 e 2440 m/s. Nel prosieguo per tale esplosivo sarà considerato un valore intermedio, pari a 2316 m/s cui corrisponde KC ≈ 0,8083.

È importante sottolineare che la teoria semi-empirica del Gurney assume che la velocità statica iniziale V0 delle schegge generate dallo scoppio sia pari al valore della velocità di espansione iniziale dei gas prodotti dall’esplosione. Questa teoria quindi attribuisce lo stesso valore di V0 a tutte le schegge, a prescindere dalle loro dimensioni e dalla loro massa.

Nel caso della detonazione di una “Palla” da 381/50, la velocità iniziale statica V0 delle schegge a frammentazione naturale calcolata ricorrendo alla formula semi-empirica del Gurney risulta 248,9 m/s: un valore piuttosto basso dovuto essenzialmente al basso rapporto R. Viceversa per la “Granata Perforante” tale velocità era pari a 442,2 m/s.

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La letalità dei proietti sparati dai cannoni da 381/50 Ansaldo-OTO delle RR.NN. classe “Littorio”

Una considerazione importante

Le stime eseguite sinora sono state ottenute con formule semi-empiriche basate sulla conoscenza di specifici rapporti (r ed R) che descrivono le caratteristiche fisiche dei proietti esaminati. Tuttavia è evidente che questi rapporti sono valori medi, che non tengono conto del particolare profilo del proietto: sia quello esterno che quello della cavità interna contenente l’esplosivo di scoppio. Tali valori medi descrivono infatti i proietti come cilindri metallici cavi caratterizzati da spessore di parete uniforme, ovvero da raggio esterno ed interno di valore costante: descrizione semplificata che risulta sostanzialmente accettabile per le munizioni dirompenti (con particolare riferimento a quelle per uso anti-aereo) ma che diviene meno valida per i proietti perforanti e per quelli tipo “Palla”, dotati di ogiva e di “cappuccio” di spessore molto maggiore di quello delle pareti del “bicchiere”. Per questi proietti la letteratura tecnica non propone adeguamenti da apportare alle formule semi-empiriche (9) (10) e (11). Ciò è senz’altro dovuto alla ben maggiore attenzione attribuita alle capacità di perforazione di queste munizioni. È comunque realistico ritenere che lo scoppio di queste munizioni possa aver prodotto un numero peraltro molto limitato di schegge d’ogiva (di massima una sola) caratterizzate da peso superiore (anche il doppio) rispetto a quello stimato per la “classe 1” con la (10) e da una velocità iniziale statica inferiore rispetto a quella dedotta con la (11). In tal caso il numero totale delle schegge prodotte sarebbe risultato inferiore rispetto a quello calcolato con la (9). Tenuto conto di ciò, non è facile fornire stime quantitative attendibili riguardanti il peso e la velocità iniziale statica di quello che probabilmente fu l’unico grande frammento d‘ogiva generato dall’esplosione dei proietti in oggetto. Peraltro la sua significanza statistica risulterebbe bassa, unitamente alla sua capacità di perforazione che fu senz’altro limitata dall’ampiezza delle sue dimensioni e dalla sua ridotta velocità di impatto.

Inoltre la riduzione del numero totale delle schegge che consegue dall’esistenza di tale grande frammento, non ha in realtà un’influenza rilevante sui danni materiali prodotti al bersaglio. Infatti (come sarà possibile osservare nel seguito) i danni arrecati agli impianti, alle strutture e alle apparecchiature interne della Nave colpita sono causati solo dalle schegge generate da proietti da 381/50 che risultano caratterizzate da una sufficiente densità sezionale di energia cinetica δKE il cui numero non supera di massima il 35% di quello totale delle schegge, calcolato con la (9). Pertanto è possibile ritenere che almeno 2/3 delle schegge generate dallo scoppio di un proietto tattico da 381/50 non fossero in grado di produrre danni sensibili agli impianti, alle strutture e alle apparecchiature interne della Nave colpita64.

64 Da notare tuttavia che nell’ambito di questo studio non sono state considerate le perdite comunque arrecate al Personale di bordo in misura rilevante anche dalle schegge incapaci di produrre i danni materiali sopra citati. Questo perché in ogni combattimento navale o aeronavale

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Velocità delle schegge alla distanza “S” dal punto di scoppio

Successivamente occorre conoscere il valore della velocità VS con cui le schegge, una volta generate dallo scoppio del proietto, giungono a colpire il bersaglio dopo il loro volo di S metri dal punto di esplosione. Il metodo più corretto per determinare il valore in oggetto è quello che contempla l’integrazione nel tempo dei valori assunti dalla velocità della scheggia, a fronte della resistenza dell’aria e della forza di gravità che agiscono su di essa durante il suo tempo di volo. Tuttavia, tenuto conto delle ridotte distanze S di interesse e della brevissima durata del tempo di volo delle schegge, si preferisce in genere ricorrere alla formula semi-empirica65 indicata di seguito, in cui il contributo della forza di gravità è trascurato:

VS = V0 * e ─ S * ( ½ * ρ ARIA * A * CD ) / m (15)

I simboli impiegati in questa relazione e non descritti in precedenza, sono i seguenti:

Simbolo Grandezza Dimensioni Note

ρ ARIA Densità dell’aria (varia con la quota) Kg * s2 / m4 0,124873a livello del mare

A Area della sezione retta della scheggia m2

CD“Coefficiente di resistenza

aerodinamica” della scheggia Adimensionale

m massa della scheggia Kg * s2 / m m = p / g

Volendo esaminare la capacità dei proietti da 381/50 di arrecare danni al bersaglio tipico per tale calibro, rappresentato da Navi corazzate, è stato assunto il corretto funzionamento della spoletta ad impatto, con una durata del ritardo di scoppio pari a quella di progetto. Pertanto si è assunto che l’esplosione del proietto sia avvenuta dopo la perforazione delle piastre di corazza del bersaglio: condizione in cui è lecito ritenere che la velocità di post-perforazione della munizione risulti sempre molto inferiore a quella statica di proiezione delle schegge e possa essere trascurata (in modulo e in orientazione) senza comportare errori significativi nella stima della velocità assoluta dei frammenti. Per poter impiegare la (12), dopo aver stabilito S occorre calcolare i valori da attribuire alle grandezze pertinenti secondo le modalità seguenti:

i bersagli di elezione delle armi di bordo non sono rappresentati dall’equipaggio nemico, ma dalle Navi o dagli aeromobili avversari.

65 Vedasi il riferimento bibliografico n. 31 (pag. 391).

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La letalità dei proietti sparati dai cannoni da 381/50 Ansaldo-OTO delle RR.NN. classe “Littorio”

Simbolo Dimensioni Note

l scheggia m

Conoscendo il Peso Specifico del metallo utilizzato nella realizzazione del “bicchiere” del proietto, è possibile risalire al volume “vol” della scheggia. Inoltre, nel caso di schegge a frammentazione naturale e solo per il calcolo del lato della scheggia (l scheggia) si assume che essa abbia forma cubica, per cui: l scheggia = vol 1/3

A m2Nel caso di schegge a frammentazione naturale e solo per il calcolo di “A” risulta:A = (l scheggia)

2

CD Adimens.

La letteratura tecnica10 disponibile attribuisce a questo Coefficiente i seguenti valori:

1.- Schegge a frammentazione naturale di forma erratica

- Velocità sub-sonica CD = 1,5- Velocità sonica CD = 2,25- Velocità bi-sonica CD = 3- Velocità ≥ tri-sonica CD = 3,25

2.- Schegge pre-formate di forma perfettamente cubica

- Velocità super-sonica CD = 1,2

3.- Schegge pre-formate di forma perfettamente sferica

- Velocità super-sonica CD = 1,1

È importante osservare che nel caso di schegge a frammentazione naturale si considera una forma cubica al solo scopo di poter calcolare l scheggia ed A mentre il valore attribuito a CD tiene conto con maggiore accuratezza della forma esterna erratica di tali schegge.

Capacità di perforazione delle schegge proiettate dallo scoppio di un proietto da 381/50

La letteratura tecnica disponibile è abbastanza scarna e fornisce dati di perforazione dettagliati solo per le schegge di acciaio a frammentazione naturale che colpiscono lamiere di acciaio dolce66. Ciò è tuttavia sufficiente per il presente

66 I dati di perforazione riguardanti proietti perforanti e/o schegge pre-formate di metalli speciali (tungsteno, uranio) che colpiscono lastre di acciaio ER o di DURAL (duralluminio) sono oggi divulgati con parsimonia e in modo non molto dettagliato dalle Ditte che producono muniziona-mento per impiego anti-aereo e anti-missile. Di massima appare possibile ritenere che nel caso di

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studio che considera lo scoppio di un proietto da 381/50 all’interno di una Nave da battaglia. È infatti realistico che le paratie interne presenti a bordo di tali Unità, non essendo destinate ad una funzione protettiva o strutturale ma sostanzialmente divisoria, non fossero realizzate in acciaio ER ad elevata resistenza.

La stessa letteratura tecnica considera67 un andamento della legge di perforazione in funzione del peso e della velocità di impatto delle schegge che è stato dedotta a seguito di innumerevoli prove di balipedio. A parità di peso della scheggia tale andamento è caratterizzato da:

- un aumento sostanzialmente lineare degli spessori perforati in funzione della velocità di impatto per V ≤ 600 m/s;

- una minore crescita degli spessori perforati con la velocità di impatto quando V > 600 m/s.

Dall’esame dei dati e dei grafici presentati dalla letteratura tecnica disponibile, si evince che anche nel caso delle schegge la formula empirica di De Marre fornisce risultati coerenti con quelli rilevati nel corso di esperienze pratiche di balipedio. È comunque necessario attribuire idonei valori a:

- “Coefficiente di De Marre” che in questo caso potrebbe essere detto con maggiore proprietà “Coefficiente piastra-scheggia”. Dalla letteratura tecnica esistente si evince che il valore da attribuire a K2’ è costante e circa pari a68 2,42 quando V ≤ 600 m/s. Viceversa quando V > 600 m/s i valori da assegnare al “Coefficiente di De Marre” divengono via via più elevati (giungendo fino a 3 ed oltre) all’aumentare della velocità di impatto;

- diametro del proietto che in questo caso deve essere riferito alla scheggia a frammentazione naturale69: d = lscheggia * √ 2

In base a quanto esposto è stato possibile redigere le seguenti tabelle che presentano in sintesi i dati di ripartizione e perforazione riguardanti una parte delle

schegge PFF di tungsteno incidenti su lamiere di DURAL il valore da attribuire al “Coefficiente di De Marre” sia circa la metà di quello considerato per l’acciaio dolce.

67 Vedasi il riferimento bibliografico n. 29 (pag. 220-221).68 Questa elevata capacità perforante può essere attribuita alla resistenza dell’acciaio speciale di cui

sono costituite le schegge, ovvero di cui è costituito il “bicchiere” del proietto a frammentazione naturale: resistenza che risulta molto superiore a quella dell’acciaio dolce della lamiera perforata.

69 Il metodo di calcolo qui impiegato per dedurre il diametro delle schegge a frammentazione na-turale è usato anche per le schegge PFF di forma cubica. Viceversa per le schegge PFF sferiche risulta: d = diametro.

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La letalità dei proietti sparati dai cannoni da 381/50 Ansaldo-OTO delle RR.NN. classe “Littorio”

schegge generate dallo scoppio di un proietto tattico da 381/50 (K2’ = 2,42). In particolare è stato considerato l’impatto normale di schegge, caratterizzate dal peso indicato, contro lamiere di acciaio dolce poste alla distanza S = 10 metri dal punto di scoppio: distanza coerente con le dimensioni tipiche di un grande locale presente a bordo di una Nave da battaglia dell’epoca (locale caldaie, locale motrici). Da notare inoltre che i dati presentati70 non tengono conto di quello che probabilmente fu l’unico grande frammento d‘ogiva generato dall’esplosione dei proietti in esame. Tuttavia si ritiene che i risultati siano comunque molto indicativi delle caratteristiche di scheggiatura e della capacità di perforazione dei frammenti generati dallo scoppio.

“Palla” da 381/50

Classe di peso della scheggia

Peso p della

scheggia

N° delle schegge presenti

nella classe 11

Diametro d della

scheggia

Distanza S

percorsa dalla

scheggia

Velocità iniziale V0 della scheggia

Velocità d’impatto

della scheggia

δKE di impatto

della scheggia

Spessore di acciaio

dolce perf. con impatto normale

(n) (Kg) (n) (mm) (m) (m/s) (m/s) (Kg/m) * 106 (mm)

1 20,5 1 194,6

10 248,9

245,7 2,22 21,85

7 10,6 1 156,1 245 1,77 17,122

19 5,2 5 123 243,9 1,38 13,249

25 2,5 21 96,2 242,6 1,07 10,170

28 1,1 68 74 240,7 0,81 7,5

≥ 1,1 242< 1,1 796

N° di schegge che perf. ≥ 7 mm

242

Lo spessore di 7 mm è stato considerato perché ritenuto indicativo di quello generalmente caratterizzava le paratie divisorie interne delle

Navi da battaglia dell’epoca. 242/1038 = 23,3 % (% delle schegge che perforano lamiere di acciaio

dolce spesse almeno 7 mm)

N° tot.schegge

1038

70 Tutti i dati presentati sono arrotondati alla prima cifra decimale, tranne la δKE che è indicata con due cifre decimali.

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“Granata Perforante” da 381/50

Classe di peso della scheggia

Peso p della

scheggia

N° delle schegge presenti

nella classe

Diametro d della

scheggia

Distanza S

percorsa dalla

scheggia

Velocità iniziale V0 della scheggia

Velocità d’impatto

della scheggia

δKE di impatto

della scheggia

Spessore di acciaio

dolce perforato

con impatto normale

(n) (Kg) (n) (mm) (m) (m/s) (m/s) (Kg/m) * 106 (mm)

1 6,4 1 131,9

10 442,2

425,9 4,52 31,59

11 3,2 1 105 421,9 3,53 24,351

28 1,6 9 82,9 416,3 2,71 18,5128

36 0,8 39 66,5 410,4 2,11 14,3200

40 0,4 120 53,9 403,6 1,66 11,2462

43 0,1 542 37,3 387,4 1,06 7,1

≥ 0,1 1562< 0,1 2809

N° di schegge che perf. ≥ 7 mm

1562

Lo spessore di 7 mm è stato considerato perché ritenuto indicativo di quello che generalmente caratterizzava le paratie divisorie interne delle

Navi da battaglia dell’epoca.1562/4371 = 35,7 % (% delle schegge che perforano lamiere di acciaio

dolce spesse almeno 7 mm)N° tot. schegge 4371

Massima distanza di danneggiamento delle schegge generate da un proietto da 381/50

La relazione empirica riportata di seguito71 fornisce il valore della massima distanza “Dd” alla quale le schegge a frammentazione naturale, generate dall’esplosione di un proietto nello spazio libero, sono in grado di arrecare qualche danno al bersaglio:

71 Vedasi il riferimento bibliografico n. 23 (pag. 9.39).

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La letalità dei proietti sparati dai cannoni da 381/50 Ansaldo-OTO delle RR.NN. classe “Littorio”

Dd = 1,8 * Pe 2/3 (16)

Tale relazione, impiegata in passato per stimare la massima distanza di danneggiamento di un proietto dirompente anti-aereo a frammentazione naturale, può comunque fornire una indicazione in merito alla distanza tra il punto di caduta in mare dei colpi “near miss” e l’Opera Morta delle Navi contro cui essi erano stati sparati. Nel caso dei proietti da 381/50 risulta quindi:

Distanza massima di danneggiamento

Tipi di proiettoP Dd

(Kg) (m)“Palla” da 381/50 10,16 39

“Granata Perforante” da 381/50 29,515 80

Mentre tutte le schegge, prodotte dallo scoppio di un proietto all’interno di una Nave, vanno a colpire parti ed eventualmente Personale di quest’ultima, la detonazione di una munizione in ambiente esterno proietta solo una parte delle sue schegge sull’Opera Morta del bersaglio.

Lo scoppio statico di un proietto non produce mai una distribuzione uniforme (isotropica) di schegge in tutte le direzioni72, ma si assiste in genere ad una proiezione più numerosa da frammenti dalle pareti laterali del “bicchiere”, mentre le schegge di ogiva e di fondello sono di massima poche e più grandi.

Se tuttavia si ammette per semplicità l’ipotesi che tale distribuzione sia uniforme e pari a “Ds” allora è possibile ritenere che il numero “η” di schegge che colpiscono una superficie esterna di area nota “Ab” del bersaglio, posto a distanza “S” dal punto di scoppio, sia pari a:

Ds = numero totale delle schegge η = Ds * Ab (17) 4 * π * S2

72 Alcune munizioni dirompenti per uso anti-aereo posseggono una carica di scoppio volutamente e fortemente non isotropica, in grado di concentrare i frammenti prodotti dalla detonazione su un piano normale all’asse longitudinale della munizione stessa. Vi sono poi moderni esempi in cui la massima proiezione delle schegge può essere addirittura orientata dalla spoletta in una specifica direzione poco prima dello scoppio, per ottenere il maggiore possibile danno del bersaglio (“aimable warhead”).

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Conclusioni

I dati numerici esaminati nel corso di questo studio sono stati dedotti in parte da prove pratiche di balipedio e in parte ricorrendo a formule empiriche o semi-empiriche in grado di fornire risultati sufficientemente accurati e coerenti con quelli ottenuti sul campo.

In particolare tra queste formule spiccano senz’altro, per la loro sostanziale validità predittiva nel campo degli spessori di corazza perforati, quelle definite quasi un secolo e mezzo fa dal francese Jacob De Marre. La loro applicazione non è infatti circoscritta ai soli proietti di artiglieria, ma può essere estesa anche alle schegge prodotte dallo scoppio di tali munizioni. Critica è peraltro l’individuazione degli idonei valori da attribuire al “Coefficiente piastra-proietto” (o, se del caso, al “Coefficiente piastra-scheggia”) che rappresenta il parametro “chiave” per ottenere risultati validi e in linea con quelli conseguibili durante prove pratiche di balipedio.

Il maggior pregio delle formule semi-empiriche di De Marre risiede nella loro semplicità, da cui discende un agevole svolgimento dei calcoli da eseguire. Tuttavia tale semplicità rappresenta anche il limite più grave di queste formule. Esse infatti assumono l’invariabilità del “Coefficiente piastra-proietto” sebbene questa ipotesi risulti valida per proietti perforanti (o per i frammenti generati dal loro scoppio) solo quando:

- la loro velocità di impatto non supera i 600 m/s. Al di sopra di questo limite il “Coefficiente piastra-proietto” aumenta con tale grandezza;

- la loro robustezza strutturale è pari o superiore a quella della protezione di spessore “omocalibro” da perforare (protezione di spessore analogo al calibro del proietto o eventualmente pari a una maggiorazione di quest’ultimo fino al 10 %). Al riguardo occorre sottolineare che se la percentuale in peso dell’esplosivo di scoppio rispetto al peso totale del proietto supera il 2,5 %, l’ampiezza della cavità interna è tale da influenzare negativamente la robustezza strutturale della munizione ai fini della perforazione di corazze “omocalibro”73. In questo caso quindi il “Coefficiente piastra-proietto” non solo assume valori elevati, ma varia in funzione dalla velocità di impatto.

Sebbene attualmente le formule di De Marre non siano più impiegate, è tuttora molto importante poter conoscere tramite calcoli di Balistica Terminale i risultati dell’impatto di un proietto (o di una scheggia) contro una piastra di metallo (o di altro materiale), al variare delle dimensioni, del peso, della velocità e dell’angolo

73 Si evidenzia che, nel caso della bomba PC 1400 X lo spessore unitario equivalente alla protezione dei Ponti della RN ROMA era di molto inferiore al calibro dell’ordigno tedesco. Inoltre la velocità di impatto di tale bomba era assai minore del limite di 600 m/s.

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di impatto del primo e della robustezza della seconda. Il ricorso al calcolo permette infatti di realizzare un modello matematico in grado di esprimere con sufficiente approssimazione, nell’ambito di simulazioni al computer, il reale andamento del complesso fenomeno della perforazione. Ciò permette di evitare le difficoltà e i costi relativi all’allestimento di prove pratiche di balipedio, che peraltro devono essere ripetute molte volte per disporre di un’adeguata confidenza statistica sui risultati ottenuti. Per definire il modello matematico citato, oggi sono ampiamente impiegate le cosiddette “formule di Thor”, messe a punto nell’ambito di uno specifico progetto di ricerca (cui fu appunto assegnato il nome di “Project Thor”) che venne svolto negli USA74 nel 1961. Tali formule sono basate su grandezze geometriche, fisiche e dinamiche analoghe a quelle considerate dalle formule di De Marre (massa, velocità e angolo di impatto del proietto; prodotto tra la superficie della sezione retta del proietto e lo spessore della piastra da perforare) pur tenendo conto in aggiunta di cinque specifici parametri, il cui valore numerico dipende dalle caratteristiche del binomio piastra-proietto in esame75 e deve essere dedotto sperimentalmente, eseguendo un limitato numero di prove di balipedio. Da ciò si comprende che anche le moderne “formule di Thor” sono in sostanza strumenti matematici di natura semi-empirica. Infine parimenti semi-empirico risulta essere pure il cosiddetto “Criterio di Mc Naughtan”, oggi generalmente considerato quando è necessario valutare se le schegge, generate dall’esplosione “near miss” di un proietto dirompente anti-aereo, posseggono energia cinetica sufficiente per arrecare un danno strutturale al bersaglio.

Il quadro complessivo descritto dai valori numerici ricavati delinea con chiarezza le rilevanti caratteristiche della “Palla” da 381/50, con specifico riferimento alla sua capacità di perforazione di piastre cementate (KC) realizzate con la tecnologia più avanzata dell’epoca. Queste piastre in acciaio legato al nichel, cromo e molibdeno furono impiegate nel primo quarantennio del secolo scorso nella costruzione delle corazze di cintura più robuste: quelle delle Navi da battaglia che parteciparono alla Seconda Guerra Mondiale. Il potere perforante della “Palla” da 381/50 fu tale da rivaleggiare sulla carta con quello dei materiali di artiglieria di calibro addirittura superiore. In ambito nazionale tale brillante caratteristica fu probabilmente sottostimata, a seguito di valutazioni tecniche che questo studio indica essere state troppo conservative.

Meno eclatante, seppure di adeguato livello, fu peraltro il suo potere dirompente, ovvero la capacità di arrecare danni al bersaglio per effetto “Blast” e tramite la proiezione di schegge.

74 Tali formule sono state declassificate da tempo dall’originatore e sono reperibili su Internet.75 Nelle “formule di THOR” quattro di tali parametri compaiono quali esponenti delle grandezze

sopra indicate, mentre il quinto è una potenza di 10 che permette di adeguare le formule in og-getto dal punto di vista dimensionale.

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Una prestazione di minor livello da parte di una munizione altamente specializzata, impiegata contro bersagli diversi da quelli di elezione, fu sicuramente prevista dagli esperti di Artiglieria navale dello Stato Maggiore e dagli Organi tecnici della Regia Marina. Per questa ragione fu a lungo studiata l’ipotesi riguardante la realizzazione di un “proietto unico” di grosso calibro76, capace cioè sia di elevato potere perforante che di grande potere dirompente. Tuttavia, forse in considerazione delle difficoltà progettuali e realizzative77 e/o tenuto conto della propensione di alcuni esperti verso l’adozione di munizioni specializzate, si decise infine per un approccio più tradizionale basato sull’adozione di due proietti da impiegare contro bersagli specifici: la “Palla” e la “Granata Perforante” da 381/50. La prima avrebbe posseduto un grandissimo potere perforante per il contrasto di Navi pesantemente corazzate, mentre la seconda, contenendo una quantità tripla di esplosivo di scoppio, avrebbe assicurato una capacità dirompente devastante78 da non utilizzare contro le Navi da battaglia, ma contro Unità meno protette. E così fu.

Nonostante queste premesse, i risultati conseguiti dai materiali da 381/50 nel corso dell’impiego tattico durante la Seconda Guerra Mondiale fu abbastanza deludente: l’elevata letalità che potenzialmente caratterizzava i proietti di quel calibro si espresse infatti in misura modesta data la scarsità dei colpi a segno (e/o dei “near miss”) conseguiti nel corso del Conflitto.

Al riguardo, nei documenti ufficiali risultano79 i seguenti danni inflitti dai proietti da 381/50 (non è noto se di tipo “Palla” o “Granata Perforante”) ad Unità britanniche:

- un “near miss” di un proietto sparato (da circa 29.000 metri) dalla RN Vittorio Veneto e caduto presso l’Incrociatore leggero HMS Orion durante lo Scontro di Gaudo (ore 11.10 del 28 marzo 1941). La nave britannica riportò in quel caso lievi danni da schegge alle sovrastrutture80;

76 Vedasi il riferimento bibliografico n. 5.77 Al riguardo assai ardua si rivelò senz’altro la realizzazione di una spoletta ad impatto in grado

di adeguare opportunamente il tempo di ritardo di scoppio in funzione del tipo di bersaglio da contrastare. Vedasi il riferimento bibliografico n. 3 (pag. 270-271) e il riferimento bibliografico n. 5 (pag. 2 e 4).

78 La Royal Navy riuscì viceversa a dotarsi di proietti ACP da 15-inch (381/42) da 871 Kg (proietto dotato di un raggio di ogiva “crh 4” e pesante 1920 lbs) e 879 Kg di peso (proietto crh 6 da 1938 lbs) che, pur assicurando adeguate capacità perforanti (peraltro inferiori a quelle della “Palla” da 381/50) possedevano anche un idoneo potere dirompente (peraltro inferiore a quello della “Granata Perforante” da 381/50) in virtù di una carica costituita in entrambi i casi da 21,8 Kg di Lyddite (esplosivo a base di acido picrico più potente del TNT, ma assai corrosivo) che ammon-tavano a circa il 2,5 % del peso totale di quei proietti.

79 Ciò evidentemente a meno di eventuali ulteriori colpi da 381/50 giunti a segno (o “near miss”) non noti all’Autore al momento della stesura di questo studio.

80 Vedasi: R. Bernotti, Storia della Guerra nel Mediterraneo (1940-43), Roma, Vito Bianco Editore, Roma 1960, pag. 147. In quell’occasione la RN Vittorio Veneto impiegò la sola torre n. 2 da 381/50 e fece fuoco 94 volte, sparando effettivamente 83 proietti (11 colpi falliti) in circa 25

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- un colpo a segno sul Cacciatorpediniere HMS Havock (alcune fonti indicano un “near miss”) di un proietto sparato (da circa 8.000 metri) dalla RN Littorio durante la Seconda Battaglia della Sirte (ore 17.20 del 22 marzo 1942). La nave britannica riportò in quel caso gravi danni da schegge, ma fu in grado di rientrare in porto con i suoi mezzi81;

- un “near miss” di un proietto sparato (da circa 12.000 metri) dalla RN Littorio e caduto presso l’Incrociatore leggero HMS Euryalus durante la Seconda Battaglia della Sirte (ore 17.45 del 22 marzo 1942). La nave britannica riportò in quel caso lievi danni da schegge alle sovrastrutture82;

- un “near miss” di un proietto sparato (da circa 6.000 metri) dalla RN Littorio e caduto presso il Cacciatorpediniere HMS Lively durante la Seconda Battaglia della Sirte (ore 18.52 del 22 marzo 1942). La nave britannica riportò in quel caso gravi danni da schegge, ma fu in grado di rientrare in porto con i suoi mezzi83.Da ricordare infine che il Cacciatorpediniere HMS Legion fu inquadrato da una

salva da 381/50 sparata (da circa 6.000 metri) dalla RN Littorio durante la Seconda Battaglia della Sirte (ore 18.47 del 22 marzo 1942) ma riuscì a scampare illeso84.

In base a quanto indicato in precedenza è possibile ritenere di massima che i colpi da 381/50 “near miss” siano caduti ad una distanza non superiore a 80 metri dalla Nave contro cui erano diretti.

Dal sintetico elenco riportato in precedenza, i colpi da 381/50 messi a segno o i “near miss” conseguiti dalle Navi da battaglia classe “Littorio” in tre anni di guerra risultano essere stati assai pochi, con conseguenti danni inflitti al nemico che possono essere ritenuti complessivamente limitati. A fronte di questo modesto risultato, l’enorme sforzo economico (oltre un miliardo e ottocento milioni di lire dell’epoca), progettuale e realizzativo che fu necessario per l’immissione in servizio di quelle grandi Navi appare oggi del tutto sproporzionato. Questa sproporzione è poi tanto più evidente qualora si confrontino i risultati sopra elencati con quelli ottenuti durante il Secondo Conflitto Mondiale da Navi da battaglia di altre Marine.

Tra i molti possibili esempi85 se ne propongono solo due, particolarmente eloquenti:

minuti.81 Vedasi: iR. Bernotti, La Guerra sui Mari nel Conflitto Mondiale – Volume 1941-1943), Livorno, Società

Editrice Tirrena, 1948, pag. 192.82 Vedasi: E. Cernuschi, Fecero tutti il loro dovere (pag. 55-56), Supplemento alla “Rivista Marittima”,

anno CXXVIII, n. 9 novembre 2006, pagg. 55-56.83 Vedasi: R. Bernotti, La Guerra sui Mari nel Conflitto Mondiale 1941-1943, op. citata, pag. 197).84 Vedasi: RT. Bernotti, La Guerra sui Mari nel Conflitto Mondiale 1941-1943, op. citata, pag. 196).85 È opportuno non considerare eventi (quale quello tristissimo di Matapan -28 marzo 1941- o

quello in cui fu affondata la KMS BISMARCK -27 maggio 1941-) pur molto importanti dal punto di vista strategico, tattico e storico, ma assai poco significativi quando si parla di efficacia del tiro di artiglieria nelle normali condizioni di combattimento.

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- durante la Battaglia di Punta Stilo (Mediterraneo, 9 luglio 1940) la RN Giulio Cesare fu colpita in pieno alle 15.59 da un proietto da 381/42 sparato dalla HMS Warspite ad una distanza di 23.000 metri, dopo solo sette salve dall’inizio del tiro e quindi con un impiego complessivo di non più di 56 colpi86;

- durante la Battaglia del Canale di Danimarca (Oceano Atlantico, 24 maggio 1941) il KMS Bismarck fu colpito in pieno tra le 05.53 e le 06.00, da tre proietti da 356/45 sparati dalla HMS Prince Of Wales a distanze comprese tra 18.000 e 15.500 metri, con un impiego complessivo di 55 colpi87.

Ciò sottolinea in misura evidente la grande accuratezza88 del tiro britannico di grosso calibro che durante la Seconda Guerra Mondiale fu senz’altro ben più efficace di quello italiano. In particolare occorre riconoscere che i colpi messi a segno in soli sette minuti dalla HMS Prince Of Wales durante la Battaglia del Canale di Danimarca furono in pratica più numerosi di quelli ottenuti dalle RRNN classe “Littorio” tra il 1940 e il 1943. Ancora più rimarchevole è la constatazione che tale brillante risultato fu conseguito dalla Nave da battaglia britannica nonostante la sfavorevole geometria di combattimento (che impedì l’impiego della torre quadrupla di poppa, riducendo del 40 % il numero dei cannoni impiegabili) e le inadeguate condizioni di efficienza delle grandi artiglierie di bordo, che in pratica limitarono il tiro a sole tre o quattro armi per salva.

I grandi cannoni da 381/50 che armarono Vittorio Veneto, Littorio e Roma (i più potenti mai impiegati dalla Regia Marina) furono quindi senz’altro artiglierie poderose, essendo caratterizzate da caratteristiche balistiche talmente elevate da consentire un loro diretto confronto (sulla carta) con armi straniere di calibro addirittura superiore. Le loro gigantesche volate, che possono tutt’oggi essere ammirate in numerosissime fotografie d’epoca, in molti “Film LUCE” e nel lungometraggio La Nave bianca89,

86 Vedasi il già citato Storia della Guerra nel Mediterraneo (1940-43), pag. 67.87 Vedasi:

- V. E. Tarrant, King George V class Battleships, London, Arms and Armour Press, pagg. 54-55;- grafico “Fall of shots plotted as they appeared from Prince Of Wales”, The National Archives

(ex Public Record Offic), Kew Gardens, Londra.88 Con il termine “accuratezza” l’Autore desidera considerare complessivamente sia la grande

“esattezza” (piccolo errore sistematico), sia la grande “precisione” (piccola dispersione) del tiro di grosso calibro britannico.

89 Si ricorda che, in ossequio alle clausole del Trattato di Pace, tutti i cannoni Ansaldo-OTO da 381/50 furono demoliti. L’arrugginita massa oscillante di un cannone da 381 mm, che oggi si può vedere nell’area antistante la Palazzina della Direzione dell’Arsenale MMI di La Spezia, non è quella di un italico 381/50 ma proviene dalla Nave da battaglia francese Richelieu, demolita nei Cantieri Santa Maria di quella città ligure nel 1969. In origine tale Unità era armata con otto cannoni da 380/45 che furono poi ricalibrati in 381/44,9 durante un periodo di grandi lavori svolti nel 1943 presso l’Arsenale US Navy di New York. Tale modifica fu eseguita per consentire l’impiego di proietti britannici da 381 mm (15-inch) prima che la Nave fosse inviata a combattere in Oceano Indiano nel 1944 con la Royal Navy contro i Giapponesi.

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diretto nel 1941 dall’allora giovane regista Roberto Rossellini, incutono ancora un timore reverenziale. Tuttavia questo loro aspetto possente non ebbe mai modo di esprimere in pieno durante il Conflitto le sue elevatissime caratteristiche di letalità. Infatti la pre-condizione essenziale affinché un proietto risulti letale è innanzi tutto che esso colpisca il bersaglio verso cui è indirizzato.

La possente letalità dei cannoni da 381/50 risultò tuttavia quasi inespressa durante la Seconda Guerra Mondiale soprattutto90 a causa di un problema di accuratezza del loro tiro a grande distanza. Le ragioni di ciò possono essere individuate sia in complessi problemi di tipo tecnico, sia in aspetti di natura tattica controversi e dibattuti, dove i secondi (a giudizio dell’Autore) furono senz’altro preponderanti rispetto ai primi.

90 Per completezza si ricorda anche una certa lentezza del loro ritmo di fuoco massimo (un tiro ogni 45 s, mentre i cannoni britannici pari calibro realizzati nel 1911 sparavano un colpo ogni 30 s) e una non trascurabile presentazione di “colpi falliti” durante il tiro (durante lo Scontro di Gaudo del 28 marzo 1941, l’11,7 % dei tiri comandati non fu eseguito per questa ragione): manchevolezza quest’ultima che peraltro fu forse dovuta in maggior misura alle cariche di lancio impiegate piuttosto che al cannone.

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Appendice 1

La formula di perforazione di De Marre e i cannoni da 100 tonnellate della RN Duilio

La formula di De Marre può essere applicata per stimare l’ipotetica capacità di perforazione “alla bocca” (mettendo cioè a calcolo la velocità iniziale del proietto perforante con un angolo di caduta e un angolo di imbatto rispettivamente pari a zero e a 90°) contro bersagli costituiti da piastre di acciaio dolce, posseduta dei colossali cannoni ad avancarica Armstrong da 100 tonnellate “lunghe” britanniche (101,6 tonnellate metriche) e 17,72-inch di calibro (450/20,4) che armarono la RN Duilio e la RN Dandolo.

Tali Unità, progettate dal Generale (GN) Benedetto Brin della Regia Marina, fu armata con quattro armi di quel tipo (all’epoca le più grandi e potenti al mondo), ripartite in due torri girevoli collocate a centro Nave. La difesa passiva della RN Duilio era basata su un ridotto corazzato centrale, realizzato per la prima volta con piastre di acciaio dolce (spessore massimo pari a 550 mm) e su un ponte protetto collocato al di sotto del galleggiamento. Le estremità di prora e di poppa della Nave disponevano inoltre di una fitta compartimentazione stagna per la difesa anti-siluro.

Grazie ad una carica di lancio composta da 240 Kg di polvere “pebble” (cioè polvere nera granulare, con grani di forma prismatica) prodotta in Piemonte dallo Stabilimento del Regio Esercito di Fossano, il proietto perforante (privo di “cappuccio”) da 4,5 dm di diametro (al “turavento”) e pesante 908 Kg (2000 libbre), possedeva una velocità iniziale a canna nuova91 di 518 m/s.

Applicando quindi la formula ( 5 ) e considerando il valore originale della “Costante di De Marre” pari a 1530 valido per munizioni prive di cappuccio sparate contro corazze di acciaio dolce, si ha:

e ├ ACCIAIO DOLCE = [(908 0,5 * 518)/(1530 * 4,5 0,75)] 10/7

e ├ ACCIAIO DOLCE = 5,509 dm = 550,9 mm e/C = + 22,4 %

Inoltre, dato che il ferro fucinato (impiegato per costruire le corazze delle Navi da battaglia prima dell’adozione dell’acciaio dolce) possiede una resistenza inferiore di circa il 20 % rispetto a quella dell’acciaio dolce, è possibile ritenere che 91 La velocità tabulare, considerata per il calcolo delle Tavole di Tiro (edizione 1885) del cannone

da 450/20,4 impiegante il proietto perforante fu invece pari a 492 m/s.

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La letalità dei proietti sparati dai cannoni da 381/50 Ansaldo-OTO delle RR.NN. classe “Littorio”

la capacità di perforazione del cannone da 450/20,4 e del suo proietto nei confronti di piastre di ferro fucinato fosse il seguente:

e ├ FERRO FUCINATO = 550,9 * (1 + 20/100) = 661 mm e/C = + 46,9 %

Questi risultati rispecchiano perfettamente gli eccezionali valori di perforazione che fecero scalpore all’epoca e sono conosciuti da quasi un secolo e mezzo per quel materiale di artiglieria92: valori che peraltro non possono essere stati ottenuti in balipedio, data l’impossibilità di allestire prove pratiche di “perforazione alla bocca” (cioè con la piastra di corazza posta a contatto con la volata dell’arma), ma che furono evidentemente dedotti con la formula di De Marre a scopo puramente indicativo. In tal senso si omise anche di considerare il già citato limite per lo spessore calcolato, pari al 10 % in più, rispetto al diametro del proietto impiegato.

È interessante osservare che le prove tecniche di balipedio eseguite a La Spezia nel periodo ottobre-novembre 1876 sotto la direzione del CF Paolo Cottrau, furono svolte con un cannone Armstrong da 100 tonnellate “lunghe” britanniche e 17-inch di calibro (431,8/21,34) installato sul pontone galleggiante Forte, ormeggiato alla banchina del balipedio di La Spezia (ubicato all’epoca nella zona del Muggiano)93. Le bocche da fuoco da 450/20,4 (caratterizzate da peso dell’arma e del proietto uguali a quelli del precedente 431,8/21,34 ma dotate di superiore velocità iniziale) furono in seguito scelte dalla Regia Marina al posto di quelle da 431,8/21,34 per essere installate a bordo delle Unità classe Duilio. Nel corso delle verifiche tecniche dell’ottobre-novembre 1876 furono impiegate piastre di ferro fucinato prodotte da varie ditte e di 55 cm di spessore, che vennero disposte verticalmente a poco più di 100 metri dalla volata dei cannoni in prova. Tali corazze non erano quindi di acciaio dolce: metallo con cui furono invece realizzate le piastre destinate alle Navi classe “Duilio”.

La documentazione dell’epoca94 indica che durante i tiri di con la bocca da fuoco da 431,8/21,34 la velocità iniziale rilevata (tramite cronografo Le Boulengé) fu Vi ≈ 455 m/s e che quella di impatto risultò pari a V ≈ 450 m/s con angolo di caduta ω = 1° 45’ e angolo di imbatto β = 90°. 92 Vedasi: G. Molli, La Marina Antica e Moderna, Genova, A. Donath Editore, 1906 (volume stam-

pato presso il Premiato Stabilimento Tipografico Cappelli. Rocca San Casciano, 1905), pagg. 190-191.

93 Vedasi: S. Danese, R. De Bernardi e M. Provvedi, Difesa di una Piazzaforte Marittima, La Spezia, Autorità Portuale, 2011, pagg 244 e 278. Sul sito del citato balipedio di allora operò poi la “Commissione Permanente per la prova del Materiale di Guerra” (MARIPERMAN) della Regia Marina.

94 Vedasi il già citato l’articolo Il cannone da 100 tonnellate e le corazze da 55 centimetri. La pubblicazione quindi avvenne appena un mese dopo il termine delle prove tecniche di balipedio cui l’articolo si riferisce.

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Durante le prove di balipedio le corazze di ferro fucinato da 55 cm furono completamente trapassate dai proietti da 431,8 mm (al “turavento”) e 908 Kg di peso (rimasti integri dopo la perforazione95): la loro velocità residua di post-perforazione risultò pari a circa 82 m/s. Da questi elementi è possibile dedurre che il relativo “Coefficiente piastra-proietto” fu pari a circa 1350:

Peso del proietto

Diametro del

proietto

Velocità d’impatto misurata

Angolo di caduta misurato

Angolo di imbatto misurato

Spessore perforato

in balipedio

Velocità di post-perf.ne

misurata

Massa del proietto

(Kg) (dm) (m/s) ( ° ; ‘ ) ( ° ; ‘ ) (dm) (m/s) (Kg * s2 /m)908 4,318 450 1° 45’ 90° 5,5 82 92,56

↑ ↓

Energia cinetica d’imp.

Coeffi. di De Marre

Velocità di “stretta perf.ne” calcolata

Energia cinetica di

“stretta perf.ne”

Energia cinetica di post perforaz.ne del

proietto

Velocità di post perf.ne

calcolata

(Kgm) (m/s) (Kgm) (Kgm) (m/s)

9371560 1349,6 → 442,46 9060306 311254 82

Si evidenzia che quando il valore del “Coefficiente piastra-proietto” calcolato sopra è impiegato nella formula di De Marre per stimare lo spessore di ferro fucinato perforato “alla bocca” dal cannone da 450/20,4 esso permette di ottenere un risultato di 659 mm: sostanzialmente analogo a quello dedotto in precedenza in questa Appendice, per altra via.

95 Dall’articolo citato si rileva che alcuni proietti si ruppero subito dopo essere usciti dalla volata dell’arma, senza essere dunque giunti all’impatto. Ciò forse per difetti di costruzione.

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Appendice 2

La formula di perforazione “Krupp 1930”

La versione originale96 della formula in oggetto, riferita ad un angolo di impatto normale è:

e KRUPP ├ = n * [(P/C) * (V/k )²]0,625 (I)

I simboli già impiegati in precedenza mantengono il loro significato e si ha inoltre:

- n Costante numerica dipendente solo dalle unità di misura impiegate. Se il calibro “C” del proietto e lo spessore perforato e KRUPP ├ sono in mm con il peso “P” in Kg e la velocità di impatto “V” in m/s risulta n = 417,68

- k Coefficiente di proporzionalità Krupp. Per il proietto “Panzersprenggranate” da 8 cm L/4,4 esso era pari a k = 685

Anche la formula in esame, come la precedente relazione di De Marre, dovette essere modificata per fornire i valori di perforazione pertinenti a condizioni di impatto obliquo. In questo caso però fu considerata la modifica seguente:

e KRUPP (ω; β) = f(e KRUPP├ ; Ob) (II)

L’andamento della funzione (II) è mostrato in forma grafica dal documento “Krupp 5 AKB 9214”, dedotto per il proietto “Panzersprenggranate” L/4,4 da 38 cm (“Pzspg” da 380/47) a seguito di prove pratiche di balipedio97 (Fig. 16).

Tale grafico riporta in ascissa l’ampiezza (in gradi) dell’angolo Υ che è il complemento a 90° dell’obliquità complessiva di impatto (Υ = 90° − Ob ) e in ordinata i valori degli spessori perforati di corazza KC (in mm) in funzione della velocità V di impatto e dell’angolo Υ.

96 Questa formula è tra l’altro presentata dallo studioso statunitense Nathan Okun sul suo sito Internet: vedasi il riferimento bibliografico n. 29. In tale sito però il valore indicato per la Costante “n” è pertinente al sistema di misura anglosassone. Inoltre in quel sito il Coefficiente di proporzionalità Krupp è indicato con il simbolo “C”.

97 Esistono altri grafici analoghi pertinenti a cannoni Krupp e ai rispettivi proietti, di calibro e tipo diverso.

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Marco Santarini

Pertanto al variare di V e di Υ il grafico presenta un fascio di curve dedotte sperimentalmente.

In corrispondenza del valore Ob = 0° (cioè per un impatto normale del proietto rispetto al piano della corazza, caratterizzato quindi da obliquità nulla) i risultati letti sull’asse delle ordinate coincidono con quelli forniti dalla relazione (I).

Quando invece Ob ≠ 0° occorre procedere alle interpolazioni del caso tra i valori dedotti dalle curve tracciate sul grafico che esprime la relazione (II).

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La letalità dei proietti sparati dai cannoni da 381/50 Ansaldo-OTO delle RR.NN. classe “Littorio”

Appendice 3

Formula di De Marre per lo spessore unitario equivalente a quello di piastre multiple e parallele di

corazza

E’ stato dimostrato che la formula di De Marre indica in sostanza che lo spessore perforato è direttamente proporzionale alla “Densità sezionale di energia cinetica del proietto all’impatto”:

e ├ = (δKE * K3 * √C) 5/7 (6)

La relazione ( 6 ) può però anche essere scritta nella forma che segue:

e ├ 7/5 = (δKE * K3 * √C)

e├ 1,4 = ( δKE * K3 * √C ) e ├

1,4 = q (8)

La ( 8 ) indica in pratica che ad ogni quantità “q” che esprime una “Densità sezionale di energia cinetica del proietto all’impatto secondo De Marre” corrisponde uno spessore di “stretta perforazione” elevato alla potenza 1,4. E’ allora possibile scrivere:

e1 1,4 = q1 e2

1,4 = q2 .… en 1,4 = qn

Q = q1 + q2 + … + qn

Tenuto conto di ciò, risulta analogamente: E 1,4 = Q

e quindi:

E 1,4 = e1

1,4 + e2 1,4 + … + en

1,4

da cui si ottiene infine la formula di De Marre che fornisce lo spessore unico, equivalente ai fini della perforazione, a quello di “n” piastre di corazza aventi spessore e1 , e2, … en che sono state montate con la stessa giacitura e con una

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Marco Santarini

distanza interposta “d” pari a: 0 ≤ d ≤ D. E = (e1

1,4 + e2 1,4 + … + en

1,4)1/1,4 (9)

Quest’ultima relazione trova immediato riscontro quando si calcola con la formula di De Marre la “Velocità di stretta perforazione” di una piastra di corazza di spessore noto e da parte di un determinato proietto. Infatti il medesimo valore di “Velocità di stretta perforazione” si può ottenere frazionando il predetto spessore e ripetendo ogni volta il calcolo con la formula di De Marre per ciascuna piastra di spessore ridotto. Così facendo occorre peraltro dedurre per ciascuna piastra la velocità di “post-perforazione” con il procedimento indicato nel testo.

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La letalità dei proietti sparati dai cannoni da 381/50 Ansaldo-OTO delle RR.NN. classe “Littorio”

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AA.VV., Tavola di Tiro N. 1 per i cannoni da 381/50 An. e O. T. O. – Palla Kg 884,8 – Velocità tabulare 850 m/s, Roma, Direzione Generale Armi e Armamenti Navali, Roma 1940

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Marco Santarini

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10. AA.VV. 1940

AA.VV., Tavola di Tiro N. 4 per cannoni da 381/50 An. e O. T. O. – Granata Perforante Kg 824,3 – Velocità tabulare 870 m/s, Roma, Direzione Generale Armi e Armamenti Navali, 1940

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La letalità dei proietti sparati dai cannoni da 381/50 Ansaldo-OTO delle RR.NN. classe “Littorio”

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LE MARINE ITALIANA E FRANCESE DA VERSAILLES A WASHINGTON.

I PROGRAMMI NAVALI FRANCESI E ITALIANI DEL PRIMO DOPO GUERRA (1919-1923)

auguSto de toro

Lo stato delle costruzioni navali in Francia e in Italia alla fine della Prima guerra mondiale1

Al termine della Prima guerra mondiale, diversamente dalle tre maggiori potenze navali - Inghilterra, Stati Uniti, Giappone - che avevano in corso imponenti e dispendiosi programmi di costruzioni, in Italia e in Francia, non vi erano spazi per sensibili potenziamenti delle rispettive flotte, vuoi per le ristrettezze finanziarie, vuoi per le incertezze di ordine dottrinario e politico sulle forme che avrebbe assunto la guerra marittima e sui nuovi strumenti di lotta, vuoi, soprattutto, per la criticità delle situazioni interne, politiche, sociali e finanziarie che in Italia si accompagnavano a una notevole instabilità governativa.

1 Le caratteristiche delle navi riportate si riferiscono, salvo diversa indicazione, ai dati nominali dell’epoca e non a quelli effettivi; per uniformità sono tutti tratti da: Ufficio del Capo di Stato Maggiore della R. Marina, Dati sul potere marittimo delle varie nazioni, Roma, Istituto Poligrafico dello Stato, 1934. Data, poi, l’epoca considerata, grossomodo a cavallo del trattato di Washington del 6 febbraio 1922, i dislocamenti indicati sono tanto quelli a carico normale (dislocamento della nave completamente allestita, ma equipaggiata con parte delle dotazioni e del combustibile, in maniera, però, non uniforme fra le varie Marine), qui espressi in tonnellate metriche (t) quando riferiti a navi italiane e francese, di progettazione ante Washington, quanto quelli standard secondo la definizione introdotta da quel trattato (dislocamento della nave completamente allestita ed equipaggiata con tutte le dotazioni del tempo di guerra, ma priva di combustibile e di acqua di riserva per le caldaie) espressi in tonnellate inglesi – [long] tons pari a 1,016 t – per navi di progettazione post Washington. Infine, per semplicità e salvo espresse eccezioni, i programmi navali si riferiscono al solo naviglio cosiddetto principale (navi da battaglia, navi portaerei, incrociatori, esploratori, cacciatorpediniere, torpediniere e sommergibili).

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A. De Toro

Sotto il profilo geopolitico, pur avendo tratto vantaggio dalla scomparsa di due grandi potenze navali, quella tedesca e quella austro-ungarica, a cui si poteva aggiungere quella russo/sovietica, Italia e Francia avevano lamentato, durante il conflitto, sensibili perdite di naviglio, soprattutto di grandi dimensioni (navi di linea e incrociatori corazzati) e si trovavano distaccate dalle altre grandi potenze più di quanto non lo fossero nel 1914/1915, avendo del tutto sospeso la costruzione di unità maggiori e la Francia anche di unità minori. Secondo un calcolo di Philippe Masson fra il 1914 e il 1922 l’Inghilterra realizzò la costruzione di 1.176.000 t di naviglio di ogni tipo, gli Stati Uniti di 873.000 t, il Giappone di 465.000 t, l’Italia di 70.000 t e la Francia di appena 28.000 t2.

Ma va anche detto che, quanto alle perdite lamentate dalle due potenze latine, se si fa parziale eccezione per la dreadnought italiana Leonardo da Vinci, quelle di grandi navi furono di poca importanza, trattandosi di corazzate e incrociatori antiquati o di tipo superato. Le stesse moderne corazzate monocalibro, seppure recenti, erano di caratteristiche ben inferiori alla quasi totalità dei tipi delle tre potenze oceaniche e un qualche valore lo potevano rivestire solo nel teatro mediterraneo ed entro i confini della reciproca relatività.

Se, poi, la Marina francese restava per tonnellaggio complessivo di naviglio principale ancora molto superiore alla Marina italiana (446.800 t rispetto a 332.200 t), ciò dipendeva esclusivamente dal naviglio maggiore d’anteguerra (corazzate di tipo dreadnought, predreadnought e incrociatori corazzati), mentre il rapporto si rovesciava nelle categorie di naviglio leggero (esploratori, cacciatorpediniere e sommergibili). Infatti, mentre la Francia aveva quasi azzerato il rinnovo del naviglio rientrante nella programmazione della legge navale del 1912 (Statut Naval), incluso quello leggero, per la priorità accordata ai fabbisogni dell’Esercito (mobilitazione di personale di cantieri e arsenali, produzione bellica), alla riparazione e manutenzione del naviglio esistente e all’approntamento di mezzi antisommergibili, l’Italia aveva continuato a costruire naviglio silurante di superficie e subacqueo.

In definitiva, grazie agli apporti costruttivi durante il conflitto la Regia Marina finì con il trovarsi in una situazione di complessivo vantaggio sulla “cugina” latina in quelle categorie di navi allora maggiormente tenute in conto da entrambe le Marine, come si può ricavare dai due sottostanti riepiloghi.

2 P. G. Masson, La ‘belle marine’ de 1939, in Corvisier (a cura di), Histoire Militaire de la France, vol. III: De 1871 à 1940, Paris, Presses Universitaires de France, 1997, pp. 443-470, qui p. 444. A partire dal 1916 le priorità assegnate all’Esercito ebbero conseguenze dirette anche portato secondo l’apprezzamento un po’ eccesivo di taluni autori, a una mutazione della Marine Nationale da uno strumento offensivo incentrato sulla squadra da battaglia a uno difensivo incentrato sul naviglio minore per la lotta antisommergibile. Cfr. P. Masson, La Marine dans la Première guerre mondiale, in Corvisier (a cura di), op. cit., vol. III, pp. 237-256, qui, pp. 245-246.

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Le Marine italiana e francese da Versailles a Washington

Naviglio silurante di nuova costruzione ordinato ed entrato in servizio durante la guerra (1914-1918)*

Tipo Italia Franciaespl.

tot.2 cl. “Aquila” (ex rumeni requisiti)

2 //cc.tt.

tot.

1 cl. “Audace” (ex giapponese acquistato)4 cl. “Giuseppe Sirtori”7 cl. “Giuseppe La Masa”

12

4 cl. “Aventurier” (ex argentini requisiti)12 cl. “Arabe” (ordinati al Giappone)

16

ss.mm.

tot.

6 cl. “Pietro Micca” 4 cl. “Andrea Provana”20 cl. “F” 3 cl. “S” (ex inglesi) 4 cl. “W” (ex inglesi) 3 cl. “N” 8 cl. “H” 2 cl. “X 2” 50

1 cl. “Maurice Callot”1 cl.“ “Pierre Chailley”3 cl. “Armide” (1 ex giapponese, 2 ex

greci requisiti)1 cl. “Roland Morillot” (preda bellica,

ex tedesco UB 26)

6

* Al netto delle perdite durante il conflitto nonché delle radiazioni e restituzioni del naviglio requisito agli stati terzi committenti nei primi anni del dopoguerra.

Il fatto che, se si escludono i 4 cacciatorpediniere requisiti ex argentini, per poter disporre di nuovo naviglio leggero Parigi abbia dovuto ricorrere all’industria navale giapponese, è ben indicativo della stasi delle costruzioni navali negli anni di guerra. In tal senso indicativo è anche il caso di 2 sommergibili della classe “Joessel” e altri 2 della classe “Lagrange” ordinati e impostati prima del conflitto, ma completati solo nel 1922.

Il divario si accentuava a vantaggio dell’Italia, se si mette in conto anche il naviglio ordinato durante la guerra, ma destinato a entrare in servizio dopo la sua conclusione, come si può ricavare dal sottostante prospetto.

Naviglio silurante di nuova costruzione ordinato prima della fine della guerra (1914-1918)Tipo Italia Francia

espl.tot.

5 cl. “Leone”*5 //

cc.tt.

tot.

4 cl. “Palestro” 4 cl. “Monzambano”6 cl. “Generali”

14 //

ss.mm.

tot.

3 cl. “N”

3

1 cl. “Maurice Callot”1 cl. “Pierre Chailley”3 cl. “O’Byrne” (ex rumeni, requisiti)

5 * Ne saranno poi completati 3.

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A. De Toro

Di fatto, fino al programma navale autorizzato nel 1922, di cui si dirà più avanti e solo in piccolissima parte avviato in quell’anno, per altri 4 anni dalla fine della guerra la Francia non mise mano a nuove costruzioni, prolungando la stasi a circa 8 anni. Ancora in fatto di naviglio leggero serve aggiungere che al termine delle ostilità l’Italia aveva in linea 3 grandi esploratori di costruzione prebellica (il Quarto, 2 “Nino Bixio”) e 5 leggeri (2 “Alessandro Poerio”, escludendo il Cesare Rossarol, perso su una mina il 16 novembre 1918, e 3 “Carlo Mirabello”) contro nessuno della Francia, a cui si aggiungevano altri 15 cacciatorpediniere abbastanza moderni e validi ordinati prima del conflitto (4 “Indomito”, 2 “Ardente”, un “Animoso”, 8 “Giuseppe Cesare Abba”) in sostanziale equilibrio con 16 francesi di caratteristiche e valore equivalenti (3 “Ensigne Roux”, 5 “Bisson” e 8 “Bouclier”).

Più uniforme era la situazione venutasi a determinare in fatto di nuove grandi navi da battaglia. Alla fine del 1918 la Francia ne aveva 5 della classe “Normandie”, armate con 12 cannoni da 340 mm in torri quadrinate e in uno stato di costruzione mediamente avanzato, e 4 in programma della classe “Lyon”, tutte ricadenti nella programmazione della legge navale del 1912 e di progettazione prebellica. L’Italia ne aveva 4 della classe “Francesco Caracciolo”, anch’esse di programmazione e progettazione prebellica, ma di avanzatissima concezione, essendo le prime corazzate di tipo unitario per il forte armamento di 8 pezzi da 381, l’elevata velocità (28 nodi) e

Il c.t. Arabe nelle acque di Tolone verso la fine del 1917, epoca della sua entrata in servizio. Fu uno dei 12 cacciatorpediniere costruiti in Giappone per conto della Marine Nationale durante la guerra, allo scopo di supplire alla sospensione delle costruzioni navali in Francia per le priorità accordate all’Esercito in fatto di mobilitazione e produzione bellica (foto: M. Bar).

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Le Marine italiana e francese da Versailles a Washington

l’adeguata protezione, di cui, però, solo l’eponima si trovava in un discreto grado di costruzione. I lavori di tutte erano stati annullati, sospesi o fortemente rallentati per l’intera durata delle ostilità; nel successivo biennio per ragioni finanziarie e tecniche entrambe le potenze vi rinunciarono senza troppo rimpianto, una volta accertato il reciproco abbandono3. Di tutte solo la francese Bearn, ultima delle “Normandie”, varata nel 1920, sarà completata, ma come nave portaerei e a valere sul programma navale del 1922.

Non stupisce, dunque, se nell’immediato dopoguerra, divenne obiettivo prioritario dello Stato Maggiore generale della Marina francese colmare il divario nel

3 Naturalmente entrambe le potenze latine seguivano attentamente e costantemente il reciproco andamento delle costruzioni di naviglio, specie con riguardo alle grandi navi e di questo i riscontri sono assai doviziosi: in via esemplificativa v. da parte francese H. Le Masson, Propos marittimes, Paris, Editions Maritimes et d’Outre-Mer, 1970, pp. 260-261; da parte italiana cfr. la relazione della Giunta generale del bilancio sul disegno di legge presentato dal ministro del tesoro [Carlo] Schanzer, “Stato di previsione della spesa del ministro della Marina per l’esercizio finanziario dal 1° luglio 1920 al 30 giugno 1921”, seduta del 30 luglio 1920, Atti parlamentari della Camera dei deputati (APCD), Legislatura XXV, Sessione 1919-1920.

Il varo del c.t. Giacinto Carini il 7 novembre 1917 al cantiere Odero di Genova Sestri Ponente. Al contrario della Francia l’Italia proseguì nelle costruzioni navali durante il conflitto, concentrandole sul naviglio leggero e subacqueo. Ciò la pose al termine delle ostilità in una posizione di vantaggio verso l’ex alleata in queste categorie di naviglio, circostanza che a Parigi era giudicata piuttosto preoccupante (foto: coll. F. Bargoni).

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A. De Toro

naviglio leggero, poiché, se in fatto di grandi navi non v’era ragione di preoccuparsi in forza delle 7 corazzate di tipo dreadnought (4 “Courbet” e 3 “Bretagne”) contro le 5 italiane (Dante Alighieri, 2 “Conte di Cavour” e 2 “Duilio”, non contando la Leonardo da Vinci), in caso di conflitto con l’Italia l’inferiorità nelle categorie di naviglio leggero era giudicata assai rischiosa per la difesa delle linee di comunicazione con la Tunisia4.

4 Le preoccupazioni in Francia per l’inferiorità di naviglio leggero rispetto alla Marina italiana al termine della Prima guerra mondiale erano diffuse non solo negli ambienti navali, ma anche in quelli politici e dell’Esercito. Cfr. P. G. Halpern, French and Italian Naval Policy in the Mediterranean,1898-1945, in J. B. Hattendorf (a cura di), Naval Strategy and Policy in the Mediterranean. Past, Present and Future, London – Portland, Frank Cass, 2000, pp. 78-106, qui p. 90; H. Le Masson, The Complex Development of the French Light Cruiser 1910-1926, parte 2a: “1919-1926”, Warship International, 1986, n° 2, pp. 142-153, qui p. 143.

La n.b. Bretagne nelle acque di Tolone nel 1920. Assieme alle 2 gemelle e alle 4 meno potenti “Courbet” costituiva il nucleo della flotta francese. A Parigi il margine di superiorità rispetto alle 5 dreadnought italiane era considerato sufficiente anche negli ambienti navali e tale da poter liberare ogni risorsa finanziaria per il potenziamento del naviglio leggero (foto: M. Bar).

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Le Marine italiana e francese da Versailles a Washington

Gli orientamenti dello Stato Maggiore generale della Marina francese

Come all’indomani dell’armistizio fosse avvertita questa situazione dalla Marina francese è reso bene da quanto scritto pochi anni dopo da uno dei massimi responsabili francesi dell’epoca: il v.amm. Henry Salaun, che per due volte ricoprì la carica di Capo di Stato Maggiore generale della Marine Nationale dal 1° febbraio 1920 al 1° febbraio 1921 e poi ancora dal 22 luglio 1924 al 31 dicembre 1927:

“La flotta francese era uscita dalla guerra estremamente indebolita. Durante le ostilità aveva perduto 4 corazzate, 5 incrociatori corazzati, 13 cacciatorpediniere, 3 torpediniere e 11 sommergibili, senza contare le piccole unità specificatamente costruite per la lotta antisommergibile.

Mentre alcune delle altre potenze continuavano a costruire nuovo naviglio per accrescere le proprie flotte o compensare le perdite, la Francia non mise in cantiere alcune unità delle suddette categorie. Inoltre sospese la costruzione di 5 corazzate della classe ‘Normandie’ iniziata nel 1913 e 1914. Come già ricordato essa consacrò tutte le risorse dei suoi arsenali e stabilimenti alle necessità della guerra antisommergibile e alla produzione di materiale bellico per l’Esercito. Inoltre, molte delle unità in servizio erano prematuramente invecchiate a causa dell’intensa attività o per aver raggiunto i limiti di età. Fra la data dell’armistizio e gli inizi degli Anni ’20 dovette radiare 219 navi, fra cui 12 corazzate o guardacoste corazzati, 8 incrociatori, 11 cacciatorpediniere e torpediniere, 27 sommergibili e 61 unità minori di vigilanza. Ne furono radiate ancora 102 nel 1920, fra cui 3 corazzate e 24 cacciatorpediniere e torpediniere; una quarantina di altre era prevista per il 1921.

Dopo l’armistizio la marina venne assorbita per molti mesi dall’attività postbellica: bonifiche dei campi di mine, missioni nel Mar Baltico, nel Mare del Nord e nel Levante, derequisizioni e disarmo di navi mercantili e da pesca, la progressiva smobilitazione del personale. Il riassetto del naviglio della flotta, la riorganizzazione degli arsenali e degli stabilimenti per convertirli al lavoro del tempo di pace. E alla fine del 1919 non ve n’era che essa potesse anche occuparsi d’un programma di ricostruzione della flotta. E’ evidente che qualche nave tedesca o austriaca che fosse stata accordata non avrebbe rappresentato che un apporto insignificante rispetto ai considerabili vuoti e che s’imponeva un prolungato sforzo che non poteva essere ritardato.”5

V’è da aggiungere che sul piano interno le maggiori delusioni furono di ordine morale. A differenza della Regia Marina, che verso la fine del conflitto colse alcuni spettacolari successi, che agli occhi della Nazione oscurarono le pesanti perdite lamentate per vari motivi negli anni precedenti, per la Marine Nationale la guerra sul mare fu avara di soddisfazioni. A guerra conclusa l’attenzione dell’opinione pubblica fu tutta per l’Esercito, per la sua conclusiva vittoria, per le enormi perdite umane e le distruzioni apportate a parte del territorio nazionale. Fatta eccezione per alcuni episodi, diversi dei quali legati all’attività terrestre degli uomini della

5 H. Salaun, La Marine Francaise, Paris, Les Editions de France, 1934, pp. 370 ss. Il lavoro di Salaun abbraccia la storia della Marina francese durante la III Repubblica dagli esordi nel 1871 fino al 1932 e costituisce, almeno in parte, le sue memorie per i periodi in cui ricoprì alte cariche in quella Marina, fra cui quelle di Capo di Stato Maggiore generale.

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Marina, il ruolo e l’opera di quest’ultima passarono in secondo piano. Una prima prova fu data dalla Camera dei deputati nella mozione votata il 10 novembre 1918 che attribuì all’Armée e ai suoi capi il riconoscimento della Patria, omettendo del tutto di ricordare l’altra Forza Armata. La cosa produsse non poco disappunto fra stati maggiori ed equipaggi; ma il rimedio fu ancora peggiore, essendosi risolto in una mozione di felicitazione da parte della sola Commissione della Marina della Camera6. L’incostanza del Parlamento non si sarebbe fermata lì.

In ogni caso, nello scenario internazionale formatosi alla conclusione delle ostilità, allo Stato Maggiore generale della Marina francese fu chiara la costellazione delle potenziali inimicizie. In un rapporto di Salaun del 30 settembre 1920 - ben prima, quindi, dell’avvento del fascismo in Italia - Germania e Italia figurano quali primi potenziali nemici: la Germania per ragioni di revanche, l’Italia per l’ambizione di soppiantare la Francia quale prima potenza del Mediterraneo e per la costante contrapposizione agli interessi e alla politica di Parigi. Nel novero delle potenze ostili venne fatta rientrare anche la neonata Unione Sovietica. Infatti, se in caso di 6 Cfr. Masson, La Marine dans la Première guerre mondiale, cit., p. 246.

L’U 139, qui in acque tedesche nell’agosto 1918, apparteneva a una classe di sommergibili appositamente concepita per missioni oceaniche a grande raggio. La guerra al traffico condotta dalla Germania senza restrizioni suggestionò non poco gli ambienti politici e militari francesi, che in essa scorgevano la possibilità di sovvertire i tradizionali canoni della guerra marittima e la stessa gerarchia fra le potenze navali, tanto da fare della Francia durante la conferenza di Washington la principale paladina del sommergibile contro l’intendimento di Londra di abolirlo (foto: coll. F. Petronio).

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Le Marine italiana e francese da Versailles a Washington

un nuovo conflitto franco-tedesco il vertice della Marina francese confidava sulla neutralità di Mosca, pur tuttavia non escludeva la possibilità di un’alleanza fra Mosca e Berlino, entrambi usciti sconfitti dalla guerra, che liberasse la Germania da ogni minaccia alle frontiere orientali. Quanto all’Inghilterra, nonostante l’alleanza ancora formalmente in vigore, veniva considerata nuovamente isolazionista e in caso di guerra europea non si faceva troppo affidamento sulla possibilità che scendesse ancora in campo a fianco della Francia; si avvertiva che gli interessi delle due potenze occidentali ormai divergevano ed era giunto il momento di seguire una politica navale del tutto autonoma, non potendo far dipendere le sorti della Nazione dalla flotta inglese, come in buona misura era accaduto nella passata guerra; opinione questa che nella sua accezione di fondo trovava, invero, larga condivisione in molti circoli politici, per i quali la Francia doveva tenere mano libera anche in politica estera, regolandola in funzione della propria grandezza e dignità, senza porre il proprio destino nelle mani di alcuno, compresi i più cari alleati di un tempo. Ora, se si pensava che l’Italia a causa delle insufficienti potenzialità industriali non se la sarebbe sentita di affrontare da sola la Francia, una coalizione italo-tedesca veniva considerata altamente probabile ed estremamente pericolosa, qualora la Germania avesse ripreso a riarmarsi.

Sulla base di questi presupposti le ipotesi su cui regolare i piani di guerra e, per converso, la politica navale si articolavano su tre ipotesi:

1. conflitto con la sola Italia (piano A); 2. conflitto con la sola Germania (piano B); 3. conflitto con una coalizione italo-tedesca (piano A, B).

In tutti queste ipotesi la pianificazione dello Stato Maggiore generale assegnava al naviglio leggero e a quello subacqueo il compito principale di stringere il blocco delle due potenze nemiche, di difendere le proprie linee di comunicazione e le proprie coste, mentre le squadre da battaglia avrebbero dovuto vigilare contro eventuali sortite delle equivalenti forze nemiche (quelle tedesche, per il momento, consistenti in sole 6 antiquate predreadnought). Verso l’Italia il blocco eseguito nel Mediterraneo occidentale e orientale avrebbe condotto all’interruzione dei vitali rifornimenti di materie prime e avrebbe dovuto portarla al soffocamento. All’epoca, dunque, i piani del vertice della Marine Nationale non prevedevano scontri risolutivi fra squadre da battaglia per l’acquisizione del dominio del mare: nel caso dell’Italia, l’inferiorità della sua squadra da battaglia li avrebbe resi decisamente improbabili, mentre le maggiori minacce sarebbero pervenute dalle incursioni naviglio leggero contro il traffico francese in Mediterraneo; nel caso della Germania, la battaglia fra forze maggiori si sarebbe profilata nel fiancheggiamento di operazioni terrestri in prossimità delle coste o nella difesa delle proprie linee di traffico nei mari settentrionali, se attaccate.

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L’ipotesi III diede vita al “programma normale”, da realizzarsi in 20 anni, in forza del quale le forze navali francesi, per godere di una condizione di sicurezza, avrebbero dovuto godere di una prevalenza sulle flotte nemiche del 25% in entrambi i teatri del Mare del Nord e del Mediterraneo. Ma, come subito riconobbero i vertici navali, il “programma normale” era finanziariamente fuori portata e fu inevitabile retrocedere a un “programma di minima”, che garantisse, quanto meno, una prevalenza sull’Italia. Perché ciò fosse possibile in tempi ravvicinati, data per acquisita la superiorità in fatto di navi da battaglia, sarebbe stato necessario colmare e rovesciare nel giro di alcuni anni il divario in fatto di naviglio leggero e sommergibili.

Queste ipotesi, già enucleate nel 1919 si concretizzarono il 15 ottobre 1920, allorché il Consiglio Superiore della Marina, presieduto dallo stesso Presidente del Consiglio, Alexandre Millerand, e il ministro della Marina, Adolphe Landry, concordarono sul “programma di minima”, pur non sfuggendo loro il fatto che anch’esso sotto il profilo finanziario sarebbe stato di problematica realizzazione, ipotizzando una spesa complessiva di 10,7 miliardi di Franchi in 20 tranches annuali di 536 milioni7.7 Nella cornice dei medesimi piani, rispetto alle due maggiori potenze navali, Inghilterra e Stati

Uniti, la flotta francese avrebbe dovuto avere una consistenza tale da poter costituire l’ago della bilancia nel caso di un conflitto fra di esse. Per i piani di guerra e i programmi navali del 1919 e 1920 dello Stato Maggiore generale della Marine Nationale si rinvia soprattutto

Il s.m. Antigone davanti a Tolone in un’immagine postbellica. Requisito alla Marina greca mentre era in costruzione ai cantieri Schneider Chalon-sur-Saone, fu uno dei pochi accrescimenti della Marina francese in fatto di naviglio subacqueo durante il conflitto (foto: M. Bar).

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Le Marine italiana e francese da Versailles a Washington

Ma ciò che serve da ultimo notare è che da queste prime pianificazioni postbelliche prese forma l’assunto del two power standard rispetto a Italia e Germania, che fra alterne vicende avrebbe costituito il filo conduttore del pensiero della Marina Nationale fino almeno al patto navale anglo-tedesco del 18 giugno 1935.

Categorie di naviglio Dislocamentounitario (t)

“Programma normale”

“Programma di minima”

Navi da battaglia 40.00012.000*

1110

11//

Navi portaerei 2 1

Incrociatori 12.000*8.000**

//45

1515

Supercaccia 19 19Cacciatorpediniere 146 92

Sommergibili di grande crocieraSommergibilio di piccola crocieraSommergibili posamine

6810420

444412

* Dislocamento fissato in modo da avere unità superiori alle corazzate consentite alla Germania dal trattato di Versailles (10.000 t).

** Dislocamento fissato in modo da avere incrociatori superiori a quelli consentiti alla Germania dal trattato di Versailles (6.000 t).

Il primo sofferto programma navale francese del dopoguerra

Mentre coltivava questi ambiziosi progetti, lo Stato Maggiore generale della Marina francese iniziò a mettere a punto un primo programma di costruzioni navali dopo quasi 5 anni di completa stasi. Nel febbraio 1919 i criteri di fondo furono tratteggiati dal suo capo, l’amm. Ferdinand-Jean-Jacques de Bon, secondo quelle che apparivano le più urgenti necessità, che ponevano al primo posto il naviglio silurante di superficie al secondo gli esploratori o incrociatori leggeri e relegavano all’ultimo le navi da battaglia8.

a H. Kowark, Die Franzoesische Marinepolitik 1919-1924 und die Washingtoner Konferenz, Stuttgart, Hochschulverlag, 1978, pp. 73 e ss., da cui è tratta la presente tabella. Quello di Kowark è sicuramente il lavoro di maggior respiro condotto sulla politica navale francese nel quinquennio successivo alla fine della prima guerra mondiale, a esso si rinvia per ogni approfondimento dei sui molteplici aspetti (di dottrina, politici, strategici, di pianificazione e finanziari). Sull’argomento v. anche J. Blatt, France and the Washington Conference in E. Goldstein, J. Maurer, (a cura di), The Washington Conference 1921-1922. Naval Rivalry, East Asian Stability, and the Road to Pearl Harbor, London, Frank Cass 1994, pp. 192-219, qui pp. 193-196. e ss.

8 J. Jordan, R. Dumas, French Battleships 1922-1956, Barnsley, Seaforth, 2009, p. 14.

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Il 12 gennaio 1920 il ministro della Marina, Georges Leygues, e il ministro delle finanze, Luis-Lucien Klotz, depositarono congiuntamente alla Camera dei Deputati il progetto di legge n° 171, che prevedeva di:

1. cancellare in via definitiva la costruzione delle 5 corazzate della classe “Normandie”, previste dallo Statut Naval del 1912, finanziate e impostate prima della guerra e i cui lavori erano stati sospesi all’inizio delle ostilità;

2. costruire 6 esploratori di squadra (éclaireurs d’escadre) che in base sempre allo Statut Naval del 1912 avrebbero dovuto essere messi sullo scalo nel triennio 1917-1919;

3. costruire 12 esploratori leggeri (torpilleurs éclaireurs).

Gli esploratori di squadra, derivanti da un progetto del 1915, avrebbero dovuto avere un dislocamento di 5.270 t, una velocità di 30 nodi e un armamento

Il varo della n.b. Languedoc della classe “Normandie” il 1° maggio 1915 ai Forges et Chantiers della Gironda. Il loro allestimento fu sospeso durante il conflitto e a guerra conclusa si rinunciò a completarle per gli elevati costi e le perplessità di dottrina verso le corazzate, fortissime nei circoli politici e dell’Armée, ma presenti anche in seno alla Marine Nationale (foto: coll. M. Piovano).

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Le Marine italiana e francese da Versailles a Washington

di 8 cannoni da 140 mm, 4 antiaerei da 75 mm e 4 tubi lanciasiluri da 550 mm. Gli esploratori leggeri avrebbero avuto un dislocamento compreso fra le 1.800 e le 2.000 t, una velocità di almeno 36 nodi e un armamento di 4 cannoni da 100 mm e 3 tubi lanciasiluri da 550 mm. Non erano, invece, previsti sommergibili. Tutte le unità avrebbero dovuto essere impostate fra il 1920 e il 1921 e il costo complessivo del programma sarebbe ammontato a 510 milioni di Franchi.

Il progetto di legge n° 171 faceva propri gli apprezzamenti e le conclusioni del Consiglio superiore della Marina (Conseil Supérieur de la Marine, organo consultivo del ministro della Marina con funzioni e compiti simili all’omonimo Consiglio Superiore della Marina italiana) su queste categorie di navi. In particolare, quanto alle “Normandie”, non sarebbe stato conveniente completarle neppure nel caso in cui fossero state apportate modificazioni di minima per adeguarle alle esperienze del conflitto (incremento dell’elevazione dei cannoni di grosso e medio calibro per accrescerne la gittata), né nel caso in cui fossero state apportate aggiuntive modifiche per accrescerne la velocità, per dotarle di una migliore protezione subacquea e di più moderne sistemazioni per la direzione del tiro. Nella prima ipotesi era stata calcolata una spesa di ben oltre 400 milioni di Franchi, nella seconda di circa 700

La n.b. Normandie in rada a Lorient nei primi anni Venti in attesa di demolizione, come definitivamente stabilito dalla legge che autorizzava il programma navale del 1922. Al pari dell’italiana Francesco Caracciolo, gli elevati costi per l’adeguamento alle “lezioni” della guerra contribuirono a decretarne la fine; ma vi incisero anche alcune scelte progettuali, già all’epoca criticatissime, quali l’adozione di un apparato motore a propulsione mista (turbine e macchine alternative) e un apparato evaporatore ad alimentazione mista (nafta e carbone) (foto: coll. M. Piovano).

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milioni; ma in entrambi i casi si sarebbero ottenute unità comunque inferiori alle più moderne navi da battaglia in servizio o in costruzione nelle maggiori potenze navali e, oltretutto, come riconobbe lo stesso Consiglio superiore della Marina, sarebbero state finanziariamente incompatibili con un sensibile potenziamento del naviglio leggero, di cui la Marine Nationale era prioritariamente bisognosa9.

In realtà, furono molti a restare insoddisfatti del progetto di legge n° 171, anche all’interno dell’Esecutivo e del Parlamento10. Ne è testimonianza la relazione della Commissione Marina della Camera del 28 giugno 1920 su questo progetto di legge, quando già da alcuni mesi al Governo di destra di Alexandre Millerand era succeduto il Governo centrista di Georges Leygues. La Commissione esaminò attentamente il progetto di legge, sotto il profilo politico-strategico, tecnico, finanziario e comparativo con le più recenti costruzioni navali delle altre potenze.

A suo vedere la geografia e i destini stessi della Francia le imponevano una politica navale decisamente orientata al Mediterraneo; infatti, se non v’era troppo da essere preoccupati dalla piccola flotta di naviglio antiquato che il trattato di Versailles aveva lasciato alla Germania e se le 3 corazzate della classe “Lorraine” (armate con cannoni da 340 mm) assicuravano per il momento una relatività accettabile con l’Italia in questa categoria di naviglio, ogni sforzo andava rivolto a quelle forze leggere maggiormente necessarie ad assicurare in Mediterraneo quella sicurezza e aspirazioni a cui il Paese legittimamente tendeva. Convenne, così, sulla cancellazione delle 5 corazzate della classe “Normandie” sulla scorta delle medesime argomentazioni sviluppate nel progetto di legge; non concordò, invece, sulle caratteristiche tecniche degli esploratori di squadra, sollecitando un aumento di dislocamento a 8.000-9.000 t e della velocità a 34 nodi, e chiese anche l’inserimento di 12 sommergibili di 800 t, altra categoria di naviglio di cui la Marine Nationale era gravemente deficitaria anche nei confronti della Marina italiana. In conclusione, la Commissione propose di rimodulare il programma del progetto di legge n° 171 nel modo che segue:

9 Progetto di legge n° 171 del 12 gennaio 1920. Una copia del progetto di legge fu trasmessa dall’Addetto navale italiano a Parigi al Ministero della Marina il 23 gennaio 1920 ed è conservata nell’archivio dell’Ufficio Storico della Marina Militare (AUSMM), fondo “Raccolta di Base (R.B.)”, b. 1529, f. “Addetto navale italiano a Parigi”. V. anche Salaun, op.cit., pp. 371 e 372. Per i particolari tecnici sulle varie ipotesi di completamento delle “Normandie”, v. Le Masson, Propos…, op. cit., pp. 260 e ss. Sulla genesi degli esploratori di squadra si rinvia all’accurato lavoro di Le Masson, The Complex…, op. cit., pp. 143 e ss

10 Cfr. l’Addetto navale italiano a Parigi al Ministero della Marina italiana, Programma navale francese, 15.04.1920, R.B., f. Addetto …, op. cit. Lo stesso ministro delle finanze, Luis-Lucien Klotz, firmatario con il ministro della Marina, Georges Leygues, del progetto di legge n° 171, considerava gli esploratori da 5.200 t di tipo sorpassato. Le Masson, op. cit., p. 145.

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Le Marine italiana e francese da Versailles a Washington

1. definitiva cancellazione delle 5 navi da battaglia della classe “Normandie”;2. 6 incrociatori leggeri da 45 milioni di Franchi l’uno per complessivi 270

milioni di Franchi;3. 12 esploratori leggeri di 1.800-2.000 t per poco più di 20 milioni di Franchi

l’uno, per complessivi 240.800.000 Franchi;4. 12 sommergibili da 800 t per 11.200.000 Franchi l’uno, per complessivi

134.400.000 Franchi.

In totale, la proposta della Commissione Marina avrebbe comportato una spesa di 645.200.000 Franchi contro i 510 milioni dell’originario progetto di legge n° 17111.

Come accennato, nel gennaio 1920, pochi giorni dopo il deposito alla Camera del progetto di legge n° 171 vi fu un cambio di Governo e al vertice della Marine Nationale: a Georges Leygues succedette a Adolphe Leandry, mentre il ricordato vice ammiraglio Salaun sostituì l’amm. Pierre Alexis Ronarc’h nella carica di Capo di Stato Maggiore generale. Questi avvicendamenti portarono nei primi mesi del 1920 11 Relazione della Commissione della Marina della Camera dei Deputati sul progetto di legge n° 171

del 28 giugno 1920. Una copia fu trasmessa dall’Addetto navale italiano a Parigi al Ministero della Marina il 28 luglio1920 ed è conservata all’AUSMM, R.B., b. 1529, f. “Addetto…”, cit. La legge è estremamente doviziosa di particolari tecnici delle navi da costruire e di quelle da cancellare, confermando in tal guisa le critiche, poi rivolte alle istituzioni e alla politica della III Repubblica, di rendere di dominio pubblico informazioni che avrebbero dovuto restare riservate o segrete.

L’i.l. britannico Emerald a Kiel negli anni Trenta. A queste unità e agli statunitensi della classe “Omaha” la Marina francese si ispirò inizialmente per i propri incrociatori leggeri (foto: WZ-Bilddienst).

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a un radicale riesame del progetto di legge da parte dello Stato Maggiore generale, in linea del resto con le osservazioni che avrebbe espresso la Commissione Marina.

La prima modifica riguardò sintomaticamente l’aggiornamento della classificazione del naviglio, per adeguarla alle nuove funzioni operative, come, del resto, già previsto nella relazione commissariale. Così, il termine di esploratore di squadra (éclaireurs d’escadre) fu sostituito con quello di incrociatore leggero (croiseurs-éclaireurs o croiseurs légers o eclaireurs d’escadre) e il termine di esploratore leggero (torpilleurs éclaireurs) con quello di cacciatorpediniere (contretorpilleurs). Le modifiche più sostanziali riguardarono, invece:

- per gli incrociatori leggeri, l’aumento del dislocamento a 7.500 t, analogo a quello dei similari esteri (le unità di riferimento furono la classe “Omaha” della U.S. Navy ed “Emerald” della Royal Navy) e superiore al limite delle 6.000 t degli incrociatori leggeri che il trattato di pace di Versailles impose alla vinta Germania, l’incremento della velocità massima da 30 a 34 nodi e il potenziamento dell’armamento balistico in calibro (155 mm) e disposizione (4 torri binate disposte per chiglia);

- per i cacciatorpediniere, l’incremento del dislocamento a circa 2.200 t, da cui sarebbe discesa l’opportunità di potenziarne l’armamento (lo scopo era di surclassare gli esploratori leggeri italiani);

- la costruzione di un certo numero di torpediniere (torpilleurs) di 1.200-1.300 t;

- la costruzione di un certo numero di sommergibili, assenti nel primitivo progetto di legge;

- la costruzione di una nave portaerei, utilizzando lo scafo della corazzata Bearn, ultima delle “Normandie”, su sollecitazione del Consiglio Superiore della Marina.

Ne derivò un programma di 6 incrociatori leggeri di circa 7.500 t e 34 nodi di velocità, 12 cacciatorpediniere di circa 2.200 t, 12 torpediniere di 1.350 t e ben 36 sommergibili12. Includendo la Bearn trasformata in nave portaerei, la previsione

12 Sull’inclusione nel programma di un così elevato numero di sommergibili non era estranea l’impressione e il clima di straordinario favore che in quegli anni l’arma subacquea e la guerra al traffico con i sommergibili esercitò negli ambienti politici e nell’opinione pubblica d’oltralpe in aperta contrapposizione con l’Inghilterra, che l’avrebbe, invece, voluta abolire. Ne sono testimonianza gli interventi di Gustave de Kerguézec, come relatore della Commissione finanza alla Camera al progetto di legge emendato n° 171 nel marzo 1920 e, dopo le elezioni del 1921, come relatore della Commissione Marina al Senato, in occasione dell’approvazione definitiva del progetto di legge del primo programma navale il 17 marzo 1922. Nel primo dei due interventi de Kerguézec, contrario alla costruzione di grandi navi per l’eccesivo costo, paventò la costruzione di una flotta subacquea di 250-300 sommergibili (sic), grazie alla quale la Francia avrebbe potuto guardare al futuro senza alcuna apprensione; nel secondo dichiarò soddisfazione per il fatto che il trattato di Washington non avesse posto limiti quantitativi ai sommergibili e piena adesione

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di spesa complessiva sarebbe stata dell’ordine di ben 1.500 milioni di Franchi. Considerati gli importi e l’impossibilità tecnica d’intraprendere contemporaneamente tutte queste costruzioni, il nuovo Ministro della Marina, Gabriel Guist’hau, succeduto il 16 gennaio 1921 a Georges Leygues concordò con le Commissioni finanza e Marina della Camera di dividere il programma in due tranches.

La prima, più importante, divenne oggetto di un nuovo progetto di legge, il n° 5741, che fu da questa approvato il 21 giugno 1921. Esso confermava la cancellazione delle 5 corazzate classe “Normandie”, l’impostazione fra il 1921 e 1922 di 3 incrociatori leggeri, 6 cacciatorpediniere, 12 torpediniere e 12 sommergibili

alla guerra al traffico con i sommergibili, sia pure nei limiti della legge dell’onore e dell’umanità. V., rispettivamente, A. Richardson, A. Hurd (a cura di), Brassey Naval and Shipping Annual 1920-1, London, William Clowes and Sons, s.d. (ma 1920), p. 52 e A. Richardson, A Hurd (a cura di), Brassey Naval and Shipping Annual 1923, London, William Clowes and Sons, s.d. (ma 1922), p. 46. De Kerguézec apparteneva ai circoli parlamentari favorevoli alle spese navali, purché non includenti navi da battaglia. Nell’ambito della Marina il c.v. Raoul Casteix, già allora noto e apprezzato studioso di dottrina navale, sostenne in più articoli apparsi sulla Revue Maritime nel 1920 la liceità e la validità della guerra al traffico con i sommergibili condotta dalla Germania; tesi queste che suscitarono scalpore e reazioni negli ambienti militari e politici britannici. Brassey 1923, cit., pp.46-47.

La Bearn, qui fotografata alla fine degli anni Venti, fu l’unica delle “Normandie” ad essere ultimata, ma come nave portaerei, sempre in forza del programma del 1922. Rimase l’unica portaerei fino alla Seconda guerra mondiale, ma la sua modesta velocità (21 nodi) la relegò ben presto a compiti secondari, inadatta a operare con le forze veloci, di cui la Francia si andava dotando (foto: coll. A. de Toro).

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nonché la trasformazione dello scafo della corazzata Bearn in nave portaerei. La realizzazione di questo programma avrebbe comportato la spesa di circa 738 milioni di Franchi. Tuttavia, insorte difficoltà di ordine politico e finanziario e l’attesa degli esiti della conferenza navale di Washington, ritardarono di 9 mesi il voto definitivo del progetto di legge al Senato (17 marzo 1922) e la legge di autorizzazione fu promulgata appena il 18 aprile 1922, due mesi dopo, dunque, la firma del trattato di Washington, ma prima della sua ratifica da parte del Parlamento (11 luglio 1923).

Esso costituì il primo programma navale postbellico della Francia e fu composto da 3 incrociatori leggeri della classe “Duguay Trouin”, 6 cacciatorpediniere (supercaccia) classe “Jaguar”, 12 torpediniere (cacciatorpediniere) della classe “Bourrasque”, 12 sommergibili, di cui 6 di grande crociera classe “Requin” e 6 di media crociera classe “Ondine”, e la trasformazione in portaerei dell’incompleta corazzata Bearn della classe “Normandie”, per un totale di ben 34 navi e 81.673 tons di dislocamento standard secondo la definizione datane dal trattato di Washington, di cui, però, appena tre (l’i.l. Duguay Trouin, e i supercaccia Jaguar e Panthere) furono impostate nel 1922; tutte le altre lo furono nel 1923 o 1924. Nelle intenzioni dello Stato Maggiore generale esso costituiva la prima tranche del “programma di minima”, concepito un paio di anni prima e precursore di un nuovo Statut Naval. Per dare un’idea della sua imponenza, fu per numero di navi il maggiore di tutti i programmi autorizzati nel periodo fra le due guerre, per tonnellaggio il secondo dopo quello del

L’elegante i.l. Primauguet della classe “Duguay Trouin”, qui in uscita da Tolone il 10 settembre 1929. Le 3 unità di questa classe appartenenti al programma del 1922 furono i primi moderni incrociatori leggeri della Marine Nationale. Dopo travagliati anni di gestazione questo imponente programma navale è ancor oggi considerato l’atto di rinascita della Marina francese (foto: M. Bar).

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1938 bis, e il maggiore in assoluto fra tutti quelli effettivamente realizzati in Francia prima della sua capitolazione nel giugno 1940. Non a torto viene ancora oggi considerato l’incipit della rinascita navale francese dopo la Prima guerra mondiale13.Frattanto, prima della sua approvazione nessuna nuova unità, fatta eccezione per il naviglio secondario, era stata posta sullo scalo e nella prima metà degli Anni ’20 gli unici apprezzabili accrescimenti della Marine Nationale furono apportati dal naviglio ex tedesco ed ex austriaco ceduto a norma dei trattati di pace e giustamente considerato d’importanza trascurabile14.

Marina e politica in Francia nei primi anni del dopoguerra

“Nel periodo fra le due guerre il sistema politico francese impose alla Marina, per sopravvivere, l’imperioso obbligo di guadagnare non solo il favore dell’opinione pubblica, ma anche e soprattutto di quella parlamentare, dalla quale dipendeva l’approvazione dei finanziamenti.

Fin troppi membri delle nostre assemblee legislative e gli stessi ministri giungevano persino a contestare l’utilità per il nostro Paese di disporre di una marina da guerra.

Persone importanti che si prendevano sul serio, e che ugualmente prendevano sul serio un certo pubblico disinformato e ingannato, pensavano che una flotta dovesse essere composta unicamente da sommergibili e aerei.

Il sommergibile era l’arma per eccellenza. Il suo aspetto dimesso si attagliava alla mediocrità dei nostri politici e non urtava certo la loro mentalità ristretta.

Le navi di linea, al contrario, apparivano loro provocazioni, imperialiste e, per dirla tutta, ‘reazionarie’.

Era in tali condizioni che la Marina doveva svolgere il proprio ruolo e far riconoscere la necessità di un giusto equilibrio della sua flotta […]”

“Una flotta costa cara. Per tutta la sua vita la Marina dovette in primo luogo lottare contro una facile demagogia. Era un bell’effetto da tribuno opporre il costo di un ospedale o di una scuola a quello di una corazzata.

Ma più pericolosa della demagogia fu la concorrenza degli ingenti finanziamenti reclamati dall’Esercito e dall’Aviazione per i loro mezzi e il loro personale.13 Delle vicende del primo programma navale postbellico francese si occupa diffusamente Salaun,

op. cit., pp. 371 ss.; per qualche informazione aggiuntiva v. anche Halpern, cit., pp. 90-91. Per maggiori dettagli tecnici sul programma approvato si rinvia a P. Hoy-Bezaux, P. Ducros, La renaissance de la Marine francaise 1922-1939 parte 1a: 1922-1930, Editions Lela Press, Outreau, 2011, pp. 18 ss. nonché all’Ufficio del Capo di Stato Maggiore della R. Marina, op.cit., p. 96.

14 Nel 1920, in applicazione dei trattati di pace di Versailles con la Germania e di Saint Germain con l’Austria la Francia ricevette e riarmò 4 incrociatori leggeri ex tedeschi, un grande esploratore ex austriaco, 9 cacciatorpediniere ex tedeschi e uno ex austriaco nonché 12 sommergibili ex tedeschi per un totale di 27 unità di naviglio principale e di 40.060 t di dislocamento a carico normale. E’ degno di nota il fatto che i 4 incrociatori leggeri ex tedeschi e l’esploratore ex austriaco furono le uniche unità di questa categoria a far parte della Marine Nationale fino al 1926, anno in cui cominciarono a entrare in servizio gli incrociatori leggeri del programma 1922.

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Malgrado una larga comprensione e un certo aiuto riscontrabile in alcuni alti funzionari del Ministero delle finanze, ai quali esponenti della Marina si presentavano a rendere omaggio, l’onnipotenza di questo dicastero, che in quei tempi di disordine era il vero signore dei destini nazionali, ebbe talvolta conseguenze incresciose.

Era finanche il nostro sistema di bilancio annuale che tendeva a rovinare i conti della nostra Marina.

“La Marina «opera di lungo respiro» era soggetta a un regime di tranches navali. Diciotto mesi passavano dal momento in cui il Ministro domandava la realizzazione di una tranche e quello in cui la prima nave di detta tranche sarebbe stata effettivamente posta sullo scalo. E, per di più, non si riusciva a strappare questo risultato altro che dopo esami e ancora esami dei funzionari delle Finanze, di membri del Governo, di commissioni parlamentari e dopo accesi dibattiti nelle due assemblee. Beninteso, la più parte di questi esami e di queste discussioni era pubblico, rivelando così allo straniero i dettagli dello sviluppo della nostra Marina.

Per la mancanza di un’autorità in grado di regolare i conflitti dei ministeri gli uffici del Ministero delle finanze erano portati non solamente a discutere degli importi di spesa, ma anche della loro opportunità.”

Queste parole furono scritte da Espagac du Ravay (pseudonimo del contrammiraglio Luois de la Monneraye, Commissario generale della Marina del Governo Darlan della Francia di Vichy) in un’opera ufficiosa sulla politica navale francese fra le due guerre pubblicata nel 1941, “su ordine e sotto il controllo” dello stesso “ammiraglio della flotta” Francoise Darlan, capo carismatico della Marine Nationale e Capo del Governo di Vichy fra il 9 febbraio 1941 e il 18 aprile 1942, e da lui prefata. Vi si coglie il risentimento verso il sistema politico-istituzionale della III Repubblica e della sua classe dirigente, giudicati primi responsabili della catastrofe del 1940, ma anche la frustrazione sin lì repressa per i tanti ostacoli e incomprensioni incontrati dalla Marina nell’arco di quel ventennio, la quale solo con l’avvento del nuovo regime poté polemicamente esternare. Eppure, se da quest’opera, oggi controversa per le tesi sostenute e bollata per il fatto di essere apparsa all’epoca dell’Etat Francaise, si espungono gli accenti enfatici e drammatizzanti, è difficile negarle nuclei di verità, riscontrabili già a partire dalle vicende qui ripercorse15.Per la centralità occupata nell’ordinamento costituzionale e nella vita politica della III Repubblica, il Parlamento ebbe un’influenza predominante sui programmi di costruzioni navali. E non sempre maggioranze nazionaliste o conservatrici, come

15 E. Du Ravay, Vingt ans de politique navale (1919-1939), Grenoble, Arthaud, 1941, pp. 171 e ss. Per una critica a questo lavoro v. H. Coutau-Begarie, C. Huan, Darlan, s.l. (ma Paris), Fayard, pp. 79 e ss. Le maggiori critiche dei due autori, i quali riportano una presa di posizione postbellica dell’ amm. Georges Durand-Viel, uno dei predecessori di Francois Darlan al vertice dello Stato Maggiore generale della Marina francese, si appuntano alla pretesa di du Ravay di attribuire a Darlan l’intera opera di rinnovamento della flotta negli Anni ‘30, quando egli appena dal 1° gennaio 1937 aveva assunto la carica di Capo di Stato Maggiore generale, e di quasi azzerare il contributo dei suoi predecessori e dei ministri della Marina, ignorando attribuzioni e competenze delle due cariche, militare e politica.

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quella formatasi nelle elezioni del novembre 1919, davano certezza di comprensione delle ragioni della Marina: nel 1920 e 1921 fu il Ministero della Marina a soffrire fra tutti le maggiori restrizioni finanziarie, mentre il Ministero della guerra continuò ad avvalersi di importanti stanziamenti16. Anche nelle successive legislature essa poté contare su talune figure politiche di notevole ascendente, come Georges Leygues su tutti e Flaminius Raiberti, e sul sostegno di deputati e senatori ad essa vicini o di sua espressione, a cui poteva aggiungersi quello di circoli legati all’industria navale e agli ambienti coloniali per affinità d’interessi o di pensiero; ma non necessariamente dei più forti circoli legati all’Armée o, comunque, prioritariamente preoccupati della sicurezza sul Reno. Questi ultimi non erano pregiudizialmente avversi alla Marina, ma, dovendo fissare priorità di spesa e di apprestamenti, la loro preferenza andava inesorabilmente a favore della difesa di una risorgente potenza tedesca sul continente; perciò, anche le spese navali andavano finalizzate ad assicurare la massima efficienza delle forze di terra e, entro tale logica, a garantire la regolarità e la sicurezza degli approvvigionamenti d’oltremare di uomini e materiali, a cominciare dal Nord Africa che costituiva la principale fonte di reclutamento extrametropolitano. A tale scopo giudicavano sufficiente il naviglio leggero di superficie e quello subacqueo e non le grandi e costose navi da battaglia, giudicate inutili per tale finalità, di dubbio valore bellico a causa dell’insidia subacquea e aerea nonché immotivate nell’ottica di una poco sensata emulazione delle grandi potenze oceaniche. Non solo. Lo sviluppo delle nuove armi e le loro possibilità d’impiego avrebbero sovvertito i canoni della guerra marittima e quegli stessi rapporti di forza e di gerarchia fra le potenze navali, sin lì dettati dal numero e dalla potenza delle navi da battaglia, che costituivano il principale argomento agitato dai sostenitori di queste ultime.

Queste idee e, in particolare, quelle che traevano ispirazione dalla guerra al traffico con i sommergibili non mancarono di far breccia negli stessi ambienti della Marine Nationale, nella misura, almeno, d’ingenerare dubbi sul primato della grande nave e di sospenderne il giudizio, visto che per il momento non vi era la possibilità finanziaria di realizzarne17. Fu come se i concetti della Juneau Ecole dell’amm. Théophile Aube della fine del XIX secolo, grazie alle potenzialità offerte dai nuovi strumenti di guerra marittima, avessero conquistato gran parte del Parlamento e dell’opinione pubblica, rendendoli poco sensibili alle ragioni a favore delle grandi navi ovvero di una flotta equilibrata in ogni sua componente. Per la Marina difficoltà di altro segno politico potevano aggiungersi, quando a sostenere il Governo erano maggioranze parlamentari includenti partiti di sinistra (ma non necessariamente in tutti i loro esponenti), il cui bagaglio ideologico di per sé solo alimentava i pregiudizi verso le spese militari.

16 A. Delpierre, The French Navy in the War and after the War, in «Brassey Naval and Shipping Annual 1923», op. cit., pp. 100 - 110, qui p. 102.

17 Cfr. ibid., passim.

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In generale, fra le due guerre, sia pure con mutevole intensità in relazione alle congiunture politiche interne e internazionali, entrambi i rami del Parlamento guardarono sempre con circospezione alle spese navali e, su tutte, a quelle per le navi da battaglia. E alle espresse forme di ostilità si affiancavano altre più insidiose, a cui si prestavano la farraginosità e le lungaggini dei procedimenti di formazione delle leggi della III Repubblica, e la cronica instabilità dei governi. Non ultime, a quelle parlamentari si aggiungevano le insidie insorgenti nelle stesse compagini governative, come sarebbe accaduto nel 1924 in sede di approvazione del nuovo Statut Naval o nella costruzione di una seconda coppia di grandi navi da battaglia del tipo “Richelieu” proprio alla vigilia della Seconda guerra mondiale18.

18 Per un’ampia disamina del ruolo del Parlamento nella politica navale francese e dei rapporti della Marine Nationale con gli ambienti politici, economici e militari durante la III Repubblica agli inizi degli anni Venti v. ancora Kowark, op. cit., pp. 86 e ss. Quanto alle difficoltà politiche, finanziarie e industriali incontrate dalla Marina francese nella realizzazione dei propri programmi, si rammentano a titolo d’esempio: la mancata approvazione dei progetti di legge messi a punto nel 1923/1924, che avrebbero dovuto dar vita allo Statut Naval (funsero, comunque, da guida per i successivi programmi annuali); il mancato finanziamento per ritardi nella realizzazione dei precedenti programmi delle tranches 1928 e 1933; le controversie e i ritardi d’impostazione delle navi da battaglia Dunkerque (tranche 1931) e Strassbourg (tranche 1934) nonché delle grandi navi da battaglia Clemanceau e Gascogne della tranche 1938 bis, dopo essere già state espunte dalla tranche 1938. Sull’argomento e per una panoramica sui programmi navali francesi fra le due guerre si rinvia ancora a Hoy-Bezaux – Ducros, op. cit., parti 1a, cit., e 2a: 1931-1939, passim. Quanto alle

L’i.l. Colmar, ex tedesco Kolberg assegnato alla Francia dal trattato di Versailles. Terminata la guerra, la situazione francese in fatto di incrociatori leggeri o esploratori era tale che le acquisizioni di preda bellica costituirono per diversi anni le sole unità disponibili di questo tipo (foto: WZ-Bilddienst).

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Entro una tale cornice non fa meraviglia se fra il 1920 e il 1922, mentre stancamente procedeva l’iter parlamentare del primo programma navale postbellico, lo Stato Maggiore generale della Marina francese si applicasse per porre le basi di un nuovo Statut Naval in sostituzione di quello “sospeso” del 1912. Di esso qui non ci si occupa. Si rammenta solo che era costituito da 4 progetti di legge, i quali saranno effettivamente presentati alle Camere fra il 1923 e il 1924. Essi si proponevano un’estesa riorganizzazione della Marina con al centro l’organico di una “flotta d’alto mare” o, per meglio dire, di una flotta permanente, da realizzare in 20 anni mediante aliquote di costruzioni navali (tranches) da finanziare anno per anno (programmi annuali)19. Lo scopo ultimo era di assicurare regolarità di sviluppo della Marina e delle sue forze navali, tenendole quanto più al riparo dagli imprevisti e dalla volubilità della vita politica nazionale. Per converso, aiuta anche a spiegare perché nello stesso ventennio la Marina italiana, che almeno sul terreno legislativo non incontrava lo stesso genere di problemi, ma che aveva alle spalle l’inferiore capacità finanziaria ed economica del Paese, con la sola importante eccezione per l’industria cantieristica, abbia potuto in un ventennio tenere il passo con quella francese e ridurre, anzi, il gap quantitativo anche in termini di tonnellaggio.

Ora, ritornando alla legge del 18 aprile 1922, è sintomatico che a commento l’amm. Salaun sentì il dovere di sottolineare come esso, “doveva assicurare la difesa delle comunicazioni marittime in generale verso tutte le potenze marittime continentali e la difesa delle acque territoriali e delle comunicazioni con l’Africa settentrionale verso tutte le potenze navali”.

Il fatto, poi, che la legge avesse cancellato la costruzione delle corazzate iniziate prima della guerra, senza includerne altre, rivelava, a suo giudizio, come essa non perseguisse altro che scopi difensivi20. E in tal senso intese assicurare a dieci anni di distanza l’opinione pubblica e la diffidenza di tanti ambienti politici.

Taluni, infine, ancor oggi possono essere portati a considerare un grave errore per Parigi l’aver rinunciato al completamento di almeno un paio delle “Normandie”, in quanto ciò avrebbe influito durante la conferenza di Washington a declassare il rango della Francia al livello dell’Italia; ma, ben vedere, con il clima politico francese del dopoguerra non si riesce a scorgere come le cose avrebbero potuto procedere diversamente.

Della sofferta vicenda del primo programma navale francese non vanno, però, perduti di vista i risvolti positivi. Si rinvengono nella grande quantità di naviglio finanziato, che compensava il tempo perduto, e, soprattutto, nella ponderatezza

due “Dunkerque” e alle due “Clemanceau”, ci si permette di rimandare anche a de A. Toro, Le origini politico-diplomatiche delle navi da battaglia Littorio e Vittorio Veneto, «Bollettino d’Archivio dell’Ufficio Storico della Marina Militare», marzo 1997, pp. 67-151, passim e dello stesso autore Dalle “Littorio” alle “Impero”. Navi da battaglia, studi e programmi navali nella seconda metà degli anni Trenta, in «Bollettino…», cit., marzo 2013, pp. 1-47, qui pp. 30 e ss.

19 Salaun, op. cit., pp. 384 e ss. Per la nozione di “programma navale” in Francia v. Hoy-Bezaux – Ducros, op. cit., parte 1a, cit., p. 18.

20 Ibid., p. 374.

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nelle scelte delle tipologie e caratteristiche del medesimo, che furono di concezione sicuramente più moderna di quelle che la Marina italiana e altre delle maggiori potenze avevano maturato nei primissimi anni del dopoguerra.

La rinuncia italiana alle navi da battaglia Francesco Caracciolo e Leonardo da Vinci

Dalla guerra l’Italia era uscita avendo compiuto un notevole sforzo nella preparazione dei mezzi e dei materiali, anche nella costruzione di navi. Quest’ultima si era concentrata, nella realizzazione di naviglio leggero (esploratori e cacciatorpediniere), insidioso (Mas, sommergibili) e naviglio ausiliario, sia perché la condotta e i teatri della guerra privilegiarono di gran lunga l’impiego di queste categorie di naviglio, sia perché, quanto a unità maggiori, il complesso di forze delle potenze dell’Intesa era tale da garantire un’ampia superiorità nei confronti della flotta austriaca. Per queste ragioni, nel marzo 1916 fu sospesa la costruzione da poco iniziata delle 4 grandi corazzate classe “Francesco Caracciolo” e risolti i contratti con le industrie, così che la Regia Marina si ritrovò alla fine del 1918 con le sole dreadnought di prima generazione e, cioè, la Dante Alighieri, le due “Cavour” e le due “Duilio” di valore bellico modesto rispetto alle più recenti costruzioni inglesi, americane e giapponesi, ma ancora paragonabile a quello delle coeve navi da battaglia francesi. Vi andava aggiunta la Leonardo da Vinci, ancora rovesciata e affondata a Taranto, ma in procinto di essere risollevata e raddrizzata, in vista di un ripristino.

Il primo problema si pose con la Caracciolo, unica a trovarsi in un avanzato stadio di costruzione sullo scalo del cantiere di Stato di Castellammare di Stabia; in aggiunta, parte delle artiglierie da 381 e da 152 per le quattro unità era già stata realizzata, così come componenti dell’apparato motore. Per questo dopo una quasi ininterrotta pausa i lavori ripresero nell’ottobre 1919, quanto meno allo scopo di liberare lo scalo, e il grande scafo fu varato il 12 maggio 1920, sia pure con incerte prospettive.

Il fatto era che le “Caracciolo”, pur d’avanguardia come concezione, presentavano una serie di difetti costruttivi solo in parte attribuibili al fatto di essere state progettate prima del conflitto. Il problema principale risiedeva nella mal ideata protezione subacquea e nella inusuale disposizione dell’apparato motore, con metà delle caldaie poste fra la paratia longitudinale corazzata e la murata, vale a dire in una zona massimamente esposta all’offesa subacquea. Di ciò ci si rese conto già nel 1915, alla luce dei primi eventi sul mare, e fu esaminata una serie di modifiche, tali, però, da non poter risolvere alla radice l’inconveniente. Nel 1916 dopo la battaglia dello Skagerrak, emerse il secondo problema, dato dall’insufficiente protezione orizzontale verso proietti ad elevato angolo d’impatto. Furono studiate anche qui

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soluzioni migliorative; queste, però, avrebbero accresciuto di diverse migliaia di tonnellate il dislocamento della nave, riducendone la stabilità, la riserva di spinta e le qualità marine.

Per risolvere, e non del tutto, questi problemi sarebbe stato necessario procedere all’applicazione di controcarene che avrebbero migliorato sì la protezione subacquea e la stabilità, ma che, unitamente al complessivo aumento dei pesi, avrebbero, a loro volta, comportato una sensibile diminuzione di velocità. Non sorprende, dunque, che l’allora ministro della Marina, il contrammiraglio Giovanni Sechi, fosse più che scettico sull’opportunità di ultimare la nave e che, infine, il Parlamento avesse negato il finanziamento di 100 milioni di Lire previsti per completarla, anche al prezzo di perdere buona parte dei 55 milioni sin lì spesi per la sua costruzione21.

21 Il dato è riportato in A. Severi, La fine della corazzata Leonardo da Vinci, in «Bollettino…», cit., marzo 1999, pp. 9-69, qui p. 54. Secondo altre fonti per il completamento della nave da battaglia Francesco Caracciolo sarebbero stati necessari 240 milioni di Lire e 4 anni di lavori. V. il Comandante in capo delle Forze navali armate nel Mediterraneo, vice ammiraglio Umberto Cagni, al ministro della Marina, on. Eugenio Bergamasco, Ripristino della Leonardo Da Vinci, 20.09.1921, AUSMM, Raccolta di Base, b. 1700, f. Comitato Ammiragli.

La n.b. Francesco Caracciolo in lenta costruzione nel cantiere di Castellammare di Stabia il 30 giugno 1917. A guerra conclusa, nonostante l’avanzata concezione che ne contraddistinse il progetto, i lavori necessari al suo completamento adeguandolo alle esperienze belliche, si rilevarono tali da sconsigliarne l’esecuzione. Le altre 3 unità della classe erano già state cancellate prima che gli scafi prendessero forma sugli scali (foto: coll. F. Bargoni).

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Abbandonata l’idea di un suo completamento come corazzata, cadde, via via, ogni altra ipotesi di recupero dello scafo per diversi utilizzi, inclusa quella di una sua trasformazione in nave portaerei, come accaduto in Francia con la Bearn. Lo scafo venne, infine, demolito e i materiali in parte recuperati e destinati altrimenti.

L’abbandono della Caracciolo appare una decisione quasi inevitabile per l’estrema difficoltà di apportare significative modifiche di progetto a una nave in avanzato stadio di costruzione, le concomitanti ristrettezze di bilancio, i dubbi presenti negli stessi vertici della Marina sull’utilità delle grandi navi e per un clima politico non favorevole alle spese militari. Forse la vagheggiata trasformazione in nave portaerei avrebbe costituito un’interessante soluzione, che avrebbe dotato la Marina italiana di una veloce unità di squadra a buona capacità aerea, ma, soprattutto, le avrebbe permesso di acquisire quelle esperienze tecniche e operative nel campo aeronavale, che sarebbero, poi, mancate da lì a tutta la seconda guerra mondiale, e di costituire per la Marina un utile precedente politico nelle dispute degli anni Venti e Trenta.

Paradossalmente, alla rinuncia di completare una grande e “moderna” corazzata, fece da contrappunto il recupero del relitto della Leonardo da Vinci a Taranto, ai fini di un completo ripristino. Gli studi e i primi lavori erano stati avviati nel novembre 1916, ma fu solo dopo la conclusione del conflitto che ricevettero un forte impulso. Lo scafo fu, infine, raddrizzato il 23 gennaio 1921, in Mar Piccolo con un’operazione ingegneristica senza precedenti per navi di quelle dimensioni, tale da suscitare una generale ammirazione, in Patria e all’estero, e ancor oggi da costituire titolo di merito del Genio Navale italiano. Ma sotto il profilo economico il costo fu invero elevato (circa 12 milioni di Lire secondo fonti della Marina, addirittura 18 milioni secondo fonti parlamentari) e fu affrontato quando ancora non vi era certezza di ripristino.

La sorte della Leonardo da Vinci si consumò negli anni a cavallo della conferenza di Washington. Il 7 febbraio 1921 il Senato, dove era approdata la questione, fece voti affinché venisse ripristinata, trovando l’opposizione dell’allora ministro della Marina, contrammiraglio Sechi, che tentò, invano, di subordinarne il riarmo all’entità della spesa. Il 19 febbraio 1921 il ministro istituì un’apposita commissione, presieduta dal vice ammiraglio Enrico Millo, affinché accertasse le condizioni della nave, proponesse il più conveniente impiego e verificasse in linea di massima la convenienza di ripristinarla in veste di nave da battaglia e, se sì, con quali eventuali modifiche.

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La commissione si espresse favorevolmente all’unanimità, sottoponendo il 9 luglio le sue conclusioni al nuovo ministro della Marina appena insediato, on. Eugenio Bergamasco: per riportarla nella veste originaria del 1915, a seconda se i lavori fossero stati eseguiti dall’industria privata o da un arsenale della Marina, sarebbero stati necessari da 31 a 59 milioni di Lire e da 61 a 73 milioni di Lire per apportare delle modifiche che tenessero conto dell’esperienza bellica22. Il nuovo ministro, che in tutta la vicenda preferì affidarsi ai pareri tecnici e anche politici dei vertici della Marina, convocò, a metà agosto, il Comitato progetti navi per un calcolo più esatto delle spese e per un parere di fattibilità e agli inizi di settembre sentì il Capo di Stato Maggiore della Marina, vice ammiraglio Giuseppe De Lorenzi, il quale dichiarò sì utile il riarmo della corazzata, ma prioritarie la realizzazione di opere di difesa costiere e di una nuova piazza marittima nonché la costruzione di cacciatorpediniere, sommergibili ed esploratori23. Con questi dubbi Bergamasco presiedette il 21 e 22 settembre a un’adunanza del Comitato Ammiragli, la quale si 22 Il Consiglio superiore della Marina – Commissione per l’accertamento delle

condizioni della R.N. Leonardo Da Vinci all’on. Eugenio Bergamasco, Regia nave Leonardo Da Vinci, 09.07.1921, AUSMM, R.B., b. 1700, f. Comitato…, cit.

23 Promemoria del Capo di Stato Maggiore della Regia Marina, v.amm. Giuseppe De Lorenzi, a Bergamasco, Ripristino della Leonardo Da Vinci, s.d. (ma metà agosto 1921), ibid.

Arsenale di Taranto, 5 ottobre 1919. La n.b.

Leonardo da Vinci

, sollevata dal fondo, è immessa capovolta nel bacino Ferrati, per otturare le falle prodotte dall’atto di sabotaggio nemico e apprestarla all’operazione di raddrizzamento. Una volta raddrizzata, per motivi finanziari e tecnici il ripristino non sarà portato a termine, ma il parziale recupero favorì l’Italia nel conteggio delle navi da battaglia per il raggiungimento della parità navale con la Francia alla conferenza di Washington (foto: coll. F. Bargoni).

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espresse sì a favore della Leonardo da Vinci, ma dovette ammettere che la somma a ciò necessaria, ora quantificata in 60 milioni di Lire in tre annualità (1921/1922, 1922/1923, 1923/1924), non sarebbe stata reperibile sul bilancio ordinario della Marina, ma avrebbe richiesto uno stanziamento extra bilancio e in tal senso fece voti al Governo24.

Fu questo problema di bilancio a segnare le sorti della nave. Nello stesso settembre 1921 il Consiglio dei ministri, infatti, non accordò l’assegnazione straordinaria di 60 milioni, sia pure nelle tre annualità. Né sarebbe stato possibile attingere dalle risorse ordinarie, sia per l’entità dei lavori di ripristino, che non potevano configurarsi come una riparazione, sia perché ne avrebbe notevolmente sofferto l’ordinaria manutenzione delle altre navi della flotta25. La questione approdò ancora al Senato sotto forma di una mozione e di una interpellanza, che videro la Camera Alta rivolgere unanimemente – inclusi Thaon di Revel, il pur scettico Sechi e tutti gli altri ammiragli - l’invito al Governo per un suo ripristino26. Ma la situazione non si sbloccò, perché non furono reperiti i 60 milioni di Lire necessari. Sull’argomento ritornò il Comitato Ammiragli, anche alla luce del trattato di Washington, nelle adunanze del 20-21 marzo 1922, ove emerse ancora una volta unanimità di parere a favore del ripristino27, del 10 ottobre 1922, ove i pareri divennero contrastanti28, e, finalmente, del 12 marzo 1923, allorché si espresse negativamente in considerazione della precaria situazione di bilancio della Marina, del deperimento dello scafo, ormai in abbandono, e della perdita della corazzata France, naufragata sulle coste bretoni il 26 agosto 1922, che Parigi non intese rimpiazzare, sebbene il trattato di Washington gliene desse subito facoltà29. La Leonardo da Vinci fu radiata il 22 novembre 1923 e il relitto avviato alla demolizione.

In verità, come pure affiorò dai dibattiti in Senato, non erano poche le voci di spicco della Marina, a cominciare da Sechi e De Lorenzi, contrarie al costoso riarmo di una nave di tipo superato, quando già si era soprasseduto al completamento di ben altro tipo di nave da battaglia e quando in uno stato di ristrettezze premevano altre urgenze. Più oscillante fu la posizione tenuta da Thaon di Revel: il 13 marzo 24 Comitato Ammiragli, “Ordine del giorno votato nella seduta del 22 settembre 1921”, ibid.25 Appunto s.f., “Stato della pratica ‘Ripristino della r.n. Leonardo Da Vinci’”, 25.10.1921, ibid.26 Atti Parlamentari, Senato del Regno (APS), Legislatura XXVI, 1a Sessione 1921-1922,

Discussioni, tornate del 28 e 29 marzo 1922.27 Il Comitato Ammiragli al ministro della Marina, on. Roberto De Vito, “Risposte del Comitato

ai quesiti posti da S.E. il ministro circa la Leonardo Da Vinci, la nave ex A.U. Tegetthoff, ed il programma navale”, 21.03.1922, ibid.

28 Comitato Ammiragli, verbale dell’adunanza del 10 ottobre 1922, AUSMM, R.B., b. 1684, f. senza intestazione.

29 Severi, cit., pp. 60 e 62. Il relitto fu, infine, venduto all’asta per la demolizione per poco meno di 4 milioni di Lire. Quanto alla perdita della nave da battaglia France e al conseguente riequilibrio nella relatività in fatto di navi da battaglia fra le due potenze latine si veda anche la dichiarazione resa al Senato dal ministro della Marina, amm.iraglioPaolo Thaon de Revel, APS, cit., tornata del 16 febbraio 1923.

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Le Marine italiana e francese da Versailles a Washington

1922, ricoprendo l’incarico di Presidente del Comitato Ammiragli, osservò all’allora ministro della Marina, on. Roberto De Vito, che, se si fossero applicate le clausole del trattato di Washington, la Leonardo da Vinci avrebbe dovuto essere radiata nel 1933 e che, pertanto, il beneficio recato dal suo ripristino sarebbe durato solo 7 anni, poiché avrebbe potuto essere pronta solo nel 1926; ma aggiunse anche che, se non si era certi di impostare nel 1927 e nel 1929 due nuove corazzate da 35.000 tons (il costo di ciascuna veniva all’epoca stimato in 400 milioni di Lire), occorreva ripristinare senza indugio la Leonardo da Vinci, perché ogni ritardo sarebbe stato ragione di deterioramento del suo valore30.

Il costo dei lavori di sollevamento e raddrizzamento fu compensato dal valore del materiale che poté essere recuperato e che ammontò a oltre 18 milioni di Lire. Va precisato che una parte del materiale avrebbe potuto, comunque, essere recuperata attraverso la diretta demolizione, senza procedere al parziale recupero. Tuttavia, un importante risultato, sia pure non cercato, lo si ottenne sotto l’aspetto politico in occasione della conferenza navale di Washington, Nel computo delle navi da battaglia di ciascuna potenza venne inclusa per l’Italia anche la Leonardo da Vinci, perché considerata “in riparazione”, nonostante si trattasse solo di un relitto. Dunque, se precedentemente la nave non fosse stata risollevata e raddrizzata, l’Italia si sarebbe vista riconosciuta una “moderna” corazzata in meno per 22.500 t e avrebbe visto crescere il divario con la Francia con la conseguenza di rendere più difficile il raggiungimento di una ragionevole relatività. E questo, a ben vedere, fu l’unico, importante vantaggio della geniale, ma costosa e inutile operazione di recupero.

Navi da battaglia e nuovi mezzi della guerra marittima

La documentazione d’archivio e gli atti parlamentari rendono evidente che la sorte ultima della Caracciolo e della Leonardo da Vinci costituivano casi a sé e non esaurivano la questione delle grandi navi, perché fortemente condizionati dalla loro specificità. La finale unanimità con cui si pervenne alla loro rinuncia non deve, dunque, confondersi con una concorde opinione negativa sull’opportunità per l’Italia di disporre in futuro di navi da battaglia. In verità, le posizioni all’epoca erano abbastanza variegate.

30 Thaon di Revel, qui ancora in veste di Presidente del Comitato Ammiragli, al ministro della Marina, on. Roberto De Vito, 13.03.1922, AUSMM, R.B., b. 1700, f. Comitato…, cit..

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Per Sechi, ministro della Marina dal 15 giugno 1919 al 4 luglio 1921, la nave da battaglia non costituiva un elemento essenziale nella composizione della flotta. Il fatto che egli fosse già all’epoca uno dei più noti e apprezzati studiosi di arte militare marittima rendeva il suo punto di vista particolarmente importante. Già nei suoi interventi come uomo di governo e senatore del Regno si può cogliere lo scetticismo di fondo circa la loro utilità. Ma è in un articolo pubblicato sulla “Rivista Marittima” del novembre 1922, quindi di poco successivo all’abbandono dell’incarico ministeriale, che Sechi illustrò compiutamente il proprio punto di vista. Nell’articolo intitolato Le capacità belliche della squadra da battaglia argomentò che questa: non serviva per contrastare l’azione del naviglio leggero e da crociera nemico, al quale bisognava opporre naviglio similare; serviva poco per la guerra al traffico; era costretta a operare con notevole scorta navale, senza che fosse del tutto eliminato il rischio dell’offesa subacquea; era scarsamente idonea a condurre attacchi contro le coste nemiche, non essendo il rischio proporzionato agli obiettivi, né era sempre in grado di difendere il proprio litorale da analoghe incursioni nemiche, per contrastare le quali potevano meglio utilizzarsi altri mezzi; non era idonea alla scorta di convogli; non sarebbe stata quasi mai in grado di imporre la battaglia se il nemico non l’avesse voluta.

La predreadnought Roma, qui festosamente circondata da visitatori e curiosi durante la visita a un porto italiano nell’immediato primo dopoguerra. Appartenente a una classe di corazzate del tutto superate e di gestione antieconomica, fu destinata a partire da quegli anni a compiti secondari in attesa della radiazione che giunse nel 1927(foto: coll. A. de Toro).

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Per contro, a suo favore poteva giocare una serie di fattori: costituiva il principale esponente delle tradizioni della Marina e un’ottima scuola professionale e di disciplina, anche se quest’ultima funzione poteva essere svolta da incrociatori ed esploratori; costituiva la più evidente e tangibile manifestazione della potenza marittima e, quindi, di prestigio politico e militare; forniva un importante apporto nelle guerre di coalizione, conferendo “superiorità di Comando e di azione direttiva nello scacchiere che maggiormente la interessa.”

Al termine della sua analisi, l’ex ministro concluse che “se la Marina italiana dovesse sorgere oggi converrebbe – almeno per qualche tempo – non pensare alla squadra da battaglia”, ma attenuava questo suo apprezzamento, sostenendo che sarebbe stato erroneo mettere da parte il naviglio di linea già esistente, ma che era necessario solo alleggerirlo delle unità più scadenti e organizzarlo in modo tale che esso non gravasse troppo sui magri bilanci della Forza armata. Egli non mancò di tener conto delle esperienze del conflitto appena concluso e non reputava che il naviglio corazzato fosse suscettibile di sviluppi tali da superare almeno in parte gli inconvenienti tecnici e operativi che lo avevano condizionato; e il fatto che ne confinasse i punti di forza

La n.b. Giulio Cesare davanti a Smirne nel settembre-ottobre 1919. Anche nella Regia Marina vivace fu il dibattito intorno al ruolo in futuro delle navi da battaglia, a cominciare da quelle che l’Italia possedeva. Il giudizio fu momentaneamente sospeso per la vacanza navale introdotta dal trattato di Washington e lo sviluppo delle forze navali poté accentrarsi sul naviglio leggero (foto: coll. M. Cicogna).

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nelle sfere della politica, della tradizione e finanche del sentimento sono indicativi dei suoi persistenti dubbi31.

Ci si è dilungati sul pensiero di Sechi, poiché alla fine sarà il suo punto di vista a prevalere, ma occorre aggiungere che altre importanti figure della Marina non la pensavano esattamente allo stesso modo. E’ il caso, per citare alcuni dei più significativi esempi, di Umberto Cagni, Comandante in capo fra il 1920 e il 1922 delle Forze navali armate in Mediterraneo, di Thaon di Revel e di De Lorenzi.

Per Cagni privilegiare la costruzione di naviglio leggero di superficie e di sommergibili avrebbe condotto la Marina sulle erronee orme della Jeune Ecole, che portò al declino la Marina francese sul finire del XIX secolo. Al contrario, una forte squadra da battaglia avrebbe rappresentato un fattore politico di prim’ordine ai fini delle politiche di alleanze e di prestigio della Nazione. Inoltre, in caso di bisogno, il naviglio sottile avrebbe potuto essere realizzato in ogni momento, mentre le grandi navi avrebbero richiesto molti anni. Non di meno, discordava da attitudini 31 G. Sechi, Le capacità belliche della squadra da battaglia, in «Rivista Marittima», novembre

1922, pp. 3-22, qui pp. 21 e 22, ove trae le conclusioni del proprio ragionamento.

Una squadriglia di cacciatorpediniere classe “Giuseppe la Masa” in linea di fila negli Anni ’20. Per il c. amm. Giovanni Sechi, Capo di stato maggiore della Marina all’esordio di quel decennio, le scarne risorse di bilancio andavano prioritariamente destinate ad accrescere l’efficienza del naviglio silurante, che considerava la principale componente delle forze navali (foto: coll. A. de Toro).

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difensivistiche a vantaggio di una condotta offensiva che solo una forte squadra da battaglia poteva perseguire senza eccessivo timore nei confronti del nemico32. In coerenza con queste opinioni nell’adunanza del Comitato Ammiragli del 10 ottobre 1922 contestò la temporanea rinunzia alla costruzione di corazzate, poiché essa sarebbe stata definitiva, mentre le altre maggiori Marine ne avevano e ne avrebbero avute sempre; così facendo, a suo vedere, per 10 anni la Marina italiana sarebbe stata composta di solo naviglio leggero33.

Sostenitore delle grandi navi fu Thaon di Revel, che pure durante il conflitto in Adriatico grazie ai nuovi strumenti di lotta (Mas e mezzi d’assalto) fu ideatore e animatore della guerra d’insidie, in mare ed entro le basi nemiche, la quale aveva prodotto i maggiori risultati materiali per la Marina italiana, come i sommergibili e le mine (e i sabotaggi) li avevano prodotti per la Marina austro-ungarica. In più prese di posizione ebbe a sottolineare che quell’esperienza non andava generalizzata, perché propria di quella particolare situazione geostrategica, e che, se il blocco dell’Adriatico fu possibile, lo si doveva alle pur inattive navi da battaglia, pronte a interdire qualsivoglia sortita in forze della flotta nemica dal canale d’Otranto. Né, a suo vedere, alla luce sia di un più attento esame degli eventi bellici, sia degli sviluppi delle difese attive e passive delle più moderne grandi navi, i nuovi mezzi di guerra (sommergibili, mine, aerei e gli stessi Mas, come sarebbe emerso nella crisi di Corfù della tarda estate del 1923 in un’ipotetica contrapposizione italo-britannica) sarebbero stati in grado di soppiantarle dal loro ruolo di spina dorsale della flotta.

Se, dunque, l’Italia, rinunciava alle navi da battaglia, ciò dipendeva non tanto da obsolescenza tecnica e di dottrina, bensì da ragioni di bilancio, in quanto per le sue ristrettezze, la loro costruzione sarebbe andata a grave discapito di tutto il resto del naviglio34.

Più oscillante fu il pensiero di De Lorenzi, figura sulla quale si avrà modo di ritornare. Nel giugno del 1921, in un documento dedicato all’assetto navale che

32 Cagni a Bergamasco, Ripristino…, cit.33 Comitato Ammiragli, verbale dell’adunanza del 10 ottobre 1922, cit.34 Per i punti di vista di Thaon di Revel si veda il Discorso pronunciato in Senato dall’amm. Revel in

occasione della ratifica del trattato di Rapallo, 19.12.1920, integralmente riportato in E. Ferrante, Il grande ammiraglio Paolo Thaon di Revel, Roma, Rivista Marittima, 1989, pp. 201-205 e, soprattutto, il discorso pronunciato in Senato in veste di ministro della Marina in sede di discussione del bilancio di previsione per l’esercizio 1925-1926, AUSMM, R.B., b. 1682, f. 2: Bilanci. Quest’ultimo intervento di Thaon di Revel di 61 fitte cartelle è un po’ il compendio del suo pensiero politico e navale e fu pronunciato in aperte opposizione al relatore della legge di bilancio, sen. Giuseppe Belluzzo, fautore, un po’ come avveniva in Francia, di una Marina “sbilanciata” composta essenzialmente da sommergibili e aviazione navale. Revel prese, invece, energica posizione a favore di una forza navale equilibrata in ogni sua componente, a cominciare dalle navi di superficie. A tale scopo chiese e ottenne l’approvazione di un piano pluriennale di spesa (non si trattava di un vero e proprio programma pluriennale di costruzioni), che avrebbe costituito il nocciolo della legge di bilancio della Marina 1925-1926.

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l’Italia avrebbe dovuto assumere nel prossimo futuro sostenne, non solo, il primato della nave da battaglia per la conquista e il mantenimento del dominio del mare, per la difesa e l’offesa delle coste e nella stessa guerra del traffico rispetto a ogni altro strumento di guerra portato alla ribalta dal recente conflitto, ma pure che le potenze meno ricche e più deboli non potevano rinunciarvi a vantaggio del naviglio leggero, dei sommergibili e degli aerei poiché “l’impiego esclusivo di questi mezzi mancherebbe di consistenza e di efficacia senza l’appoggio di una forza navale proporzionata ai mezzi finanziari, ma costituita con navi similari a quelle maggiori del probabile nemico.” Nell’agosto 1921 in un promemoria al ministro della Marina, Bergamasco, intorno alla questione della Leonardo da Vinci, sostenne che in una cornice di contrapposizione con la Francia (ipotesi questa sì costantemente al centro del suo pensiero politico e strategico) la guerra sul mare avrebbe assunto la forma della difesa del proprio e dell’offesa all’altrui traffico nonché alle città e alle industrie costiere; in questo le navi da battaglia, esposte all’insidia subacquea, sarebbero state poco utili e il ruolo predominante in una flotta sarebbe spettato al naviglio leggero di superficie, ai sommergibili, all’aviazione navale basata a terra e alle basi e difese costiere da riordinare con baricentro nel Tirreno; oltretutto, prive di naviglio esplorante e di scorta, le grandi navi sarebbero state condannate all’inattività nelle proprie basi. Nel dicembre dello stesso anno, infine, in occasione della presentazione a Bergamasco di un organico programma di costruzioni navali, dichiarò che sarebbe stato necessario attendere gli studi sulle caratteristiche offensive e difensive di queste navi e gli sviluppi dell’arma aerea, prima di avviare il rimpiazzo delle navi da battaglia esistenti35.

Volendo semplificare, il comune denominatore delle correnti di pensiero presenti nei vertici della Marina in quegli anni sulle grandi navi era dato, da un lato, dalla costrizione a rinunciarvi per motivi finanziari e, dall’altro, dall’opportunità di conservare le dreadnought esistenti per ragioni di status internazionale. Il favorevole esito, nel febbraio 1922, della conferenza di Washington – parità con la Francia, sia pure non in termini di tonnellaggio globale, com’era nei desiderata di Roma, ma pur sempre in fatto di navi da battaglia e portaerei e a un livello, quanto alle prime (175.000 tons), ben inferiore alle richieste francesi (300.000 tons) e abbastanza compatibile con le capacità finanziarie e industriali del Paese – tolse attualità al problema: tutto fu rimandato a non prima del 1927, come stabiliva per Italia e Francia la vacanza navale colà concordata. Ciò precisato, serve aggiungere come

35 Per i punti di vista espressi da De Lorenzi v. il “Promemoria circa l’assetto militare marittimo dell’Italia”, giugno 1921, AUSMM, R.B., b. 1568, e lo “Studio di programma navale”, dicembre 1921 nonché De Lorenzi a Bergamasco, “Ripristino…”, cit. Serve aggiungere che alla fine del 1922 anche per il v. amm. Alfredo Acton, già Capo di Stato Maggiore della Marina e in quel momento membro del Comitato Ammiragli, la Marina, oltre a occuparsi della distruzione della flotta nemica, avrebbe dovuto sostenere “una lotta secondaria, ma tuttavia di grande importanza per assicurare al Paese i rifornimenti dal mare”; in quest’ottica condivise il parere di De Lorenzi di soprassedere per il momento alla costruzione di navi da battaglia. Cfr. Comitato Ammiragli, verbale dell’adunanza del 10 ottobre 1922, cit.

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in Italia non è dato riscontrare né in Parlamento, né in seno allo stesso Governo quell’avversione radicale o, addirittura, ideologica alle grandi navi, rinvenibili in Francia nello stesso periodo. I grossi problemi di ordine politico per la Regia Marina sarebbero insorti più avanti, a partire dal 1923 con la costituzione dell’Arma aeronautica, e avendo a oggetto l’aviazione navale e la nave portaerei.

Il primo programma navale italiano del dopoguerra

Formalmente, il primo bilancio della Marina italiana del dopoguerra fu quello per l’esercizio finanziario 1919-1920, presentato alle Camere poche settimane dopo la conclusione del conflitto. Esso manteneva l’impostazione e la struttura dei bilanci di guerra, in dipendenza dei poteri eccezionali assegnati al Governo, anche attraverso l’iscrizione di assegnazioni complementari e delle esigenze belliche appena in via di esaurimento. Il primo bilancio del tempo di pace, collegato ai problemi della smobilitazione e della riorganizzazione della Forza Armata (al pari dell’Esercito) fu quello del 1920-1921, che andò in discussione alle Camere nel luglio 1920 e che non contemplava nuove costruzioni36.

Precedentemente Giovanni Sechi, ministro della Marina dal 23 giugno 1919, mise a punto il 4 marzo 1920 un documento, con cui sottopose agli altri vertici e personalità di spicco della Marina le linee guida per la riorganizzazione delle forze navali italiane per il tempo di pace37. Il documento ha già formato oggetto di ampia analisi e commento da parte di altri autori e non sembra il caso di tornarvi sopra38.

Ma su un paio di punti occorre richiamare l’attenzione. In primo luogo non si occupa di costruzioni navali: esso si appunta alla compatibilità dell’efficienza

36 S.Minardi, Il disarmo navale italiano (1919-1936), Roma, USMM, 1999 p. 11. In occasione della discussione del bilancio della Marina alla Camera il nuovo ministro, contrammiraglio Giovanni Sechi, si fece un titolo di merito per l’aver sospeso “ogni programma di nuove costruzioni navali”, in sintonia con le supreme esigenze di severa e rigida economia in tutti i rami dell’amministrazione dello Stato; dichiarazioni queste che gli procurarono critiche anche in ambienti liberali, in quanto la rinuncia a nuove costruzioni avrebbe compromesso l’efficienza della flotta. Stato di previsione della spesa del ministro della Marina per l’esercizio finanziario dal 1° luglio 1920 al 30 giugno 1921, cit.

37 Circolare B 313 di Sechi all’Ispettore generale della Marina e Presidente del Comitato Ammiragli, amm. Paolo Thaon di Revel, ai v. amm. Ernesto Presbitero, Capo di Stato Maggiore della Marina, e Alfredo Acton, Presidente del Cosiglio superiore della Marina membri del Comitato Ammiragli, ai vice ammiragli Alberto Del Bono, Umberto Cagni, Enrico Millo, Lorenzo Cusani Visconti, Arturo Resio, Emilio Solari, Diego Simonetti nonché al Sottocapo di Stato Maggiore della Marina, c.amm. Giuseppe Mortola, Criteri di massima circa gli armamenti navali - Radiazione di RR. Navi, 04.03.1920, AUSMM, R.B., b. 1504, f. Comitato Ammiragli. Quesiti.

38 Si tratta, in primo luogo, di P. P. Ramoino, Tagliare i rami secchi. Un tentativo di migliorare l’assetto operativo della Regia Marina nel 1920 a opera del ministro Giovanni Sechi, in «Rivista Marittima», giugno 2003, pp. 91-106 e La Regia Marina fra le due guerre mondiali, supplemento alla «Rivista Marittima», giugno 2003, cap. II, scritti ai quali si rinvia per la descrizione dettagliata della circolare B 313.

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della flotta con le ristrettezze di bilancio, da perseguirsi attraverso il disarmo, la radiazione, la vendita del naviglio antiquato o superato e il contenimento delle spese del naviglio maggiore “e in genere di tutte le spese che non [interessavano] direttamente il naviglio leggero.” L’altro tratto saliente – e strettamente correlato a quanto appena enunciato – risiedeva nell’assunto che il “programma dei nostri armamenti navali [dovesse] ispirarsi al criterio di assicurare anzitutto la sollecita ed efficiente mobilitazione del naviglio leggero e silurante di ogni specie.” E’ evidente che, se ancora in sede di riorganizzazione delle Forze navali armate affidava alle 4 più moderne e migliori dreadnought (le due “Conte di Cavour” e le due “Duilio”), la funzione di costituirne il nucleo, assegnava al naviglio leggero di superficie e ai sommergibili, la componente principale delle medesime; in tal senso – come si vedrà fra poco – si sarebbero orientate anche le nuove costruzioni.

Il problema di queste ultime fu affrontato quasi esattamente un mese dopo, il 6 aprile 1920, allorché Sechi con un nuovo documento sottopose al Comitato Ammiragli una serie di quesiti tecnici, la maggior parte dei quali riguardanti la costruzione di nuovo naviglio ovvero di naviglio ordinato ma non completato durante il conflitto39. Dando per acquisito che non vi sarebbe stato spazio per le grandi navi, Sechi, dopo aver raffigurato la disponibilità esistente di naviglio leggero di superficie – escluso il naviglio ex tedesco e austroungarico di preda bellica, in corso di definizione fra le potenze vincitrici – interrogò, fra l’altro, il Comitato sulla convenienza o meno di:

- costruire 5 esploratori leggeri classe “Leone” o, eventualmente, solo 3;- replicare la costruzione di 2 esploratori leggeri classe “Falco”, tenuto conto

che due delle unità della classe requisite durante il conflitto andavano consegnate alla Romania, originario committente, con la conseguenza che ne sarebbe rimasta in servizio una sola (rectius 2);

- costruire alcuni esploratori oceanici di nuova progettazione di oltre 4.000 t;- rinunciare in via definitiva alla costruzione di torpediniere costiere tipo

“PN”;- costruire nuovi cacciatorpediniere della classe “Palestro” migliorata.

Il Comitato si riunì l’8 maggio 1920 e si pronunciò nel modo che segue40.39 Circolare B 525 di Sechi ai membri ordinari e straordinari del Comitato Ammiragli e ai vice

ammiragli già destinatari della circolare B 313 (v. nota 36), Criteri di massima circa nuove costruzioni navali, 06.04.1920. L’autore non ha rintracciato la circolare all’AUSMM, ma di essa fa un riassunto Ramoino La Regia Marina…, cit. pp. 19-20 basato su una copia conservata nel fondo Sechi dell’Istituto di studi militari marittimi di Venezia.

40 Gli altri quesiti riguardavano l’adozione di sistemazioni di dragaggio prodiere, l’impiego di motori a combustione interna su cacciatorpediniere, le caratteristiche di nuovi posamine e la costruzione di nuovi sommergibili. Quanto a questi il Comitato si espresse a favore di sommergibili di grande

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Sugli esploratori classe “Leone” manifestò non poche perplessità tecniche, trattandosi di una replica appena migliorata della classe “Carlo Mirabello” e di tipo, quindi, superato; solo considerazioni di carattere economico dipendenti dagli impegni già assunti con il costruttore, l’Ansaldo s.a., lo fecero concordemente concludere per la realizzazione di soli 3 esemplari anziché 541.

Quanto alla riproduzione della classe “Falco”, anch’esso di tipo superato, pur avendo dato buona prova nel corso del conflitto, il Comitato si pronunciò a maggioranza per il no, considerato che la sola unità superstite (rectius 2) avrebbe avuto la funzione di conduttore di flottiglia e non sussisteva, pertanto, la necessità di averne altre per disporre di un gruppo omogeno.

Relativamente più complessa si presentò la questione degli esploratori oceanici. Questo tipo di nave era stato proposto dallo stesso Thaon di Revel per l’impiego oltre gli Stretti, non in missioni di guerra, ma in campagne oceaniche. Per questo avrebbe dovuto essere dotato di adeguata autonomia, anche a discapito della velocità. La sua caratteristica principale, almeno in una delle due ipotesi prefigurate, avrebbe dovuto risiedere in un apparato motore ad alimentazione mista (nafta e carbone), in considerazione del fatto che non tutti i porti e stazioni di rifornimento del globo erano dotati di depositi di nafta; per le restanti caratteristiche (buon armamento cannoniero e silurante e discreta protezione) almeno in parte s’ispirava ai tipi “C” e “D” inglesi42. Come fu anche lì evidente si sarebbe trattato di una nave

crociera, ma non di battelli armati con cannoni di grosso calibro e per la difesa costiera giudicò sufficiente i già esistenti piccoli sommergibili delle classi “F” e “H”. Comitato Ammiragli, Verbale dell’adunanza dell’8 maggio 1920, AUSMM, R.B., b. 1504, f. Comitato Ammiragli. Quesiti.

41 La fornitura di 5 esploratori della classe “Leone” era stata assegnata alla Società Ansaldo nel gennaio 1917. I lavori procedettero stancamente, tanto che verso la fine del 1919 era stata avviata solo la costruzione degli apparati motore, mentre gli scafi nemmeno erano stati posti sullo scalo e non erano stati acquistati che pochi materiali. Alla fine del 1919 erano da tempo sospesi in attesa di definire il nuovo prezzo chiesto dall’Ansaldo per la loro continuazione. Da qui il dubbio se non convenisse rescinderne il contratto per tutti o una parte, per sostituirli con un paio di esploratori di più recente concezione e maggiori dimensioni (gli esploratori oceanici di cui si dirà fra poco), già allo studio del Comitato per l’esame progetti navi. Secondo i calcoli del Ministero della Marina agli inizi di novembre 1919, per completare i 5 “Leone”, oltre ai 18 milioni di Lire già anticipati all’Ansaldo, ne sarebbero stati necessari altri 65; costruendo, invece 3 soli “Leone” e 2 esploratori oceanici la spesa sarebbe ammontata a 89 milioni oltre all’importo dell’anticipo. Su questa linea si trovavano sia Sechi, sia Thaon di Revel, in quel momento ancora Capo di Stato Maggiore della Marina. Sechi a Thaon di Revel, Esploratori classe LEONE, 01.11.1919 e Thaon di Revel a Sechi, Esploratori tipo LEONE, 06.11.1919, AUSMM, R.B., b. 1497, f. Nuove costruzioni e Nomi a RR.NN.

42 Lo studio di un esploratore oceanico traeva origine dall’idea di Thaon di Revel, maturata subito dopo la fine della guerra, di dotare la Marina italiana di qualche esploratore di buona autonomia in grado di compiere traversate oceaniche. Queste navi non videro mai la luce e la stessa progettazione non andò oltre ad alcuni progetti di massima, per i quali si rinvia allo Studio sommario di nave esploratrice (VI cannoni da 152 m/m – velocità nodi 29). Relazione, AUSMM, R.B., b. 1498, f. Costruzioni. Esploratori tipo “Leone”. Esploratori oceanici.

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A. De Toro

concettualmente sbagliata: in un quadro di ristrettezze di bilancio non era pensabile destinare risorse (oltre 50 milioni di Lire ciascuno, quando un tipo “Leone” ne costava 18) a esploratori poco adatti all’attività guerresca a causa della limitata velocità (29 nodi) e di onerosa gestione a causa del complesso apparato motore; oltretutto, con l’entrata in servizio degli incrociatori leggeri ex tedeschi potevano essere questi a venire destinati a missioni oceaniche. Il Comitato, incluso il suo Presidente Thaon di Revel, si pronunciò a larga maggioranza contro la loro realizzazione.

Unanimemente negativo fu il parere sulla replica delle torpediniere costiere tipo “PN”, anch’esse di concezione superata (e sorprende già il fatto che un tale quesito fosse stato proposto); tuttavia, il Comitato si espresse a favore del mantenimento in servizio di quelle esistenti, reputandole assai idonee a svolgere funzioni di scuola comando.

Concorde fu il pronunciamento a favore di una riproduzione migliorata della classe “Palestro”, da realizzarsi con fondi che si fossero resi disponibili.

Di un certo interesse sono pure le discussioni che si svilupparono intorno a 6 cannoniere di scorta da 230 t in costruzione ai cantieri Pattison di Napoli, poiché verificatane l’inidoneità a fungere da navi scorta convogli per lo scarso dislocamento,

L’espl. legg. Leone a una banchina dell’Officina allestimento e riparazione navi dell’Ansaldo a Genova nell’anno della sua entrata in servizio (1924). Il finanziamento di sole 3 di queste 5 discusse unità rientrò nel programma navale del 1921/1922, il primo del dopoguerra, in gran parte incentrato sulla costruzione di naviglio ordinato o progettato durante il conflitto (foto: A. de Toro).

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Le Marine italiana e francese da Versailles a Washington

insufficiente armamento e modeste qualità marine, il Comitato evidenziò, comunque, l’opportunità, in accordo con Sechi, di disporre di adeguato naviglio (600 t, 21 nodi di velocità massima 16 nodi di velocità di resistenza) per la scorta convogli anche veloci, alla quale non erano adatti né i Mas, né i cacciatorpediniere di squadra; ma, ciò detto, concluse anche per la non urgenza di tali unità.

I pareri espressi dal Comitato Ammiragli furono integralmente accolti da Sechi e dal Capo di Stato Maggiore della Marina, vice ammiraglio Alfedo Acton, e andarono a formare il nucleo del programma navale autorizzato con la legge di bilancio 1921-1922, che, per quanto riguardava il naviglio principale, si compose di 3 esploratori leggeri classe “Leone”, 4 cacciatorpediniere classe “Palestro” migliorata (la futura classe “Curtatone”) nonché della replica di 6 cacciatorpediniere classe “Giuseppe La Masa” (futura classe “Generali”), anch’essi già in parte finanziati. Non si trattò propriamente di nuove costruzioni, ma dell’ultimazione di naviglio ordinato durante la guerra, la rescissione dei contratti del quale si sarebbe rivelata dannosa per le finanze dello Stato. Il programma comprendeva anche nuove costruzioni, da finanziare con uno stanziamento straordinario di 311 milioni di Lire, includenti 1 o 2 esploratori da 5.000 t (non è chiaro di che tipo), 4 cacciatorpediniere da 900 t, 4 sommergibili da 600 t (in immersione) nonché 8 Mas e 8 posamine da 800 t43. Questa parte del programma non ebbe attuazione. Solo i 4 cacciatorpediniere di 950 tons di dislocamento standard furono recuperati nel programma navale 1922/1923 (futura classe “Quintino Sella”), prime unità di progettazione postbellica44.

In sede di commento si può osservare che nel breve periodo il programma 1921/1922 rafforzava il vantaggio italiano sulla Francia in fatto di naviglio leggero, ma lo fece con costruzioni di concezione superata – cosa di cui si aveva allora piena consapevolezza -, tanto che in capo a una decina d’anni dalla loro entrata in servizio, quasi tutte le unità approvate sarebbero state declassate o destinate a compiti secondari rispetto al servizio di squadra.

43 Sechi al Capo di stato maggiore della Marina, v. amm. Alfredo Acton, Comunicazioni [riguardanti le deliberazioni del Comitato Ammiragli dell’8 maggio 1920, n.d.a.], 21.05.1920, e Acton a Sechi, Deliberazione del Comitato degli Ammiragli nella seduta dell’8 maggio c.a., 26.06.1920, ibid. V. anche Sechi al Capo di Stato Maggiore della Marina, Acton, Stato di previsione per l’esercizio finanziario 1921-22, 15.10.1920, AUSMM, R.B., b. 1504, f. 5. Da questa lettera pare che con la stessa legge di bilancio, e non con la precedente del 1920-1921, sia stato finanziato anche il completamento dei 4 cacciatorpediniere classe “Palestro”, ordinati e impostati durante il conflitto, come riscontrato anche da A. Richardson, A. Hurd (a cura di), Brassey’s Naval and Shipping Annual 1921-22, London, William Clowes and Sons, s.d., (ma 1921), pp. 61-62..

44 Si veda M. Gabriele, Leggi navali e sviluppo della Marina, parte II, in «Rivista Marittima», agosto-settembre 1981, pp. 13-32, qui p. 17; Ufficio del Capo di stato maggiore della R. Marina, op. cit., p. 302; G. Bernardi, Il disarmo navale fra le due guerre mondiali (1919-1939), Roma, USMM, 1975, p. 470.

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A. De Toro

Frattanto, analogamente alla Marina francese, fino all’entrata in servizio del naviglio approvato con il bilancio 1921/1922 gli unici accrescimenti della Marina italiana furono rappresentati dal naviglio tedesco e austroungarico ceduto nel 1920 in applicazione dei trattati di pace. Parte di esso era ancora di discreto valore bellico, ma era penalizzato dalle difformità costruttive rispetto agli standard italiani e destinato ad essere ben presto superato45.

45 Nel 1920, in applicazione dei trattati di pace di Versailles con la Germania e di Saint Germain con l’Austria, l’Italia ricevette e riarmò 3 incrociatori leggeri e 3 cacciatorpediniere ex tedeschi nonché 2 grandi esploratori e 7 cacciatorpediniere ex austro-ungarici. E’ degno di nota il fatto che, a differenza della Francia, l’Italia non riarmò nessuno dei 10 sommergibili ex tedeschi e dei 13 ex austroungarici, parimenti ricevuti in conto riparazione. Non sono ben chiari i motivi di una tale scelta, considerato soprattutto l’interesse che potevano suscitare tecnicamente i battelli tedeschi, e pare che non si sia andato oltre al riutilizzo o allo studio di alcune apparecchiature e macchinari

Il s.m. ex tedesco

UC 94

in sosta a Gibilterra nel 1920 durante il trasferimento da Cherbourg in Italia. Contrariamente alla Francia, l’Italia non mise in servizio alcuno dei sommergibili tedeschi e austroungarici ricevuti in conto riparazioni dai trattati di pace. Anche l’interesse dimostrato per le soluzioni tecniche ivi adottate non pare essere stato di elevato livello (foto: WZ Bilddienst).

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Le Marine italiana e francese da Versailles a Washington

Il programma organico di De Lorenzi

Specularmente allo Stato Maggiore generale della Marine Nationale lo Stato Maggiore della Regia Marina individuò nella Francia il nemico principale su cui regolare i propri piani e i programmi di spesa. Questi ultimi risentivano, come abbondantemente evidenziato, delle ristrettezze finanziarie del Paese, i primi della situazione geopolitica italiana e, nello specifico, della marcata dipendenza dall’economia nazionale dai rifornimenti via mare, ma pure delle prevalenti dottrine di prima della guerra, incentrate sulla conquista del dominio del mare mediante una battaglia risolutiva fra flotte, uscite scosse sì dall’esperienza del conflitto, ma non del tutto infirmate. Dai principali documenti prodotti fra il 1920 e 1921 dagli ammiragli Acton e De Lorenzi, che si succedettero al vertice dello Stato Maggiore della Marina, emerge chiara questa coesistenza, per cui se, da un lato, emergeva preminente il bisogno di assicurare le vitali comunicazioni marittime, dall’altro, non si escludeva la ricerca o l’eventualità di un decisivo scontro fra le rispettive forze da battaglia, vuoi come conseguenza dell’attività di difesa o di attacco al traffico, vuoi anche per un efficace contrasto a un tentativo d’invasione nemica dal mare (De Lorenzi). Per tutte queste ipotesi sarebbe stato necessario disporre di un apprezzabile nucleo corazzato nonché di naviglio leggero e insidioso, al quale ultimo sarebbe anche spettato il compito di logorare la squadra da battaglia francese per annullarne la superiorità quantitativa46; visione quest’ultima – sia detto per inciso - che ricorda da vicino la fallita strategia navale tedesca seguita nella prima parte del conflitto, fino a quando, cioè, l’ammiraglio Reinhard Scheer nel gennaio 1916 non assunse il comando della Hochseeflotte, di ridurre la prevalenza numerica della Grand Fleet mediante l’impiego di mezzi insidiosi (mine e sommergibili), prima di ricercare lo scontro risolutivo con quest’ultima.

Ma ciò che maggiormente preoccupava lo Stato Maggiore della Regia Marina, e De Lorenzi in primis, era il fatto che senza un reale e costante rinnovo del naviglio in meno di un decennio essa si sarebbe trovata con poche navi, logore e superate. Nel dicembre 1921 e, quindi, con la conferenza di Washington ancora nel vivo dei lavori, tale preoccupazione lo indusse a presentare a Bergamasco un programma organico di costruzioni navali, denominato “Studio di programma navale”, ispirato alle leggi navali di Alfred von Tirpitz, attraverso il quale rinnovare e accrescere la flotta a partire dal 1922 sulla base dei seguenti criteri:

1. stabilirne l’organico con legge o con altro sistema che assicurasse pari stabilità nel tempo;

2. stabilire sempre per legge i limiti di età di ogni tipologia di naviglio nonché il termine di avvio della costruzione, per ogni nave da sostituire, di ciascuna

46 Per quello che riguarda il punto vista di Acton v. Promemoria circa l’assetto militare marittimo dell’Italia, 11.05.1920, AUSMM, R.B., b. 1568; per quello di De Lorenzi v. Studio sulla dislocazione delle forze navali in caso di mobilitazione generale, ibid. e Studio di programma navale, cit.

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A. De Toro

unità di rimpiazzo;3. fissare al 1935 l’organico da raggiungere sulla base dei rimpiazzi e degli

accrescimenti, dettagliati, nave per nave, in sei diagrammi allegati allo studio, uno per ciascuna principale tipologia di naviglio.

Sommariamente, il programma di De Lorenzi si può così riepilogare:

Tipo di naviglio Età massima (anni)

Tempo di costruzione

(anni)

Età di inizio del rimpiazzo

(anni)

Numero (1935)

Navi da battaglia rapide 20 5 15 6Incrociatori leggeri 15 4 11 12Esploratori leggeri 12 4 8 21Cacciatorpediniere 12 3 9 90Sommergibili di grande crociera 12 4 8 18Sommergibili di media crociera 12 3 9 73

A queste unità andavano aggiunte 36 cannoniere di scorta con funzione antisommergibile, 80 dragamine, 10 posamine, 160 Mas, oltre a naviglio ausiliario da stabilire a parte. Non erano previste navi portaerei.

Lo scopo dichiarato era di sottrarre il rinnovamento del naviglio dalle oscillazioni della politica e fissarlo in maniera automatica, stabile e metodica. Il documento non si occupava del personale, materia che De Lorenzi si riservò di affrontare in altra occasione, ma sempre nell’assunto che la preparazione della Marina non consentisse improvvisazione di quadri e materiali. Finanziariamente il programma era frazionato in due parti: la prima, includente tutto il naviglio tranne le navi da battaglia, prevedeva una spesa di 3.551 milioni di Lire da suddividersi in 14 esercizi annuali per circa 254 milioni di Lire annui; la seconda, includente le sole navi da battaglia, contemplava una spesa aggiuntiva fra i 1.440 e i 1.680 milioni, da suddividersi sempre in 14 esercizi per un importo compreso fra 103 e 120 milioni circa. Il frazionamento pareva ideato per espungere più facilmente dal programma una o più navi da battaglia47. Quanto ancora a queste ultime è il caso di osservare che il programma di De Lorenzi (6 corazzate rapide di 30.000-35.000 t per un totale di 180.000-210.000 t) corrispondeva quasi esattamente alle 175.000 tons di dislocamento standard che il trattato di Washington avrebbe di lì a poco accordato all’Italia, in parità con la Francia, grossomodo con la medesima scadenza 47 Per quello che riguarda il punto vista di Acton v. Promemoria circa l’assetto militare marittimo

dell’Italia, 11.05.1920, AUSMM, R.B., b. 1568; per quello di De Lorenzi v. Studio sulla dislocazione delle forze navali in caso di mobilitazione generale, ibid. e Studio di programma navale, cit.

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Le Marine italiana e francese da Versailles a Washington

temporale (rispettivamente, 1937 e 1936), a dimostrazione che quanto riconosciuto a Washington rispondeva ai coevi calcoli della Regia Marina.

Si trattava di un programma meno ambizioso del “programma di minima” dello Stato Maggiore generale della Marine Nationale, ma più realistico, anche volendo tener conto della minore durata (14 anni anziché 20) e delle diverse capacità finanziarie e industriali delle due potenze; ma, come è stato giustamente osservato, il 72% delle spese sarebbe stato assorbito dal naviglio a rimpiazzo di radiazioni e solo il 28% avrebbe costituito la quota di potenziamento48; le navi da battaglia, ad esempio, sarebbero rimaste 6 (inclusa la Leonardo da Vinci), sia pure da 30.000 – 35.000 t ciascuna, rispetto al balzo da 7 a 11 delle corazzate del programma francese, tutte di 40.000 t. Ciò che li accumunava fu una certa dose d’ingenuità nel pensare che i rispettivi governi e parlamenti nei clima di quegli anni - ma anche in quelli successivi - si lasciassero vincolare da rigidità e automatismi di programmi navali preordinati per legge. Il 31 gennaio 1922, all’epilogo della conferenza di Washington e quando i contenuti del trattato erano ormai definiti, De Lorenzi

48 G. Giorgerini, Da Matapan al Golfo Persico. La Marina militare italiana dal fascismo alla Repubblica, Milano, Mondadori, 1989, p. 134.

Trieste, 26 gennaio 1926. Il varo dell’incrociatore Trieste del tipo “Washington” al cantiere San Marco dello Stabilimento Tecnico Triestino. Il programma navale 1923/1924, di cui fece parte, trasse origine dall’inattuato progetto di “legge navale” del Capo di Stato Maggiore della Marina, vice ammiraglio Giuseppe De Lorenzi (foto: Civico Museo del Mare di Trieste).

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A. De Toro

presentò a Bergamasco un aggiornamento del suo promemoria, con il quale, preso atto della vacanza navale per le navi da battaglia, che consentiva di far slittare a dopo il quadriennio 1922-1926 il loro rimpiazzo (in effetti si sarebbe trattato della sola sostituzione della Leonardo da Vinci, stando almeno ai diagrammi allegati allo studio) e della mancata fissazione di limiti quantitativi per il naviglio leggero, sostenne la necessità di concentrare tutte le risorse disponibili per la costruzione di esploratori e cacciatorpediniere, di sommergibili e di incrociatori leggeri. In tal senso, considerata anche le informazioni sul programma navale francese in corso di approvazione al Senato, propose come programma di minima la costruzione di:

- 3 incrociatori leggeri da 10.000 t, da completarsi entro il 1926;- 10 cacciatorpediniere da 1.250 t, dei quali 4 da impostare subito e 6 verso

la fine del quadriennio 1922-1925;- 4 + 6 sommergibili da completare entro il 1926.

Gli incrociatori avrebbero dovuto essere finanziati con fondi straordinari, mentre la spesa per il restante naviglio avrebbe dovuto rientrare nei bilanci ordinari49. Stando a quanto scrive Giorgio Giorgerini, Bergamasco non prese bene il progetto di De Lorenzi, giudicandolo fuori luogo e fuori tempo. Chi gli succedette al vertice del dicastero, l’on. Roberto De Vito, lasciò più diplomaticamente il problema in sospeso, ma condivise le argomentazioni sulla necessità di sviluppare il naviglio leggero e subacqueo, come anche avvallato dal Comitato Ammiragli il 10 ottobre 192250. Fu in quell’occasione, anzi, che sulla base dei promemoria messi a punto da De Lorenzi fu posto il fondamento del primo vero programma navale del dopoguerra. Per difficoltà finanziarie questo, slittò al bilancio di esercizio 1923/1924 ed entro una cornice politica ben diversa da quella in cui fu concepito, ma avente almeno un tratto di continuità con i governi liberali che l’avevano preceduta e, cioè, il temporaneo contenimento delle spese navali e la riluttanza - questa, invece, sì costante - verso programmi organici fissati per legge.

49 De Lorenzi a Bergamasco, Aggiunte allo studio di programma navale del Dicembre 1921, 31.01.1922, AUSMM, R.B., b. 1568, Il Comitato Ammiragli, interrogato, poi, dal ministro della Marina su quali costruzioni dovessero avere la precedenza, si espresse unanimemente per cacciatorpediniere e sommergibili in proporzioni uguali di spesa. Il Comitato Ammiragli a De Vito, Risposta del Comitato ai quesiti posti da S.E. il Ministro …, cit.

50 Comitato Ammiragli, adunanza del 10 ottobre 1922, AUSMM, R.B., b. 1684, f. senza intestazione. Dopo il programma navale 1922/1923, di cui si è fatto cenno, il programma 1923/1924 comprese, quanto a naviglio principale, 2 incrociatori da 10.000 tons (classe “Trento”), 4 cacciatorpediniere da 1.580 tons (classe “Nazario Sauro”), 2 da 1.098 tons (classe “Nembo”), 4 sommergibili di grande crociera da 1.368 tons (classe “Balilla”), 3 da piccola crociera da 790 tons (classe “Vettor Pisani”) e altrettanti da 770 tons (classe “Goffredo Mameli”) per un totale di 18 unità e per un dislocamento standard complessivo di 36.568 t

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Le Marine italiana e francese da Versailles a Washington

Allegato

MINISTRI DELLA MARINA ITALIANA 1919-1922

Ministri della Marina Mandato Governov. amm. Alberto Del Bono 30.10.1917 – 23.06.1919 governo Orlandoc. amm. Giovanni Sechi 23.06.1919 – 21.05.1920 governo Nittic. amm. Giovanni Sechi 21.05.1920 – 15.06.1920 governo Nitti (II)c. amm. Giovanni Sechi 15.06.1920 – 04.07.1921 governo Giolitti (V)on. Eugenio Bergamasco 14.07.1921 – 26.02.1922 governo Bonomi on. Roberto De Vito 26.02.1922 – 01.08.1922 governo Facta on. Roberto De Vito 01.08.1922 – 28.10.1922 governo Facta (II)

CAPI DI STATO MAGGIORE DELLA REGIA MARINA ITALIANA 1919-1922Nome Periodo in carica

v. amm. Paolo Thaon di Revel 09.02.1917 – 24.11.1919v. amm. Alfredo Acton 24.11.1919 – 11.02.1921v. amm. Giuseppe De Lorenzi 11.02.1921 – 16.11.1922

MINISTRI DELLA MARINA FRANCESE 1919-1923

Ministri della Marina Mandato Governoon. Georges Leygues 16.11.1917 – 20.01.1920 governo Clemanceau (II)

governo Millerand on. Adolphe Landry 20.01.1920 – 16.01.1921 governo Millerand (II)

governo Leygueson. Gabriel Guist’hau 16.01.1921 – 15.01.1922 governo Briand (VII)on. Flaminius Raiberti 15.01.1922 – 29.03.1924 governo Poincaré (II)

CAPI DI STATO MAGGIORE DELLA MARINA FRANCESE 1919-1923Nome Periodo in carica

v. amm. Ferdinand De Bon 10.03.1916 – 17.05.1919v. amm. Pierre Ronarc’h 17.05.1919 – 01.02.1920v. amm. Pierre Salaun 01.02.1920 – 01.02.1921v. amm. Albert Grasset 01.02.1921 – 22.07.1924

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A. De Toro

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LE CANNONIERE FRANCESI NELLA SECONDAGUERRA D’INDIPENDENZA1

aldo antonicelli

Come sottolinea Valerio Manlio Gay nella prefazione del volume Navi a Vela e Navi Miste Italiane2, nel corso di antichi riordini degli archivi navali italiani sono stati distrutti, per quel che riguarda il periodo precedente all’anno 1892, gran parte dei disegni tecnici (progetti di navi, disegni di cannoni ed affusti, ecc.) allegati alle lettere e alle pratiche che, invece, nella loro componente più “letteraria”, sono state conservate anche se di scarso o nullo interesse.

Non fanno eccezione i documenti contenuti nel fondo “Marina” dell’Archivio di Stato di Torino, Sezioni Riunite, Fondo Marina (d’ora in avanti AS-To): a fronte di continui riferimenti ai progetti trasmessi con le lettere ivi conservate, i disegni sono rarissimi e possono essere contati sulle dita di una mano (sono state gelosamente conservate, invece, le pezze giustificative dell’acquisto di una mezza dozzina di cappotti per le guardie di un bagno penale!).

E’ stata quindi una piacevole sorpresa rinvenire in Archivio i piani costruttivi delle cannoniere francesi che, nel corso della Seconda guerra d’indipendenza, furono trasportate sul lago di Garda e che al termine delle ostilità furono donate da Napoleone III al Regno di Sardegna, dal momento che riportarle in Francia sarebbe risultato troppo oneroso. 1 Nota dell’Autore: questo articolo è stato scritto nel 2013, quando ancora non era stato

pubblicato il libro di Cesare Montagnoli e Guido Ercole Le cannoniere del Garda, edito dal Gruppo Modellistico Trentino di studio e ricerca storica”. Poiché l’articolo è basato sui documenti originali della Marina del regno di Sardegna conservati dall’Archivio di Stato di Torino ai quali Montagnoli e Ercole non hanno avuto accesso ritengo conservi comunque una sua originalità. Successivamente una nuova stesura integrata con ulteriore materiale iconografico e archivistico è stata pubblicata in formato digitale dalla Società Italiana di Storia Militare (SISM).

2 F. Bargoni, F. Gay, V.M. Gay, Navi a Vela e Navi Miste Italiane, Roma, Ufficio Storico della Marina Militare, 2001.

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A. Antonicelli

Anche se si tratta di unità decisamente “minori”, riteniamo sia di interesse presentare i suddetti piani, integrandoli con dati e notizie ricavati dai documenti conservati all’AS-To.

Presentiamo inoltre i disegni inviati al Presidente del Consiglio e Ministro della Marina Cavour dal console sardo a Tolone raffiguranti le cannoniere corazzate a fondo piatto che avrebbero dovuto rimpiazzare quelle inviate sul lago di Garda quando si riscontrò che l’immersione di queste ultime era troppo grande per permetterne l’impiego sui fiumi del nord Italia.

Le cannoniere del Lago di Garda

La storia di queste “barche cannoniere” è stata esaurientemente trattata nell’articolo di Gino Galuppini apparso nel numero di Dicembre 2000 del Bollettino d’Archivio dell’Ufficio Storico della Marina Militare3 al quale rimandiamo; in questa sede ci limitiamo a riassumerne, molto brevemente, la vicenda.

Nella II guerra d’indipendenza, mentre sul fronte adriatico l’Austria rimase obbligatoriamente passiva, vista la schiacciante superiorità della forza navale schierata dalla Francia, sul lago Maggiore i suoi piccoli piroscafi armati operarono liberamente in assenza di analoghe unità sarde che potessero contrastarli; solo quando l’avanzata dell’esercito franco-piemontese costrinse gli austriaci ad abbandonare il lago i piroscafi austriaci dovettero cercare rifugio nelle acque svizzere, come avevano fatto in precedenza i piccoli piroscafi della Compagnia sarda di navigazione.

Qualche passo era però stato intrapreso per porre in stato di difesa il lago; a metà di aprile, infatti, il ministro di Guerra e Marina, a seguito delle lettere e del telegramma inviati dall’ammiragliato, aveva autorizzato quest’ultimo a fare tutti i preparativi necessari per armare i piroscafi civili, disponendo che sia il materiale che il personale fossero inviati in una sola volta in modo che appena giuntovi “si possano installare le artiglierie sui piroscafi”. A questo scopo autorizzò il sottodirettore dell’artiglieria, capitano di fregata Angelo Marchese, ad eseguire un sopralluogo di una sola giornata per “sistemare gli obici su quei vapori”4.

Qualcosa però non dovette funzionare in quanto i piroscafi non vennero mai armati e si dovettero rifugiare in acque neutrali5.

La rapida avanzata delle forze franco-piemontesi costrinse gli austriaci a ritirarsi abbandonando il lago Maggiore e i loro piroscafi a rifugiarsi in acque 3 G. Galuppini, Le operazioni navali sui laghi Maggiore e di Garda nella Seconda e Terza guerra

d’indipendenza e nella Prima Guerra Mondiale, in “Bollettino d’Archivio dell’Ufficio Storico della Marina Militare”, anno XIII, dicembre 2000, pag. 125 e segg.

4 AS-To, Registro 338, “Copialettere”; lettera prot. n. 9.640 del 18/4/1859 al Comandante Generale di Marina.

5 G. Galuppini, op. cit., pag. 125 e segg.

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Le cannoniere francesi nella Seconda guerra d’indipendenza

svizzere mentre poterono rientrare quelli piemontesi.Le vittorie conseguite dagli alleati li portarono ad occupare la riva occidentale

del lago di Garda, sul quale gli austriaci disponevano di un’altra flottiglia. Venne pertanto deciso di inviarvi alcune cannoniere francesi che si trovavano a Genova.

Si trattava di cinque unità, contraddistinte dai numeri dal 6 al 10, che erano conservate smontate nei magazzini dell’arsenale di Tolone. Tali unità erano definite “smontabili” ma questa definizione si riferiva unicamente al fatto che esse erano conservate smontate in modo da permettere un veloce ed agevole trasporto di tutti i loro componenti sul luogo in cui avrebbero dovuto essere utilizzate per esservi assemblate. Una volta montate, non era più possibile smontarle nuovamente.

I francesi avevano pensato di utilizzare queste unità sui fiumi italiani, in appoggio alle forze terrestri, ma la loro scarsa profondità ne impedì l’impiego.

Le parti smontate e tutti i materiali necessari rimasero quindi per un breve periodo a Genova dove erano state trasportate via mare; nel frattempo erano giunti in Italia anche gli artigiani e gli equipaggi necessari a montarle e ad armarle. Dopo aver constatato l’impossibilità di impiegarle sui fiumi l’imperatore Napoleone III richiese la progettazione e l’allestimento di unità di minore pescaggio, mentre il contrammiraglio francese Dupouy decise di utilizzarle sul lago di Garda per l’investimento della fortezza austriaca di Peschiera.

Scartata l’ipotesi di trasportarle per ferrovia completamente montate, si ripiegò sulla più facilmente attuabile soluzione di trasferirle ancora smontate a Desenzano dove sia gli scafi che le macchine sarebbero stati successivamente assemblati.

La fine inaspettata delle ostilità, l’11 luglio 1859, trovò approntata da soli pochi giorni un’unica cannoniera, ma successivamente anche le restanti quattro furono comunque montate e varate.

Poiché una volta assemblate sarebbe stato impossibile smontarle nuovamente, la Marina francese decise di donarle al governo Sardo.

I progetti

I progetti da noi rintracciati all’AS-To6 consistono in due fogli di grande formato (vedi fig. 1 e 2); nell’intestazione l’imbarcazione è definita “scialuppa cannoniera ad elica che può passare attraverso le chiuse dei canali di Francia”, si tratta di copie conformi all’originale e datate Regio Cantiere della Foce, 1° ottobre 1859, firmate - per conto del Direttore delle Costruzioni Navali- da Benedetto Brin7.

6 AS-To, fondo “Marina”, mazzo 366: Costruzioni, Riparazioni e Vendite, 1859-1860.7 Si tratta, rispettivamente, dell’ing. Mattei, progettista delle più moderne e potenti

pirofregate della Marina sarda dell’epoca (Vittorio Emanuele, Maria Adelaide e Duca di Genova) e di Benedetto Brin, futuro Direttore delle Costruzioni Navali e Ministro della Marina, nonchè progettista delle rivoluzionarie corazzate Dandolo e Duilio. Nel 1859-60 funse spesso da Segretario nelle sedute del Comitato della Marina Militare sarda.

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A. Antonicelli

Dalle postille riportate sui due fogli si apprende che i piani originali da cui furono tratti quelli sardi erano a loro volta copie conformi eseguite all’arsenale di Tolone il 21 maggio 1859 dall’ufficio del Direttore delle Costruzioni Navali; una seconda postilla firmata “Il direttore del materiale Dupuy de Lome”8 riporta che il

progetto era stato presentato all’approvazione del Ministro della Marina a Parigi

8 Dupuy de Lome (1816-1885), ingegnere navale, progettò il Napoleon, il primo vascello di legno con propulsione a vapore ad elica e la Gloire, la prima nave corazzata.

Figura 2: Il secondo foglio del suddetto progetto.

Figura 1: Il primo foglio del progetto di barca cannoniera rinvenuto all’Archivio di Stato di Torino.

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il 21/12/1858 ed è seguita dall’indicazione che esso venne approvato il giorno successivo dal Ministro, ammiraglio Hamelin.

Il primo foglio contiene la pianta e le sezioni longitudinali e trasversali della cannoniera, oltre alle dimensioni principali e ai dati relativi alla macchina a vapore. Il secondo riporta una sezione longitudinale con le sistemazioni interne dello scafo e le piante del ponte di coperta e del sottoponte.

Alcuni particolari disegnati con inchiostro rosso indicano modifiche apportate in seguito alle disposizioni impartite il 15 aprile 1859.

LE CANNONIERE FRANCESI DEL LAGO DI GARDA

CARATTERISTICHE PRINCIPALI

Dimensioni principali (metri)Lunghezza tra le perpendicolari: 24,70Larghezza alla sezione maestra sulla linea di galleggiamento 4,80Larghezza alla sezione maestra compreso il fasciame: 4,90Immersione9: a poppa 1,67 a prua 1,15profondità della carena 1,28altezza metacentrica al di sopra del centro di gravità con arm.to completo 0,83

Apparato motorePotenza nominale: 16 HPN° di giri 200Pressione alla caldaia 4 atmElica: diametro 1,16 Passo 1,422 N° di pale 4

Distinta dei pesi10 (tonnellate):dislocamento totale: 89,310peso del solo scafo senza blindatura 51blindatura 4,772 macchina 7,676caldaia piena 10,013carbone (capacità max. 10t) 2cannone con affusto e accessori 4ancore, scialuppa, ecc. 9,849

9 Dati rilevati a Desenzano il 29 Luglio 1859 sulla cannoniera n°8. L’imbarcazione aveva la caldaia piena d’acqua, 2 tonnellate di carbone nei carbonili, armamento imbarcato, scialuppa e ancore a bordo. Era priva di viveri e di munizionamento.

10 Idem.

Tabella 1: Caratteristiche e dimensioni delle cannoniere.

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Allegato ai progetti vi è un documento (tabella 1) che riporta in modo dettagliato le caratteristiche dimensionali, di peso dell’armamento e delle macchine delle scialuppe, stilato a Desenzano, il 16 agosto 1859, dall’ingegnere della marina francese E. Boden.

Le caratteristiche di queste unità sono anche riportate nella tabella contenente le indicazioni necessarie per l’iscrizione delle cinque unità nella Matricola del R° Naviglio (tabella 2).

Oltre ai piani, presentiamo anche alcuni disegni tridimensionali delle cannoniere, realizzati con grafica 3d computerizzata.

DATI PER L’ISCRIZIONE A MATRICOLA DELLE CANNONIEREDEL LAGO DI GARDA

Qualità e rango del

bastimentoNome

Epoca del

varo

Specificazioni delle macchine Equipaggio Immersione Dimensioni

Costo del bastimento

Costo delle macchine

Pace Guer. Com. Poppa (m)

Prora (m)

Lung. (m)

Larg. (m)

Cannoniere a elica (*)

Donata da S.M.

l’imperatore de’ francesi

Donata da S.M.

l’imperatore de’ francesi della forza di 16 cavalli

21 9 1,50 1,34 24,70 4,90

Velocità della nave (miglia)

Peso della zavorra in tonnellate

Qualità dei cannoni e numero Numero delle razioni di cui è capace

Obici Cannoni Carronade (sic) Pane Vino Acqua Combustibile

8 0 // 1 da 30 francese // 420 315 200 10 tonnellate

N° di camerini Numero di truppe da potersi imbarcare per

brevi navigazioni

Numero di truppe da potersi imbarcare per lunghe navigazioni

AnnotazioniPoppa Prora

1 0 80 // //

(*): Nell’originale vi è una riga per ciascuna cannoniera, i cui dati sono identici. I nomi sono: Frassinetto, Sesia, Torrione, Castenedolo e Pozzolengo.

Tabella 2: Indicazioni per l’iscrizione delle cinque unità cannoniere nella Matricola del Regio Naviglio.

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Le cannoniere francesi nella Seconda guerra d’indipendenza

Caratteristiche principali

Si trattava di imbarcazioni dalle dimensioni molto contenute - 24,7 m di lunghezza e 89 t di dislocamento (vedi tabella 1) - tali da permettere loro il passaggio attraverso le numerose chiuse presenti sui canali francesi. Lo scafo presentava linee d’acqua concave sia a prua che a poppa, che davano loro un aspetto molto ben avviato; nella parte centrale il fondo era piatto; le murate al di sopra della linea di galleggiamento erano leggermente rientrate. Nel complesso, si trattava di imbarcazioni dalle forme armoniose. Il dritto di prua, perfettamente verticale, aggiungeva un’impressione di velocità.

La Marina sarda assegnò loro un equipaggio, uguale in pace ed in guerra, di 21 uomini. Inoltre, era prevista la possibilità d’imbarcare, per navigazioni di breve durata, fino a ottanta soldati11.

Erano armate di un unico cannone non brandeggiabile, collocato per chiglia a proravia su una piattaforma inclinata con la parte posteriore più elevata di quella anteriore per ridurre la corsa di rinculo del pezzo.

La caratteristica più visibile ed eclatante di queste cannoniere era certamente costituita dalla massiccia paratia trasversale di legno posta a circa 5 metri dal dritto di prua, alla cui faccia anteriore era applicata una “blindatura” – come era definita nei documenti francesi - di piastre di ferro spesse 10 cm12. Sia la paratia di legno che le piastre di ferro si estendevano trasversalmente per tutta la larghezza del ponte ma, mentre la blindatura si fermava al livello di quest’ultimo, la prima scendeva fino alla chiglia e proteggeva la parte posteriore dello scafo dai colpi di infilata che costituivano la minaccia più probabile che le cannoniere avrebbero dovuto affrontare essendo, a causa della posizione del cannone, destinate a presentare la prua al fuoco avversario.

Nel piano le impavesate terminano subito a proravia del riparo, lasciando così libero il campo di tiro del cannone ma è da notare però che la linea del capodibanda è continuata a tratteggio fino a congiungersi con un’altra linea tratteggiata che prolunga verticalmente il dritto di prua; ciò sta ad indicare l’esistenza di una sezione di impavesata amovibile che veniva rizzata quando non vi era necessità di utilizzare il pezzo, per migliorare le qualità nautiche delle imbarcazioni.

La presenza di questa sezione di impavesata è confermata nei piani originali di costruzione di queste unità, conservati nell’Atlas du Génie Maritime francese13 (figg. 3 e 4).

11 AS-To, ibid., Lettera n° 561 del 2/3/1860 del Comando Generale della Reale Marina al Ministro della Marina, “Dati per l’iscrizione a matricola delle 5 cannoniere del lago di Garda”.

12 G. Galuppini, op. cit., pag. 129.13 Si tratta di una eccezionale raccolta di piani e progetti di unità della Marina francese e di Marine estere che

copre un ampio periodo temporale.

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Il ponte di coperta presentava una leggera insellatura che aumentava da poppa fino al riparo blindato; da quel punto fino al dritto di prua assumeva invece una inclinazione negativa: l’altezza del ponte di coperta rispetto alla linea di galleggiamento a prua era leggermente inferiore a quella a poppa. In questo modo la parte anteriore della coperta, che chiameremo – anche se impropriamente - castello di prua, assumeva una forma simile a quella a “dorso di tartaruga” che diventerà una caratteristica delle prime torpediniere e cacciatorpediniere che saranno realizzate sul finire del XIX secolo.

L’inclinazione negativa permetteva di utilizzare il cannone anche per tiri in leggera depressione ma, soprattutto, evitava che la fiammata e lo spostamento d’aria dello sparo danneggiasse il tavolato del ponte e le attrezzature nautiche poste a prua.

Figura 4: Atlas du Génie Maritime, tavola 588.

La propulsione era a vapore, anche se in seguito la marina sarda prese in considerazione la possibilità di dotarle di una velatura ausiliaria, come peraltro era

Figura 3: Atlas du Génie Maritime, tavola 587.

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già previsto nel progetto originale della Marina francese.Oltre ai dati relativi alla potenza e alle dimensioni dell’elica, i piani e il

documento dell’ing. Boden non forniscono altre informazioni sul tipo di caldaia installata che era probabilmente del tipo a parallelepipedo.

Anche il tipo di macchina alternativa non è precisato, ma dal disegno, alquanto sommario, riportato sul secondo foglio, è possibile capire che si trattava di una macchina di tipo verticale, con il cilindro collocato superiormente che, tramite lo stantuffo, azionava direttamente l’albero a gomito posto sul basamento della macchina.Si trattava di un tipo di macchina molto semplice che era definito dagli inglesi “inverted” per distinguerla dalle prime macchine verticali che avevano invece il cilindro in posizione inferiore e azionavano le ruote a pale o l’albero dell’elica tramite complessi sistemi di leve di rinvio. La forza nominale14 era di 16 CV e a 200 giri dell’elica al minuto l’imbarcazione raggiungeva gli 8 nodi15.

Le macchine alternative verticali erano largamente impiegate nella marina mercantile ma raramente da quelle militari, in quanto la maggior parte della loro struttura, compreso il cilindro, veniva a trovarsi al di sopra della linea di galleggiamento ed era quindi vulnerabile al fuoco nemico. D’altra parte erano molto compatte e sicuramente per questa loro caratteristica vennero adottate per le cannoniere francesi, sulle quali i ridottissimi spazi disponibili non avrebbero consentito l’impiego di macchine orizzontali. Inoltre, la presenza della massiccia paratia a prua costituiva un riparo efficace sia per la caldaia che per la macchina. Nella fig. 5 riportiamo un disegno, alquanto

schematico, di una macchina alternativa simile a quella descritta.

Come si rileva dal progetto (fig. 2), inizialmente le cannoniere dovevano essere manovrate tramite un unico timone poppiero di bronzo manovrato tramite 14 All’inizio del diciannovesimo secolo non era facile misurare la reale potenza di una macchina a

vapore. La forza nominale era ricavata da una formula basata sulla geometria della macchina: (7 x area del pistone x vel. equivalente del pistone)/33.000.

15 AS-To, ibid., Devis des Chaloupes Canonnières construites sur le lac de Garde, Desenzano, le 16 Aout 1859, Le s. Ingénieur de la Marine. E. Boden.

Figura 5: Macchina alternativa.

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una barra curvilinea incastrata sulla testa del timone che sporgeva dal livello della coperta. Tuttavia questo sistema dovette essere ritenuto insufficiente, per cui vennero apportate quelle modifiche disegnate in inchiostro rosso cui abbiamo precedentemente accennato.

Esse consistevano nella collocazione di un secondo timone di ferro sul dritto di prua che essendo verticale ben si prestava alla sua installazione e nella sostituzione della barra con una ruota posta immediatamente a poppavia della piattaforma del cannone.

La barra curvilinea venne sostituita con una lunga asta (che possiamo solo presumere orizzontale, in quanto essa è riportata solo sulla pianta della coperta e non sulla sezione verticale), sempre incastrata sulla testa del timone: approssimativamente a metà della lunghezza della barra erano attestati sia i frenelli che la collegavano alla ruota sia quelli che azionavano il timone anteriore. I frenelli erano guidati da pulegge fissate al tavolato e alle murate (indicate sul piano di costruzione): anche in questo caso, in mancanza di una loro rappresentazione sulla sezione verticale, possiamo solo supporre che i frenelli corressero al di sopra del tavolato della coperta.

I frenelli del timone di prua erano assicurati alle due estremità di una corta barra, perpendicolare alla linea di chiglia, incastrata sulla testa del timone. Entrambi i timoni consentivano un angolo massimo di barra di 20°.

I documenti non riportano i motivi che portarono a queste modifiche ma è presumibile che esse siano state dettate principalmente dalla necessità di assicurare una maggiore manovrabilità alla cannoniera, soprattutto in spazi ridotti: poiché il cannone non era brandeggiabile, il suo puntamento era effettuato manovrando l’imbarcazione; il posizionamento della ruota del timone proprio a ridosso del cannone doveva probabilmente facilitare le operazioni di mira, sia avvicinando il timoniere al puntatore del pezzo sia consentendo al primo di vedere direttamente il bersaglio attraverso la cannoniera praticata nel riparo blindato. Inoltre il timone di prua avrebbe consentito di puntare il pezzo con accuratezza anche se la cannoniera avesse dovuto manovrare a macchina indietro.

D’altra parte è indubbio che la posizione completamente esposta del timone di prua lo rendeva particolarmente vulnerabile al fuoco nemico.

Descrizione delle sistemazioni di bordo

Partendo dall’estrema prua, troviamo per primo il boccaporto che dà accesso al deposito dei viveri che occupa tutta la parte dello scafo a prua della paratia blindata; la parte anteriore del deposito contiene il “biscotto”, cioè il pane, e quella posteriore, apparentemente separata da una sottile paratia, i viveri di altro genere. La capacità del deposito, che la Marina sarda misurava in numero di razioni, era

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di 420 razioni di pane e di 315 di vino16. Secondo il documento dell’ing. Boden il deposito poteva contenere viveri sufficienti per un mese.

Immediatamente dietro al boccaporto si trova il riparo blindato: le sue dimensioni non sono riportate sui piani e sui documenti, ma sono stimabili in circa 1,8-2 m di altezza dal livello del ponte e in circa 63 cm di spessore massimo, comprese le piastre di ferro. La struttura in legno è costituita da due strati di travi massicce: quelle dello strato anteriore sono disposte in orizzontale e quelle dello strato posteriore in verticale. Come abbiamo detto questa struttura è prolungata fino alla chiglia e occupa l’intera larghezza dello scafo dividendolo in due parti completamente separate. L’unico accesso al magazzino dei viveri avveniva infatti tramite il già accennato boccaporto. Non sembra inoltre che il riparo blindato abbia altre aperture tranne quella della cannoniera: è quindi probabile che l’equipaggio accedesse al “castello” di prua solo attraverso ad essa.

Non sono indicati ne il numero ne le dimensioni delle piastre di ferro, ma solo il loro peso totale: 4.772kg17. Dal disegno si può presumere che in verticale vi fossero 2 piastre e altrettante in orizzontale: se così fosse, ogni piastra avrebbe le dimensioni di circa 1m di altezza per 1,60 - 1,80 di larghezza. L’apertura per il cannone ha la sezione orizzontale trapezoidale.

Poco a proravia della traversa blindata, nei due angoli costituiti da quest’ultima e le impavesate, si trovano le “bouteilles”18, ossia le latrine: a dritta quella del comandante e a sinistra quella dell’equipaggio (anche su unità minuscole come le cannoniere il grado ha i suoi seppur piccoli privilegi!).

Immediatamente dopo il riparo blindato vi è la piattaforma per il cannone, la cui superficie superiore, come abbiamo accennato, è inclinata. Dopo la piattaforma il ponte è sgombro, fatta salva la presenza della ruota del timone, del fumaiolo e di un ampio boccaporto in corrispondenza della caldaia.

Nel sottoponte, subito dopo la traversa si trova il locale dell’equipaggio che prosegue verso poppa per una lunghezza di circa 5,7 - 6 m.; sui due lati del locale trovano posto le cassapanche destinate ad accogliere gli effetti personali dell’equipaggio e i depositi dei proiettili. Addossata alla traversa e in posizione centrale, è collocata la Santa Barbara, una robusta struttura rettangolare alta quanto l’interponte che conteneva 12 “casse da polvere n. 2”, cioè le casse di rame chiuse ermeticamente nelle quali erano riposti i cartocci di polvere da sparo. Non è indicata la capacità di ciascuna cassa. Due boccaporti quadrati praticati ai due lati della piattaforma del cannone permettono il passaggio dei cartocci della polvere in coperta.

16 AS-To, ibid., Lettera n° 561…17 AS-To, ibid., Devis des…18 Le “bottiglie” erano le strutture che, sulle navi del settecento - primi anni dell’ottocento,

sporgevano dai lati dello scafo a poppa e nelle quali erano sistemate, usualmente, le latrine del comandante e degli ufficiali; da qui il nome di bottiglie per indicare genericamente queste ultime.

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Il locale equipaggio termina con una paratia larga quanto lo scafo. Una scaletta lo pone in comunicazione con il ponte di coperta; sotto di essa trova posto la cassa dell’acqua potabile che conteneva una riserva di 200 razioni d’acqua.

Una porta dà accesso alla cabina del comandante, un “ampio” locale di circa 2 m di lunghezza che occupa l’intera larghezza dello scafo illuminato da un piccolo boccaporto vetrato o “claire voje”.

Figura 6: Vista tridimensionale da dritta in alto delle scialuppe cannoniere.

Figura 7: Vista tridimensionale dal mascone di dritta delle cannoniere.

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Dopo la cabina del comandante comincia il locale delle macchine, delle dimensioni di circa 7,5 m di lunghezza per 4 di larghezza; nelle intercapedini tra le due paratie longitudinali del locale macchine e lo scafo trovano posto due carbonili che si estendono per circa i due terzi della lunghezza del locale. Il rifornimento di carbone avveniva tramite due aperture rotonde praticate sul ponte di coperta. Addossati alla paratia della cabina del comandante vi sono tre locali: i due laterali sono i pozzi delle catene delle ancore, in comunicazione con il ponte tramite due aperture, in quello centrale sono invece ubicate le pompe.

Segue la caldaia che occupa circa la metà della lunghezza del locale macchine e la cui sezione, circolare o rettangolare, non è desumibile dal disegno. Dalla parte posteriore si alza il fumaiolo, del quale è rappresentata solo una corta sezione che sporge di poco dal ponte di coperta: è probabile che si trattasse di un fumaiolo composto da elementi smontabili, caratteristica certo utile per la navigazione sui canali dove erano presenti numerosi ponti. La caldaia, vuota, pesava 7 tonnellate e ne conteneva 3 di acqua19.

Verso poppavia troviamo quindi la macchina alternativa il cui stantuffo azionava

19 AS-To, ibid., Devis des….

Figura 8: Vista tridimensionale della parte prodiera delle barche cannoniere con, in primo piano la bocca da fuoco ad avancarica e le piastre della “blindatura”.

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direttamente l’albero a gomiti, come abbiamo detto. Non sono rappresentate le tubolature del vapore; l’albero dell’elica ha una leggera inclinazione.

Sulla coperta si apre, per una lunghezza pari a circa la metà di quella della sala macchine, il “grande boccaporto”. Sembra essere coperto da un “quartiere”, cioè un pannello di legno, ma potrebbe essere anche stata utilizzata una grata, per permettere la ventilazione del locale macchine sottostante. In un angolo del quartiere è praticata un’apertura quadrata per la scaletta d’accesso al locale. Dal disegno non è facile capire se il quartiere si trovasse poco sopra il livello del ponte di coperta oppure se la struttura del boccaporto fosse rialzata considerevolmente tramite dei battenti di legno. Ai due lati della macchina alternativa, lungo le paratie longitudinali, si trovano due grandi “armadi” per il meccanico, contenenti certamente attrezzi e parti di rispetto.

Figura 9: Vista poppiera di una barca cannoniera.

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Ricavato tra la paratia posteriore della sala macchine e il dritto di poppa, si trova un terzo carbonile, che occupa il poco spazio creato dalla svasatura della poppa. La dotazione totale massima di carbone era di 10 tonnellate20.

Il dritto di poppa è verticale ed è forato per permettere il passaggio dell’albero dell’elica. L’elica non è rappresentata nel disegno, ma dal documento dell’ing. Boden risulta essere a 4 pale, del diametro di 1,16m e con un passo di 1,422m; non essendo prevista navigazione a vela, l’elica non è ritraibile nello scafo.

Sulla sezione longitudinale, subito prima del grande boccaporto, un’annotazione indica la posizione di una “cucina di bastimenti mercantili”, evidentemente, se realmente imbarcata, era previsto di adottarne una di tipo commerciale.

Sui disegni non sono riportate le ancore o altre attrezzature marine come bitte, argano o verricello per le ancore, ecc. Due linee disegnate ad inchiostro rosso, che probabilmente rappresentano le catene delle ancore, partono dalle aperture dei pozzi delle catene per giungere fino al trincarino del ponte di coperta a proravia del riparo blindato e terminare vicino a quello che sembrerebbe un grosso blocco rettangolare, che probabilmente era la cubia dell’ancora. Dal dettaglio dei pesi di Boden risulta che fosse imbarcata anche una scialuppa, la cui posizione però non è specificata sui piani.

Le figure da 6 a 9 propongono alcune viste tridimensionali delle scialuppe cannoniere realizzati dall’autore con tecnica grafica computerizzata.

Armamento

Le cannoniere, giunte evidentemente con il loro armamento, erano dotate di un unico cannone da 30 (libbre) francese lungo21. Si trattava di un cannone ad avancarica ad anima liscia che aveva un diametro dell’anima di 164,7 mm, una lunghezza totale di 3,158 m ed un peso di 2.990 kg (vedi tabella n. 3); era il cannone di medio calibro che costituiva l’armamento principale delle navi della Marina francese22 ed era analogo ai cannoni britannici da 32 e a quelli sardi da 40, che erano di modello britannico.

I piani non rappresentano né il cannone né l’affusto; è presumibile però che quest’ultimo fosse simile a quelli impiegati sulle scialuppe delle unità maggiori per installarvi gli obici da utilizzare nelle operazioni di sbarco. Essi 20 AS-To, ibid., Lettera n°561….21 AS-To, ibid., Devis des…, Lettera n° 2354 dell’ 8/9/1859 del Comando Gen. della Reale Marina

al Ministro della Marina: cannoniere del lago di Garda, armamento e velatura”. All’epoca, per i cannoni lisci il calibro si riferiva al peso in libbre della palla piena utilizzata.

22 Di questo cannone, come dei suoi corrispettivi esteri, esistevano vari modelli (o specie, come erano denominati nella Marina sarda) di dimensioni e pesi progressivamente decrescenti in modo da poter essere installati su tutti i ponti dei vascelli e su ogni tipo di unità. Del 30 lungo esistevano alcuni modelli leggermente differenti, realizzati in anni diversi. I dati che riportiamo sono relativi al modello dell’anno 1840, che riteniamo sia quello che con maggior probabilità era imbarcato sulle cannoniere del lago di Garda.

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erano costituiti da due aloni paralleli uniti da due robuste traverse e privi delle classiche rotelle. La superficie inferiore degli aloni scorreva tra due travi di legno (che nelle scialuppe erano fissate ai banchi ma che sulle cannoniere erano probabilmente fissati alla piattaforma), che ne guidavano i movimenti di mandata in batteria e di rinculo. L’inclinazione della piattaforma favoriva la messa in batteria e contribuiva, insieme all’attrito degli aloni contro le guide, a ridurre il rinculo del pezzo che, comunque, era arrestato dall’apposita braca.

Per dare comunque un’idea dell’ingombro dell’armamento rispetto alle dimensioni della cannoniera, nel disegno tridimensionale abbiamo abbozzato un affusto di questo tipo.

D’altra parte è possibile che si utilizzasse un normale affusto navale del tipo denominato nella marina francese a “echantignolles”, cioè un affusto a sfregamento che veniva utilizzato per i cannoni-obici per ridurre il forte rinculo grazie all’assenza delle due ruote posteriori, sostituite da due blocchi di legno che riducevano il rinculo grazie all’attrito prodotto dal loro sfregamento contro il tavolato del ponte. Un affusto di questo tipo era utilizzato sulle cannoniere fluviali che furono progettate e realizzate in tempi brevissimi per sostituire le precedenti, come vedremo più avanti.

CANNONE FRANCESE DA 30 LIBBRE LUNGO, MOD. 1840 n. 1

Diametro dell’anima

mm

Lunghezza dell’anima

mm

Lunghezza nominale

del cannone

mm

Lunghezza totale mm

Diametro alla

piatta banda di culatta

mm

Diametro alla gioia

mm

Peso del cannone

kg

Rapporto peso cann./peso palla

164,7 2.641 2.829 3.158 589 369 2.990 195

Palla Piena Granata Carica di lancio

Peso kg Diametro mm

peso vuota kg

Diametro mm

1° per palla piena

2° per palla

piena e granata

3° per palla piena e granata

15,34 159,6 9,69 160,7 5,0 3,0 2,5

GITTATE DEL CANNONE DA 30 LUNGO A VARI ANGOLI DI ELEVAZIONE, CON PALLA PIENA E CARICA DI LANCIO DA 5 KG.

Angolo 0’ 13’23’’

0° 39’26’’

1° 13’0”

1° 32’45”

2° 9’5”

2° 81’23”

3° 38’46”

4° 32’12”

5° 30’40”

6° 32’20”

9° 37’50”

Metri 200 400 600 800 1000 1200 1400 1600 1800 2000 2400

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Le cannoniere francesi nella Seconda guerra d’indipendenza

PENETRAZIONI DEL CANNONE DA 30 LUNGO NEL LEGNO DI QUERCIA CON PALLA PIENA E CARICA DI LANCIO DA 5 KG.

Gittata m 100 200 400 600 800 1000 1200 1400 1600 1800

Penetrazione m 1,32 1,22 1,05 0,96 0,76 0,64 0,52 0,44 0,36 0,24

Dati ricavati dalle tavole riportate in J. Lafay, Aide-memoire d’Artillerie Navale, Parigi 1850. Per quanto riguarda le penetrazioni, i valori sono ricavati da formule elaborate in seguito alle prove eseguite al poligono di tiro di Gavres nel 1836-1838 e pertanto sono teorici e comunque riferite a situazioni ottimali. A titolo indicativo ricordiamo che lo spessore totale massimo della fiancata di un vascello di linea dell’epoca arrivava a circa 80 cm, mentre quello delle fregate era di circa 50cm.

Secondo le fonti francesi sia coeve che contemporanee tutte le cannoniere francesi impiegate nella campagna d’Italia erano armate con pezzi rigati da 30 (16 cm), mentre nel già citato articolo di Galuppini si dice che non è noto il calibro dei pezzi in dotazione alle cannoniere del Lago di Garda ne la quantità di proietti in dotazione a ciascuna unità.

In realtà, tutti i documenti del fondo Marina relativi alle cinque cannoniere fanno riferimento ad un “cannone da 30 francese”; il fatto che non si specifichi mai che esso fosse rigato è indice del fatto che si trattasse in realtà di un pezzo ad anima liscia poiché in caso contrario si sarebbe trattato dei primi cannoni ad anima rigata in assoluto in dotazione alla Marina per cui il fatto sarebbe stato certamente sottolineato. Nel prospetto compilato da Boden l’armamento è inoltre chiaramente indicato in un “canon de 30 long”, che era la denominazione del cannone da 30 ad anima liscia in versione lunga23.

In una comunicazione dei primi di agosto 1859 il comandante della Marina sarda informò il ministro che il calibro dei cannoni da 30 francese delle cannoniere era leggermente superiore di quello dei pezzi da 40P lisci (la P indica che calibro è in libre piemontese) in dotazione alla Marina sarda e che quindi sarebbero stati mantenuti solo fino all’esaurimento della dotazione attuale di proiettili che era di 120 per ciascuna unità24. Lo stesso Provana, in un rapporto dell’inizio dell’anno successivo, sottolineò che “il più urgente bisogno per la flottiglia è quello dell’artiglieria. V.S. Ill. sa a che possono valere gli attuali pezzi d’armo delle cannoniere contro i Paixhans (cannoni-obici ad anima liscia. N.d.a.) e i [cannoni] rigati dei quali è voce, sicurezza anzi, gli austriaci abbiano fornito nuove batterie”25. Se i cannoni da 30 delle cannoniere fossero 23 AS-To, Mazzo 366: “Costruzioni, riparazioni, vendite 1859-1860”.24 AS-To, Mazzo 366: “Costruzioni, riparazioni, vendite 1859-1860”. Prot. n. 2.354 dell’8/8/1859

dal Comandante Generale di Marina al Ministero della Marina, Cannoniere del Lago di Garda.25 AS-To, Mazzo 367: “Flottiglia del Lago di Garda”, prot. n. 128 del 15/2/1860 dal Comando

della Reale Flottiglia sul Lago di Garda al Comandante Generale della Marina.

Tabella 3: Caratteristiche del cannone francese da 30 libbre lungo Mod. 1840 n. 1

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A. Antonicelli

stati effettivamente ad anima rigata, difficilmente l’ufficiale sardo li avrebbe ritenuti inefficaci contro i grossi calibri austriaci.

Anche le tabelle contenenti le indicazioni necessarie per l’iscrizione delle cinque unità nella Matricola del R° Naviglio (tabella n. 2) alla voce “qualità dei cannoni e numero” riportano semplicemente “1 da 30 francese”26. L’ultima conferma è data dalla proposta avanzata nel 1860 dal sottodirettore dell’artiglieria della Marina sarda di sostituire i cannoni da 30 francesi delle cannoniere del Lago di Garda con i “cannoni da 24 francesi ridotti a 40 e rigati”27; questi ultimi erano uno dei diversi tipi di cannoni rigati ad avancarica che la Marina stava allora sperimentando ed erano ottenuti dalla trasformazione dei vecchi cannoni ad anima liscia di modello francese acquistati in Svezia nel 1817 per armare le due fregate Maria Teresa e Cristina.

Una possibile spiegazione del perché le cannoniere inviate sul Garda fossero armate di cannoni ad anima liscia la possiamo desumere da una lettera del console sardo a Tolone del 20 giugno 1859, nella quale precisava che l’ordine impartito da Parigi di inviare 400 proietti, di cui 200 cilindrico ogivali, per le cannoniere che erano state smontate, non venne eseguito in quanto le cannoniere erano armate solo di pezzi della “forma ordinaria da 30”, ossia ad anima liscia; secondo il console, i motivi di tale disguido andavano ricercati nel fatto che erano stati dimenticati “a Parigi gli ordini in precedenza impartiti”, ordini che il console non riporta ma che probabilmente erano relativi alla sostituzione delle bocche da fuoco lisce con altre ad anima rigata. Il console era dell’opinione che ciò fosse dovuto al fatto che nella Marina Imperiale regnavano “dissensioni e rivalità” che andavano a discapito dell’efficienza28.

Solo due giorni dopo il console riferirà che era stato nuovamente deciso di adottare i “cannoni che si caricano dalla culatta” (e che quindi erano cannoni rigati) e che dieci pezzi di quel tipo erano stati inviati al cantiere della Seyne per armare le nuove batterie galleggianti che vi si stavano costruendo29 per sostituire le precedenti.

La cessione alla Marina sarda

Poiché, come già osservato, una volta assemblate le cannoniere non potevano più essere smontate; al termine delle ostilità la Francia decise di donarle al Regno di Sardegna.

La Marina dovette quindi creare celermente un’organizzazione ad hoc.

26 AS-To, Mazzo 366: Costruzioni, riparazioni, vendite 1859-1860”; stato allegato alla lettera prot. n. 51 in data 2/3/1860, dal Comandante Generale della Marina al Ministro della Marina.

27 AS-To, Mazzo 291: “Marina munizioni da guerra ecc.”, anno 1860/1859; Relazione presentata al comitato della Marina circa l’introduzione dei cannoni rigati e le batterie dei regi legni del 15/10/1860.

28 AS-To, Archivio di Corte, materie politiche – consolati - consolato di Lione, Mazzo 7.29 AS-To, Archivio di Corte, materie politiche – consolati - consolato di Lione, Mazzo 7, lettera in

data 22/6/1859 26 dal Console di Tolone (L. Basso) al Presidente del Consiglio e Ministro .degli Esteri Conte di Cavour. Si trattava probabilmente delle nuove batterie corazzate che avrebbero dovuto operare sui fiumi italiani, come vedremo in seguito.

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Le cannoniere francesi nella Seconda guerra d’indipendenza

L’11 agosto 1859 il Ministro della Marina dispose affinché il comandante stesso della Marina, contrammiraglio d’Auvare, si recasse a Desenzano per ricevere in consegna le 5 unità; “per la solennità di si importante circostanza” d’Auvare avrebbe dovuto valersi del personale della marina (una quarantina tra marinai e artigiani) precedentemente inviato in quella località. Il comandante della Marina ebbe anche l’incarico di consegnare ai membri dello stato maggiore della flottiglia francese le decorazioni delle quali erano stati insigniti dal Re di Sardegna. Nell’occasione non vennero nemmeno dimenticati gli equipaggi e le maestranze dell’alleato per i quali a d’Auvare vennero messe a disposizione 20.000 Lire da distribuire30 loro.

In seguito, d’Auvare propose al ministro31 che le cannoniere fossero dotate di una “velatura semplice” da utilizzarsi in caso di avaria delle macchine.

Il ministro approvò la proposta di d’Auvare, così come approvò quella avanzata dal comandante della flottiglia, capitano di fregata Provana, di foderare gli scafi di tre delle cannoniere in zinco e delle altre due in rame.

La documentazione relativa alla Marina conservata all’AS-To si interrompe nel 1861, così non siamo in grado di dire se la proposta alberatura venne realmente installata. E’ molto probabile che la copertura delle carene sia stata eseguita, in modo da assicurare una maggiore durata del fasciame.

Inizialmente per le cannoniere era stata proposta una semplice distinta numerica dall’1 al 532, ma in seguito vennero loro assegnati i nomi di Frassineto, Sesia, Torrione, Castenedolo e Pozzolengo.

L’equipaggio previsto per ciascuna cannoniera in servizio consisteva di:

1 ufficiale di vascello comandante;1 secondo piloto od allievo piloto;1 2° nocchiero o timoniere;1 2° capo cannoniere ;3 marinai di 1° classe;4 marinai di 2° classe,4 marinai di 3° classe;1 2° macchinista o allievo macchinista;1 Marinaio fuochista di 1° o 2° classe;1 operaio fuochista di 1° o 2° classe;1 stivatore;1 operaio carpentiere o calafato;1 commesso.Totale: 21 tra ufficiali, sottufficiali e comuni33.

30 AS-To, Registro 339: “Copialettere materiali 1859”; lettera prot. n. 10588 Flottiglia del Lago di Garda.

31 AS-To, Mazzo 366, lettera prot. n. 2354…32 AS-To, Registro 340, “Copialettere materiali 1859”, lettera prot. n. 10834 del 16/9/1859.33 AS-To, Mazzo 367, “Flottiglia del Lago di Garda - affari diversi”, Tabella allegata alla bozza di

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A. Antonicelli

Conclusione

Come già accennato, la documentazione dell’AS-To si interrompe con la nascita della Marina italiana e quindi non abbiamo notizie ulteriori sull’attività delle cinque cannoniere e sulla loro effettiva efficienza.

Dall’esame dei piani si può comunque rilevare che si trattava di unità ben progettate e dall’aspetto armonioso, con uno sfruttamento dello spazio disponibile estremamente razionale; le quantità di carbone, di viveri e di munizioni imbarcate assicuravano loro una notevole autonomia, per lo meno teorica. Certamente gli spazi abitabili erano molto ridotti, e questo avrebbe impedito lunghe navigazioni che, d’altra parte, visto l’impiego fluviale o lacustre non sarebbero state necessarie. Era certamente ritenuto più importante che le cannoniere potessero agire il più a lungo possibile senza la necessità di rifornirsi di viveri, carbone e munizioni, mentre sarebbe stato sempre possibile trovare riparo nottetempo in qualsiasi piccolo porticciolo o ancorarsi vicino alla riva per consentire all’equipaggio di “sgranchirsi le gambe”.

La constatazione che le cannoniere inviate in Italia non sarebbero state utilizzabili sui fiumi dell’Italia settentrionale non scoraggiò l’imperatore Napoleone III che prontamente richiese telegraficamente all’ingegnere del genio navale Dupuy de Lome se fosse possibile costruire rapidamente due batterie galleggianti fluviali non più lunghe di 24 metri e la cui immersione non fosse superiore a 1 metro; a seguito della sua risposta positiva, il 31 maggio furono ordinate cinque batterie galleggianti che secondo l’Imperatore “lo avrebbero reso padrone dell’intero corso del Po”34.

La prima unità venne costruita, smontata e imbarcata insieme al personale destinato a rimontarla sulla nave trasporto Cacique il 2 luglio, ossia solo 32 giorni dopo l’assegnazione dell’ordine alla Societè des Forges et Chantiers de la Méditerranée, un brillante risultato indicativo dell’organizzazione e capacità raggiunte dai cantieri francesi e dai progettisti della Marina35. Il Cacique giunse a Genova alla vigilia dell’armistizio e di li fece prontamente ritorno a Tolone dove la batteria, dopo essere stata rimontata in 87 ore, effettuò una navigazione di prova nelle acque del porto dove raggiunse la velocità di 4,4 nodi; successivamente venne smontata nel breve spazio di 30 ore e immagazzinata per futuro servizio36.

Il sempre solerte console sardo a Tolone Luigi Basso riuscì a procurarsi, “a malgrado del segreto con cui si fanno questi lavori…un disegno esatto, ed il piano di questa formidabile fortezza portatile ed acquatica”, disegni che inviò al Ministero degli esteri il

Regio decreto del 7 ottobre 1859.34 J.P. Baxter, The introduction of the ironclad warship, Archon books, 1968. Ristampa dell’originale

pubblicato nel 1933; pagg. 104 - 105.35 AS-To, Mazzo 491-492, “Informazioni su Marine da guerra estere”, stralcio di lettera in data

2/7/1859 del Console sardo al Ministero della Guerra con disegni allegati.36 J.P. Baxter, op. cit., pag. 105.

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Le cannoniere francesi nella Seconda guerra d’indipendenza

quale lo girò per competenza a quello della Marina e che qui riproduciamo (figg. 10 e 11). Secondo la descrizione del console la cannoniera aveva una lunghezza di 24 m, una larghezza di 7 ed un’immersione di 1 metro; l’armamento era composto da due cannoni da 24 a retrocarica disposti per chiglia a prua dietro ad una massiccia protezione di legno di quercia ricoperta di ferro; posteriormente alla postazione dei cannoni si trovava un lungo ridotto che nella parte anteriore era munito di feritoie lungo i fianchi per la fucileria; la cannoniera aveva due timoni e due eliche37.

Le dimensioni e l’aspetto generale delle cannoniere riportati dal console erano notevolmente vicini alla realtà: come si rileva dal progetto originale conservato nell’Atlas du Génie Maritime, recante la firma di Dupuy de Lome e la dicitura “approvato il 1 giugno 1859” (fig. 12), la lunghezza “fuori corazza” era di 21,94 m, la larghezza 7,7 e l’immersione a pieno carico 1 m; il dislocamento era di 142 t; la macchina aveva una potenza nominale di 32 CV, la scorta di carbone era di 6 t, pari a 24 ore di navigazione, e l’equipaggio era costituito da 30 uomini. I due cannoni rigati a retrocarica avevano una riserva di 150 colpi ciascuno.

37 AS-To, Mazzo 491-492, “Informazioni su Marine da guerra estere”, stralcio di lettera in data 2/7/1859 del Console sardo al Ministero della Guerra con disegni allegati.

Figura 10: Uno dei due disegni delle nuove cannoniere corazzate francesi inviati dal console sardo a Tolone Luigi Basso. Archivio di Stato di Torino.

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A. Antonicelli

Secondo quanto riportato da Baxter in Introduction of the ironclad warship, la corazza, fornita da Petin, Gaudet et Cie, che copriva la paratia prodiera trasversale e le due fiancate aveva uno spessore di 5 cm sufficiente, come riportato nella intestazione del progetto, a renderla “a prova dell’artiglieria di campagna”

Dall’ingrandimento della sezione longitudinale si rileva la sistemazione dell’artiglieria: il cannone rigato a retrocarica è incavalcato su un normale affusto a sfregamento navale (affut at echantignolles come era definito dalla Marina francese)

Figura 12: Tavola n. 795 tratta da Atlas du Génie maritime.

Figura 11: Vista in pianta delle cannoniere realizzate dalla Societè des Forges et Chantiers de la Méditerranée su commissione di Napoleone III. Archivio di Stato di Torino.

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Le cannoniere francesi nella Seconda guerra d’indipendenza

a sua volta posto su di una piattaforma leggermente inclinata simile a quella delle cannoniere cedute al regno di Sardegna.

E’ da notare che i disegni riportati nel citato articolo dell’ammiraglio Galuppini (Bollettino d’Archivio, p. 130) non rappresentano le nuove cannoniere

fluviali destinate ad operare sul Po, come invece indicato nella relativa didascalia, ma un modello successivo progettato nel 1864, come si rileva dal piano conservato nell’Atlas du Génie Maritime38 francese, di cui presentiamo una riproduzione in fig.14. Si tratta di unità progettate sempre da Dupuy de Lome e approvate nel 1864, di aspetto generale molto simile a quello dei celebri “monitors” della Marina unionista della guerra civile, salvo che per l’assenza della torre girevole, sostituita nelle unità francesi da un ridotto fisso rettangolare nel quale erano aperte sei cannoniere, due nella paratia frontale e due ciascuna su quelle laterali.

38 Service historique de la defense, sito internet http://www.servicehistorique.sga.defense.gouv.fr/02fonds-collections/banquedocuments/planbato/atlas/rec.php.

Figura 13: Dettaglio del cannone rigato a retrocarica della batteria corazzata incavalcato su un affusto a sfregamento.

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A. Antonicelli

Figura 14: Tavola 788 Da Atlas du Génie maritime.

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L’IMPIEGO DEI CACCIAMINE CLASSE “ALBERI”NEL CANALE DI SUEZ E NEL GOLFO PERSICO NE-

GLI ANNI ‘80

Vincenzi grienti

La storia navale italiana del secondo dopoguerra è ricca di capitoli ed episodi riguardanti l’impegno della Marina Militare nell’ambito di operazioni multinazionali.

Alla fine degli anni Cinquanta la Marina annoverava tra le sue unità ausiliari circa cento dragamine e alcune ex torpediniere riqualificate per il servizio di dragaggio meccanico. Tra le unità in servizio nella flotta navale italiana c’erano quattro dragamine della classe “Salmone” con compiti M.S.O., cioè di dragaggio d’altura (Minesweeper Ocean). Si trattava di unità con gli scafi in legno che la U.S. Navy aveva ceduto all’Italia nell’ambito del Mutual Defense Assistance Program (M.D.A.P.) destinato agli alleati degli Stati Uniti, tra cui la Marina Militare.

Tra il 1953 e il 1957 furono trasferiti dagli Stati Uniti all’Italia e, dopo l’acquisizione dei progetti di costruzione, anche costruiti presso i cantieri navali italiani, numerosi dragamine.

Della classe “Salmone” (ex statunitense MSO 507, dragamine amagnetico oceanico, distintivo ottico 5430) facevano parte nave Storione (5431), Sgombro (5432) e Squalo (5433). A queste navi si aggiungevano i dragamine costieri classe “Alberi” (36 unità), composta dai tipi “Agave” (19) e “Abete” (17), il tipo “Anemone” (17) della classe “Fiori”, la classe “Aragosta” (20), la classe ex-britannica “300” (16), 11 unità “DV” (Dragamine Veloci) e infine le ex torpediniere Abba, Carini e Mosto, classificate dragamine meccanici costieri, in servizio dalla prima guerra mondiale.

Queste ultime furono radiate alla fine degli anni Cinquanta.1Nel 1959, poi, si aggiunse il Mandorlo, costruito in Italia con alcune piccole

modifiche, ma comunque non dissimile dai capoclasse Abete e Agave, ex AMS 1 F. Bargoni, Tutte le navi militari d’Italia 1861-2011, Roma, Ufficio Storico della Marina, 2012.

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V. Grienti

(Dragamine amagnetici costieri) classe “Adjutant” statunitensi.

A seguito della riorganizzazione strategica e di attenti studi da parte dello Stato maggiore della Marina circa la reale minaccia della guerra di mine, le unità adibite al dragaggio furono diminuite con la soppressione del 3° e 6° gruppo.Il 1° novembre 1963 fu attuata una nuova ridefinizione dei comandi dragamine2, riunendo le forze in un Comando autonomo con sede alla Spezia (COMDRAG) e guidato da un ammiraglio di divisione alle dirette dipendenze di MARISTAT.

I Comgrupdrag, cioè i Comandi dei Gruppi Dragamine, furono riorganizzati, e le unità a essi assegnate, compreso il Centro Addestrativo Mine e Dragamine, furono strutturati concentrandosi particolarmente sull’addestramento degli equipaggi, sulle modalità di approccio alle mine, sulla definizione dei rapporti e degli impieghi di personale COMSUBIN (Comando Subacqueo Incursori) a bordo delle unità dragamine e sulla specifica formazione del personale SDAI (Servizio Difesa Antimezzi Insidiosi).

I dragamine ex AMS, classe “Alberi”, che dal ’53 al ’57 erano stati trasferiti dalle basi della U.S. Navy dal nord dell’America alla Spezia, avevano la caratteristica 2 Archivio Ufficio Storico della Marina Militare (AUSMM), Stato maggiore della Marina,

Organizzazione del “Dragaggio” in pace ed in guerra, Roma 27 aprile 1963 con riferimento al dispaccio 29711 del 27 maggio 1959.

Nave Salmone, ex statunitense MSO 507, dragamine amagnetico oceanico M 5430, prototipo della classe, ancorato al porto di Toulose, Francia, 1981. (NavSource.org; foto di Gylbert Gyssel).

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L’impiego dei cacciamine classe “Alberi” nel canale di Suez e nel golfo Persico negli anni ‘80

di avere lo scafo monocarena in legno. Inoltre erano dotati di materiali amagnetici, mentre l’armamento antiaereo

era costituito da due mitragliere di prora da 20/70 mm in un impianto binato, generalmente Browning.

L’apparato motore era costituito da due motori diesel della General Motors dalla potenza di 900 hp nelle unità della prima serie e 1200 hp in quelli della seconda serie. I motori, accoppiati in linea agli assi portaelica tramite un giunto a riduzione, consentivano ai dragamine di procedere a una velocità massima di 14 nodi, anche se, per le navi della prima serie con capoclasse nave Abete, in condizioni meteo-marine proibitive, solitamente, non si raggiungevano i 10-12 nodi.

Inoltre, fra il centro nave e il locale di poppa definito in gergo “agghiaccio timone”, si trovava un motore ausiliare. In queste navi non esisteva COP (Centrale Operativa di Piattaforma) né tanto meno COC (Centrale Operativa di Combattimento) ma la direzione di macchine e il gruppo degli elettricisti effettuavano i controlli in navigazione e in porto nei locali dove erano installati i generatori di corrente.

Inoltre, fra il centro nave e il locale di poppa definito in gergo “agghiaccio timone”, si trovava un motore ausiliare. In queste navi non esisteva C.O.P. né tanto meno C.O.C. ma la direzione di macchine e il gruppo degli elettricisti effettuavano

Nave Platano in navigazione in Mare Adriatico, destinazione Trieste, 1992; postazione mitragliera di prua, modello Browning 20-70 mm binata. (Archivio dell’Autore)

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V. Grienti

i controlli in navigazione e in porto nei locali dove erano installati i generatori di corrente.

La classe “Abete” era costituita da 17 unità, realizzate in cantieri statunitensi su specifiche N.A.T.O. e trasferite alla Marina Militare con la seguente classificazione: M 5501 Abete, M 5502 Acacia, M 5503 Betulla, M 5504 Castagno, M 5505 Cedro, M 5506 Ciliegio, M 5507 Faggio, M 5508 Frassino, M 5509 Gelso, M 5510 Larice, M 5511 Noce, M 5512 Olmo, M 5513 Ontano, M 5514 Pino, M 5515 Pioppo, M 5516 Platano, M 5517 Quercia).

In seguito nave Castagno, Cedro, Frassino, Gelso, Platano, Loto e Mandorlo, con analoghe disposizioni, ma in tempi diversi, furono trasformati in cacciamine e dotati, per quel tempo, di moderne strumentazioni di bordo e apparecchiature (tipo il robot filoguidato Pluto) per la ricerca, l’individuazione e, con l’ausilio del personale COMSUBIN e SDAI, la distruzione delle mine. Il cambio di classifica avvenuto nel 1981 per D.P.R. non solo valse a queste unità la denominazione di “cacciamine trasformati”, ma determinò l’aumento del numero di uomini di equipaggio da circa 30 a 45.

L’impiego di queste unità “riclassificate” permise alla Marina Militare di fronteggiare la minaccia derivante dall’uso di mine marine non tanto in acque

Nave Platano, particolare del locale macchine. Sulla destra i motori Diesel General Motors, potenza 900 hp. (Archivio dell’Autore).

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L’impiego dei cacciamine classe “Alberi” nel canale di Suez e nel golfo Persico negli anni ‘80

territoriali, ma soprattutto in acque internazionali. Un periodo, quest’ultimo, di transizione che avrebbe condotto alla messa in servizio dei più moderni e nuovi cacciamine classe “Lerici”, dotati di strumentazione più avanzata, in linea con gli standard N.A.T.O e con scafo in vetroresina.

La classe “Lerici” venne realizzata impiegando un particolare tipo di vetroresina, denominata F.R.P. (Fibre Reinforced Plastics), ed è la più grande del genere costruita in Italia.

La F.R.P., contrariamente ai materiali tradizionali, consente di soddisfare contemporaneamente due esigenze prioritarie per un cacciamine: un’assoluta amagneticità, anche nei riguardi delle correnti parassite indotte dal rollio e dal beccheggio (correnti di Focault), prima ottenibile solo con le costruzioni in legno, e un’elevata resistenza antishock, prima ottenibile unicamente con le costruzioni in acciaio. Lo scafo raggiunge spessori massimi di 120 mm ed è ritenuto di caratteristiche superiori a quelli costruiti con strutture trasversali e longitudinali e con soluzioni modulari, specie per quanto riguarda la resistenza a esplosioni subacquee e all’impatto contro lo scafo delle conseguenti onde d’urto3

3 http://www.marina.difesa.it/uominimezzi/navi/Pagine/Cacciamine.aspx.

Nave Platano, particolare della centrale elettrica. In primo piano i generatori elettrici. (Archivio dell’Autore)

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I cosiddetti cacciamine trasformati, dunque, in attesa del varo della classe “Lerici” furono chiamati a partecipare a numerose missioni di pattugliamento, vigilanza pesca, intercettazione di scafi come quelle del 1984 per lo sminamento del Canale di Suez e nel 1988 in Golfo Persico. In prima linea in entrambe le operazioni navali ci furono sempre nave Castagno e nave Loto.

Lo sminamento del Canale di Suez

La missione marittima interforze compiuta dall’agosto all’ottobre del 1984 vide coinvolte le Marine militari statunitense, britannica, francese, italiana ed egiziana nello sminamento e nella bonifica delle acque nella zona sud del Canale di Suez a seguito di alcune esplosioni subacquee che avevano provocato l’interruzione della navigazione commerciale. La natura di questi eventi, di chiara matrice terroristica, riportò alla ribalta l’insidia che poteva provocare l’uso delle mine navali contro inermi convogli mercantili e, da qui, l’importanza di non sottovalutarne la minaccia.

Il robot filoguidato Pluto, utilizzato da bordo per l’individuazione delle mine.

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Dal punto di vista geopolitico e strategico, a seguito della “Guerra del Kippur” del 1973, l’Egitto aveva riconquistato la piena sovranità nell’area circostante il Canale di Suez. Tuttavia, esso risultava non navigabile per via della presenza di numerose mine. L’anno successivo alla fine del conflitto dello Yom Kippur il governo egiziano fece richiesta alle Nazioni Unite di “soccorso” per le operazioni di sminamento.

Esse durarono dal 14 giugno 1974 al 6 giugno 1975. A distanza di quasi dieci anni l’Egitto inviò una nuova richiesta di aiuto. L’11 agosto il ministro degli Affari Esteri egiziano Ahmed Asmat Abdel-Meguid aveva convocato l’incaricato d’affari italiano al Cairo facendo presente la richiesta egiziana all’Italia di aiuto e di appoggio nelle operazioni di sminamento, e il 12 agosto 1984 provvedeva

Il Mar Rosso ed il golfo di Aqaba.

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a informare il segretario generale delle Nazioni Unite circa “il fatto che alcune esplosioni, verificatesi nel Mar Rosso avevano danneggiato diverse navi, e che l’Egitto, conformemente alle norme di diritto internazionale e in osservanza dei suoi obblighi internazionali, avrebbe proceduto all’adozione delle misure necessarie allo sminamento, con l’assistenza di alcuni Paesi”4.

Secondo quanto emerge dal Resoconto delle Commissioni riunite Difesa ed Esteri della Camera dei Deputati pubblicato nel Bollettino del 21 agosto 1984, a partire dal 9 luglio navi in transito nel Golfo di Suez e nel Mar Rosso avevano subito danni di varia entità a seguito di esplosioni di mine. Gli incidenti accertati erano circa venti e avevano coinvolto navi di diversi paesi, fra cui Spagna, Olanda, Giappone, Grecia, URSS, Repubblica democratica tedesca, Polonia, Cina e Cipro, ma nessuna nave italiana, mentre dalla localizzazione degli incidenti risultavano minati il Golfo di Suez e la parte meridionale del Mar Rosso5. In merito alla natura degli ordigni utilizzati, secondo l’opinione degli esperti occidentali del tempo si trattava di mine di profondità non soggette a deriva attivate acusticamente dal passaggio delle navi. Le esplosioni si verificavano nella maggior parte dei casi su fondali compresi fra i 30 e i 70 m e interessavano principalmente tre aree, di cui una nella parte settentrionale del Golfo di Suez, un’altra poco a nord dello Stretto di Gubal e l’ultima nel Mar Rosso, in corrispondenza dello Stretto di Bab El Mandeb.

Così scriveva l’allora ministro degli Affari Esteri Giulio Andreotti al ministro degli Esteri egiziano Abdel-Meguid:

… Alla richiesta formulata dal Governo egiziano tramite l’incaricato d’affari italiano al Cairo l’11 agosto scorso, intesa ad ottenere aiuto ed appoggio per l’azione di sminamento nel Canale e nel Golfo di Suez, desidero assicurarLa che tale richiesta ha formato oggetto di attento esame da parte del Governo italiano ed è stata portata a conoscenza dei due rami del Parlamento il 21 agosto scorso. Il Governo italiano ha quindi deciso di dare ad essa un seguito positivo disponendo l’invio nelle acque egiziane di tre cacciamine e di una nave appoggio. Il compito delle unità navali così impiegate sarà quello di prestare alle autorità egiziane l’assistenza tecnica necessaria per l’individuazione e la neutralizzazione delle mine nelle zone marittime facenti parte delle acque interne e del mare territoriale egiziani, delimitate di comune accordo. Tengo a precisare che la decisione del Governo italiano favorevole alla richiesta egiziana è stata motivata dall’opportunità di coadiuvare gli sforzi intrapresi dal Governo del Cairo per assicurare la libera navigazione in una via d’acqua estremamente importante, e tenuto conto, altresì, dello specifico interesse dell’Italia ad utilizzare in condizioni di sicurezza il Canale di Suez per i suoi scambi commerciali. A questo riguardo, desidero sottolineare che la presenza di mine nel Golfo di Suez e nel Mar Rosso ha determinato una situazione obiettiva di pericolo che è nell’interesse della Comunità internazionale di contribuire a superare al più presto. Per questa ragione il Governo italiano ha ritenuto, fin dal momento in cui si è avuta notizia della presenza di mine nel Canale di Suez e nel Mar Rosso, che dovesse

4 Ibidem.5 Atti Parlamentari, Bollettino Commissioni di martedì 21 agosto 1984, p. 8.

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spettare all’Organizzazione delle Nazioni Unite, quale suprema espressione della Comunità degli Stati, di approntare efficaci rimedi diretti a ristabilire per la navigazione in quelle acque condizioni di piena sicurezza6.

L’intervento di bonifica delle acque era di estrema rilevanza e delicatezza per via del fatto che il Canale di Suez rappresentava una via di transito navale e commerciale a livello mondiale. Secondo le statistiche del tempo, quasi un terzo del traffico commerciale che passava per il Canale di Suez era destinato a porti italiani. L’Egitto inoltre intratteneva relazioni bilaterali approfondite e aperte con l’Italia, anche in considerazione del ruolo di centralità da sempre rivestito dall’Italia nel Mare Mediterraneo. A ciò si aggiungeva un fattore altrettanto importante e internazionalmente riconosciuto al nostro Paese: quello di una politica estera e di un’azione diplomatica volta alla distensione e alla pace in un periodo storico non facile come quello degli anni della “Guerra fredda” in cui il mondo era suddiviso in due blocchi contrapposti. Il ruolo italiano nel Mediterraneo si collegava anche al forte impegno verso il mondo arabo per una normalizzazione delle relazioni nel conflitto israelo-palestinese.

Il 13 agosto lo Stato maggiore della Marina aveva inviato in Egitto una propria delegazione per raccogliere tutte le informazioni e gli elementi utili alla pianificazione della eventuale missione, mentre il 14 agosto le autorità egiziane avevano illustrato i possibili criteri di suddivisione delle zone di operazione di massima condivise con i rappresentanti delle forze di contromisure mine di Stati Uniti, Gran Bretagna e Francia.

Di particolare rilievo in quell’agosto 1984 furono le parole del ministro della Difesa Giovanni Spadolini, più che come ministro della Difesa, soprattutto in qualità di storico. Egli rilevava, proprio nella riunione delle Commissioni Difesa ed Esteri, “che un’altra crisi nel Mediterraneo, una crisi questa volta di origine terroristica più che bellica, con tutte le ambiguità ed i misteri contraddittori dei gesti terroristici, chiama il nostro apparato di difesa ad un intervento di assistenza tecnica nei confronti di un paese amico, come l’Egitto, che lo ha richiesto”7. Quella di Spadolini non fu solo un’analisi illustrativa o politica tesa a convincere i membri delle suddette commissioni, perplessi sulla partecipazione italiana all’operazione multinazionale, ma era una lucida lettura sulla situazione storica e politica nell’ambito della quale si trovavano impegnate le unità della Marina Militare.

6 Atti Parlamentari del Senato della Repubblica; testo della Lettera contenuta nel D.D.L. n. 927 presentato al Senato della Repubblica dal Ministro degli Affari Esteri Giulio Andreotti di con-certo col Ministro della Difesa Giovanni Spadolini, avente come oggetto “Ratifica ed esecuzione dello scambio di lettere tra la Repubblica Italiana e la Repubblica Araba d’Egitto per l’assistenza dell’Italia all’Egitto ai fini dello sminamento del Canale e del Golfo di Suez, effettuato a Roma il 25 agosto 1984 e al Cairo il 28 agosto 1984”.

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V. GrientiLa disseminazione di mine dal Golfo di Suez al Mar Rosso creava, a parere

del ministro della Difesa Spadolini, un grave problema di sicurezza internazionale in seguito alle notizie che erano giunte relative alle navi colpite senza discriminazione di blocchi né di bandiera. Ciò creava per l’onorevole Spadolini “uno specifico problema di sicurezza italiana”8. A tal proposito, in riferimento alla crisi libanese, proprio in sede di Commissioni Difesa e Affari Esteri egli riuniti sottolineò:

… L’azione del Governo non cede a suggestioni anacronistiche di diritti speciali sul Mediterraneo. Il Mediterraneo ha visto l’impetuosa crescita, in questi 40 anni di paesi di nuova indipendenza, di significativa presenza politica, di grandi ambizioni di sviluppo. Rispetto a questa comunità mediterranea l’Italia è stata ed è costantemente impegnata in una volontà di amicizia senza egemonia, di aiuti e scambi economici senza condizionamenti, in una visione di pacifica convivenza in situazioni di parità e di rispetto, con i vincoli culturali più che diplomatici in senso stretto, radicati in una storia che è molto più di una storia politica. L’Italia non rivendica dunque alcun diritto speciale nel Mediterraneo, salvo che il diritto, condiviso da tutti gli altri popoli, alla pace: diritto che significa due cose. La prima è la libertà di navigazione, di ingresso e di uscita nel Mediterraneo. La necessità di vita economica della nostra società civile, la stessa misura della nostra indipendenza nazionale ci vietano di ammettere l’eventualità che il Mediterraneo divenga un mare chiuso. Il nostro apparato difensivo è chiamato a fronteggiare questa eventualità, come ad un suo naturale compito istituzionale, ovviamente una volta valutate dal Parlamento e dal Governo la ricorrenza dei presupposti internazionali e le modalità di esplicazione tecnica di questo compito. Sulla legittimità costituzionale del compito stesso nessun dubbio è possibile nutrire, a meno di non voler far coincidere la difesa della patria, di cui parla l’articolo 52 della Costituzione, nei ristretti confini delle acque territoriali, affidate alla vigilanza “doganale” della Guardia di finanza. Ma questo non è scritto in nessuna parte della Costituzione ed è vietato, dalla stessa logica di una politica strettamente e coerentemente difensiva, come quella italiana. La politica governativa è nel senso che l’intero sforzo militare, nei limiti delle nostre limitate possibilità, debba essere coordinato e volto a sviluppare tutte le politiche di difesa territoriale, contro offese condotte da terra o con vettori marittimi ed aerei. Questo è il nucleo essenziale del modello di difesa italiano e cioè la possibilità di condurre, in coordinamento con i nostri alleati della NATO, un’adeguata tutela da ogni minaccia. Il diritto alla pace nel Mediterraneo significa ancora un’altra cosa. La necessità in cui l’Italia si può venire a trovare – proprio in forza della politica di pace e di amicizia svolta nei confronti di tutti i paesi rivieraschi; proprio in forza della sua politica economica e commerciale che crea una rete di interessi reciproci ed equilibrati; proprio in forza di questa sua linea di operosa ricerca delle convergenze – di rispondere a chiamate di interposizione, a compiti “armistiziali” o di pace svolti super partes nell’area mediterranea. E anche sotto questo profilo Parlamento e Governo debbono valutare limiti, condizioni e modalità di impiego del nostro apparato difensivo. Anche qui la difesa costituzionale della patria, il diritto dei cittadini di questo paese a vivere in pace, non si può esaurire nella difesa della soglia di casa. Se il bosco intorno alla

8 Atti Parlamentari, Resoconto delle Commissioni riunite (Affari Esteri e Difesa) pubblicato nel Bollettino Commissioni di martedì 21 agosto 1984, p.10 segg.

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propria casa prende fuoco, si deve cercare di spegnere le fiamme prima che si avvicinino alla porta, altrimenti potrebbe essere troppo tardi ...9

Il quadro tracciato dal ministro della Difesa mise in evidenza alcuni aspetti fondamentali che condussero, senza naturalmente non pochi dibattiti politici anche attraverso la Stampa del tempo, alla partecipazione della Marina Militare in quella che a livello internazionale fu chiamata Operazione Red Sea Demining.

Un aspetto non indifferente e di estrema rilevanza – non direttamente collegato alla questione dello sminamento del Canale di Suez, ma sicuramente rilevante sotto il profilo delle relazioni internazionali e diplomatiche instaurate non più di cinque anni prima dell’Operazione Red Sea Demining – fu la firma a Washington il 26 marzo 1979 del trattato di pace fra Egitto e Israele, con la mediazione statunitense, con cui si riconoscevano lo Stretto di Tiran e il Golfo di Aqaba, “vie d’acqua internazionali” aperte a tutte le nazioni. Dunque, sotto il profilo della sorveglianza aero-navale, fu costituita la M.F.O., cioè la Multinational Force and Observers, con il compito di controllare la libera navigazione sancita dal Trattato. Nell’ambito di questa attività di verifica tra le undici nazioni chiamate a svolgere questa missione multinazionale c’era l’Italia, che fu impegnata con proprie componenti navali a effettuare attività Coastal Patrol Unit (C.P.U.), grazie all’esperienza di lungo corso della Marina Militare in seno alle operazioni di pattugliamento e vigilanza pesca nel Canale di Sicilia e nel Mare Adriatico.

Nell’Operazione Red Sea Demining, invece, la Marina italiana svolse attività di pattugliamento e di bonifica. A tale scopo fu inviato il gruppo navale formato da tre cacciamine trasformati classe “Alberi” e dalla nave appoggio Cavezzale. L’operazione in ambito italiano fu denominata Missione Mar Rosso, ed ebbe inizio il 21 agosto, quando fu costituito il 14º Gruppo Navale, comandato dal capitano di vascello Fernando Cinelli, uno specialista della nostra Marina nella guerra di mine. Nave Cavezzale fu adibita a compiti di unità di comando e supporto, mentre il capo squadriglia era a bordo del cacciamine Castagno. La distanza che le unità della Marina Militare dovevano percorrere dalla Spezia, sede della 57ª Squadriglia Cacciamine, fino a Suez si attestava a 1475 miglia e, tenuto conto che i cacciamine classe “Alberi” avevano una velocità di crociera di 9 nodi, sette giorni fu il tempo calcolato per dislocare le nostre unità in zona operazioni.

Il personale coinvolto nell’intera operazione ammontava a circa 290 uomini suddivisi in 150 su nave Cavezzale e circa 45 membri di equipaggio su ciascun cacciamine.

Le unità del 14º Gruppo Navale lasciarono La Spezia il mattino del 22 agosto, arrivando a Porto Said la sera del 28 agosto; dopo aver transitato il Canale di Suez il 29 agosto giunsero di sera nella base navale di Adabiya, iniziando le operazioni il mattino del 31 agosto nella Baia di Suez, la zona di maggiore priorità; tali operazioni 9 Ibidem.

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durarono fino al 17 settembre. In media venivano utilizzati due cacciamine, con il terzo in porto per manutenzione. La sfera di azione dove si trovarono a operare i nostri cacciamine fu un’area di circa 30 miglia quadrate tra Deversoir e Suez. Al termine di questa prima missione all’Italia ne venne assegnata una seconda di 65 miglia quadrate a sud del Canale di Suez.

Il quadrante operativo prevedeva l’impiego a nord di forze britanniche, al centro statunitensi, e a sud francesi, mentre le unità della Marina italiana furono dislocate nella zona compresa fra quella britannica e quella statunitense; successivamente, dopo una piccola modifica del teatro operativo, vennero assegnate alle forze italiane le zone del Grande Lago Amaro e della Baia di Suez come prima priorità, e in seconda priorità una zona compresa tra quella britannica e quella statunitense, mentre agli egiziani furono riservate le acque del Mediterraneo antistanti Porto Said.

Il 18 settembre le unità si trasferirono al Grande Lago Amaro, dove le operazioni iniziarono il 19 settembre ma vennero interrotte la sera del 20 settembre, a seguito della richiesta egiziana di intervenire urgentemente nell’area di seconda priorità nel Golfo di Suez, dopo che era stata registrata un’ulteriore esplosione nella parte centrale del golfo, assegnata ai britannici, riaccendendo così le preoccupazioni generali. Il 21 settembre il 14º Gruppo Navale si trasferì nella nuova area, operando dal 23 settembre al 3 ottobre e impiegando giornalmente tutte le unità dall’alba al

Figura 7: Nave Platano durante una esercitazione nel Mare Mediterraneo, 1993. A dritta una fregata classe “Maestrale”. (Archivio dell’Autore)

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tramonto. Ultimate le operazioni, le unità lasciarono la zona facendo rientro ad Adabiya, da dove il 5 ottobre si trasferirono al Grande Lago Amaro per completare le operazioni interrotte precedentemente, che vennero ultimate il 7 ottobre. Dopo un trasferimento a Ismailia per uno scalo tecnico il 10 ottobre, le unità iniziarono il viaggio di ritorno verso l’Italia, giungendo alla Spezia il mattino del 19 ottobre.

La missione ha visto impegnate le unità di contromisure mine per 59 giorni, di cui 42 trascorsi nelle zone di operazioni, esplorando in totale un’area di 124 miglia quadrate, effettuando in totale 2485 ore di moto e percorrendo 15 644 miglia.

L’Operazione “Golfo Persico”

Una delle operazioni di rilievo che impegnò le Forze Armate italiane all’estero, e in particolare la Marina Militare, ebbe luogo tra il 1987 e il 1988. Il governo, presieduto da Giovanni Goria, decise di inviare una squadra navale nel Golfo Persico con il compito di scortare le petroliere italiane in transito nello Stretto di Hormuz a seguito della minaccia delle imbarcazioni dei pasdaran iraniani che avevano attaccato la nave italiana Jolly Rubino. Al riguardo molto interessante è la descrizione che lo studioso di storia navale Giorgio Giorgerini fa di questa importante e rilevante missione. Egli ha descritto l’Operazione “Golfo Persico” come il primo atto di esercizio del potere marittimo compiuto dalla Repubblica Italiana10. Infatti in questa circostanza le navi italiane svolsero ben 82 missioni di scorta ai mercantili nazionali e 22 missioni di contromisure mine, impiegando in 15 mesi di attività operativa 11 fregate, 6 cacciamine, 3 navi ausiliare e di appoggio, 18 elicotteri e 3300 uomini. Le prime navi partirono da Taranto, la più importante base navale italiana, il 15 settembre 1987, iniziando a operare in zona dal 3 ottobre. Al comando dell’Operazione “Golfo Persico” c’era l’ammiraglio di divisione Angelo Mariani, che il 16 agosto 1988 fu avvicendato al comando del XVIII Gruppo Navale dal capitano di vascello Mario Buracchia. Il Gruppo era inizialmente composto dalle fregate Grecale, Scirocco e Perseo (15 ottobre-7 dicembre 1987), dal rifornitore di squadra Vesuvio (3 ottobre 1987-12 marzo 1988) dai cacciamine Milazzo (10 ottobre 1987-12 marzo 1988), Sapri (10 ottobre-28 novembre 1987) e Vieste (12 ottobre 1987-20 gennaio 1988) e dalla nave appoggio Anteo.

L’8 agosto del 1988 si poneva fine a una lunga e sanguinosa guerra fra Iran e Iraq, che aveva portato allo stremo di ogni forza i due Paesi sia dal punto di vista economico sia sotto il profilo dell’impegno dei due eserciti in campo. A otto anni di distanza dallo scoppio del conflitto fra le due nazioni arabe e dopo la morte di oltre un milione di uomini e donne, la risoluzione n. 598 dell’ONU con la sua proposta di cessazione delle ostilità fu inaspettatamente accettata dai

10 G. Giorgerini, Da Matapan al Golfo Persico. La Marina Militare italiana dal fascismo alla Repubblica, Milano, Mondadori, 1989, p. 11, 670-675.

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due Stati, ormai ridotti al collasso. Il 9 agosto 1988 il Consiglio di Sicurezza poté votare la creazione dell’UNIIMOG, incaricato di sovraintendere al rispetto della tregua. Dopo il “cessate il fuoco” le Marine occidentali inviarono cacciamine per la bonifica delle acque di accesso ai porti di Arabia Saudita, Emirati Arabi Uniti, Kuwait, Qatar, Bahrain e Oman.

Il 25 agosto 1988 a Ginevra iniziarono, dopo la firma della tregua, i negoziati di pace sotto la supervisione e la mediazione del segretario generale dell’Onu, Perez de Cuellar. L’attività di “tutela del naviglio e di sminamento nel Golfo Persico” era stata autorizzata con l’emanazione del decreto legge 22 gennaio 1988, n. 13, convertito in legge 11 maggio 1988, n. 74, successivamente integrato dal decreto legge 28 giugno 1988, n. 238, convertito dalla legge 5 agosto 1988, n. 332.

Alla missione parteciparono anche l’M 5504 Castagno e l’M 5538 Loto, due unità “veterane” non solo di pattugliamento, ma anche di attività di sminamento.

Dal 15 agosto al 30 dicembre il Loto e il Castagno presero parte all’Operazione “Golfo Persico” nell’ambito del 18º Gruppo Navale, svolgendo azione di bonifica delle acque del Golfo Persico infestate da mine rilasciate dai belligeranti durante il conflitto Iran-Iraq. L’attività dei cacciamine trasformati fu sorprendente a tal punto da farsi notare a livello internazionale, nonostante la loro anzianità di servizio. Questo a partire dalle prime attività operative svoltesi dal 5 al 9 settembre nel “quadrante” Sharja-Jabal Ali. Inoltre i due cacciamine operarono su rotta UEO e non mancarono di effettuare normali operazioni di contromisure mine (CMM) interforze in collaborazione con le unità navali francesi. La missione si rivelò impegnativa e faticosa, non solo per gli uomini di entrambi gli equipaggi, circa 50 per unità, ma anche per i mezzi.

Fra il 26 e il 28 settembre nel corso delle operazioni di contromisure mine la USS Callaghan individuò una mina su cui “lavorarono” entrambe le unità italiane. L’Operazione “Golfo Persico” confermò ancora una volta la grande affidabilità dei cacciamine trasformati e delle loro apparecchiature di bordo, nonostante gli oltre trent’anni di onorato servizio. In quella occasione si verificarono anche le prestazioni del dissalatore Rochem, installato a centro nave nella paratia di dritta dei locali elettrici. Non mancarono durante l’Operazione “Golfo Persico” guasti, ma, grazie all’efficienza e alla professionalità dell’equipaggio, questo non limitò mai l’assolvimento della missione. Le avarie, che rientravano nella casistica ordinaria di questo tipo di unità, erano state tutte risolte grazie alle capacità tecniche del personale di bordo e con l’intervento di alcuni tecnici giunti dall’Italia per operare soprattutto negli apparati TLC e sul sonar di nave Loto, così come sui radar di entrambe le unità. Il miglioramento delle condizioni climatiche, poi, ebbe riflessi positivi sulle apparecchiature elettroniche incrementandone l’affidabilità11. Le condizioni climatiche dunque misero a dura prova equipaggi e navi, i sistemi di combattimento, ma anche la climatizzazione. I cacciamine trasformati inoltre potevano contare su

11 Archivio Ufficio Storico della Marina Militare (AUSMM), Operazione “Golfo Persico”,

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nave Stromboli che, durante le soste in porto, forniva corrente continua e alternata, restituendo ai diesel alternatori e dinamo efficienza e affidabilità12. Dal 10 al 18 ottobre del 1988, ad esempio, il Castagno e il Loto entrarono in bacino per effettuare il carenamento periodico e la revisione ai generatori elettrici.

In seguito vennero proseguiti i lavori in bacino presso il porto di Sharjah, e in quella occasione, il 20 ottobre, si procedette alla cerimonia del passaggio di consegne dei comandanti di nave Loto, il tenente di vascello Giorgio Sciubba (cedente) e il tenente di vascello Stefano Dell’Aquila (accettante). Il 21 ottobre invece si procedette al passaggio di consegne dei comandanti del COMSQUADRAG 57, il capitano di fregata Massimo Imbornone (cedente) e il capitano di fregata Piero Antonio Giovannini Giberti (accettante)13. Due episodi di normale avvicendamento ma che danno il senso della grande sinergia tra comandanti ed equipaggi della Marina Militare anche in situazioni complesse come, appunto, l’Operazione “Golfo Persico”.

I cacciamine impiegati in questa zona di operazione il 19 novembre del 1988 imbarcarono sei giornalisti di altrettante testate nazionali (Agenzia Ansa, Agenzia Kronos, Il Giornale, Corriere della Sera, Il Messaggero, Il Tempo), mentre i successivi 22 e 23 novembre gli equipaggi di entrambi i cacciamine accolsero in visita l’on. Valerio Zanone, allora ministro della Difesa.

Nel dicembre del 1988 le due unità della Marina Militare attraversarono lo Stretto di Hormuz, facendo una prova rimorchio grazie a nave Euro, e dopo il rifornimento e la sosta a Mina Rayzut procedettero al trasferimento verso il porto di Gibuti il 12 e il 13 dicembre per fare rotta verso Porto Sudan. Da qui, dopo una breve sosta tecnica e di approvvigionamento, le unità della Marina Militare si spostarono verso Suez per sostare alla fonda nelle acque antistanti l’ingresso del Canale. Poi direzione La Spezia, dopo un lungo rifornimento da nave Euro nel giorno di Santo Stefano, il 26 dicembre 1988. Una data storica, in quanto proprio quel giorno a missione compiuta si scioglieva il 18° Gruppo Navale, e alle 8:00 del mattino del 30 dicembre il Castagno e Loto, dopo le normali manovre di avvicinamento al porto, poggiarono la passerella in legno sulla Banchina Giovannini della Spezia. Alle 9:00 ebbe luogo la cerimonia di benvenuto alla presenza dell’ammiraglio di squadra Franco Papili e del contrammiraglio Silverio Titta.

Si concludeva così una pagina storica nella vita degli ex dragamine classe “Alberi”. Ancora una volta equipaggi e navi avevano dato il loro grande contributo all’Italia in due operazioni di pace e di salvaguardia della sicurezza del naviglio italiano in acque internazionali quali l’Operazione “Red Sea Demining” e l’Operazione “Golfo Persico”.

Relazione Finale 15 agosto-30 dicembre 1988, Comando 57ª Squadriglia, cap. 4, p. 5.12 Ibidem.13 Ibidem.

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Al termine della missione in Golfo Persico nave Castagno e nave Loto furono stanziate presso la 53ª Squadriglia Dragamine di Messina per essere impiegate negli anni successivi in operazioni di vigilanza pesca nel Canale di Sicilia, ma anche di pattugliamento nel Mare Adriatico. Nel 1992 i dragamine Castagno e Platano, a seguito delle stragi di Capaci e di via d’Amelio, a Palermo, dove persero la vita i giudici Giovanni Falcone e Paolo Borsellino tra la fine di luglio e metà di agosto in concomitanza con l’Operazione “Vespri Siciliani”, furono impiegati nella sorveglianza delle coste occidentali della Sicilia, mentre fra la prima decade di dicembre del 1992 e gennaio 1993 effettuarono operazioni di pattugliamento nel Mare Adriatico.

Nell’ottobre 1995 Castagno e Gelso furono trasferiti alla Grecia e ribattezzati rispettivamente Erato (M 60) ed Euniki (M 61), prestando servizio per buona parte del successivo decennio14. Il cacciamine Euniki andò in disarmo nel 2005, mentre il cacciamine Erato dopo essere andato in disarmo nel 2006 fu usato come bersaglio e affondato il 22 ottobre 2008.

Nel corso degli anni Settanta15 i dragamine Mirto e Pioppo erano stati riclassificati navi idrografiche. I lavori erano stati eseguiti presso l’Arsenale della Spezia, e le due 14 F. Bargoni, Tutte le navi militari d’Italia 1861-2011, cit. (vedi alle voci).15 Il 1° gennaio 1973.

Il cacciamine Erato, ex dragamine Castagno, con il distintivo ottico M 60, battente bandiera greca

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L’impiego dei cacciamine classe “Alberi” nel canale di Suez e nel golfo Persico negli anni ‘80

unità erano state ripitturate con i nuovi distintivi ottici A 5306 e A 530716.Le due navi furono dotate di un’imbarcazione idrografica attrezzata per i

rilievi portuali e sottocosta, e di due gommoni, e disponevano di un ecoscandaglio per alti fondali, uno scandaglio per medi e bassi fondali, due scandagli portatili per imbarcazione (uno, sulla nave idrografica Pioppo), un ecoscandaglio a scansione laterale, due sistemi Global Positioning System differenziali in VHF (uno sul Pioppo), due sistemi di radioposizionamento a corto raggio, ricevitore LORAN-C, una centralina meteo e un ricevitore meteo. Inoltre la nave idrografica Mirto disponeva di una sonda batimetrica, di una sonda termografica e di vari tipi di correntometri, e la nave Pioppo di un mareografo. Dal punto di vista dell’organico le due unità erano state poste alle dipendenze del Dipartimento Militare Marittimo dell’Alto Tirreno della Spezia, mentre dal punto di vista tecnico facevano capo all’Istituto Idrografico della Marina di Genova.

Nave Mirto è andata in disarmo nel 2000 ed è stata radiata il 2 maggio 2001, mentre nave Pioppo è andata in disarmo nel 1999 ed è stata radiata il 13 luglio 2000.

16 F. Bargoni, op. cit.

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V. Grienti

Dragamine classe “Alberi”, ex AMS

1 – Plancia di Comando 2 – Mitragliera 3 – Alloggi Ufficiali 4 – Quadrato Ufficiali 5 – Alloggi Sottufficiali 6 – Galleggiante per il dragaggio 7 – Tamburo avvolgi cavo d’acciaio 8 – Locale Motori di Propulsione 9 – Locale Generatori Elettrici (alimentazione continua e alternata)10 – Locale Girobussola11 – Alloggi equipaggio12 – Locale deposito13 – Locale “Timone Ausiliare”

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