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Romanzo, Tatiana RosTRANSCRIPT
Tatiana Ros Blue sky: quando accadono le cose
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Tatiana Ros Blue sky: quando accadono le cose
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CAPITOLO UNO ............................................................................... 3!CAPITOLO DUE ............................................................................. 11!CAPITOLO TRE .............................................................................. 21!CAPITOLO QUATTRO .................................................................. 34! ………………………….
©Tatiana Ros, 2014
Tatiana Ros Blue sky: quando accadono le cose
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CAPITOLO UNO
o chissà cos'altro
La mia vita era un bellissimo castello costruito con materiale
scadente, un castello fatto di sabbia.
Mi trovavo lungo la spiaggia, in riva al mare, sotto un caldo sole
estivo, indossavo un bikini rosa rivestito di pagliette, i miei lunghi
capelli bruni erano acconciati in due lunghe trecce che mi
incorniciavano il viso, due sottili elastici rosa le fissavano alle
estremità.
I miei capelli assomigliavano un po’ alla mia nuova me, erano
anarchici, non rispettavano obblighi, nè regole, a volte, perdevano
letteralmente il controllo trasformandosi in un ammasso scapigliato
sul mio viso. Le treccine riuscivano a domarli, almeno per un po’.
Me ne stavo in ginocchio sulla sabbia, a costruire il mio bellissimo
castello di sabbia, granello dopo granello, con attenzione.
Avevo scelto delle conchiglie bianche per sistemarle sulla sommità,
con un bastoncino di legno avevo disegnato le finestre e il portale.
Avevo persino scavato un fossato tutt'intorno sistemando, poi, una
serie di legnetti come ponte levatoio. Con un secchiello, avevo
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mescolato bene sabbia e acqua di mare e raggiunta la giusta
consistenza, a piccole manciate l’avevo lasciata colare dall’alto
formando dei caratteristici ghirigori sul tetto vicino alle conchiglie, i
merli del mio castello.
Era quasi pronto, altri piccoli dettagli e tutto sarebbe stato perfetto.
Feci una pausa per ammirarlo, piegai la testa di lato, restai
compiaciuta del mio lavoro. Davvero bello!
Poi, di colpo, mentre me ne stavo lì in ginocchio con il sorriso che
illuminava il mio bel faccino, le treccine leggermente mosse dalla
brezza del mare e le mani conserte in attesa di tornare al lavoro per
qualche dettaglio da ultimare, minacciosi nuvoloni neri oscurarono il
cielo.
Sentii un rumore sordo che si avvicinava... ma cos’era? Non feci
nemmeno in tempo a girarmi che un’enorme onda spumosa,
anomala, imprevista arrivò e in un attimo, senza darmi nemmeno il
tempo di realizzare quello che di lì a poco sarebbe accaduto, spazzò
via tutto. TUTTO.
Quando l’onda si ritrasse, al posto del mio bellissimo castello non
restò che un montarozzo informe di sabbia, i legnetti e le conchiglie
sparsi qua e là.
In preda al panico iniziai a gridare: “No! Noooo… il mio castello
perfetto! La mia vita perfetta! Era la mia vita... La rivoglio indietro!
No, ti prego noooo!”
“Signorina si svegli! Signorina, si sente bene?”
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Aprii gli occhi, e vidi l’hostess di fronte a me che mi stava
scuotendo, il suo volto era preoccupato.
Farfugliai qualcosa: “S-sì, b-bene, credo.” Accennai una specie di
sorriso imbarazzato mentre piano piano tornavo alla realtà.
“Desidera un bicchiere d’acqua?”
“Ehm… sì, g-grazie”.
L’hostess mi osservò ancora un istante, era indecisa, non era certa
che stessi bene almeno quanto bastasse per allontanarsi.
Qualcuno si sedette di fianco a me, nel posto vuoto.
“Non si preoccupi, sto io accanto a lei, vada pure a prendere
l’acqua”.
Ero salita su quell’aereo per ultima e l’hostess aveva tolto i cartellini
bianchi con su scritto “riservato” e mi aveva invitato a sedermi lì
perché, diceva, i passeggeri con la prenotazione non si erano
presentati al gate per l’imbarco.
Mi ero sentita fortunata a non avere nessuno seduto vicino a me.
Avrei potuto starmene da sola torturandomi con i miei tristi pensieri
e se anche mi fosse sfuggita qualche lacrima ribelle, mi sarei girata
verso il finestrino e nessuno se ne sarebbe accorto.
Vidi gli occhi celesti della hostess tranquillizzarsi alle parole dello
sconosciuto: “Torno in un attimo signorina, cerchi di stare
tranquilla”.
Annuii. Lei si girò e se ne andò camminando in quel modo elegante
che solo le hostess potevano avere.
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Il suo completo turchese ondeggiava accompagnando i suoi passi, la
gonna stretta lunga fino al ginocchio le fasciava il fondoschiena
perfetto e la giacca avvitata accentuava il suo esile punto di vita. I
capelli biondi erano raccolti in un grazioso ed elegante chignon.
Ma che era successo? Avevo parlato nel sonno?
Mi accorsi di avere gli occhi bagnati, avevo anche pianto?!
Un fastidioso senso di vergogna mi invase.
Non mi girai verso di il tipo gentile seduto vicino a me, non avevo il
coraggio di guardarlo in faccia, ero imbarazzata e impacciata, gli
chiesi: “Ma… che è successo? Cos’ho fatto?”.
Il tipo, con un tono di voce esageratamente pacato e gentile, mi
spiegò che avevo iniziato ad agitarmi nel sonno e poi l’agitazione si
era trasformata in una specie di attacco nervoso con annesse urla di
disperazione.
Sospirai amareggiata.
Mi guardai intorno timidamente e mi accorsi che tutti i passeggeri
del volo mi stavano osservando incuriositi e lievemente preoccupati.
Cercai di scuotermi pensando che, se non altro, con il mio
“spettacolo” da pazza, avevo rotto la monotonia del volo offrendo
loro qualcosa di cui sparlare per un po’.
Di lì a poco tornò la hostess con il mio bicchiere d’acqua, me lo
porse e restò in piedi davanti a me, senza andarsene.
“Grazie” dissi con un sorriso tirato.
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Lei continuava a fissarmi, in modo gentile, certo, ma io volevo
essere lasciata in pace, volevo assolutamente che se ne andasse, che
quell’antipatico episodio giungesse al termine una volta per tutte.
Bevvi un sorso d’acqua, magari voleva solo accertarsi che fosse
davvero tutto a posto.
Nel modo più cortese di cui ero capace ma con fare risoluto, almeno
quanto la situazione lo permetteva, dissi: “Grazie, sto bene, è
passato, ora sto bene.” Abbozzai un altro sorriso tentando di renderlo
più credibile possibile e feci un cenno di congedo con la mano.
Volevo soltanto concludere l’episodio increscioso.
La hostess, dopo avermi esortato a chiamarla per qualsiasi cosa e in
qualsiasi momento, finalmente, con mio grande sollievo, se ne tornò
al suo lavoro.
<<Spettacolo finito>> pensai, e sperai che i passeggeri che ancora mi
stavano fissando come se fossi un’attrazione del circo, tornassero a
occuparsi delle loro cose dimenticando l’accaduto.
Mio malgrado mi resi conto che ero già diventata la sfortunata star
del momento e di certo, tutti avrebbero raccontato a parenti e amici
di quella pazza che aveva avuto una specie di attacco isterico in
aereo urlando e dibattendosi in modo esagerato.
Come se durante un incubo si potesse avere la facoltà di controllarsi!
“Era una ragazza carina, dal viso dolce - avrebbero detto - ma di
sicuro con qualche rotella fuori posto”.
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Magari qualcuno avrebbe persino condito il racconto con qualche
ingrediente in più, del tutto inventato, solo per rendere la storia
ancora più interessante.
Avrebbero potuto dire... chessò, che, in preda al panico, nel sonno,
avevo cercato di strangolare la hostess che tentava di svegliarmi e/o
che, mentre mi divincolavo, della bava bianca e schifosa mi colava
dalla bocca. O chissà cos’altro.
L’immagine di me che tentavo di strangolare la hostess con un rivolo
di bava che mi scendeva fino al mento, mi fece sorridere, fu un
sorriso sincero questa volta.
Sarebbe stata un’immagine esilarante, se soltanto non fossi stata io la
pazza in questione.
“Vedo che stai meglio.”
“E-Eh?”
Il tipo seduto di fianco a me continuò: “Vedo che sorridi, quindi stai
meglio!”
“S-sì, grazie” mi girai verso di lui e per la prima volta lo guardai.
Era un ragazzo carino, sulla trentina, come me. Malgrado la sua
intraprendenza nell’aiutare una sconosciuta, doveva essere timido,
perché mentre mi parlava, si scompigliava nervosamente i capelli
biondo cenere, dimostrando una certa insicurezza.
Anche se era un perfetto estraneo riuscivo a leggere le sue emozioni
in quei grandi occhi blu, aveva uno sguardo pulito, trasparente.
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Non c’era segno di compassione per me, di pietà, o peggio, di
derisione, i suoi occhi esprimevano una sincera preoccupazione,
voleva davvero che stessi meglio.
Mi sorrise e lasciò intravedere dei denti bianchissimi, notai che i due
incisivi superiori erano leggermente sovrapposti, ma quel piccolo
difetto rendeva il suo volto ancora più bello e attraente. Portava un
orecchino al lobo destro, un piccolo diamante bianco e luminoso.
Gli sorrisi, quel tipo mi ispirava fiducia.
Presi il mio kindle e mi misi a leggere, in questo modo non mi sarei
addormentata di nuovo rischiando di perdere ancora il controllo.
Notai che il tipo di fianco a me, di tanto in tanto si voltava e mi
osservava per un po’, ma per il resto del volo, non disse più nulla,
neanche una parola.
Anche se mi sarebbe davvero piaciuto conoscere i suoi pensieri, feci
finta di niente, l’ultima cosa che volevo era flirtare con uno
sconosciuto che aveva assistito al mio patetico spettacolo.
Mi trovavo su quel volo perché desideravo allontanarmi da casa per
scrollarmi di dosso i miei problemi per un po’, avevo bisogno di
ricaricarmi per risolvere le cose.
Mi distrasse il “dlin” della spia sopra di me che mi invitava ad
allacciare la cintura di sicurezza, stavamo per atterrare all’aeroporto
di Stansted. Ero su un volo lowcost della Ryanair e avevo acquistato
il biglietto solo perché costava poco e partiva da Perugia, la mia
città. Londra era stata più una scelta dettata dal portafoglio e dalla
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comodità che una destinazione realmente desiderata. Volevo solo
andarmene per un po’, il luogo non aveva importanza.
Il tipo di fianco a me mi aiutò con il bagaglio a mano ma non disse
una parola, qualche sorriso, qualche sguardo e niente di più.
Ero curiosa di conoscere almeno il suo nome, ma non volevo essere
io ad avviare una conversazione.
Scesi dall’aereo con lui dietro di me.
Dopo i controlli, mi voltai un momento e mi accorsi che aveva
indossato un berretto con visiera e degli occhiali da sole.
Era ottobre, eravamo in un luogo chiuso, le ampie vetrate
mostravano un cielo completamente grigio e scuro, senza sole. Mi
sembrò un po’ strano che quel tipo avesse indossato berretto e
occhiali ma decisi di non badarci troppo, in fondo, non erano affari
miei.
Mi diressi svelta verso l’uscita, mi voltai ancora una volta per
sbirciare verso di lui ma con mio stupore mi accorsi che lui non c’era
più, lo cercai con lo sguardo ma niente, era sparito, volatilizzato. Ne
restai delusa.
Lui non c’era da nessuna parte e io non conoscevo nemmeno il suo
nome, non lo avrei più rivisto e non avrei avuto un’altra occasione
per ringraziarlo, scossi la testa, dispiaciuta.
Mi abbottonai il giubbetto e uscii dall’aeroporto trascinando il mio
trolley e la valigia dietro di me, individuai l’autobus diretto al centro
di Londra e mi ci infilai, volevo arrivare a destinazione il più presto
possibile.
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CAPITOLO DUE
andavo senza meta
Avevo prenotato su internet una camera d’albergo dotata di angolo
cottura.
Era un presupposto fondamentale per me, dato che, la cucina
straniera non mi aveva mai conquistato più di tanto. Mi piaceva
assaggiare sapori nuovi ma, da italiana verace, ero sempre rimasta
fedele a tagliatelle al ragù, lasagne, pollo arrosto e naturalmente alla
pizza napoletana.
Avere un angolo cottura mi tranquillizzava, perlomeno avrei potuto
cucinarmi qualcosa di buono in caso di necessità.
Quella sistemazione mi era saltata all’occhio anche per un’altra
questione, la scritta “Economy” campeggiava a caratteri cubitali di
fianco al nome “Greenpark Hotel”, non avevo troppi soldi da
spendere e un posticino economico era quello che ci voleva. Inoltre
la posizione era perfetta, l’albergo si trovava vicino alla
metropolitana di Queensway, permettendomi di raggiungere in breve
tempo qualsiasi destinazione.
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Ma soprattutto, la cosa che davvero mi entusiasmava, era la sua
vicinanza a Hyde park.
Ero abituata ormai da anni a fare jogging con regolarità, adoravo
correre e soprattutto mi piaceva farlo in mezzo alla natura, oltre a
tenermi in forma, mi aiutava a scaricare lo stress.
Un Hotel vicino a Hyde park mi avrebbe permesso di correre ogni
volta che ne avessi avuto voglia, potendo tornare in un attimo in
camera per la doccia, senza girare in metropolitana sudata e stanca.
Durante gli ultimi mesi, ad essere sincera, stavo un po’ esagerando
con la corsa, facevo jogging tutti i giorni e anche di più, correvo
sempre più spesso e sempre più a lungo.
Mi fermavo solo quando mi sentivo stremata ed esausta, quando il
cuore sembrava volesse pulsare via dal petto e quando la
respirazione diventava troppo affannosa impedendomi di continuare.
A quel punto mi accasciavo a terra e anche se poteva sembrare
strano, quello, da qualche tempo, era diventato il momento migliore
delle mie giornate.
La concentrazione che impiegavo per riuscire a respirare
regolarmente e per rallentare il battito cardiaco era tale da farmi
dimenticare i miei problemi. In quei momenti, ansimante e stremata,
c’ero soltanto io, senza ansie nè paure.
Lo sforzo eccessivo che mi imponevo, mi faceva sentire ancora viva,
forte abbastanza per andare avanti. Il mio dramma non esisteva più,
c’era soltanto il suono potente del mio cuore che pulsava forte,
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assordandomi, dovevo soltanto respirare, inspirare ed espirare.
Nient’altro.
Arrivai davanti al mio albergo, c’era un enorme via vai intorno a me.
La gente gremiva gli ampi marciapiedi, qualcuno teneva in mano da
bere, qualcun altro la ventiquattrore, altri ancora buste, sacchetti,
zaini… un bambino piangeva nel carrozzino, delle ragazze ridevano
sguaiate, un gruppetto di uomini serissimi, in completo elegante, si
muovevano a passo sicuro con lo sguardo rivolto a terra.
L’andirivieni era disordinato e vario, ognuno si trovava lì per una
ragione diversa, ognuno stava vivendo un pezzetto diverso della
propria vita.
Il traffico era frenetico, auto e autobus riempivano le strade in ogni
direzione, qualche clacson suonava arrabbiato, qualche motore
sgassava veloce.
Ero a Londra e intorno a me vedevo e sentivo il ritmo e la frenesia
della città, la vita correva da ogni lato, era un buon posto per
ricominciare. Tirai un profondo sospiro di soddisfazione ed entrai
nella hall del mio albergo.
Mi diressi verso il signore della reception, aveva la pelle chiarissima
come se non vedesse il sole da secoli, portava una camicia bianca,
una cravatta e una giacca blu sbottonata.
Era cortese ma di una cortesia professionale, che non veniva dal
cuore.
Mi registrai, la mia stanza era la numero 324.
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Presi la key card che il receptionist mi aveva appoggiato sul bancone
e dovendo arrivare al terzo piano con i bagagli al seguito, col mio
inglese incerto, chiesi dove si trovasse l’ascensore.
Il gentile receptionist mi informò che purtroppo l’ascensore era fuori
servizio, il suo viso era forzatamente dispiaciuto, si mise a fissare lo
schermo del computer con un interesse esagerato, evidentemente
temeva che gli chiedessi una mano per i bagagli.
Controvoglia mi avviai al terzo piano su per le scale, erano scale
strette e rivestite di moquette rossa piuttosto lisa, il corrimano era
massiccio, di legno, mi ci aggrappai con una mano, mentre con
l’altra afferrai la valigia e il trolley. Iniziai la salita, i bagagli erano
pesanti più del previsto, ad ogni gradino, il “tonc” della valigia che
sbatteva contro lo scalino, rompeva il silenzio. Sbuffavo
frequentemente, tanto ero frustrata per la situazione.
Nessuno accorse in mio aiuto, sembrava che l’hotel fosse deserto.
Arrancando, un passo dietro l’altro, arrivai finalmente al terzo piano.
Ero vistosamente affaticata, ad ogni rampa di scale le valige
sembravano essersi appesantite di più. Non avevo nemmeno tolto il
giubbotto per non avere un impiccio in più da trasportare, ma non era
stata una buona idea, ora mi ritrovavo sudata come se avessi corso la
maratona.
Lanciai le valigie sul pianerottolo, mi appoggiai al muro e cercai di
riprendere fiato.
Pensai alla parola “economy” sotto la scritta “Green hotel”, quella
parola da un lato aveva reso economicamente accettabile il mio
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soggiorno a Londra in un posto centrale ma dall’altro stava anche
implicando qualche problema di adattamento. Su questo ultimo
aspetto non avevo riflettuto a sufficienza.
Mi feci coraggio e sperando di non avere altre spiacevoli sorprese,
entrai nella camera 324.
Non era certo grande ma accettabile, per fortuna non c’era la
moquette, ma il parquet, era mia abitudine camminare scalza e quel
tessuto ruvido e mai pulito sotto i piedi nudi mi trasmetteva una
sensazione di fastidio.
Osservando meglio il pavimento, sembrava fosse plastica più che
vero parquet in legno, ma per me andava bene lo stesso.
A sinistra, addossata al muro, c’era una piccola cucina bianca dotata
di lavello, piano cottura e forno a microonde, nella parete opposta
c’era la porta del bagno e più avanti la stanza si allargava per
ospitare un letto a due piazze, più corto e stretto del normale, e una
scrivania con una piccola TV a schermo piatto.
Buttai la valigia sul letto, la aprii e presi l’occorrente per farmi un
lungo bagno caldo ristoratore, l’annuncio su internet diceva che il
bagno era dotato di vasca, era un altro motivo per cui avevo scelto
quell’hotel.
Il bagno era piccolissimo, la prima cosa che notai con piacere fu la
presenza di un bidet, non era poi così scontato nei bagni inglesi, mi
voltai e vidi la vasca, l’annuncio diceva il vero, in effetti una vasca
c’era ma… era minuscola, adatta forse a bambini, nemmeno
piuttosto grandi.
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Un adulto non ci sarebbe mai entrato, neanche rannicchiandosi in
posizione fetale, costringermi a fare un bagno là dentro mi avrebbe
creato seri problemi alle articolazioni, mi sarei rattrappita a tal punto
da rendere necessario l’aiuto di una gru per uscirne.
Con rammarico decisi per la doccia, l’erogatore era posto sopra la
minuscola vasca e una tenda a pallini colorati completava il
quadretto, le odiavo quelle tende da doccia, avevano la sgradevole
attitudine di appiccicarsi alla pelle come una sanguisuga e rendevano
vani i tentativi per liberarsene.
Ma non avevo scelta, aprii il getto d’acqua e dopo poco tempo
constatai con piacere che l’acqua calda stava arrivando, meno male!
L’angolo più pessimista della mia mente stava iniziando a dubitare
anche della presenza dell’acqua calda.
Entrai sotto la doccia, alzai il volto in alto affinchè l’acqua mi
inondasse la faccia e iniziai finalmente a rilassarmi, restai qualche
minuto così, con l’acqua calda che massaggiava la mia pelle.
Come tentai di muovermi per lavarmi la tenda iniziò ad
appiccicarmisi fastidiosamente addosso esattamente come previsto.
Ben presto mi accorsi che quella tenda non era come tutte le altre, la
mia tenda da doccia era speciale, era fissata ad un tubo di metallo
ancorato al muro e chissà perché, chissà in che modo…
improvvisamente, mentre mi stavo insaponando le gambe, il tubo si
staccò dal suo ancoraggio e mi cadde in testa, cacciai un urlo, più per
lo spavento che per la botta.
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Rimasi imprigionata, iniziai a lottare contro la tenda ma più cercavo
di liberarmene e più mi si attaccava addosso, alla fine riuscii a
uscirne fuori, la scaraventai a terra e finii la doccia allagando ogni
centimetro quadrato di quel minuscolo e scomodo bagno.
Non c’era nulla che non fosse bagnato, compresi gli asciugamani e i
vestiti puliti che mi ero portata dietro.
La mia vacanza rigenerante non aveva avuto un buon esordio, niente
affatto, sentii crescere in me il bisogno di sfogarmi, dovevo correre,
mi asciugai i capelli in due minuti con il phon che fortunatamente mi
ero portata da casa, infilai i pantaloncini da corsa corti e attillati, una
T-shirt tecnica rosa a maniche lunghe e le scarpe da jogging, mi legai
i capelli in alto a coda di cavallo con un grosso elastico nero, presi
l’I-pod, attivai la play-list numero 1, quella riservata alla corsa e
uscii dalla stanza correndo, con la musica rock che mi tuonava nelle
orecchie, diretta verso Hyde park.
Correvo molto velocemente e senza quasi notare il parco, guardavo
dritta davanti a me e pensavo solo a correre, andavo senza meta, non
avevo nemmeno studiato una mappa per l’itinerario e non conoscevo
affatto bene il parco, ma in quel momento non me ne importava,
volevo soltanto scaricare la tensione.
Dopo circa venti minuti di corsa mi resi conto di non sentirmi troppo
bene, ma non ci badai troppo, ero abituata a correre anche per più di
un’ora. Ad un certo punto, però, mi dovetti fermare, non ce la facevo
proprio a proseguire, mi tolsi le cuffiette dalle orecchie e mi
appoggiai al tronco di una grande quercia, mi sentivo mancare, mi
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sforzai di guardare in alto e respirare, ogni cosa girava intorno a me e
di colpo tutto divenne bianco.
…
“Lisa! Lisa svegliati!” Qualcuno mi stava schiaffeggiando, aprii a
fatica gli occhi, e mano a mano che le immagini diventavano nitide,
mi accorsi di avere intorno delle persone che mi fissavano.
Il loro volto aveva la stessa espressione di preoccupazione mista a
curiosità dei passeggeri dell’aereo poche ore prima, dopo l’episodio
increscioso.
Mi voltai verso la persona che mi aveva chiamato per nome, la stessa
che mi stava schiaffeggiando e con mia grande sorpresa riconobbi il
suo volto.
Era lui! Il tipo carino dell’aereo! Ma che ci faceva lì? perché mi
stava aiutando di nuovo? E come diavolo faceva a sapere il mio
nome? Ero certa di non averglielo mai detto.
Provai a dire qualcosa ma non ero ancora del tutto padrona di me
stessa, dalla mia bocca uscì solo un suono cavernoso e indefinito:
“Mmhmffm”.
Era meglio starsene zitti ancora per un po’, almeno fino a che non
avessi ripreso il pieno controllo.
Il tipo carino disse ai curiosi lì intorno che mi stavo riprendendo -
come se non se ne fossero accorti da soli - che non c’era bisogno di
aiuto, che lui avrebbe pensato a me - ancora una volta - e che
potevano pure andarsene.
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Lo disse in un inglese assolutamente perfetto, se non lo avessi già
sentito parlare in italiano, avrei scommesso che fosse inglese.
Senza alcuna fretta, le persone intorno a me si allontanarono,
parlottavano fra loro e ogni tanto si giravano per sbirciare, un signore
sulla sessantina continuava a fissarmi mentre camminava dall’altra
parte e per poco non andò a sbattere contro un albero, fece finta di
niente e tirò dritto senza più voltarsi.
Dopo qualche minuto tutti avevano ripreso le loro vite e si erano
dimenticati di me. Sospirai riflettendo che quello era il secondo
episodio increscioso della giornata, mi rincuorai appena constatando
che anche quel brutto momento era ormai giunto al termine.
Il tipo mi guardava ancora un po’ preoccupato e io guardavo lui
incuriosita.
“Ma chi sei?” chiesi debolmente.
Lui mi sorrise con sincero affetto ma non rispose, notai che era
vestito con gli stessi abiti che aveva in aereo, jeans scoloriti, felpa
blu con cappuccio, giubbetto e portava ancora il berretto e gli
occhiali da sole benchè la giornata fosse grigia. Completamente
grigia.
“Ti senti meglio? Hai fame?” mi chiese.
A quelle parole, finalmente, intuii cos’era accaduto, guardai l’ora nel
mio I-pod, erano le due e quaranta del pomeriggio e non avevo
ancora pranzato, la mattina mi ero alzata di buonora e avevo fatto
colazione soltanto con un caffè e un paio di biscotti prima di andare
in aeroporto, non avevo toccato altro cibo e per di più avevo avuto la
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brillante idea di andare a correre, un calo di zucchero era il minimo
che potesse capitarmi!
“Sì, credo di aver bisogno di mangiare” risposi.
Il tipo carino tirò fuori dalla tasca dei jeans un pacchetto di caramelle
e me ne diede una.
“Andiamo, ti aiuto, qui davanti c’è un bar, mangiamo qualcosa.” Mi
lasciai aiutare ad alzarmi e ci avviammo.
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CAPITOLO TRE
un'espressione mistica
Il bar era tranquillo, poco affollato, c’era qualche cliente che beveva
birra al bancone ma per il resto il locale era vuoto, le luci erano basse
e in sottofondo c’era una gradevole musica jazz, i tavolini erano in
legno scuro, piccoli e quadrati, le sedie, anch’esse di legno scuro,
avevano la seduta imbottita e foderata di stoffa bordeaux.
Lui si diresse verso il tavolo più defilato e nascosto del locale, mi
porse una sedia e ci sedemmo, arrivò quasi subito una cameriera
molto giovane, avrà avuto vent’anni, era carina, il viso era dolce, i
capelli biondi e lisci legati in una coda bassa.
Ci elencò i piatti del menu, parlava un inglese molto veloce e non
capii quasi niente, il tipo la ascoltava educato poi si tolse gli occhiali
da sole, forse perché il locale era semibuio, e con quegli occhiali
doveva essere veramente difficile vederci qualcosa.
Improvvisamente la cameriera smise di parlare. Lo guardò. Lo
riguardò. Si agitò. Cominciò a fare dei risolini imbarazzati
portandosi la mano alla bocca e stringendo le esili spalle, conclusi
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che in qualche modo si conoscevano ma la reazione di lui fu
piuttosto passiva, anzi dovrei dire la sua non-reazione, la ignorò
completamente, si comportò come se non la conoscesse, come se non
ci fosse nulla di strano.
Ordinammo dei toast al formaggio e dell’acqua, la cameriera se ne
andò e per tutto il tragitto continuò a voltarsi verso di noi e a fare
risolini.
La reazione della cameriera era stata strana, continuavo a chiedermi
chi fosse quel ragazzo che avevo di fronte, tentai di saperne qualcosa
in più su di lui, con il tono più cortese di cui ero capace, con un bel
sorriso stampato in faccia chiesi: “Posso sapere chi sei? Per
esempio… cosa fai… come ti chiami?”
Non mi sembrava una cosa strana da chiedere, erano domande del
tutto legittime viste le circostanze, ritenevo di averne il diritto, ma la
sua reazione mi colse del tutto impreparata, si mise a ridere, rideva di
gusto.
Mi sentii profondamente offesa e glielo feci capire: “Da quando
chiedere a uno come si chiama e cosa fa per campare fa tanto
ridere?”
Mi stava prendendo in giro o cosa? Sembrava sempre più chiaro che
stesse nascondendo qualcosa.
“Scusami… - tentò di ricomporsi - non volevo offenderti…”
La cameriera tutta risolini e moine ci portò i toast, con uno sguardo
truce la cacciai via, volevo risolvere quella questione e decisi di fare
io il primo passo: “Lisa Mottai, 32 anni, laureata in Lettere e
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Filosofia a Firenze e ora residente a Perugia, Umbria, Italia. Ora
tocca a te.”
Per fortuna questa volta rispose: “Sono Richard Miller, 34 anni e
vivo qui a Londra”.
Mi sentii sollevata, era già qualcosa, evidentemente non si trattava di
una spia dall’identità segreta o roba del genere. O forse sì e quelle
che mi aveva fornito erano informazioni false, chissà… decisi di
credergli ma di non dargli troppa confidenza, ero sola a Londra e
dovevo fare attenzione.
Conversammo amabilmente per tutta la durata del pasto, non ci
furono silenzi pesanti o situazioni imbarazzanti, era un tipo
divertente e piacevole, mi sentivo a mio agio con lui.
Parlammo di tutto e di niente con l’unico obiettivo di rendere
reciprocamente piacevole il tempo trascorso, non uscì fuori
nient’altro sulla sua vita.
Si offrì di pagare il conto e dovetti lasciarlo fare, ero uscita di corsa e
senza soldi. Qualcosa dentro di me mi disse che se anche avessi
avuto il portafoglio con me, non sarebbe stato possibile impedirgli di
pagare.
Prima di uscire dal bar si rimise gli occhiali da sole e volle per forza
accompagnarmi in hotel.
Passammo per Hyde park, il parco era quieto, rispetto al resto della
città, malgrado ci trovassimo in una zona centrale di Londra, in
mezzo a quei prati perfettamente curati si respirava tranquillità e
pace. Un ragazzo stava leggendo un libro con la schiena appoggiata
Tatiana Ros Blue sky: quando accadono le cose
24
al tronco di un tiglio, c’era gente che passeggiava, altra che si
allenava e c’erano bambini un po’ ovunque, di tutte le età. Lo spazio
verde era enorme e tigli, faggi, ippocastani e querce imponenti
incorniciavano aiuole e ombreggiavano i viali.
La giornata era grigia, di solito il cielo scuro mi metteva di
malumore, invece, quel giorno, in compagnia di Richard,
passeggiando e chiacchierando in mezzo al verde, mi sentivo serena,
in pace con me stessa e con il mondo, una sensazione che non
provavo da un po’, erano mesi che non mi sentivo più così tranquilla.
Improvvisamente realizzai una cosa, dapprima non ci feci troppo
caso, ma poi, usciti dal parco, tutto fu più evidente, Richard si
muoveva per le vie della città senza esitazioni e senza mai chiedermi
dove andare, da quale parte svoltare…
Di proposito indietreggiavo ai bivi e lui, sicuro, continuava a
camminare con passo deciso, come se niente fosse.
Alla fine glielo chiesi: “Ma sai dove alloggio?”
“Sì, al Green hotel” rispose tranquillo, come se non ci fosse niente di
male.
L’irritazione mi invase: “E come fai a saperlo? E come facevi a
sapere il mio nome? E a sapere che ero al parco?”
Fu sorpreso dalla mia reazione e restò a guardarmi a bocca
semichiusa, interdetto.
Incalzai: “Per caso sei un maniaco o cosa?!”
Mi resi subito conto che quella domanda fosse un po’ fuori luogo.
Primo: non sembrava affatto un maniaco.
Tatiana Ros Blue sky: quando accadono le cose
25
Secondo: se, e solo se, lo fosse stato, non lo avrebbe mai ammesso
dicendo qualcosa del tipo: “Sì, sono un maniaco e sono qui per
violentarti e poi ucciderti”.
Richard era ancora immobile davanti a me, lo guardai e allargai le
braccia per esortarlo a darmi una spiegazione.
Con qualche esitazione, mi disse qualcosa che mi sorprese: “Tu sei
quella del Valentine, a Perugia, una decina di giorni fa.”
A quel punto ero io quella interdetta, non proferii parola, il mio
sguardo fra il curioso e l’irritato lo spronò a continuare: “Ti ho vista
lì, quella sera. Eri scatenata! Proprio tanto!”
Sorrise e continuò: “Ero lì con un amico. Volevo conoscerti ma… sei
sparita. Ad un certo punto… puff non c’eri più. Ho chiesto a un po’
di gente di te… e tutto quello che sono riuscito a sapere era il tuo
nome: Lisa. Pensavo che fosse finita lì, non ero riuscito a
conoscerti… poi, però, ti ho rivista in aereo… avevo una seconda
occasione per fare due chiacchiere e… ne ho approfittato. Non c’è
niente di male nel voler conoscere una ragazza.”
Strinse le spalle, era evidente che fosse un po’ in imbarazzo.
Me la ricordavo bene quella serata al Valentine. La mia amica Clara
mi aveva convinta che per guarire da qualsiasi momento difficile la
terapia migliore fosse quella di ingurgitare fiumi di vodka seguiti da
una serata al Valentine, uno dei migliori locali della zona.
Indossavo un top di Clara ricoperto di pagliette argentate che si
teneva su solo con due nastrini annodati sulla schiena, era un
Tatiana Ros Blue sky: quando accadono le cose
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pezzetto di stoffa davvero mini e copriva appena quello che era
doveroso coprire.
Avevo abbinato al top dei jeans blu attillatissimi e un paio di
scarpette dal tacco vertiginoso.
Clara aveva una camicetta bianca praticamente trasparente e una
minigonna di jeans.
Eravamo davvero carine, lei aveva un aspetto sbarazzino con i suoi
capelli corti e gli occhi scuri da cerbiatta, io invece ero, a parer mio,
un po’ troppo provocante ma Clara sosteneva che fossi uno schianto,
assolutamente adatta per una serata al Valentine e mi lasciai
convincere.
Mi incitò per tutto il tempo a lasciarmi andare, non pensando a
niente e a nessuno e mi assicurò che si sarebbe sacrificata per la
causa, sarebbe rimasta sobria e con gli occhi puntati su di me per
garantirmi una piena protezione e assistenza nel caso l’alcool mi
avesse impedito di badare a me stessa.
Non mi ubriacavo da un bel po’ di tempo, non c’ero più abituata e al
terzo drink ero già un pò fuori, allegra come non mai. Se qualcuno
mi avesse detto che gli era morto il gatto mi sarei sganasciata dalle
risate in modo del tutto inappropriato.
Il quarto drink me lo offrì un ragazzo dal viso tenero, con i capelli
corti e pettinati con la riga laterale, la camicia a righe rosse e un paio
di jeans dal taglio classico. Decisamente non era il mio tipo, ma
pagava lui… non potevo dire di no.
Tatiana Ros Blue sky: quando accadono le cose
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Dopo quel quarto drink avevo dato il meglio di me (o il peggio a
seconda dei punti di vista).
Ero salita sul tavolo e avevo ballato e cantato a squarciagola. Mi
stavo divertendo e facevo divertire un sacco di maschietti impazziti
che mi incitavano da sotto il tavolo.
Poi, come capitava sempre quando si era un po’ troppo ubriachi, mi
sentii male, Clara se ne accorse subito, mi aiutò a scendere dal
tavolo, mi accompagnò in bagno e lì vomitai per un tempo indefinito
e interminabile. Appena mi sentii meglio, almeno tanto quanto
bastasse per reggermi in piedi, uscimmo dal locale da un’uscita
secondaria e ce ne andammo.
Pensando a Richard che mi aveva vista quella sera, mi vergognai un
po’ ma cercai di nasconderlo, come meglio potevo.
Richard mi spiegò che sapeva che alloggiavo al Green hotel perché
aveva seguito i miei spostamenti dall’aeroporto, voleva invitarmi a
uscire e non voleva perdere le mie tracce ancora una volta. Poi era
andato a mangiarsi qualcosa nella tavola calda di fronte al mio
albergo e di lì a poco mi aveva vista uscire correndo e mi era venuto
dietro.
In effetti ero rimasta in camera soltanto il tempo necessario per
quella doccia rocambolesca.
Mentre parlava, si passava spesso la mano fra i capelli, notai che
aveva una leggera inflessione inglese nella cadenza, prima non me
ne ero accorta.
Tatiana Ros Blue sky: quando accadono le cose
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Il suo volto e le sue movenze mi trasmettevano un non so che di
familiare, forse una parte di me l’aveva notato quella sera al
Valentine.
Arrivammo a destinazione, di fronte alla hall del mio albergo lo
ringraziai e mi congedai, o almeno cercai di farlo, lui non mi mollò
fino a quando non acconsentii per un invito a cena. Decidemmo (anzi
“decise” dato che non mi lasciò altra scelta) che mi sarebbe passato a
prendere alle otto.
Salii su per le infinite scale fino alla mia camera. Il resto del
pomeriggio passò tranquillo, feci una doccia senza brutte sorprese,
dormii un po’ e chiamai casa per dire che tutto stava andando
benissimo.
Tralasciai ovviamente i piccoli e insignificanti dettagli dell’episodio
increscioso in aereo, del fatto che mi fossi dimenticata di mangiare,
dello svenimento nel parco e ovviamente del fatto che avevo un
completo estraneo alle calcagna.
In effetti, Richard era un grosso punto interrogativo ma
quell’incognita invece di intimorirmi, mi intrigava. Un brivido mi
percorse la schiena pensando a lui, chissà dove saremmo arrivati o se
saremmo arrivati da qualche parte.
Erano circa le sette di sera e decisi che era giunto il momento di
prepararmi per la serata.
Mi lavai i denti (due volte) mi depilai (anche se ero già perfettamente
liscia), scelsi un completino intimo nero di pizzo alquanto sexy.
Tatiana Ros Blue sky: quando accadono le cose
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Feci tutto quello che c’era da fare per una serata di successo,
qualunque cosa fosse successa, non volevo essere impreparata, la
vita mi aveva insegnato che a volte le cose accadevano quando meno
te lo aspettavi e avevo preso l’abitudine di essere sempre a posto,
soprattutto quando uscivo con un lui.
Mi tornò alla mente l’unica volta della mia vita in cui uscii con un
tipo e non ero affatto a posto. Era capitato una decina di anni prima,
durante il primo anno di università a Firenze, ero uscita di casa in
tuta per noleggiare un film. Al videonoleggio avevo incontrato un
ragazzo di Perugia come me, anche lui a Firenze per studiare.
Ancora non conoscevo quasi nessuno in città e incontrare una faccia
familiare mi aveva fatto sentire meno sola.
Dopo i soliti convenevoli scegliemmo di vedere un film insieme, da
me. Durante i titoli iniziali eravamo già avvinghiati sul mio divano.
Perdonai me stessa per aver ceduto così presto, perdonai me stessa
che fossi completamente struccata, perdonai me stessa che i miei
capelli fossero un disastro, perdonai me stessa che indossavo una
vecchia tuta deforme, ma i pelucchi sulle gambe e le mutande da
nonna che portavo… no, non me li ero mai perdonati. Al solo
pensiero mi veniva ancora la pelle d’oca.
Lui non ci fece caso, eravamo in penombra ed era concentrato
soltanto a saltarmi addosso.
Era uno di quei tipi “tutto e subito”, in due minuti mi aveva
completamente spogliata togliendomi tutto in un colpo solo, dopo
circa 30 secondi dal primo bacio era già dentro di me e dopo altri 30
Tatiana Ros Blue sky: quando accadono le cose
30
secondi, aveva già finito. Lui aveva i pantaloni calati ma per il resto
era perfettamente vestito.
Ci rimasi male. Mi ero concessa a quel ragazzo per avere un po’ di
tenerezza e di compagnia ma non mi aspettavo che il tutto fosse
durato meno di poco.
Così, con un sorriso stampato in faccia, per sdrammatizzare, mi
ritrovai a dire: “Mi devi un orgasmo”.
ll tipo rise un po’ imbarazzato, era chiaro che c’era rimasto male
anche lui, aveva perso completamente il controllo. Non era stato
dolce, non era stato coinvolgente, non era stato niente. Fu la peggiore
esperienza sessuale della mia vita, ce ne furono delle altre non
proprio belle ma quella fu la peggiore in assoluto. Non mi ero quasi
accorta di nulla, come se non fosse mai accaduto.
Capii che era meglio lasciar stare e ci mettemmo a vedere il film
come se fossimo appena entrati in casa.
La serata scorse piatta, guardammo il film in silenzio, qualche parola
di commiato e ben presto mi ritrovai di nuovo sola.
Lui era stato a disagio per tutto il tempo, fu proprio il suo imbarazzo
a spingermi a ritentare. Era un tipo carino e non volevo conservare
un ricordo così negativo di lui, meritava una seconda possibilità.
Una sera lo invitai ancora da me. Sul tardi, ci ritrovammo sul mio
letto e lui cominciò di nuovo freneticamente a spogliarmi,
evidentemente quello era l’unico modo che conosceva.
Dovevo fare qualcosa, non potevo permettere che lo squallore della
prima volta accadesse ancora. Decisi di legargli le mani sopra la testa
Tatiana Ros Blue sky: quando accadono le cose
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sulla spalliera del letto, per tenerlo buono, mi sembrava di non avere
altra scelta.
Lentamente mi spogliai, e con calma gli salii sopra.
Notai che aveva ancora problemi di autocontrollo, così decisi di
divertirmi un po’ con lui, ogni volta che stava per avere l’orgasmo
mi fermavo di colpo, senza preavviso. Lui contraeva il viso
assumendo un’espressione mistica, sofferente, gli si gonfiavano le
vene del collo a dismisura e emetteva un forte gemito, tutto il suo
corpo chiedeva pietà ma io non mi lasciavo impietosire.
Malgrado le sue reazioni, i suoi occhi brillavano, il gioco piaceva
anche a lui.
Poi, soltanto dopo essere completamente soddisfatta e appagata, lo
lasciai concludere.
Non lo rividi più. Provò a chiamarmi nei giorni seguenti ma non
risposi mai e capì l’antifona, non eravamo fatti per stare insieme. Ci
avevo provato, per due volte ma sapevo che fra noi non avrebbe mai
funzionato.
Però ero riuscita a conservare un ricordo positivo di lui, per me era
abbastanza.
Scacciai quei pensieri con un sorriso e mi concentrai su cosa
indossare per la cena con Richard.
Non avevo nulla da mettermi, nulla di appropriato.
Ovviamente sarebbe stato così anche se avessi posseduto un intero
negozio di vestiti. L’abito giusto era sempre quello mancante.
Tatiana Ros Blue sky: quando accadono le cose
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Vuotai la valigia sopra il letto, mi provai qualcosa ma niente mi
soddisfaceva.
Alla fine, senza convinzione ma messa alle strette dal tempo che
scorreva inesorabile, optai per un paio di jeans attillati (perfetti per
ogni occasione) e un cardigan giallo avvitato, alquanto scollato ma
non troppo, a maniche lunghe, talmente lunghe da arruffarsi in fondo
rendendolo non troppo banale.
Misi le uniche scarpe con il tacco alto che mi ero portata, degli
stivaletti alla caviglia neri di camoscio.
Andai in bagno, mi spruzzai una generosa dose di Opium sul collo e
sui polsi e mi prodigai per un trucco stile “c’è ma non si vede”.
Non sapevo dove mi avrebbe portata a cena, un ristorante elegante,
una tavola calda o magari un hot-dog per strada, quindi il mio
abbigliamento doveva andar bene per qualunque occasione.
Alle otto in punto squillò il telefono della camera e il receptionist mi
informò che c’era un ragazzo ad attendermi. Risposi che sarei scesa
in un attimo, presi la borsa, il giacchetto e uscii.
Richard mi stava aspettando nella hall e mi accolse con un caldo
sorriso. Anche lui era in jeans, ma un modello diverso da quelli che
indossava nel pomeriggio, questi erano più aderenti, schiariti sulle
cosce e avevano degli strappi ben studiati qua e là. Portava un
giacchetto in jeans, una maglia nera e sneakers ai piedi.
Mi sorpresi a fissarlo, quel quadretto di lui sorridente vestito in stile
finto-trasandato mi piaceva davvero.
Tatiana Ros Blue sky: quando accadono le cose
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Con un braccio mi cinse la vita e mi invitò ad uscire, fuori c’era un
taxi ad attenderci, aprì la portiera dell’auto e mi fece entrare. Un vero
gentiluomo.
“221 Cheyne Walk” disse al tassista.
Tatiana Ros Blue sky: quando accadono le cose
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CAPITOLO QUATTRO
una complicazione fatta persona
“Dove siamo diretti?” chiesi curiosa.
“Non lontano da qui, a sud di Hyde park, vicino al Tames.”
Notai che pronunciò il nome del fiume in inglese, non disse
“Tamigi” ma “Tames”.
Chiesi a bruciapelo: “Ma tu sei italiano, inglese o… cosa?”
Avevo notato che quando l’avevo sentito parlare in inglese
sembrava madrelingua e l’italiano… beh lo parlava esattamente
come me.
Rispose tranquillo: “Mio padre era inglese e mia madre era
italiana. Ho vissuto un po’ in Italia e un po’ qui.”
Aveva parlato dei suoi genitori al passato, mi si strinse il cuore.
Era la prima volta che gli ponevo una domanda e ricevevo una
risposta chiara ed esauriente.
Tentai di sapere qualcosa in più, qualcosa che riguardasse il
presente, non capivo perché ottenere anche le più banali
informazioni da lui fosse un problema.
Tatiana Ros Blue sky: quando accadono le cose
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In quel momento mi sembrava che fosse perfettamente a suo
agio così buttai lì: “Cosa fai nella vita?”
Non era una domanda fuoriluogo. Affatto.
Non era una domanda troppo personale. Affatto.
Cosa. Fai. Nella. Vita.
Niente di più semplice e banale, poteva rispondermi parlando del
suo lavoro, dei suoi hobby, dei suoi amici…
Qualsiasi cosa sarebbe andata bene. Qualsiasi.
Invece lui sorrise e non rispose.
Quel suo atteggiamento mi infastidiva, non capivo perché non
voleva parlarmi di sé, nemmeno nel modo più superficiale possibile.
Ero delusa e un po’ arrabbiata, continuavo a chiedermi se avessi
fatto bene ad accettare l’invito a cena.
Volevo soltanto passare una serata rilassante e se possibile
divertente ma lui era un mistero, con Richard non riuscivo proprio a
comunicare. O meglio, io e lui avevamo comunicato benissimo al bar
nel pomeriggio ma soltanto perché non avevo fatto domande su di lui
o sulla sua vita.
Non volevo complicazioni, ma lui era una complicazione fatta
persona.
Mi girai verso il finestrino e non parlammo più, fra noi calò un
silenzio velato di disagio.
Quella sua eccessiva riservatezza mi dava fastidio, mi sentivo
offesa.
Tatiana Ros Blue sky: quando accadono le cose
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Lui non fece niente per recuperare la situazione, percepivo il suo
sguardo su di me ma… niente, non mi chiese niente e non parlò di
niente. Silenzio. Soltanto un pesante silenzio ci teneva compagnia.
Il taxi si fermò, eravamo arrivati, Richard pagò e scendemmo.
Mi guardai intorno, era buio e i lampioni di ghisa neri
illuminavano la strada di un colore ocra scuro, sfumato.
Il quartiere era elegante, ben tenuto e tranquillo, al di là della
strada c’era un piccolo parco che costeggiava il fiume, era ben
curato, c’era un vialetto che lo attraversava dove una signora
grassoccia camminava frettolosamente con un andamento a papera.
Un uomo dal fisico asciutto, in tenuta sportiva, dall’altro lato del
vialetto, si stava avvicinando correndo sicuro.
C’erano delle panchine a ridosso del fiume dello stesso stile dei
lampioni, classiche e dipinte di nero.
“Per di qua” disse.
Mi indicò una palazzina di cinque piani in mattoncini
facciavista. Le finestre erano dipinte di bianco e ben allineate. Quel
bianco sembrava illuminasse il rosso scuro dei mattoncini
conferendo alla palazzina una certa eleganza.
C’era un piccolo giardino di fronte alla casa, il prato era falciato
di fresco e qua e là c’erano alberi di betulla e di magnolie, il vialetto
d’ingresso era costeggiato da siepi verdi e rigogliose.
Davvero un bel posto ma di certo non sembrava affatto un
ristorante o un locale di qualsivoglia genere.
Tatiana Ros Blue sky: quando accadono le cose
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Chiesi: “Scusa Richard ma dov’è il locale? Questa sembra in
tutto e per tutto una casa.”
Rispose tranquillo accennando a un sorriso: “Infatti, questa è una
casa, io abito qui.”
Ero sbalordita: “Coosaa?!”
Esplosi: “Tu mi hai portato a casa tua senza neppure
chiedermelo? Io non ti conosco, non so chi sei e di certo non voglio
venire a casa tua stasera. Avevo accettato un invito a cena, sì, ma in
un locale, un luogo affollato, con altra gente. UN LOCALE! Ma per
chi mi hai preso? Per quel che ne so potresti essere…”
Avrei potuto dire un maniaco, un pluriomicida, ma non ci
credevo nemmeno io, e non volevo offenderlo così pesantemente,
così dissi: “…chiunque! Tu puoi essere chiunque!”
Lui rimase più sbalordito di me, non si aspettava il mio attacco.
Cercai di recuperare la calma e scandendo le parole dissi: “Io
non ti conosco, non voglio entrare in casa tua. Non sono quel genere
di ragazza.”
Si affrettò a dire: “No, no, lo so che non sei… lo so… non
volevo…”
Riprese fiato e un po’ imbarazzato continuò, anzi cercò di
continuare: “Il fatto è che…”
Ma non riusciva a proseguire, sembrava che le parole gli si
fossero bloccate in gola e non potessero più uscire, come se una
forza misteriosa le spingesse dentro di lui, Richard provava a farle
uscire, a liberarle ma non poteva.
Tatiana Ros Blue sky: quando accadono le cose
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“Non so chi sei” dissi con un filo di voce, sempre più delusa.
Messo alle strette riuscì a dire: “Il fatto è che… non possiamo
andare in un locale.”
“E perché mai?”
“Non possiamo. Non possiamo. Non voglio parlarne qua fuori…
Fidati di me. Io… Io vorrei stare un po’ con te. Solo due chiacchiere
davanti a una buona cena. Non possiamo andare in un locale.”
Io lo guardavo incredula e davvero non sapevo cosa fare o cosa
dire.
Continuavo a fissarlo. Mi guardò. Ci guardammo. Silenzio.
Disse: “Ovviamente te ne puoi andare quando vuoi. Ma almeno
entra. Prova a entrare.”
Lo guardavo sbalordita, ancora non riuscivo a rispondere, quel
tipo mi piaceva, parecchio, ma allo stesso tempo c’erano troppe cose
che non capivo.
Sorrise imbarazzato: “Credo che una volta entrati capirai molte
cose.”
Quali cose? Era un trucco per farmi entrare o davvero avrei
capito?
La mia mente esaminò la situazione in cui mi ero cacciata.
Mi trovavo da sola, in una città straniera, in compagnia di uno
sconosciuto.
Non dovevo entrare.
Era un soggetto attraente ma alquanto misterioso e atipico.
Non dovevo entrare.
Tatiana Ros Blue sky: quando accadono le cose
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Mi sentivo ingannata. Pensavo di cenare con lui in un locale
affollato e invece, mi ero ritrovata di fronte a casa sua.
Non dovevo entrare.
Stavo attraversando un brutto periodo, non ero del tutto padrona
di me stessa, ero facilmente manipolabile.
Non dovevo entrare.
Mi consideravo una brava ragazza e le brave ragazze non
accettavano di andare a casa di sconosciuti. Mai.
Non dovevo entrare.
Se fossi dovuta scappare via, non conoscevo il posto e le
possibili vie di fuga.
Non dovevo entrare.
Avevo bisogno di serenità e qualcosa mi diceva che quel tipo mi
avrebbe incasinato la vita più di quanto non lo fosse già.
Non dovevo entrare.
Di certo non potevo accettare, non potevo entrare in casa sua,
non potevo e non volevo fidarmi di lui.
“Ti prego, entra… poi se non ti va… te ne vai via. Ma entra”. Il
suo sguardo era implorante, dolcissimo.
C’erano mille ragioni per cui non sarei dovuta entrare e nessuna
buona ragione per dire di sì.
Alzai le spalle e con voce incerta mi sorpresi a dire: “Ok, ci
provo”.
Mi stupii di me stessa, ma perché la mia bocca non faceva ciò
che il cervello gli aveva ordinato di fare?
Tatiana Ros Blue sky: quando accadono le cose
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Avrei dovuto dire “No, non se ne parla proprio, é meglio che
torni in hotel”.
Invece avevo accettato, la mia bocca aveva detto di sì e ora stavo
per entrare in casa di uno sconosciuto misterioso.
Dovetti ammettere a me stessa che, malgrado le mie pessime
congetture, non ero affatto intimorita dalla situazione, Richard
continuava a trasmettermi fiducia e sicurezza. Un uomo con quegli
occhioni blu, così blu, così dolci non poteva fare del male nemmeno
a un moscerino, proprio non poteva.
Ero nervosa, quello sì, ma quella non era paura, non era affatto
paura.
Di solito, quando si trattava di uomini ero sempre padrona della
situazione e sicura di me stessa, non ero mai così agitata o nervosa.
Invece quella sera ero agitata, invece quella sera ero nervosa.
Soltanto un’altra volta avevo vissuto una cosa simile, quel
pensiero mi avrebbe dovuto mettere in allarme.
L’uomo che in passato mi aveva fatto sentire così era la causa
dei miei attuali problemi.
Era successo otto anni prima, a Firenze durante l’Università,
quella mattina il professore era assente e le lezioni erano terminate
prima del solito.
Io e Marisa, una mia amica di studi, avevamo deciso di farci un
giro per la città, chiacchierando eravamo arrivate in piazza Beccaria,
era primavera, c’era il sole, la giornata era splendida e si stava
avvicinando l’ora di mangiare.
Tatiana Ros Blue sky: quando accadono le cose
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Entrammo in un bar che preparava anche piatti veloci per il
pranzo, ci sedemmo all’unico tavolo libero e ordinammo due insalate
con tonno.
Il locale era alla moda, tinto di blu, le piastrelle erano lucide
come specchi, c’era un sacco di gente tiratissima, giovane, frizzante.
Io e la mia amica eravamo in tenuta universitaria, jeans, scarpe
da ginnastica e felpa. Io avevo I capelli raccolti in una coda di
cavallo, Marisa invece li portava sciolti. Marisa era sempre stata
molto bella, alta addirittura più di me, snella e sempre sorridente.
Con me era sempre stata un’amica fidata, di quelle che potevi
chiamare a qualsiasi ora del giorno e della notte, di quelle sempre
disponibili ad aiutarti, a confortarti, ad ascoltarti. Purtroppo però,
dopo l’università, con lo scorrere del tempo ci siamo perse di vista
sempre di più, allontanate dagli eventi delle nostre vite.
Quella tarda mattina, in quel bar, due ragazzi ci chiesero se
potevano sedersi al nostro tavolo, i tavoli liberi erano finiti.
Erano tipi dinamici, dal sorriso bianchissimo.
Io e Marisa ci interrogammo con uno sguardo complice, indecise
sul da farsi, alla fine decidemmo di farli accomodare.
Era evidente che quei due ragazzi fossero più grandi di noi, ci
dissero che lavoravano in uno studio di architettura sul lungarno e
avevano da poco terminato gli studi universitari. Due architetti.
Niente male.
Fu così che conobbi Alessandro. Ale.
Era un tipo di quelli che catturavano l’attenzione. Sempre.
Tatiana Ros Blue sky: quando accadono le cose
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Aveva una forte personalità, era piacevole, loquace, per niente
noioso o pesante, diceva sempre cose interessanti, almeno per me.
Me ne innamorai quasi subito.
Dopo il pranzo ci accordammo per rivederci la sera, poi il giorno
seguente, poi quello dopo ancora… e così via.
Finchè, un giorno, finimmo a letto insieme, anzi no… finchè, un
giorno, facemmo l’amore, non mi ero mai innamorata davvero prima
di allora.
Quella sera dovevamo uscire con un gruppo di amici e lui mi
venne a prendere a casa.
Benchè fossimo usciti già svariate volte insieme, ancora non
c’era stato niente fra noi, non un bacio, non un abbraccio, niente di
niente.
Qualche giorno prima ero addirittura stata da lui a cena ed ero
certa che qualcosa sarebbe successo, almeno me lo auguravo, invece
i suoi coinquilini, che dovevano essere fuori, piombarono
nell’appartamento con una ciurma di amici. La nostra cenetta
romantica si trasformò in una festa di quelle con la musica che
spaccava le orecchie e la gente mezza brilla che ballava ovunque.
Mi ero divertita parecchio, mi ero scatenata, avevo conosciuto un
sacco di persone, ma la festa e la confusione avevano azzerato la
possibilità che si verificasse un qualsiasi contatto di natura intima fra
me e Ale.
Lui mi guardava mentre ballavo, i suoi occhi neri brillavano. Ale
era alto, dal fisico atletico, i suoi capelli erano scuri e lucenti, capelli
Tatiana Ros Blue sky: quando accadono le cose
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ribelli che spesso si toglieva dagli occhi con un gesto che mi faceva
impazzire.
Ale era un tipo che piaceva alle ragazze. Troppo. Aveva carisma,
era sempre sicuro di sé, sapeva muoversi.
Era sua abitudine gesticolare molto mentre parlava e quel suo
modo di fare imbambolava letteralmente chi lo ascoltava. Era
coinvolgente, colto ed era pure divertente, sapeva farmi ridere come
pochi.
All’inizio non capivo perché lui ci andasse così piano con me,
avevo anche temuto di non piacergli abbastanza, almeno in quel
senso.
Invece poi compresi che il suo comportamento era dettato dalla
nostra differenza di età, era più grande di me di otto anni. Tanti
quando si era così giovani, non voleva fare errori.
La nostra prima volta successe per caso.
Ale era sempre puntualissimo e quella sera, quando arrivò da
me, io ero in terribile ritardo, lo accolsi in casa tutta gocciolante, ero
appena uscita dalla doccia ed ero coperta soltanto da un
asciugamano.
“Ci metto un attimo, accomodati dove vuoi” dissi frenetica dopo
avergli aperto la porta.
Lui mi squadrò da cima a piedi, rimase colpito dal mio
abbigliamento (anzi, dal mio non-abbigliamento), entrò in casa e
invece di recarsi in soggiorno ad aspettarmi, si diresse senza
esitazioni verso camera mia.
Tatiana Ros Blue sky: quando accadono le cose
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Il mio “accomodati dove vuoi” sottintendeva “dove vuoi ma in
soggiorno”, il fatto che se ne fosse andato in camera mia, la stessa in
cui dovevo vestirmi, mi lasciò interdetta, lo seguii e mi spiegai
meglio: “Non che la tua presenza qui mi dia fastidio, ma devo
vestirmi, sono nuda”.
Allargai le braccia per sottolineare il mio stato, qualcosa nel suo
sguardo mi disse che ne era più che consapevole.
Sorrise in modo promiscuo e rispose “Perfetto, fai pure.”
Si sedette sul mio letto e accavallò le gambe, in attesa. Fu tutto
chiaro e limpido come il cielo d’estate.
Non era stata mia intenzione tentarlo in qualche modo, avevo
agito d’impulso, gli avevo aperto la porta in quello stato spinta dalla
fretta, dal ritardo.
Dato che eravamo usciti insieme già parecchie volte e non mi
aveva ancora sfiorata neanche con un dito, la mia parte più intima
cominciava a credere che non fosse attratto dal mio corpo, ero
convinta che non avesse fatto caso al mio non-abbigliamento.
Mi sarei aspettata più un rimprovero per il fatto che non fossi
pronta piuttosto che quello che invece stava accadendo.
Rimasi in piedi davanti a lui, anch’io in attesa.
Sentivo il bisogno di lui, del suo corpo, sapevo che sarebbe
bastato avvicinarmi, avrei potuto baciarlo, avrei potuto lasciar cadere
sapientemente l’asciugamano lungo i fianchi o mille altre cose ma
non feci nulla di tutto ciò.
Tatiana Ros Blue sky: quando accadono le cose
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La consapevolezza che stava per accadere, in quel momento, con
Ale, mi innervosiva, mi immobilizzava, ero incapace di muovermi,
di parlare, di agire.
Mi sforzai di essere disinibita ignorando ciò che dentro di me
stava ribollendo senza controllo, riuscii ad abbozzare un sorriso.
Non volevo però che lui interpretasse male le mie emozioni, non
doveva pensare che non lo volevo.
Andai verso la porta di camera mia per chiuderla, la mia
coinquilina poteva tornare a casa in qualsiasi momento e volevo
privacy, era un segnale inequivocabile.
La porta era molto vecchia, non si poteva chiudere a chiave, non
c’era mai stata una chiave, quando volevo non essere disturbata
incastravo una sedia sotto la maniglia. Così feci, presi la sedia di
fianco alla porta e la posizionai sotto la maniglia.
Lui mi osservava ancora seduto sul mio letto, un letto a una
piazza, troppo piccolo per due.
La mia camera era grande ma quasi vuota, c’era una piccola
scrivania davanti alla finestra, costantemente coperta di libri, un
piccolo armadio e poco altro.
Quel lettino in mezzo alla stanza, con Ale, così alto, seduto
sopra, sembrava un fuoriscala.
Lui si alzò dal letto, venne verso di me, evidentemente il segnale
che gli avevo inviato chiudendo la porta aveva suscitato un qualche
effetto.
Tatiana Ros Blue sky: quando accadono le cose
46
Ora lui sapeva che anche io lo volevo, nessuna incomprensione,
nessuna esitazione, nessuna incertezza. Il nostro momento era
arrivato.
Posò le sue mani sopra le mie che in quel momento erano
saldamente aggrappate all’asciugamano, quel telo di spugna non
doveva scivolare via, non ancora, mi faceva sentire protetta.
Mi guardò dritto negli occhi, le sue mani erano calde e
rassicuranti sopra le mie e piano piano mi aiutò a mollare la presa.
L’asciugamano cadde inesorabilmente a terra, rimasi nuda,
davanti ad Ale, vulnerabile, indifesa.
Lui non distolse gli occhi dai miei, non sbirciò le mie nudità,
gliene fui grata, non mi sentivo ancora a mio agio.
Continuava a fissarmi dritto negli occhi.
Posò le sue grandi mani calde sulle mie spalle e con voce bassa
disse: “Lisa, lo sai che sono pazzo di te?”
Mi baciò, fu un bacio caldo, protettivo, dolce, durò a lungo, e
piano piano il bacio divenne sempre più impaziente, agitato.
Stavo superando l’imbarazzo iniziale, sapevo che anche lui mi
voleva, sapevo di essere anch’io pazza di lui, ora intuivo persino che
se non mi aveva ancora sfiorata era stato per proteggermi.
Si tolse la maglia, lo aiutai con i pantaloni, ci ritrovammo nudi
sul mio lettino, mi baciò ovunque, la bocca, il viso, il collo, scese un
po’ più giù, la sua bocca era sempre più vorace.
Tatiana Ros Blue sky: quando accadono le cose
47
Mi stava facendo perdere il controllo, con audacia gli afferrai
una mano e gliela appoggiai lì, volevo che sapesse quanto lo
desideravo, volevo che sapesse che mi sentivo al sicuro.
Quel mio gesto fu inequivocabile, forte. Il suo respiro si fece
frenetico, iniziò a toccarmi davvero, la sua bocca intanto si dava da
fare con il mio seno in modo sempre più prepotente.
Stavo per esplodere, mi stavo avvicinando a ritmo velocissimo al
mio primo orgasmo con lui.
Con la mia mano afferrai la sua su di me e la spinsi ancora di
più, fu un orgasmo lungo e profondo, il più bello della mia vita.
Almeno fino ad allora.
Quando i miei muscoli tornarono a rilassarsi, aprii gli occhi, Ale
mi stava osservando, il suo sguardo era compiaciuto e
tremendamente eccitato. Lo baciai, volevo di più, volevamo di più.
Mi fece inarcare la schiena tanto era intenso il piacere.
D’improvviso si fermò e restò così per qualche istante, i suoi occhi
nei miei occhi, fu una sensazione bellissima, era come se mi stesse
dicendo: “E’ con me che stai facendo l’amore. CON ME”.
Cercai di restituirgli quello sguardo ipnotico, non avevo mai
desiderato nessuno con quell’intensità.
Ale sapeva esattamente quello che faceva, ogni movimento era
perfetto, di un’intensità senza pari, forse perché provavamo già dei
sentimenti profondi l’uno per l’altra che rendevano quei momenti
ancora più vivi e potenti.
Tatiana Ros Blue sky: quando accadono le cose
48
Dopo un tempo impossibile da quantificare, finimmo insieme,
esausti, appagati, Ale si accasciò su di me, il volto sprofondato sul
mio petto, il silenzio era rotto soltanto dai nostri respiri.
Dopo qualche istante, quando ormai eravamo tornati nel
presente, con un filo di voce disse: “Mi sto innamorando di te, se non
è lo stesso per te mandami via. Adesso. Prima che sia troppo tardi”.
Quella frase mi riscaldò l’anima, la mia anima fredda fino ad
allora, la stessa che non aveva ancora conosciuto l’amore, quello
vero, si sciolse come un ghiacciolo al caldo sole d’estate.
Sentivo il peso del suo corpo sul mio, il suo respiro sfiorarmi la
pelle, risposi: “Resta Ale. Resta.”
Quello fu l’inizio della nostra storia.
Otto anni dopo, tutto era cambiato, mi sembrava un’altra vita,
non la mia.
Ora mi trovavo davanti al cancello della casa di Richard, un altro
uomo, un altro luogo, un’altra realtà, un altro pezzo della mia stessa
vita.
Provavo lo stesso nervosismo e la stessa tensione di quella sera
con Ale con l’asciugamano stretto fra le mani. Mi preoccupai per
quelle sensazioni, non avevo nessuna intenzione di finire a letto con
Richard. Nessuna. Ma anche il semplice pensiero di stare da sola con
lui mi inquietava.
“Entriamo, vieni” Richard aprì il cancello e mi porse la mano.
Aveva percepito la mia agitazione, avevo bisogno di un
sostegno, afferrai la sua mano ed entrammo in casa sua.
Tatiana Ros Blue sky: quando accadono le cose
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Tatiana Ros Blue sky: quando accadono le cose
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CAPITOLO CINQUE
come la pioggia d'estate
La porta d’ingresso si apriva su un enorme salone, il grande tavolo
poco più in là era già apparecchiato per due, con tovaglia e
porcellane bianche ed eleganti, calici di finissimo cristallo. Nel
mezzo del tavolo la luce delle candele riscaldava l’atmosfera.
Notai un grande pianoforte nero, lucido che dominava l’intero
salone.
Arrivò subito una signora ad accoglierci, il grembiule bianco
merlettato spezzava la monotonia delle sue vesti nere, i capelli,
ormai grigi, erano raccolti in un perfetto chignon sulla nuca.
La signora si affrettò a liberarci dai nostri giacchetti.
“Grazie Nina” disse Richard.
Lei rispose a Richard con uno sguardo d’intesa, uno sguardo
colmo di approvazione e di calore, dopo di che scomparve in cucina
e chiuse la porta dietro di sé.
Per rompere l’imbarazzo che diventava sempre più
insopportabile, mi sentii in dovere di commentare quello che stavo
Tatiana Roscini_Blue sky: quando accadono le cose
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osservando: “Questa casa è enorme, accogliente, elegante… un bel
posto. Davvero. ”
“Grazie…” rispose con gratitudine.
Mi accompagnò verso il divano, era grande, di pelle nera, posto
vicino al pianoforte: “Accomodati. Gradisci qualcosa da bere? Un
aperitivo… del vino…”
Notai che anche Richard era nervoso, la sua mano non la
smetteva più di passare fra i capelli.
“Vino bianco, grazie” sorrisi con dolcezza cercando di mettere
entrambi a nostro agio, quella tensione fra noi non mi piaceva.
“Torno in un attimo.” si diresse verso la cucina e lo sentii parlare
con Nina in inglese.
Mi sedetti sul divano e mi guardai intorno, alle pareti erano
appesi dei quadri che riproducevano paesaggi marini dai colori tenui
e delicati. Erano così belli che osservandoli si percepiva quasi il
rumore delle onde del mare.
Quei quadri mi fecero pensare a Lorenzo, mio figlio, come tutti i
bambini amava il mare, se ne stava per ore a giocare sul bagnasciuga
con la sabbia.
Aveva già quattro anni ormai, ero partita da un giorno e già mi
mancava moltissimo. Mi mancava tutto di lui, le sue manine
cicciottelle sul mio viso, i suoi boccoli neri, la sua pelle chiara e
delicata come seta.
Tatiana Roscini_Blue sky: quando accadono le cose
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Al mare lo impiastricciavo sempre con quintali di crema per non
farlo arrossare, lui frignava sempre. Mi mancavano anche i suoi
capricci.
Dopo la mia laurea io e Ale dovevamo decidere cosa fare del
nostro futuro, stavamo insieme già da quattro anni e le cose fra noi
sembravano andare benissimo.
Io ero molto legata a Perugia, la mia città, conoscevo tanta gente
e la vita lì scorreva tranquilla. Ale si era innamorato di quel posto, di
quella gente, sosteneva che sarebbe stata una base perfetta per una
famiglia, la nostra famiglia.
Decidemmo di iniziare lì una vita insieme, Ale comprò un
terreno, ci costruì una bellissima casa e aprì uno studio di architettura
in città. Le cose andavano bene o perlomeno, questo era quello che
dicevamo a noi stessi.
Lorenzo era arrivato presto, inaspettatamente, crescere Lory
occupava gran parte delle mie giornate, per il resto del tempo
lavoravo nello studio di Ale, svolgendo mansioni di tutti i tipi. Non
riuscivo a trovare un lavoro tutto mio e lavorare con Ale, per Ale mi
piaceva, non percepivo uno stipendio dato che era una cosa
temporanea e saltuaria, ma mi andava bene così.
Facevo quel che serviva e per il momento mi accontentavo,
convincendomi che presto sarei riuscita a trovare un lavoro vero.
D’un tratto un quadro mi balzò agli occhi distogliendomi dai
miei pensieri, era appeso sul muro dietro al pianoforte e non era
Tatiana Roscini_Blue sky: quando accadono le cose
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come tutti gli altri. Una grande cornice sottile, moderna e nera
racchiudeva un collage di tantissime foto e articoli di giornale.
Mi alzai dal divano e mi avvicinai per osservarlo meglio.
Guardai. Guardai meglio. Sgranai gli occhi e guardai ancora. I
miei pensieri si accavallarono gli uni sugli altri. Mi agitai.
Non ci potevo credere, ma come avevo fatto a non capire? Gli
indizi c’erano tutti, sarebbe bastato fare due più due e…
Era totalmente fuori dalle mie aspettative che non ci ero arrivata,
non me lo sarei mai immaginata. Mai e poi mai.
In quel momento Richard uscì dalla cucina con due calici di vino
bianco in mano e notò l’espressione di sconcerto sul mio volto.
Un istante e capì al volo, si fermò e con voce decisa disse: “Sì,
Lisa. Sono io.”
Provai ad analizzare le mie emozioni, decidere cosa dire, cosa
fare…
Ero sbalordita, immensamente, ma non ero in collera con lui.
Niente rabbia. Forse sarebbe stato più logico arrabbiarsi, ma non lo
ero, di certo avrebbe potuto dirmelo prima, questo sì.
Ero curiosa, molto curiosa, pretendevo delle spiegazioni e non
mi sarei accontentata di un sorrisetto.
“perché non me l’hai detto?”
Per fortuna rispose subito, senza esitazioni, fornendomi le
informazioni che desideravo conoscere.
“Non sai quanto significhi per me che tu sia venuta qui senza
saperlo. Non puoi immaginarlo. Davvero. Sei qui perché in qualche
Tatiana Roscini_Blue sky: quando accadono le cose
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modo ti interesso io. Io. Non Il mio lavoro o tutto ciò che ci sta
intorno. Solo io.”
Cominciava tutto ad avere un senso.
Lui era Ric, RIC, il front man degli Island, un gruppo rock
inglese molto famoso. Avevo anche un sacco di pezzi degli Island
nel mio I-pod, conoscevo abbastanza bene la loro musica, ma non
avevo riconosciuto Richard, proprio non ci avevo pensato.
La gente come Ric apparteneva a un mondo parallelo rispetto al
mio, due mondi diversi incapaci di incontrarsi, almeno questo era
quello che pensavo fino a quel momento.
Invece Ric era Richard. Richard era Ric. In carne e ossa. E io mi
trovavo a casa sua.
Se solo mi avesse detto di chiamarsi Ric e non Richard… forse
avrei capito… forse mi sarebbe venuto in mente…
Ma lui aveva ragione, se l’avessi riconosciuto prima non
avremmo mai saputo, nè io, nè lui, se avevo accettato l’invito a cena
perché ero interessata a Richard o a Ric.
Esaminai il quadro, mostrava foto e articoli della carriera degli
Island, c’erano foto di Ric in camerino, immagini dei concerti,
articoli che parlavano delle conquiste degli Island in campo
musicale.
Una foto mi colpì più delle altre, ritraeva Ric su un palco, vestito
elegantissimo, completo nero e camicia bianca, era bellissimo,
teneva in mano un trofeo che riproduceva un grammofono dorato.
Tatiana Roscini_Blue sky: quando accadono le cose
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Conoscevo quel premio, era il Grammy Award, uno dei premi più
ambiti per ogni musicista.
Ciò che catturò la mia attenzione, però, non fu il fatto che avesse
vinto il Grammy Award o il fatto che fosse così affascinante, ma fu il
suo volto, la sua espressione.
La foto immortalava Ric a mezz’aria, mentre saltava innalzando
il trofeo verso l’alto in segno di vittoria.
Osservandolo si percepivano le emozioni che stava vivendo, era
trionfante, sorridente, soddisfatto, la gioia fatta persona, la sua
felicità era palpabile, quasi si potesse toccarla con un dito.
Quel Ric si contrapponeva nettamente al Richard che avevo
davanti, un uomo un po’ schivo, di poche parole, introverso,
misterioso.
Era difficile pensare che il ragazzo che conoscevo io e quello
così sfacciatamente esplosivo della foto fossero la stessa persona,
sembravano due entità distinte, sembrava come se qualcosa o
qualcuno lo avesse spento.
Guardai Richard e poi tornai al quadro, di nuovo Richard e poi di
nuovo il quadro. Non potevo ancora crederci. Quante cose erano
successe in quella giornata!
Ora potevo spiegarmi perché indossava spesso berretto e occhiali
da sole, e perché si era defilato in aeroporto. Non voleva essere
riconosciuto, non voleva essere importunato.
Tatiana Roscini_Blue sky: quando accadono le cose
56
La cameriera del locale dove avevamo pranzato aveva capito chi
fosse, per questo si era comportata in quel modo strano, tutto risolini
e moine.
Proprio non mi sarei mai aspettata di imbattermi in Ric degli
Island, le immagini che li riguardavano sulle riviste o in Tv, li
ritraevano sempre tutti insieme, come un’entità unica, era difficile
distinguerli.
Mi piaceva la musica, ascoltavo moltissimo la radio, scaricavo
parecchie canzoni da I-tunes, avevo play list per ogni situazione, per
addormentarmi, per gasarmi, per correre, per concentrarmi… ma mi
interessavo della musica, dei brani, non certo dell’immagine o della
vita degli artisti.
D’improvviso, mentre stavo ricostruendo gli avvenimenti della
mia prima incredibile giornata a Londra un pensiero spense il sorriso
che avevo in volto, mi tornò in mente un particolare della vita di Ric.
Un particolare non da poco.
Mi sentii come se un pugno mi avesse colpito allo stomaco. Mi
mancò il fiato. Con un filo di voce dissi: “Ma tu sei sposato, e hai
pure una bambina.”
Non mi intendevo di gossip, ma questa era una cosa che tutto il
mondo sapeva. Era sposato con la famosissima Nadine Lane, sua
moglie era la figlia di un ricco e famoso avvocato statunitense,
George Lane. Pronunciare il nome di quell’uomo era sufficiente per
mettere tutti sull’attenti, un uomo potente, da tutti i punti di vista.
Tatiana Roscini_Blue sky: quando accadono le cose
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Nadine era una scrittrice e seguiva personalmente molti progetti
di aiuto ai bisognosi, ogni volta che usciva un suo nuovo lavoro o
ogni volta che compariva in qualche opera di beneficenza i media di
tutto il mondo ne parlavano per giorni.
La sua immagine pubblica era quella di una ricca e brava
ragazza, che cercava di utilizzare la fortuna che aveva ricevuto in
sorte per aiutare gli altri.
I suoi libri parlavano di mogli in carriera, belle e intelligenti che
lottavano con tutte se stesse per la propria famiglia, donne vincenti,
un po’ come lei.
Ogni tanto mi era capitato di leggere una sua rubrica intitolata
“The good woman” in “Look” una famosa rivista internazionale che
a volte compravo. Nadine elargiva consigli su come essere una
perfetta moglie, mamma e donna in carriera.
A malincuore considerai che quella rubrica mi piaceva parecchio
e ci avevo trovato degli spunti interessanti che mi avevano persino
dato una spinta per risolvere questioni personali della mia vita.
Se tutto ciò non bastasse, Nadine era anche bellissima, una
donna alta, snella, dai lunghi e fluenti capelli castani, dal naso
perfetto, forse rifatto, e un seno generoso malgrado la magrezza,
forse anch’esso opera del chirurgo ma di certo, era bella.
Di fronte alla sua immagine mi sentii un brutto anatroccolo. Mi
trovavo nel posto sbagliato con l’uomo sbagliato, non potevo e non
volevo competere con lei, neppure per una cena.
Tatiana Roscini_Blue sky: quando accadono le cose
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Mi ricordavo del suo matrimonio con Ric, una decina di anni
prima, i media ne avevano parlato per giorni.
I giornali avevano abbondantemente descritto ogni dettaglio del
matrimonio dell’anno: la cerimonia del matrimonio dell’anno, il
party del matrimonio dell’anno, la luna di miele del matrimonio
dell’anno. La coppia dell’anno…
In quel momento avrei voluto essere come la mia inseparabile
amica Clara, sempre informatissima sulla vita di tutte le persone
famose.
Lei di certo aveva letto tutto quello che c’era da leggere e visto
tutto quello che c’era da vedere sul matrimonio fra Ric e Nadine,
Clara conosceva ogni aspetto del loro rapporto.
Con voce acida dissi: “Cazzo, Richard ma che ci faccio qui? Sei
sposato! Sposato!”
Mi sentivo ingannata, presa in giro, mi sentivo un giocattolo fra
le sue mani, un passatempo. Come se il significato di “sposato” non
fosse chiaro, aggiunsi: “Hai una moglie! Una moglie!”.
Richard si affrettò a giustificarsi: “Non credere a tutto quello che
leggi sui giornali. Io e Nadine non stiamo più insieme”.
Stavo sulla difensiva: “Non ho sentito parlare di nessun divorzio,
se fosse stato così ne avrebbero parlato tutti i giornali. Non ho sentito
nulla riguardo a un vostro divorzio. Nemmeno di una crisi. Niente”.
C’era irritazione e rabbia nella mia voce.
“Hai ragione. Non stiamo divorziando. Andiamo insieme alle
serate di Gala… in pubblico recitiamo la parte della famiglia
Tatiana Roscini_Blue sky: quando accadono le cose
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perfetta… ma conduciamo vite private separate, io e lei non stiamo
più insieme. Da tempo. E’ solo una recita.”
Mi sembrava una scusa, non riuscivo a credergli, come potevo
credergli… le immagini dei giornali di lui e lei sorridenti, insieme
alla loro bambina mi saltavano alla mente una dopo l’altra.
Ero in collera: “E questo dovrebbe bastarmi? Tutti gli uomini
sposati dicono queste stronzate quando vogliono portarsi a letto una
ragazza. Tu non fai eccezione.”
Dovevo andarmene da lì al più presto, lui mi piaceva, e molto
anche! Dovevo andarmene prima che le cose si fossero complicate.
Aveva una figlia ed era sposato. SPOSATO.
“Me ne vado.” Dissi risoluta, mi incamminai verso la porta, a
gran passi.
“Ti prego non farlo!” lo disse con una sorta di disperazione nella
voce che mi fece tentennare.
Mi fermai, mi voltai verso di lui e gli diedi un’ultima possibilità:
“Dammi un solo motivo per cui non dovrei farlo”.
Lo conoscevo come un tipo di poche parole, immaginai che non
avesse niente da dire, almeno niente di interessante.
Contravvenendo alle mie aspettative un fiume di parole uscì
dalla sua bocca: “Non puoi andartene ora perché fra noi c’è qualcosa.
Noi due ci conosciamo, sì, io e te ci conosciamo, conosco molto di
più te che persone che frequento da anni, c’è come una forza che mi
spinge verso di te. Da quando ti ho vista è cambiato tutto, è come se
mi fossi risvegliato da un torpore lunghissimo, che durava da anni.
Tatiana Roscini_Blue sky: quando accadono le cose
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Fra me e te esiste qualcosa, non posso fare a meno di interessarmi a
te, quello che fai mi interessa, quello che hai da dire mi interessa,
come stai mi interessa parecchio. Ho capito che sei turbata, questo è
chiaro, spesso ti estranei dalla realtà e ti immergi nei tuoi pensieri,
chissà a cosa pensi, chissà dove sei. Sono interessato a te, alla tua
vita. - fece una pausa, un grosso sospiro e disse - Resta Lisa,
ceniamo insieme, non ti chiedo altro. Resta per una cena.”
Aveva ragione, era scattato qualcosa fra noi e aveva ragione
anche sul fatto che mi estraniavo spesso, la mia mente continuava ad
andarsene.
Richard non mi diede il tempo di prendere una decisione, prese
fiato e continuò: “In aeroporto, stamattina, mentre tutti aspettavamo
il volo, ti ho vista e ti ho riconosciuta dalla sera al Valentine, ero così
sorpreso… così felice che il caso ci avesse fatto incontrare di nuovo.
Avevo un’altra possibilità, volevo presentarmi… conoscerti ma… ho
notato che eri presa dai tuoi pensieri, i tuoi occhi fissavano il rigo
delle mattonelle del pavimento e non hai mai alzato lo sguardo. Mai.
Eri estraniata dal presente talmente tanto che quasi perdevi l’aereo.”
Infatti quella mattina stavo davvero per perdere l’aereo, mi resi
conto che il gate stava per chiudere all’ultimo momento e fui
l’ultima a salire a bordo. Ero talmente presa dai miei pensieri che
non avevo sentito le chiamate.
Continuò: “In aereo hai avuto un incubo… poi ti sei dimenticata
addirittura di mangiare… sei svenuta… non so perché sei a Londra,
forse sei in vacanza ma… non credo, penso piuttosto, che hai
Tatiana Roscini_Blue sky: quando accadono le cose
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bisogno di evadere, hai bisogno d’aria nuova. Io sono la tua
evasione, io sono l’aria nuova. Tu mi interessi. Tu mi piaci.”
Aveva colto nel segno, avevo bisogno di ricaricarmi, ero a
Londra per recuperare le energie. Aveva già capito più cose sul mio
conto di quanto non avessero fatto le persone che vivevano intorno a
me, le stesse che sostenevano di conoscermi così bene.
Fece qualche passo e porgendomi il calice di vino disse: “Non ti
obbligo a stare qui, certo, ma penso che cenare in compagnia non sia
una cattiva idea, non c’è niente di male in questo, non hai nulla da
perdere. L’alternativa? Tornartene in hotel. Sola. Con i tuoi
pensieri.”
Lo guardai incerta.
“In fondo cosa ne sai del mio matrimonio? Niente. perché pensi
che ti stia mentendo? Se volessi usarti per portarti a letto… sarebbe
stato tutto più semplice con la cameriera di quel locale… oggi a
pranzo… non credi? I suoi ridolini dicevano “Sì” a gran voce. Invece
ho scelto te, ho scelto una cena con te.”
Mi porse il calice di vino con insistenza, rimasi interdetta per
qualche lungo istante, ci guardavamo, lui in attesa di una decisione,
il calice a mezz’aria, io stordita dalla situazione e dalla velocità con
cui gli eventi stavano accadendo.
Malgrado fossi ancora un po’ incerta, decisi di afferrare il
bicchiere di vino, mi resi conto che mi stava chiedendo soltanto di
restare a cena, non era poi così tanto e soprattutto non volevo
Tatiana Roscini_Blue sky: quando accadono le cose
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andarmene, volevo restare in sua compagnia. A voce bassa risposi:
“Ok, una cena e poi me ne vado”.
Tirò un sospiro di sollievo, restammo ancora qualche istante in
silenzio, poi mi cinse in vita e mi accompagnò a tavola.
Nina ci servì da mangiare, tutto a base di pesce, il cibo era
davvero gustoso, crostacei, filetti tenerissimi si alternarono sui nostri
piatti accompagnati da salse squisite, riempii il piatto più volte e
Richard mostrò gradire il mio appetito.
L’imbarazzo scomparve a poco a poco, la comunicazione fra noi
divenne sciolta e tranquilla, quella sera Richard parlò a lungo, con
fare pacato, mi raccontò un sacco di cose su di lui e sulla sua vita,
aveva capito che se voleva frequentarmi, avrebbe dovuto darmi delle
spiegazioni.
Il mio bisogno di sapere era tangibile, un bisogno disperato,
volevo controllare gli eventi prima che gli eventi controllassero me.
Mi raccontò anche aspetti molto personali della sua vita, forse
ispiravo a lui la stessa fiducia che lui ispirava a me, volli credere che
fosse così.
Scoprii che si era sposato nove anni prima, poco tempo dopo
aver conosciuto Nadine. Lui era attratto e affascinato da lei, ne era
orgoglioso, Nadine possedeva tutto ciò che un uomo sognava in una
donna: fascino, cultura e ricchezza.
Tutti la conoscevano e tutti la adulavano.
Tatiana Roscini_Blue sky: quando accadono le cose
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Nei primi anni di matrimonio sia Nadine che Richard erano
molto impegnati nel lavoro. Richard voleva far crescere gli Island,
voleva che la loro musica scalasse le classifiche fino a dominarle.
Intuii, anche se non me lo confessò apertamente, che la voglia di
successo di Richard fosse anche una sorta di rivincita nei confronti
della moglie, per dimostrarle che anche lui valeva, anche lui poteva.
Il lavoro li obbligava a starsene lontani per lunghi periodi, i
primi tempi non fu un problema, anzi, quel poco tempo che
passavano insieme era sensazionale, lui si sentiva vivo e innamorato.
Dopo poco tempo però, le cose cominciarono a cambiare, lei era
sempre più distante, si stava allontanando da lui, ogni giorno di più.
La carriera di lui stava decollando, il suo lavoro era ad un punto
cruciale e delicato, se voleva veramente farcela, doveva mettere la
carriera al primo posto, questo richiedeva impegno, dedizione e
sacrificio.
I mesi passavano e Nadine e Richard trascorrevano sempre più
tempo lontani, purtroppo le incomprensioni erano sempre più
frequenti, la voglia di stare insieme calava come la pioggia d’estate.
In quel clima sempre più secco, sempre più teso, a tratti aspro,
Nadine restò incinta, non stavano certo cercando un figlio, ma
accadde.
Richard sperava che fosse stato il destino a inviargli la piccola
Janet e che con l’arrivo della bambina, le cose fossero cambiate,
migliorate.
Tatiana Roscini_Blue sky: quando accadono le cose
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Non fu così, anzi la figlia li divise ancora di più, erano in
disaccordo su come educare Janet, sulla scelta della baby sitter, su
quali attività dovesse svolgere, persino sui vestiti che dovesse
indossare. Su tutto.
Secondo Richard, Nadine era troppo rigida e intransigente e la
gestiva come se fosse una bambola preziosa da esporre al mondo.
Crederlo non era difficile, per quello che avevo letto di lei,
Nadine era una di quelle donne sempre a posto, sempre controllate e
fin troppo ligie al dovere.
Tre anni prima, quando Janet aveva circa due anni, Richard,
esausto e logorato da quel matrimonio ormai senza speranza, parlò
seriamente con lei del loro futuro. Voleva trovare una soluzione,
voleva sperare di essere nuovamente felice.
Secondo lui il divorzio era l’unica soluzione possibile, dovevano
dividere le loro vite ormai inconciliabili, ricominciare da zero,
continuare a crescere Janet insieme ma senza essere più marito e
moglie, di fatto, non lo erano più già da molto tempo.
Nadine saltò su tutte le furie, secondo lei il divorzio non era
un’opzione possibile, non ne voleva nemmeno sentir parlare, disse
chiaramente che non glielo avrebbe mai concesso. Mai.
Secondo lei, Janet aveva bisogno di genitori uniti, almeno in
apparenza, l’immagine pubblica di una famiglia felice sarebbe stata
abbastanza per la piccola, almeno secondo lei.
Non si parlò più di divorzio. Per Janet.
Tatiana Roscini_Blue sky: quando accadono le cose
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Ma Richard e Nadine non avevano più nulla da condividere,
iniziarono a condurre vite private separate di comune accordo, era
inevitabile, fra loro non c’era più nessun tipo di rapporto, ma tutto
doveva restare nascosto agli occhi del mondo.
Le loro vite procedevano seguendo una sorta di equilibrio che si
erano costruiti addosso, un equilibrio fatto di regole ma non di
emozioni, un equilibrio in grado di farli andare avanti. Un equilibrio
che gli impediva di cercare la felicità.
I giorni passavano sempre più sterili, la vita non era più vivace
come lo era stata o come poteva ancora essere.
Richard si sentiva come un naufrago su una barca in mezzo al
mare calmo, una barca senza remi, incapace di muoversi, incapace di
raggiungere la riva, incapace di iniziare una nuova avventura.
Da allora Richard aveva frequentato altre donne, belle, giovani, a
volte anche intelligenti, ma non si sentiva più vivo ormai da troppo
tempo. Era sospeso in una vita che non gli apparteneva, che non
voleva.
Raccontava quella storia… la sua storia, con amarezza, con
risentimento, con dolore, concluse scuotendo il capo, guardandomi
dritto negli occhi, dicendo: “Non era certo questa la vita che avrei
voluto vivere”.
Ne parlava come se fosse stato un condannato a morte senza via
d’uscita.
Provai a sollevargli il morale: “Credo che la vita abbia in serbo
per te ancora molte sorprese.”
Tatiana Roscini_Blue sky: quando accadono le cose
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Dissi quelle parole senza crederci troppo nemmeno io, ancora
non sapevo che avevo ragione, ragione da vendere, nel bene e
purtroppo anche nel male.
Dopo cena gli chiesi di suonare qualcosa per me, al pianoforte.
“E’ da un po’ che non lo uso…” rispose come per giustificarsi.
Cercai di convincerlo: “Nessuno ha mai suonato nulla per me,
non sono affatto un’esperta in fatto di musica, non mi accorgerò
degli errori”.
Lo implorai con la sguardo, non volevo che mi dicesse di no,
non poteva dirmi di no.
Richard cedette e si diresse verso il piano, io lo seguii, mi sedetti
sul divano e lo guardai mentre si preparava.
Era insicuro, sembrava come se provasse un certo imbarazzo.
Mi tornarono alla mente le immagini di Ric sul palco durante i
suoi innumerevoli concerti, scatenato e pieno di energia, le due
immagini erano contraddittorie, forse ero io a metterlo a disagio o
forse era qualcos’altro.
Seduto davanti al pianoforte era davvero attraente, sfogliava uno
spartito di musica classica, sembrava non decidersi, poi chiuse lo
spartito e si girò a guardarmi, aveva deciso.
Mi ero raggomitolata sul divano e mi sorpresi a sorridergli.
“Vado?” chiese
Alzai la mano e lo esortai: “Vai!”
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Non ero un’intenditrice ma a volte ascoltavo la musica classica,
mi rilassava. Quando ero nervosa per un esame importante o, più
avanti, quando Lory con i suoi capricci e con le sue esigenze di
bambino mi faceva impazzire, andavo in camera mia, mi stendevo
sul letto, mi infilavo le cuffiette dell’I-pod, selezionavo la playlist
“musica classica” e alzavo al massimo il volume, chiudevo gli occhi
e la magia aveva inizio. Non importava quale sinfonia fosse o quale
autore se Mozart, Beethoven, Bach o Brahms, qualsiasi fosse stata la
melodia era perfetta, le note si diffondevano dentro di me fino a
prendere possesso del mio corpo mandandomi in estasi.
Ero drogata di quella musica, aveva il potere di calmarmi quando
ero nervosa, di darmi forza quando ero stanca, di farmi sorridere
quando ero triste.
Richard guardò me, poi il pianoforte, iniziò a suonare.
Dopo poche note riconobbi il pezzo, non potevo credere alle mie
orecchie, non mi sarei mai aspettata che la sua scelta fosse quella.
Mi venne da ridere, portai una mano alla bocca per cercare di
trattenermi ma niente da fare, esplosi in una risata fragorosa. Lo
osservai mentre cercavo invano di trattenermi, anche Richard
sorrideva mentre le sue dita premevano abilmente i tasti del piano.
Era soddisfatto della mia reazione, compiaciuto, voleva
divertirmi e c’era riuscito.
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Fino ad allora, i momenti che avevamo vissuto insieme erano
stati tutti disperatamente seri o complicati, un po’ di leggerezza era
quel che ci voleva.
Si mise ad accompagnare la musica con il canto, le mie risa
esplosero ancora di più, mi ritrovai semidistesa sul divano con le
gambe scalpitanti in aria.
Cercai di ritrovare un po’ di autocontrollo almeno quanto
bastasse per cantare pure io, conoscevo molto bene quella canzone,
era una delle preferite di Lory e forse, di tutti i bambini.
Iniziai a cantare, sapevo di non essere un granchè in fatto di
canto e con le risate in mezzo il risultato doveva essere catastrofico.
Richard, invece, sebbene sempre più divertito, riusciva a
controllarsi e ad essere perfettamente intonato, persino in quelle
inusuali circostanze riusciva a dare un qualche spessore al brano.
Trovammo il giusto ritmo e insieme cantammo a squarciagola,
ogni tanto dovevo saltare qualche parola travolta da una risata
improvvisa, ma riprendevo il controllo e continuavo.
Avrei dovuto filmare quel momento, sarebbe bastato prendere il
telefonino e avrei avuto quella singolare esibizione immortalata per
sempre, ma in quel momento non ci pensai.
Ero certa, però che quegli istanti e quelle immagini di Richard al
pianoforte sarebbero rimasti per sempre dentro di me, sarebbe
bastato chiudere gli occhi e tutto avrebbe preso il via come in un
film.
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Ci stavamo esibendo in una rivisitazione tutta nostra de “Nella
vecchia fattoria”.
“Nella vecchia fattoria iha iha oh - c’è il cane -bau- cane- bau - i-
il cane - c’è la pecora - beeh - pecora - behh - la-la pecora - nella
vecchia fattoria iha iha ohh…”
Quando arrivò il turno del maiale non riuscimmo più a
controllarci, mi tenevo la pancia con le mani, e cercavo di andare
avanti, di cantare ancora ma le risa avevano invaso tutta me stessa,
avevo le lacrime agli occhi e gli addominali cominciavano a farmi
male.
Anche Richard cedette, si arrese all’inevitabile, in quelle
circostanze era impossibile fare il verso del maiale. Ci provò, due o
tre volte, la sua faccia si contorceva fra le risa nel vano tentativo di
emettere quel verso.
Mi mancava l’aria, non avevo mai riso così tanto e così
convulsamente.
Smise di suonare, si alzò, mi guardò per un attimo e si tuffò su di
me distesa e agitata sul divano.
Ci abbracciammo mentre ancora ridevamo, ci stringemmo forte
ancora dominati dalle risa che però stavano via via scemando.
Lui era su di me e con un pollice mi asciugò una lacrima di
felicità che stava rigandomi la guancia.
Mi baciò, fu un bacio d’impeto, un bacio che non ammetteva un
rifiuto, lasciò la mia bocca con la stessa irruenza con cui l’aveva
presa.
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Mi guardò dritto negli occhi, con una mano mi sistemò una
ciocca ribelle di capelli dietro l’orecchio.
Percorse con l’indice il profilo del mio viso, dall’orecchio al
mento, mi baciò di nuovo, questa volta fu un bacio dolce,
controllato, morbido, senza fine.
Stavamo vivendo uno di quegli attimi di perfezione che la vita
elargiva con così tanta parsimonia.
Ci baciammo per parecchio tempo, dai tempi del liceo non
baciavo un ragazzo così a lungo ma quei baci di me ragazzina non
avevano niente, assolutamente niente in comune con quel momento.
Mentre continuava a baciarmi mi prese il viso fra le mani, il suo
tocco era così leggero che sembrava fossi accarezzata da soffici
piume, gli misi una mano fra i capelli e glieli scompigliai
dolcemente.
Dopo un lungo tempo ma per me comunque troppo breve,
Richard si ritrasse.
Il suo respiro era un po’ alterato, io mi sentivo catapultata in
un’altra dimensione, lo spazio e il tempo avevano lasciato il posto ad
un benessere sublime.
Non dicemmo nulla per un po’. Non c’era niente da dire.
Le parole, qualunque fossero state, sarebbero state eccessive,
pesanti e sbagliate.
In quel momento la comunicazione fra noi era forte, intensa ma
non era fatta di parole, condividevamo gesti, sguardi e carezze.
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Lo strinsi a me con forza, Richard affondò il volto sul mio collo,
lo baciò.
I pensieri si accavallarono disordinati nella mia mente, Richard
era straordinario, era quasi un estraneo eppure riusciva a darmi
quello che mi serviva. Lo conoscevo da meno di un giorno ed era
stato in grado di proteggermi, allietarmi, divertirmi, darmi affetto.
Sapeva quello di cui avevo bisogno, sapeva che per il momento
non doveva chiedere di più, sapeva che avevo bisogno di calore e
quella stanza ne era piena.
Il suo viso era ancora sul mio collo, sospirò due o tre volte. Era
chiaro che anche per lui la vita non era facile e mi confortò il
pensiero di essere stata capace di condividere un momento così
perfetto.
Gli avevo fatto bene, gli stavo facendo bene, ci facevamo bene a
vicenda.
Si tirò su, e mentre con la mano mi accarezzava il volto, con un
filo di voce disse: “Vorrei chiederti una cosa, ma ti prego, non capire
male.”
Si interruppe, distolse gli occhi dai miei e li posò sulla mia
bocca, con il pollice iniziò a disegnare il contorno delle mie labbra e
mentre lo faceva, riprese: “Che ne dici di dormire con me stanotte?
Ti prometto che non proverò a fare l’amore con te, lo so che non è il
caso. Non voglio sciupare tutto. Vorrei dormire abbracciato a te. Ti
chiedo soltanto di farti abbracciare stanotte. Sai darmi calore. Ho
bisogno del tuo calore.”
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Distolse gli occhi dalla mia bocca e mi fissò dritto negli occhi:
“Non voglio che te ne vada.”
Il suo sguardo era blu e profondo come l’oceano, pieno di
speranza.
Non mi sfiorò nemmeno l’idea che le sue parole non fossero
sincere, lo baciai.
“Ok” sussurrai.
Mi abbracciò forte, quasi volesse convincersi che avevo
accettato per davvero, sorridendo ripetè fra sé: “Ok, ok, ok.”
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