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APPUNTI DI TEOLOGIA 18 Croce_identita_ciano.indd 1 22-06-2009 10:44:31

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  • APPUNTI DI TEOLOGIA 18

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  • Collana Appunti di teologia

    1. Jesús Castellano, Incontro al Signore. Pedagogia della preghiera2. Arnaldo Pigna, La vita consacrata. Trattato di teologia e spiritualità3. Sergio Lanza, La parrocchia in un mondo che cambia.

    Situazioni e prospettive4. Giuseppe Ferraro, Cristo è l’altare.

    Liturgia di dedicazione della chiesa e dell’altare5. Sergio Lanza, Convertire Giona. Pastorale come progetto6. Aa.Vv., Quale volto di Dio rivela il Crocifisso?7. Aa.Vv., Sentieri illuminati dallo Spirito.

    Atti del Congresso internazionale di mistica8. Charles Serrao, Il discernimento della vocazione religiosa.

    Formare per trasformare9. Carlo Laudazi, L’uomo chiamato all’unione con Dio in Cristo.

    Temi fondamentali di teologia spirituale10. Mario Leocata, Sulle tracce del Messia. Iesu Rebus11. Arianna Rotondo, Dialogo d’amore.

    Figure femminili del Vangelo giovanneo12. Carlo Laudazi, Di fronte al mistero dell’uomo.

    Temi fondamentali di antropologia teologica13. Giuseppe Ferraro, Il Rito del Matrimonio nella celebrazione

    dell’Eucaristia14. Fernando Taccone (ed.), La visione del Dio invisibile

    nel volto del Crocifisso15. Fernando Taccone (ed.), Stima di sé e kenosi16. Giuseppe Gangale, Priscilla e Aquila. Apostoli di vita coniugale17. Dario Edoardo Viganò, La Chiesa nel tempo dei media18. Fernando Taccone (ed.), Croce e identità cristiana di Dio

    nei primi secoli

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  • Fernando Taccone (ed.)

    CROCE E IDENTITà CRISTIANA DI DIO NEI PRIMI SECOLI

    EDIZIONI OCD

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  • In copertina: Cristo Pantocrator, Abside della chiesa San Salvatore in Chora, Istanbul

    Tutti i diritti riservati

    ISBN 978-88-7229-456-7

    © Edizioni OCD – Anno 2009Via Anagnina 662/b – 00118 ROMA MORENATel. 06.79.89.08.1 – Fax [email protected] – www.edizioniocd.it

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  • PRESENTAZIONE

    Fernando Taccone *

    Il seminario patristico si pone in continuità con gli altri eventi scientifici e formativi organizzati dalla Cattedra Gloria Crucis.1

    In questo volume i relatori ci porteranno idealmente all’inizio dell’era cristiana, nel tentativo di rispondere ad alcuni quesiti fondamentali: in che modo i Padri della Chiesa dei primi secoli hanno compreso e presentato la Croce di Cristo al mondo giudaico e pagano? Quale identità e natura di Dio traspaiono dagli scritti dei Padri? In questo nostro mondo secolarizzato e sedotto dall’immanenza, le luci che emergeranno dalle fonti patristiche ci aiuteranno a cogliere i segnali di un’insistente apertura sul trascendente.

    Comprendere e presentare la Croce come segno della religione cristiana non è stato di buon gusto all’inizio della diffusione del cristianesimo e non lo è neppure oggi. A un pagano di epoca neotestamentaria l’annuncio di un Dio che manda suo Figlio a morire sulla Croce, e che questi era lui stesso Dio, doveva apparire paradossalmente e oltremodo blasfemo. Una supersti-zione tenebrosa e folle che poneva il Dio cristiano in una luce sinistra.

    Non possiamo passare con superficialità su questa e altre difficoltà che giudei e pagani anche ben intenzionati e sinceramente amanti di Dio speri-mentarono dinanzi all’annuncio cristiano.

    Non sarebbe onesto guardare la storia di duemila anni soltanto nella pro-spettiva di un cristianesimo che si impone, prevale e vince.

    Occorre ascoltare anche le voci dei perdenti, le loro ragioni, la loro parte di verità. Sarebbe una semplificazione estremamente superficiale ritenere, ad

    * Fernando Taccone CP, Direttore della Cattedra Gloria Crucis, Pontificia Università Lateranense.1 L’attività scientifica della Cattedra Gloria Crucis è composta dalle seguenti opere:

    AA.VV., Memoria Passionis in Stanislas Breton, Edizioni Staurós, S. Gabriele (Teramo) 2004; P. CODA, Le sette Parole di Cristo in Croce, Edizioni Staurós, S. Gabriele (Teramo) 2004; L. DIEZ MErINO, Il Figlio dell’Uomo nel Vangelo della Passione, Edizioni Staurós, S. Gabriele (Teramo) 2004; M. COLLU, Il Logos della Croce centro e fonte del Vangelo, Edizioni Staurós, S. Gabriele (Teramo) 2004; T. DI STEfANO, Croce e libertà, Edizioni Staurós, S. Gabriele (Teramo) 2004; C. ChENIS, Croce e arte, Edizioni Staurós, S. Gabriele (Teramo) 2004; A.M. LUPO, La Croce di Cristo segno definitivo dell’Alleanza tra Dio e l’Uomo, Edizioni Staurós, S. Gabriele (Teramo) 2004; F. TACCONE (ed.), Quale volto di Dio rivela il Crocifisso?, Edizioni OCD, Roma 2006; F. TACCONE (ed.), La visione del Dio invisibile nel volto del Crocifisso, Edi-zioni OCD, Roma 2008; F. TACCONE (ed.), Stima di sé e kenosi, Edizioni OCD, Roma 2008; F. TACCONE (ed.), Croce e identità cristiana di Dio nei primi secoli, Edizioni OCD, Roma 2009.

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  • 6 Croce e identità cristiana di Dio nei primi secoli

    esempio, che il rifiuto di Cristo e del suo messaggio sia sempre espressione d’empietà e di odio. La fine infamante e scandalosa del Rabbì della Galilea richiese uno sforzo interpretativo per rileggere teologicamente la sconvol-gente e fallimentare brutalità della Crocifissione come significativo evento della rivelazione.

    Paolo, zelante ebreo, poi convertito a Cristo, parla della Croce come scandalo per i giudei e stoltezza per i pagani.2 Afferma poi che Cristo è «una pietra d’inciampo, un sasso che fa cadere. Ma chi crede in lui non sarà deluso».3

    Quel che impressiona un giudeo non è tanto la sofferenza del Messia, del Cristo, ma quel tipo di morte che la Scrittura condanna: «maledetto chi è appeso al legno».4 Il giudeo Trifone chiede al cristiano san Giustino:

    Sappiamo che Cristo avrebbe dovuto soffrire ed essere condotto al macello; quel che devi mostrare è perché doveva essere anche crocifisso e morire con una morte tanto disonorevole e maledetta nella stessa legge.5

    Il problema che Trifone pone è chiaro: come poteva essere il Messia se, secondo la Torah, chi finiva in croce era maledetto da Dio?

    Non sempre il dramma del non credere o del non poter credere va spie-gato come un indurimento del cuore dinanzi a fatti evidenti e inconfutabili, ma risiede nella oggettiva difficoltà dell’annuncio.

    Se la fede nel Cristo Crocifisso contraddice tutto ciò che gli uomini in genere col termine Dio si rappresentano, desiderano e da cui vorrebbero ricavare le proprie sicurezze, non meraviglia che molti non l’accettino o che quanti l’accolgono vengano proscritti proprio nel nome di Dio. La storia delle prime persecuzioni dei cristiani, come le odierne, hanno lo stesso mo-vente, l’odio al Crocifisso che scuote le coscienze e sconvolge la società con valori opposti alla mentalità del mondo.

    Si comprende, perciò, come fin dal principio la fede cristiana centrata sull’adorazione di un Crocifisso si ponesse in rottura con l’ambiente reli-gioso circostante che quindi ha disprezzato la Croce, perché questo Cristo disumanizzato contraddiceva tutti i concetti di Dio, di uomo e di uomo di-vino.6

    2 1Cor 1,23.3 Rm 9,33.4 Dt 21,23.5 SAN GIUSTINO, Dialogo con Trifone giudeo, p. 90.6 Cfr. J. MOLTMANN, Il Dio crocifisso, trad. dal tedesco, Queriniana, Brescia 1973, pp. 52.55.

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  • Presentazione 7

    Se la difficoltà c’era nel mondo ebraico, altra difficoltà nasceva nel mondo romano. Cicerone, parlava della crocifissione come di una morte acerbis-sima, di un sommo ed estremo supplizio e diceva che «il nome stesso di croce deve essere lontano non solo dalla persona dei cittadini romani, bensì anche dal loro pensiero, dai loro occhi, dai loro orecchi».7

    Non riusciamo a renderci conto di quanto fosse difficile testimoniare il nome di Gesù come Signore e Salvatore degli uomini e, nello stesso tempo, riconoscerlo Crocifisso. Quando Paolo presenta il linguaggio della Croce come follia e scandalo non fa della retorica. Gli fa eco un secolo dopo Giu-stino quando, riprendendo il pensiero pagano, dichiara: «Ci accusano di pazzia, imputandoci di assegnare a un uomo Crocifisso il secondo posto dopo Dio immutabile ed eterno e autore dell’universo».8

    I primi cristiani non potevano aspettarsi trattamento migliore del loro ma-estro. Essi richiamavano il nome di un Crocifisso. La gente ben conosceva la condanna alla croce, il passaggio del condannato per le strade centrali della città, il legno orizzontale appeso al collo e il luogo della crocifissione fuori della città. Questo macabro evento era uno scandalo e fu vissuto da Cristo. Ora i cristiani annunciavano che da questo scandalo era venuta a loro la liberazione! Cosa umanamente incomprensibile.

    Lo scandalo della Croce di Cristo, insomma, pone subito un interroga-tivo sul concetto stesso di Dio. La follia della Croce denuncia una follia di Dio. Ci si trova dinanzi ad un paradosso.

    Gli stessi cristiani trovarono provocante l’immagine di Cristo-Dio croci-fisso e sentirono il bisogno di ritoccare l’immagine della croce per ovviare parzialmente allo scandalum Crucis. È la testimonianza che troviamo nello scritto apocrifo del Vangelo di Pietro, «il primo racconto extracanonico dell’antichità» databile verso il 130-150. Gli studiosi presentano l’autore di questo vangelo come «un tipico esponente di contraffazione della teologia della Croce».9 Nello stesso periodo Ignazio insegna chiaramente che «noi siamo il frutto della sua beata e divina Passione».10

    7 CICErONE, Pro Rabirio Perduellonis reo ad Quirites oratio 5,16: «Se ci viene minac-ciata la morte, moriamo da liberi. Ma il carnefice, il velamento del capo e il nome stesso della Croce stiano lontani non solo dalla persona dei cittadini romani, bensì anche dal loro pensiero, dai loro occhi, dai loro orecchi. In tutti questi supplizi infatti non solo l’effetto e l’esecuzione, ma perfino il carattere, l’attesa, la sola menzione sono indegni del cittadino romano e dell’uomo libero».

    8 SAN GIUSTINO, Apologia I, XIII.9 Cfr. L. PADOVESE, Lo scandalo della croce. La polemica anticristiana nei primi secoli,

    EDB, Bologna 2004, pp. 11-34.10 SANT’IGNAZIO, Lettera agli Smirnesi, 1.

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  • 8 Croce e identità cristiana di Dio nei primi secoli

    La Croce pesava sulla predicazione missionaria degli inizi. Paolo, il primo e grande teologo della Croce ne diventa il testimone fedele e orgo-glioso, non si vanta di altro che della Croce di Cristo.11 Nelle sue lettere non solo mette in guardia, ma richiama fortemente alla realtà di essere discepoli di Cristo Crocifisso. Alcuni insegnavano una falsa teologia della Risurre-zione da ignorare la Croce. Questi si dichiaravano perfetti e proclamavano la libertà di coscienza sentendosi risuscitati con Cristo.12

    Mi piace fare solo un accenno alla letteratura moderna. La sensibi-lità dei letterati ha letto in profondità gli accadimenti dei nostri ultimi tempi e li ha uniti alla Croce. Hanno toccato il tema dello scandalo della Croce e l’impenetrabile silenzio di Dio; altri si sono anche chiesti “se quel Crocifisso fosse veramente il Figlio di Dio fatto uomo?”. Da qui la Croce è divenuta, per alcuni scrittori, figura dei sofferenti e delle vittime della storia e conforto perché nel Crocifisso il dolore è riscattato. Vi è poi la schiera di letterati che su registri diversi, tutti ci annunciano che la Croce, da quando Cristo vi è morto sopra, da patibolo si è trasformata in albero di vita.13

    L’intelligenza umana ha bisogno di una luce superiore per volgere lo sguardo al Crocifisso ed entrare nella visione profetica di Zaccaria: «Volge-ranno lo sguardo a colui che hanno trafitto!».14 Volgere lo sguardo è com-prendere che il Crocifisso ci appartiene, è il frutto della nostra libertà rivolta al male, ma ne siamo guariti per la potenza salvifica del serpente di bronzo.15

    È la Pentecoste che getta la luce sulla vita, sulla morte e Risurrezione di Cristo. È lo Spirito Santo, dono dall’alto e primo dono fatto ai credenti.16 Gesù lo aveva annunciato con la promessa che avrebbe condotto i disce-poli alla verità tutta intera.17 La forza dello Spirito creatore ispirò il primo discorso di Pietro,18 sostenne la vita degli Apostoli, guidò e sostenne il cammino dei discepoli e ci sostiene ancora oggi e noi possiamo invocare: Ti adoriamo Cristo e ti benediciamo perché con la tua santa Croce hai re-dento il mondo.

    11 1Cor 2,2.12 Cfr. Ef 2,6; Col 2,12-13.13 Cfr. f. CASTELLI, S.J., Il mistero della croce nella letteratura moderna, in AA.VV., La

    teologia della Croce nella nuova evangelizzazione, F. Taccone (ed.), Edizioni C.I.P.I., Roma 1992, pp. 223-241.

    14 Zc 12,10.15 Nm 21,8. 16 Preghiera eucaristica I.17 Gv 16,13.18 At 2,4.14ss.

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  • Presentazione 9

    Dopo le atrocità del secondo conflitto mondiale, vi è stato un ritorno alla teologia della Croce. Più che un ripensamento biblico e teologico della differenza cristiana è sembrato il prodotto attualizzante di una pre-cisa esigenza storica che induceva i teologi cristiani a produrre riflessioni religiose, a secondo dei casi, di accompagnamento o di contenimento dei fenomeni socio-politici emergenti. Compito primario di una corretta teologia biblica, non è venire incontro alle legittime istanze del proprio tempo, ma ricostruire e presentare in modo originale e corretto la prima riflessione cristiana tramandata dalle prime Chiese sul senso teologico da assegnare alla morte di Gesù di Nazaret.19 E questo è il lavoro che i relatori ci presenteranno.

    19 Cfr. P. CODA – M. CrOCIATA (edd.), Il crocifisso e le religioni, compassione di Dio e soffe-renza dell’uomo nelle religioni monoteiste, Città Nuova, Roma 2002, p. 29ss.

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  • IGNAZIO DI ANTIOCHIA: «LA PASSIONE DEL MIO DIO» (ROM. 6,3);

    «SANGUE DI DIO» (EFES. 1,1)

    Mario Maritano*

    Introduzione

    Ignazio di Antiochia1 è stato una personalità significativa del primo cri-stianesimo, un vescovo che esprime nelle sue Lettere2 l’anelito di poter imi-tare Cristo e di potersi unire a Lui nel martirio. In una delle sue frasi più intense e che sarà oggetto di commento, egli scrive:

    * Mario Maritano, Pontificia Università Salesiana.1 Per una sintetica presentazione di Ignazio d’Antiochia cfr. P. NAUTIN, «Ignazio di An-

    tiochia», in A. DI BErArDINO (ed.), Nuovo Dizionario Patristico e di Antichità Cristiane, II, Marietti, Casale Monferrato 20072, pp. 2514-2516; F.R. PrOSTMEIEr, «Ignazio di Antiochia», in S. DöPP - W. GEErLINGS (edd.), Dizionario di letteratura cristiana antica, Urbaniana University Press / Città Nuova, Roma 2006 [edizione italiana a cura di C. Noce], pp. 489-492. Più am-piamente cfr. anche U. NErI, Ignazio di Antiochia (Catechesi di Monteveglio 5/a), Dehoniane, Bologna 1994 e 1997; G. BOSIO – E. DAL COVOLO – M. MArITANO, Introduzione ai Padri della Chiesa. Secoli I e II (Strumenti della “Corona Patrum” 1) SEI, Torino 1990, [19932], pp. 88-106; J. QUASTEN, Patrologia. I. Fino al Concilio di Nicea, Marietti, Torino 19833, pp. 64-75.

    2 Per le Lettere ho seguito l’edizione critica di K. BIhLMEyEr, Die Apostolischen Väter. Neu-bearbeitung der Funkschen Ausgabe von K. Bihlmever. Erster Teil, Mohr, Tübingen 19703, pp. 82-113 [per la traduzione italiana ho sovente riportato o riecheggiato quelle di F. BErGAMELLI nei suoi articoli riguardanti Ignazio]. Sulla “questione ignaziana” cfr. Ch. MUNIEr, Où en est la question d'Ignace d'Antioche? Bilan d‘un siècle de recherches 1870-1988, in Aufstieg und Nie-dergang der Römischen Welt II, 27, 1, De Gruyter, Berlin / New York 1993, pp. 359-484; C. TrEVETT, A Study of Ignatius of Antioch in Syria and Asia, Mellen, Lewinston / Queenstone / Lampeter 1992, pp. 152-199; cfr. anche precedentemente in F. BErGAMELLI, L’unione a Cristo in Ignazio di Antiochia, in S. fELICI (ed.), Cristologia e catechesi patristica, I (Biblioteca di Scienze Religiose [= BscRel] 31), LAS, Roma, 1980, pp. 75-77: La questione ignaziana; f. BErGAMELLI, “Fede di Gesù Cristo” nelle lettere di Ignazio di Antiochia, in «Salesianum» 66 (2004), pp. 649-664, soprattutto p. 651, n. 5; ID., “Vivere secondo la domenica” in Ignazio di Antiochia, in M. SODI (ed.), «Ubi Petrus ibi Ecclesia». Sui sentieri del Concilio Vaticano II. Miscellanea offerta a S.S. Benedetto XVI in occasione del suo 80° genetliaco, LAS, Roma 2007, p. 47, nota 4; B. POU-DErON, Le corpus ignatien, in «Connaissance des Pères de l’Église» 105 (mars 2007), pp. 14-23.

    Gli ultimi studiosi che hanno pubblicato opere su Ignazio sostengono l’autenticità delle sette lettere ignaziane (la cosiddetta recensione “media”): cfr. M. ISACSON, To each their own Letter. Structure, Theme, and Rhetorical Strategies in the Letters of Ignatius of Antioch (Co-niectanea Biblica, New Testament Series 42), Almqvisk and Wiksell, Stockholm 2004, p. 218; J.P. LOTZ, Ignatius and Concord. The Background and Use of the Language of Concord in the Letters of Ignatius of Antioch (Patristic Studies 8) Lang, New York / Oxford 2007, p. 9.

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  • 12 Croce e identità cristiana di Dio nei primi secoli

    È bello per me morire andando verso (e„j) Gesù Cristo, piuttosto che regnare sino ai confini della terra. Cerco lui, che è morto per me, voglio lui, che è risorto per noi. Lasciate che io sia imitatore della passione del mio Dio! (Rm 5-6).

    In queste vigorose espressioni emerge l’attenzione alla realtà dell’incarna-zione e alla vera umanità di Cristo, che «è realmente dalla stirpe di Davide», «re-almente è nato da una vergine», «realmente fu inchiodato per noi» (Smir. 1,1).

    Dopo aver rilevato il significato globale dei termini “Passione”, “sangue” e “Croce”, mi soffermerò sulla Passione e sul sangue dapprima in quanto realtà storica, poi in quanto realtà mistica nell’Eucarestia e infine come realtà imitata dal martire.

    Significato (globale) di Passione, sangue e Croce3 in Ignazio

    Evidenzio alcuni significati che emergono dall’analisi dei testi, che esami-nerò in dettaglio:

    (a) Il termine passione (p£qoj, usato 15 volte4) indica in primo luogo la realtà della sofferenza e della morte subita da Cristo. In secondo luogo essa è in funzione della nostra salvezza (“per noi” afferma più volte Ignazio5). Quindi, oltre che reale, è anche una sofferenza solidale. In terzo luogo la «passione» assume la connotazione di sofferenza esemplare: il cristiano si presenta «imitatore» della Passione di Dio (cfr. Rom. 6,3): tale sarà appunto Ignazio nel martirio. Questa Passione è sempre in Ignazio una sofferenza accettata per amore6 e conduce il cristiano a Dio,7 ad una vita nuova.

    3 Cfr H. KrAfT – U. früChTEL (edd.) Clavis Patrum Apostolicorum, Kösel, München 1963; A. UrBáN, Concordantia in Patres Apostolicos. 6. Ignatii epistularum concordantia (Alpha-Omega. Reihe A, 204) Olms-Weidmann, Hildesheim 2001.

    4 Ecco i 15 riferimenti al termine Passione (p£qoj): Efes., saluto; 18,2; 20,1; Magn. 5,2; 11,1; Trall., saluto; 11,2; Rom. 6,3; Filad., saluto; 3,3; 9,2; Smir. 1,2; 5,3; 7,2; 12,2. Inoltre il corrispondente verbo “patire” (paqe‹n) è usato 5 volte in riferimento a Cristo (Trall. 10; Smir. 2,1 [tre volte]; 7,1) e 3 volte in riferimento allo stesso Ignazio (Trall. 4,2; Rom. 4,3; Polic. 7,1). Per un primo approccio cfr. F. rAMOS LOrES, Il concetto di “pathos” in Ignazio di Antiochia, in «La Sapienza della croce» 12 (1997), pp. 15-20.

    5 «Per noi»: cfr. Trall. 2,1; Rom. 6,1; Smir. 2; «per i nostri peccati»: cfr. Smir. 7,1; cfr. anche: «per salvarci» in Smir. 2,1.

    6 Cfr. Smir. 1,2. Anche il cristiano sopporta con amore le sofferenze: cfr. Efes. 10,3; Polic. 3,1. Sul termine amore (agape) in Ignazio cfr. J. COLSON, “Ágape” chez Saint Ignace d’An-tioche, in F.L. CrOSS (ed.), Studia Patristica 3 (Texte und Untersuchungen 78), Akademie-Verlag, Berlin 1961, pp. 341-353.

    7 Cfr. Efes. 12,2, Magn. 14; Trall. 12,3; 13,3; Rom. 1,2; 2,1; 4,1; 9,2; Smir. 11,1.

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  • Ignazio di Antiochia: «La passione del mio Dio» (Rom. 6,3); «sangue di Dio» (Efes. 1,1) 13

    Molte volte riferendosi alla Passione di Cristo, Ignazio la unisce alla Risurrezione:8 i due vocaboli insieme alludono al mistero pasquale, ove la morte sfocia poi nella gloria e nella vittoria.

    (b) Il termine “sangue” (aŒma – riferito a Cristo – è usato 8 volte9) denota primariamente la realtà della esistenza umana e storica di Cristo, che ha ve-ramente sofferto e patito tanto da versare perfino il suo sangue. Soltanto chi crede a questo “sangue di Cristo” ha la possibilità di salvarsi; al contrario tutti gli esseri del cosmo (celesti e terrestri) sono condannati, se non cre-dono, cioè se non accolgono nella propria vita la salvezza sgorgata da questo “sangue” (cfr. Smir. 6,1). Il «credere in» (pisteÚein e„j + accusativo) per Ignazio non è un semplice assenso intellettuale, ma comporta anche un’ade-sione vitale, una completa dipendenza che si esprime nell’accettare e vivere conseguentemente tale realtà.10 Infatti, nello stesso passo citato, Ignazio ri-chiama subito uno dei suoi famosi binomi: «fede e amore»11 (cfr. Smir. 6,1); l’amore che il cristiano, imitatore di Cristo, dimostra nella sua vita è la ri-sposta concreta e l’attestazione esistenziale della sua fede.

    Ignazio aggiunge che i cristiani devono rendersi «saldi nell’amore nel sangue di Cristo» (Smir. 1,1): lo stretto legame che unisce l’amore e il sangue12 di Cristo si riversa sui cristiani. Ignazio passa dal piano storico a quello spi-rituale dell’esistenza dei cristiani che – ricorda sempre Ignazio – sono «quasi come inchiodati alla Croce del Signore Gesù Cristo (Smir. 1,1). Il sangue di

    8 In nove passi: Efes. 20,1; Magn. 11; Trall., saluto; Filad., saluto; 9,2; Smir. 1,2; 5,3; 7,2; 12,2. Inoltre in Filad. 8,2 associa “Croce, morte e Risurrezione”.

    9 Cfr.: aŒma toà qeoà: Efes. 1,1; aŒma ’Ihsoà Cristoà: Trall. 8,1; Filad., saluto; aŒma Cristoà: Smir. 1,1; 6,1; aŒma aÙtoà: Rom. 7,3; Filad. 4; Smir. 12,2. Su questo argomento cfr. particolarmente K. BOMMES, Weizen Gottes. Untersuchungen zur Theologie des Martyriums bei Ignatius von Antiochien (Theophaneia. Beiträge zur Religions- und Kirchengeschichte des Altertums, 27), Peter Hanstein, Köln-Bonn 1976, pp. 56-69: Excursus: aŒma / Blut bei Ignatius; e soprattutto F. BErGAMELLI, Il sangue di Cristo nelle lettere di Ignazio di Antiochia, in F. VATTIONI (ed.), Atti della settimana: Sangue e antropologia nella letteratura cristiana, Roma 29 nov.- 4 dic. 1982 (Centro Studi Sanguis Christi 3), Pia Unione del Preziosissimo Sangue, Roma 1983, 867-868, a cui mi sono sovente ispirato per questo contributo riguardo al tema del sangue.

    10 Cfr. C.C. rIChArDSON, The Christianity of Ignatius of Antioch, Columbia University Press, New York 1967 [ristampa, prima edizione 1935], pp. 11-13.

    11 Il binomio fede-amore esprime la totalità e il dinamismo della vita cristiana dal prin-cipio (fede) alla consumazione (amore): cfr. F. BErGAMELLI, “Sinfonia” della Chiesa nelle lettere di Ignazio di Antiochia, in S. fELICI (ed.), Ecclesiologia e catechesi patristica (BscRel 46), LAS, Roma 1982, 45-49; ID., Il sangue di Cristo nelle lettere di Ignazio di Antiochia, pp. 867-868. Tale binomio studiato particolarmente da S. ZAñArTU, El concepto de ZΩH en Ignacio de An-tioquía, Publicaciones de la Universidad Pontificia Comillas, Madrid 1977, pp. 203-209.

    12 Cfr. F. BErGAMELLI, Il sangue di Cristo, pp. 870-873; K. BOMMES, Weizen Gottes, p. 58.

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  • 14 Croce e identità cristiana di Dio nei primi secoli

    Cristo ha dunque un valore soteriologico, ma deve essere accolto nell’esi-stenza cristiana per diventare fonte di amore totalizzante.

    In secondo luogo, il sangue assume una valenza eucaristica, perché mediante l’Eucaristia viene ripresentato e perpetuato il sacrificio della Croce, ed il memoriale della Passione e Risurrezione di Cristo è affidato alla Chiesa.

    Ancora il sangue di Cristo, quando è accolto dal cristiano, diventa fonte e causa di amore, come risposta a quello di Dio. Il cristiano può così iniziare una nuova esistenza e pregustare fin da ora la vita eterna nell’Eucaristia, «farmaco d’immortalità» (Efes. 20,2).

    (c) Il termine “Croce” (staurÒj, usato 5 volte13) indica il supplizio cui è stato sottoposto il Cristo e simbolicamente richiama lo strumento fon-damentale della nostra salvezza, riassumendo tutte le sofferenze da Lui subite. Tale termine assume un significato particolare in Filad. 8,2,14 ove Ignazio, si contrappone ai giudaizzanti:15 essi erano ancora legati all’Antico Testamento [= AT], a cui opponevano e subordinavano il Vangelo, non accettavano la novità di Cristo; non se ne interessavano e non ne parla-vano, ma si preoccupavano delle osservanze giudaiche (cfr. Filad. 6,1); così scrive Ignazio:

    13 Per i 5 riferimenti alla “Croce” (staurÒj) cfr. Efes. 9,1; 18,1; Trall. 11,2; Rom. 5,3; Filad. 8,1.

    14 Su cui cfr. particolarmente f. BErGAMELLI, Gesù Cristo e gli archivi (Filad. 8,2). Cristo centro delle Scritture secondo Ignazio di Antiochia, in S. fELICI (ed.), Esegesi e catechesi nei Padri (II-III sec.), LAS, Roma 1993, pp. 35-47, W.R. SChOEDEL, Ignatius and the Archives, in «Harvard Theological Studies» 71 (1978), pp. 97-106.

    15 Oltre al citato W.R. SChOEDEL (nella precedente nota), cfr. C.K. BArrET, Jews and Judaizers in the Epistles of Ignatius, in R. hAMErTON-KELLy - R. SCrOGGS (edd.), Jews, Greeks and Christians. Religious Cultures in Late Antiquity (= Essays in Honor of W.D. Davies), Brill, Leiden 1976, pp. 220-244, soprattutto pp. 233-235; K. BOMMES, Weizen Gottes, pp. 114-118, Exkursus: Das Alte Testament und Jesus Christus bei Ignatius; P.J. DONAhUE, Jewish Christianity in the Letters of Ignatius of Antioch, in «Vigiliae Christianae» 32 (1978), pp. 81-93; P.G. ALVES DE SOUSA, JesuCristo, centro de la Escritura y Tradición. Un prin-cipio hermeneútico en Ignacio de Antioquía, in J.M. CASCIArO (ed.), Biblia y hermeneútica, Eunsa, Pamplona 1986, pp. 625-635; J. SPEIGL, Ignatius in Philadelphia. Ereignisse und An-liegen in den Ignatiusbriefen, in «Vigiliae Christianae» 41 (1987), pp. 360-376; C. TrEVETT, Apocalypse, Ignatius, Montanism: seeking the Seeds, in «Vigiliae Christianae» 43 (1989), pp. 313-338, soprattutto pp. 323-325; A.-C. fAIVrE, Genèse d’un texte et recours aux Ecri-tures. Ignace, aux Ephésiens 14,1-16,2, in «Revue des Sciences Religieuses» 65 (1991), pp. 173-196, soprattutto pp. 175-179 (a p. 176 n. 11 ulteriore bibliografia); S.A. PANIMOLLE, L’alleanza divina nei primi documenti della letteratura cristiana, in S.A. PANIMOLLE (ed.), Dizionario di spiritualità biblico-patristica. 2. Alleanza-Patto-Testamento, Borla, Roma 1992, pp. 159-209, soprattutto pp. 169-173.

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  • Ignazio di Antiochia: «La passione del mio Dio» (Rom. 6,3); «sangue di Dio» (Efes. 1,1) 15

    Ho sentito alcuni dire: «Se non lo trovo negli archivi, non credo nel vangelo». E quando io dicevo loro: «Sta scritto!», essi mi rispondevano: «E appunto da dimostrare!» Ma per me gli archivi sono Gesù Cristo, gli inviolabili archivi sono la sua croce e la morte e la sua risurrezione e la fede per mezzo di lui. In questi io voglio essere giustificato, nella vostra preghiera (Filad. 8,2).

    Ignazio lascia qui trasparire il suo profondo cristocentrismo: Cristo è l’epicentro e il punto di riferimento essenziale (“il documento sacro” come indica la parola “archivio”16) della storia della salvezza: anche l’AT va inter-pretato alla luce di Cristo e del Vangelo (cfr. Filad. 5,1-2), perché i profeti17 – e con essi tutto l’AT – hanno preparato, anzi «hanno annunciato [verso] il Vangelo... essendo nell’unità di Gesù Cristo... sono stati testimoniati da Gesù Cristo» (Filad. 5,2). Notiamo come al centro di questi “archivi” sia posto il mistero pasquale: la Croce, la morte e la Risurrezione, sintesi e punto focale della Sacra Scrittura.

    Ignazio poco nella stessa lettera, entro la cornice della continuità, mette fortemente in risalto però la superiorità del Cristo, definito «sommo Sacer-dote» e «porta del Padre» (Filad. 9,1):

    Buoni (erano) anche i sacerdoti, ma cosa molto superiore è il sommo Sacerdote a cui è stato affidato il santo dei santi e l’unico al quale sono stati affidati i segreti di Dio. Egli è porta del Padre (cfr. Gv 10,7.9), attraverso alla quale entrano Abramo e Isacco e Giacobbe e i profeti e gli apostoli e la chiesa. Tutte queste cose mirano all’unità di Dio. Ma il vangelo ha qualcosa di superiore, la venuta del salvatore, Signore nostro Gesù Cristo, la sua Passione e Risurrezione. Infatti gli amati profeti annunciarono in previsione di lui. Ma il vangelo è compimento di incorruttibilità. Tutte queste cose insieme sono buone se avete fede e amore» (Filad. 9,1-2).

    La superiorità del Vangelo consiste proprio nel fatto che, mentre i pro-feti avevano preannunciato il Cristo, il Vangelo ne contiene la realizzazione, quindi concretamente l’Incarnazione (la «venuta») e il mistero pasquale («Passione e Risurrezione»). Dall’accettazione di questo mistero pasquale di morte e Risurrezione scaturisce anche la vita incorruttibile.

    16 W.R. SChOEDEL, Ignatius and the Archives, pp. 99-102.17 Sull’importanza dei profeti cfr. F. BErGAMELLI “Vivere secondo la domenica” in Ignazio

    di Antiochia, in M. SODI (ed.), «Ubi Petrus ibi Ecclesia», pp. 49-53: Il ruolo centrale ed arche-tipo dei profeti antichi (Magnesi 8,2-9,1-2), [tutto l’articolo pp. 45-57].

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  • 16 Croce e identità cristiana di Dio nei primi secoli

    1. Passione sofferta e sangue versato realmente da Cristo

    La realtà storica della passione subita dal Cristo e del sangue da Lui ver-sato per la salvezza degli uomini è fortemente sottolineata da Ignazio, che ne fa il cardine delle sue lettere. Passione e sangue sono il segno della vera e reale sofferenza umana del Cristo e danno agli uomini la possibilità di una nuova vita, creano unità e comunione nella Chiesa e generano carità. All’op-posto, coloro che vi oppongono e la negano (come i doceti) si escludono dalla salvezza e non si preoccupano dei bisognosi.

    1.1. Passione e croce sono indizio di vera sofferenza umana

    Indirizzandosi alla Chiesa di Efeso, Ignazio la saluta, rievocando i grandi doni ricevuti da Dio, in quanto è stata benedetta nella pienezza di Dio Padre,18 è stata predestinata ad una gloria eterna e ad una salda unità ed «è stata scelta nella passione vera per volontà del Padre e di Gesù Cristo, Dio nostro» (Efes., saluto).

    Il Vescovo antiocheno fa risaltare che la scelta di questa Chiesa è avve-nuta «nella passione vera»: tale espressione esprime la fede di Ignazio nella reale umanità e nelle sofferenze di Cristo, le quali si sono realizzate per vo-lere del Padre, che ha mandato il Figlio nel mondo per salvarlo e per mezzo dello stesso Figlio, il Cristo, che è «Dio nostro»: un’espressione che indica il profondo attaccamento del Vescovo a Cristo.19 Egli dunque evidenzia che lo stesso Cristo – che ha patito – è anche Dio e che la sua «Passione» non è stata apparente, come dicevano i doceti (vedi sotto), ma «vera»: un tipico aggettivo in funzione antidoceta.

    Nel suo celebre “inno” di Efesini 7, che si presenta anche come una delle confessioni cristologiche più dense e significative del primitivo cristianesimo,20 Ignazio afferma:

    18 Cfr. anche san Paolo all’inizio della Lettera agli Efesini (1,3s).19 Ignazio spesso si riferisce a Cristo, qualificandolo come «nostro Dio» (oltre che qui,

    cfr. anche Efes. 15,3; 18,2; Rom., saluto; 3,3; Polic. 8,3); o «mio Dio» (Rom. 6,3); o «nostro Signore» (Efes. 7,2; Smir. 1,1), o semplicemente come «Dio» (Trall. 7,1; Smir. 10,1).

    20 Per alcuni studi su questo testo cfr. F. BErGAMELLI, L’unione a Cristo in Ignazio, pp. 87-90; ID., Maria nelle Lettere di Ignazio di Antiochia, in F. BErGAMELLI - M. CIMOSA (edd.), Virgo Fidelis. Miscellanea di studi mariani in onore di Don D. Bertetto s.d.b., LAS, Roma 1988, pp. 147-151 [tutto l’articolo pp. 145-174]; F. BErGAMELLI, Caratteristiche e originalità della confessione di fede mariana di Ignazio di Antiochia, in S. fELICI, (ed.), La mariologia nella catechesi dei Padri (età prenicena) (BScRel 88), LAS, Roma 1989, pp. 66-68 [tutto l’art.

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  • Ignazio di Antiochia: «La passione del mio Dio» (Rom. 6,3); «sangue di Dio» (Efes. 1,1) 17

    Uno solo è medico / carnale e spirituale / generato e ingenerato / in carne fatto Dio / in morte vita vera / e da Maria e da Dio / prima passibile e poi impassibile / Gesù Cristo, il Signore nostro (Efes. 7,2).

    Attraverso binomi contrapposti, come in un dittico, vengono presen-tati nel primo quadro le caratteristiche terrene del Cristo, vero uomo, e nel secondo – speculari e opposte – quelle divine del Cristo, vero Dio.21 Nel primo quadro Ignazio evidenzia dunque che Cristo è divenuto vero uomo, nascendo da Maria, ha subito la Passione ed è morto; nel secondo quadro sottolinea che lo stesso figlio partorito da Maria, divenuto «passi-bile», non è un semplice uomo, ma è anche Dio, perché, prima di nascere come uomo da Maria, era già da Dio come «ingenerato».22 Poiché dunque è veramente uomo, il Cristo ha sofferto, in quanto passibile (paqetÒj); poi nella Risurrezione ha dimostrato pienamente e definitivamente la sua divinità – posseduta da sempre – nella impassibilità che è propria di Dio.23

    Nella lettera a Policarpo, Ignazio ribadisce concetti simili, partendo dalla impassibilità di Dio (e con un linguaggio propriamente metafisico):24 «Impassibile, per noi (divenuto) passibile, per noi sopportando ogni cosa» (Polic. 3,2).

    pp. 65-78]; F. BErGAMELLI, La «verginità di Maria» nelle Lettere di Ignazio di Antiochia, in «Theotokos» 9 (2001), pp. 295-310.

    21 A simili contrapposizioni si possono accostare quelle di TErTULLIANO, De carne Christi 5,7 (Sources Chrétiennes [= SCh] 216,230): «Utriusque substantiae census hominem et Deum exhibuit, hinc natum, inde non natum, hinc carneum, inde spiritalem, hinc infirmum, inde praefortem, hinc morientem, inde viventem».

    22 La parola «ingenerato» designa qui l’essenza divina, che è increata e senza inizio (non si riferisce alla proprietà della persona divina: solo il Padre è ingenerato, mentre il Figlio è generato). Il termine ingenerato «est un terme philosophique qui depuis Parmé-nide caractérise la transcendance divine, en l’opposant aux créatures; c’est en ce sens que l’emploi Ignace, comme l’emploient les apologistes»: P. Th. CAMELOT, Introduction, in ID. (ed.), Ignace d’Antioche. Polycarpe de Smyrne. Lettres. Martyr de Polycarpe (SCh 10), Paris 19694, p. 32.

    23 «Ignace d’Antioche, cet évêque du début du IIe siècle si profondément spirituel, (…) fait de l’apatheia un attribut essentiel de la divinité du Verbe, “l’impassible (tÕn ¢paqÁ), à cause de nous passible (paqhtÒn)” (Polyc. 3,2), maintenant impassible (Eph. 7,2)»: M. SPAN-NEUT, L’ apatheia divine. Des Anciens aux Pères de l’Église, in M. MArITANO (ed.), Historiam Perscrutari. Miscellanea di studi offerti al Prof. Ottorino Pasquato (BScRel 180), LAS Roma 2002, p. 641.

    24 Cfr. W.R. SChOEDEL, Ignatius of Antioch: a commentary on the Letters of Ignatius of Antioch, Philadelphia, Fortress Press, 1985, pp. 267-268.

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  • 18 Croce e identità cristiana di Dio nei primi secoli

    Il Cristo dunque che, in quanto Dio, era “impassibile” (un attributo spe-cifico della essenza divina),25 nell’Incarnazione si è rivestito di “passibilità”, di sofferenza (un elemento caratteristico della natura umana).

    1.2. Passione e sangue danno vita nuova

    Ignazio mette in evidenza che il «sangue» di Cristo è fonte di vita e di rin-novamento per la vita del cristiano. Premunendo i cristiani di Tralli contro le insidie dei doceti, raccomanda:

    Non che io abbia saputo qualcosa del genere tra voi, ma vi voglio premunire come miei amati, prevedendo le insidie del diavolo. Voi dunque, armandovi di dolce pazienza lasciatevi ricreare26 nella fede, che è la carne del Signore, e nell’amore, che è il sangue di Gesù Cristo (Trall. 8,1).

    Sono evidenti due binomi cari ad Ignazio: «fede-amore» e «carne-sangue», collegati fra loro dalla frase copulativa «che è».27 Si intrecciano qui da una parte la vita di Cristo emblematicamente significata dalla sua «carne» e dal suo «sangue», e dall’altra la vita del cristiano, riassunta nella sua totalità dalla «fede» e dall’«amore».28 Al dono della «carne» e del «sangue», che in-dicano il Christus totus nella sua realtà storica e sacramentale, corrisponde il dono del cristiano che dona tutto se stesso nella fede e nell’amore: mediante questo scambio avviene una “nuova creazione”, la vita nuova. Il «sangue» è qui l’elemento specifico del Cristo, presente già storicamente sulla terra e poi sacramentalmente nell’Eucaristia: questo sangue accolto dal cristiano diventa fonte di energia nuova, ne rinnova la vita, come una seconda crea-zione.

    25 Già SESTO EMPIrICO, Ipotiposi Pirroniane I,162, affermava che, secondo le opinioni dei filosofi, «il divino è impassibile»; cfr. anche ivi 1,225. In ambiente cristiano del II sec., cfr. IrENEO, Contro le eresie 3,16,6; MELITONE, fragm. 13.

    26 Il verbo usato da Ignazio (¢nact…zetai) è raro, è un hapax non riscontrabile né nell’AT [eccetto che nella versione di Aquila al Salmo 50 (51),12)], né nel NT, né nei primi Padri (Apostolici e Apologeti): cfr. le osservazioni di F. BErGAMELLI, Il sangue di Cristo, p. 894, nota 98.

    27 La frase copulativa («che è», spesso usata da Ignazio: cfr. Efes. 9,1; 14,1; 17,2; Magn. 7,1; 10,2; 15; Smir. 5,3) non fissa una identità assoluta, ma piuttosto un rapporto di causalità e interdipendenza dinamica: cfr. J.P. MArTíN, El Espíritu Santo en los orígenes del cristianismo. Estudio sobre Clemente, Ignacio, Clemente y Justino Mártyr (BScRel 2), PAS, Zürich 1971, pp. 109-110.

    28 Su cui cfr. soprattutto F. BErGAMELLI, “Sinfonia” della Chiesa, pp. 45-49.

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  • Ignazio di Antiochia: «La passione del mio Dio» (Rom. 6,3); «sangue di Dio» (Efes. 1,1) 19

    In un altro passo Ignazio esprime lo stesso concetto, rivolgendosi agli Efesini:

    Ho accolto in Dio il tuo nome amatissimo, che vi siete acquistato per natura giusta secondo la fede e l’amore in Cristo Signore nostro Salvatore. Essendo imitatori di Dio e dopo esservi riaccesi nel sangue di Dio avete portato a compi-mento l’opera a voi congeniale (Efes. 1,1).

    Ignazio loda gli Efesini, perché hanno aderito totalmente al Cristo, acco-gliendolo nella «fede» e nell’«amore»:29 così essi sono divenuti «imitatori di Dio» e si sono «riaccesi nel sangue di Dio». Il verbo esprime l’idea di rinno-vamento e rinvigorimento, propria del fuoco o della fiamma che si riattizza,30 e fa diventare incandescente ciò che le si avvicina.

    L’espressione più ardita in questo testo – unica in tutte le lettere ignaziane – è «il sangue di Dio»: essa indica il Cristo nella sua natura divina.31 Il sangue di Cristo dunque deve essere considerato e accolto non come il sangue di un qualunque uomo, ma come quello di Dio, che ha salvato tutti gli es-sere umani e celesti (cfr. Smir. 6,1). Tale espressione «sangue di Dio» – che sembra paradossale – «suona come una professione di fede concentrata nella realtà storico-salvifica dell’evento di Cristo: aŒma (= la realtà storica); Qeoà (= la realtà soteriologica)».32 Il «sangue di Dio» è quello che Gesù Cristo, l’uomo-Dio, sparse storicamente al momento della Passione e che perpetua misticamente nell’Eucaristia, ove è realmente presente il sangue divino.33 Il «sangue di Dio» concentra e riassume in sé il dono salvifico apportatoci da Cristo l’uomo-Dio, che ha realmente sofferto sulla Croce, versando il suo sangue, e continua a donarlo nell’Eucaristia, così che i cristiani possono ali-mentare e “riaccendere” in se stessi il fuoco dell’amore in modo da essere «imitatori di Dio». Il «sangue di Dio», accolto dal cristiano come risposta di

    29 Un binomio presente in molti testi ignaziani sul sangue: Smir. 1,1; 6,1; Trall. 8,1; Efes. 1,1.30 Tale è appunto il significato del verbo usato da Ignazio: ¢nazwpur»santej: cfr. P.

    ChANTrAINE, Dictionnaire étymologique de la langue grecque. Histoire des mots, Klincksieck, Paris 1980, p. 957; W. BAUEr, Griechisch–Deutches Wörterbuch zu den Schriften des Neuen Testaments und der übrigen urchristlichen Literatur, A. Töpelmann, Berlin – New York 51971, p. 107.

    31 Il Cristo è definito espressamente “Dio” da Ignazio in vari testi: cfr. ad es. Rom., saluto; 3,3; 6,3; Filad. 6,3; Smir. 1,1; 10,1; Efes., saluto; 1,1; 7,2; 15,3; 18,2; 19,3: per il commento a testi che esprimono la divinità di Cristo, cfr. C.C. rIChArDSON, The Christianity of Ignatius of Antioch, 40-45; F. BErGAMELLI, L’unione a Cristo in Ignazio, 81-83: Gesù Cristo – vero Dio.

    32 F. BErGAMELLI, Il sangue di Cristo, p. 898, nota 113.33 Cfr. anche K. BOMMES, Weizen Gottes, p. 61.

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  • 20 Croce e identità cristiana di Dio nei primi secoli

    fede e di amore, diviene sorgente continua di vita nuova: così il cristiano può essere continuamente “ricreato” e “riacceso” nel fuoco dell’amore divino.

    Ignazio poi in un brano sintetico (contro i doceti gnostici) presenta la vita di Cristo, Dio e uomo, che, portato in grembo da Maria34 e battezzato al Giordano, mediante la Passione e la Risurrezione (nel mistero pasquale) ci ha purificati e resi atti per una vita nuova:

    Il nostro Dio Gesù il Cristo fu portato in grembo da Maria secondo l’economia di Dio, da seme di Davide e da Spirito Santo. Egli [Cristo] fu generato e battez-zato al fine di purificare l’acqua con la Passione (Efes. 18,2).

    In questo testo, che potrebbe quasi richiamare un simbolo di fede,35 Ignazio collega la generazione e il Battesimo di Gesù con la Passione. Questi avvenimenti (generazione da Maria, Battesimo e Passione) sono argomenti importanti contro il docetismo gnostico,36 che negava la realtà del corpo fisico di Gesù, un corpo che, nato da Maria e battezzato al Giordano, ha subito realmente la sofferenza nella Passione.

    Il richiamo alla novità37 apportataci da Cristo con la sua Passione e Risur-rezione ritorna nella parte finale della lettera agli Efesini:

    Se Gesù Cristo me ne riterrà degno, nella vostra preghiera, ed è volontà (di Dio), in un secondo breve scritto che ho intenzione di scrivervi, vi manifesterò ulteriormente quella economia della quale ho incominciato a parlarvi, concer-nente l’uomo nuovo, Gesù Cristo, nella fede e nell’amore verso di lui, nella sua Passione e Risurrezione (Efes. 20,1).

    34 Il verbo greco usato (kuoforšw) è «assai raro nella letteratura del cristianesimo primitivo, ed esprime icasticamente l’azione propria della donna (o della terra) che, fecon-data dal seme, rimane incinta portando così nel suo ventre il frutto di tale concepimento»: F. BErGAMELLI, Caratteristiche e originalità, p. 69; cfr. anche ID., La «verginità di Maria» nelle Lettere di Ignazio di Antiochia, in «Salesianum» 50 (1988), p. 309 [tutto l’art. pp. 307-320].

    35 Come sottolineano ad es. W.R. SChOEDEL, Ignatius of Antioch: a commentary, p. 84; H. PAULSEN, Studien zur Theologie des Ignatius, 50-53 e n. 137.

    36 Cfr. A. OrBE, Estudios valentinianos. III. La Unción del Verbo (Analecta Gregoriana 113), PUG, Roma 1961, p. 10: «Ignacio discurre contra el docetismo que eliminaba … la cru-cifixión carnal del Cristo… El Bautismo de Jesús se presenta como argomento apodictico, junto con la concepción y el nacimiento, del cuerpo material con que sufrió la pasión».

    37 Su cui particolarmente cfr. F. BErGAMELLI, Cristo “l’uomo nuovo” e “l’uomo perfetto” in Ignazio di Antiochia (Efes. 20,1: Smir. 4,2), in E.A. LIVINGSTONE (ed.), Studia Patristica 26, Pe-eters, Leuven 1993, pp. 103-112; F. BErGAMELLI, “Lasciatemi ricevere la pura luce! Là giunto, sarò uomo” (Rom. 6,2). Lineamenti essenziali di antropologia ignaziana, in «Salesianum» [di prossima pubblicazione].

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  • Ignazio di Antiochia: «La passione del mio Dio» (Rom. 6,3); «sangue di Dio» (Efes. 1,1) 21

    Nella parola «economia» Ignazio intende racchiudere tutto il piano di salvezza realizzato da Dio e che si riassume nei principali eventi storico-salvifici dell’esistenza di Cristo.38 Questo piano si incentra nel vero ed unico protagonista, il Cristo «uomo nuovo»,39 che mediante la Passione e Risurre-zione rende nuovi anche gli uomini che lo accolgono nella fede e nell’amore. Senza di lui tutto diventa vecchio e l’uomo condurrebbe una vita impossibile e vuota di senso.40

    1.3. Passione e sangue creano unità e comunione

    Al termine della lettera agli Smirnesi, Ignazio che si definisce «l’uomo strutturato per l’unità»41 invia un affettuoso saluto,42 che assume quasi i con-torni di una confessione di fede cristologica e soteriologica (o simbolo ab-breviato):

    Saluto il vescovo degno di Dio e il venerabile presbiterato, i diaconi miei conservi e tutti quanti, personalmente e comunitariamente, nel nome di Gesù Cristo, e nella sua carne e nel suo sangue, nella sua Passione e Resurrezione, carnale e spirituale, nell’unità di Dio e vostra. Grazia a voi, misericordia, pace e pazienza per sempre (Smir. 12,2).

    Particolare importanza assumono i binomi «carne-sangue», «Passione-Risurrezione», «carnale-spirituale», «unità di Dio e vostra». Ignazio indica la totalità della persona e dell’opera di Cristo: «carne» e «sangue» signi-

    38 Ignazio definisce anche tali eventi «misteri»: Efes. 19,1.39 Cristo apporta anche «novità di vita eterna» (Efes. 19,3) e «novità di speranza» (cfr.

    Magn. 9,1); egli è il «nuovo lievito» (Magn. 10,2). A contatto con Cristo, l’uomo diventa anche lui “nuovo”, in quanto carne abitata dallo Spirito, che si apre a Dio e agli altri uomini: cfr. D. VIGNE, L’homme “théophore” Anthropologie d’Ignace d’Antioche, in «Connaissance des Pères de l’Église» 88 (2002), pp. 2-11.

    40 Vedi Magn. 9,2: «Come noi potremo vivere all’infuori di lui?». Per il contesto di questo grido di Ignazio, che esprime tutta la sua tensione verso l’Uomo Nuovo, cfr. F. BErGAMELLI “Vivere secondo la domenica” in Ignazio di Antiochia, in M. SODI (ed.), «Ubi Petrus ibi Ec-clesia», pp. 45-57.

    41 Filad. 8,1. Per un commento cfr. F. BErGAMELLI, L’unione a Cristo in Ignazio, pp. 94-98: La mistica dell’unità in Ignazio [tutto art. pp. 73-109].

    42 Un saluto che diventa anche «il suggello della loro unità nella Chiesa»: F. BErGAMELLI Il sangue di Cristo, 875. Per il formulario usato da Ignazio nelle sue lettere (per i saluti iniziali e finali) cfr. H.J. SIEBEN, Die Ignatianen als Briefe. Einige formkritische Bemerkungen, in «Vi-giliae Christianae» 32 (1978), pp. 1-18.

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  • 22 Croce e identità cristiana di Dio nei primi secoli

    ficano la sua concreta umanità; «Passione» e «Resurrezione»43 designano la totalità della vita e del vangelo di Cristo e l’evento salvifico; gli aggettivi «carnale» e «spirituale» richiamano la globalità della vita che si svolge sul piano corporeo e su quello immateriale. L’unità di Dio e dei cristiani mani-festano il fine a cui tende l’opera di Cristo: rinnovare l’alleanza tra Dio e gli uomini e rendere solidali gli uomini tra loro; appunto a questo scopo tende la Chiesa. In tal modo soprattutto il sangue e la Passione (mai disgiunta dalla Risurrezione) di Cristo sono l’elemento per eccellenza che unisce la Chiesa, la compagina nella comunione.

    In un altro passo diretto contro i doceti, Ignazio, richiamandosi alla im-magine evangelica dell’albero e dei rami (cfr. Mt 15,13; Gv 15,1-2; 1Cor 3,9), fa capire che i veri cristiani – al contrario degli eretici – sono strettamente uniti a Dio come i rami che portano frutto. Questo è possibile perché Cristo, nella sua passione, tramite la Croce ci ha reso sue membra:

    Fuggite dunque i cattivi polloni che generano un frutto di morte; se qualcuno ne gusta, muore all’istante. Essi infatti non sono piantagione del Padre. Perché, se lo fossero, apparirebbero come rami della Croce44 e il loro frutto sarebbe incorruttibile. Per mezzo di essa, Egli [Gesù Cristo] nella sua Passione, chiama a sé voi che siete le membra sue. Ora non è possibile che il capo sia generato separatamente, senza le membra, dal momento che Dio ha promesso l’unità, che è egli stesso (Trall. 11,1-2).

    Ignazio, attraverso l’immagine suggestiva dell’albero (paragonata ad una Croce) e dei rami (che simboleggiano i fedeli uniti a Cristo e che quindi por-tano un frutto incorruttibile), evidenzia il ruolo fondamentale della Croce per realizzare l’unità tra il Capo e le membra: ambedue costituiscono in-sieme un organismo vitale strettamente compaginato,45 e, del resto, anche il Cristo-Capo non può esistere senza le sue membra. Il Vescovo qui sottolinea

    43 Su questo binomio cfr. anche W.R. SChOEDEL, Ignatius of Antioch: a commentary, pp. 27-28.

    44 È la prima volta che nella letteratura cristiana si parla dell’albero/rami della Croce (per il «frutto» cfr. anche Smir. 1,2): cfr. P. CAMELOT (ed.), Ignace d’Antioche. Polycarpe de Smyrne. Lettres. Martyr de Polycarpe (SCh 10bis), Cerf, Paris 1998, p. 103, nota 3.

    45 Cfr. K. BOMMES, Weizen Gottes, p. 76: «Darin ist eine doppelte Aussagen des Verbun-denseins des Gläubigen mit dem Leiden Jesu Christi enthalten: 1. Christus ruft ihn durch sein Kreuz; 2. es ist der leidende Christus der ihn als sein Glied zu sich ruft. Das Glied-Christi-sein des Christen ist danach in besonderer Weise auf das Leid des Herrn bezogen: Es gründet in ihm und wird in ihn offenbar. Durch das leiden Jesu Christi sind die Glaubenden angerufen, ihm in seinen Leiden als sein Glieder verbunden zu sein, um in der Einheit mit ihm in die ›nwsij Gottes heimzukehren». Si veda anche una silloge di testi sulla relazione tra Chiesa e

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  • Ignazio di Antiochia: «La passione del mio Dio» (Rom. 6,3); «sangue di Dio» (Efes. 1,1) 23

    energicamente che i cristiani, soltanto associandosi a Cristo «nella Passione» – cioè nel momento supremo del sacrificio che salva gli uomini – possono appartenere a Lui, essere «sue membra». L’unità porta a Cristo e viene da Cristo: dunque il cristiano, quando è immerso nell’evento salvifico (Croce-Passione-Risurrezione) si trova in Cristo, in una perfetta incorporazione e nella continuità organica.

    Con un originale linguaggio allegorico, desunto dall’arte edilizia, Ignazio, scrivendo agli Efesini, con vivida immaginazione parla della costruzione del tempio, che è Chiesa, nella sua struttura unitaria e ordinata:

    Voi siete pietre46 del tempio del Padre preparate in vista della costruzione di Dio Padre, elevate fino alla sommità per mezzo della macchina di Gesù Cristo, che è la croce, usando come corda lo Spirito Santo. La vostra fede poi è il vostro elevatore, mentre l’amore è la strada che porta verso Dio. Voi dunque siete tutti compagni di viaggio, portatori di Dio, portatori del tempio, portatori di Cristo, portatori di cose sacre, in tutto ornati nei precetti di Gesù Cristo (Efes. 9,1-2).

    La Croce è considerata qui come l’emblema per eccellenza di Cristo e diventa «una macchina», che è l’argano usato per sollevare le pietre, mentre lo Spirito è il cavo mediante il quale l’argano issa le pietre e le tiene unite. Fuori metafora: è mediante la Passione e la Croce che Cristo costruisce e fonda la Chiesa.

    1.4. Passione e sangue generano carità

    La Passione e il sangue di Cristo creano uno stretto legame con il cri-stiano, tanto da generare in lui la carità (cfr. Smir. 1,1): se egli è ricolmo di una fede irremovibile, che quasi lo inchioda fisicamente alla Croce – come Cristo lo è stato realmente per noi (dirà subito dopo in Smir. 1,2), – è reso stabile nell’amore. Il sangue e la Passione di Cristo passano dalla realtà sto-rica a quella mistica quando vengono assunti dal cristiano e allora ne diven-gono segno dell’amore assoluto e totalizzante della vita:

    Rendo gloria a Gesù Cristo, il Dio che vi ha resi così saggi. Ho infatti constatato che voi siete compatti in una fede incrollabile, come inchiodati alla croce del

    passione alle precedenti pp. 69-75: Der Ursprung des Christentums und der Kirche im Leiden Christi. Cfr. anche F. BErGAMELLI, “Sinfonia” della Chiesa, pp. 36-37.

    46 Per le pietre cfr. 1Pt 2,5.

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  • 24 Croce e identità cristiana di Dio nei primi secoli

    Signore Gesù Cristo nella carne e nello spirito e resi saldi nell’amore nel sangue di Cristo (Smir. 1,1).47

    Poco dopo in un vibrante testo, Ignazio afferma che colui il quale non crede «nel sangue di Cristo» (come i doceti) non pratica nemmeno la carità:

    Nessuno s’inganni; anche gli esseri celesti e la gloria degli angeli, e gli arconti visibili ed invisibili se non credono nel sangue di Cristo, anch’essi non sfug-gono al giudizio. «Chi può comprendere, comprenda» (Mt 19,12). Il posto non inorgoglisca nessuno. Infatti il tutto è la fede e la carità, a cui nulla è da preferire. Ma fate attenzione a quelli che hanno una dottrina eterodossa sulla grazia di Gesù Cristo che è venuto a noi. Essi sono contrari al pensiero di Dio. Essi non si prendono cura dell’amore, né della vedova, né dell’orfano, né dell’oppresso, né di chi è prigioniero o è stato liberato, né di chi ha fame o sete (Smir. 6,1-2).

    Infatti è proprio dal sangue di Cristo che il cristiano trae forza per imitare Cristo che ha donato tutto se stesso agli uomini. I doceti che non credono «nel sangue di Cristo» (cfr. Smir. 6,1) non hanno nemmeno l’amore per i fratelli e le sorelle; un amore che si traduce e si manifesta in opere di carità verso i più bisognosi: vedove, orfani, oppressi, prigionieri, bisognosi… (cfr. Smir. 6,2). Chi non vive nella unità di fede e amore, ma in uno spiritualismo astratto, evade dagli impegni e dai gesti di amore e di carità verso i poveri e i disagiati.

    1.5. Avversari della Passione (i doceti…)

    Ignazio – sopratutto nella lettera agli Smirnesi – polemizza in modo de-ciso48 contro i doceti,49 i quali non ammettevano la realtà della Incarnazione

    47 L’intero brano di Smir. 1,1-2, sarà ripreso nel mio paragrafo seguente (1.5: Avversari della Passione).

    48 Cfr. M. MyLLyKOSKI, “Wild Beasts and Rabid Dogs”. The Riddle of the Heretics in the Letters of lgnatius, in J. ÀDNA (ed.), The Formation of the Early Church (Wissenschaftliche Untersuchungen zum Neuen Testament [WUNT], p. 183), Mohr Siebeck, Tübingen 2005, pp. 341-377.

    49 Cfr. J. rIUS-CAMPS, “Realitat” o “aparença”: el ser o no ser del cristianismo, segons Ig-nasi, el bisbe de Síria, in «Revista Catalana de teologia» 19 (1994), pp. 67-78. Sul docetismo in generale cfr. sinteticamente T. hAINThALEr, «Doketismus», in Lexikon für Theologie und Kirche, 3, Herder, Freiburg Br3 1995, p. 301s.; W. Löhr, «Doketismus» I/1. Alte Kirche, in Die Religion und Geschichte und Gegenwart, 2, Mohr Siebeck, Tübingen 1999, p. 925 ss.; B.

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  • Ignazio di Antiochia: «La passione del mio Dio» (Rom. 6,3); «sangue di Dio» (Efes. 1,1) 25

    di Cristo, ritenendo che essa fosse solo apparente. Essi infatti sminuivano la oggettività storica dell’opera salvifica di Cristo e trascuravano la vera uma-nità di Gesù, sostenendo che «egli aveva patito solo in apparenza» (Smir. 2) e rifiutando che egli fosse «portatore di carne» (Smir. 5,2).50

    La concretezza della “Passione” e del “sangue” di Cristo è valorizzata da Ignazio contro i doceti51 ed espressa in modo incisivo nell’avverbio “realmente”, tipico di Ignazio in funzione antidoceta,52 come leggiamo in Smir. 1,1-2:

    STUDEr. Docetismo, in Nuovo Dizionario Patristico e di Antichità Cristiane, I, Marietti, Ge-nova/Milano 2006, pp. 1465-1466; cfr. inoltre G. BArDy, «Docétisme», in Dictionnaire de Spiritualité, Ascétique et Mystique, 3, Beauchesne, Paris 1957, pp. 1461-1468; P. WEIGANDT, Der Doketismus im Urchristentum und in der theologischen Entwicklung des zweitens Jahr-hunderts. Dissertation, Heidelberg 1961; J.G. DAVIES, The origin of Docetismus, in F.L. CrOSS (ed.), Studia Patristica 6 (Texte und Untersuchungen 81), Akademie Verlag, Berlin 1962, pp. 13-35; R.A. GOMEZ-MAS, Temas fundamentales del docetismo, in «Communio. Commentarii Internationales de Ecclesia et Theologia» 4 (Sevilla 1971), pp. 153-191; A. OrBE, Cristología gnóstica. Introdución a la soteriología de los siglos II y III. Vol. I (Biblio-teca de Autores Cristianos 384), Editorial Católica, Madrid 1976, pp. 380-412: El doce-tismo gnóstico; J. rIUS-CAMPS, Las cartas auténticas de Ignacio, el obispo de Siria, in «Revista catalana de Teologia» 2 (1977), pp. 54-63 [per l’eresia doceta; tutto l’articolo: pp. 31-149]; M. SLUSSEr, Docetism. A historical definition, in «The Second Century» 1 (1981), pp. 163-172; A. GrILLMEIEr, Gesù il Cristo nella fede della Chiesa, I,1. Dall’età apostolica al Concilio di Calcedonia, Paideia, Brescia 1982, pp. 248-250, tr. it.; N. BrOx, “Doketismus”. Eine Pro-blemanzeige, in «Zeitschrift für Kirchengeschichte» 95 (1984), pp. 301-314; S. PETrEMENT, Le Dieu séparé. Les origines du gnosticisme (Patrimoines. Gnosticisme), Cerf, Paris 1984, pp. 207-224: Le docétisme; E. MöDE, Die Häresie des Doketismus aus psychopathologischer Perspektive, in «Archiv für Religionspsychologie» 17 (1985), pp. 112-118; U.B. MüLLEr, Die Menschwerdung der Gottessohnes. Frühchristliche Inkarnationsvorstellungen und die Anfänge der Doketismus (Stuttgarter Bibelstudien 140), Verlag Katholisches Bibelwerk, Stuttgart 1990; J. rIUS-CAMPS, El protognosticismo de los docetas en las cartas de Ignacio, ol obispo de Siria (I Eph – I Sm e I Tr) y su conexiones con los Evangelios contemporáneos, in E.A. LIVINGSTONE (ed.), Studia Patristica 31, Peeters, Leuven 1997, pp. 172-195; D.L. hOffMAN, Ignatius and Early Anti-Docetic Realism in the Eucharist, in «Fides et Historia» 30 (Grand Rapids 1998), pp. 74-88. Secondo M.D. GOULDEr, Ignatius’ “Docetists”, in «Vi-giliae Christianae» 53 (1999), pp. 16-30, in realtà il “docetismo” sarebbe un moderno ma-linteso per un indicare una forma di ebionismo.

    50 «Sarkophoros» è un hapax presente in Ignazio: cfr. F. BErGAMELLI, L’unione a Cristo in Ignazio, p. 86 e n. 42.

    51 Cfr. anche K. BOMMES, Weizen Gottes, 57; cfr. anche P. SErrA ZANETTI, La “dedizione“ del martire: Ignazio Sm 4,2, in ID. (ed.), In verbis verum amare. Miscellanea dell’Istituto di Filologia Latina e Medievale – Università di Bologna, La Nuova Italia, Firenze, 1980, pp. 279-326, soprattutto pp. 281-283.

    52 Cfr. Efes. 17,2; Magn. 11; Trall. 9,1; Smir. 1,1. Su questo avverbio cfr. F. BErGAMELLI, L’unione a Cristo in Ignazio, p. 84; J.A. fISChEr, Die Apostolischen Väter, Wissenschaftliche Buchgesellschaft, Darmstadt, 1956, [81981], p. 205 n. 8; P. SErrA ZANETTI, La “dedizione”, p.

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  • 26 Croce e identità cristiana di Dio nei primi secoli

    Rendo gloria a Gesù Cristo, il Dio che vi ha resi così saggi. Ho infatti constatato che voi siete compatti in una fede incrollabile, come inchiodati alla croce del Signore Gesù Cristo nella carne e nello spirito e resi saldi nell’amore nel sangue di Cristo. Siete pienamente convinti del Signore nostro, che realmente è della stirpe di David secondo la carne, Figlio di Dio per volontà e potenza di Dio, che realmente è stato generato da una Vergine; battezzato da Giovanni, perché ogni giustizia fosse da lui compiuta (Mt 3,15), che sotto Ponzio Pilato e il tetrarca Erode fu realmente inchiodato nella sua carne per noi. Dal frutto di lui, dalla sua divina e beata Passione noi siamo. Così per mezzo della Resurrezione, egli ha innalzato uno stendardo (Is 5,26) sui secoli per radunare insieme i suoi santi e i suoi fedeli, sia tra i giudei sia tra i pagani, nell’unico corpo della sua Chiesa (Smir. 1,1-2).

    Nella parte iniziale Ignazio elogia gli Smirnesi per la loro fede e la loro ca-rità; nella parte centrale presenta quasi un simbolo cristologico, in funzione antidoceta col ripetuto avverbio “realmente”; nella parte finale richiama la realtà della Croce e della Risurrezione per radunare tutti nella Chiesa. La vita di Cristo è riassunta nelle fasi più importanti, particolarmente negate dai doceti: nascita, Battesimo, morte in Croce e Risurrezione. In questo brano notiamo il realismo dei termini fisici, molto concreti e incisivi: carne, sangue, Croce, Passione; generare (da donna), inchiodare…, che esprimono la realtà umana del Cristo; inoltre il richiamo a personaggi storici: Davide (come ca-postipite), la Vergine (Maria), Giovanni Battista, Ponzio Pilato, Erode, che inquadrano il periodo storico in cui visse Gesù.

    In particolare la «Passione» è qui definita «divina e beata»: col primo aggettivo Ignazio evidenzia che essa è stata una iniziativa di Dio e compiuta da un uomo, che è allo stesso tempo Dio; col secondo aggettivo ne richiama i frutti: mediante la passione all’uomo è possibile ritornare a Dio, fonte della beatitudine. In due aggettivi dunque Ignazio ripercorre la storia della sal-vezza: da Dio (che prende l’iniziativa) a Dio (che è la meta dell’uomo). Il Cristo dunque non è una entità astratta, con un corpo apparente, come un fantasma (cfr. Smir. 2 e 3,2), ma una persona reale, storica, che ha sofferto ed è stata inchiodata sulla Croce per darci la vita. Nella solenne immagine evocativa finale (Cristo che innalza lo stendardo)53 Ignazio vede brillare il

    300s.; S. ZAñArTU, El concepto de ZΩH, p. 118 e p. 167; H. PAULSEN, Studien zur Theologie des Ignatius, p. 139.

    53 Il termine greco è sÚsshmon (come in Is 5,26; 49,22; 62,10, indicante uno stendardo che Dio innalza per radunare i popoli nell’unità). Forse qui si può vedere anche un rimando a Gv 12,32 («Io, quando sarò elevato da terra, attirerò tutti a me»), ove il Cristo allude alla Croce, come esaltazione e centro di attrazione per i fedeli.

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  • Ignazio di Antiochia: «La passione del mio Dio» (Rom. 6,3); «sangue di Dio» (Efes. 1,1) 27

    vessillo della Croce che raduna tutti gli uomini nell’unica Chiesa, corpo mi-stico di Cristo. La Croce è qui unita alla Risurrezione: è il mistero pasquale, realtà salvifica da cui ha origine la Chiesa.

    Ignazio definisce i doceti «avvocati della morte, più che della verità» (Smir. 5,1) e, se affermano che Cristo non si è incarnato, bestemmiano il Signore e lo rinnegano completamente e quindi sono dei «necrofori» (cfr. Smir. 5,2). Ignazio non vuole nemmeno ricordarli, ma si augura in un appas-sionante appello che: «si convertano alla Passione, che è la nostra Risurre-zione» (Smir. 5,3).

    Accostando i due termini, anzi quasi identificandoli, Ignazio indica chia-ramente che la Passione è in funzione della Risurrezione e che sono inse-parabili. Il Cristo a cui devono convertirsi i doceti è una persona reale che ha sofferto, ma allo stesso tempo è il risorto vivente, per cui la sua pre-senza opera efficacemente nella storia. Se uno vive in Cristo, diviene come Ignazio“teoforo”,54 in caso contrario è un «necroforo» (Smir. 5,2, cioè un «portatore di morti», un cadavere ambulante) in quanto si esclude dalla sfera vitale di Cristo-Vita,55 ed un egoista, che non si preoccupa dei bisognosi (cfr. Smir. 6,2). Rileva giustamente F. Bergamelli:

    Chi tocca il Cristo nella sua realtà di vero uomo, tocca la vita stessa di Ignazio, la realtà del suo martirio, ciò che ha di più sacro e di più caro, la ragione stessa della sua esistenza. Per questo Ignazio reagisce con tutta la passione della sua veemente personalità ferita nel più intimo da chi cerca di strappargli l’unica ragione della sua vita e della sua morte.56

    54 È quasi il secondo nome e l’appellativo per eccellenza con cui si presenta Ignazio all’inizio delle sue lettere: su Teoforo (e Cristoforo) cfr. l’excursus di K. BOMMES, Weizen Gottes, pp. 257-258.

    55 Sono 9 testi specifici su Cristo-Vita in Ignazio: Efes. 3,2 (Cristo nostro inseparabile vivere); 7,2 (Cristo in morte vita vera); 11,2 (essere trovati in Cristo Gesù per il vero vivere); Magn. 1,2 (Cristo, il nostro vivere per sempre); 5,2 (il suo vivere non è in noi); 9,1 (la nostra vita è sorta per mezzo di lui e della sua morte); 9,2 (come noi potremo vivere al di fuori di Cristo?); Tral. 9,2 (senza Cristo non abbiamo il vero vivere); Smir. 4,1 (Cristo, il nostro vero vivere). Notiamo che dei 29 testi in cui Ignazio usa la radice “zên” (vivere, vita) ben venti sono riferiti a Cristo. Egli inoltre distingue tra Zw», che ha il significato pregnante di Vita-vera-in-Cristo, e B…oj, che è la semplice esistenza terrena e mortale dell’uomo: cfr. F. BErGA-MELLI, L’unione a Cristo in Ignazio, p. 87, nota 49.

    56 F. BErGAMELLI, L’unione a Cristo in Ignazio, p. 86 (citando e commentando appunto Smir. 5,2).

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  • 28 Croce e identità cristiana di Dio nei primi secoli

    2. Passione perpetuata e sangue misticamente presenti nell’Eucaristia57

    Secondo Ignazio, la Chiesa nell’Eucaristia raggiunge il suo momento culminante come corpo mistico e popolo di Dio: essa, nella Passione e nel sangue di Cristo, presenti come realtà misteriosa nella celebrazione euca-ristica, trova la sorgente della sua unità e della sua carità, e ogni cristiano riceve l’incorruttibilità e l’immortalità.

    2.1. Nell’Eucarestia Passione e sangue sono fonte di unità e di carità

    L’anelito di Ignazio perché si formi unità attorno all’Eucaristia risalta particolarmente in questo passo ai Filadelfiesi:

    (…) Se qualcuno cammina in una dottrina estranea, costui non si trova in con-formità alla passione. Sforzatevi dunque di partecipare ad una sola eucaristia. Una infatti è la carne del Signore nostro Gesù Cristo e uno il calice per l’unità del sangue di lui, uno l’altare come uno solo è il vescovo insieme al presbiterio e ai diaconi miei conservi, affinché ciò che fate lo facciate secondo Dio (Filad. 3,3; 4).

    57 Sulla Eucaristia in Ignazio cfr. P.G. ALVES DE SOUZA, A Eucaristia em S. Iñacio de Antioquía, in «Teologica» 10 (Braga 1975), pp. 9-21; J. De WATTEVILLE, Le sacrifice dans les textes eucharistiques des premiers siècles (Bibliothèque théologique), Delachaux et Niestlé, Neuchâtel 1966, pp. 45-58; R. JOhANNy, Ignace d’Antioche, in AA.VV., L’Eucharistie des pre-miers chrétiens (Le point théologique 17), Beauchesne, Paris 1976, pp. 53-74; h. PAULSEN, Studien zur Theologie des Ignatius von Antiochien (Forschungen zur Kirche- und Dogmen-geschichte 29), Vandenhoeck und Ruprecht, Göttingen 1978, pp. 145-157: Ekklesiologie und Eucharistie in der ignatianischen Briefen; f. BErGAMELLI, Morte e vita in Ignazio di Antiochia, in «Parola, Spirito e Vita» n. 32 (1995), pp. 273-288, particolarmente pp. 284-287: L’Eucaristia farmaco d’immortalità; ID., Il sangue di Cristo, pp. 876-884: Il sangue di Cristo e l’Eucaristia; U. BLEyENBErG, “In einem Leib seiner Kirche”. Zum Verhältnis von Eu-charistie und Kirche bei Ignatius von Antiochien, in «Trierer theologische Zeitschrift» 104 (1995), pp. 106-124; L. WEhr, «Arznei der Unsterblichkeit». Die Eucharistie bei Ignatius von Antiochien und im Johannesevangelium (Neutestamentlichte Abhandlungen, nf 18), Aschendorff, Münster 1987, particolarmente pp. 37-181 e pp. 182-277; D.L. hOffMAN, Ignatius and the Early Anti-Docetic Realism in the Eucharist, 74-88; M. MArITANO, L’Eucari-stia nei Padri apostolici, in S.A. PANIMOLLE (ed.), Dizionario di spiritualità biblico-patristica 20, Borla, Roma 1998) pp. 33-49: L’Eucaristia in Ignazio di Antiochia. Per una bibliografia (fino al 1966), cfr. P. SErrA ZANETTI, Bibliografia eucaristica ignaziana recente, in AA.VV., Miscellanea liturgica in onore di Sua Eminenza il cardinale Giacomo Lercaro, 1, Desclée, Roma 1966, pp. 341-387.

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  • Ignazio di Antiochia: «La passione del mio Dio» (Rom. 6,3); «sangue di Dio» (Efes. 1,1) 29

    Tutto il brano58 si unifica attorno a tre nuclei centrali: l’unica Eucaristia, la Passione di Cristo e l’unità della Chiesa. Nell’Eucaristia sono presenti misticamente la «carne» del Salvatore che ha patito per i nostri peccati (Filad. 4, cfr. anche Smir. 7,1) e il suo sangue (Filad. 4): i due elementi che compongono l’eucaristia, il sacramento finalizzato (cfr. l’e„j œnwsin) all’unità ecclesiale.59 Il brano poi si inserisce in un contesto sacrificale, ri-chiamato prima dalla «Passione»60 (qui usato in senso assoluto per indicare tutto l’evento salvifico di Cristo, sia storicamente come avvenimento realiz-zato, sia misticamente come presente nel sacramento eucaristico), poi dal termine «calice» (che richiama i testi eucaristici di Paolo, 1Cor 10,16-17 ed esprime l’aspetto sia conviviale sia sacrificale della cena eucaristica) e infine dall’«altare» (che indica il luogo del culto eucaristico e – simbolicamente – anche l’unità della Chiesa).

    Nell’Eucarestia, il cristiano scopre, oltre l’unità e la concordia,61 anche l’immensa carità del Cristo, che continua a rendersi presente in modo sa-cramentale, ma reale, nella sua vita. Il sangue di Cristo, definito «amore incorruttibile»,62 trasmette al cristiano nuove energie,63 in quanto è «sangue di Dio»64 e genera in lui una risposta di carità: «Voi dunque, armandovi di dolce pazienza, lasciatevi ricreare nella fede, che è la carne del Signore, e nell’amore, che è il sangue di Gesù Cristo» (Trall. 8,1).

    Il cristiano pone il Cristo eucaristico al centro della sua vita nuova, ani-mata dalla carità, e corrisponde pienamente al dono divino della “carne” e

    58 Cfr. il commento a questo passo di F. BErGAMELLI, Il sangue di Cristo, pp. 876-884; cfr. anche O. PErLEr, Eucharistie et unité de l’Église d’après saint Ignace d’Antioche, in AA.VV., XXXV Congreso eucaristico internacional 1952. Secciones de Estudio, t. II, Barcelona 1952, pp. 424-429, particolarmente pp. 426s; K. BOMMES, Weizen Gottes, pp. 59-60; M. MArITANO, L’Eucaristia nei Padri Apostolici, pp. 42-44.

    59 Cfr. R. JOhANNy, Ignace d’Antioche, in AA.VV., L’Eucharistie, 61: «Les termes employés ici (eis et enôsis) traduisent le mouvement ou la finalité d’une chose en train de se réaliser».

    60 Cfr. K. BOMMES, Weizen Gottes, pp. 51-56; F. rAMOS LOrES, Il concetto di “pathos” in Ignazio, pp. 15-20.

    61 La concordia derivante dall’Eucaristia è particolarmente evidenziata nel passo di Efes. 13,1-2, ove afferma che l’Eucaristia distrugge il potere di demolitore di Satana, il quale intro-duce discordie e divisioni nelle comunità.

    62 In Rom. 7,3. Anche in Smir. 1,1 e Trall. 8,1 si accostano i due termini «sangue» e «amore/carità».

    63 Cfr. R. JOhANNy, Ignace d’Antioche, p. 73, che parla di «prolongement énergétique de l’eucharistie».

    64 Cfr. Efes. 1,1: «sangue di Dio»: Ignazio con questa espressione riassume tutto il dono salvifico di Cristo, sottolineando particolarmente la sua divinità. Il sangue da lui sparso come uomo sulla croce continua a essere donato agli uomini sacramentalmente nell’Eucaristia: cfr. K. BOMMES, Weizen Gottes, p. 61 e p. 72. Cfr. anche sopra paragrafo 1.2.

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  • 30 Croce e identità cristiana di Dio nei primi secoli

    del “sangue”, anche col martirio – culmine dell’amore – come appunto ha fatto Ignazio.

    2.2. Nell’Eucaristia Passione e sangue sono fonte di incorruttibilità e immortalità

    Anelante al martirio, Ignazio, scrive ai Romani:

    Non provo più nessun gusto per un cibo di corruzione né per i piaceri di questa vita, io voglio il pane di Dio che è la carne di Gesù Cristo, nato dalla stirpe di Da-vide e voglio per bevanda il sangue di lui che è l’amore incorruttibile (Rom. 7,3).

    Anche qui troviamo i binomi «carne-sangue» e «pane65-bevanda» che rimandano chiaramente ad un contesto eucaristico e allo stesso tempo anche martirologico: Ignazio che si sente in cammino verso Dio – come il sole che tramonta per poi risorgere (cfr. Rom. 2,2) – vuole abbandonare ogni «cibo di corruzione» e brama solo «pane/carne» e «bevanda/sangue», che costi-tuiscono «l’amore incorruttibile», il pegno che anticipa nel sacramento la pienezza della vita eterna, a cui Ignazio aspira col martirio imminente. In un mondo sottoposto alla corruzione, il sangue di Cristo dona all’uomo un anticipo di incorruttibilità, come «farmaco d’immortalità e antidoto per non morire» (Efes. 20,2).66

    La fede in Cristo – morto, risorto e presente misticamente nell’Eucaristia – che ci fa pregustare la vita eterna, compare anche nel saluto iniziale della lettera ai Filadelfiesi:

    Ignazio, [detto] anche il Teoforo, alla Chiesa di Dio Padre e del Signore Gesù Cristo che è in Filadelfia d’Asia, che ha trovato misericordia e resa salda nella concordia di Dio, e che gioisce senza tentennamenti nella Passione del Signore nostro e nella sua Resurrezione, piena di certezza in ogni misericordia, lei io

    65 Il «pane» qui richiama come allusione almeno il celebre discorso sul pane di vita (nel cap. 6 del vangelo di Giovanni, soprattutto versetto 33): J. DE WATTEVILLE, Le sacrifice dans les textes eucharistiques, pp. 55-56; cfr. R. JOhANNy, Ignace d’Antioche, in AA.VV., L’Euchari-stie, p. 70; O. PErLEr, Eucharistie et unité de l’Église, p. 429; H. PAULSEN, Studien zur Theo-logie des Ignatius, p. 155ss.

    66 Su Efes. 20,2 cfr. G.R. SNyDEr, The Text and Syntax of Ignatius PROS EFESIOUS 20,2, in «Vigiliae Christianae» 22 (1968), pp. 8-13; F. BErGAMELLI, Morte e vita in Ignazio di Antiochia, in «Parola, Spirito e Vita» 32 (1995), pp. 273-288, particolarmente pp. 284-287: L’Eucaristia farmaco d’immortalità. Si veda anche (già dal titolo stesso) L. WEhr, “Arznei der Unsterblichkeit”. Die Eucharistie bei Ignatius von Antiochien, particolarmente pp. 37-181 e pp. 182-277.

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  • Ignazio di Antiochia: «La passione del mio Dio» (Rom. 6,3); «sangue di Dio» (Efes. 1,1) 31

    saluto nel sangue di Gesù che è gioia eterna e duratura, soprattutto se essi sono in uno col vescovo, con i presbiteri e i diaconi che sono con lui, scelti secondo il pensiero di Gesù Cristo, il quale di sua propria volontà, li ha consolidati con fermezza attraverso il suo spirito. (Filad., saluto)

    Qui Ignazio in una prima parte considera la Chiesa di Filadelfia nella sua dimensione teologico-mistica,67 incentrata sul mistero di Cristo, di cui si richiama l’evento centrale: la Passione e la Risurrezione (ambedue sempre strettamente collegate); in una seconda parte vede la Chiesa nella sua dimen-sione visibile, come comunità riunita attorno al vescovo. Il saluto si riassume nelle parole «nel sangue di Gesù che è gioia eterna e duratura». Dunque il «sangue» esprime in modo concentrato l’evento salvifico, attuato storica-mente con la Passione e Risurrezione, poi perpetuato nel sacramento che ri-evoca il «sangue» di Cristo e infine finalizzato alla «gioia eterna e duratura». Dunque la Passione e il sangue di Cristo plasmano l’unità della Chiesa e la introducano nell’eternità, facendola pregustare fin d’ora già sulla terra.

    3. Passione imitata e sangue effuso dal martire

    Ignazio, considera il martirio,68 verso cui è incamminato, come la perfetta offerta d’amore e la più compiuta risposta che l’uomo può dare a Dio. Il Ve-scovo antiocheno, come martire, imita nel modo più reale il Cristo: tramonta al mondo per risorgere verso Dio (cfr. Rom. 2,2), così potrà «congiungersi»69 a Lui (cfr. ivi, 2,1) e divenire un “uomo” nuovo (cfr. ivi 6,2).

    3.1. Il martire imita la Passione di Cristo

    In uno testi più sublimi ed eloquenti di tutta la letteratura martirologica, Ignazio esprime il suo anelito ad essere unito a Cristo, sopportando ogni sofferenza:

    67 Anche i participi passivi qui usati da Ignazio nei confronti della Chiesa assumono un valore teologico: esprimono l’azione anticipatrice e preveniente di Dio a favore di essa.

    68 Cfr. H.A. BAKKEr, Exemplar Domini. Ignatius of Antioch and His Martyrological Self-Concept (Diss. Groningen, 2003).

    69 Su questo verbo cfr. R.A. BOWEr, The meaning of EPITUGCANW in the Epistles of St. Ig-natius of Antioch, in «Vigiliae Christianae» 28 (1974), pp. 1-14; H. PAULSEN, Studien zur Theologie des Ignatius, pp. 70-73 e note 62-80; r. BrACChI, Come una freccia scoccata al bersaglio. L’uso di ™pitugc£nw nelle Lettere di sant’Ignazio di Antiochia, in «Salesianum» 66 (2004), pp. 441-480.

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  • 32 Croce e identità cristiana di Dio nei primi secoli

    Nessuna delle cose visibili e invisibili mi trattenga per gelosia dal congiungermi a Gesù Cristo. Fuoco e croce e lotte con belve e slogature di ossa e mutilazioni di membra e stritolamenti di tutto il corpo e perfidi tormenti del diavolo vengano su di me, purché io possa soltanto congiungermi a Gesù Cristo (…). È bello per me morire verso Gesù Cristo, più che regnare sino ai confini della terra. Cerco Lui che è morto per noi, voglio Lui che è risorto per noi. Ecco! È giunto per me il parto.70 Abbiate compassione di me, fratelli! Non impedite il mio nascere alla vita! Non vogliate il mio morire! Uno che vuole essere di Dio non graziatelo al mondo, né ingannatelo con della materia! Lasciatemi entrare nella pura luce! Là giunto sarò Uomo. Lasciate che io sia imitatore della passione del mio Dio. Se uno Dio ce l’ha dentro di sé, comprenda quello che io voglio e mi compatisca conoscendo ciò che mi opprime (Rom. 5,3 e 6,1-3).

    La morte, conseguenza del martirio imminente, è assimilata ad un parto, ad una nascita alla vita vera (cfr. Rom. 6,1-2),71 che sarà possibile solo attra-verso la Croce e l’imitazione della «Passione del mio Dio»: una frase forte che racchiude in sé – come già abbiamo visto a proposito del «sangue di Dio» – la profonda realtà di Cristo come uomo che patisce e come Dio che salva; Ignazio lo sente particolarmente vicino (quanta intensità d’amore in quell’aggettivo possessivo «mio» Dio!). Il morire per Ignazio esprime la tensione verso la persona amata, Cristo,72 considerato il luogo e la meta desiderata per tutta la sua vita.73 La sua passione mistica, che lo porta verso il Cristo, gli fa capovolgere le categorie normali del vivere e del morire terreni, per nascere alla vera vita. Così Ignazio potrà essere «uomo», cioè

    70 Qui il termine «parto» (in greco toketÒj) ha una duplice accezione: attiva (nel senso di “partorire”) e passiva (nel senso di “essere partorito”): i dolori della morte sono paragonati alle doglie che precedono il parto e che daranno origine ad una nuova vita. La morte terrena per il martire non è distruzione di vita, ma vita che distrugge a sua volta la morte (cfr. anche quanto egli afferma in Efes. 19,3).

    71 Per un commento al testo ignaziano di Rom. 6,1-2, cfr. F. BErGAMELLI, “Morire” e “vi-vere” in Ignazio di Antiochia: Rom. 6,1-2, in E.A. LIVINGSTONE (ed.), Studia Patristica 31, Peters, Leuven 1997, pp. 99-106.

    72 Infatti la inedita e originale costruzione del verbo “morire” con “verso” (¢poqnÇscein e„j), tipica del solo Ignazio, potrebbe essere resa con «morire per vivere in Gesù Cristo»: il martire entra in una corrente di vita e vi partecipa eternamente: cfr. F. BErGAMELLI, “Morire” e “vivere” in Ignazio, pp. 100-102. Anche in Rom. 7,2 («Ma un’acqua viva parla in me e mi dice chiaramente: “Vieni presso il Padre”»), il morire è espresso con un verbo di movimento ed una preposizione di moto: un ritornare al Padre.

    73 Cfr. F. BErGAMELLI, Morte e vita in Ignazio di Antiochia, in «Parola, spirito e vita» 32 (1995), p. 280 [tutto l’articolo pp. 273-288]. Cfr. anche M.M. ESTrADé, Dos frases de la carta de s. Ignacio de Antioquía a los Romanos (Rom. 5,1 y Rom. 6,1), in «Helmantica» 1 (1950), pp. 316-317.

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  • Ignazio di Antiochia: «La passione del mio Dio» (Rom. 6,3); «sangue di Dio» (Efes. 1,1) 33

    una persona che ha realizzato pienamente la sua natura creaturale, solo imitando Cristo,74 l’uomo nuovo e perfetto,75 che ha sofferto. Il Vescovo antiocheno, finché rimane in questo mondo è sempre esposto alle tenta-zioni del demonio e alle lusinghe del suo eros e della materia76 e quindi non può essere “uomo” nel senso vero e proprio: lo sarà solo giungendo ad una nuova vita, alla salvezza, cioè realizzando la sua unione totale e defi-nitiva col Cristo nella sua morte terrena; raggiungendo Dio, «pura luce»,77 Ignazio sarà «qualcuno».78

    Imitare Cristo coinvolge i cristiani nella totalità della loro vita e nella struttura stessa del loro essere (carne e spirito); seguire Cristo significa amare tutti anche i nemici, divenire come lui “un crocifisso” per amore, come ri-corda Ignazio con accorate parole:

    Concedete loro di divenir e vostri discepoli almeno dalle opere (vostre). Davanti alle loro collere voi siate miti; davanti alle loro vanterie siate umili, alle loro bestemmie opponete le vostre preghiere; davanti al loro errore «siate saldi nelle fede» (Col 1,3); davanti alla loro ferocia siate mansueti, senza cercare di imitarli a vostra volta; nella accondiscendenza troviamoci loro fratelli; sforziamoci di essere «imitatori del Signore» (1Ts 1,6). Chi ha sofferto di più l’ingiustizia, le privazioni, il disprezzo? Non si trovi tra voi nessun’erba del diavolo,79 ma in ogni purezza e temperanza rimanete in Gesù Cristo carnalmente e spiritualmente» (Efes. 10,1-3).

    La fede e l’amore sono le caratteristiche fondamentali del cristiano, lo distinguono dagli altri uomini e ne riassumono il dinamismo della vita

    74 Cfr. anche E.J. TINSLEy, The “imitatio Christi” in the Mysticism of St. Ignatius of Antio-chia, in K. ALAND – F.L. CrOSS (edd.), Studia Patristica 2, Akademie-Verlag, Berlin 1957, pp. 553-560; W.M. SWArTLEy, The “Imitatio Christi” in the Ignatian Letters, in «Vigiliae Chris-tianae» 27 (1973), pp. 81-103.

    75 Cfr. F. BErGAMELLI, Cristo “l’uomo nuovo” e “l’uomo perfetto” in Ignazio di Antiochia (Efes. 20,1; Smir. 4,2), in E.A. LIVINGSTONE (ed.), Studia Patristica 26, Peters, Leuven 1993, pp. 103-113.

    76 Cfr. IGNAZIO, Rom. 7,1-2.77 IGNAZIO, Rom. 6,2. Qui la «pura luce» è un nome divino, che caratterizza e denota lo

    spazio luminoso, terso e vitale, ove abita Dio. 78 ID., Rom. 9,2. Cfr. A. ESCALLADA TIJErO, Carácter escatológico de la identitad humana

    en la antropología teológica de Ignacio de Antioquía, in «Ciencia Tomista» 103 (1976), pp. 24-43, soprattutto p. 41: l’uomo per Ignazio «è un essere incompiuto, che esisterà integralmente solo quando raggiungerà Dio. Questa è la profonda convinzione di Ignazio. Solo quando raggiungerà Dio sarà “qualcuno” (tís) (Rom. 9,2)».

    79 L’erba del diavolo simboleggia l’eresia: cfr. Trall. 6,1; Filad. 3,1.

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  • 34 Croce e identità cristiana di Dio nei primi secoli

    dall’inizio (la fede) alla conclusione (l’amore). Ignazio lo ricorda con una icastica immagine:

    Ci sono infatti come due monete, l’una di Dio l’altra del mondo, e ognuna porta scolpito un proprio carattere: i senza fede quello di questo mondo, coloro invece che hanno fede nell’amore e il carattere di Dio Padre attraverso Gesù Cristo. Se non siamo pronti spontaneamente, per mezzo di Lui, a morire nella sua pas-sione, la sua vita non è in noi (Magn. 5,2).

    Chi ha fede – conclude Ignazio – si riferisce costantemente a Cristo, ne accetta la persona viva e concreta e la sua realtà storica80 (contro la negazione dei doceti) ed è pronto ad imitarlo nel suo amore, per cui la vita di Cristo diventa modello per quella del cristiano: infatti anch’egli è pronto a morire, donandosi spontaneamente, come fece Cristo nella sua Passione. La fede e l’amore sono dunque inseparabili,81 perché la prima senza la seconda sa-rebbe astratta e vana, la seconda senza la prima sarebbe priva di fondamento storico; il credere in Cristo richiede poi l’operare come Cristo, il far coin-cidere la propria vita con quella del Cristo, particolarmente nel momento della sua passione.

    Ignazio, in una delle frasi più famose e appassionanti delle sue lettere af-ferma, che, col suo martirio, da «frumento di Dio» diventerà «pane puro82 in Cristo» (Rom. 4,1).83 Con la propria morte, presentata come sacrificio

    80 Cfr. L.F. PIZZOLATO, La visione della Chiesa in Ignazio di Antiochia, in «Rivista di storia e letteratura religiosa» 3 (1967), p. 380 [tutto l’art. pp. 371-385]: «Ecco quindi che p…stij assume in Ignazio il tipico valore di accettazione della realtà storica di un Dio che si è fatto carne (…), è quindi il credere nella storicità dell’incarnazione e della passione di Cristo». Cfr. anche S. ZAñArTU, El concepto de ZΩH, p. 205: «La fé, comienzo de vida, está vinculada a la carne, y a la pasión de Cristo»; P. MEINhOLD, Studien zur Ignatius von Antiochien, F. Steiner Verlag, Wiesbaden 1979, 71: «So ist es also keine Frage, dass der Glaube bei Ignatius sich auf die historischen Fakten von Tod und Auferstehung Jesu richtet».

    81 Cfr. C.C. rIChArDSON, The Christianity of Ignatius of Antioch, 14: «Undoubtedly the most characteristic feature of Ignatius thinking on faith is its indissoluble nexus with brotherly love»; cfr. anche pp. 10-16: Faith e pp. 17-22 Agape. Inoltre sul binomio fede-amore cfr. O. TArVAINEN, Glaube und Liebe bei Ignatius von Antiochien (Schriften der Luther-Agricola-Gesellschaft 14), Pohjois-Karjalan Kirjapaino Oy, Joensuu 1967, pp. 24-71: Der Glaube; pp. 72-97: Die Liebe; P. MEINhOLD, Studien zur Ignatius von Antiochien, pp. 70-71: Der Glaubens-begriff bei Ignatius; pp. 71-72: Das Komplement zum Glauben bildet die Liebe; r. SChOEDEL, Ignatius of Antioch: a commentary, pp. 24-26: Faith and Love.

    82 Il «pane puro», di alta qualità, era usato nei sacrifici e nei pasti cultuali nel mondo greco-romano e in quello giudaico.

    83 Ecco la frase completa: «Lasciate che io sia pasto delle belve per mezzo delle quali mi è possibile raggiungere Dio. Io sono frumento di Dio e sono macinato da