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1 POLITICA E ISTITUZIONI DELLE ORGANIZZAZIONI INTERNAZIONALI Anno Accademico 2010 / 2011 Prof. Fabio Marazzi

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POLITICA E ISTITUZIONI

DELLE ORGANIZZAZIONI INTERNAZIONALI

Anno Accademico 2010 / 2011

Prof. Fabio Marazzi

2

INDICE

Introduzione………………………………………………………………………….....pag. 3

1. Cenni storici………………………………………………………………………...pag. 10

2. Carattere e struttura delle organizzazioni internazionali…………....………………pag. 15

3. Disciplina e classificazione………………………………………………………....pag. 18

4. Caratteristiche delle organizzazioni non governative internazionali (ONG)…….....pag. 27

5. Ruolo, funzioni, efficacia delle organizzazioni internazionali……………………...pag. 34

6. Multilateralismo e società internazionale………………………………………...…pag. 39

6.1 ONG e sindacati………………………….……………………………………...pag. 43

6.2 ONG e Unione Europea………………….……………………………………...pag. 49

6.3 ONG e globalizzazione…………………….……………………………………pag. 60

7. Cooperazione internazionale allo sviluppo; cooperazione decentrata…...................pag. 67

8. Organizzazioni intergovernative…………………………………………………..pag. 115

8.1 Società Delle Nazioni ed ONU.……………………………………………….pag. 115

8.1.1 La carta delle Nazioni Unite…………………………………………pag. 121

8.1.2 La “Responsibility to protect”………………………………………pag. 125

8.1.3 Interventi umanitari………………………………………………….pag. 129

8.1.4 Il dibattito sulle riforme delle Nazioni Unite………………………..pag. 145

8.2 World Trade Organization (WTO)…………………..….…………………….pag. 179

8.3 Unione Europea…………………………………..….………………………..pag. 188

8.4 O.H.A.D.A……………….………………………..…….…………………….pag. 199

9. Prospettive…………………………………………………………………………pag. 206

10. Organizzazioni non governative……………………………………………….…pag. 209

10.1 Croce Rossa e Mezzaluna Rossa……..……………………...…………...…pag. 209

10.2 Greenpeace…………………………………………..………...……..……..pag. 215

10.3 Unesco……...…………………………………………………………....….pag. 217

10.4 W.W.F……….………………………………………………..…...………..pag. 221

10.5 Amnesty International…...………………………………………...…….….pag. 226

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INTRODUZIONE

A partire dalla metà del XIX secolo, e ancor più dagli inizi del XX secolo, si nota a livello

di rapporti internazionali un improvviso proliferare, specialmente nel continente europeo, di

contatti tra singoli individui dei vari stati.

A cosa questo fenomeno fosse dovuto, non è ben chiaro; alcuni come Stosic ed ancor prima

Potter, in “An introduction to the Study of International Organizations”, sostengono che

tutto ciò avvenne come reazione dei singoli cittadini all’isolamento degli Stati, i cui unici

contatti si verificavano per questioni strettamente politicche.

Altri, tra cui risalta la figura di J.J. Lador-Lederer, ricollegano la nascita di questi primi

movimenti organizzativi privati più che ad un fenomeno di reazione ad un eccessivo

isolamento quanto ad un sentimento di ribellione verso uno Stato, qual’era quello del XIX

secolo che, proclamatosi sovrano assoluto e svincolatosi da qualsiasi superiore autorità, non

riconosceva al singolo un diritto di azione in campo internazionale.

Probabilmente, entrambe le tesi qui proposte possono essere sufficienti per spiegare, da un

punto di vista strettamente storico, la nascita di associazioni private; a mio parere, ancor

prima di cercare motivazioni di tal tipo, ritengo importante porre in risalto l’aspetto

sociologico del fenomeno.

La tendenza dell’individuo ad associarsi con i suoi simili rappresenta una costante

caratteristica di tutta l’evoluzione del genere umano: inizialmente ci si associava secondo un

vincolo di sangue, successivamente di genti e poi di interessi.

Le associazioni private del XIX secolo, sorte perlopiù nell’ambito di un sistema

istituzionalizzato ed organizzato qual’era lo Stato democratico e “moderno” nato dalle

ceneri della Rivoluzione Francese, sono anch’esse fondamentalmente considerate

l’espressione del bisogno di individualità che trova modo di palesarsi all’interno di una più

grande organizzazione, lo Stato appunto, senza necessariamente doversi porre né in antitesi

né in alternativa a questo, ma costituendo piuttosto il necessario complemento alla vita

sociale del cittadino, il quale, non più semplice suddito, diviene soggetto di libertà.

Pertanto le ONG sono da considerare come l’espressione e lo strumento dell’individualità

del singolo in ogni epoca, che nel XIX secolo, all’interno della struttura del “nuovo” Stato,

manifesta liberamente, in modo ormai organizzato, le proprie aspirazioni ed i propri ideali.

4

Da qui la nascita delle Organizzazioni Non Governative come formule di concretizzazione

dei diritti individuali e come intermediarie tra le aspirazioni soprannazionali dei singoli,

ostacolate tuttavia dallo Stato sovrano e gli altri soggetti internazionali.

Certo, qualunque sia la tesi che si voglia accogliere, si nota un improvviso sviluppo, a

partire dal XIX secolo, di Organizzazioni Non Governative, le quali con il tempo non hanno

cessato di aumentare quantitativamente fino a diventare, oggi, uno degli elementi più

importanti nelle relazioni internazionali ed a trovare legittimazione nella Carta delle Nazioni

Unite. In tal modo si può essere d’accordo con Stosic quando afferma che “l’on peut dire

que le XIXème siècle a été le siècle de l’associationisme“.

Questo loro successo, dovuto principalmente ad una struttura organizzativa ed

amministrativa molto più agile e perciò facilmente adattabile di quella delle Organizzazioni

Governative o di altri organismi internazionali pubblici, al loro modo d’agire senza vincoli

burocratici eccessivi ed ancor più la piena libertà d’espressione, sono tutti fattori che

concorrono a renderle strumenti più efficaci attraverso i quali i singoli possono esercitare

pressioni, talvolta notevoli, sull’operato degli Stati, spingendoli sia a modificare situazioni

pregiudizievoli dei diritti dell’individuo, sia ad adattare o adottare adeguati regolamenti e

comportamenti, in sintonia con il rapido mutare della congiuntura internazionale a

qualunque livello politico, economico o sociale.

L’espressione ONG è stata introdotta per la prima volta all’interno di un trattato

internazionale con l’articolo 71 della Carta delle Nazioni Unite: il medesimo prevede la

possibilità del Consiglio Economico e Sociale di consultare “organizzazioni non

governative interessate alle questioni che rientrano nella sua competenza”. Una ONG è

un’organizzazione indipendente dai governi e dalle loro politiche caratterizzata da due

elementi principali: il carattere privato, non governativo, e la totale mancanza di scopi

lucrativi. La Risoluzione delle Nazioni Unite 1996/31 del 25 luglio 1996 ne dà una

definizione:

“…è considerata come un’organizzazione non governativa una

organizzazione che non è stata costituita da una entità pubblica o da un

accordo intergovernativo, anche se essa accetta membri designati dalle

autorità pubbliche ma a condizione che la presenza di tali membri non nuocia

alla sua libertà di espressione”.

5

Le organizzazioni non governative sono una componente vitale della società europea in

quanto garantiscono libertà di espressione e di associazione che sono elementi fondamentali

della democrazia.

Le ONG svolgono un ruolo chiave all’interno del Consiglio d’Europa. Il Consiglio

riconosce l’influenza delle ONG già dal 1952, permettendo a queste organizzazioni di

acquisire lo status consultivo e prendere così parte alle attività promosse dal Consiglio

stesso. Le regole della cooperazione tra Consiglio e ONG sono stabilite dalla Risoluzione

del Comitato dei Ministri n. 38 del 1993. Recentemente quest’ultima risoluzione è stata

sostituita dalla Risoluzione del Comitato dei Ministri n. 8 del 2003 relativa allo status

partecipatorio. A tutte le ONG che godevano dello status consultivo è stato garantito

automaticamente lo status partecipatorio.

Il dialogo che il Consiglio d’Europa ha instaurato con le ONG ha lo scopo di:

− conoscere il punto di vista e le aspirazioni dei cittadini europei;

− provvedere ad una diretta rappresentanza di questi ultimi;

− pubblicizzare le loro iniziative attraverso queste associazioni che attualmente sono

374.

Per ottenere lo status di partecipante, le organizzazioni non governative devono condividere

gli obiettivi del Consiglio d’Europa, contribuendo al loro raggiungimento, e devono avere

carattere internazionale e rappresentativo sia dal punto di vista geografico che da quello

delle attività, con una direzione permanente, una struttura organizzata e un segretariato.

Il Consiglio coopera con le ONG attraverso tutte le sue istituzioni: con il Comitato dei

Ministri, l’Assemblea Parlamentare, il Congresso dei Poteri Locali e Regionali d’Europa

all’interno dei loro programmi di attività. Questa cooperazione ha diverse forme: dalla

semplice consultazione alla collaborazione in progetti specifici. Gli esperti delle ONG

possono infatti partecipare in diversi studi: possono contribuire al lavoro dei comitati ad

hoc, possono preparare memoranda per il Segretario Generale, presentare comunicazioni

scritte o orali all’Assemblea Parlamentare e al Congresso dei Poteri Locali e Regionali

d’Europa. A loro volta le ONG riportano i progetti e gli obiettivi del Consiglio d’Europa nel

proprio ambito d’azione.

6

Le ONG con status di partecipante si occupano di specifiche aree: i diritti umani,

l’educazione e la cultura, la Carta Sociale Europea e le politiche sociali, il dialogo e la

solidarietà tra nord e sud, la società civile nella nuova Europa, lo sviluppo, la salute, le pari

opportunità, la povertà e la coesione sociale.

Il Consiglio prevede una struttura di tipo permanente per la cooperazione con le ONG

internazionali. Nel 1976 è stato istituito il Comitato Liaison, composto da 25 membri, che si

riunisce tre volte l’anno ed ha la funzione di tenere le relazioni con il Segretariato Generale,

monitorare le ONG occupate in aree specifiche, preparare la Conferenza Plenaria e un

programma di lavoro, incoraggiare le ONG a cooperare con il Consiglio d’Europa e a

pubblicizzare il suo lavoro. Affianco al Comitato Liaison è prevista una Conferenza

Plenaria annuale delle ONG alla quale partecipano tutte le ONG con status di partecipante,

decisa in linea generale per i suoi obiettivi dal Comitato Liaison.

Le ONG sono state coinvolte dal Consiglio nella preparazione di molte carte e convenzioni

tra le quali la Convenzione europea per la prevenzione alla tortura, la Convenzione culturale

europea, la Carta europea per le minoranze regionali e linguistiche e la Convenzione

europea per il riconoscimento della personalità legale delle organizzazioni non governative

internazionali.

Le ONG svolgono inoltre tre importanti funzioni all’interno del Consiglio.

- Forniscono useful advices (consigli, pareri utili) o rappresentano individui o gruppi che si

rivolgono alla Corte europea dei diritti umani; in alcuni casi le ONG possono essere invitate

a fornire informazioni alla Corte per contribuire alla risoluzione del caso.

- Le ONG mandano inoltre regolarmente informazioni sulle condizioni delle carceri e dei

detenuti al Comitato europeo per la prevenzione alla tortura.

- Le ONG hanno un ruolo importante nella promozione della firma e della ratifica della

Convenzione europea per il riconoscimento della personalità legale delle organizzazioni non

governative, che è l’unico strumento normativo internazionale in atto relativo a queste

organizzazioni ed è un documento vitale per regolare l’operato delle ONG in tutta l’Europa.

- Le ONG mobilizzano l’opinione pubblica, giocando un ruolo chiave nella Campagna

europea del Consiglio d’Europa sull’interdipendenza e la solidarietà tra nord e sud, contro il

razzismo, la xenofobia e l’intolleranza, contro la povertà e l’esclusione sociale e per l’Anno

europeo delle lingue. La missione principale del Consiglio d’Europa è quella di promuovere

7

i diritti umani e le libertà fondamentali e le ONG svolgono un ruolo essenziale informando i

cittadini dei propri diritti e controllando che essi vengano rispettati. Il Consiglio vieni

costantemente in contatto con l’opinione pubblica attraverso i network di ONG.

- Le ONG hanno un ruolo decisivo nello sviluppo democratico. Dal 1990 il Consiglio

d’Europa ha moltiplicato i suoi contatti con le ONG nell’Europa centrale e orientale dove

queste ultime rappresentano un momento cruciale nella costituzione della società

democratica basata sui diritti umani e sullo Stato di diritto. Il Consiglio e le ONG che

godono dello status di partecipante continuano ad organizzare attività nell’ambito

dell’assistenza ai programmi delle ONG.

Tra le ONG che hanno lo status consultivo nel Consiglio d’Europa, 90 rientrano nel gruppo

che si occupa dell’educazione e della cultura e che ha perciò contatti con il Directorate

dell’educazione. Questo gruppo di ONG ha adottato un metodo di lavoro che coinvolge

comitati ad hoc che si occupano dei progetti del Consiglio. Questi comitati, attualmente 4

(per l’insegnamento della storia nel XX secolo, per l’EDC, per l’educazione nei media e per

la cultura), interagiscono con le ONG creando una stretta collaborazione tra Consiglio e

ONG. Vista la complessità degli aspetti educativi, spesso è necessario il contatto tra ONG

appartenenti ad altri ambiti e altri Directorate quali i diritti umani, la coesione sociale, i

rapporti tra nord e sud, la società civile in Europa.

Anche nei documenti scelti ci sono frequenti riferimenti all’importanza del coinvolgimento

delle ONG nell’ambito educativo e del rafforzamento delle relazioni tra queste ultime e il

Consiglio d’Europa.

Nella parte conclusiva della Raccomandazione n. 1346 del 1997 riguardante l’educazione ai

diritti umani, l’Assemblea Parlamentare raccomanda al Comitato dei Ministri di valutare

l’educazione ai diritti umani come una priorità del lavoro intergovernativo del Consiglio

d’Europa negli anni avvenire attraverso lo studio delle cause del razzismo, la creazione di

un database contenente materiale educativo, la promozione “del contributo a questo

processo dato dal Congresso delle Autorità Locali e Regionali in Europa e delle

organizzazioni non governative;…”.

La stessa Assemblea, nella Raccomandazione n. 1401 del 1999, sprona i governi degli stati

membri ad incoraggiare un clima positivo di rispetto delle culture e di partecipazione

democratica, attraverso le Università e le ONG; anche al termine del testo sostiene che a

8

livello internazionale è importante la collaborazione con l’Unione Europea, le Nazioni

Unite, l’Unesco e le ONG.

La Raccomandazione e Dichiarazione del Comitato dei Ministri del 1999 in tema di

educazione alla cittadinanza democratica basata sui diritti e sulle responsabilità, sostiene

l’importanza dello studio della democrazia all’interno della vita scolastica e universitaria,

spronando perché ciò avvenga in collaborazione tra istituti educativi, comunità locali,

organizzazioni non governative e autorità politiche. Inoltre la raccomandazione comprende

il programma per la cittadinanza democratica che si articola in tre attività principali: policy-

making, research and collection, training and awareness-raising. Nella seconda di queste

attività, quella di ricerca, si parla di sviluppo dell’educazione alla cittadinanza democratica

in collaborazione con le ONG. Nel paragrafo conclusivo della Dichiarazione si indicano i

metodi di lavoro da utilizzare e in questo senso si invita alla cooperazione con altre

organizzazioni internazionali attive nell’educazione alla cittadinanza.

La Raccomandazione n. 1437 del 2000, trattando l’educazione non formale, insiste

particolarmente sull’importanza del ruolo delle ONG. Il processo di educazione non formale

si manifesta attraverso diversi tipi di iniziative: tra queste un ruolo importante è svolto dalle

ONG coinvolte nella Comunità. Per questo motivo l’Assemblea incoraggia tutti coloro che

prenderanno parte allo sviluppo di politiche educative a riconoscere l’educazione non

formale come parte essenziale del processo educativo e a riconoscere, all’interno di questa,

il contributo dato dalle ONG. In questo senso i governi sono incoraggiati a supportare

finanziariamente le attività educative non formali attraverso, per esempio, la riduzione delle

tasse delle ONG, e a migliorare la formazione degli insegnanti e degli educatori

dell’educazione non formale in collaborazione con le ONG, in particolare quelle interessate

ai giovani. In questo momento, per la prima volta, si specifica una particolare categoria di

ONG, quelle che trattano questioni relative ai giovani.

Nell’appendice della Raccomandazione n. 6 del 2002 in tema di politiche e educazione

superiore nel corso della vita si sostiene che i governi devono promuovere la cultura nel

corso della vita in accordo con il principio di sussidiarietà, e perciò “in collaborazione con

gli istituti di educazione superiore, con le reti dei professionisti, con i partner sociali, con le

organizzazioni non governative, con le autorità locali e con gli individui”.

9

Qualche breve cenno ora sulla nascita dell’espressione “ONG”.

Il termine, divenuto d’uso comune dopo la Seconda Guerra Mondiale, ha sostituito

l’espressione “Associazioni Internazionali Private” o in inglese, “Private International

Organizations” ed ha assunto ufficialità a seguito della inserzione nella Carta delle Nazioni

Unite all’art. 71.

A tale proposito bisogna anche ricordare che a tutt’oggi esso non è universalmente

accettato; ad esempio Geroges Langord ritiene incorretta questa definizione allorché si parli

di associazioni a composizione mista, mezza pubblica e mezza privata.

A prescindere da questioni puramente terminologiche, và ricordato che è stato proprio con

l’art. 71 della Carta delle N.U. che ha ricevuto ufficialità per l’abbreviazione ONG, già in

precedenza utilizzata dalla Union des Associations Internationales (UAI) ed oggi

universalmente riconosciuta, così come risulta anche dalla lettura della “European

convention on the recognition of the legal personality of international non-govermental

organizations”, redatta a Strasburgo il 24 Aprile 1986.

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1. CENNI STORICI

Nell’analizzare la genesi e lo sviluppo delle ONG, ciò che subito risulta evidente è che esse

appaiono sulla scena internazionale non prima del secolo scorso, che tali associazioni

private internazionali sorgono per la maggior parte in territori ove il protestantesimo ha forti

radici, che infine vi sono fattori storici quali la guerra o le esposizioni internazionali che

potrebbero avere avuto notevole influenza sulla loro improvvisa ed enorme crescita.

Qui si cercherà di fare una breve esposizione di tutti questi elementi, in modo da poter

collocare un fenomeno tanto importante, qual’è quello delle ONG, in un corretto contesto

storico.

Iniziamo cercando di cogliere le motivazioni che spinsero i singoli, in un determinato

momento del secolo scorso, a riunirsi in gruppi organizzati.

L’afflusso di nuove ricchezze, dovuto al progresso tecnico e alla scoperta di enormi e nuove

quantità di energia, nel XVIII e XIX secolo, causò un grosso sviluppo delle relazioni

internazionali, soprattutto a partire dal 1815, attraverso la forma delle associazioni private.

Si potrebbe affermare che la prima apparizione di ONG risalga ad un periodo precedente a

questa data, anche se fu proprio nel 1815 che si tenne a Ginevra il “Congresso di Scienze

Fisiche e Naturali”, primo simposio internazionale organizzato da soggetti non governativi

di cui si abbiano informazioni precise; secondo la UAI, ad esempio, la più antica ONG

potrebbe essere stata la “Roscrucian Order”, che ebbe origine in Egitto attorno al 1500;

Stosic ricorda poi le riunioni di filosofi e saggi nel Medio Evo ed il Congresso Medico che

si svolse a Roma dal 10 Marzo 1681 all’8 Giugno 1682, ma di tutti questi primi fenomeni

associativi organizzati a livello internazionale, non vi sono dati certi.

Fu nel XIX secolo invece che nacquero le prime ONG.

Infatti poiché gli Stati non riuscivano a seguire il ritmo di sviluppo che la civilizzazione

industriale stava imponendo, gli stessi furono sostituiti in questo compito di adattamento

dall’iniziativa privata e dal capitalismo, esigendo forme di coordinamento agili, veloci e non

burocratizzate, in modo da favorire la nascita delle prime associazioni internazionali.

Esse inizialmente si moltiplicarono sul piano dell’azione economica proprio per l’esigenza

di espansione commerciale propria di quell’epoca, nella quale un gran numero di società di

commercio assunsero carattere internazionale grazie all’ampiezza dei propri traffici.

11

Si è parlato fin qui di questo improvviso sorgere di ONG e si è cercato di dare una ragione

ravvisandola nella nascita del capitalismo “moderno” borghese, ma allorché si esaminino i

luoghi ove tali contatti si svilupparono, si nota che essi si trovano perlopiù in paesi

protestanti. Secondo Stosic questo sarebbe dovuto alla ricerca di un elemento

soprannazionale comune da parte degli Stati protestanti, i quali, assimilando i principi della

Riforma si erano allontanati dall’unico elemento che li teneva uniti: la fede in un'unica

chiesa si trasformò allora nella necessità di instaurare comuni relazioni internazionali in

settori come la scienza, la legislazione, la cultura.

Sia che si condivida tale tesi, o meno, personalmente mi sembra valida dato il facile

riscontro che può avere nei fatti. Vale notare infatti che le prime ONG sorsero in paesi

protestanti: ad esempio la British and Foreign Anti-Slavery Society a Londra nel 1823 o la

“World’s Evangelical Alliance” in Inghilterra nel 1846 o il “Comité International de la

Croix Rouge” fondato a Ginevra nel 1863.

Altro fattore la cui influenza è importante nello studio della genesi delle ONG è la guerra. In

coincidenza di ogni conflitto, a partire dal 1870, si nota come l’attività delle ONG si riduca

notevolmente e come talvolta sia proprio durante questi momenti di crisi che alcune ONG

scompaiono, ma ancor più come, proprio per reazione alle atrocità dei conflitti, siano sorte

le più importanti associazioni private: all’indomani della guerra del 1870-71 sorge L’Institut

de Droit International, in Belgio e contemporaneamente nasce a Londra l’International Law

Association, anche se l’esempio più significativo a favore di questo rapporto causa-effetto

tra genesi delle ONG ed eventi bellici, è dato dalla fondazione nel 1863 del Comitato

Internazionale della Croce Rossa per iniziativa di Henry Dunant, dopo che costui era

rimasto profondamente colpito dalle atroci sofferenze dei soldati feriti nella battaglia di

Solferino.

Dunant, ottenuto l’appoggio della “Geneva Society for the protection of Public Interests”,

organismo privato, e dopo essersi presentato al “International Statistic Congress” di Berlino

del 1863, riuscì a persuadere i Governi ad interessarsi ai suoi progetti ed a trasformarli in

regolamenti, a riprova anche di quanto possa essere fondamentale l’iniziativa privata.

Per venire a tempi a noi più vicini, va detto che il momento più difficile per la vita e la

sopravvivenza della ONG fu durante la Seconda Guerra Mondiale; infatti, se negli anni

12

immediatamente precedenti allo scoppio del conflitto si può notare come nei paesi dominati

dall’ideologia fascista, dove si trovavano molte delle maggiori ONG, queste venissero

lasciate libere di svolgere i propri compiti solo se in linea con l’ideologia del regime, in

particolar modo in Germania che con il deflagrare del conflitto, si rileva una quasi completa

inattività ufficiale di esse, sebbene la lotta anti-fascista clandestina abbia trovato aiuti

proprio in alcune ONG.

L’ultimo fattore storico che resta da esaminare è stato rilevato ed analizzato da Stosic nel

suo lavoro sulle ONG; la coincidenza tra le grandi esposizioni internazionali e la nascita

delle ONG.

Se tale fenomeno sia una coincidenza o meno è difficile dire. E’ vero che, ad esempio,

l’istituto internazionale delle Casse di Risparmio nacque in seguito a determinate esigenze

manifestate dai conferenzieri durante il primo Congresso Mondiale del Risparmio, tenuto a

Milano nel 1924, ma è altresì vero che affermare categoricamente, così come fa lo Stosic,

che vi è un evidente ed inscindibile rapporto causa-effetto tra congressi od esposizioni e

nascita di associazioni non governative, è forse eccessivo.

Direi che le aspirazioni di cambiamento, non soddisfatte dai rispettivi governi, espresse dai

privati, che dovevano far fronte ad improvvisi e profondi mutamenti dettati dall’avvento

della Rivoluzione Industriale, da una conseguente espansione dei mercati e dalla diffusione

di nuove idee, possono essere elementi più che sufficienti a spiegare un’improvvisa

proliferazione, nel secolo scorso, di ONG in tutta Europa senza dover giustificare il

fenomeno adducendo una improbabile concomitanza causale tra congressi e sorgere di

associazioni private.

Sembrerebbe pertanto più corretto, da un punto di vista storico, affermare che nei congressi,

non solo prendevano corpo all’improvviso le esigenze individuali, ma anche sostenere che

essi erano le sedi di maggior risonanza nelle quali tali necessità, da tempo presenti,

ricevevano il sigillo dell’ufficialità, essendo così più una conseguenza che non la causa della

nascita delle ONG.

Certo, analizzando il grafico che Stosic riporta si nota che in concomitanza con la prima

delle grandi esposizioni internazionali, quella di Parigi del 1867, furono istituite quattro

ONG , e, dato ancor più significativo, si tennero tredici congressi internazionali.

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Lo stesso elevato numero di congressi e di nuove ONG lo si rileva in coincidenza della

Esposizione di Filadelfia del 1876, di Parigi del 1878, 1889 e 1900 e così fino a quella di

Bruxelles del 1910, ma il dato non mi sembra vada interpretato così come fa Stosic.

Comunque, a partire dalla fine della Prima Guerra Mondiale tale fenomeno è meno evidente

poiché con la creazione della Società delle Nazioni e ancora delle Nazioni Unite, le relazioni

internazionali e con esse le ONG trovarono luoghi appositamente deputati allo sviluppo dei

contatti e delle relazioni internazionali.

Anche se va detto che la carta della Società delle Nazioni non conteneva alcun riferimento

esplicito ad ONG o ad associazioni private, con la nascita delle Nazioni Unite è stata

definitivamente ufficializzata l’importanza dell’operato dei privati, riconoscendo alle

associazioni attraverso le quali essi esprimono le proprie idee, lo status consultivo presso il

Consiglio Economico e Sociale.

Infatti l’art. 71 della Carta recita:

“Le Conseil économique et social peut prendre toutes dispositions utiles pour

consulter les organisations non gouvernementales qui s’occupent de questions

relevant de sa compétence. Ces dispostions peuvent s’appliquer à des

organisations internationales et, s’il y a des organisations nationales après

consultation de Membre intéressé de l’Organisation »

In forza di tale previsione esplicita le ONG hanno avuto un notevole sviluppo negli ultimi

quaranta anni grazie allo statuto consultivo loro riconosciuto anche presso organizzazioni

specializzate o presso organizzazioni intergovernative non facenti parte delle Nazioni Unite,

come il Consiglio d’Europa che nel 1986 ha redatto un’apposita convenzione disciplinante

lo status delle ONG.

A conclusione di questa breve analisi della genesi storica delle ONG, ciò che si può rilevare

è innanzitutto la crescente importanza, quantitativa e qualitativa, che esse hanno assunto con

il passare del tempo a partire dalla prima associazione privata del 1815 fino al

riconoscimento ufficiale da parte delle Nazioni Unite e del Consiglio d’Europa e la notevole

influenza che hanno avuto ed hanno sulla vita di tutta la società internazionale.

14

In particolar modo è evidente come la loro presenza sia divenuta sempre più necessaria dal

momento in cui è stato loro riconosciuto lo status consultivo presso vari organismi ufficiali.

Ed è qui che è maggiore il contributo che esse possono dare, in quanto non solo più vicine

ed attente ai problemi della gente e libere da vincoli burocratici, ma anche perché assemblee

di eminenti esperti spinti ad aderire ad una o all’altra associazione solo quando la propria

volontà ed i propri ideali siano coincidenti con quelli dell’organizzazione.

15

2. CARATTERE E STRUTTURA DELLE ORGANIZZAZIONI INTERNAZIONALI

Innanzitutto va detto cosa si intenda per Organizzazione Internazionale Non-Governativa e a

questo proposito sembra che la definizione migliore sia quella data da Benvenuti

nell’enciclopedia del diritto, allorché afferma che:

“con l’espressione organizzazioni internazionali non-governative si vuole

indicare quella vita associativa e di collaborazione che può sorgere tra

individui o entità che sono subordinati alla potestà di differenti Stati, vita

associativa che non ha regole di funzionamento indipendenti, ma che

concretamente dovrà modellarsi secondo le forme giuridiche previste o

permesse dai diritti degli Stati nell’ambito dei quali nasce o è destinata a

svolgersi”.

In questa definizione è racchiuso non solo un chiaro concetto di ONG, tale da permettere

facilmente una distinzione tra queste associazioni “private” e le cosiddette Organizzazioni

Internazionali Governative (OIG), ma che da essa scaturisce anche gran parte della

problematica che le ONG pongono, allorché si inizi a studiarne il funzionamento pratico

nell’ambito delle relazioni internazionali, cioè la questione della loro personalità giuridica,

dell’ordinamento dal quale dipendono e ricevono formale riconoscimento e della scelta

della struttura organizzativa che possono darsi, la quale non è vincolante, proprio perché

esse sono libere da qualsiasi regola prestabilita di funzionamento.

Vorrei premettere che allorché si parla di ONG e se ne dà una definizione quale quella di

Benvenuti, sopra riportata, vengono alla mente organizzazioni trans-nazionali quali il Rotare

o la Massoneria o movimenti politici come l’Internazionale Socialista, l’Internazionale

Democristiana o qualsiasi altro gruppo ideologico di portata internazionale e che tenga

periodiche riunioni.

Su queste organizzazioni, che secondo me rientrano nella categoria delle ONG, anche

esaminandole alla luce dei requisiti richiesti dall’UAI, dei quali poi si parlerà, non esiste

concomitanza di pareri e perciò non se ne parlerà oltre, anche se ritengo che esse siano ONG

non fosse altro che per quella caratteristica tipica e universalmente riconosciuta, che è

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l’assenza di qualsiasi scopo di lucro. Mentre, e qui i pareri sono unanimi, le multinazionali,

proprio perché orientate a creare profitti, non sono ONG.

L’esame della vita delle ONG inizia dalla struttura.

Non ne esiste una uguale per tutte le organizzazioni, se non altro per i differenti fini che esse

perseguono o più ancora per l’influenza che ogni ordinamento statale interno ha su di esse,

tuttavia nei sistemi di organizzazione delle ONG regnano certe regole d’esperienza comune

ed inoltre, la loro natura associativa le porta ad essere simili nei modi di svolgere la propria

attività.

Emerge in primo luogo che vi sono basilarmente tre organi deputati alla regolamentazione

della vita dell’associazione: un organo rappresentativo, con poteri più ampi, un organo

rappresentativo più ristretto con funzioni esecutive ed infine un organo burocratico,

solitamente denominato “segretariato” con compiti burocratici.

Tali organi sono generalmente: l’Assemblea Generale, il Consiglio d’Amministrazione, il

Comitato Esecutivo, il Presidente, il Segretario Generale e talora un Tesoriere.

L’Assemblea Generale è l’organo supremo della ONG, con i poteri più ampi tra cui quello

di modificare lo statuto, definire le linee di attività dell’organizzazione, statuire la

composizione e la competenza di tutti gli altri organi che ad essa renderanno conto del

proprio operato e proclamare l’estinzione dell’organizzazione.

L’Assemblea può essere composta o da tutti i membri della organizzazione o da membri

scelti a rotazione, di solito mediante elezione e si riunisce ad intervalli regolari, a meno che

non vi sia urgenza di sessioni straordinarie.

Vi è poi il Consiglio d’Amministrazione, un corpo assai vasto e rappresentativo che

comprende rappresentanti eletti dall’Assemblea tra le nazioni componenti la ONG; ad esso

spettano solitamente la nomina dei membri del Comitato Esecutivo e delle commissioni

tecniche, la fissazione delle date di riunione dell’Assemblea, l’approvazione

dell’ammissione di nuovi membri e la ratificazione del bilancio annuale.

Terzo organo è il Comitato esecutivo che nelle piccole ONG assume le veci anche del

Consiglio d’Amministrazione, pur essendo i membri del Comitato di gran lunga meno

numerosi di quelli del Consiglio.

17

Esso è nominato o dall’Assemblea o dal Consiglio, e nelle ONG dove il Tesoriere non

costituisce organo autonomo, esso è ricompreso nel Comitato, di cui fa parte anche il Vice-

Presidente.

I poteri del Comitato sono generalmente abbastanza limitati e si esplicano nell’adottare

decisioni in materie urgenti, verificando l’esatta applicazione delle decisioni del Consiglio e

controllando l’attività del Segretariato.

Il Presidente, eletto dall’Assemblea per i propri meriti e le proprie qualità, è colui che

rappresenta l’organizzazione e nel caso delle ONG “en l’air” di cui si parlerà più avanti ed è

attraverso la sua persona che si determina talvolta ove si sia situata la sede

dell’organizzazione.

Talora, come nel caso dell’Istituto Internazionale delle Casse di Risparmio (2), egli è anche

Presidente del Consiglio d’Amministrazione e del Comitato Esecutivo; ha comunque

generalmente poteri di supervisione su tutta l’attività dell’ente; la carica è predeterminata

nello Statuto ed è solitamente di durata pari all’intervallo tra due Assemblee generali ed egli

può quasi sempre essere rieletto.

Infine vi è il Segretario, la cui funzione non è meno importante di quella del Consiglio e per

il quale le qualità personali sono tanto importanti quanto per il Presidente: egli dirige

l’attività quotidiana dell’organizzazione, esegue le delibere dell’Assemblea, del Consiglio e

del Comitato e prepara i rapporti periodici o annuali.

Va detto, per dare un quadro completo della struttura tipica delle ONG, che talora vi è anche

il Bureau: organo esecutivo assai ristretto composto da un presidente, un vice-presidente ed

un segretario generale, che svolge compiti di routine quotidiana.

18

3. DISCIPLINA E CLASSIFICAZIONE

Caratteristica principale di qualsiasi ONG è quella di vivere ed operare, a differenza delle

Organizzazioni Internazionali Inter-Governative, sotto l’impero del diritto interno dello

Stato nel quale abbia la propria sede ed essere perciò considerata formalmente una semplice

associazione di diritto interno anche se i frequenti contatti con ordinamenti giuridici statali

diversi da quello di appartenenza, la rendono sostanzialmente un’associazione di livello

internazionale.

Il fatto di essere perciò legate a quello che Benvenuti definisce come “il guscio della

sovranità statale” crea il problema della scelta della legge applicabile al vincolo associativo

ed agli atti posti in essere dalla ONG nell’esercizio dei propri compiti.

Per quanto riguarda la legislazione italiana, con riguardo alla regolamentazione del

contenuto degli statuti delle ONG, alla loro attività e alla responsabilità degli

amministratori, bisogna far riferimento all’art. 17 (1) disp. Prel. ove si richiama come legge

regolatrice quella dello Stato che ne abbia riconosciuta la nazionalità.

Talora però può capitare che l’organizzazione sia stata riconosciuta in più Stati: dovrà allora

preferirsi lo Stato con il quale esistono i legami più forti, ad esempio ove abbia la sede

principale l’organizzazione stessa.

Può anche capitare però che nessuno Stato abbia riconosciuto la nazionalità alla ONG; in

questo caso si applicherà il criterio sussidiario dello Stato presso il quale la ONG ha la

propria sede; questo sempre per quanto riguarda il sistema di diritto internazionale privato

italiano, così come risulta dall’esame congiunto degli art. 29 disp. Prel. e 46 c.c..

Vanno poi ricordate le organizzazioni che vengono definite ONG “en l’air”, cioè quelle che

di propria scelta rifiutano qualsiasi vincolo con ogni Stato, così da poter mantenere la

propria autonomia ed indipendenza. Un esempio di tal tipo è l’Institut de Droit International

per il quale l’art. 11 dello Statuto espressamente prevede che la sede coincida con il

domicilio del segretario generale: in via di massima esistono principalmente tre tipi di ONG

“en l’air”:

1. quelle che cambiano sede con il mutare del presidente;

2. quelle che adottano un principio di rotazione periodica della sede;

3. quelle che hanno sedi disseminate in vari paesi.

19

Si vede pertanto che il problema legato alla natura giuridica delle ONG è abbastanza

complesso: esse dipendono perlopiù dal paese temporaneamente o permanentemente

ospitante anche nelle modalità di regolamentazione della vita dell’organizzazione.

La maggior parte degli autori, sin dagli anni ’50, sono stati d’accordo nel prospettare

essenzialmente due tipi di soluzioni: o una modificazione delle legislazioni nazionali in

tema di regolamentazione delle associazioni, o la redazione di una convenzione

internazionale che assicuri degli standard minimi in base ai quali definire, riconoscere e

regolare giuridicamente una ONG.

Adottando la prima delle due soluzioni, l’obiettivo dovrebbe essere quello di ottenere, da

parte degli Stati, maggiori facilità nel riconoscimento della personalità giuridica delle ONG

costituite all’estero: il problema non è certo semplice poiché vi sono ONG in ogni angolo

della Terra e soggette ad ordinamenti giuridici di diversa ispirazione.

Ma quand’anche si giungesse ad una prospettiva di accordo, rimarrebbe la questione della

delimitazione di compiti tra organizzazioni internazionali private ed organi dello Stato dove

la ONG è stata riconosciuta.

Ricomparirebbe quindi la discrezionalità delle singole legislazioni che cercherebbero di non

cedere troppe delle proprie esclusive competenze ai privati.

Per il momento perciò, la scelta per una ONG varia tra lo stabilire la propria sede in un

determinato Stato e da questo ottenere il riconoscimento adeguandosi alla particolare

legislazione in esso vigente, o, così come fanno le ONG “en l’air”, restare indipendenti

senza alcun rischio d’essere sottomesse ad alcun ordinamento statale.

Sembrerebbe che la situazione di queste ultime sia molto meno favorevole di quelle che

potremmo definire “permanenti” non solo per l’assenza di qualsiasi riconoscimento

giuridico e per l’aspetto patrimoniale, ma anche per le indubbie scomodità che comporta un

continuo mutare di sede e luoghi di riunioni.

E’ altresì vero che le ONG stabilitesi in un determinato Paese, con il fatto stesso di porsi

all’interno dell’ordinamento giuridico dello Stato ospite, perdono parte della loro autonomia

e del loro carattere internazionale.

Il problema comunque è oggi meno drammatico di quanto possa sembrare poiché, proprio

l’accresciuta importanza delle ONG in questi ultimi quaranta anni, ha creato condizioni tali

20

da impedire in ogni paese, ad eccezione di quelle del blocco comunista, che esse siano

soggette esclusivamente alla volontà dello Stato ospitante.

Agli inizi del ‘900 parve come soluzione l’utilizzo dello strumento della convenzione.

In quegli anni infatti, furono elaborate varie convenzioni internazionali, ritenendo che

questa fosse la via più adatta a porre le basi di una legislazione uniforme, di cui potesse

esserne garantita l’esatta applicazione ed osservanza.

Vanno ricordati qui soprattutto i primi due congressi che si occuparono di proporre una

definizione dello status giuridico delle ONG e ancor prima di fornire criteri validi in base ai

quali poter classificare come tale una organizzazione internazionale: il congresso delle

Associazioni internazionali di Bruxelles, nel 1910 e quello di Mons del 1913, i cui risultati

furono deludenti.

Ma ancor prima di decidere quale carattere giuridico dare ad un ONG, visto che la

controversia è ancora aperta, si pone il problema di stabilire in base a quali criteri sia

possibile definire e riconoscere come ONG una qualsiasi associazione privata.

I criteri proposti sono molti e diversi: alcuni, come quelli elaborati da Speeckaert e in parte

anche quelli di Stosic, sono di scarsa utilità e fanno riferimento al tipo di attività svolta

dall’organizzazione; altri, tra cui quelli proposti dall’UAI ed elaborati successivamente dal

Consiglio economico e Sociale delle Nazioni Unite, parzialmente ripresi anche dal

Consiglio d’Europa, sono abbastanza validi, pur se soggetti, come qualsiasi criterio di

classificazione, a divenire con il tempo sempre più indefiniti: utilizzabili perciò in via

analogica, od obsoleti se applicati restrittivamente e rigidamente.

Accennare brevemente, come qui sarà necessario fare, ai criteri di classificazione in varie

categorie delle ONG che operano a livello internazionale, non è affatto semplice, in primo

luogo per l’elevato numero e la diversità dei compiti di tali organismi: a riprova di ciò è

sufficiente esaminare l’annuario dell’UAI ove si possono trovare migliaia di ONG

classificate sotto le più diverse voci corrispondenti al campo di attività in cui operano (ad

esempio vi sono ONG tessili, chimiche, farmaceutiche, legislative fino a giungere perfino

alla ONG internazionale dei cuochi).

Il fatto poi, che non sia stato ancora formulato un criterio universalmente valido di

classificazione in relazione all’attività svolta, pur essendo state molte le proposte da parte

21

dei più autorevoli studiosi, ciò rende ancora più arduo stabilire quale sia il metodo da usarsi

e limita l’indagine ad una sommaria esposizione delle teorie fino ad oggi avanzate.

Una delle prime è stata quella elaborata da G.P. Speeckaert in “L’Avenir des Organisations

internationales non Gouvernementales”.

L’autore, basandosi sul criterio degli “objets généraux d’activité”, ha classificato le ONG in

sei gruppi a seconda che perseguano uno scopo:

− ideologico

− scientifico

− di miglioramento sociale, economico o tecnico

− di organizzazione

− di interesse professionale

− di relazioni tra i popoli.

Questo criterio, a mio avviso, sembra abbastanza generico innanzitutto perché prescinde dal

contesto legislativo particolare dello Stato nel quale ogni ONG, con sede permanente, è

posta, poi perché le sei categorie sono generiche e non idonee ad una chiara sistematica di

tipo funzionale.

Per rimediare alla mancanza di metodo, Stosic ha proposto di raggruppare le ONG in tre

categorie fondamentali:

− quelle che svolgono attività ideologica o missionaria;

− quelle che difendono interessi materiali o professionali dei differenti gruppi.

− quelle che hanno come scopo la promozione di attività e la cooperazione scientifica,

tecnica o professionale.

Anche questo criterio non può essere accolto acriticamente poiché, ad esempio, come ben

rileva l’autore a riprova della fallibilità della propria proposta, ha pure una applicazione

pratica meno problematica di quella di Speeckaert, sebbene esistono ONG che esercitano

tutte e tre le funzioni come l’Associazione Medica Mondiale.

Lador-Lederer invece, senza voler apparentemente proporre alcun criterio, ha dedicato

buona parte della sua opera principalmente a cinque categorie di ONG che esamineremo

brevemente (sembrano infatti così generiche da ricomprendere in sé ogni tipo di ING).

22

L’autore inizia con una analisi delle “Legislative NGO’S” e della attività che esse svolgono,

distinguendo a seconda che esercitino attività consultiva ed eventualmente siano anche

attive nelle procedure che portano alla formazione di testi normativi internazionali, o che

invece non abbiano alcuna funzione consultiva.

Con riguardo alla prima categoria va ricordata innanzitutto la Carta delle Nazioni Unite ed

in particolare l’art. 71dove si fa esplicito riferimento alle ONG con status consultivo, inoltre

la risoluzione 1296 (XLIV) del 23 maggio 1968 che regolamenta le relazioni tra ONG e

Consiglio Economico e Sociale, la quale ha suddiviso le prime in tre ordini: quelle che sono

interessate alla maggior parte delle attività svolte dal Consiglio; quelle che sono interessate

solo a materie specifiche; ed infine quelle comprese in un apposita lista (Roster) alle quali

può essere occasionalmente riconosciuto lo status consultivo da parte del Segretario

Generale.

Per quanto riguarda l’importanza che determinate ONG possono avere nella promozione e

formazione di testi legislativi, tra le più attive in questo campo spicca la Croce Rossa,

ispiratrice della codificazione del diritto bellico moderno e della necessità di una

considerazione umanitaria della guerra: la IATA (International Airline Transport

Association) che attraverso il Traffic Conference Machiner, suo organo, determinando le

tariffe aeree, l’Interpol e l’Istituto di Diritto Internazionale.

Lador esamina poi quelle che chiama “Scatterei Communities and State –preparing

NGO’S” ossia quelle ONG che hanno come proprio scopo la costruzione o la rifondazione

di uno Stato: situazione che si verifica in particolar modo allorché vi sia una lotta per il

potere tra un regime che tema per la propria integrità territoriale e gruppi di pressione

esterni che si ritengano legittimati a conseguire la liberazione della Nazione per stabilirvi il

proprio dominio.

Terza categoria è quella delle “Ideological NGO’S”, che a differenza delle precedenti, non

hanno natura rivoluzionaria ma si propongono di raggiungere i propri obiettivi mediante una

pacifica convivenza con gli Stati in cui operano.

Esse sono associazioni di persone con un medesimo ideale e spesso nascono su base

nazionale per poi trovare consenso al di fuori dei propri confini.

23

Le più vecchie ONG di questo tipo sono quelle a carattere religioso e quelle aventi finalità

politiche, come l’Internazionale Socialista, o negli anni Trenta, il movimento fascista: ONG

non prese in considerazione da Stosic.

Vi sono poi le ONG di carattere economico, sorte come conseguenza dei rapporti

commerciali, instaurati nel secolo scorso, tra le Nazioni colonialiste ed evolutesi fino a dar

luogo alla nascita di associazioni private tendenti prima a proteggere e poi a regolamentare

gli scambi internazionali, sia che si trattasse di flussi di merci o di denaro, dando vita, in

questo ultimo caso, alle ONG bancaria.

Come si è potuto dunque vedere, non vi sono criteri certi di classificazione in relazione allo

scopo dell’organizzazione e lo stesso Consiglio d’Europa, affrontando il problema della

definizione di ONG non ne ha formulati.

Probabilmente il procedimento adottato dalla UAI che si avvicina più a quello funzionale di

Stosic che ad ogni altro, sembra essere per il momento il migliore almeno fin a che un

organismo come l’Istituto di Diritto Internazionale non offrirà criteri di classificazione

scientifica.

Va detto però che l’UAI, nella elaborazione dei propri criteri, non ha fatto alcun riferimento

al tipo di attività svolta dalle ONG, ma ha preso in considerazione le caratteristiche

strutturali che ha ritenuto essere proprie ed esclusive di ogni ING stessa.

I parametri, recepiti dal Consiglio Economico e Sociale delle Nazioni Unite, che nel 1950,

con la Risoluzione n. 288 (X) del 27 febbraio ha formalmente stabilito la distinzione tra

organizzazioni inter-governative e ONG, sono:

Scopi

Gli scopi dell’organizzazione devono presentare un carattere veramente internazionale con

l’intenzione di svolgere attività in almeno tre nazioni. Di conseguenza società come

l’International Action Committee for Safeguarding the Nubiam Monuments o la Anglo-

Swedish Society sono escluse: ugualmente lo sono società rivolte unicamente alla

commemorazione di persone scomparse, anche se queste abbiano dato grossi contributi alla

comunità internazionale.

24

Membri

Vi deve essere partecipazione individuale o collettiva con pieno diritto di voto da parte di

almeno tre nazioni. L’organizzazione deve essere accessibile a qualsiasi individuo od entità

le cui competenze rientrino nell’area di attività di essa. Di conseguenza sono esclusi gruppi

chiusi, sebbene la situazione possa divenire ambigua quando un solo membro per Stato sia

ammesso, poiché in tal modo si preclude l’ammissione all’organizzazione ad altri gruppi

qualificati in quel paese.

Il potere di voto deve essere tale da non permettere a nessun gruppo nazionale di controllare

l’organizzazione.

Le organizzazioni nazionali che accettino stranieri come propri membri sono escluse così

come ordini religiosi o comunità governate su base gerarchica e movimenti sociali non

ufficiali.

Struttura

L’atto costitutivo deve prevedere una struttura organica ufficiale che attribuisce ai propri

membri il diritto di eleggerne periodicamente l’organo di governo e i dirigenti

dell’organizzazione. Vi deve essere una sede permanente e le attività dell’organizzazione

devono possedere carattere di continuità. Di conseguenza, contrariamente ai comitati

permanenti che stabiliscono un collegamento tra più riunioni successive, i comitati ad hoc e

i comitati organizzatori di riunioni uniche non sono contemplati.

Dirigenti

Il fatto che in un determinato periodo i dirigenti abbiano la medesima nazionalità non

comporta necessariamente l’esclusione della organizzazione, ma in questo caso deve esservi

rotazione ad intervalli determinati tra i diversi Stati membri, sia per quanto concerne la

scelta della sede che per l’elezione dei dirigenti.

Finanze

Contributi sostanziali al bilancio devono provenire da almeno tre nazioni. Ciò comporta

l’esclusione di molte unioni e società “internazionali” che operano in Nord America su

finanziamenti quasi del tutto provenienti dagli Stati Uniti. Non vi deve essere scopo di lucro

25

né tentativo di ottenere profitti da distribuire ai membri. Ciò non esclude organizzazioni che

esistono per aiutare i propri membri ad ottenere più profitti o migliorare la propria

situazione economica (es: trade unions o trade associations); ma si escludono le imprese

che svolgono affari internazionali, le società di investimento o cartelli. La distinzione tra

una associazione di commercio (trade association) e un cartello è spesso non chiara, nella

pratica le relazioni esterne della società sono usate come criterio distintivo.

Relazioni con altre organizzazioni

Le entità organicamente collegate con altra organizzazione non sono necessariamente

escluse, ma deve essere evidente che esse conducano vita indipendente ed eleggano i propri

dirigenti. Non sono perciò considerati come organi interni o sussidiari i cui membri siano

nominati da uno degli organi strutturali di un’organizzazione e che a questa facciano capo.

Attività

Deve essere fornita prova evidente che l’organizzazione eserciti effettivamente un’attività.

Le organizzazioni che sembrano essere state inattive per oltre cinque anni sono catalogate

come “scomparse” o “dormant”.

Altri criteri

La scelta delle organizzazioni catalogate non è stata determinata né da criteri di ampiezza né

di importanza, né si è guardato al numero dei membri, al grado di attività o alla potenza

finanziaria.

Nessuna organizzazione è stata esclusa per ragioni politiche o ideologiche né sono stati

considerati i campi di interesse o di attività.

La localizzazione geografica delle sedi e la terminologia usata nella denominazione

dell’organizzazione (come “commitee”, “council”….) sono state ugualmente irrilevanti.

La definizione ed il riconoscimento affinché un’associazione possa considerarsi come una

ONG risulta abbastanza agevolata utilizzando questi criteri, molti dei quali si ritrovano

anche esaminando il testo redatto a Strasburgo nel 1986, della “Convenzione Europea sulle

26

ONG”, ove si definiscono come tali (art. 1) quelle associazioni, fondazioni o istituzioni

private che:

− abbiano uno scopo non di lucro, di utilità internazionale;

− siano state create con un atto “importante” di legge interna di una “Parte”;

− esercitino la loro attività effettiva in almeno due Stati;

− abbiano la loro sede statutaria nel territorio di un “Parte” e la loro sede

amministrativa sul territorio di questa “Parte” o di un’altra “Parte”.

Come si vede, l’unica e minima differenza nel dare una definizione dei caratteri essenziali di

una ONG, è riferita al numero di Stati necessari e sufficienti per aversi vera attività

internazionale: per l’UAI almeno due Stati, per la Convenzione di Strasburgo almeno tre,

mentre tutti gli altri caratteri tipici sono simili in entrambi i progetti.

27

4. CARATTERISTICHE DELLE ORGANIZZAZIONI NON GOVERNATIVE

INTERNAZIONALI (ONG)

Ai sensi dell’art. 1 della Convenzione Europea n. 124 firmata il 24/04/1986, le condizioni

affinché “un’associazione, fondazione o altra istituzione privata” possa essere considerata

un’organizzazione non governativa sono le seguenti:

− avere scopo non lucrativo d’utilità internazionale;

− essere stata creata con un atto di diritto interno di uno Stato;

− esercitare la propria attività in almeno due Stati.

La Risoluzione n. 1296 del 1968 dell’ECOSOC (Economic and Social Council dell’ONU)

definisce a sua volta l’ONG come “un’organizzazione internazionale che non è stata creata

attraverso accordi intergovernativi, compresa un’organizzazione che accetta dei membri

designati dalle autorità governative, a condizione che i membri appartenenti a questa

categoria non ostacolino la libertà d’espressione dell’organizzazione”. La successiva

Risoluzione n. 31 del 1996 modifica leggermente la definizione, precisando che una ONG

non deve essere stata istituita da un’entità né intergovernativa, né governativa.

Secondo il progetto di Convenzione dell’Istituto di Diritto Internazionale, presentato alla

sessione di Bath nel 1950, le organizzazioni non governative sono “gruppi di persone o di

collettività, liberamente creati dall’iniziativa privata, che esercitano, senza spirito di lucro,

un’attività internazionale di interesse generale, al di fuori di ogni preoccupazione di ordine

esclusivamente nazionale”.

Dai documenti sopra considerati si evincono alcuni elementi che accomunano e

caratterizzano gli enti che stiamo cercando di definire.

Innanzitutto si tratta di associazioni, dunque di soggetti costituiti da più persone (fisiche e/o

giuridiche), dotati di personalità giuridica e di un apparato istituzionale stabile e

permanente. Stabilità e permanenza sono elementi necessari del concetto di organizzazione,

dato che, senza tali elementi non sarebbe possibile identificare un ente a sé stante e distinto

dalle persone che ne fanno parte e che sia un centro autonomo di imputazione giuridica.

Nella Risoluzione dell’ECOSOC si richiede, oltre, appunto, alla presenza di una sede

permanente e di una struttura burocratica, anche che lo statuto sia adottato secondo criteri

28

democratici e che la politica dell’organizzazione sia stabilita da un organo rappresentativo

nei confronti del quale è responsabile un organo esecutivo. Nella struttura tipica delle ONG

non sono, dunque, presenti elementi gerarchici. In genere i poteri direttivi spettano

all’organo plenario, il quale determina lo statuto e la politica dell’associazione. Ad esso si

aggiunge normalmente un organo esecutivo permanente, un organo burocratico ed eventuali

organi ausiliari.

Possiamo notare dunque una somiglianza strutturale tra le ONG e le organizzazioni

intergovernative, ma bisogna precisare che la struttura complessa sopra descritta non è un

requisito necessario e di fatto molte ONG hanno un apparato burocratico molto più limitato.

Del resto la snellezza burocratica è una delle caratteristiche principali delle ONG ed una

delle cause dell’efficacia della loro azione.

Bisogna anche notare che le dimensioni delle ONG possono variare considerevolmente, in

quanto esistono ONG composte da poche persone, così come ONG con una membership

estremamente vasta, nell’ordine di migliaia di individui.

Il secondo elemento discriminante è che, a differenza delle organizzazioni intergovernative,

le ONG non sono create con trattati internazionali, dunque con atti di diritto internazionale,

bensì con atti di diritto interno.

Il loro status giuridico è determinato ai sensi del diritto dello Stato in cui sorgono. Esse non

sono quindi soggetti di diritto internazionale, ma sono solo soggetti di un particolare

ordinamento giuridico nazionale. Questo comporta che il loro status può variare fortemente

da Stato a Stato, e di fatto così avviene generalmente, rafforzando ancor più la loro varietà e

contrastando a livello logico, ma soprattutto a livello pratico, con il carattere materialmente

internazionale delle attività da esse svolte e dando frequentemente luogo a problemi di

diritto internazionale privato.

Ciò peraltro corrisponde alla natura delle ONG, le quali sono espressione della capacità di

autorganizzazione della società civile, manifestazione tra le più effettive di democrazia

partecipativa. In quanto tali, queste organizzazioni si caratterizzano per il fatto di essere

indipendenti dai governi e svincolate dal controllo delle autorità pubbliche. Le ONG si

distinguono, pertanto, sia dalle organizzazioni intergovernative, i cui membri sono gli Stati,

sia dalle organizzazioni di tipo “misto”, alle quali partecipano organismi pubblici e gruppi

privati.

29

L’indipendenza e l’autonomia dai governi sono da più parti considerate fra le cause

principali della loro crescente importanza sulla scena internazionale e dell’efficacia delle

loro iniziative. Del resto le stesse ONG ne sono gelose custodi, ritenendole le discriminanti

della loro identità e lo strumento per raggiungere in modo più diretto ed efficace i loro

obiettivi. Indipendenza e autonomia non vogliono, però, significare totale separazione dalle

istituzioni statali e dalle politiche governative: spesso le ONG, infatti, realizzano attività

congiunte con i governi e ricevono da essi una parte, anche importante, delle loro risorse.

Tali contributi, in forma di sovvenzione o di cofinanziamento, devono sempre essere

dichiarati e soprattutto limitati, proprio a garanzia della loro indipendenza.

D’altra parte la natura di enti di diritto privato non limita la rilevanza delle ONG all’ambito

nazionale. Bisogna, infatti, notare come spesso le ONG, a dispetto del loro carattere

privatistico e nazionale, siano nondimeno oggetto di norme internazionali, ma soprattutto

come esse siano, de facto, sempre più protagoniste della cooperazione internazionale a

fianco degli Stati e delle organizzazioni internazionali. Del resto, cooperazione non

governativa, governativa ed intergovernativa non si svolgono solo parallelamente, ma

tendono sempre più ad intrecciarsi ed a confondersi.

Il carattere internazionale è, dunque, un elemento anch’esso fondamentale nella definizione

di organizzazione non governativa. Se da un lato il carattere nazionale delle ONG è un dato

formale, valutabile sulla base del diritto nazionale, l’internazionalità delle ONG è invece un

requisito sostanziale, da valutare con riferimento alla vita effettiva ed al funzionamento di

fatto dell’organizzazione. Esso riguarda sia la struttura dell’associazione, come

membership, sia, soprattutto, il suo campo di attività ed i suoi scopi, i quali devono avere

rilevanza.

Le Risoluzioni dell’ECOSOC richiedono esplicitamente che l’organizzazione sia

“rappresentativa” dei gruppi sociali che svolgono attività nel suo settore di competenza,

esprimendone l’opinione a livello internazionale. Tale rappresentatività viene specificata in

base ad un criterio geografico, come rappresentanza di un numero rilevante di paesi (per

prassi almeno tre) appartenenti alle diverse regioni del mondo. Il carattere internazionale

della membership comporta anche l’internazionalità del finanziamento stesso, dato che esso

di norma deriva per la maggior parte da quote associative, e della struttura, in quanto si

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richiede che gli organi direttivi siano composti senza discriminazioni geografiche o

nazionali. Sulla base delle citate Risoluzioni e delle altre fonti di diritto internazionale

analoghe, la dottrina individua i quattro requisiti di internazionalità richiesti: scopo,

composizione, campo di attività, struttura. Essi devono non solo sussistere, ma anche

concorrere insieme. Altra caratteristica fondamentale è l’assenza di scopo lucrativo nelle

attività svolte dalle ONG. Ciò significa non che i loro membri debbano essere tutti volontari

o che le loro attività non debbano produrre alcun profitto, bensì che tali attività devono

essere volte non a beneficio, economico o comunque materiale, dei membri

dell’associazione, bensì a vantaggio di terzi e che devono avere carattere volontario e

gratuito. Se un profitto esiste, esso non viene, quindi, ridistribuito tra i membri, bensì viene

destinato esclusivamente al perseguimento degli scopi statutari, consistenti nell’erogazione

di servizi a favore di terzi, al fine di accrescere le capacità di intervento dell’associazione.

Questa caratteristica fa rientrare le ONG nel più vasto insieme del cosiddetto “terzo settore”,

anche detto settore del No Profit o del Volontariato. Tale settore comprende, infatti, le

organizzazioni caratterizzate da natura giuridica privata, divieto di distribuzione degli utili

ed erogazione dei servizi a favore dell’intera collettività e non dei soli membri.

Per quanto concerne il finanziamento, le ONG possono ricorrere a varie fonti quali:

donazioni, sovvenzioni, cofinanziamenti, collette, vendita di beni e di servizi. Esse sono,

dunque, in parte dipendenti dai donatori pubblici (Stati e organizzazioni internazionali) e

privati, ma proprio la diversità delle fonti di finanziamento è condizione indispensabile per

preservare l’identità propria della ONG e garantirne l’indipendenza finanziaria, presupposto

per l’indipendenza effettiva. Come già evidenziato, è importante, nonché espressamente

richiesto dalle norme internazionali che le riguardano, che le ONG ricevano solo limitati e

dichiarati aiuti pubblici.

Le ONG sono generalmente viste come gruppi che svolgono la loro attività nell'interesse

della comunità, in maniera non violenta e senza scopo di lucro. Le ONG sono spesso

etichettate come forze democratiche o addirittura come la "coscienza del mondo".

Queste affermazioni non possono essere considerate valide in generale, poiché i valori che

ispirano l'attività delle diverse organizzazioni variano e possono non essere condivisi da

tutti.

31

Spesso esse non fanno che riflettere le divisioni ed i contrasti che esistono di fatto nelle

varie società oppure nello stesso settore dei diritti umani. Si pensi ad esempio a due ONG,

l'una schierata a favore dell'aborto, sul presupposto di tutelare il diritto di scelta della donna,

e l'altra contro tale pratica, in difesa dei diritti del nascituro.

La mancanza di un generale riconoscimento della personalità giuridica delle Organizzazioni

non governative a livello internazionale è un elemento che si pone in forte contrasto con la

grande attenzione suscitata dall'imponente presenza di queste entità sulla scena

internazionale.

Esse sono nate e hanno esteso il loro ambito di operatività e le loro capacità,

indipendentemente da qualsiasi altro soggetto internazionale o da una loro approvazione,

come espressione della Società Civile.

Per quanto riguarda i diritti, i maggiori trattati internazionali in materia di diritti dell'uomo,

riconoscono le fondamentali libertà che vengono generalmente attribuite ai gruppi, come ad

esempio la libertà di associazione e di riunione pacifica, ma non prevedono disposizioni

calibrate per tutelare le Organizzazioni non governative e la loro attività.

Soltanto all'interno della Dichiarazione sui diritti e le responsabilità degli individui, gruppi

ed organi di società per promuovere e proteggere i diritti umani e le libertà fondamentali

universalmente riconosciuti, troviamo delle norme precise al riguardo, ma si tratta di uno

strumento di soft law e come tale non vincolante nei confronti degli Stati.

Dal punto di vista dell'affermazione di obblighi o di responsabilità, il quadro è ancora più

scarno, tanto che le grandi ONG, sentendo il bisogno di accrescere la propria credibilità

verso l'esterno, hanno deciso di adottare dei documenti con i quali si auto-impongono degli

obblighi di condotta. La situazione è parzialmente diversa nell'ambito della cooperazione tra

Organizzazioni Internazionali ed ONG.

Le risoluzioni che disciplinano tali relazioni, dettano dei diritti e delle responsabilità più

precisi per quelle entità che vengono selezionate come partners di una collaborazione,

creando l'opportunità di un controllo maggiore sul loro operato.

All'interno delle Nazioni Unite il meccanismo di concessione e di revoca dello status

consultivo, è posto unicamente nelle mani degli Stati, i quali spesso sono mossi più da

considerazioni politiche che da una effettiva conoscenza dell'organizzazione scrutinata.

32

Nel contesto del Consiglio d'Europa, la situazione è parzialmente mutata con l'introduzione

nel 2003 di una nuova disciplina. Essa prevede infatti la partecipazione delle stesse

Organizzazioni non governative, rappresentate unitariamente dal Liaison Committee, nei

procedimenti di concessione, revoca e sospensione dello status partecipativo.

Questa modifica non sconvolge la dinamica dei rapporti con le ONG, ma rappresenta pur

sempre la presa d'atto della evoluzione delle relazioni con queste entità.

Nonostante il fenomeno, con i suoi lati positivi e negativi, manifesti sempre di più la sua

imponenza alla comunità internazionale, quest'ultima è restia ad introdurre una disciplina

che preveda un decisivo passaggio da un "diritto della coesistenza" a un "diritto della

cooperazione".

Le ragioni sono molteplici, ed in parte sono determinate da ciò che si diceva in precedenza

riguardo alla mancanza di certezza della democraticità dei propri interlocutori.

Con grande probabilità, però, il motivo dominante emerge analizzando l'attività che queste

entità svolgono nella protezione degli standard internazionali. Molto spesso, l'attività delle

ONG è critica nei confronti delle istituzioni statali e mira ad un cambiamento della politica

dei Governi, i quali le avvertono come una minaccia alla loro sovranità e si pongono,

quindi, in una posizione di chiusura verso qualsiasi maggiore coinvolgimento.

Esiste poi una motivazione interna allo stesso fenomeno. Le differenze che si riscontrano tra

le varie Organizzazioni non governative, in termini di valori perseguiti, rende difficile

determinare quali di loro devono essere rappresentate all'interno di determinate istituzioni,

fermo restando che non è possibile coinvolgere tutte le migliaia di ONG esistenti.

Nel caso in cui la rappresentazione o la partecipazione sia fissata all'interno di un trattato o

di una risoluzione, accadono due cose: la prima è che le ONG che acquisiscono tale status,

ottengono una sorta di legittimazione ad intervenire per l'intera Società Civile su quella

particolare questione; in secondo luogo, poiché il mondo delle Organizzazioni non

governative è fortemente eterogeneo e non si esprime, generalmente, con una singola voce,

questa partecipazione può mettere a tacere quelle entità che non sono state selezionate per

prendere parte al procedimento.

Un sistema che prevede un'ampia partecipazione delle Organizzazioni non governative non

dà l'assoluta garanzia di essere un sistema efficiente. Sicuramente esse sono in grado di

33

creare una domanda o di aggregare interessi di cui lo Stato non si cura adeguatamente e di

fare leva affinché vengano adottate delle soluzioni a dei problemi globali.

Ci sono però esempi nei quali l'attribuzione di un maggiore spazio alle ONG all'interno dei

meccanismi ufficiali, non accompagnato da un sistema di coordinamento, ha prodotto effetti

paralizzanti.

La partecipazione delle ONG nei meccanismi internazionali continua a dare luogo a

controversie e dispute, tra chi ne richiede un ampliamento, sottolineandone la necessità per

un effettivo rispetto degli standard internazionali, e chi invece è più incline ad una sua

limitazione e si chiede perché le richieste avanzate da queste entità non possano essere

veicolate per mezzo dello Stato.

34

5. RUOLO, FUNZIONI, EFFICACIA DELLE ORGANIZZAZIONI

INTERNAZIONALI

Al fine di valutare l’efficacia delle organizzazioni internazionali è indispensabile definire i

caratteri dell’ambiente in cui operano ed il ruolo delle organizzazioni internazionali nello

svolgere i compiti loro affidati.

L’ambiente di attuazione delle organizzazioni internazionali, ossia, l’ambito internazionale

può essere concepito secondo una prospettiva stato-centrica, per la quale la politica

internazionale è assimilabile ad un network e le organizzazioni internazionali sarebbero

alcuni fili di questa rete, svolgendo, pertanto, una funzione del tutto passiva, oppure,

secondo un sistema di unità interagenti che si influenzano reciprocamente, il cui

funzionamento è connesso alla necessità di trasformare le richieste dei soggetti giuridici in

decisioni, mentre la loro efficacia è valutata in base alla capacità di offrire risposte adeguate

e soddisfacenti a tale richieste attribuendo in tal modo un ruolo complesso e dinamico alle

organizzazioni internazionali.

Nell’ambito della politica internazionale sono prevalsi tre modi principali di concepire il

ruolo svolto dalle organizzazioni internazionali. In primo luogo le organizzazioni

internazionali possono essere concepite come uno strumento a disposizione degli Stati.

Questa prima concezione deriva dalla prospettiva stato-centrica ed è l’interpretazione più

classica e riduttiva del ruolo delle organizzazioni internazionali che si limiterebbero ad

essere un mezzo costituito per fini egoistici dei singoli Stati godendo, pertanto, di limitata

autonomia.

La seconda concezione del ruolo delle organizzazioni internazionali è quella che le vede

come “arena”, ossia un luogo ove i singoli paesi hanno modo di incontrarsi e ove l’attività

diplomatica ha modo di svolgersi in un contesto favorevole. Tale interpretazione tuttavia,

ancora una volta attribuisce un ruolo passivo alle organizzazioni internazionali che contrasta

con il fatto che tali organizzazioni agiscono sempre più come sistemi politici capaci di

influenzare attraverso il loro stesso funzionamento la condotta degli stati. Le organizzazione

internazionali agiscono ed incoraggiano la ri-articolazione degli interessi da parte degli Stati

membri, promovendo la percezione della indivisibilità dei valori fondamentali (ad esempio

la sicurezza collettiva).

35

La terza e ultima interpretazione è quella che vede le organizzazioni internazionali come

veri e propri attori nella politica internazionale. Da ciò deriva il riconoscimento di un

rilevante grado di autonomia delle organizzazioni internazionali rispetto alla volontà dei

soggetti che hanno dato loro vita, nonché la capacità di influenzare il corso delle cose

andando al di là della volontà dei propri membri: teoria non certo comune ma che sembra

trovare riscontro pratico, ad esempio relativamente alle operazioni di peace keeping,

compito che i fondatori delle Nazioni Unite non avevano esplicitamente attribuito

all’organizzazione ma che si è rinforzato e assunto importanza (basti pensare alle decine di

missioni di peace keeping che hanno influenzato gli sviluppi della politica internazionale e

l’attività politica degli stati) al fine di favorire l’esercizio della diplomazia preventiva.

Quest’ultima concezione attribuisce un ruolo attivo alle organizzazioni internazionali che

incidono sulla politica internazionale inducendo la comunità internazionale ad attivarsi per

affrontare determinati problemi ed influenzando la politica degli stati membri che vengono

spinti ad affrontare temi che, altrimenti, non verrebbero neppure presi in considerazione (ad

esempio: conferenza di Stoccolma sull’ambiente (1972) che ha portato alla nascita delle

United Nations Environment Program; i vincoli imposti dall’Unione Europea con i Trattati

di Maastricht ed Amsterdam).

È comunque opportuno rammentare che le organizzazioni internazionali possono essere

contestualmente concepite come strumenti, arene e attori. Questa è la teoria di Archer, che

suggerisce che le Nazioni Unite possano essere concepite come strumento nelle mani degli

USA sino agli anni 50 per poi diventare attore della politica internazionale con il Segretario

Generale Hammarskjold (1953-1961) e poi arena negli anni ‘60.

Funzioni

Le organizzazioni internazionali sono create allo scopo di offrire strumenti che favoriscono

la cooperazione e che oltre ad uno spazio fisico, mettendo a disposizione un apparato

amministrativo destinato a tradurre le decisioni in azioni e che, di conseguenza permettendo

l’apertura di molteplici canali di comunicazione tra i membri utili ad esplorare nuove

opportunità di cooperazione ed evitare che si creino tensioni tra di loro.

In realtà le organizzazioni internazionali agevolano la cooperazione in vari modi, poiché

spesso gestiscono semplici problemi di coordinamento ma più sovente debbono aiutare i

36

paesi membri a risolvere veri e propri problemi di collaborazione in funzione della

produzione di beni pubblici – ambiente, sicurezza, salute - che, se lasciati alla nazionalità

egoistica dei singoli attori, non raggiungerebbero il livello minimo necessario.

La cooperazione per produrre beni pubblici è piuttosto complessa, poiché non è sufficiente

metterli a disposizione di tutti, è anche necessario che qualcuno vigili sul rispetto delle

norme, al fine di garantire che i singoli stati facciano la loro parte.

È utile ricordare che le organizzazioni internazionali aiutano a ridurre i costi di transazioni

rendendo più probabile e solida la cooperazione poiché sono in grado di offrire informazioni

sui problemi esistenti, ma anche sulle possibile soluzioni e possono controllare il

comportamento dei propri membri e valutare l’applicazione di sanzioni laddove questi siano

inadempimenti ai propri obblighi.

Le organizzazioni internazionali, inoltre, svolgono funzione di garanzia del rispetto delle

norme internazionali a partire da quelle fondamentali come garantire l’integrità territoriale

l’autodeterminazione, la tutela dei diritti umani e contribuiscono all’evoluzione del tessuto

normativo favoriscono la stabilizzazione dei diritti di proprietà (ad esempio conferenza per

codificazione diritto del mare). E comunque aiutano a proteggere dalle turbolenze che

attraversano l’ambiente internazionale (ad esempio dibattito sulla sicurezza in Europa in

ambito OSCE o cooperazione per il Baltico)

Le organizzazioni internazionali possono perciò costituire uno strumento attraverso il quale

le domande vengono poste, una arena nelle quali diverse domande specifiche vengono

discusse, ed attori che formulano domande proprie, assumendo un ruolo attivo e dinamico.

Le organizzazioni non governative, in particolare, non solo aggregano ed organizzano su

scala internazionale le domande che provengono dalle società nelle quali operano, ma

svolgono inoltre un ruolo attivo suscitando domande nuove e richiamando l’attenzione delle

opinioni pubbliche su questioni di rilievo

L’efficacia delle organizzazioni non governative è legata a quattro dimensioni:

1) rappresentatività;

2) autorità morale

3) competenza

4) capacità di mobilitazione

37

L’incisività di una organizzazione non governativa è legata al numero di individui e gruppi

che rappresentano ed a come si organizza per rappresentarli ed il relativo grado di

identificazione degli associati con i fini dell’organizzazione stessa nonché alla sua

estensione geografica, alla sua indipendenza ed imparzialità ed infine alla capacità di

raccogliere e diffondere le informazioni, alla disponibilità di risorse per sviluppare e

svolgere i compiti istituzionali, all’efficacia della sua leadership, alla sua competenza

tecnica e quindi alla possibilità di accedere alla funzione consultiva presso le organizzazioni

governative di riferimento.

Il processo di conversione delle domande in scelte politiche è spesso ospitato dalle

organizzazioni internazionali ma spesso anche stimolato da queste attraverso varie modalità

quali la convocazione di grandi conferenze internazionali (ad esempio Conferenza Rio

dell’ambiente (1992) – Agenda 21)

La conversione delle domande in scelte politiche non avviene mai attraverso un

procedimento meccanico; questo è un processo complesso che la comunità politica svolge

facendo continuo riferimento alle norme ed ai valori che informano la società.

Le organizzazioni internazionali svolgono qui una duplice funzione: da una parte

contribuiscono a definire, affermare e veicolare la nozione ed i valori fondamentali (ad

esempio definendo il comportamento legittimo) e nuovi valori e dall’altra costituiscono

un’importante fonte di socializzazione degli attori a queste norme e valori. In certi casi,

promuovono valori solo per il fatto di personificarli: è il caso della pace per l’ONU, dei

diritti civili e politici per l’Amnesty International, della tutela dell’ambiente per il

Greenpeace.

Un esempio interessante di nuovo valore è il concetto di “patrimonio comune del genere

umano” (elaborato per i giacimenti minerali in fondo al mare) il quale è noto in seno

all’ONU ed è legato ad una ben precisa interpretazione della giustizia sociale internazionale

a discapito della minoranza più ricca della comunità internazionale; tale concetto è stato poi

applicato al patrimonio artistico mondiale di eccezionale valore.

Le organizzazioni internazionali svolgono anche un funzione collegata alla socializzazione

degli stati membri alle “regole del gioco”. Una volta le nuove norme sono lanciate come

38

“messaggi” alla comunità internazionale, è necessario che gli Stati vengano socializzati alle

medesime, in modo da farli valori e principi propri.

Le organizzazioni governative, in particolare possono svolgere la funzione di luoghi di

socializzazione dell’ apprendimento ove gli attori politici imparano ed insegnano agli altri

quali sono le loro interpretazioni delle situazioni e le loro concezioni normative. Un

esempio interessante è l’attività svolta dalla Unesco, tra il 1955 ed il 1975, di educazione di

molti Stati alla promozione e coordinamento delle attività di ricerca scientifica e

tecnologica, arrivando a far credere agli Stati moderni abbiano una responsabilità nella

ricerca.

Nell’ambito di tale funzione “educatrice” le organizzazioni governative internazionali

possono insegnare agli Stati norme che li spingono a rielaborare la propria identità e gli

interessi, ovvero a reintegrare, con nuovi canali la stessa statualità.

39

6. MULTILATERALISMO E SOCIETÀ INTERNAZIONALE

Il numero delle organizzazioni internazionali, la varietà delle funzioni che svolgono

l’ampiezza degli interessi e l’intensità dell’impegno che le contraddistinguono spiegano

perché sia difficile oggi comprendere gli sviluppi della politica internazionale senza tener

conto delle organizzazioni internazionali.

Mentre le organizzazioni non governative continuano a crescere (da 176 nel 1909 ad oltre 6

mila nel 1997), le organizzazione governative classiche, dal 1983, mostrano una tendenza

inversa.

Negli anni ‘80, la ragione di tale diminuzione è stata la mortalità delle organizzazione

governative africane ed arabe.

La mortalità delle organizzazioni intergovernative negli anni ‘80 non è l’unico elemento

significativo. Attualmente la tendenza è che la maggioranza delle organizzazioni non sia più

creata dagli Stati ma da altre organizzazioni. Soltanto la FAO ha dato vita a più di 25

organizzazioni. Inoltre si tende ad intensificare la cooperazione su questioni più specifiche e

tecniche.

Il fatto che le organizzazioni internazionali si specializzino e nascano all’interno delle

organizzazioni stesse comporta diverse conseguenze. La più rilevante è che gli Stati più

potenti sono meno in grado di influenzare la nascita ed il funzionamento di queste

organizzazioni e, pertanto, tendono a dare più voce anche alle organizzazioni non

governative.

Per esaminare come le organizzazioni internazionali si muovono nel panorama politico

internazionale è necessario collegare le organizzazioni internazionali tra loro attraverso la

trama della politica internazionale e ragionare sul fenomeno delle organizzazioni

internazionali. Occorre, quindi, guardare al concetto di “ambiente istituzionale” costituito

dal complesso delle relazioni delle regole e dei sistemi di credenze che emergono nel più

generale contesto sociale.

Invero, anche le organizzazioni internazionali sono annidate in un ambiente istituzionale.

Ogni organizzazione internazionale oltre all’ambiente generale è circondata da un ambiente

più ristretto, rappresentato dal regime cui è collegata ovvero dai principi, norme, regole e

40

procedure decisionali che informano ciascuna di queste più specifiche istituzione

internazionali, oltre che dai rapporti intrecciati all’interno dei rispettivi spazi politici.

La società internazionale è complessa e multilaterale. Ciò che contraddistingue il

multilateralismo è che il coordinamento delle politiche avviene sulla base di principi di

condotta generali; ciascuno Stato è tenuto a rispettare soltanto le regole che valgono per

tutti, non esistono regole che si applichino solo ad alcuni e non ad altri.

L’istituzione, in quest’ottica, ha due corollari. Da un lato si ottiene la costruzione sociale

dell’indivisibilità di problemi e soluzioni (ad esempio: la pace collettiva/ indivisibile),

dall’altro si favoriscono forme di “reciprocità diffusa”.

Tali principi di condotta generali implicano compensazioni dilazionate nel tempo e

complessive invece che soluzioni immediate e specifiche.

Dopo la seconda guerra mondiale la discontinuità che si realizza consiste proprio nella

definitiva legittimazione ed istituzionalizzazione del multilateralismo. Il multilateralismo

del XX secolo influenza la forma delle organizzazioni internazionali ed il loro rendimento.

Essendo basate su principi generali, le organizzazioni internazionali che incorporano il

principio del multilateralismo sono più elastiche di quelle che rispecchiano interessi

particolari ed esigenze legate a situazioni specifiche. Ciò influisce a sua volta sulle modalità

di governare del sistema internazionale.

Incorporando il principio della reciprocità diffusa, esse contribuiscono a collegare fra loro

aree tematiche diverse ed incoraggiano l’elaborazione di orizzonti temporali più ampi,

mobilizzano le aspettative degli attori circa la reciproca volontà di cooperare.

Un sistema di autogoverno della comunità internazionale fondato sul bilateralismo non

avrebbe potuto assorbire facilmente gli sviluppi dell’ottantanove.

Il Multilateralismo è una delle istituzioni fondamentali della società internazionale

contemporanea.

La ragione per cui il multilateralismo si sia affermato nel novecento è probabilmente

collegata al fatto che solo in tale periodo i principali attori della scena internazionale hanno

consapevolmente accettato di rinunciare, almeno in parte a sfruttare le proprie rendite a

disposizione (grazie a relazioni bilaterali) allo scopo di infondere all’ordine internazionale

41

contenuti valoriali il più possibile prossimi a quelli che informavano i rispetti agli ordini

interni. Il Multilateralismo ha anche portato all’evoluzione della civiltà giuridica verso la

codificazione di norme generali ed astratte.

Se il secolo XX è stato il secolo del multilateralismo, il secolo XXI potrebbe essere il secolo

della governance democratica.

Uno degli esempi più significativi di esperimento del multilateralismo è la Società delle

Nazioni.

Tale progetto è nato nel tentativo di superare il puro bilanciamento delle forze come unica

garanzia di sopravvivenza degli Stati, nonché di superare i limiti del metodo diplomatico

classico, attraverso l’istituzione di una vera e propria organizzazione fisicamente costituita e

permanente (principio indivisionale della pace).

Inoltre, tale organizzazione si basava su un sistema di garanzie reciproche fra tutti i membri

(organizzazione universale e democratica), sulla pacifica soluzione delle controversie e

sull’idea/Principio che la guerra in quanto tale fosse una questione di interesse universale

indipendentemente dalla sua localizzazione ed anche un crimine contro la comunità

mondiale.

Con la Società delle Nazioni nasce la concezione moderna del funzionariato internazionale

che diventerà patrimonio comune di tutte le successive organizzazioni internazionali.

Nonostante il sistema delle Società delle Nazioni sia fallito in ragione della sua intrinseca

passività ed inerzia, il palesarsi dei suoi limiti ha coinciso con il consolidamento dell’idea

che le organizzazioni internazionali siano uno strumento indispensabile alla vita di relazione

fra gli Stati, perché le organizzazioni internazionali:

a) formulano, attraverso le proprie multiforme attività, nuove e più specifiche regole di

condotta per gli Stati;

b) coordinano la cooperazione in ambito economico e sociale (ad esempio ILO).

Questa attività indusse la Società delle Nazioni ad introdurre una rivoluzionaria novità:

l’assistenza tecnica su scala internazionale. La cooperazione funzionale doveva essere

sviluppata al di la delle opere che richiedevano un semplice coordinamento tecnico.

42

Attraverso tutto ciò, per la prima volta vengono coinvolti singoli individui ed enti privati,

portando direttamente i cittadini sulla scena internazionale.

Oggi il coinvolgimento diretto degli individui è veicolato sempre più attraverso le

organizzazioni non governative, le quali rappresentano una sfera amplissima di interessi,

contribuendo al “policy-moving” internazionale. Esiste una sostanziale differenza tra le

attuali modalità transnazionali della partecipazione ed una globale che presuppone il

superamento dei vincoli di lealtà nazionale a favore di una nuova interpretazione,

cosmopolita della cittadinanza e che presuppone il radicarsi di un senso di “comunità

terrestre” con considerevole ridimensionamento del ruolo dello stato e delle sue prerogative

Il declino/fine dello Stato è oggetto della letteratura sulla globalizzazione. La

globalizzazione è il fenomeno di crescita progressiva delle relazioni e degli scambi a livello

mondiale in diversi ambiti, in ragione del progresso tecnologico in tema di trasporti,

comunicazione e informazione.

La gestione a livello globale dei problemi si scontra col principio della sovranità degli Stati

e tale circostanza è attualmente il paradosso dell’organizzazioni internazionali.

43

6.1 ONG E SINDACATI

Oggi il settore delle ONG rappresenta l’ottava economia a livello mondiale, con un valore

di oltre 1 milione di dollari l’anno. Dà lavoro a circa 19 milioni di persone, senza contare i

volontari.

Le ONG spendono all’incirca 15 miliardi di dollari l’anno per lo sviluppo, tanto quanto

investe la Banca Mondiale, ma mentre le ONG sono un fenomeno in rapida crescita dagli

anni ’80 i movimenti sindacali sono in declino.

Il collegamento tra ONG e sindacati è molto profondo: è stato l’attivismo della società

civile, capeggiata dai sindacati che ha preparato la strada per lo sviluppo delle ONG dopo la

Seconda Guerra Mondiale; molte di queste nacquero dai sindacati. I due mondi hanno

collaborato a dar vita a potenti coalizioni (quali “global call to action against” povertà) ed

hanno condotto campagne insieme, contro il libero commercio e contro molte grandi società

(es. Wal-Mart)

Può essere una combinazione vincente, come ha dimostrato la lotta contro l’apartheid dieci

anni fa o come dimostra la battaglia contro la privatizzazione dell’acqua oggi.

Di fatto il termine “social movement unionism” è stato coniato al fine di riflettere questo

ampio approccio collaborativi che ha cambiato la faccia di molti paesi in via di sviluppo, più

di recente in Georgia ed Ucraina e prima in gran parte dell’America Latina.

Le ONG hanno spesso agito quali procuratrici per i sindacati, nelle nazioni ove i movimenti

a difesa dei lavoratori sono repressi. Codici di condotta e responsabilità societarie sono

spesso vinti attraverso azioni comuni di pressione e lo staff delle ONG tende ad essere

membro attivo nella vita sindacale, quanto gli appartenenti al sindacato nella vita delle

ONG.

Ogni anno le ONG ed i sindacati si scambiano grosse somme di denaro a supporto dei

reciproci progetti. Alcuni Paesi (quali Irlanda e Sud Africa) sono andati persino oltre ed

hanno incluso nelle loro politiche le ONG. Le Nazioni Unite hanno dato alle ONG un’arena

internazionale nella quale poter operare insieme alle rappresentanze dei lavoratori. Si tratta

di un’opportunità storica per i sindacati e le ONG. La questione è più complessa.

44

Il movimento delle ONG è un insieme complesso di alleanze e rivalità; carità e business,

radicalismo e conservatorismo.

I finanziamenti arrivano da più fonti e vengono distribuiti in ogni direzione concepibile.

La definizione della banca Mondiale di ONG è sufficientemente ampia da includere Public

Services International, quale una delle più vecchie ONG così come include molte

espressioni di fede.

La definizione data dalla WTO è pure ampia, così da includere gruppi di lobby industriale,

quali l’Associazione dei Banchieri Svizzeri e la Camera di Commercio Internazionale.

Più si guarda da vicino, più si è propensi a chiedersi se l’espressione “organizzazione non

governativa” abbia un qualche significato.

Il termine ONG diventa di uso corrente alla fine della Seconda Guerra Mondiale, allorché le

nazioni Unite cercarono di differenziare tra agenzie specializzate inter-governative ed

organizzazioni private, ma le origini del movimento sono più antiche.

La prima ONG internazionale è stata probabilmente la Società contro la schiavitù” costituita

nel 1839; il movimento contro la schiavitù, che raggiunse il suo apice alla fine del XVIII

secolo, è stato il catalizzatore di molte organizzazioni che seguirono.

Alcune delle prime ONG nacquero dai conflitti bellici, inclusa la Croce Rossa nel 1864

dopo la Seconda Guerra d’Indipendenza Italiana; Save the children dopo la Prima Guerra

Mondiale e Oxfam e Care dopo la Seconda Guerra Mondiale.

Ad oggi la più grande ONG è la “Bill and Melinda Gates Foundation”, con un patrimonio

di circa 30 miliardi di dollari.

Alcune ONG sono molto abili nel gestire il proprio profilo mediatico, altre lottano

nell’anonimato. Alcune, come Amnesty International sono basate sul presupposto

dell’associazionismo, rifiutando aiuti economici dai governi e dai partiti politici.

Altre sono organizzazioni capaci di produrre enormi profitti che esistono solo per creare

azioni di lobby a nome di interessi puramente economici e di guadagno.

Sempre più le ONG sono legate ai governi attraverso accordi di finanziamento e contratti di

servizio.

45

Nel 2001 Care International ha ricevuto quasi il 70% dei suoi 420 milioni di dollari di

budget, da contributi governativi. Un indagine del 1998 ha dimostrato che un quarto delle

entrate di Oxfam arrivano dal governo britannico dalla UE.

World vision negli USA ha raccolto 55 milioni di dollari in valore di beni dal governo

statunitense. Nello stesso anno Médecins sans Frontières ha ricevuto il 46% delle sue

entrate da fondi governativi.

Uno studio sulle entrate delle ONG dichiara che: “le entrate per servizi sono incrementate

del 52% ed i ricavi del settore pubblico del 40%”; nello stesso periodo le entrate

filantropiche sono cresciute solo del 6%.

Forse l’unica cosa che si può sostenere sulle ONG è che rappresentino l’espressione più

visibile della società civile alla globalizzazione.

Da un punto di vista storico il movimento sindacale è nato più o meno nello stesso periodo,

in risposta alla rivoluzione industriale; ma l’evoluzione dei sindacati ha avuto un percorso

diverso. Dopo 175 anni il movimento si è sviluppato nella più importante forza democratica

mondiale.

Dai livelli più bassi in molti settori in più nazioni, su fino alle federazioni nazionali ed ad

una serie di federazioni regionali e globali sino alla ICFTU (International Confederation of

Free Trade Unions) che può legittimamente vantarsi di rappresentare 155 milioni di

persone.

Ci può essere una vasta area di interessi comuni tra i due movimenti, ma

l’industrializzazione e la globalizzazione sono due rivoluzioni molto differenti. Le rispettive

forme nelle quali si sono evoluti (e le differenze culturali scaturite) spesso portano a

difficoltà e tensioni come ha detto recentemente un leader sindacale: “Il movimento delle

ONG può rappresentare una grande forza di cambiamento a tratti”.

Paradossalmente, questa mancanza di una sola voce può spiegare la incredibile crescita delle

ONG a partire dagli anni’80.

Allorché la Banca Mondiale ed il FMI imposero tagli nei servizi pubblici, le ONG furono

incoraggiate a riempire questi vuoti. Furono considerate il canale privilegiato per erogare

servizi invece dello stato.

46

La Banca Mondiale non solo incoraggia i propri membri a lavorare con le ONG sui progetti

di sviluppo, ma investe anche direttamente in progetti delle ONG.

E’ stato rilevato che dal 1973 al 1980, le ONG erano state coinvolte in circa 15 progetti

della Banca Mondiale all’anno. Dal 1990 questo numero è salito a 89, ossia il 40% di tutti i

nuovi progetti approvati.

Ma c’è una logica particolare dietro tutto ciò: sembra servire più uno scopo ideologico che

economico: non c’è prova che dimostri che i servizi erogati dalle ONG siano più economici

di quelli pubblici.

Di fatto negli USA, ove le ONG hanno un ruolo particolarmente rilevante nel prestare

servizi nell’ambito di contratti governativi, sono diventate oggetto di profonde critiche

proprio perché la loro presenza aumenta i costi di erogazione dei servizi e crea problemi di

burocrazia aggiuntiva.

Ciò è chiaro: non c’è una semplice formula per spiegare o sviluppare le relazioni tra

sindacati e ONG. Molti sono alleati naturali, altri lavorano in aree complementari, ma molti

sono concorrenti.

C’è un certo consenso sulla circostanza che le ONG hanno rappresentato molto negli anni

’90 ma non c’è consenso sul perché ciò sia avvenuto.

Non c’è una sola singola motivazione, ma una molteplicità di fattori tra loro interconnessi.

Alcuni ritengono che tra questi fattori vadano ricompresi la fine della guerra fredda, la

riduzione dello stato assistenziale, l’eredità del pensiero politico reganiano e thatcheriano

nelle relazioni internazionali, l’aumentato ruolo delle istituzioni internazionali a cominciare

dalle Nazioni Unite nell’ambito della governance globale,le grandi idee quali quelle di

Robert Putnam sul capitale sociale, che hanno portato alla resurrezione del pensiero di

Tocqueville ed al successo di movimenti sociali quali Solidarnost .

Il risultato è stata un’incredibile crescita di risorse disponibili per le ONG.

Oltre ad essere divenute le portatrici privilegiate di aiuti, queste organizzazioni si supponeva

avrebbero promosso la democrazia (ed allo stesso tempo erano ritenute indici di salute della

democrazia), che sarebbero intervenute in situazioni di emergenza, a supporto di cambi di

regime, al fine di promuovere l’integrazione sociale di genti e comunità emarginate.

Alcuni numeri sono significativi: per es. oltre il 90% dei finanziamenti a scopo umanitario

della UE negli anni ’70 veniva canalizzato attraverso i governi e nessuno tramite le ONG.

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Trenta anni dopo, i giovani contano per il 6%, mentre le ONG per il 37%.

Secondo dati forniti dalla OECD, il 13% di tutta l’assistenza allo sviluppo che ammonta a

oltre 8.3 miliardi di dollari, nel 1992, è stata canalizzata attraverso le ONG (nel 1970 era lo

0,2%)

Dopo lungo tempo, gli indicatori sembrano anche far apparire un processo di aggregazione.

Il responsabile dell’amministrazione di USAID ha sostenuto che, con riferimento a

particolari situazioni di emergenza e sostegno, 10 ONG europee e 10 USA spendano il 75%

di tutti i fondi pubblici che vanno per emergenze complesse.

Con il crescere del numero delle ONG, si è assistito ad una crescita del loro potere. La loro

capacità di influenzare le relazioni internazionali è diventata presto chiara.

L’ex Segretario delle Nazioni Unite Boutros Ghali ha detto una volta che le ONG sono una

“componente indispensabile della legittimazione” delle Nazioni Unite. Kofi Annan ha

definito le ONG “la coscienza dell’umanità”.

Una serie di rivoluzioni “colorate” negli ultimi anni, nelle quali le ONG hanno svolto un

ruolo preminente nelle proteste civili di massa, ha messo in luce il lavoro democratico di

queste organizzazioni della società civile.

Molti governi hanno risposto con misure legislative restrittive con lo scopo di evitare che le

ONG potessero avere un ruolo attivo nei processi di sviluppo della democrazia.

Ma ad ogni azione corrisponde una reazione. La popolarità senza precedenti ed il fatto di

rappresentare la società civile hanno cominciato ad essere messe in discussione sul

presupposto di mancanza di legittimazione, di serietà e di trasparenza.

Per troppo a lungo sono state paragonate a realtà di affari o industrie. I Governi hanno

iniziato a dire che le ONG non hanno un mandato democratico, che non sono espressione di

elezioni.

Molti critici delle organizzazioni sociali civili dicono che non devono rendere conto a

nessuno se non a chi dona loro denaro. Ad oggi le ONG sono sotto attento esame.

Il dibattito si fa difficile ed avrà un impatto sulla loro ragione di esistere e sull’influenza che

le ONG hanno avuto sino ad ora; quanto meno ciò diminuirà i finanziamenti alle ONG.

Così come da poche, le ONG sono diventate molte e potenti, all’improvviso potrebbero non

rappresentare più un fenomeno globale.

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Oggi le ONG si stanno mobilitando per difendere il loro operato ragionando su qualche

forma di auto-regolamentazione, cercando di creare degli standards di buona condotta ed

essenzialmente cercando di riformarsi.

Alcuni dei donatori stanno immaginando strade alternative chiedendosi se non sia meglio

tornare a finanziare aiuti attraverso i canali governativi o attraverso le grandi organizzazioni

multilaterali.

Anche così comunque, le ONG sono tuttora ben posizionate per fare cose che nessun altro

potrebbe efficacemente fare.

Vediamo alcuni esempi.

Di recente una ONG che lotta per i diritti di persone disabili, si è impegnata in un’attività di

promozione a livello nazionale in Macedonia ed ha raccolto quasi 20.000 firme. Lo scopo è

di far approvare la Parlamento una legge che protegga i diritti dei disabili. Chi altro avrebbe

potuto farlo ? Il Governo ?

In un altro esempio, sempre dalla Macedonia, un paio di anni fa alcuni gruppi ambientalisti

hanno lottato contro il Governo del Montenegro, in Tribunale, per il progetto di costruire

una centrale di energia nella valle del fiume Tara, magnifica area naturale. Ed hanno vinto.

In Albania il movimento giovanile MJAFT ha avuto un importantissimo ruolo nel

combattere la corruzione a livello governativo.

E lo stesso valga per migliaia di gruppi sconosciuti che prestano servizi tutti i giorni in

comunità povere, nei ghetti, negli slums ed altre parti ove il sistema governativo non arriva.

Fanno si che i bambini Rom vengano istruiti, combattono l’analfabetismo femminile,

formano giovani disoccupati e così via.

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6.2 ONG E UNIONE EUROPEA

I sociologi e politologi sono sempre più preoccupati della capacità, da parte della società

civile, di influenzare la politica della UE e dei suoi Stati membri; questa capacità dipende,

in larga misura, dal ruolo esercitato dalle ONG, che rappresentano gli interessi della società

civile.

Al fine peraltro di poter rappresentare le istanze della società civile, le ONG hanno necessità

di poter accedere alle istituzione europee ove si preferivano i processi decisionali: questa

condizione si collega con la questione, generale e controversa, della partecipazione della

vita politica delle ONG, e del ruolo che possono svolgere nei processi internazionali di

decision-making.

Come noto, le NU hanno raggiunto il più alto livello di istituzionalizzazione del dialogo con

la società civile, delegato al CES (ECOSOC) il compito di determinare una procedura

speciale di accreditamento ed attribuzione di ruolo consultivo alle ONG.

Per quanto concerne il sistema della UE, la varietà di interessi rappresentati dalle ONG e la

crescente domanda per una più ampia partecipazione popolare nelle questioni civili, stanno

imponendo alla UE di andare oltre il solo modello consultivo e di sviluppare, invece, un

sistema più efficace e più integrato.

Le ONG, in particolare, rappresentano, tra gli altri, interessi che hanno a che fare con lo

sviluppo umano e nel fare ciò, le ONG sono un modello di successo nella capacità di gestire

relazioni con i vari settori della società civile.

Le cooperazioni con i Paesi vicini e i PVS è un esempio eccellente; attraverso la

partecipazione ai programmi ufficiali della UE, le ONG europee hanno dato vita a molte

iniziative, nell’ambito degli aiuti umanitari, specialmente in Africa.

(vd. RYELANDT B. (1995) Pourquoi la Communauté Européenne travaille avec le ONG –

Le Courier 152)

Ciò ha costituito un buon punto di partenza per un aumentato coinvolgimento delle ONG

nell’ambito della prevenzione di conflitti e/o della loro gestione ed un ruolo più attivo nelle

missioni di pace UE.

50

Dibattito teorico

La necessità di comprendere quale sia il livello di integrazione ed istituzionalizzazione a

livello UE è stato ed è oggetto di dibattito; in particolare l’attenzione è stata prestata a due

questioni:

a) la volontà dei governi di dar vita ad istituzioni sovranazionali al fine di poter meglio

sfruttare i vantaggi della condivisione delle risorse economiche e del sistema di

libero scambio;

b) la scala di competenze delle istituzioni europee ed il conseguente problema di una

chiara suddivisione e gerarchia di livelli, in una struttura complessa ove coesistono

centri di potere e decisionali.

Poiché la specificità delle competenze UE richiede una adeguata conoscenza non sempre

disponibile a livello di Stati e di istituzioni europee, gli attori della società civile ed i

rappresentanti di interessi economici specifici, sempre più hanno svolto e svolgono un ruolo

essenziale nell’ambito degli aspetti di molteplici politiche a livello UE.

Negli anni ’70 si è assistito, ad esempio, al ruolo attivo giocato da gruppi economici

nell’ambito del processo di consolidamento e di diffusione dell’integrazione economica

(cosiddetto “effetto spill-over”) questo ruolo, attraverso una costante collaborazione con la

Commissione, col fornire assistenza tecnica, è divenuto un reale metodo di consultazione ed

ha aperto la strada all’integrazione politica.

Questa tendenza è perseguita e si è rafforzata negli anni ’80; la pubblicazione del Libro

Bianco (Jacques Delors) nel 1985, fornì una serie di misure necessarie alla realizzazione del

Mercato Unico, all’allargamento delle competenze delle Istituzioni europee ed

all’introduzione della procedura di co-decisione; il rafforzamento della dimensione

economica e l’ampliamento delle politiche comuni, accrebbe gli interessi e la pressione di

vecchi e nuovi gruppi portatori di interessi.

Questa fu denominata la “Fase Di Lobbizzazione” del processo di decisione europeo, una

fase destinata a consolidarsi ed a svilupparsi ancora più, ove gli attori non-stabili hanno

assunto ed assumeranno il ruolo di reali referenti.

Mutamenti significativi accorsero anche negli anni ’90: il completamento del Mercato

Unico, con tutta una serie di misure economiche e monetarie, ebbe un effetto a cascata sugli

Stati membri, coinvolgendo tutti i livelli di governo ed inoltre il trattato di Maastricht portò

51

al consolidamento della posizione dell’Europa di diventare attore politico e qui oltre a

gruppi, della società civile, economici, si affacciano altri gruppi attivi nelle questioni civili.

Un nuovo sistema di rappresentanza di interessi stava ristrutturando la UE, per iniziativa di

gruppi sociali.

Come afferma Schmidt

“La democrazia UE non corrisponde alla definizione di stato – nazione quale “governo della

gente” attraverso la partecipazione politica, “governo della gente” attraverso la

rappresentanza dei cittadini, “governo per la gente” attraverso un effettivo governo, e ciò

che chiama “governo con la gente” attraverso la consultazione con interessi organizzati”

(SCHMIDT V. 2004 – The European Union: democratic legitimacy in a regional State?

Center for European Studies Working Paper n° 112)

Le sfide poste alla UE, continuamente ricomparse anche dopo il Trattato di Maastricht,

hanno a che fare con il fatto che le istituzioni europee prendono decisioni per conto dei

cittadini ma SENZA che questi possano esercitare il dovuto controllo e parteciparvi.

Per questa ragione nel 2001, la Commissione iniziò un percorso di riforma del sistema di

governo UE, sul presupposto che un governo sovranazionale debba avere una governante

democratica, almeno per tre ragioni:

1) democrazia implica non solo che i cittadini possano partecipare e legittimare il

potere politico, ma anche che quest’ultimo a sua volta è responsabile verso i

cittadini;

2) il concetto di bene pubblico significa che questo debba essere ampliamente

condiviso da tutti coloro che sono soggetti alla sua giurisdizione;

3) democrazia richiede pesi e contrappesi appropriati.

La UE è un sistema nel quale sono rappresentati molteplici interessi, da una pluralità di

attori, ma è un sistema ancora all’inizio di un processo di riforma dei propri metodi di

partecipazione.

Pertanto è sempre più importante il ruolo di gruppi ed organizzazioni che esprimono istanze

non solo economiche.

52

Nel sistema della UE il concetto di società civile appare estremamente flessibile; la

possibilità di delineare e concedere una procedura formale di accreditamento ed il

conseguente status ufficiale consultivo è sempre stata esclusa dalla Commissione, come

dichiarato nella Comunicazione “An Open and Structured Dialogue between The

Commission and Special Interest Groups” (1993) (SEC 92, 2272).

Ciò forse in considerazione del fatto di voler assicurare che il processo decisionale nella UE

sia legittimamente esercitato dai rappresentanti eletti, il che però crea difficoltà

nell’identificare canali appropriati per accedere agli interessi individuali ed, in qualche

misura, ha fatto rallentare il processo di allargamento partecipativo.

Allo stesso tempo, una flessibilità accresciuta ha permesso la partecipazione di una vasta

gamma di attori.

Come già detto all’inizio la UE riconobbe gruppi di interesse economico, rappresentativi di

specifiche categorie (sindacati, imprenditori); gruppi principalmente legati al Mercato Unico

ed alla realizzazione dell’Unione economica e monetaria (agricoltura, pesca, energia,

industria pesante).

La dimensione degli interessi rappresentata nel sistema UE comporta per le istituzioni, la

necessità di avere informazioni di qualità ed il processo attraverso il quale i gruppi

forniscono “conoscenza” agli organismi decisionali si chiama “lobbying”; attraverso tale

processo i gruppi hanno diretto accesso alle istituzioni e queste, senza doversi far carico dei

costi, possono ridurre il deficit di informazione.

Un metodo questo visto con favore anche dai gruppi non di espressione di interessi

economici, ma della società civile, che furono, peraltro, favoriti dalla evoluzione

istituzionale generata tramite l’Atto Unico Europeo ed il Trattato di Maastricht.

La cosiddetta Community Based Organization (CBO) è composta da quei gruppi sociali,

variamente organizzati che mettono insieme cittadini europei attivi nella vita locale e

nazionale, e che rappresentano interessi pertinenti lo sviluppo umano.

(vd. Economic and Social Committee - (1999) – The Role and Contribution of civil society

organisations in the building of Europe – CES 851/1999)

Tra queste organizzazioni, le chiese e le comunità religiose, le associazioni di volontariato

ed ovviamente le ONG: per quanto ostacolate soprattutto a causa della resistenza da parte

53

degli Stati membri, tuttavia hanno avuto successo nel gestire negoziazioni in certi settori e

nel dar vita ad una sorta di dialogo civile.

La cooperazione con i Paesi confinanti e i PVS ne è un esempio eccellente; col partecipare

ai programmi ufficiali, le ONG europee hanno promosso molteplici iniziative di aiuto

umanitario, specialmente in Africa (RYELANDT, 1995).

Questi sforzi hanno ottenuto risultati concreti con la creazione, nel 1976, del Comité De

Liason, l’organo di rappresentanza di tutte le ONG europee impegnate nella cooperazione in

collaborazione con le istituzioni comunitarie. Il comitato ha lo scopo di stabilire un

collegamento e permettere il dialogo politico tra la società civile e la UE, rappresentando le

ONG europee presso le istituzioni europee ed in particolare, al Parlamento, al Consiglio

d’Europa e presso le Conferenze e le assemblee internazionali.

In questo caso, la pressione delle ONG si è sviluppata sulla UE affinché la stessa desse

forza alle politiche di aiuto umanitario, sviluppando politiche e programmi specifici.

Il fatto è che essendovi interessi plurimi e diversi nella società civile, la questione si pone è

di come le istituzioni europee abbiano e/o possano formalizzare le relazioni con i vari

gruppi di interesse.

A tal fine vi sono due vie:

1) SOCIAL DIALOGUE

Dalla pubblicazione del Libro Bianco nel 1985, il sistema europeo ha disciplinato

forme e procedure al fine di rendere attivo il dialogo sociale. L’Art. 138 del Trattato,

stabilisce che la Comunità Europea sia considerata la base giuridica del dialogo

sociale.

Gli aspetti rilevanti sono due:

A. In primo luogo la UE identifica chiaramente gli attori sociali (sindacati,

associazioni imprenditoriali, professionali, multinazionali, gruppi industriali)

organizzati verticalmente ed impegnati in aree chiaramente identificabili – il

lavoro.

B. Vi è una procedura di consultazione che obbliga la Commissione a chiedere

dei partners della società in tutte le questioni di loro competenza e prima di

dare inizio ad una iniziativa legislativa.

2) CIVIL DOALOGUE

54

Qui invece non vi è una base giuridica; ciò ha causato grande incertezza riguardo

all’ identità degli attori coinvolti ma anche alla modalità di accesso ai processi

decisionali. E’ un problema che concerne ONG ed associazioni coinvolte in tutte

quelle aree che non ricadono nella sfera economica: protezione del consumatore,

cooperazione allo sviluppo, ambiente, diritti umani, protezione delle donne e dei

bambini. La caratteristica degli interessi rappresentati porta ad una struttura che

generalmente non è verticale o centralizzata, ma molto flessibile attraverso una

struttura network.

Non esiste una procedura di consultazione, richiesta per legge, il che, però, non

impedisce alla commissione di mettere in atto meccanismi di dialogo.

La mancanza di standard e procedure che disciplinino il dialogo “civile” cominciò a sentirsi

fortemente negli anni ’90, tanto da diventare, negli anni successivi, una vera e propria

esigenza.

La vastità e complessità delle organizzazioni e degli interessi coinvolti, rese molto

complessa la definizione di meccanismi standard.

Prendendo in considerazione la definizione di governance data dalla Commissione, ciò che

è stato sviluppato è un sistema di interazioni mantenute separatamente con ogni istituzione

europea, talora con qualche convergenza, ma molto più spesso senza alcun coordinamento.

Il “dialogo civile” è stato raccomandato al Comitato Economico Sociale, il quale avrebbe

dovuto essere la naturale “casa”, non solo perché è l’organo rappresentativo di diversi

interessi, ma anche perché ha il compito di incrementare le relazioni tra società ed

istituzioni, agendo quale mediatore, peraltro le relazioni non sono mai state molto produttive

e la prevalenza nel CES, di interessi economici, ha ostacolato il dialogo su altri livelli.

La Commissione è quella che più si è spesa nel cercare di trovare una definizione condivisa

di “Civil Consultation” e quindi nella definizione di procedure più comprensibili.

Nel documento:

“The Commission and The non-governmental organizations: building a stranger

partnership” (January 2000 COM (2000)11)

55

Fu definita una dettagliata modalità empirica di verifica del come dare inizio ad un dialogo

civile, così come furono affrontati una serie di problemi legati alla mancanza di trasparenza

e di comunicazione, ed alla eccessiva complessità delle procedure.

Le difficoltà principali furono essenzialmente due:

1) la stretta divisione di competenze della Commissione in ambiti diversi non era

sempre corrispondente agli interessi rappresentati dalle varie organizzazioni che

erano al contrario, più flessibili e interdipendenti; il che contribuisce a creare

confusioni nelle organizzazioni in relazione a quale direttorio generale avere come

interlocutore.

2) Il funzionamento, diretto mediato dalle autorità nazionali, non era inteso per il

vantaggio delle organizzazioni, ma per singole competenza.

A questi problemi, la Commissione rispose con una dichiarazione di grande impegno, ma

richiedendo, allo stesso tempo, alle organizzazioni una maggior responsabilità ed un

maggior uso del processo di consultazione.

Il documento delinea una piattaforma per lanciare una prima strategia di cooperazione

basata su 5 priorità:

1) accelerazione della partecipazione democratica;

2) rappresentazione delle visioni di specifici gruppi di cittadini verso le istituzioni

europee;

3) contributo al policy making;

4) contributo al project management;

5) contributo all’integrazione europea.

EUROPEAN COMM (2001) WHITE PAPER ON EUROPEAN GOVERNANCE Bruxelles

COM (2001).

Diventa perciò essenziale elemento la partecipazione della società civile e la priorità è

l’allargamento della sua base.

La parola chiave fu “partecipazione”: l’ Eurobarometro segnalava, ripetutamente, che

l’interesse alle politiche europee era molto basso a livello individuale dei cittadini, ma

considerevolmente elevato in gruppi strutturato e nelle organizzazioni ed inoltre nello White

Paper, venne finalmente chiaramente definito cosa si intendesse per “appartenenti alla

società civile”

56

“La società civile include: i sindacati e le organizzazioni imprenditoriali (“social partners”:

le organizzazioni non governative, le associazioni professionali…” (p 14)

Tempi e modi di coinvolgimento vennero spiegati attraverso l’uso del metodo aperto di

coordinamento (p 21).

Perciò la Commissione intese promuovere una nuova cultura di consultazione, mettendo

insieme attori (organizzazioni della società civile, gruppi locali e nazionali, CES, Comitato

delle Regioni e tutte le istituzioni) e metodi (rispetto per i principi base di buon governo) in

un quadro di riferimento di interdipendenza e coordinamento.

Il limite sta nella circostanza che si trattò ancora di un ruolo consultivo, non esteso al livello

decisionale.

La comunicazione:

“Towards A Reinforced Culture Of Consultation And Dialogue…”

European Comm 2001 Bruxelles Com (2002) 704

Cerca di dare una miglior chiarificazione di attore/i “organizzazioni della società civile sono

le principali strutture della società al di fuori dell’amministrazione di governo e pubblica,

inclusi gli operatori economici non generalmente considerati essere “terzo settore” ad

ONG”.

Continua con l’affermare la necessità di partecipazione su base più ampia e vien

riconosciuto il ruolo attivo svolto dalle organizzazioni della società civile, ma la parola

chiave continua ad essere “consultazione”.

Il dialogo con la Commissione che continua, ha come scopo di chiarificare quali attori

debbano essere legittimati nel colloquio con le istituzioni europee e quali metodi vadano

usati.

Il risultato è stato quello di aver cominciato a dar vita a leggi e provvedimenti che hanno

permesso alle ONG europee di essere associate al processo di formulazione di politiche in

aree specifiche (quale ambiente, cooperazione allo sviluppo) ed ancora più importante

accesso diretto ai finanziamenti; soprattutto grazie al dialogo instauratosi al Consiglio.

In altri termini, vi è una forte presenza, nel sistema della UE, della società civile, variamente

organizzata e desiderosa di essere ascoltata su temi sia nuovi che tradizionali; accanto ai

temi rilevanti per gli attori del dialogo sociale (agricoltura, mercato interno, impresa) vi è

57

una sempre maggior pressione in aree ove gli interessi in gioco sono variegati, quale

sicurezza, diritti umani, soccorso umanitario.

Conflict management e intervento umanitario

La trasformazione di due aspetti principali della sicurezza globale, la natura dei conflitti

contemporanei – le cd nuove guerre – e gli attributi dell’intervento umanitario nel mondo

contemporaneo, vanno tenuti in considerazione.

Con la fine della Guerra Fredda, sono emerse le problematiche connesse ai cosiddetti “Stati

deboli”; la debolezza istituzionale, la mancanza di regole di diritto e la fragilità economica,

sono state causa di nuovi conflitti ed una delle caratteristiche comuni è data dallo

spostamento da una dimensione “bellica” interstatale ad una intrastatale, con una presenza,

appresso, di attori non-statali e con un venir meno di una chiara distinzione tra civili e

combattenti.

Tutto ciò comporta che il “Conflict management” non dipenda più solamente dai mezzi

militari.

Per questa ragione le missioni di peacekeeping con estese funzioni civili, includendovi la

ricostruzione economica, la riforma istituzionale ed i processi elettivi, sono fattori necessari

al fine di aumentare le opportunità e le ciance di successo nel contenere la violenza e

costruire la pace.

Il mutato carattere della guerra ed il parallelo trasformarsi degli strumenti di “Conflict

management” e di intervento umanitario, oltre a peculiari caratteristiche ed eventi che hanno

caratterizzato la UE, con la fine della Guerra Fredda, meritano attenta considerazione, anche

in relazione al processo storico di sviluppo della Politica Estera e di Sicurezza Comune

(CFSP); tema che però qui non può essere analizzato.

Nel campo della sicurezza e dell’intervento umanitario, la UE ha, in maniera importante,

accresciuto il proprio supporto alle ONG negli anni ’80 e ’90.

La UE iniziò a fornire assistenza in questo ambito, attraverso finanziamento alle ONG,

nella metà degli anni ’70, con un piccolo programma di co-finanziamento (U$ 3,2 mli).

Dagli anni ’80, il budget fu rapidamente accresciuto e nel 1995 arrivava a 1,0 billion USD

(il 15/20% del budget UE per aiuto estero)

58

Il lavoro svolto dallo European Community Humanitarian Office (ECHO) e la gran parte

del lavoro svolto sul tema dei rifugiati dalle varie DG, fu essenzialmente implementato dalle

ONG.

La politica di prevenzione dei conflitti è stata radicalmente modificata, nel 1995, quale

risultato del dialogo tra la Commissione e le ONG, con particolare riguardo all’Africa, per

la politica allo sviluppo, il Sud-Est europeo e la ricostruzione post-bellica in Bosnia, dopo

gli accordi di Dayton.

Il colloquio tra ONG e Commissione ha in particolare contribuito allo sviluppo di alcune

norme per la prevenzione dei conflitti ed a formulare proposte che esplicitamente hanno

rafforzato le relazioni tra le cause strutturali di instabilità e la violenza e la necessità di

legare tra loro aiuti e politica estera.

Le relazioni con le istituzioni UE nelle aree dell’assistenza e dell’aiuto umanitario hanno

contribuito ad incrementare il ruolo attivo delle ONG ed il Liason Committee, in

particolare, è stato di grande aiuto nel dar vita ad una piattaforma per migliorare la

cooperazione tra un Europa bisognosa di un’accresciuta presenza nelle aree turbolente del

mondo e le ONG, con la loro capacità, di farne fronte.

Lo sviluppo è stato un accresciuto interesse verso le missioni di pace sviluppate nell’ambito

della politica di Sicurezza e Cooperazione Comune così come la ricerca di nuove forme di

cooperazione.

Un ruolo, quello delle ONG, che coinvolge i temi del coinvolgimento nella partecipazione

politica, della rappresentanza e della democratizzazione dei processi di decision-making e

del cambiamento della natura delle missioni di pace multi-funzionali.

Insieme alla Commissione, il Consiglio d’Europa, iniziò presto ad intravedere possibile

forme di cooperazione con le ONG nell’ambito degli interventi umanitari.

Nel giugno 2004 vennero pubblicati i “Military Headline Goal” e “Action Play For Civiliam

Aspects Of Espd”.

Da questi emerse come il Consiglio abbia ritenuto di grande valore l’esperienza e la capacità

di “early warning” delle ONG, soprattutto nell’ambito della capacità di gestire di crisi.

Ad esempio, nel 2008, fu organizzata dal Segretariato Generale del Consiglio, una

conferenza con la missione Eulex Kosovo, al fine di studiare con le ONG non solo il livello

di cooperazione in aree cruciali quali i diritti umani, ma anche con lo scopo di individuare

59

attraverso quali modalità poter contribuire ad accrescere il rispetto delle regole di diritto in

Kosovo.

La necessità di avere più potere, ha spinto la società civile, attraverso le due organizzazioni,

a rafforzare la cooperazione tra loro: ciò è accaduto anche alle ONG a scopo umanitario.

Lo European Peacebuilding Liaison Office (EPLO) è la piattaforma delle ONG europee, dei

networks di ONG e dei think-tanks attivi nell’ambito del peace-building: è stato creato con

lo scopo di promuovere politiche sostenibili di peace-building.

Tra i risultati migliori ottenuti da EPLO, va ricordata la Amsterdam Appeal: an action plan

for european leaders e la creazione nel 1997 delle european platform for conflict prevention

and transformation.

Si tratta di una piattaforma composta da più di 150 organizzazioni attive nell’ambito della

prevenzioni e risoluzione di conflitti violenti nell’arena internazionale ed un luogo ove

ONG locali ed internazionali si scambiano esperienze.

Conclusioni

La vastità dell’arena politica europea, che si sviluppa su molteplici livelli di governo, la

complessità delle procedure e la pluralità di interlocutori politici, rende complesso per le

ONG interagire efficacemente a livello UE.

La crescente partecipazione delle ONG nel “conflict management” e nell’ambito

dell’intervento umanitario è parte della lotta delle ONG per ottenere un efficace ruolo nella

politica mondiale.

Iniziarono supportando le missioni di pace delle NU negli anni ’90 e si adattarono ai

cambiamenti sviluppando un ampio ventaglio di approcci.

Nel sistema europeo, le ONG “umanitarie” hanno dovuto fronteggiare la variabile del

processo di integrazione politica ed hanno sofferto la mancanza di istituzionalizzazione;

nonostante ciò sono state in grado di sviluppare prassi che, negli anni, hanno dimostrato

efficacia.

60

6.3 ONG E GLOBALIZZAZIONE

Come sappiamo il termine ONG fu utilizzato, per la prima volta, dalle autorità delle NU,

nell’ambito della Carta del 1945.

Ciò peraltro non vuol dire che le ONG non esistessero antecedentemente tale data, ma che il

termine collocato nella Carta, non dà alcuna definizione.

Il termine, come spesso accade nell’ambito delle scienze sociali, non è né chiaramente

definito né vi è una definizione generalmente accettata ed inoltre il termine, a seconda delle

circostanze, ha differenti connotazioni.

Peraltro, sebbene sia eventualmente difficile determinare cosa siano le ONG, è possibile

specificare cosa non siano ad esempio: una ONG non si potrà costituire quale partito

politico in quanto non avrà scopo di lucro e sarà a fini non-violento.

Le ONG non sono nello specifico gruppi di precisione politica o di interessi; la loro

funzione è di mettere in contatto il mondo complesso e non-familiare del livello governativo

con il terreno familiare di gruppi economico e sociale esistenti o nascenti.

Le ONG creano beni pubblici dei quali i cittadini hanno necessità che abitualmente non si

trovano nel mercato orientato al profitto. Viene comunque accetto il fatto che le ONG creino

un terzo settore distinto e separato da quello degli affari e del governo. Questo fornisce

servizi sociali essenziali ed il profitto che si ricava è il progresso sociale.

Uno dei successi più importanti degli ultimi anni è stata la campagna di messa al bando

delle mine anti-uomo ove centinaia di ONG non sono confinate solo alle agende

governative; Nike per esempio è stata bersaglio a causa delle povere condizioni di lavoro

nelle proprie fabbriche asiatiche.

In breve, le ONG svolgono sempre più il ruolo vitale quali lobbiste ed attiviste a livello

societario, nazionale ed internazionale e talora il loro criticismo porta ad una revisione delle

politiche.

Le ONG giocano ruoli che vanno oltre l’attivismo politico; molte sono portatrici di servizi,

soprattutto nei PVS; alcune tra le più importanti ONG, quali CARE e MEDECINS SANS

FRONTIERES sono in primo luogo ONG umanitarie e di cura.

L’ottimismo successivo alla fine della Guerra Fredda ed alla prospettiva di un “dividendo

della pace”, seguito da un fiorire di conflitto etnico nazionalistico in Europa, Asia ed Africa,

61

che hanno causato catastrofi umanitarie di proporzioni inique, ribadisce il ruolo e

l’importanza dell’aiuto umanitario diventato ancor più cruciale oggigiorno.

Nel 1995, si è stimato che circa 14 milioni di persone fossero rifugiati e circa 23 milioni

“internally displaced”; ciò ha dato luogo ad una crescita delle attività delle ONG in questa

area. Nella maggior parte dei casi, le ONG hanno esposto più efficacemente a queste crisi

rispetto alle organizzazioni internazionali.

E’ stato sostenuto che per rendere l’operato delle ONG ancora più efficace, queste

dovrebbero pensare al di là delle sole azioni di sostegno e concettualizzare i loro interventi

cosicché le politiche di assistenza umanitaria siano finalizzate alla creazione di programmi

ed attività che (ri)portino pace.

Le ONG sono partners nello/allo sviluppo o dovrebbero esserlo, almeno quelle che operano

nei PVS; molte sono coinvolte in progetti di sviluppo, fornendo assistenza tecnica al fine di

migliorare la qualità di vita nelle zone rurali povere: attraverso la sempre maggior

partecipazione delle ONG nel disegnare, generare e attuare progetti, agiscono quali agenti al

fine di migliorare la qualità di vita delle fasce di popolazione più povere.

Le ONG tendono ad essere più sensibili ai bisogni ed alle aspirazioni delle comunità povere,

delle minoranze e delle donne.

Ci si aspetta che le ONG, attraverso un’attività di coordinamento appropriata al fine di

evitare una competizione disfunzionale, si facciano carico di molti dei compiti

convenzionali che spesso sono assunti dai governi e dalle agenzie specializzate delle NU.

Un caso esemplare è il fatto che in un’era nella quale si assiste ad una diminuzione degli

aiuti stranieri, l’ammontare degli aiuti canalizzati attraverso le ONG che operano nei PVS

stia aumentando.

Secondo la Banca Mondiale, oggi le ONG amministrano in Africa circa 3,5 bill U$D in aiuti

esterni, in confronto al 1 bill U$D nel 1990.

Questo, purtroppo, ha causato però, recentemente, casi di corruzione all’interno di alcune

ONG in Ghana; ciò nonostante, in Ghana, gli esempi di alcune ONG di successo sono

molteplici, soprattutto allorché la ONG dimostri come si possa essere attraverso la

pianificazione, implementazione e sostenibilità dei progetti che vengono attuati.

Secondo un working paper pubblicato dall’UNIDO nel 1997, “la forza delle ONG risiede

nella loro vicinanza ai propri appartenenti, nella flessibilità e nell’alto grado di

62

coinvolgimento della gente e di partecipazione nelle attività che comporta forte

coinvolgimento, appropriatezza di soluzioni ed un elevato tasso di accettazione delle

decisioni prese”.

Ad esempio, in Africa molti donatori vedono nelle ONG una componente importante del

processo di democratizzazione, riconoscono un ruolo di garante del rispetto dei diritti umani

e di buon governo.

E’ uno dei più grandi paradossi dei nostri tempi che la globalizzazione sia stata associata

con l’aumentare delle tensioni intra-statali ed abbia esacerbato una serie di preoccupazioni:

sull’ambiente, diritti del lavoro, diritti umani, diritti dei consumatori.

Le ONG hanno e giocano un ruolo importante nel mettere in luce ed indirizzare queste

preoccupazioni.

Attraverso il potere di internet, le ONG forniscono servizi di rete, creando coalizioni

attraverso reti di contatti, nazionali ed internazionali, che forniscono informazioni su

questioni di rilievo. Attraverso questi network, ci si organizza per protestare contro certe

politiche.

Le ONG si confrontano con la globalizzazione non solo attraverso dimostrazioni a livello

internazionale, ma anche locale, laddove le ONG stanno già sviluppando un numero di

strategie per aiutare i poveri a confrontarsi con la realtà della loro posizione sociale nel

mercato globale e nel giocare un ruolo creativo nel ridisegnare le forze economiche.

Il ruolo delle ONG, allo scopo di combattere la povertà, è stato e continua ad essere quello

tradizionale di sviluppare capacità educando, dar vita ad istituzioni, incrementare l’accesso

al credito (microcredito) ed a opportunità economiche, mettendo in contatto differenti livelli

e settori dell’economia.

In secondo luogo, le ONG possono convertire forze di mercato a vantaggio dei gruppi più

poveri, riducendo i costi di internazionalizzazione: esempio ne è il tentativo delle ONG in

Sud Africa di lavorare con le associazioni comunitarie al fine di aiutarle ad ottenere migliori

condizioni nell’ambito del commercio e del turismo, eliminando il ruolo degli intermediari.

Nell’ambito delle relazioni internazionali, gli studenti oggi parlano delle ONG quali attori

non statali, (una categoria che peraltro include anche le corporation trans-nazionali): questo

termine suggerisce che stia sempre più emergendo l’influenza delle ONG sull’arena politica

internazionale, ove, prima, erano gli Stati a ricoprire un ruolo significativo.

63

Il passato Segretario Generale delle N.U., Kofi Annan, ha definito le ONG “la coscienza

dell’umanità e le ONG tecniche sono state consultate su questioni rilevanti dalla Banca

Mondiale e da altre agenzie delle NU prima che certe politiche fossero implementate."

E’ certo che il ruolo delle ONG crescerà con lo sviluppo di una governance globale più

pluralistica e meno confinante a sistemi basati sullo Stato sovrano.

Globalizzazione

Oggi la globalizzazione è messa in discussione ovunque nel mondo. Vi è insoddisfazione

per ciò che rappresenta e forse giustamente.

La globalizzazione può essere una forza portatrice di buoni risultati; la globalizzazione delle

idee di democrazie e di come vada interpretata l’idea di società civile hanno cambiato il

modo in cui la gente pensa, mentre i movimenti politici globali hanno spinto i governi a

ridurre i debiti dei paesi in via di sviluppo ed a negoziare un trattato contro le mine anti-

uomo.

La globalizzazione ha aiutato centinaia di milioni di persone a poter raggiungere migliori

standard di qualità di vita, al di là di quanto gli stessi popoli, o molti economisti, pensassero

fosse possibile solo poco tempo addietro.

La globalizzazione dell’economia ha avvantaggiato nazioni che ne hanno tratto beneficio,

andando alla ricerca di nuovi mercati ove esportare i propri prodotti ed attirando

investimenti esteri.

Le nazioni che ne hanno beneficiato maggiormente sono quelle che hanno preso in mano il

proprio destino, e riconosciuto il ruolo che il governo può avere nel processo di sviluppo più

che fare solo affidamento sulla capacità di un mercato di auto-regolamentarsi risolvendo i

propri problemi.

Ma per milioni di persone la globalizzazione non ha funzionato. Molti hanno visto

peggiorare la propria condizione, assistendo alla distruzione dei posti di lavoro e andando

incontro ad esistenze meno sicure.

Si sono scoperti meno forti di fronte a forze al di la del loro controllo. Hanno visto le loro

democrazie minacciate, le loro culture erose.

Se la globalizzazione continua ad essere portata avanti come si è fatto nel passato, se non si

impara dai propri errori la globalizzazione non solo non riuscirà a promuovere lo sviluppo

64

ma continuerà a creare povertà ed instabilità. Senza una riforma, lo scontento che sta

montando contro la globalizzazione continuerà a crescere.

Se gli interessi finanziari hanno dominato il modo di pensare al FMI (Fondo Monetario

Internazionale), gli interessi commerciali hanno avuto un ruolo ugualmente dominante

presso il WTO.

Così come il FMI da poca rilevanza alle richieste dei poveri – ci sono miliardi a

disposizione per prestiti alle banche, ma non ci sono fondi per gli aiuti alimentari per coloro

che sono stati esclusi dal mondo del lavoro, quali risultato dei programmi del FMI – il WTO

mette il commercio sopra ogni altra considerazione.

Gli ambientalisti che cercano di proibire l’importazione di beni prodotti usando tecnologie

che danneggiano l’ambiente con la distruzione di specie in via di estinzione, o elettricità

prodotta da generatori che inquinano l’aria – si sentono dire che non possono comportarsi in

questo modo, si tratta di interferenze sul libero mercato.

Mentre le istituzioni sembrano perseguire soprattutto interessi commerciali e finanziari, non

riescono a vedere se non tutto questo e credono sinceramente che l’agenda che perseguono

sia nell’interesse generale.

A dispetto dell’evidenza del contrario molti ministri del commercio, delle finanze ed anche

alcuni leader politici, ritengono che ognuno alla fine trarrà beneficio dalla liberalizzazione

del commercio e del mercato dei capitali.

Molti ritengono e credono in tutto ciò così fortemente che spingono le nazioni ad accettare

queste riforme con ogni mezzo, anche se si tratta di riforme impopolari.

La grande sfida non sta però solo nel cambiare il modo di pensare ed agire delle istituzioni:

preoccuparsi dell’ambiente, assicurarsi che i poveri possano esprimere la loro opinione

quando si adottano provvedimenti che li riguardano, promuovere la democrazia ed un

commercio equo, sono tutte azioni necessari se si vogliono raggiungere i potenziali benefici

della globalizzazione.

Il problema è che le istituzioni devono tener conto e riflettere le aspettative di coloro verso i

quali sono responsabili.

65

Il tipico banchiere centrale inizia la giornata lavorativa preoccupandosi delle statistiche

sull’inflazione, non di quelle sulla povertà; il ministro del commercio si preoccupa dei

numeri dell’export, non degli indici di inquinamento.

Il modo di agire di coloro che operano nelle istituzioni deve cambiare e chi opera nelle

istituzioni deve rendere conto direttamente a coloro che rappresenta.

La questione dei diritti di voto e chi possa sedersi al tavolo – anche con limitazione del

diritto di voto – conta. Determina il potere definire le voci di chi sono espresse.

Il FMI non si preoccupa solo di questioni tecniche e di accordi tecnici tra banchieri, le

azioni del FMI impattano sulle vite ed i modi di vivere di miliardi di persone nel mondo in

via di sviluppo; ciò nonostante queste persone non hanno diritto di parola.

La governance a livello del WTO è più complessa. Così come il FMI è l’arena ove vengono

ascoltati i ministri delle finanze, presso il WTO, vi sono i ministri del commercio.

Nessuna sorpresa che allora si presti poca attenzione alle questioni ambientali. Mentre gli

accordi di voto fanno si che presso il FMI i paesi ricchi dominino, presso il WTO ogni paesi

esprime un singolo voto e le decisioni sono perlopiù consensuali. Ma in pratica, negli anni

passati, US, Europa e Giappone hanno dominato.

Il cambiamento più importante richiesto per far si che la globalizzazione funzioni nel modo

in cui dovrebbe, riguarda la governance.

Al di là di una modifica delle regole di governance, il modo più rilevante per assicurarsi che

le istituzioni internazionali siano più reattive alle istanze dei poveri, ai bisogni

dell’ambiente, alle più ampie preoccupazioni politiche e sociali è aumentare la trasparenza e

l’apertura verso l’esterno.

Oggi diamo per scontato l’importanza del ruolo che una stampa libera ed informata ha nel

“sorvegliare” i comportamenti dei nostri governi eletti democraticamente.

La trasparenza è ancora più importante in organizzazioni quali il FMI, la Banca Mondiale e

il WTO, poiché i loro leaders non sono eletti direttamente.

Sebbene siano istituzioni pubbliche, non devono rendere conto direttamente al pubblico. E

mentre ciò dovrebbe comportare che queste istituzioni siano ancora più aperte, esse incede

sono ancora meno trasparenti.

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Non è facile cambiare il modo di fare, le burocrazie, come le persone, possono assumere

cattive abitudini e cambiare può essere difficile.

Ma le istituzioni internazionali devono fare anche cambiamenti che sembrano impossibili

per potere svolgere quel ruolo che devono anche per far si che la globalizzazione possa

funzionare e funzionare non solo per i paesi industrializzati ma anche per le nazioni povere

ed in via di sviluppo.

Il mondo sviluppato ha bisogno di fare la propria parte per riformare le istituzioni

internazionali che governano la globalizzazione.

Noi abbiamo creato queste istituzioni e dobbiamo ora aggiustarle. Se saremo capaci di

rispondere alle giuste preoccupazioni di coloro che hanno espresso insoddisfazione verso la

globalizzazione, se faremo si che la globalizzazione sia vista come qualcosa di positivo per i

miliardi di persone che non la vedono così, se la globalizzazione assumerà un volto umano,

allora la globalizzazione avrà vinto.