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Anno 108 - n. 3 - Marzo 2017 1957 – 2017. Nel 60° dei Trattati di Roma Una svolta per l’Europa federale? Censis: l’emozione come essenza del Made in Italy

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1957 – 2017. Nel 60° dei Trattati di Roma

Una svolta per l’Europa federale?Censis: l’emozione come essenza del Made in Italy

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EditoreCamera di CommercioItaliana per la Svizzera

Direttore - GIANGI CRETTI

CollaboratoriC. BIANCHI PORRO, G. CANTONI, M. CARACCIOLO DI BRIENZA, V. CESARI LUSSO, M. CIPOLLONE, P. COMUZZI, D. COSENTINO, A. CROSTI, L. D’ALESSANDRO, F. DOZIO, M. FORMENTI, F. FRANCESCHINI, P. FUSO, T. GAUDIMONTE, R. GEISER, T. GATANI, G. GUERRA, M. LENTO, R. LETTIERI, F. MACRÌ, G. MERZ, A. ORSI, V. PANSA, C. RINALDI, G. SORGE, N. TANZI, I. WEDEL

La RivistaRedazione e Pubblicità Vittorio BIANCHI, Andrea LOTTI Seestrasse 123 - Cas. post. 1836 8027 Zurigo Tel. ++41(0)44 289 23 19 Fax ++41(0)44 201 53 57 e-mail: [email protected], [email protected] www.ccis.ch

Abbonamento annuoFr. 60.- Estero: 50 euroGratuito per i soci CCISLe opinioni espresse negli articoli non impegnano la CCIS. La riproduzione degli articoli è consentita con la citazione della fonte.Periodico iscritto all’USPI(Unione Stampa Periodica Italiana). Aderente alla FUSIE (Federazione Unitaria Stampa Italiana all’Estero)Appare 11 volte l’anno.

Progetto graficoCMSGRAPHICS83048 – Montella (Av) – [email protected] De StefanoEmanuela BurliGianni Capone

Stampa e confezioneNastro & Nastro srl21010 Germignaga (Va) - ItalyTel. +39 0332 531463Fax +39 0332 510715www.nastroenastro.it

Non sembri irriverente (per chi?), prendere a prestito, addome-sticandolo, un brano di Giorgio Gaber, per introdurre una bre-ve riflessione su un tema capa-ce (un tempo?) di dare forma e corpo alla speranza di un futuro migliore; almeno per una parte dell’umanità. Nata, da chi l’ha pensata e poi, nei decenni, seppur solo in parte, rea-lizzata, come idea forte (idea-for-za?), è andata via via alimentando la percezione che non solo non sia più forte, ma anche che non sia neppure più un’idea. D’altron-de, chi mai l’avesse davvero ‘man-giata’ è morto e sepolto. Oggi, nel migliore dei casi, se ne parla con frettoloso disincanto e impotente imbarazzo (imbaraz-zata impotenza?). Sempre più spesso con crescente furore ico-noclasta, accreditandola nel ruolo di madre di tutti i nostri malanni economici e sociali. L’idea, dalla quale neppure vo-lendo possiamo fare astrazione, è quella dell’Europa unita, che a lungo ci si è illusi potesse coinci-dere con l’Unione europea. Che fatica ad essere economica, che non è mai stata politica, pertanto impossibile possa ritenersi sociale. Eppure, conveniamone: uno sguardo oltre i suoi confini geo-grafici dovrebbe indurci a pensa-re che da qualche generazione a questa parte è un’isola felice. Che per decenni ha garantito la pace e diffuso benessere. Dove la con-vivenza - per sua natura sorretta da un equilibrio, che il marketing

non esiterebbe a celebrare come best practice di modello win-win – si è consolidata sul rispetto, la solidarietà e la tolleranza. Evidentemente, non basta. In un momento in cui ci si accinge a celebrare il suo concepimento, i concetti che lo hanno determina-to, per quanto avvolti in un’aurea di nobiltà, sembrerebbero oggi evocati soprattutto da chi finisca, suo malgrado, per indulgere in una professione di ingenuità. Sic-come buona parte di noi, al pari di Totò, ritiene che “cca nisciuno è fesso”, eccoci pronti a dichiarar-ci, d’istinto, distanti e distinti. Da cosa? Ciascuno, in ossequio alle proprie granitiche convinzio-ni, da chi, talvolta non solo nella propria mente, vagheggia chiusu-re, scava trincee, costruisce muri, rispolvera - ovviamente senza averla, per sua fortuna, mai cono-sciuta - l’autarchia. Ma, di conver-so, anche da chi teorizza apertu-re (“ma non del mio giardino”), propugna l’accoglienza, censura le frontiere, aborrisce le barriere. Uno scenario nel quale torna-no, minacciosi, ad inseguirsi gli “ismi”. Dotati di una forte conno-tazione negativa; nei quali - an-che se non d’istinto, puntualmen-te e di nuovo distinti e distanti- ci ritroviamo: populisti, nazionalisti, buonisti. Gli uni contro gli altri di ragioni (per ora) armati. Pretesto per le elucubrazioni dei divagatori del vuoto pneumatico, costantemente tesi e spiegarci le nostre idee. Va da sé, senza farcele capire.

“Un’idea, un concetto, un’idea: finché resta un’idea è soltanto un’astrazione. Se potessi mangiare un’idea avrei fatto la mia rivoluzione”.

EDITORIALE

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Sommario

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PRIMO PIANO

INCONTRI

CULTURA

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La «stanza scura» del protezionismo non si addice all’Italia

CENSIS: l’emozione come essenza del Made in Italy

Immobiliare: tedeschi e americani acquistano in Italia

Immobili di lusso: Italia al quarto posto per numero di richieste

Agroalimentare, record per l’export italiano: +4% nel 2016

1957 – 2017. Nel 60° dei Trattati di Roma Una svolta per l’Europa federale?

«I sacrifici sono spesso ripagati da meravigliose soddisfazioni»Donne in carriera: Simonetta Montaguti

Incontro con Anna Canonica Sawina Insegnante, collezionista di lauree, amante dell’arte, studiosa del linguaggio della moda

La Svizzera dalla Mediazione napoleonica alla RestaurazioneDalla Svizzera degli Stati a quella federale

Pirandello tra presenza e assenza. Per la mappatura internazionale di un fenomeno culturale16-18 Marzo: Convegno a Zurigo in occasione del 150° anniversario della nascita

Uno sguardo diverso sul mondo che ci circondaLudwig Hohl e Hanny Fries

Semplicemente Monet Il pittore che seppe toccare l’intangibileFino al 28 maggio alla Fondazione Beyeler

Facciamo il punto sull’italiano nei licei svizzeriA colloquio con il Presidente dell’ASPI Donato Sperduto

A Mons la 33° edizione del Festival del film d’amore

Open Doors 2016 – 2018 Continua il percorso di scoperta dell’Asia meridionale con un nuovo focus per il 2017

L’immagine e la parola: un weekend nell’universo di Edoardo Albinati

Signs of Life diventa competitiva e First Look festeggia il 100° anniversario del cinema Baltico

Edoardo Bennato in concerto a Zurigo

Ezio Bosso al KK di Lucerna il 30 marzo

Editoriale

Sommario

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Sommario

L’elefante invisibile437 In breve

Di lavoro e dintorni

Burocratiche

Cultura d’impresa

Internazionali

Europee

Elvetiche

Italiche

IL MONDO IN CAMERA

Le Rubriche

In copertina : Il ratto di Europa, olio su tela di Maarten de Vos, 1590

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Per chi suona il campanello

Benchmark

Scaffale

Sequenze

Diapason

Convivio

La dieta rivista

Starbene

Motori

Angolo Fiscale

Angolo legale Svizzera

Convenzioni Internazionali

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“Bella Italia” al centro commerciale Balexert di Ginevra Ginevra riparte Ginevra: riparte il Corso di sommelier

Aperitivo italo-svizzero al Salone dell’Auto

TASTE OF ITALY Food edition

Riccardo Luna all’università di Ginevra

L’Italia con gusto a Carouge

Italy at CERN, 4-7 aprile

Vinitaly 2017: proposte per buyer ed espositori

Contatti Commerciali

Benvenuto ai nuovi soci

Servizi Camerali

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DOLCE VITA

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“Stati Uniti d’America - scoprire il meglio da Ovest”St. Moritz Gourmet Festival 2017

A molti piace cotto Quell’affettato buono per tutte le stagioni

Debutta a Ginevra la Ferrari 812 Superfast

Pirelli al Salone di Ginevra 2017

Fittipaldi EF7 Vision Gran Turismo by Pininfarina

Il giro del mondo con una Tipo di serie in 133 giorni

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6 - La Rivista marzo 2017

stesso mese del 2015. Ancora una vol-ta la crescita è maggiore di quella del mercato pari al 10,1%. La quota sale dal 6,6 al 7%. Tra i brand del gruppo sono in crescita Alfa Romeo (+31,4%), Fiat (+17,3%) e Lancia Chrysler (+2,5%) mentre è in calo Jeep (-5,6%). Fca ottie-ne ancora una volta un risultato in Euro-pa (+15,2%) migliore di quello del mer-cato (+10,1%), con la quota che sale al 7% dal 6,6% di un anno fa. Oltre alla crescita in Italia (+12,7%), ha registrato risultati positivi in quasi tutti i principali Paesi europei: in Germania +22,7%, in Francia +19% e in Spagna +32,2%. Lo sottolinea l’azienda in una nota. Con una quota insieme del 31,6%, Panda e 500 confermano la leadership di lunga data nel segmento A. La 500L è la più venduta del suo segmento con quasi il 22% di quota, mentre 500X e Renegade, stabilmente nelle posizioni di vertice del segmento, insieme hanno una quota del 12,1%. Continua la crescita della Tipo: nelle primissime posizioni di vendita in Italia, cresce anche in Europa. L’”effetto Giulia” continua a contribuire ai risultati di Alfa Romeo: a gennaio le immatrico-lazioni sono state 6 mila, il 31,4% in più dell’anno scorso. Risultati positivi per il marchio in Italia (+27,2%), in Germania (+48,4%), in Francia (+2,4%) e in Spa-gna (+58,6%).

pensano che la maggior parte dei fre-quentatori siano adulti, il 50% del no-stro pubblico ha meno di 35 anni. E il 25% sono donne”, ha aggiunto, fornen-do poi alcuni numeri di particolare in-teresse per gli espositori. “Il 20% di chi è stato intervistato ha detto di voler ac-quistare una macchina nuova nell’an-no della loro visita, mentre il 24% dei visitatori ha ammesso di averlo pianifi-cato per l’anno successivo”. Nel 2017 per la prima volta sarà or-ganizzata un’esposizione per i tecnici specializzati Nell foto: Maurice Turrettini, presidente del

Salone dell’Auto di Ginevra (foto Olycom)Parte bene il mercato europeo dell’au-to. Nel mese di gennaio le immatrico-lazioni nei 28 Paesi Ue più quelli Efta sono state 1.203.958, il 10,1% in più dello stesso mese del 2015. I dati sono dell’Acea, l’associazione dei costruttori europei. Il gruppo Fca continua a correre in Europa. A gennaio le immatricolazio-ni del gruppo nei 28 Paesi Ue più Efta sono state 83.780, il 15,2% in più dello

Ci aspettiamo 700mila visitatori, dice il presidente Turrettini. Il 50% del nostro pubblico ha meno di 35 anni; il 6,4% viene dall’Italia “Tecnologia e design sono i due con-cetti chiave che caratterizzano al me-glio il Salone dell’auto di Ginevra e che suscitano molto interesse da parte dei circa 700 mila visitatori che attendia-mo”. Ad affermarlo Maurice Turrettini, presidente della manifestazione, giunta quest’anno all’87esima edizione. L’e-vento aprirà ufficialmente le sue porte al pubblico dal 9 al 19 marzo, ma la partenza ufficiale sarà il 6 marzo con l’assegnazione del premio ‘Car of the Year’. Nelle due giornate successive, riserva-te alla stampa, si troveranno circa 900 modelli di auto, dei quali 148 sono in anteprima mondiale ed europea, pro-posti dai 180 espositori presenti. “Il 6,4% dei visitatori complessivi del motor show provengono dall’Italia”, ha spiegato Turrettini durante la presenta-zione all’hotel Gallia di Milano, sottoli-neando come il dato tenda a crescere di anno in anno. “Al contrario di quanti

In programma dal 9 al 19 marzo il Salone dell’Auto di Ginevra

Auto: parte bene mercato Europa, +10,1% a gennaio. Fca vola

In Breve

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marzo 2017 La Rivista - 7

Dal bilancio della cultura “tornato dopo otto anni sopra i due miliardi di euro”, all’Art Bonus “stabilizzato e reso perma-nente”, dalla rivoluzione dei musei, con l’arrivo dei direttori manager al concorso-ne per 500 nuove assunzioni, fino al lan-cio di iniziative come la Capitale italiana della cultura e le domeniche gratuite, il re-cord di ingressi e di incassi registrato dai musei statali nel 2016. A tre anni dal suo insediamento, il ministro di beni culturali e turismo Dario Franceschini tira le som-me del suo mandato e nel documento 3 anni di Governo per la Cultura e il Turismo, disponibile sul sito del Mibact, propone la ricognizione dettagliata con le principali azioni svolte in questo periodo. “Non è solo un elenco, ma un primo tas-sello di una sfida più grande che dobbia-mo affrontare come sistema Paese”, ha commentato Franceschini, definendo la cultura “una chiave per costruire il futuro, una direzione possibile verso la quale c’è ancora molto da lavorare”. Un concetto questo della centralità del settore per la crescita del nostro Paese che Franceschini aveva già espresso al momento della sua nomina. “Per troppi

anni il ministero della Cultura è stato un ministero bistrattato”, aveva detto al ter-mine della cerimonia di giuramento, “e questo governo ha scelto di renderlo cen-trale. È il più importante ministero econo-mico del nostro Paese”.

Alla fine del 2016, in Svizzera si contava-no in totale 318.500 frontalieri di nazio-nalità straniera, il 64,4% dei quali uomini e il 35,6% donne. Dalla fine del 2015 alla fine del 2016, il loro numero è salito di 11.300 unità, ovvero del 3,7%. Questo dato corrisponde a quello dell’anno pre-cedente e al contempo corrisponde all’in-cremento annuo più basso dal 2010. È quanto emerge dai risultati della stati-stica dei frontalieri effettuata a cadenza trimestrale dall’Ufficio federale di statisti-ca (UST). In Ticino c’è la quota più elevata rispetto al totale degli occupati: sono attualmen-te 64.327, in netto aumento rispetto al 2015 (62.470) e anche al 2014 (erano allora 63.071). A livello nazionale, poco più della metà (54,9%) era domiciliata in Francia, circa un quarto (22,6%) in Italia e un quinto (19,3%) in Germania. In Ticino si osserva la quota di frontalieri (27,1%) più elevata rispetto al totale degli occupati. In generale, nell’arco di cinque anni, il nu-mero di frontalieri è passato da 251.700

unità nel 2011 a 318.500 nel 2016, con un aumento del 26,6%. La progressio-ne presso gli uomini (+26,4%) è stata analoga a quella delle donne (+26,8%). Nello stesso periodo, secondo i risultati della statistica delle persone occupate, il numero di occupati è passato da 4,713 milioni a 5,081 milioni (+7,8%). Alla fine del 2016 la maggior parte dei frontalieri lavorava nel settore dei servizi (65,4%), il 34,0% nel secondario e solo lo 0,6% nel settore primario. I rami eco-nomici «Attività manifatturiere» (25,8%, settore secondario) e «commercio all’in-grosso e al dettaglio; riparazione di auto-veicoli e motocicli» (14,7%, settore terzia-rio) raggruppavano, insieme, oltre il 40% di tutti i frontalieri. Rispetto al totale degli occupati in Svizzera, la quota di frontalieri si attestava al 6,3%. Nel settore seconda-rio, un occupato su dieci era frontaliere (10,1%), nel settore terziario una perso-na su venti (5,4%); nel settore primario tale quota era pari all’1,2%. Alla fine dello scorso anno, quattro quinti di tutti i frontalieri di nazionalità stranie-ra erano di età compresa tra i 25 e i 54 anni (82,4%). La quota di frontalieri gio-vani (15-24 anni) corrispondeva al 4,7%, quella dei frontalieri più anziani (55 anni e oltre) al 13,0%. Mentre nell’arco di cin-que anni la quota di frontalieri giovani è diminuita (-1,6 punti percentuali), quel-la relativa ai frontalieri di 55 anni e più ha registrato un incremento (+2,4 punti percentuali). Le tendenze osservate per queste due fasce d’età sono constatabili anche per il totale degli occupati.

Mai così tanti frontalieri in Svizzera

La cultura è una sfida per il Paese, una chiave per costruire il futuroDario Franceschini traccia il bilancio dei suoi primi tre anni al Ministero dei Beni Culturali

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marzo 2017 La Rivista - 9

BRAVO A TE!

CENA IN FAMIGLIA?

È da rilevare tuttavia che un forte impulso a favore della crescita dell’avanzo è venuto an-che grazie al calo del valore delle importazioni, a motivo del ribasso delle materie prime e dei valori energetici, dato che le importazioni del 2011 avevano superato i 400 miliardi di euro, mentre lo scorso anno si sono situate a 365 miliardi. In sostanza, l’export ha raggiun-to un tetto di 417 miliardi di euro nel 2016 (412 l’anno precedente) un risultato tuttavia rimarchevole se si pensa per esempio che negli ultimi tre anni è diminuito l’export verso la Russia di circa 5 miliardi a causa delle sanzioni che termineranno nel luglio di quest’anno 2017. Non sorprendono dunque i dati positivi che l’OCSE ha riconosciuto all’Italia nello studio dedicato qualche settimana fa con un incremento del Pil dello 0,9% lo scorso anno e stime marginali di crescita sia per il 2017 che per il 2018. L’economia italiana, spiega l’Or-ganizzazione dei Paesi industrializzati nel suo ultimo rapporto, è dunque in via di ripresa, dopo una lunga e profonda recessione. Va comunque notato, aggiunge l’Organizzazione, che la ripresa rimane tuttavia debole ed è pertanto necessario investire maggiormente nelle infrastrutture al fine di sostenerla. Perché questi avvertimenti? Bastano due considerazioni. In primo luogo l’aggiustamento dei conti è in parte conseguente al diminuito costo del denaro a seguito della politica monetaria della BCE. Tra il 2012 e il 2016, per esempio, la spesa per interessi sul debito pubblico è passata dal 5,2% ad una stima del 4,0% del Pil. In secondo luogo, il basso li-vello degli investimenti ha frenato la crescita delle importazioni. In sostanza, spiega l’Ocse, se la ripresa successiva alla precedenti crisi del dopoguerra era stimolata da un boom delle esportazioni (a motivo della svalutazione della moneta), oggi con l’euro non si può più fare affidamento su una svalutazione dei tassi di cambio. Anzi, il livello degli investimenti è oggi in Italia pari solo al 70% di quanto registrato al picco che ha preceduto l’ultima crisi e gli investimenti pubblici sono calati ad un livello di poco superiore al 2% del Pil (il livello più basso da oltre 25 anni). Insomma, rammenta l’Ocse, la politica italiana deve ritrovarsi in un delicato equilibrio tra il risanamento dei conti pubblici e il sostegno ad una ripresa economica che ancora incerta e titubante. Bisogna dunque puntare su questo fattore, avverte, perché investimenti pubblici efficaci favoriranno la crescita e, parallelamente, con-tribuiranno a ridurre il livello del debito. Un altro suggerimento Ocse è di puntare ad un efficace contrasto all’evasione fiscale. Infatti, oggi in Italia il livello di imposte arretrate è ancora elevatissimo. Nel settembre del 2015, il totale delle imposte arretrate era infatti pari ad oltre 750 miliardi di euro, una somma pres-soché equivalente al gettito fiscale annuo delle amministrazioni pubbliche. Il gettito IVA è inferiore a quanto dovrebbe essere. Quando poi si arriva agli accertamenti d’imposte, essi risultano spesso inesigibili. Un miglioramento dell’esazione delle imposte e Iva apporterebbe un netto incremento degli introiti e consentirebbe di ridurre gli oneri sociali senza incidere sul gettito. Se si incrementasse il gettito IVA migliorando il sistema di riscossione fino alla media dei Paesi Ocse, aumenterebbero le entrate di circa 45 miliardi di euro. Infine, si precisa che i coefficienti patrimoniali delle banche italiane sono superiori agli standard normativi. Ma, per altri aspetti, gli istituti bancari presentano numerose vulne-rabilità rispetto a quelli degli altri Paesi a motivo di un ingente stock di crediti deteriorati.

Lo scorso anno il surplus della bilancia com-

merciale italiana ha superato i 50

miliardi di euro e ha realizzato così un record storico,

col valore più alto da 25 anni a questa parte,

quando sono iniziate le serie

storiche dell’Istat. Per la precisione, rispetto all’avan-

zo di 41,8 miliardi del 2015, nel

2016 il surplus è stato pari a 51,6

miliardi.

Avvertimenti

di Corrado Bianchi PorroItaliche

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Nella ricca Svizzera ci sono molti poveri. Le stime ufficiali rivelano che circa 530 mila persone sono povere. 123 mila di queste lavorano, quindi significa che non ricevono un salario suffi-ciente per vivere. La “scoperta” di questa piaga in Svizzera è abbastanza recente: la prima conferenza nazionale sulla povertà organizzata nella Confederazione risale al 2003. Solo nel 2010 il Consiglio federale ha definito “la strategia nazionale di lotta alla povertà”. Non si muore di fame, ma le file davanti ai negozi (Caritas, Tavolino magico, ecc.) che regalano cibi e beni di prima necessità sono sempre più lunghe. Non si dorme per strada, ma coloro che sopravvivono senza alloggio o risiedono in condizioni precarie sono una realtà. Inoltre, la nostra società deve fare i conti con un mondo del lavoro che si va precarizzando: disoccupazione, dumping salariale, tempi parziali imposti, stage non pagati. Si riduce il diritto all’indennità di disoccupazione e aumenta il numero delle persone che bene-ficiano dell’assistenza. La Conferenza svizzera delle istituzioni dell’azione sociale (COSAS) stabilisce che la soglia di povertà si situa a 2’219 franchi mensili per persona sola e a 4’031 per un’economia domestica composta da due adulti e due figli. “La povertà – precisa l’Ufficio federale delle assicurazioni sociali - è commisurata anche al tenore di vita della società, ragion per cui occorre considerare pure i bisogni che vanno oltre quelli materiali. Essa interessa tutti gli ambiti della vita, con conseguenze anche sulle prospet-tive di formazione, sulla salute e sulla sicurezza; spesso causa anche l’esclusione dalla vita sociale e l’isolamento”. A fine gennaio Caritas svizzera ha dedicato il Forum 2017 al diritto del lavoro, per mettere a fuoco i cambiamenti in corso: “La Svizzera – scrive Caritas – sta vivendo una profonda mutazione strutturale. Il progresso tecnologico fa scomparire posti di lavoro. Interi settori sono delocalizzati; ne nascono di nuovi, che però impongono maggiori sforzi ai dipendenti. Questa evoluzione ac-celerata aumenta il rischio di disoccupazione, di precarietà, di bassi salari. Tutto ciò non solo col-pisce le condizioni di vita dei lavoratori, ma provoca una disintegrazione della coesione sociale”. Cosa fa la lo Stato per contrastare questa tendenza? In Svizzera, negli ultimi anni, si assiste a una contrazione delle politiche sociali. Lo stato sociale, il welfare, che negli anni del secondo dopoguerra è riuscito a garantire una sicurezza anche alle classi più povere si è indebolito. Gli aiuti e i sussidi diminuiscono e si assiste alla riduzione delle prestazioni. La Caritas svizzera ha lanciato un appello contro lo “smantellamento sociale” inviando una let-tera al Consigliere federale Alain Berset: “le misure di risparmio dei cantoni e dei comuni hanno determinato in molti cantoni una riduzione delle prestazioni sociali, per esempio nei sussidi di cassa malati. L’aiuto sociale ha subito una flessione. Il risanamento delle finanze statali non può essere fatto sulle spalle dei poveri, è inconcepibile. Ed è noto che i poveri non possono beneficia-re delle riduzioni d’imposte decise in molte regioni”. La Confederazione, assieme ai Cantoni e ai Comuni, ha lanciato nel 2014 il “Programma nazio-nale di prevenzione e di lotta alla povertà”, che si sviluppa su diversi settori d’intervento: miglio-rare le condizioni di educazione e di formazione, integrazione professionale e sociale, aiuto alle famiglie, facilitare l’accesso all’alloggio. Da una parte si lancia una campagna contro la povertà, dall’altra le politiche di risparmio della Confederazione e dei Cantoni penalizzano la socialità. La ricca Svizzera non può più nascondere la povertà che colpisce una parte dei suoi cittadini, ma le risposte per superare questa piaga sono contradditorie.

Povera Svizzera

di Fabio DozioElvetiche

La Confedera-zione rilancia il Programma

nazionale di pre-venzione e lotta alla povertà, ma

parallelamente si mettono in pra-tica politiche di

smantellamento dello stato sociale.

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marzo 2017 La Rivista - 13

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Nonostante le resistenze del Ministro alla richiesta formulata dalla Commissione di un aggi-ustamento dello 0,2% di Pil alla spesa prevista – una correzione pari a 3,4 miliardi di euro, - la risposta ora va incontro a Bruxelles che, ben consapevole dei pericoli legati alla nostra endem-ica instabilità politica, aveva sollecitato un percorso scritto e ben definito, anche a memoria di futuri governi, non accontentandosi del generico impegno assicurato da Padoan in vista del varo dal Documento di Economia e Finanza del prossimo aprile. La “manovrina correttiva” in preparazione per inizio primavera potrebbe infatti essere varata anche prima, preceduta da un ritocco sulle accise di carburanti e tabacchi e tagli alla spesa, segnala il Ministro, che vuole met-tere al riparo anche il minimo accenno di ripresa economica anticipando che tale correzione non comporterà l’introduzione di nuove tasse ma più lotta all’evasione fiscale.Toni concilianti sono stati usati da Moscovici nel corso della presentazione delle previsioni economiche invernali anche in merito alla possibile apertura di una procedura di infrazione nei confronti dell’Italia per debito eccessivo. “Stabile e modesta” viene definita la crescita della nostra economia, la cui stima per il 2017 è annunciata dello 0,9% e dell’1,1% nel 2018, mentre il 2016 si chiude con un leggero rialzo (+0,9%, rispetto allo 0,7% inizialmente previs-to). Positivo l’incremento della domanda esterna, ma permangono rischi al ribasso a causa di “incertezza politica e lento aggiustamento del settore bancario”.L’Italia resta, dunque, il fanalino d’Europa, unico Paese della zona euro a registrare un aumen-to del Pil inferiore all’1%, mentre la crescita media è dell’1,6% (eurozona) e dell’1,8% (Ue). Allarme rosso poi per la disoccupazione, che in Italia è ancora troppo alta – 11%, - anche se questa volta Spagna e Grecia stanno peggio. “Ad avvolgere queste previsioni d’inverno è un grado di incertezza particolarmente elevato – ammette Moscovici - dovuto alle intenzioni ancora poco chiare della nuva amministrazione statunitense in alcuni settori strategici fonda-mentali, come pure alle numerose elezioni che si terranno in Europa quest’anno e ai prossimi negoziati con il Regno Unito” conseguenti alla Brexit.Si temono gli effetti delle spinte al protezionismo abbracciate convintamente dal nuovo pres-idente americano, Donald Trump, e le ripercussioni del “populismo anti-europeo”, che lo stesso Trump alimenta quando afferma il vantaggio di posizione acquisito dalla Germania gra-zie all’attuale valore dell’euro, giudicato più debole di quello reale e dunque eccessivamente favorevole alle esportazione tedesche (ed è vero che la Germania ha chiuso il 2016 con un surplus commerciale da record, di 253 miliardi di euro, e che esporta negli Usa 114 miliardi di dollari di merci, importandone un valore pari a 49 miliardi). La cancelliera Angela Merkel ha però chiarito come la politica monetaria della Bce sia indipendente e, a onor del vero, la prosecuzione del programma di quantitative easing assicurata solo alcune settimana fa dal governatore Mario Draghi, non è caldeggiata da parte tedesca che ritiene il target inflattivo dell’eurozona ormai quasi raggiunto.“Non stiamo operando alcuna manipolazione dei cambi”; “l’unione monetaria europea è un processo da cui non si può tornare indietro, non è affatto chiaro come potrebbe funzionare un’Europa a doppia velocità”: queste le affermazioni con cui lo stesso Draghi ha inteso resti-tuire un po’ di razionalità al dibattito in corso. Un tentativo che appare però al momento assai poco riuscito.

Il peso del populismo sulle previsioni d’inverno

di Viviana PansaEuropee

Il Commissario agli Affari econo-mici dell’Unione Europea, Pierre

Moscovici, precisa che “nessun ulti-

matum” è stato ri-volto all’Italia dalla

Commissione, ma che è in corso

“una discussione costruttiva” con il ministro dell’Eco-nomia, Pier Carlo

Padoan, in merito al percorso per

la riduzione del debito chiesta al

governo italiano, una volta superata l’incertezza dovuta

al passaggio po-litico del referen-

dum sulle riforme costituzionali.

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abQuesto documento e le informazioni in esso contenute sono fornite esclusivamente a scopi informativi. © UBS 2017. Tutti i diritti riservati.

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marzo 2017 La Rivista - 15ab

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L’attacco continuo ai giornalisti ricorda il Movimento Cinque Stelle. Andreotti non querelò mai nessuno e rispondeva con arguzia alle domande oltre ad essere lui stesso un giornalista. Oggi i potenti che attaccano la stampa hanno un che di fastidioso, pur avendo sovente ragione di lamentarsi della copertura mediatica che viene loro dedicata. Ai giornalisti si risponde sullo stesso loro terreno: concedendo interviste, replicando, rettificando, facendo comunicati uffi-ciali, eccetera, eccetera, eccetera. L’attacco e l’insulto hanno sempre un sapore amaro. Adesso vanno molto di moda le fake news, ovvero fatti inventati e verosimili che sono spacciati per notizie e che girano sulle reti sociali. Le fake news sono emesse da testate web che sono palesemente fasulle: un po’ come il sito ilfattoquotidaino.it che scimmiotta Il Fatto Quotidiano. Questi siti servono a generare traffico di click verso le pubblicità che ospitano. Non servono a nient’altro. Hanno tuttavia il drammatico risvolto di diffondere notizie false e spesso gli utenti se le bevono. Ora chi scrive è certo che questo non può altro che far bene al giornali-smo professionale. Finalmente i giornalisti dovranno pensare due volte prima di scrivere una sciocchezza. La stampa non è morta. Avere una persona stipendiata che verifica un fatto d’interesse pubblico prima di pubblicarlo forse è ciò che ci permette di pagare un giornale con serenità. Almeno così dovrebbe essere. Tuttavia chiediamoci: le fake news sono dominio riservato dei siti web parodia? Per essere una testata di fake news non basta poi dare intenzionalmente delle notizie false. È sufficiente cambiare la gerarchia e il rilievo delle notizie vere. Il Fatto Quotidiano ha costruito il suo successo appunto sulla gerarchia con cui dà le notizie. Un avviso di garanzia vero al mi-nistro dello sport Lotti merita più spazio e risalto del potenziale avviso di garanzia alla sinda-ca di Roma. All’esame di stato per diventare giornalista professionista fanno di solito questa domanda: “Qual è la cosa più importante per un giornalista?” La risposta? La notizia e non i sospetti, i pettegolezzi, le supposizioni o le balle, le vecchie bufale spacciate per notizie. Le fake news non sono un fenomeno nuovo. I giornaloni di carta ne sono grondanti da anni. Alcuni esempi? Ogni volta che in un’intervista la domanda comincia con “Alcuni dicono che…altri invece dicono …” beh, in quel caso è bene sospettare che la fonte, pur anonima, sia inventata. Un altro esempio più raffinato di bufala consiste nell’ingigantire una quisquilia e nel miniaturizzare una trave. Un esempio d’ingigantimento? Quando Il Giornale fece una campagna durata settimane sulla casa di Montecarlo del cognato di Gianfranco Fini. Un esempio di miniaturizzazione? La recentissima inchiesta sugli appalti del Consip. Ne avete sentito parlare? Il rapporto tra stampa e potere politico ha raggiunto livelli grotteschi sotto diversi aspetti. Negli Stati Uniti Trump ha più volte criticato in malo modo alcune testate che non lo idola-trano. In Italia il Movimento Cinque Stelle ha un atteggiamento controproducente contro la stampa per il semplice motivo che la critica per la critica, ovvero fuori contesto e senza esempi è deleteria. L’episodio della lettera che Luigi Di Maio ha scritto al presidente dell’or-dine dei giornalisti è patetico. La lettera recupera tutta una serie di citazioni di articoli che, secondo Di Maio, non corrispondono a verità. Egli indica anche gli autori di questi articoli, esponendoli in questo modo al rischio di qualche testa calda che simpatizza per il M5S. La lista di proscrizione non è un modo efficace di dialogare con la stampa.

Stampa e potere (stampa è potere?)

di Michele Caracciolo di BrienzaInternazionali

Il presidente Trump ha negato durante la confe-renza stampa del 16 febbraio scor-

so che dei suoi collaboratori ab-biano mai avuto dei contatti con

la Russia durante le ultime elezioni

americane. Trump ha anche difeso strenuamente il suo primo mese

da presidente degli Stati Uniti.

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16 - La Rivista marzo 2017

Noi Italiani viviamo da anni sommersi da cattive notizie vere o presunte. Tra l’emergenza neve, della siccità, del terremoto, l’ondata di profughi dal Me-dio-oriente e la peggiore crisi economica dalla fine della guerra ad oggi, sembriamo essere solo in at-tesa dell’onda di tsunami destinata a spazzare via definitivamente un Paese in perenne crisi.

I problemi, specie quelli economici, certamente esistono, la crescita latita, il debito cresce, la disoccupazione giovanile pure, il divario Nord Sud aumenta e abbiamo certamente perso posizioni in termini di ricchezza relativa rispetto ai nostri maggiori partner e competitor, ma anche e soprattut-to rispetto alle economie dei Paesi emergenti. Tuttavia, l’analisi delle variabili economiche che registrano il posizionamento dell’Italia nell’economia internazionale, dimostrano che la sfida che la globalizzazione pone a tutti i paesi industrializzati occidentali può essere vinta. L’unica condizione è che il sistema Paese intraprenda la strada corretta e non ceda al riflesso condizionato di chiu-dersi in un asfittico mercato interno ed in politiche eco-nomiche autoreferenziali, assecondando l’ondata «sovra-nista» che sta investendo le opinioni pubbliche e i partiti politici di tutto il Mondo. Esiste infatti una parte dell’economia italiana più esposta alla concorrenza internazionale, che ha enormemente be-neficiato dalla crescente apertura dei mercati, dimostrando una capacità di adattamento reale al nuovo mercato glo-bale e soprattutto al nuovo corso in cambio forte e stabile aperto dall’entrata nella moneta unica. Non stiamo parlando del «Grande Capitale», come opinio-nisti sprovveduti e molti politici demagogicamente affer-mano, ma dell’ossatura della nostra economia più avan-zata: le nostre aziende piccole e medie operanti nei settori traino del Made in Italy dall’agroalimentare all’automazio-ne industriale. I problemi pesano dunque, il Paese è in affanno ma la parte più dinamica dell’economia esce bene dal primo impatto con i mercati e con l’introduzione dell’Euro e può indicare la via del rilancio al resto del Paese.

Una nuova classe dirigente Una nuova classe dirigente che abbia voglia di vedere le enormi opportunità che la globalizzazione offre, e le sappia cogliere introducendo i necessari accorgimenti a sistema fiscale, pubblica amministrazione, apparato infrastrutturale dovrebbe essere l’interlocutore della parte più dinamica e produttiva della nostra economia. Dopo un 2015 spumeggiante sul fronte delle esportazioni ed un inizio 2016 balbettante, le nostre imprese esportatri-ci hanno fatto registrare nell’ultima parte dell’anno un re-cupero delle vendite all’estero che determinano anche nel 2016 una chiusura in positivo sul fronte delle esportazioni in linea con quanto accade dal 2009 ad oggi. L’export italiano vola ovunque fuori dall’UE (in media + 4,1%), tranne che in Svizzera dove si registra un calo del 3,5% a fronte però di un + 21% in Cina, +19,9% nell’area Mercosur, + 12,2% negli USA, + 9,2% in Russia, + 7,2% in Giappone e + 4,8% in Turchia: tutto questo in attesa dei dati sull’export intra UE che si preannunciano positivi. Dati non sorprendenti se si leggono le stime sullo stato di salute dell’economia mondiale analizzate dalla Bank of America che rileva come, al clima di sfiducia registrato a Davos nell’ultimo vertice del World Economic Forum, si contrappone nella realtà una crescita stimata del PIL mon-diale nel 2017 del 3,2% con le 4 aree economiche traino, tutte in netto recupero: USA, UE, Cina e India. Se si affiancano a questi dati congiunturali quelli che regi-strano una tendenza decennale delle esportazioni italiane, ne emerge un quadro sorprendentemente positivo rispetto alla narrazione generale di un paese «schiacciato» dalla globalizzazione: l’Italia ha esportato nel 2015 per 412,3 miliardi di Euro a fronte dei 332,1 esportati nel 2006, una crescita del 24,1% con picchi annui dell’11% e con un solo anno di variazione negativa (il 2009). Il nostro saldo della bilancia delle partite correnti è dal 2012 di nuovo in positivo e nel 2014 ha raggiunto un sur-plus del 3,1% che non raggiungeva dal 1997 in una fase ultra espansiva dell’economia.

Surplus manifatturiero L’Italia aveva nel 2015 il quinto surplus manifatturiero al mondo (103, 8 Miliardi di Euro) alle spalle soltanto di Cina,

La «stanza scura» del protezionismo

non si addice all’Italiadi Fabrizio Macrì*

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marzo 2017 La Rivista - 17

Germania, Corea e Giappone e davanti a Francia, Regno Unito e USA. Il surplus manifatturiero italiano nel settore del legno è secondo solo a quello cinese ed è il quarto nel settore dei macchinari industriali. Nel 20% delle mer-ci scambiate al Mondo, il surplus commerciale italiano si classifica nelle prime tre posizioni. Se i dati sono questi dunque perché il Paese soffre? La nostra risposta è che se i dati sull’export sono così po-sitivi, evidentemente non stiamo facendo abbastanza per cogliere a pieno i frutti della globalizzazione. Le imprese che fanno registrare questi numeri e che fan-no del nostro Paese uno dei primi 10 esportatori mondia-li sono prima di tutto troppo poche; da noi vale la regola del «20-80» (20% di esportatori regolari a fronte dell’80% di esportatori saltuari o non esportatori). In Germania la stessa ratio è del «40-60» circa. Troppe imprese insomma restano al caldo del mercato interno protette da rendite, monopoli, spesa pubblica o semplicemente non riescono a fare il salto verso i mercati esteri. Le imprese migliori inoltre fanno registrare ottimi ritmi di crescita ma potrebbero probabilmente fare meglio, se il Pa-ese non dovesse trascinarsi sulle spalle il peso di riforme non fatte e che sembra proprio in Italia non si riescano a fare: una tassazione meno soffocante, delle infrastrutture migliori, una PA vicina agli imprenditori e non ad essi ostile aiuterebbero le nostre imprese migliori a fare certamente meglio e forse le più deboli ad emergere. Il mercato globale ha una domanda di Italia crescente sia in termini di prodotti, che di flussi turistici e negli ultimi anni anche di investimenti in entrata, che il Paese deve attrezzarsi per intercettare. Non è il mare della globaliz-zazione ad esser cattivo è la nostra nave a non essere abbastanza attrezzata per navigarci. Se il pesce però nuota in mare, la nostra reazione non può essere quella di tornare in porto per esaurire le scorte rimaste, ma di attrezzarci per navigare e pescare meglio degli altri. Certo la politica di controllo della spesa che ci viene im-posta da Bruxelles a fronte del nostro indebitamento, ci impedisce di fare degli investimenti espansivi, magari in settori strategici che ci permetterebbero di affrontare la concorrenza con armi più potenti, tuttavia ricordiamoci che questa ci tutela anche dalla speculazione che è sempre in agguato e che ha fatto risalire lo spread rispetto ai titoli del debito tedesco e soprattutto ci dovrebbe indurre a fare delle riforme che sono state sull’agenda di molti i Governi.

La lista delle riforme non fatte È la lista delle riforme non fatte alcune delle quali anche ri-chieste dall’odiata Bruxelles e non di quelle fatte che tarpa le ali della nostra crescita. Nella faretra dell’ultimo Governo (che pure è stato abbastanza prodigo d’interventi) sono

rimaste molte frecce non scoccate: misure sull’aumento della concorrenza, misure di semplificazione fiscale, in-terventi semplificatori sulla pubblica amministrazione, la revisione della spesa, vari provvedimenti di rilancio delle PMI e delle start-up. Un pacchetto di interventi che andrebbero nel senso di una semplificazione del sistema e di una riduzione del fardello sulle spalle delle imprese produttive che sfruttando le con-dizioni favorevoli date da crescita sostenuta e bassi tassi sul debito dei primi anni della moneta unica, la Germania ed altri paesi hanno fatto. Negli stessi anni, in cui la disoccupazione in Germania era dell’11% e da noi dell’8% con una crescita compresa tra il 2 ed il 3% all’anno, noi abbiamo bruciato i nostri avanzi primari e continuato a spendere come se non ci fosse un domani, senza però dal lato della domanda in-vestire in settori strategici e dal lato dell’offerta riformare l’apparato pubblico, allo scopo di creare un ambiente più favorevole allo sviluppo delle imprese ed alla crescita re-ale dell’economia. Puntare il dito contro l’Euro, la Germania, l’establishment e la globalizzazione va certamente di moda, farà lucrare qualche voto in più alle prossime elezioni, ma indica il ne-mico sbagliato e ci fa solo perdere tempo prezioso. È contro noi stessi che dobbiamo puntare il dito, e al nostro interno che dobbiamo trovare le soluzioni per affrontare i problemi elencati. Se arrivano più turisti in Francia che in Italia nonostante il nostro 60% di patrimonio artistico mondiale o ne arrivano a Barcellona quasi il doppio che a Roma, non è perché il «Grande Capitale» o l’«Establishment» hanno deciso di farci del male ma perché i nostri servizi turistici sono an-cora arretrati, i nostri trasporti sono in parte inaffidabili e soggetti a scioperi, le nostre città sono sporche e insicure e i nostri alberghi non all’altezza. Dire no alla globalizzazione oggi significa per un paese esportatore come il nostro e grande importatore di flussi turistici, rinunciare ad una prospettiva seria di crescita futu-ra, negarci delle opportunità. Per questa ragione sembrano scritte per l’Italia dei «so-vranisti» e dei «no Euro» le parole del premier cinese Xi Jinping pronunciate a Davos in occasione del vertice del World Economic Forum dello scorso gennaio: «…perseguire il protezionismo è come chiudersi in una stanza scura, il vento e la pioggia restano fuori ma anche l’aria e la luce…».

*Segretario generale CCIS

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18 - La Rivista marzo 2017

strumenti con cui si veicolano “stile di vita”, esperienze e prodotti e trovando poi per ogni veicolo le sue com-ponenti e il “dosaggio”. “Chi si emoziona di più pensando all’Italia”? Sempre tenendo conto delle risposte dei testimoni privilegiati del Made in Italy intervistati, emerge una mappa delle emozioni anche sul piano geografico: i nordamericani sono quelli che si emozionano di più pensando e viven-do l’Italia, seguiti dai tedeschi, i quali forse per la musica e l’arte, forse per via del romanticismo tedesco o forse semplicemente per il sole, guardano sempre con affet-to al nostro paese; al terzo posto ci sono i giapponesi, i quali mostrano maggiori affinità con il nostro paese di quel che si potrebbe immaginare di primo acchito. Un po’ sorprendentemente al quarto posto troviamo gli slavi occidentali, vale a dire polacchi, cechi e slovacchi e infine i francesi, i quali forse amano più l’Italia di quel che immaginiamo. D’altronde secondo la classifica mondiale della repu-tazione stilata dal Country RepTrak (che ci pone al 12° posto nel Mondo) l’Italia è il paese con la maggior dif-

ferenza tra l’opinione esterna e quella interna: in una scala da 1 a 10 la nostra reputazione esterna è 7,1 mentre internamente ci diamo un voto pari a 5,7, Agli antipodi c’è la Russia che ha un’immagine di sé pari ad 8 e un giudizio dall’esterno pari a 4. Il fattore principale che si evince, è che il Made in Italy ha tutte le caratteristiche per diventare una vera e pro-pria palestra per le emozioni: la nostra creatività può insegnare ad emozionarsi, con autenticità, profondità e nella direzione di una crescita personale, non solo di un’emozione effimera. Tre sono i punti cardine che emergono prepotentemen-te dalla ricerca del CENSIS. Innanzitutto il nostro “stile di vita”, perché molti stranieri hanno elevato a modello quel modo di vivere squisitamente caratteristico degli italiani. Poi troviamo le “emozioni” tipicamente italiane, che ogni visitatore del Bel Paese pregusta ancora prima di essere giunto in Italia. Infine, il terzo imprescindibile aspetto è il “prodotto italiano vero e proprio”, ovvero la fisicità concreta di un’idea, di un sogno, di un saper fare tutto Made in Italy.

Qual è l’anima del “fare italiano”? Di cosa è fatto, qual è la sua essenza, quali sono gli elementi che lo con-traddistinguono e soprattutto in che modo devono essere dosati perché ne esca un perfetto “Made in Italy”?

Una ricerca commissionata da Ornellaia (il fine wine italiano tra i più amati al mondo) al CENSIS, illustrata a Sotheby’s Mila-no in occasione della presentazione della nona edizione del progetto “Vendemmia d’Artista”, prova a dare una risposta a queste domande, intervistando al riguardo i più importanti protagonisti del Made in Italy, dall’industria automobilistica alla moda, dall’offerta turistica alla ristorazione e alla filiera enogastronomica, analizzando gli

Lo stile di vita italiano, le

emozioni e i valori insiti nel prodotto sono

i tre fattori che generano l’idea diffusa

di italianità

CENSIS: l’emozione come essenza del Made in Italy

Un’educazione alle emozioni potrebbe valere circa 10 miliardi l’anno di fatturato del Made in Italy

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Bello e ricercato Per quanto concerne lo stile di vita italiano, il concet-to con la maggior rilevanza secondo gli intervistati è la ricercatezza (42%); essa si esprime nella volontà di distinguersi sempre dalla massa, con attenzione ai par-ticolari e all’originalità. Al secondo posto con il 38% si trova invece la capacità di saper riconoscere la bellez-za, all’occorrenza essendo capaci di crearla. A sorpresa, è solamente in terza posizione la gioia (12%), seguita dalla lentezza (9%), ovvero il rifiuto della vita frenetica in nome di un ritmo di vita più lento e naturale. Se si parla poi delle emozioni di vivere un’esperienza, essa deve essere innanzitutto di tipo sensoriale, colle-gata a gusto, tatto, olfatto e udito: l’emozione ideale in-fatti è fatta al 45% di sensazioni fisiche. Un altro tratto fondamentale (per il 25%) è quello formativo, di carat-tere culturale. Il 21% è invece dedito alla partecipazio-ne, alla voglia di comunicare con gli italiani per sentirsi parte del luogo. Poco spazio infine alla rappresentazio-ne di sé (9%), parrebbe sintomo del fatto che il turista straniero non sente il bisogno di raccontarsi.

Ben fatto Venendo infine al prodotto italiano e alle caratteristiche che esso deve possedere, secondo gli stranieri quella fondamentale è la qualità (30%), intesa come il lavoro ben fatto. La bellezza ha quasi lo stesso peso (29%), sebbene l’aspetto estetico abbia perso peso negli ul-timi anni, a vantaggio della qualità. L’autenticità del prodotto conta per il 22%; mentre pesa forse meno del previsto la forza evocativa (18%).

Fondazione Altagamma stima che nei prossimi 5-6 anni, il numero di persone interessate all’acquisto di beni/servizi di alta qualità, passerà da 400 a 480 milio-ni, cui corrisponderà una spesa aggiuntiva di circa 290 miliardi di Euro, che porteranno il mercato globale del lusso a più di 1.300 miliardi l’anno. Attualmente il Made in Italy intercetta circa il 10% di questo mercato. Più in dettaglio, CENSIS indica che per i nuovi consumatori di qualità, l’aspetto emozionale varrà circa il 15% in più rispetto ai vecchi consumatori, vale a dire che un la-voro accurato sulle emozioni potrebbe incrementare la nostra fetta di mercato di circa 90 milioni di potenziali nuovi clienti e di 4-5 miliardi l’anno, come, al contrario, una scarsa attenzione a questo aspetto potrebbe ridur-la della stessa cifra. Tra 5-6 anni, quindi, l’ampliamento del mercato mon-diale di qualità dovrebbe fruttare all’Italia circa 29 mi-liardi l’anno, stando all’attuale andamento. Puntando fortemente sul lato “emozionale” tale cifra potrebbe arrivare anche a 33/34 miliardi l’anno; ritenere, al con-trario, che i nuovi consumatori siano già “formati”, po-trebbe invece far scendere la quota a 25 miliardi l’anno di incremento. Ricapitolando, non risulta eccessivo affermare che nel prossimo futuro, un’educazione alle emozioni potrebbe valere circa 10 miliardi l’anno di fatturato del Made in Italy. La qualità delle emozioni è un’arma in più per contra-stare la crisi. Inoltre, aspetto non del tutto trascurabile, l’Economia delle Emozioni può essere anche un vero e proprio “turbo” per incrementare il fatturato di tutte quelle aziende che esportano il Made in Italy nel mon-do. Come detto, dalla ricerca CENSIS emerge che, se ben governata, “l’incidenza delle emozioni” può arriva-re addirittura ad oltre il +15%, mettendo le ali al norma-le fatturato aziendale. Dato che i consumi mondiali 2015 dei prodotti e servizi di lusso è stimato da Fondazione Altagamma superio-re ai 1.000 miliardi di Euro, l’Economia delle Emozioni potrebbe spingerli addirittura ad oltre 1.150 miliardi di Euro. Inoltre, a fronte di un Export pari a 132 miliardi di Euro, un investimento sulle emozioni potrebbe farlo crescere sino a oltre 150 miliardi di Euro (stime su dati Censis e Istat). Alla luce di ciò, il CENSIS formalizza alcuni consigli per valorizzare al meglio l’Economia delle Emozioni. Su tutti, potrebbe essere utile formare gli italiani all’edu-cazione dell’Economia delle Emozioni, ed educare gli stranieri (a partire dagli amanti del Made In Italy) alle Emozioni, per costruire sin d’ora un legame forte con i consumatori di domani, ma anche per dare una chan-ce in più ai giovani che subiscono una disoccupazione tragica (secondo i dati Istat la disoccupazione giovanile si attesta al 40,1%). Il prodotto italiano: bello e ben fatto

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Il pensiero di investire nel mattone italiano non è così démodé: l’anno appena trascorso ha di-mostrato quanto l’Italia sia appetibile per gli stranieri che vogliono comprare una seconda casa nel nostro paese. Secondo i dati del report annuale elaborato da Gate-away.com, il portale immobiliare dedicato agli investitori esteri che desiderano comprare immobili italiani, il 2016 si chiude con un bilancio favorevole: l’aumento delle richieste è pari a +53,89%. “Il dato positivo conferma i trend che ave-vamo rilevato nel corso dei mesi - spiega Simone Rossi, direttore generale di Gate-away.com - e il picco delle ricerche si è verificato principalmente nei mesi di aprile e agosto, anche se il periodo tra febbraio e marzo ha comunque visto un’attività intensa di ricerca. Considerevole il prezzo medio degli immobili valutati, che si attesta sui 428mila euro, mentre notiamo un aumento delle ricerche per case di lusso, oltre i 500mila euro, pari al 14,50% delle richieste totali. Questo può confermare la nostra idea che l’investimento estero nell’immobiliare italiano sia ancora appeti-bile. Oltre il 45% delle richieste arrivano soprattutto da persone che hanno più di 55 anni, coloro che probabilmente acquistano una casa in Italia per vacanze o in vista della pensione, e che co-munque hanno presumibilmente maggiori possibilità economiche. Il dato interessante - conclude Simone Rossi - è quello relativo ai potenziali acquirenti fra i 25 e i 44 anni, che sono oltre il 23%. Una fetta di mercato su cui puntare”. Chi sono i potenziali acquirenti esteri? I tedeschi si piazzano in cima alla classifica delle nazio-nalità (14,34%), seguiti dagli americani (14,25%) e dai britannici (12,83%). Mentre le richieste in arrivo dagli Stati Uniti restano pressoché costanti rispetto all’anno precedente, nel 2016 la Germania ha spiccato il volo rispetto alle richieste dall’Inghilterra, sempre in crescita seppur con un rallentamento, probabilmente dovuto all’incertezza della Brexit. Il referendum non ha comun-que compromesso l’interesse inglese per il nostro paese, considerando il terzo posto raggiun-to dal Regno Unito. La classifica dei primi dieci paesi più attivi include Francia (7,54%), Belgio (6,42%), Olanda (5,17%), Svizzera (4,75%), insieme con Svezia (4,01%), Canada (2,33%), Bra-sile (1,65%). Da segnalare la crescita di Argentina e Spagna, probabilmente dovuta alla presenza carismatica di Papa Francesco, e le cinque città da dove arrivano più richieste: Londra, Stoccolma, Parigi, Amburgo e Monaco. Quali sono i luoghi più richiesti dagli stranieri? Ostuni, Carovigno e Sanremo sono le città più richieste della classifica elaborata da Gate-away.com, seguite da Siracusa, Fivizzano, Scalea, Im-peria, Menaggio e Noto. Diversa la lista di preferenza se viene considerata la provincia: Imperia

(9,15%), Brindisi (7,06%), Como (6,38%), Perugia (4,85%), Massa Carrara (3,86%), Chieti (3,67%), Siena (2,68%), Olbia Tempio (2,63%), Cosenza (2,57%), Siracusa (2,52%). La direttrice è segnata dalla classifica delle re-gioni preferite. Rispetto al 2015, la classifica delle top ten del 2016 stilata da Gate-away.com vede invariate le prime sei posizioni oc-cupate da Toscana (15%), Liguria (12,7%), Puglia (11,48%), Lombardia (9,86%), Sar-degna (6,98%) e Abruzzo (6,7%). Seguono Umbria (6,04%), Sicilia (5,76%), Piemonte (5,19%) e Marche (5,06%), queste ultime nel 2016 hanno confermato la decima posizione già conquistata l’anno precedente. “Una menzione speciale - annota il direttore generale di Gate-away.com - va fatta per la Basilicata, il Molise e la Calabria che nel 2016 hanno registrato una crescita consistente di interesse - come dimostra anche un recente articolo del New York Times - tendenza che probabilmente si consoliderà nel 2017. La Lombardia deve essere aggiunta a questa lista di regioni che stanno ottenendo grandi riscontri, soprattutto grazie alle località vici-ne alla zona dei laghi. La buona notizia, che vale per tutto lo stivale e non solo per il lago di Como, è che non si ricercano solo case di lusso: per agenzie immobiliari e privati che hanno una casa da vendere a stranieri questo rappresenta una grande opportunità”.

Immobiliare: tedeschi e americani acquistano in Italia

Ostuni è fra i borghi maggiormente desiderati dagli stranieri che intendono acquistare casa in Italia

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3,2 milioni di euro: è questa la cifra media che chi cerca immobili di lusso nel mondo è disposto a spendere. Som-ma elevata, certo, ma in contrazione del 3,7% rispetto al 2015. A dirlo è un’analisi di LuxuryEstate.com. Nel 2016 il Sud Europa si è confermato l’area del piane-ta più ambita dai Paperoni che investono nel mattone: Spagna, Francia e Portogallo occupano il podio della classifica dei Paesi che hanno attratto il maggior numero di richieste di immobili residenziali di prestigio. La Spa-gna è la meta più ambita per le residenze di alta gamma con un incremento delle ricerche pari al 30% rispetto allo scorso anno e una crescita dei budget medi del 2% (3,3 milioni di euro). Negli altri Paesi europei ai vertici di questa classifica, invece, i budget medi risultano in calo: la Francia, arrivata seconda con un incremento del 3% sulle richieste, attira mediamente somme pari a 2,4 milio-ni di euro (-4% rispetto al 2015). A fronte di un aumento dell’interesse, tradotto in un +35% di richieste di immobili di lusso, il Portogallo perde in termini di investimenti: que-sti infatti sono scesi del 13% in un anno e chi cerca una dimora nel Paese è pronto a spendere mediamente 2,2 milioni di euro. Anche l’Italia si piazza bene per il numero di richieste nel 2016: con un incremento del 5% si colloca al quarto po-sto e raccoglie l’interesse di acquirenti pronti a spendere mediamente 2,2 milioni di euro, cifra che però risulta in calo rispetto al 2015 (2,4 milioni). A seguire troviamo il primo Paese extraeuropeo, gli Stati Uniti, in cui si registra il 16% in più di richieste rispetto all’anno precedente con un budget medio ben più alto di quelli relativi al Vecchio Continente e pari a 6,3 milioni di euro (il 17% in meno in confronto a un anno fa). Ancora più cospicua la cifra che

sono disposti a spendere coloro che sono interessati a re-sidenze negli Emirati Arabi, dove si parla di una media di 6,7 milioni di euro, il 22% in più rispetto al 2015. Discorso a parte va fatto per il Regno Unito: la Brexit ha probabil-mente fatto perdere appeal a questa meta da Paperoni, tanto che nella classifica ha perso una posizione rispetto all’anno scorso. Il budget medio però aumenta, segno che gli immobili di lusso, la cui richiesta si concentra per lo più su Londra e i grandi centri, non perdono di valore, anzi. La cifra al momento della ricerca di una casa è pari mediamente a 7,2 milioni di euro, il record tra i Paesi più ambiti, e segnala un incremento annuo del 20%. Austria e Svizzera registrano un importante aumento di interesse, stando alle ricerche effettuate su LuxuryEstate.com: si parla rispettivamente del +25% e +14% in un anno. Nonostante i problemi e i disordini politici, la Tur-chia continua ad attirare un numero sempre crescente di potenziali investitori del lusso immobiliare: in un anno si è registrato un aumento del 14% per le ricerche, che si muovono su budget medi di 3,2 milioni di euro. In cre-scita anche la domanda di immobili di lusso in una meta esotica lontana dall’Europa, la Repubblica Dominicana, che ha guadagnato il 17% in più rispetto al 2015, con bu-dget medi di 2,8 milioni di euro. La Grecia soffre ancora la crisi degli scorsi anni, attirando il 29% di ricerche in meno rispetto a un anno fa e perdendo ben sette posizioni in classifica. Si riduce anche la cifra che si è disposti a sbor-sare per un immobile di lusso che, con un calo annuale del 10%, arriva a 3,8 milioni di euro. L’impennata record dei budget è stata registrata per il Canada dove, se l’anno scorso si volevano spendere in media 2,2 milioni di euro, ora la cifra è salita a 2,9 milioni (+33%).

Immobili di lusso: Italia al quarto posto per numero di richieste

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Record storico nelle esportazioni di prodotti agroalimentari Made in Italy che nel 2016 hanno raggiunto il mas-simo di sempre, arrivando a quota 38,4 miliardi di euro, grazie a una cre-scita del 4 per cento. È quanto emerge da una analisi della Coldiretti sulla base dei dati Istat definitivi sul com-mercio estero nel 2016. Quasi i due terzi delle esportazioni - sottolinea la Coldiretti - interessano i Paesi dell’Unione Europea con il mer-cato comunitario, ma il Made in Italy a tavola continua a crescere su tutti i principali mercati, dal Nordamerica all’Asia fino all’Oceania. Se continua a soffrire il Made in Italy in Russia per gli effetti dell’embargo, gli Stati Uniti sono il principale mercato fuori dai confini dall’Unione con un valore dell’export record di 3,8 miliardi ed un aumento record del 6%. Su questo risultato pesa la politica potenzialmente più protezio-nista del neopresidente degli Stati Uniti Donald Trump che potrebbe mettere a rischio un mercato determinante anche per l’agroalimentare Made in Italy, con il vino che, secondo la Coldiretti, risulta il prodotto più gettonato con 1,3 miliar-di, davanti a olio, formaggi e pasta. Tra i principali settori dell’export trico-lore nel mondo - segnala la Coldiretti - il prodotto più acquistato all’estero si conferma il vino con una crescita del 3%, davanti all’ortofrutta fresca (+4%), ai formaggi (+7%) e all’olio che fa segnare un +6%, (proiezione su dati relativi ai primi nove mesi del 2016). Balzo in avanti anche dai salu-mi, con un +8%. Analizzando le performance dei prodot-ti nei singoli Stati si scoprono aspetti sorprendenti a partire del successo del vino tricolore in casa degli altri prin-cipali produttori, con gli acquisti che crescono in Francia (+5%), Stati Uniti

(+3%), Australia (+14%) e Spagna (+1%). Ma va sottolineato che nel Paese tran-salpino, patria dello Champagne, lo spumante tricolore fa addirittura segnare un incremento in doppia cifra, pari al +57%. Oltre al vino, i francesi gradiscono anche il formaggio italiano, le cui vendite sono cresciute dell’8%, ma i latticini nostrani vanno forte anche in Cina (+34%). Nel gigante asiatico, che alcuni vorrebbero come inventore degli spaghetti, trionfa anche la pasta che registra un +16%. Ottimi risultati anche dalla birra che conferma la crescita nei paesi nordici, dalla Germania (+6%), alla Svezia (+7%), fino ai pub della Gran Bretagna (+3%), con un vero e proprio exploit nell’Irlanda della Guinness (+31%). Bene anche salumi e prosciutti che spopolano in terre di salsicce come la Germania (+9%). “Il record fatto segnare sulle tavole straniere è significativo delle grandi potenzialità che ha l’agroalimentare italiano che traina la ripresa dell’intero Made in Italy”, affer-ma il presidente della Coldiretti Roberto Moncalvo, sottolineando che “l’andamento sui mercati internazionali potrebbe ulteriormente migliorare da una più efficace tu-tela nei confronti della “agropirateria” internazionale che fattura oltre 60 miliardi di euro utilizzando impropriamente parole, colori, località, immagini, denominazioni e ricette che si richiamano all’Italia per prodotti taroccati che non hanno nulla a che fare con la realtà nazionale”. All’estero – secondo la Coldiretti - sono falsi quasi due prodotti alimentari di tipo italiano su tre. In testa alla classifica dei prodotti più taroccati ci sono i formaggi a denominazione di origine Dop a partire dal Parmigiano Reggiano e dal Grana Pada-no, ma anche il Provolone, il Gorgonzola, il Pecorino Romano, l’Asiago o la Fontina. Poi ci sono i nostri salumi più prestigiosi dal Parma al San Daniele spesso “clonati”, ma anche gli extravergini di oliva, le conserve e gli ortofrutticoli come il pomodoro San Marzano. Se gli Stati Uniti sono i “leader” della falsificazione, le imitazioni dei formaggi italiani sono molto diffuse dall’Australia al Sud America, ma anche sul mercato europeo.

Agroalimentare, record per l’export

italiano: +4% nel 2016

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1957 – 2017. Nel 60° dei

Trattati di Roma

Una svolta per l’Europa federale?

L’Europa e il suo mito La leggenda racconta che della giovane e bella Europa si innamorò lo stesso Giove che, per conquistarla, si trasformò in un magnifico toro bianco con la fronte ornata da corna a mezzaluna. L’animale, nuotando velocemente, la condusse quindi sull’isola di Creta. Dall’unione di Europa con Giove nacquero Minosse, Radamante e Sarpedonte. In seguito, ab-bandonata dal capriccioso Giove, Europa sposò Asterione, re di Creta, che adottò i suoi figli, che diedero il nome della madre al continente che iniziarono a popolare. Il mito risale all’epoca della civiltà minoica che rese al toro, simbolo del

vigore e della fertilità, onori divini. Da sempre, i popoli europei, nel nome della comune discen-denza hanno tentato di riunire tutto il continente in un’unica entità politica sotto un regno di pace e di progresso economi-co. Fu Roma a unificarne, per prima, buona parte e a imporre la sua pace. Il suo Impero crollò poi sotto l’urto di nuovi inva-sori arrivati, a ondate successive, ancora una volta dall’Orien-te e l’Europa fu divisa in tante piccole comunità, di nuovo in continua guerra tra loro. Nel nono secolo, il tentativo di Carlo Magno di unificare sotto il Sacro Romano Impero tutta l’Europa fallì per l’avanzata de-

Il sessantesimo dei Trattati di Roma, che segnarono la nascita del M.E.C. (Mercato Comune Europeo) e dell’EURATOM (energia nucleare e suo uso pacifico), cade in uno dei momenti più difficili della storia dell’UE. La crisi attuale, segnata dagli accresciuti sentimenti eu-roscettici dei nazionalismi e dei populismi, che hanno portato alla Brexit, potrebbe essere salutare per far ma-turare una maggiore consapevolezza della necessità dello stare insieme e per promuovere un cambiamento in senso federale in tempi certi, coinvolgendo i cittadini prima ancora che gli Stati.

Tra i capolavori «ritornati» di recente in Italia dai diversi musei degli Stati Uniti d’America, dove erano stati trafugati da diso-nesti commercianti d’arte, ce n’è uno molto importante per la storia di tutto il nostro Continente. Si tratta del Cratere a calice, opera di Assteas, un celebre artista attivo a Paestum tra il 350 ed il 340 a.C. Sul Cratere, strappato da una tomba di Paestum nel corso di uno scavo clandestino, Assteas vi ha dipinto il «ratto di Europa», la principessa figlia di Agenore, re dei Fenici, e sorella di Cadmo, il fondatore di Tebe.

di Tindaro Gatani

Il ratto di Europa, cratere di Assteas del IV secolo a.C.

Il ratto di Europa, olio su tela di Maarten de Vos, 1590.

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gli Arabi che avevano già occupato la Sicilia e la Spagna. Le mire di Carlo Magno si arrestarono a Roncisvalle, sulla strada di San Giacomo di Compostela, dove il 15 agosto del 778, le sue truppe si dovettero ritirare per evitare lo scontro con quelle più agguerrite dei Musulmani di Spagna. In pieno Medioevo, gli Europei credevano di essere al centro del Mondo e di occupare con i loro territori oltre la metà di tut-to l’ecumene. Tra l’XI ed il XV secolo tutto il Continente diventò una fiorente culla di alti studi e di nuove espressioni di arti e di culture, che culminò negli splendori del Rinascimento ita-liano. Dal Cinquecento, di fronte alle grandi scoperte di nuove terre, la posizione geografica dell’Europa si fece sempre più marginale. Persa la centralità geografica, gli Europei cerca-rono con ogni mezzo di conquistare una centralità politica, avviando vasti programmi di colonizzazione. L’eurocentrismo comportò la presentazione dei Paesi extraeuropei secondo stereotipi e luoghi comuni, descrivendoli secondo categorie tipiche della storia europea. Si cercò insomma di imporre al resto del Mondo la cultura del Vecchio Continente, partendo dal presupposto della superiorità della razza bianca europea rispetto alle altre. Nel volere imporre la loro supremazia, gli Stati europei non solo erano divisi, ma ancora spesso in guerra tra loro. Filosofi e regnanti hanno tuttavia continuato a tenere viva sin dal Sei-cento la speranza di un’Europa unita, divenuta poi anche uno dei traguardi dei liberali più illuminati dell’Ottocento. Già il re francese Enrico IV il Grande (1553-1610) aveva lanciato l’i-dea di una Lega europea difensiva e pacifica nell’ambio della quale tutti i popoli e le Nazioni avrebbero potuto convivere insieme senza conflitti ed aiutandosi, anzi, vicendevolmente nel momento del bisogno.

L’Europa fatta dagli Italiani in Svizzera A tenere viva l’idea di un’Europa unita fu poi un altro grande fran-cese: Claude-Henri de Rouvroy, meglio conosciuto come Conte di Saint-Simon (Parigi 1760-1825), che voleva «riunire i popoli d’Europa in un solo corpo politico, conservando a ciascuno la sua indipendenza», sotto l’autorità di un Congresso o di una Alta Corte sorretta da un Governo europeo «conciliatore e mediatore». Solo dopo il secondo conflitto mondiale, l’idea di un’Europa unita, da sempre considerata un’utopia, cominciò a farsi stra-da. I più influenti capi di Stato, uomini di cultura ed economisti aprirono allora un dibattito a tutti i livelli sull’opportunità di studiare modi e tempi per l’attuazione di una comunità euro-pea economica e politica. Tra i precursori di quell’idea troviamo gli Italiani Giuseppe Mazzini, Carlo Cattaneo e Angelo Umiltà tutti e tre profughi in Svizzera. Il genovese Mazzini mirava soprattutto a un «ordi-namento federativo» tra gli stati europei. Nel 1848, scrivendo

Il Presidente del Consiglio italiano, Antonio Segni, firma i Trattati di Roma.

Firma ufficiale dei Trattati di Roma del 25 marzo 1957, nella sala degli Orazi e Curiazi, Palazzo dei Conservatori sul Campidoglio.

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sulla rivista «Il Politecnico» diretta da Carlo Cattaneo, Mazzini, tra l’altro, affermava: «Noi vagheggiamo la grande federazio-ne dei popoli liberi, crediamo nel patto delle Nazioni, nel Con-gresso europeo che interpreterà pacificamente quel patto». Il lombardo Cattaneo, profugo nel Ticino, conferì al federalismo europeo un senso molto ampio, non considerandolo mai un criterio meramente organizzativo, ma «fattore di mediazione tra le forze concorrenti dei singoli e delle società», rigettando qualsiasi dottrina razzista o di rivendicazioni nazionali. L’emiliano Umiltà, professore all’Università di Neuchâtel, an-dava oltre, vedendo nell’unità europea il primo passo verso quel futuro governo mondiale, che avrebbe poi bandito le guerre e risolto i problemi di libertà, di democrazia e di giu-stizia sociale ed economica. Per Umiltà il nemico principale dell’umanità era dunque la guerra, che divorava risorse e vite umane. Della stessa convinzione saranno, più tardi, due giovani prigionieri politici confinati dal fascismo a Ventotene: Ernesto Rossi e Altiero Spinelli. Nel giugno del 1942, nella piccola isola delle ponziane, il comunista Spinelli, in collabo-razione con l’azionista Rossi, stese un programma politico da attuare al di sopra dei vari partiti e sul piano internazionale, per giungere a una federazione democratica dei Paesi euro-pei, vista come unica soluzione soprannazionale possibile e valida per il definitivo superamento degli antagonismi nazio-

nalistici, fomentatori di conflitti ideologici, economici e mili-tari. Per loro, soltanto «la definitiva abolizione della divisione dell’Europa in Stati nazionali e sovrani e la creazione di un saldo Stato federale europeo potranno garantire la pace e il progresso dei popoli». Nel momento più buio della storia del Continente, Altiero Spinelli provava a guardare oltre gli orrori e il vuoto di speranza, cercando di individuare un cammino che potesse evitare il ripetersi di guerre e di odi. Quel documento, meglio conosciuto come Manifesto di Ventotene, fu portato in Svizzera dagli stessi Spinelli e Rossi, che lo diffusero e lo discussero con gli altri fuoriusciti italiani e di altre nazionalità rifugiati nella Confederazione. L’importanza del Manifesto di Ventotene sta soprattutto nell’aver affermato con forza che la causa primaria delle crisi, delle guerre, delle miserie e degli sfruttamenti esistenti nella società risiedeva nella permanen-za di Stati sovrani geograficamente, economicamente e mi-litarmente caratterizzati e, come tali, viventi in una relazione reciproca di perpetuo bellum omnium contra omnes, cioè di guerra di tutti contro tutti.

La Conferenza di Messina e i Trattati di Roma Ancora nel corso della Guerra di Liberazione, Altiero Spinel-li fu tra i fondatori del Movimento federalista europeo che, nel dicembre del 1946 a Parigi, promosse l’Unione Europea dei Federalisti (U.E.F.). Un primo tavolo d’incontro degli Stati dell’Europa occidentale, usciti distrutti dal secondo conflitto mondiale, fu la fondazione della Organizzazione Europea di Cooperazione Economica (O.E.C.E.), che aveva lo scopo di gestire in comune gli aiuti per la ricostruzione ricevuti da-gli Stati Uniti attraverso il Piano Marshall. Il cammino verso un’Europa unita, caratterizzato agli inizi da una stasi a livello d’integrazione politica, fu invece fruttuoso sul piano economi-co. Le iniziative degli europeisti più convinti avrebbero portato, infatti, di lì a poco, a una prima intesa per l’unità economica di alcuni Stati dell’Europa occidentale. Nel 1951 nasceva a Parigi la Comunità Europea del Carbone e dell’Acciaio (C.E.C.A.) della quale facevano parte Francia, Germania, Italia, Belgio Olanda e Lussemburgo. Un altro pas-so avanti sulla via della futura unione fu costituito dalla fon-dazione, nel 1952, della Comunità Europea di Difesa (C.E.D.). La strada per una federazione degli Stati europei sembrava ormai spianata. Nel 1953, l’Assemblea parlamentare della C.E.C.A. fu, infatti, incaricata di creare, sotto la presidenza del leader socialista belga Henri Spaak, una Commissione spe-ciale per predisporre un progetto di Trattato per la Comunità Politica Europea (C.P.E.). Il faticoso cammino doveva, però, subire una battuta d’arresto, perché l’Europa si avviava ad essere divisa in due contrap-posti blocchi militari: da una parte la N.A.T.O. (North Atlan-tic Treaty Organization), fondata nel 1949 e formata da 11

Le tappe dell’Unione europea in Italia. Da Ansa dossier, in Messina 1955/1995: Progetti d’Europa. 1/3 giugno. Quarant’anni do Integrazione

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Stati dell’Europa occidentale più Canada, Stati Uniti e Turchia, e dall’altra il Patto di Varsavia di cui facevano parte tutti gli Stati comunisti dell’Europa orientale e l’Unione Sovietica. Le difficoltà interne agli Stati, il clima di sospetti tra Germania e Francia, e la crisi politica di quest’ultima, che doveva fare i conti con il suo impero coloniale (la guerra del Vietnam e quella dell’Algeria, ecc.) e con l’opposizione interna di un for-te partito comunista asservito all’Unione Sovietica, portarono al fallimento dell’iniziativa federalista. Tra la fine del 1954 e gli inizi del 1955, la strada dell’unità europea sembrava bloc-cata. Toccò allora al Ministro degli Esteri italiano, il deputato liberale Gaetano Martino, rettore dell’Università di Messina ed europeista convinto, prendere, su sollecitazione del governo belga, una nuova iniziativa sul futuro dell’Europa. La stra-da del cammino europeo era, però, così irta di ostacoli che quando Martino invitò i suoi cinque colleghi di Francia, Belgio, Olanda, Lussemburgo e Germania, cioè dei paesi aderenti alla C.E.C.A., a recarsi a Messina per sbloccare la situazione, il commento di uno dei più scettici di loro fu : «Se non altro faremo del turismo». L’incontro dei sei ministri, che si tenne l’1 ed il 2 giugno 1955 a Messina e a Taormina, si tradusse, invece, in un successo insperato. La Conferenza di Messina diede, infatti, gli impulsi necessari per il rilancio delle iniziative che portarono, il 25 marzo 1957, alla firma dei due Trattati di Roma: il primo riguardava la Co-munità Economica Europea (C.E.E.), che all’inizio si identifi-cò nella sigla del Mercato Comune Europeo (M.E.C.); con il secondo, invece, veniva costituito l’EURATOM per il coordina-mento dei programmi di ricerca relativi all’energia nucleare per un suo uso pacifico.

Rilancio in senso federale o stasi della UE? A sessanta anni di distanza dai Trattati di Roma, dopo che la C.E.E. si è trasformata in Unione Europea, della quale, oggi, fanno parte 28 Stati e altri sono in lista di attesa, nonostante l’adozione di una moneta unica da parte di molti di loro, le sue fondamenta sono minate dai movimen-ti nazionalisti euroscettici, che hanno portato all’uscita

della Gran Bretagna (Brexit). Nel corso dell’anniversario, che sarà ricordato a Roma, gli Stati membri saranno chia-mati a pronunciarsi sul suo futuro. Dovranno decidere se rilanciare oppure fare segnare il passo a un’Unione, che molti considerano vessatoria in politica interna e troppo debole verso l’esterno. Tutto dipende da quanto del loro potere gli Stati siano ancora disposti a rinunciare a favore del governo centrale e soprattutto dal varo di una politica economica e sociale, che favorisca gli strati più deboli e bisognosi di tutta la comunità. La crisi attuale dell’Unione è dovuta al fatto che si è molto lavorato per fare l’Europa economica, ma poco per fare gli Europei. La sensazione maggiormente sentita è che si sia fatto poco per la ricerca di un denominatore comune delle varie Nazioni, della loro storia e delle loro origini, ma anche dei loro miti, che spes-so uniscono più di mille fatti veramente accaduti. Nell’Unione Europea non è stata ancora definitivamente sconfitta la mentalità arretrata di chi pensa all’unificazio-ne del continente come a una sommatoria massificante di popoli e culture da omogeneizzare. Se i Paesi del vecchio continente vogliono trasformarsi in Stati Uniti d’Europa, si deve imboccare la strada contraria, cioè quella di poten-ziare le diversità, perché il naturale riconoscimento delle identità dei singoli è il presupposto dell’unità. Il futuro dell’Europa e del mondo intero è nella mescolanza ar-moniosa di genti, di esperienze, di culture diverse. A patto, però, che ognuno sia cosciente e orgoglioso della propria identità e delle proprie radici culturali. Solo così si posso-no sconfiggere gli euroscettici, che, considerando l’Unione una forzatura o, addirittura, una violenza alle prerogative nazionali dei singoli Paesi, ne reclamano lo smantellamen-to per ritornare agli ordinamenti dei vecchi Stati nazionali ancora una volta in conflitto tra loro. L’Unione degli Stati europei non è stata una violenza, ma un atto di amore civile verso tutti gli abitanti del continente che, per la prima volta, da 72 anni vivono in pace tra di loro. L’Europa unita deve fare, ancora una volta, suo il mito della bella giovane rapita da Giove, che è un messaggio di grande amore. Il mito di Europa ha affascinato artisti di ogni epoca. La presenza di Eros in alcune illustrazioni del ratto sta a indicare che l’unione tra Giove-Toro ed Europa era frutto dell’amore e non, invece, di una costrizione o violenza sessuale di cui tanto abbonda la mitologia greca. La conferma più lampante di questa interpretazione viene proprio dal vaso di Assteas, dove Europa, placidamente se-duta su un toro bianco e quindi candido nei sentimenti, è, a sua volta, sovrastata dall’immagine di Pothos, fratello di Eros, simbolo di un desiderio d’amore gioiosamente ricam-biato. La bella fanciulla si sente poi tanto protetta dal suo amante-toro, da non mostrare paura, durante il traghetta-mento, neppure dalla terribile Scilla con il suo minaccioso tridente, né da Tritone che brandisce un remo.

I firmatari dei Trattati di Roma del 25 marzo 1957.

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Il dibattito sulle generazioni in azienda prosegue da parecchi anni ed è incentrato sulle diversità di cultura, linguaggio ed aspettative; si discute di come i baby boomer, nati dopo la seconda guerra mondiale fino ai primi anni ’60, debbano integrare le generazioni successive ed anche passare le consegne, qualora siano ancora in azienda. Purtroppo sono molte le persone, anche molto qua-lificate, che invece hanno dovuto re-inventarsi professionalità e lavoro che non hanno più trovato nelle aziende che li hanno espulsi. Più di recente il dibattito si è ulteriormente arricchito perché la crisi ha evidenziato fenomeni nuo-vi dovuti sia all’azione governativa sia a quanto avviene nel mercato del lavoro. L’innalzamento dell’età pensionabile ed il fatto che per la prima volta le nuove generazioni non fruiscano di redditi migliori dei loro genitori fa sì che molte persone si siano trovate a sperimentare e sviluppare una vera e propria competenza su come gestire la transizione tra il lavoro in azienda e quello più au-tonomo e con modalità più flessibili e sconosciute precedentemente. È significativo che gli ultimi dati sull’occupazione segnalino che il recente incremento sia costituito in maniera rilevante da ultracinquantenni più che da giovani. Dopo l’espulsione selvaggia avvenuta per circa tre lustri a partire dall’inizio del nuovo secolo, oggi si deve prendere atto che ci saranno sempre più persone senior nel mondo del lavoro e dovranno essere affrontati i temi della riqualificazione professionale e dei tempi di lavoro che dovranno essere adattati. Un esempio anche divertente che mi è capitato di vedere è rappresentato dal film Uno stagista inaspettato dove il settantenne pensionato Robert De Niro si reinserisce in una start up della moda generando un valore sorprendente per la fondatrice Anne Hathaway nel supportarla a superare crisi aziendali e personali. Si tratta di una favola a lieto fine tipica del cinema di evasione che tuttavia mostra con chiarezza un sacco di stereotipi presenti in tutte le aziende e nella società. Odile Robotti su Harvard Business Review esamina il tema prendendo spunto dalla realtà giappo-nese che lo ha affrontato prima di noi ed introduce il concetto di smart aging. L’invecchiamento della popolazione non è necessariamente un problema per la società ma fornisce opportunità, perché mette a disposizione maggiori risorse e crea un nuovo segmento di mercato, inoltre anziani attivi mantengono la propria autonomia più a lungo con evidenti benefici per loro, per le famiglie e per la società. Le organizzazioni devono avviare una evoluzione e superare alcuni luoghi comuni, il primo e più rilevante è quello che afferma una contrapposizione tra posti di lavoro per anziani e giovani; il punto non è questo e le ricerche lo confermano, la quantità di lavoro richiesta non è fissa, l’impiego di lavoro crea crescita nelle dimensioni globali dell’economia generando ulteriore occupazione. Ma ci sono altri aspetti da considerare, ricerche americane mostrano che la presunta minore capacità di apprendimento degli anziani è un mito come lo è anche il presunto livello infe-riore di prestazioni, la dimestichezza con le tecnologie informatiche è citata molto frequentemente come un fattore gravemente limitante, ma siamo proprio sicuri che non sia più che compensata da altri punti di forza quali la maggiore affidabilità ed il maggiore equilibrio? Certamente è necessario creare condizioni in cui le potenzialità e le caratteristiche peculiari di lavoratori anziani siano valorizzate utilizzando anche appropriati programmi di riqualificazione, a questo proposito è molto interessante l’esempio della Vita Needle Company di Needham Massa-chusetts che intenzionalmente assume persone anche oltre i 65 anni di età ritenendole più precise e affidabili nella produzione di manufatti di acciaio inossidabile. (www.vitaneedle.com) La mentorship dei senior ci aiuterà ad uscire dalla stagnazione?

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L’opportunità dello smart aging

di Enrico PerversiCultura d’impresa

L’invecchiamento della popolazione offre opportunità

che le aziende devono cogliere attraverso diver-

se modalità di gestione

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Sullo scorso numero della Rivista abbiamo avuto la possibilità di conoscere il particolarissimo ambiente di lavoro di Simonetta Montaguti, ricercatrice reduce da una lunga esperienza in Antartide nella base Concordia. Com-pletiamo il quadro riprendendo anche le risposte che Simonetta ha dato alle nostre consuete domande.

Quanto tempo le è servito per sentirsi apprezzata come ricercatrice donna nel suo particolarissimo ambito professionale? Non esistono regole e/o tempistiche. Conciliare la libera professione con quella della ricerca non è mai stata facile ma mi ha consentito di sviluppare una buona capacità or-ganizzativa e gestionale, permettendomi una maggior autonomia nel lavoro, una mag-gior assunzione di responsabilità e di scelta delle priorità, nel rispetto delle scadenze e degli obiettivi prefissati. Nel mondo della ricerca così come per la libera professione, ho sempre incontrato grandi problemi legati al mio essere donna arrivando addirittura a sentirmi dire, da chi avrebbe dovuto tutelarmi, che l’ambiente era maschilista e quindi era normale riversare la colpa sulle donne quando succedeva qualcosa. Quando poi mi ritrovavo a ricoprire il ruolo di direttore dei lavori o responsabile della sicurezza nei cantieri, settori questi ancora prettamente maschili, all’inizio la diffidenza degli operai e di alcuni miei colleghi uomini è stata più che evidente e talvolta demotivante. Questo, invece di farmi demordere, mi ha dato lo stimolo per impegnarmi ancora di più dando il meglio di me stessa, sfruttando tutte le mie capacità e conoscenze. Quali sono state le principali difficoltà? Sono quelle relative ad una chiusura mentale ed a stereotipi ancora presenti in abbondan-za sia nella vita quotidiana sia in quella lavorativa. Continuiamo a confrontarci con pregiu-

dizi che ci obbligano a dover dimostrare di essere sempre all’altezza della situazione. Siamo costantemente messe alla prova e talvolta il nostro operato, per non dire noi stesse, viene sminuito: a noi non è conces-so sbagliare. Dobbiamo fare molti sacrifici, a volte più di quelli dovuti, e per raggiunge-re le stesse posizioni degli uomini dobbia-mo sempre lavorare il doppio. Quando cessa la diffidenza? Ti rendi conto di essere entrata a far parte del “mondo degli uomini” nel momento in cui si rivolgono a te per consigli o collabo-razioni nei lavori. A questo punto capisci che non sei più un’intrusa, che gli uomini non temono più il confronto e che vieni apprezzata per quello che sei e per quello che vali. Questo ovviamente non significa che oc-corre trasformarsi in “uomini” o compor-tarsi come tali per essere apprezzate, anzi, significa rimanere sempre sé stesse, difen-dendo con determinazione le proprie idee. Quali sono gli svantaggi? Essere continuamente monitorate e mes-se alla prova per quello che siamo e fac-

Donne in carriera: Simonetta Montaguti 2)

«I sacrifici sono spesso ripagati da meravigliose soddisfazioni»di Ingeborg Wedel

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ciamo parlando. Come già detto, i sacrifici e quindi il tempo da dedicare alla professione sono tanti e questo toglie spazio a noi stesse ed alla nostra famiglia. Ci sono vantaggi? Quelli derivati dalle caratteristiche tipiche dell’universo femminile: motivazione e men-talità multitasking, dinamicità, visione generale nell’affrontare i problemi, adattabilità nel lavoro, intelligenza emotiva ed empatia. In quanto donna si sente privilegiata? No. Ho sempre lavorato duramente ed onestamente cercando di dare il meglio di me stessa in tutte le situazioni. Penso che le gratificazioni raggiunte siano merito della mia determinazione, della mia correttezza e della passione che metto nel lavoro. È vero che le donne sono più intuitive? L’intuito appartiene sia agli uomini sia alle donne, ma è provato scientificamente essere più sviluppato nel mondo femminile. Nonostante noi si sappia essere più concrete, più razionali e più riflessive, la nostra sensibilità determina una consapevolezza che ci con-sente di muoverci nella giusta direzione e compiere le scelte più idonee. Nel suo mondo conta la seduzione? Sono contraria alle persone, uomini o donne che siano, che utilizzano la seduzione per poter far carriera nel mondo del lavoro. Credo che si debba fare affidamento solo sulle proprie capacità, sul proprio dinamismo, sull’impegno, sulla propria intelligenza e determinazione, senza dimenticare la correttezza e la professionalità che mi sono state insegnate dai miei genitori. Qual è la sua soddisfazione maggiore? La stessa per un uomo: raggiungere la qualità in tutto quello che si fa. Che atteggiamento assume verso le colleghe? Lo stesso sia verso gli uomini sia verso le donne. Un consiglio che amo dare è che la

fiducia e la stima si guadagnano giorno dopo giorno e che i sacrifici sono spesso ripagati da meravigliose soddisfazioni. A che cosa deve rinunciare per la sua professione? Talvolta la libera professione mi ha obbli-gato a lavorare fino a tarda sera, compresi il sabato e la domenica, portando eviden-temente via dello spazio alla vita privata e alla famiglia. Per questo motivo, mi piace spesso organizzare dei momenti in com-pagnia della mia famiglia e dei miei amici per recuperare il tempo perso. Non saprei quantificare; personalmente sacrifico gli hobby dedicando quindi il tempo disponi-bile alla vita privata ed alla famiglia. A proposito di hobby: ne riesce a col-tivare qualcuno? Sebbene come detto presto meno atten-zione agli hobby credo che sia comun-que importante coltivarne per scaricare tensioni e recuperare energie. Per questo motivo cerco di ritagliarmi del tempo per nuotare, viaggiare, cucinare e passeggia-re nella natura.

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Conosco un’Anna Canonica che inse-gna, che dell’italiano ha fatto ragione di lodevoli battaglie. Ne conosco una che si interessa di arte, autrice di un libro1 nel quale racconta perché il Ri-nascimento è nato a Firenze. Questa è stata una bella esperienza…

Ma com’è nata? Da una semplice idea. Tutti parlano del Rinascimento. Ci sono migliaia di libri su questo importante periodo storico, ma nessuno si è mai chiesto del perché sia nato a Firenze e del perché proprio in quel periodo. Io ho voluto scavare e scoprirne perché. Sono finita negli archi-vi dei segreti vaticani. E quello è stato bello. Sono stata otto giorni rinchiusa li.

Ha vissuto le atmosfere del Codice da Vinci? Peggio. Perché ho scoperto che ci sono documenti a cui nessuno ha accesso, neanche il Papa, solo il Prefetto. Sono andata lì in cerca di documenti di colo-ro che hanno iniziato la loro avventura come banchieri non a Firenze, ma a Roma, come banchieri papali e di tutta la curia. Purtroppo non sono riuscita a trovare nulla, anche perché c’è un enor-me confusione nell’archivio. Ci sono due stanze solo di libri con liste di documenti e uno schedario in ogni stanza. Sono stata due giorni a sfogliare gli schedari in cerca di documenti.

È complicato avere accesso agli archi-vi? Servono raccomandazioni, aveva

qualche “entratura” in Vaticano? È stata un’avventura. Se questi banchieri avevano cominciato a Roma, dovevano es-serci per forza dei documenti e negli archivi statali non c’è niente. L’unico archivio in cui potevo trovare materiale riguardante i banchieri papali, doveva essere per forza in quello del Vaticano. Siccome ho amici in tutto il mondo, ho scritto a tutti che avevo bi-sogno di entrare negli archivi vaticani. Avete un’idea come fare? Mi risponde una mia amica di liceo che abita in Australia e mi dice: “Ti ricordi Andrea che era nella classe superiore alla nostra? Voleva fare medicina, ma dopo un po’ lasciò per studiare teolo-gia? Lui ora è in Vaticano. Ho il numero. Se vuoi puoi chiamarlo”. Nel frattempo questo Andrea era diventato il Decano dell’Università Cattolica a Roma. L’ho chiamato e mi disse che lui non era mai stato negli archivi, però conosceva qualcuno che poteva aiutarmi ad entrare. Costui ero lo storico di Paolo Giovanni II e andava avanti e indietro dagli archivi, e dalla Curia di Cracovia. Mi ha dato l’indirizzo email, gli ho scritto…

So che lei ha anche origini polacche Si, mia madre. Ho fatto il liceo in Polonia, perché mio padre, che è italiano, era nella diplomazia.

Padre italiano, madre polacca, lei è svizzera? Solo per matrimonio, sono diventata svizzera (ride). Dicevo, ho contattato questa per-sona, che mi ha dato il sito di una pagina internet, dove si trovano tutti i requisiti e i documenti che devi avere per chiedere di entrare negli archivi. Seguita tutta la trafila ho inviato la richiesta. Mi ero informata su come scrivere al prefetto: “sua eccellenza,

Insegnante, collezionista di lauree, amante dell’arte, esperta di geroglifici, organizzatrice di viaggi, studiosa del linguaggio della moda

Incontro con

Anna Canonica Sawinadi Giangi Cretti

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illustrissimo, eccetera eccetera”. Non si possono scrivere delle lettere normali, bisogna attenersi a tutti queste loro ti-tolature, ancora oggi valide. Ho ricevuto l’ok. Arrivata agli archivi vaticani mi han-no chiesto: “Quando vuole iniziare?”. Io ho risposto: “Subito”. “E quanto vuole restare?”. “Perché potrei anche a lun-go? Io ho già prenotato l’aereo di ritorno, quindi posso restare solo otto giorni”. Mi dicono che andava bene e che mi avreb-bero dato il pass per quegli otto giorni. Poi mi chiedono ancora: “Vuole entrare solo la mattina o anche il pomeriggio?”. La domanda mi è sembrata strana, poi ho scoperto che la mattina possono en-trare al massimo 40 persone, mentre il pomeriggio solo 8 persone. Io sono an-data lì tutta la giornata.

Ha vissuto una sorta di esperienza nell’esperienza. Ma torniamo al Ri-nascimento. Perché nasce a Firenze? Per una serie di combinazioni. È partito tutto dalla letteratura, da Dante, Petrarca, dal volgare, dal fatto che i fiorentini usa-vano una lingua volgare, scrivevano in questa lingua ed erano aperti a saperne di più. Hanno cominciato per primi a cer-care scritti in latino e in greco. Infatti, la prima università, dove si è cominciato a studiare il greco antico, con scritti originali portati da Costantinopoli, è stata Firenze. Ovvio il ruolo dell’arte, perché in tutta la Toscana c’erano ancora reperti della Roma antica. Una cosa che oggi non si sa è che attorno al Battistero di Firenze c’erano ancora vecchi sarcofagi romani, che i fiorentini vedevano ogni giorno e quindi consideravano una cosa normale. Tutti pensano che il Rinascimento sia par-tito dalla pittura, invece è nella scultura che trova la propria origine.

Per approfondire la cosa, invitiamo tutti a leggere il libro, nel quale vengono evi-denziati il ruolo della donna, e ovviamen-te dei Medici, banchieri, mecenati… Anche quello della Chiesa. All’epoca c’erano in contemporanea tre papi. Uno di questi era ad Avignone, uno a Roma, e l’altro tra Pisa e Bologna. Quest’ultimo,

considerato un antipapa, si chiamava Cossa, proveniva da una famiglia di pirati originari di Ischia, e aveva avuto la possibilità di studiare poiché finanziato da i Medici. Durante il Concilio a Costanza (1414-1418) tutti e tre hanno dovuto abdicare. Dopo quattro anni, durante i quali non riuscivano a mettersi d’accordo, la scelta è caduta su Papa Martino V, che tra l’altro non era neanche prete. Quando ho letto questa notizia tra le scartoffie che ho accumulato, alcuni anche inviati dall’archivio di Costanza, ho dovuto ricontattare il mio amico a Roma, e ho chiesto: “è possibile che uno diventi papa in tre giorni, uno che tra l’altro non è neanche prete?”. E lui mi rispose: “Qualsiasi persona può candidarsi a Papa”. Non ho trovato documenti che sostenessero questa ipotesi, ma presumo che a questa decisione non siano estranei i banchieri fiorentini che sono riusciti a mettere d’accordo grazie alla forza persuasiva dl denaro. Ma questa, ripeto, è una supposizione.

Nel suo curriculum ho letto che lei è un’esperta di geroglifici. Da dove nasce questa passione? Ho frequentato le scuole elementari e la prima media a Milano. C’era un’insegnate di storia e letteratura, già all’epoca ultra settantenne; lei mi ha trasmesso la passione per l’antichità. Quando poi ho iniziato gli studi a Zurigo, dissi a mio padre: “Ho fatto quattro anni di liceo di roba, che non mi interessava assolutamente niente. Chimica, fisica, matematica compresa. Ora voglio studiare ciò che mi interessa”. Per questo ho deciso di studiare egittologia e questo mi ha portato ad imparare i geroglifici. Quando ho insegnato al liceo Rychenberg di Winterthur, uno dei pro-rettori mi chiese: “Che ne dici se mettiamo su qualcosa dell’Antico Egitto?”. Io gli ho risposi: “Guarda, non saprei. Io l’ho studiato, ma non so se sono in grado di insegnarlo”. “Ce la fai, ce la fai” fu la sua risposta. E così, ho cominciato anche ad insegnare l’antico egizio. I ragazzi ne erano assolutamente entusiasti. L’ultima cosa che ho fatto, prima che arrivasse il Bildungsdirektor, ed eliminasse tutte le materie facoltative, abbiamo tradotto i nomi dei faraoni. Tra l’altro, nessuno ha pubblicato una cosa del genere fino ad ora. Forse un giorno lo tiro fuori e lo lascerò pubblicare, perché non c’è una pubblicazione con la traduzione dei nomi di tutti i faraoni egizi. Cosa che invece noi abbiamo fatto.

I geroglifici riproducono immagini, sono una specie di ideogramma? Anche. C’è l’alfabeto, però senza vocali. Non sappiamo come gli egizi abbiamo pro-nunciato queste parole. Inoltre, c’erano anche gli ideogrammi che venivano aggiunti all’alfabeto e così si formavano le parole e le frasi. Purtroppo però non c’era l’interpun-zione. C’era la cosiddetta scrittura sacra, ossia i geroglifici che vediamo ancora tuttora sui monumenti. E ancora una terza scrittura, quella corsiva utilizzata negli scrittoi per i documenti. Quest’ultima non aveva nulla a che fare con i geroglifici, perché era una scrittura usata per scrivere in fretta. Ha tutto un’altra forma rispetto ai bei geroglifici che siamo abituati a vedere. Dopo la morte di Alessandro Magno, quando i Tolomei sono saliti sul trono d’Egitto, che rappresenta l’ultima fase prima che l’Egitto diven-tasse colonia romana, l’antico greco si è fuso con l’egizio corsivo. La famosa Stele di Rosetta da cui è partito Jean-François Champollion è scritta in tre lingue, perché

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marzo 2017 La Rivista - 33

appunto tre diverse lingue presenti du-rante il Regno dei Tolomei.

Quindi quella sacra, quella d’uso corrente e quella invece…. … mischiata con il greco, che ha permes-so a Champollion di decifrare i geroglifici. Partendo da quello, è andato a vedere i nomi e le prime lettere dei faraoni, men-zionati nel tratto scritto con i geroglifici.

Veniamo a quello che è il suo lavoro più recente. Una nuova pubblicazio-ne2 sulle parole della moda, un pic-colo dizionario dell’eleganza, presen-tato al Salone del Libro di Torino dello scorso anno, che è l’attualizzazione di un suo lavoro del ’94. Perché questo interesse per la moda? Non per la moda in sé. Mi spiego meglio. Quando ero all’Università di Zurigo, ho seguito, con l’allora guru della sociolin-guistica Gaetano Berruto, un seminario sui linguaggi settoriali. Siccome nessuno aveva mai affrontato il tema della moda da questa prospettiva e dato l’interesse che tutti i ragazzi di vent’anni dimostrano, ho pensato vediamo che c’è sotto. Ho co-minciato così. Ho raccolto tanto materiale ed è diventato poi il mio lavoro di diplo-ma. Dal lavoro di diploma, è diventato poi lavoro di dottorato, In quanto tale è stato pubblicato nel ’94. Se per il dottorato mi ero limitata alle prime tre lettre dell’al-fabeto, la casa editrice mi ha detto che non potevano pubblicare una cosa di tre lettere, bisognava farle tutte (ride). Allora ho fatto avanti e indietro Zurigo-Italia, fre-quentando fiere di moda, giornalisti, sarti, sartorie, stilisti. E così è nato questo inte-resse. È stato un lavoro di sei anni. Perché vent’anni dopo ha deciso di riprenderlo? Perché qualche giorno prima di Natale 2015, mi telefona Cesati, l’editore e mi chiede “Non hai scritto qualcosa una volta sulla moda?”. “Si ma tanti anni fa,

perché me lo chiedi?”. “No, perché volevamo uscire con una nuova collana facilmente leggibile e volevamo iniziare con un libro sulla moda”. Fino a quel momento, Cesati era prettamente un editore scientifico, non pubblicava altro. Inoltre aggiunge: “Potresti scrivere qualcosa?”. “Guarda io da vent’anni non mi occupo più del tema. Non so se rendo l’idea. Proprio zero. Né il linguaggio della moda, né moda, né niente.” Visto che l’ultima cosa che avevo appena seminato era il Rinascimento (ride). “Ma potresti cer-care di scrivere qualcosa?”. A quel punto accetto, ma avevo dimenticato di chiedere quanto tempo avevo. Telefono di nuovo. “Quando dovrei fornire…?” “dopo le feste”. Eravamo a Natale… (ride). Per combinazione, proprio a Natale e a Capodanno, saltò improvvisamente un viaggio negli Usa. Se non fosse successo, non sarei mai riuscita a scrivere nulla. Ho passato Natale e Capodanno alla scrivania e a letto, perché grazie al cielo oggi c’è internet. Le serate le trascorrevo con il mio iphone, dove ho aperto per la prima volta in vita mia facebook. Ho cominciato a lavorare da lì. Ho scaricato le riviste di Harper’s Bazaar, Vogue,… tutte le riviste di moda in italiano e in inglese e ho cominciato a leggere cosa sta succedendo ai giorni nostri nel linguaggio della moda. Lavorandoci, ho pensato che andasse corredato con la storia della moda italiana. È importante chiedersi come sia nata l’avventura della moda italiana, visto che fino ad un certo punto la moda apparteneva esclusivamente ai francesi. Poi ecco che grandi firme, come Versace, Armani e tante altre sono cominciate a sbucare, tutti nello stesso periodo, uno dietro l’altro, come i funghi dopo la pioggia a fine estate. Allora ho scritto su questa tema. Poi ho pensato di aggiungere un capitolo sulla moda e sul cinema, che sono legati strettissimamente.

Certo è che nel linguaggio della moda il francese l’ha fatta da padrone. Infatti, io non sono fascista, e se non ci fosse stato Mussolini, noi oggi useremmo esclusivamente terminologia francese. È stato lui che ha imposto l’uso di parole ita-liane al posto delle parole francesi. Se non ci fosse stato questo taglio, probabilmente oggi le sfilate di alta moda si svolgerebbero esclusivamente a Parigi.

C’è questa parte introduttiva, che ha un impianto divulgativo. Ce n’è un’altra inte-ressante sulla formazione delle parole. Con tutte queste voci che richiamano sia elementi di natura geografica sia il mondo animale. L’ho trovato molto simpatico. In realtà, il dizionario costituisce la seconda parte del volume, dove per ogni voce si trova la propria spiegazione. Questo diventa uno strumento che sicuramente è utile per chi è addetto ai lavori a vari livelli, ma diventa anche un modo, per chi, profano al di fuori di questo mondo, fosse semplicemente interessato. Si, perché io noto sempre che certe parole, soprattutto nel linguaggio della moda, ven-gono utilizzare senza sapere cosa stanno a significare. Ho preso solo le cose basilari. Tra di esse, ho dovuto constatare che negli ultimi vent’anni il linguaggio della moda è cambiato tantissimo. Ho dovuto inserire tante parole inglesi, che nel mio lavoro pubbli-cato nel 94 non c’erano. Il linguaggio della moda era prettamente italiano e francese. Parole inglesi ce ne erano pochissime. Oggi si è ribaltato tutto. Parole francesi quasi non ce ne sono più, o, se ci sono, sono derivate dal francese, ma ormai sono diventate internazionali e poi appunto parole italiane. L’inglese ormai sta sovrastando tutti. Sta diventando una lingua veicolare anche nella moda.

Chi volesse leggere il libro cosa fa? Va in rete e lo acquista. Lo trova su ibs.

1 Anna Canonica Sawina, La nascita del rinascimento a Firenze, Franco Cesati editore 2 Anna Canonica Sawina, Le parole della Moda, Franco Cesati editore

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34 - La Rivista marzo 2017

Le novità in Gazzetta Ufficiale

di Manuela CipolloneBurocratiche

Come ogni anno, il Ministero del lavoro ha emanato il decreto – cofirmato anche dal Ministero delle Finanze – che determina le retribuzioni convenzionali 2017 per i lavoratori all’estero. Le norme si applicano ai lavoratori dipendenti italiani inviati all’e-stero, in via continuativa ed esclusiva, su cui viene applicato il calcolo dei contributi assicurativi obbligatori e delle imposte sul reddito dovuti per il periodo di paga 2017, secondo quanto previsto dalla legge n. 317 del 1988.

Obbligatorietà delle assicurazioni sociali La legge stabilisce l’obbligatorietà delle assicurazioni sociali per i lavoratori italiani all’estero in Paesi extracomunitari con i quali non sono in vigore accordi di sicurezza sociale. Per loro, i datori di lavoro pagano i contrinuti previdenziali in base alla legge di ciascuno stato, ma tali contributi sono calcolati su retribuzioni convenzionali. Su questa parte interviene ogni anno il decreto del Ministero del Lavoro che per il 2017 ha pubblicato le relative tabelle per ciascun settore. Le retribuzioni costituiscono anche base di riferimento per la liquidazione delle presta-zioni pensionistiche, delle prestazioni economiche di malattia e maternità nonché per il trattamento ordinario di disoccupazione per i lavoratori rimpatriati. Sono entrati in vigore l’11 febbraio i decreti attuativi della Legge sulle Unioni Civili, detta Legge Cirinnà.

Unioni civili Il primo - “Adeguamento delle disposizioni dell’ordinamento dello stato civile in ma-teria di iscrizioni, trascrizioni e annotazioni, nonché modificazioni ed integrazioni nor-mative per la regolamentazione delle unioni civili” - di fatto integra ogni legge sul ma-trimonio prevedendo dopo la parola “matrimonio” anche la dicitura “unioni civili”. In questo decreto si regola anche l’unione civile all’estero: il secondo comma del pri-mo articolo, infatti, recita: “Il matrimonio e l’unione civile all’estero, quando gli sposi o le parti dell’unione civile sono entrambi cittadini italiani o uno di essi è cittadino italiano e l’altro è cittadino straniero, possono essere celebrati o costituiti innanzi all’autorità diplomatica o consolare competente, oppure innanzi all’autorità locale secondo le leggi del luogo”. Tra i “casi particolari” il decreto annovera (articolo 70-sexies) quello della richiesta di un’unione civile da un cittadino italiano all’estero: “quando una delle parti che chiede la costituzione dell’unione civile è un cittadino italiano residente all’estero, l’ufficiale dello stato civile al quale è fatta richiesta effettua le verifiche di cui all’articolo 70-bis (L’ufficiale dello stato civile deve verificare l’esattezza delle generalità dichiarate da chi chiede l’unione) anche presso il competente ufficio consolare. Se invece la richiesta di costituzione dell’unione civile viene fatta all’autorità consolare, quest’ultima effettua le verifiche di cui all’articolo 70-bis tramite l’ufficiale dello stato civile del comune di iscrizione anagrafica”.

Le retribuzioni convenzionali 2017

per i lavoratori all’estero, i decre-

ti attuativi della Legge Cirinnà, la

nuova Commissio-ne parlamentare

di inchiesta sul femminicidio e

l’Istituzione della giornata nazio-

nale delle vittime civili delle guerre e dei conflitti nel

mondo. Sono solo alcuni

dei provvedimen-ti pubblicati in

Gazzetta Ufficiale nell’ultimo mese.

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marzo 2017 La Rivista - 35

Il secondo decreto modifica e integrale le normative in materia penale per il necessario coordinamento con la disciplina delle unioni civili; il terzo modifica le norme di diritto internazionale privato. In quest’ultimo, ad esempio, si prevede che “Il matrimonio contratto all’estero da citta-dini italiani con persona dello stesso sesso produce gli effetti dell’unione civile regolata dalla legge italiana”. Sempre dall’11 febbraio è possibile inoltrare online le richieste di cittadinanza italiana anche per le unioni civili tra persone dello stesso sesso: se, infatti, l’unione civile avviene con un partner con la cittadinanza italiana, anche l’altro partner potrà richiederla dopo 2 anni se la loro residenza è stabilita in Italia o 3 anni se la loro residenza è all’estero. Quest’attesa può essere ridotta a metà se ci sono i figli legittimi nati dalla coppia.

Commissione parlamentare di inchiesta sul femminicidio In Gazzetta anche la delibera con cui il Senato ha istituito una Commissione parla-mentare di inchiesta sul femminicidio, nonché su ogni forma di violenza di genere. La Commissione dura in carica un anno e avrà il compito di “svolgere indagini sulle reali dimensioni, condizioni, qualità e cause del femminicidio”, ma anche “monitorare la concreta attuazione della Convenzione del Consiglio d’Europa sulla prevenzione e la lotta contro la violenza nei confronti delle donne e la violenza domestica”. E ancora, compito dei parlamentari sarà anche accertare sia “le possibili incongruità e carenze della normativa vigente rispetto al fine di tutelare la vittima della violenza e gli eventuali minori coinvolti” che “il livello di attenzione e la capacita d’intervento delle autorità e delle pubbliche amministrazioni, centrali e periferiche, competenti a svolgere attività di prevenzione e di assistenza”. Infine, la Commissione dovrebbe essere in grado di “proporre soluzioni di carattere legi-slativo e amministrativo” così da “realizzare la più adeguata prevenzione e il più efficace contrasto del femminicidio e, più in generale, di ogni forma di violenza di genere”. La delibera indica poi i poteri della Commissione – che non dovrà mai ledere i diritti di libertà personale e la privacy delle persone coinvolte – e stabilisce come essa dovrà rap-portarsi con le autorità di polizia e giudiziarie per avere accesso ad atti utili al suo lavoro. Al termine della sua attività la Commissione dovrà presentare una relazione finale. Compongono la Commissione venti senatori, di tutti gli schieramenti in proporzione alla loro presenza in Senato. L’articolo 5 torna sull’”obbligo del segreto” per tutti i membri della Commissione e sul personale che collabora con i senatori coinvolti. Per il suo funzionamento vengono stanizati 50.000 euro per l’anno 2017, soldi “a carico del bilancio interno del Senato”.

Giornata nazionale delle vittime civili delle guerre e dei conflitti nel mondo È entrata in vigore il 28 febbraio la legge che istituisce la “Giornata nazionale delle vittime civili delle guerre e dei conflitti nel mondo” che verrà celebrata il 1° febbraio di ogni anno per “conservare la memoria delle vittime civili di tutte le guerre e di tutti i conflitti nel mondo”. La Giornata nasce anche con l’obiettivo di “promuovere, se-condo i principi dell’articolo 11 della Costituzione, la cultura della pace e del ripudio della guerra”. Tutte le amministrazioni saranno chiamate ad organizzare “cerimonie, eventi, incontri e testimonianze sulle esperienze vissute dalla popolazione civile nel corso delle guerre mondiali e sull’impatto dei conflitti successivi sulle popolazioni civili di tutto il mondo”. L’articolo 4 della legge, poi, pone particolare enfasi sulle attività del Ministero dell’istruzio-ne, dell’università e della ricerca per il coinvolgimento delle scuole di ogni ordine e grado. Tante le convenzioni internazionali entrate in vigore nell’ultimo mese; tra queste quella con il Cile contro le doppie imposizioni fiscali; gli accordi con il Principato del Liechten-stein e il Governo del Turkmenistan sullo scambio di informazioni in materia fiscale.

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36 - La Rivista marzo 2017

Si tratta di una misura pensata dal legislatore italiano per incentivare processi di riduzione di orario di lavoro nei confronti dei lavoratori prossimi alla pensione (requisito anagrafico raggiunto entro il 31.12.2018 e quindi 63 e 7 mesi per gli uomini e 62 anni e 7 mesi per le donne) in un quadro di flessibilità dell’uscita dal mondo del lavoro con costi spalmati tra lavoratore, datore e Stato. In pratica, i lavoratori interessati, d’intesa con il proprio datore, possono trasformare il rapporto di la-voro in uno a tempo parziale con una riduzione dell’orario complessivo in una percentuale compresa tra il 40% ed il 60%. Il beneficio è dato dal fatto che la retribuzione per le ore effettivamente lavo-rate, viene maggiorata da una somma (esente da tasse e contributi) pari al 23,81% dello stipendio, relativa alla prestazione non effettuata. Per quanto concerne la pensione per i periodi di part-time è riconosciuta la contribuzione figurativa commisurata alla retribuzione corrispondente al lavoro non effettuato. La pensione sarà la stessa che si sarebbe percepita continuando a lavorare a tempo pieno. A descrivere il contenuto della norma, la previsione parrebbe ottima ma in realtà è stato un flop: le domande accolte sono state solo 200, le previsioni erano di quasi 30.000. Il motivo è questo: i lavoratori hanno potuto andare in pensione ad un’età inferiore a 60 anni, scegliendo così di incas-sare tutto l’assegno e magari di continuare a lavorare da pensionati. Inoltre, da un lato l’esodo dal mondo del lavoro è sempre stato garantito facendo valere il solo requisito contributivo a prescin-dere dall’età anagrafica, dall’altro il tentativo di introdurre un minimo di penalizzazione economica per il pensionamento di vecchiaia anticipata/anzianità prima dei 62 anni è stato prima sospeso poi abrogato. Infine, le salvaguardie per gli esodati hanno consentito a moltissimi lavoratori di andare in quiescenza sulla base delle regole previgenti alla riforma del 2011, quindi ad un’età inferiore dei 63 anni e 7 mesi necessari per percorrere la via del part-time agevolato. Tirando le fila del ragionamento, le deroghe a cui è stata sottoposta la riforma Fornero hanno permesso a chi ne aveva i requisiti di ritirarsi alcuni anni prima dei 63 anni. È stato giustamente osservato (v. G. Cazzola) che il fatto che i vari comitati degli esodati abbiano rifiutato di avvalersi dell’APE (anticipo pensionistico) non è casuale: sapevano che almeno il 70% di loro non sarebbero stati in grado di avvalersene, mentre le ripetute salvaguardie riportavano indietro l’orologio della riforma. E questi lavoratori, che sono stati una parte importante dei nuovi pensionati degli ultimi anni, non avevano bisogno di ricorrere al part-time agevolato. APE e part-time agevolato presentano lo stesso inconveniente che è dato dal limite temporale: 63 anni e 7 mesi è un tempo lungo per chi vuole smettere di lavorare. Chi potrà farlo – e saranno tanti – preferirà avvalersi delle norme stabilite per il pensionamento dei c.d. precoci (41 anni di anzianità senza ulteriori incrementi). Le caratteristiche del sistema pensionistico italiano faranno sì che gli uomini avranno le condizioni per rientrare tra i “precoci” (i lavoratori precoci sono quelli che hanno cominciato a lavorare prima dei 20 anni di età e che hanno, quindi raggiunto i 42 anni di contributi ma non i 62 anni d’età), mentre le donne saranno spinte ad avvalersi in prevalenza dell’APE (sia volontaria che sociale). È certamente più interessante quanto previsto in un decreto attuativo del jobs act, dove il part-time per i lavoratori anziani è collegato ad una contrattazione con le organizzazioni sindacali nell’ambito di un contratto di solidarietà espansiva, con l’obiettivo cioè di consentire nuove assunzioni. Dunque, un mix di lavoro (a part-time) e pensione, legato a nuove assunzioni. Ma non risulta che i sindacati si siano impegnati in tale direzione.

[email protected]

Nessuna cortesia all’uscita... il fallimento del part time agevolato

di Paola Fuso CappelaniaDi lavoro e dintorni

Il part-time agevolato è una

misura sperimen-tale introdotta dall’articolo 1,

comma 284 della legge 208/2015 che consente ai

lavoratori dipen-denti del settore privato a tempo

indeterminato con minimo 20 anni

di contribuzione, di ridurre su base

volontaria l’orario di lavoro per un

periodo massimo di tre anni dal

raggiungimento della pensione di

vecchiaia.

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marzo 2017 La Rivista - 37

La sconfitta del progetto non è stata, come erroneamente pensato da molti, una vittoria della sinistra o una sconfitta della destra. Basti osservare cosa sta succe-dendo in questi primi mesi dell’anno: le grandi famiglie di imprenditori, sicure del fatto che il prossimo progetto di riforma sarà meno favorevole di quello andato in votazione, si preparano ad aumentare i volumi di dividendi da distribuire sotto il regime attuale, ridimensionando così di fatto le casse delle imprese, forse anche a costo di accorciarne la vita. Lo stesso faranno le società holding e privilegiate con le controllate: incassate finché siete in tempo.

E pensare che gli equilibri sono stati turbati da organi e organismi che non sapre-mo nemmeno se esisteranno ancora quando le riforme saranno varate, e se esiste-ranno, da chi saranno governati e con quali intenti. Forse dovremmo guardare in faccia alla realtà e scorrere criticamente la lista dei paesi OCSE, sulla quale, tanto per citarne due, non figura né l’India né tantomeno la Cina, paese a cui di questi tempi tutti rendono visita sperando di fare bella figura. Per non parlare dell’UE, che si batterà nei prossimi mesi con il drago della Brexit e il mostro delle elezioni presidenziali francesi. E allora, forse, facciamola davvero questa riforma, facciamola in fretta e in modo da non essere più convolti nelle discussioni di chi ha disperatamente bisogno di trovare scuse in casa altrui.

Il progetto di esenzione dalla tassa di negoziazione svizzera per le fidu-ciarie statiche Alle fiduciarie statiche italiane spettò già un ruolo di eroe durante gli scudi fiscali italiani: grazie alla possibilità di dichiarare e versare le imposte per il contribuente senza rivelare la sua identità, si permise ai patrimoni italiani all’estero, nei limiti della legge, di restare dove erano, una sorta di emersione camuffata. Nella seduta del 15 febbraio 2017 il Consiglio federale ha adottato il messaggio di legge volto all’abolizione della tassa di negoziazione (il cosiddetto “bollo”) per i patrimoni depositati in Svizzera ma gestiti da una fiduciaria statica all’estero incaricata di garantire gli obblighi di notifica e tributari dei clienti nel loro stato di domicilio. Il progetto sarà trattato nei prossimi mesi in parlamento.

[email protected]

Attualità fiscale La riforma della tassazione delle imprese s’ha da fare

di Tiziana MarencoAngolo Fiscale

Dopo la sconfitta in votazione popo-

lare del 12 febbraio 2017, il progetto di riforma della tassa-zione delle imprese

ritorna di fatto in Parlamento. Il

Consigliere Fede-rale Ueli Maurer,

ben conscio del fatto che i regimi

privilegiati devono scomparire entro il

2019 per soddisfare i nuovi “standard”

di OCSE e UE (e forse anche di altri

paesi desiderosi di diventare great again), ha infatti

già annunciato di voler presentare

entro il giugno di quest’anno un nuovo progetto

limitato ai punti di consenso.

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VIA NASSA 5 - 6900 LUGANOTEL: 0041 91 910 27 50

[email protected]

IN PARTNERSHIP CON:

Il Gruppo SEAL opera a Lugano dal 2005 ed offre servizi inte-grati sia a privati che ad imprese, attraverso le seguenti società:

–SEAL Consulting SA, attiva nella consulenza fiscale / societa-ria / contabile, sia domestica che internazionale, oltre che nel"Cor po rate Services Manage ment" (costituzione di società,governance, regulatory and tax reporting).

–SDB Financial Solutions SA, gestore patrimoniale indipen-dente Svizzero che fornisce servizi di Multi-Family Office incompleta "open architecture" (strutturazione di prodotti tai-lor made di ogni natura, asset consolidation, risk monitoring).Collabora sulla piazza con le più importanti istituzioni banca-rie locali ed internazionali ed è autorizzata FINMA alla distri-buzione di fondi di investimento.

–Interacta Advisory SA, una so cietà di consulenza di dirittosvizzero che opera in ambito tributario domestico ed inter-nazionale con servizi di compliance fiscale dedicati alle perso-ne fisiche e alle società. In particolare nella sfera della consu-lenza privata può assistere i propri clienti nella corretta orga-nizzazione del patrimonio fa miliare attraverso istituti giuridi-ci dedicati per scopo e tipologia d’investimento.

Oltre che a Lugano, il Gruppo SEAL opera con proprie strut-ture a Zurigo, Singa pore e Dubai. Tramite partnerships, ilGrup po opera anche a Malta, Nuova Zelanda, Lussemburgo,Italia e Spa gna.

Con l’approvazione del D.L. 22 ottobre 2016 n. 193, sono statiriaperti i termini di accesso alla voluntary disclosure.

Per effetto della riapertura sarà quindi possibile regolarizzaregli investimenti illecitamente detenuti all’estero e le violazionitributarie commesse fino al 30 settembre 2016.

Gli elementi salienti della riapertura sono i seguenti:- è consentito presentare istanza per la VD-bis entro il prossi-

mo 31 luglio 2017 (salvo ulteriori proroghe);- l’integrazione delle istanze, dei documenti e delle informazio-

ni che verranno forniti all’Agenzia delle Entrate potrà avveni-re fino al 30 settembre 2017 (salvo ulteriori proroghe);

- è stata introdotta la possibilità di provvedere spontaneamenteal versamento di quanto dovuto fino al 30 settembre 2017 oin tre rate mensili di pari importo con pagamento della primarata comunque entro il 30 settembre 2017. Chiaramente inquesta ipotesi vi saranno maggiori oneri per il professionistaincaricato in quanto sarà tenuto a perfezionare nel migliormodo possibile i conteggi;

- accogliendo alcune indicazioni degli ordini professionali èstato previsto l’esonero dalla presentazione del quadroRW/2017 per le attività oggetto di VD, semplificando gliadempimenti per i contribuenti;

- è stato, infine, stabilito l’ampliamento fino al 31 dicembre2018 dei termini di accertamento e di irrogazione delle san-zioni ordinariamente previsti per le sole attività oggetto dellaVD-bis, limitatamente agli imponibili, alle imposte, alle rite-nute, ai contributi, alle sanzioni e agli interessi, e per tutte leannualità e le violazioni oggetto della procedura stessa.

L’Agenzia delle Entrate ha specificato che è possibile aderirealla procedura già a partire dal 25 ottobre 2016.

I consulenti di SEAL Consulting SA sono a disposizione perassistere coloro i quali fossero interessati ad aderire alla proce-dura di voluntary disclosure.

NEWS MARZO 2017

seal_AdV_1_210x297mm_marzo 2017.qxp_Annuario CVLL 10/02/17 10:10 Pagina 1

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marzo 2017 La Rivista - 39

VIA NASSA 5 - 6900 LUGANOTEL: 0041 91 910 27 50

[email protected]

IN PARTNERSHIP CON:

Il Gruppo SEAL opera a Lugano dal 2005 ed offre servizi inte-grati sia a privati che ad imprese, attraverso le seguenti società:

–SEAL Consulting SA, attiva nella consulenza fiscale / societa-ria / contabile, sia domestica che internazionale, oltre che nel"Cor po rate Services Manage ment" (costituzione di società,governance, regulatory and tax reporting).

–SDB Financial Solutions SA, gestore patrimoniale indipen-dente Svizzero che fornisce servizi di Multi-Family Office incompleta "open architecture" (strutturazione di prodotti tai-lor made di ogni natura, asset consolidation, risk monitoring).Collabora sulla piazza con le più importanti istituzioni banca-rie locali ed internazionali ed è autorizzata FINMA alla distri-buzione di fondi di investimento.

–Interacta Advisory SA, una so cietà di consulenza di dirittosvizzero che opera in ambito tributario domestico ed inter-nazionale con servizi di compliance fiscale dedicati alle perso-ne fisiche e alle società. In particolare nella sfera della consu-lenza privata può assistere i propri clienti nella corretta orga-nizzazione del patrimonio fa miliare attraverso istituti giuridi-ci dedicati per scopo e tipologia d’investimento.

Oltre che a Lugano, il Gruppo SEAL opera con proprie strut-ture a Zurigo, Singa pore e Dubai. Tramite partnerships, ilGrup po opera anche a Malta, Nuova Zelanda, Lussemburgo,Italia e Spa gna.

Con l’approvazione del D.L. 22 ottobre 2016 n. 193, sono statiriaperti i termini di accesso alla voluntary disclosure.

Per effetto della riapertura sarà quindi possibile regolarizzaregli investimenti illecitamente detenuti all’estero e le violazionitributarie commesse fino al 30 settembre 2016.

Gli elementi salienti della riapertura sono i seguenti:- è consentito presentare istanza per la VD-bis entro il prossi-

mo 31 luglio 2017 (salvo ulteriori proroghe);- l’integrazione delle istanze, dei documenti e delle informazio-

ni che verranno forniti all’Agenzia delle Entrate potrà avveni-re fino al 30 settembre 2017 (salvo ulteriori proroghe);

- è stata introdotta la possibilità di provvedere spontaneamenteal versamento di quanto dovuto fino al 30 settembre 2017 oin tre rate mensili di pari importo con pagamento della primarata comunque entro il 30 settembre 2017. Chiaramente inquesta ipotesi vi saranno maggiori oneri per il professionistaincaricato in quanto sarà tenuto a perfezionare nel migliormodo possibile i conteggi;

- accogliendo alcune indicazioni degli ordini professionali èstato previsto l’esonero dalla presentazione del quadroRW/2017 per le attività oggetto di VD, semplificando gliadempimenti per i contribuenti;

- è stato, infine, stabilito l’ampliamento fino al 31 dicembre2018 dei termini di accertamento e di irrogazione delle san-zioni ordinariamente previsti per le sole attività oggetto dellaVD-bis, limitatamente agli imponibili, alle imposte, alle rite-nute, ai contributi, alle sanzioni e agli interessi, e per tutte leannualità e le violazioni oggetto della procedura stessa.

L’Agenzia delle Entrate ha specificato che è possibile aderirealla procedura già a partire dal 25 ottobre 2016.

I consulenti di SEAL Consulting SA sono a disposizione perassistere coloro i quali fossero interessati ad aderire alla proce-dura di voluntary disclosure.

NEWS MARZO 2017

seal_AdV_1_210x297mm_marzo 2017.qxp_Annuario CVLL 10/02/17 10:10 Pagina 1

In effetti, gli imprenditori che intendono avviare un’attività commerciale nell’ambito FinTech, tra le altre cose, sono facilmente soggetti alla Legge federale sulle banche e le casse di risparmio (LBCR) e alla relativa ordinanza (OBCR), anche se i servizi offerti non corrispondono prettamente a quelli di una banca. Di conseguenza, le imprese FinTech sottostanno all’obbligo di autorizzazio-ne e alla sorveglianza dell’Autorità federale di vigilanza sui mercati finanziari (FINMA). General-mente parlando, a fronte dei costi importanti per l’adempimento della rigorosa normativa ban-caria svizzera, è comprensibile che una giovane azienda possa essere scoraggiata ad attuare un progetto FinTech. Pertanto, la legislazione in essere costituisce un ostacolo all’accesso al mercato che impedisce innovazioni e, in ogni caso, non incita le imprese FinTech ad avviare un’attività in Svizzera, il che nuoce alla competitività del mercato svizzero. Al fine di evitare questi effetti nocivi, il Dipartimento federale delle finanze ha ricevuto il compito di elaborare un avamprogetto per una revisione della LBCR e della OBCR, essenzialmente ad integrazione delle seguenti 3 agevolazioni per il settore FinTech: (1) fondi su conti di regolamento: le imprese FinTech non sono soggette alla LBCR e alla OBCR se le operazioni in base ai depositi dei loro clienti su conti di regolamento sono eseguite entro 60 giorni dal deposito dei soldi. La prassi vigente prevede l’esecuzione entro 7 giorni, il che rende praticamente impossibile per piattaforme di crowdfunding di beneficiare dell’esenzione. Il mar-gine di 60 giorni, invece, mira a facilitare la raccolta di fondi per dette piattaforme. (2) sandbox: le imprese FinTech possono operare in uno spazio d’innovazione (figuratamente sandbox), nel quale l’accettazione di depositi del pubblico è permessa senza autorizzazione e senza sorveglianza da parte della FINMA, fino a un ammontare complessivo di CHF 1 milione. L’idea della sandbox è di consentire alle aziende un margine di manovra per sottoporre un deter-minato progetto FinTech alla prova del nove prima di dover richiedere un’autorizzazione presso la FINMA. (3) licenza FinTech: le imprese FinTech che conducono un’attività unicamente passiva, ossia la mera accettazione di depositi del pubblico, approfittano di esigenze regolamentari meno severe rispetto a quelle in vigore per banche “classiche”. In particolare, è prevista la creazione di una specifica licenza per il settore FinTech, rilasciata dalla FINMA a condizioni agevolate. Tale licenza permette all’azienda di accettare depositi fino a una soglia massima di CHF 100 milioni e, inoltre, di operare a condizioni favorevoli in materia di contabilità, verifica e garanzia dei depositi. Sono anche previsti requisiti ridotti per quanto riguarda il capitale minimo (invece di CHF 10 milioni “solo” 5% dei depositi del pubblico accettati, ma almeno CHF 300,000), fondi propri e liquidità.

Il 1° febbraio 2017, il Consiglio federale ha lanciato la procedura di consultazione, nel corso della quale va esplorata la fattibilità di realizzazione della revisione. Le parti interessate (cantoni, certe associazioni, partiti rappresentati nell’Assemblea federale, altre organizzazioni interessate) hanno occasione di esprimersi in merito entro l’8 maggio 2017. Sulla base dell’esito della consul-tazione, il Consiglio federale determinerà la necessità di modificare l’avamprogetto. Di seguito, presenterà un progetto al Parlamento svizzero, accompagnato dal relativo messaggio. Va detto che, mentre l’avamprogetto certamente rimuove delle barriere per determinate prestazioni, non affronta altri aspetti rilevanti per il settore FinTech. Difatti, a seconda della gamma di servizi offer-ti, un’impresa FinTech deve osservare altre regolamentazioni dell’ambito finanziario.

[email protected]

Novità del settore FinTech

di Riccardo GeiserAngolo legale Svizzera

Le aziende del settore tecnofi-nanziario (Fin-Tech), in Sviz-

zera si trovano confrontate con una legislazione

vigente molto rigida e severa,

idonea ad intral-ciare la dinamicità di queste imprese

all’avanguardia.

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40 - La Rivista marzo 2017

Il beneficiario effettivo: la sua visione in una verifica fiscaleDi fronte a questa fattispecie, in buona sostanza, la GDF in sede di verifica e quindi la Amministrazione Fiscale nell’ambito dell’accertamento fiscale contesta questa impostazione manifestando la tesi che il percettore delle somme non sia il beneficiario effettivo del reddito ma che questo soggetto debba invece identificarsi nella società (residente extracee) che andiamo a denominare come ZLTD e quindi sorge il problema della ritenuta alla fonte.

Commenti Guardando al complesso dei documenti che possiamo vedere è interessan-te vedere che: 1. Non viene contestata in alcun modo la fittizietà1 della società che ha percepito i dividendi (è del tutto chiaro che l’erogante italiano ha pagato i dividendi alla controllante estera residente nella UE e questo fatto non viene contestato dalla GDF e dall’Agenzia); 2. Viene detto però che i dividendi (ovvero il reddito erogato) erano desti-nati2, fin dal principio, al soggetto ZLTD (residente extracee) e pertanto si sostiene lecito dire che la società residente in UE ha fatto solo da tramite per il passaggio di questa componente reddituale verso il destinatario finale (anche se materialmente essa ha registrato questa somma nel suo conto economico e quindi ha distribuito dividendi che nascono da un suo utile3); 3. In sostanza, questo viene sostenuto nella verifica e nell’accertamento, la fittizietà non attiene al soggetto estero (la cui struttura amministrativa – leggera o meno – non viene in discussione) ma alla operazione in se stessa4

(la erogazione dei dividendi) che vedrebbe come beneficiario effettivo la società ZLTD;

di Paolo Comuzzi Convenzioni Internazionali

Senza andare nei dettagli (anche se

esiste su que-sta materia una sentenza recen-

te della CTP di Milano dal quale è lecito prendere

i fatti di causa) possiamo dire

che la fattispecie si sostanzia in

un pagamento di dividendi da

parte di una società italiana ad una società

estera (residen-te fiscale nella

Unione Europea - UE) con ritenuta pari a zero come previsto nel caso

di specie.

1 In sostanza la Holding residente nella UE è considerata come una società vera che opera veramente una attività di impresa. 2 Questo sulla base di considerazioni di fatto relative alla decisione di procedere con la distribuzione del dividendo. 3 Ovvio che se fossero mancate queste scritturazioni la situazione sarebbe stata molto più complessa. 4 Questo è importante in quanto sposta il concetto di beneficiario effettivo da

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marzo 2017 La Rivista - 41

4. Andando nei dettagli si sostiene che i dividendi (ovvero la som-ma erogata) erano destinati alla società ultima (extracee) e questo perché è stata (secondo la GDF e la Agenzia) proprio questa so-cietà che avrebbe deciso di far procedere la controllata indiretta alla distribuzione delle somme5 (come se per questa specifica ope-razione il percettore – residente fiscale nella UE – altro non fosse che una stabile organizzazione di ZLTD formata nella UE e incapa-ce di qualsiasi decisione propria). In buona sostanza nessuno mette in discussione la struttura (per-sonale e uffici) e la capacità operativa della società sita nella UE (il primo percettore delle somme)6 ma viene contestata la operazione singola e questo avviene guardando solo al flusso del dividendo e sostenendo che dette somme nella sostanza sono transitate nella società socia residente nella UE solo per per un “transito”7 ma non perché questa società potesse dire di averne la disponibilità giuridica ed economica. Il fatto che ZLTD abbia fornito la indicazione alla società UE di far procedere la controllata italiana alla erogazione di un dividendo porterebbe a considerare la stessa ZLTD come il beneficiario delle somme erogate (una tesi questa certamente molto forte e che, lo ripetiamo, identifica nella società UE un soggetto non autonomo nel processo decisionale). Andando alla definizione di beneficiario effettivo è interessante notare come la Amministrazione Finanziaria richiami numerosi do-cumenti di prassi ed alla fine concluda che si può parlare di bene-ficiario effettivo quando il percettore delle somme (nel nostro caso i dividendi) trae un proprio beneficio economico dalla operazione posta in essere e questo richiede che il percettore abbia la titolarità e la disponibilità del reddito percepito (in sostanza il percettore delle somme deve poter “maneggiare” il reddito percepito – dicia-mo maneggiare per usare un linguaggio semplice – e non vedersi costretto a “girarlo” immediatamente ad un diverso soggetto cosa questa che comunque difficilmente avviene8). Se vogliamo riassumere la situazione in modo sintetico diciamo che il percettore UE deve dare una piena dimostrazione di avere un potere di decidere l’utilizzo economico delle somme che ha perce-pito e questo è un punto fondamentale della discussione, un pun-to che incide anche in modo pesante (a nostro modo di vedere)

sulla responsabilità del soggetto erogante (che ha molti problemi nell’accertamento di una simile condizione di fatto e che diffi-cilmente può raggiungere una conclusione definitiva in merito a questo punto specifico).

Conclusione Premessa la sconfitta nel pri-mo grado del giudizio (ma restano appello e Cassazio-ne) appare evidente come la Amministrazione Finanziaria abbia centrato la sua osser-vazione tenendo conto del reddito singolo ed evitan-do di parlare del percettore nel suo complesso. Questo è un punto molto rilevante in quanto siamo in presenza di un caso molto complesso in cui un percettore di so-stanza (ovvero un percetto-re con personale ed uffici e che svolge una vera attività economica) viene comunque a subire una contestazione relativamente ad una singola attribuzione reddituale e ap-pare ancora di maggior evi-denza la difficoltà per il sog-getto erogante di procedere ad un esame dettagliato del-la posizione del percettore stesso con la conseguente problematica della responsa-bilità per le sanzioni.

soggetto con sostanza a soggetto che “apprende” quello specifico reddito. 5 In buona sostanza non viene considerata la autonomia giuridica. 6 La società UE è un vero imprenditore. 7 Come un treno che passa senza fermarsi da una stazione (nessuno nega che la stazione sia grande ma la stessa non beneficia del treno). 8 Tornando al treno diciamo che la stazione ne beneficia quando lo stesso si ferma ma non per caso bensì per far salire e scendere le persone.

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marzo 2017 La Rivista - 43

Una star della moderna psicoanalisi, Massimo Recalcati, sostiene che l’occidente capitalista ha prodotto una nuova forma di schiavitù: l’essere umano senza desideri, condannato a procurarsi un qualche godimento unicamentwwe attraverso il consumo compulsivo e perennemente insoddisfatto. Viene allora da domandarsi se il fenomeno sia veramente totalmente nuovo o se esso costituisca la manifestazione moderna di una vecchia modalità di funzionamento di cui siamo portatori noi umani. Già nell’antica Grecia un gigante della filosofia come Platone spiegava che è molto facile bruciare dal desiderio per qualcosa che non si possiede ancora e immaginare quanto saremmo felici ad averlo. Molto più difficile è continuare ad apprezzare ciò che ci è già stato donato in modo da gustare a lungo la soddisfazione del desiderio realizzato.

In tempi più recenti, Proust pensava che siamo votati alla perenne insoddisfazione. Nel suo romanzo Alla ricerca del tempo perduto, il protagonista soffre atrocemente quando Albertine non è presente. Ma quando lei arriva, si annoia e spera che se ne vada al più presto. La passione amorosa si nutre dunque di ostacoli, di assenze, di incontri fugaci. Dal momento in cui i due innamorati trascor-rono assieme le notti, le mattinate, i pomeriggi e le sere, lo spazio del desiderio si riduce. La filosofa Michela Marzano sostiene che ci innamoriamo poiché lui o lei portano in sé la promessa di qualcosa che aspettiamo da sempre, qualcosa che abbiamo perso e che desideriamo ardentemente ritrovare. Salvo poi… Cosa cambia se passiamo dal desiderio amoroso a quello del possesso di determinati oggetti? Anche qui si potrebbe dire come Bernard Shaw che ci sono due catastrofi a proposito dei desideri: la prima è quando questi non sono soddisfatti; la seconda è quando lo sono.

Nella moderna società dei consumi prevale l’aspirazione al tutto, subito e con facilità. Il no-stro rapporto alle cose desiderate diventa simile a quello che hanno i bambini viziati nei confronti dei regali promessi. Prima di Natale o del compleanno il tempo dell’attesa sembra loro eterno. Il desiderio si espande. Ripetono le loro richieste, sono impazienti e fanno capire quanto li renderebbe infelici non avere questo o quello. Poi il regalo arriva. Anzi, spesso una montagna di regali. Al bambino bastano in seguito poche ore, gli basta arrivare al pomeriggio del 25 dicembre o alla sera della festa di compleanno per sentirsi già un po’ annoiato. Non sa bene perché. Non ha ancora letto filosofi come Platone o scrittori come Proust. Per non parlare poi di quei genitori, di quei nonni e zii che non aspettano neanche le richieste dei pargoli e cercano di indovinare e anticipare tutti i loro presunti desideri inondandoli di regali ancor prima che questi siano richiesti. L’intenzione di “non far mancare loro niente” priva i figli e i nipoti della capacità di aspettare e annulla il fascino dell’oggetto donato. La linfa vitale dell’attesa e la gioia di vivere il piacere della conquista vengono di fatto prosciugate.

Cosa ci impedisce di diventare succubi del meccanismo del bambino viziato? Investire il desi-derio in traguardi che richiedono impegno e perseveranza. Se non basta, due altri filosofi ci vengono in aiuto. Penso a Kant quando dice che per essere felici occorre aver solo in parte ciò che si desidera. Penso a Spinoza che considera la felicità come la capacità di amare ciò che NON ci manca. Ciò che abbiamo è dunque l’elefante invisibile di cui dobbiamo imparare a gioire. Non si tratta quindi, ad esempio, di aver voglia di mangiare solo quando non abbiamo cibo a disposizione, ma al contrario di coltivare la saggezza di gustare con piacere il buon cibo di cui godiamo ogni giorno. In campo amo-roso ciò significa pensare all’essere amato dicendosi: sono felice perché tu sei presente. Anche se ho bisogno di momenti di lontananza per gustare tale felicità. Un tale approccio filosofico non compie miracoli, ma può farci vivere meglio.

Crisi del desiderio?

di Vittoria Cesari LussoL’elefante Invisibile1

1 Una vecchia leggen-da indiana narra di un elefante che pur

muovendosi tra la folla con al sua impo-

nente mole passava comunque inosser-

vato. Come se fosse invisibile…

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44 - La Rivista marzo 2017

Perché gli uomini in Egitto non por-tano più la barba?

È inevitabile notarlo, per strada: uno si aspetta barbe colossali e niqab a perdita d’occhio, e inve-ce nulla di tutto ciò. Un brutto colpo al folklore, non c’è che dire: è un po’ come scoprire che la madre del re di Giordania è inglese, o che una regina iraniana prendeva il sole in costume sulle spiagge italiane, o che in Palestina producono un’eccellente birra, o che in Tunisia la poligamia è ufficialmente vietata da più di cinquant’anni, o che le chiavi del portone della Basilica del Santo Sepolcro a Gerusalemme sono da secoli affidate a due famiglie musulmane. Peccato che l’occidentalismo della gente per le strade del Cairo non abbia nulla a che vedere con il clima di libertà, secolarismo e progressismo che si respirava negli anni Sessanta, quando Nasser indicava con il suo panarabismo socialista una terza, ragionevole via che si sottraesse al letale gioco di potere della guerra fredda, rifiutando l’asservimento economico alle potenze stra-niere – basti pensare alla nazionalizzazione del Canale di Suez, la cui gestione venne strappata all’intesa franco-britannica (il che ricorda peraltro i tempi dell’Iran di Mossadeq che estrometteva gli inglesi dalla gestione delle proprie risorse petrolifere…ma questa è un’altra triste storia...). In-somma, a quei tempi, al Cairo il niqab era qualcosa come “il vestito della bisnonna che nessuno mette più”, mentre oggi è piuttosto “il vestito tenuto chiuso nell’armadio perché non si può più metterlo”… ma andiamo con ordine. Una delle correnti islamiche che più di altre è da identificare con il fondamentalismo e l’ottuso conservatorismo religioso è certamente il wahabismo – imperante in Arabia Saudita: lì sì che trovereste rassicurante conferma a tutti gli stereotipi sul musulmano becero – che in Egitto così come in altri stati arabi fornisce sostentamento ideologico e materiale ad analoghe correnti (salvo poi entrarvi periodicamente in conflitto): ecco allora che mentre Nasser in seguito alla sconfitta nella guerra dei sei giorni con Israele insaccava il colpo che avrebbe segnato l’inizio del suo ineluttabile declino, i Fratelli Musulmani, da lui osteggiati, ebbero buon gioco a intraprende-re campagne di propaganda fondamentalista intrisa di wahabismo che proponevano al popolo un’alternativa al nasserismo agonizzante. Ed ecco spuntare qualche barba incolta, e qualche casaccone nero riesumato dall’armadio della bisnonna. Con l’uscita di scena di Nasser, la Fratellanza proseguì la sua attività politica trovando nei suoi successori – Sadat, ma soprattutto Mubarak – degli avversari ben più tolleranti del loro illustre predecessore, e riuscendo ad espandersi, al punto che, in seguito alla primavera araba (alla quale peraltro non parteciparono che molto marginalmente) e alla conseguente deposizione di Mubarak, conquistarono addirittura il governo con Morsi. Ora, a chi vedeva con perplessità se non ostilità l’instaurazione di un regime fortemente islamizzato saltato opportunamente all’ulti-mo minuto sul carro della rivoluzione vincente, Morsi rispose promettendo un clima d’apertura verso lo sciismo (che però, ad onor del vero, nell’Egitto pur formalmente sunnita è sempre stato largamente accettato, essendo la tradizione rituale egiziana de facto tendente al sincretismo – basti pensare al notevole ammontare di moschee cairote destinate alla venerazione del parenta-do maomettano), nonché grande considerazione di copti e donne, per i quali sarebbero anche stati previsti cadreghini in governo…la tentazione di fidarsi era forte, insomma, e si era quasi pronti ad accettare il patto col diavolo…se non che Morsi non ha nemmeno avuto il tempo di mancare alle proprie promesse, in quanto al-Sisi, l’attuale presidente, se ne è sbarazzato con un golpe, instaurando un regime militare. Ed ecco che improvvisamente nessuno per strada può mostrarsi eccessivamente pio: i membri della Fratellanza vengono perseguitati, e le donne in niqab insultate e aggredite. Libertà…libertà d’Egitto, è proprio il caso di dirlo…affaire à suivre!

Storie d’Egitto

di Mirko FormentiPer chi suona il campanello

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marzo 2017 La Rivista - 45

Ricordo ancora a distanza di

molti anni come un vero e pro-

prio “momento magico” una

cena a lume di candela su una terrazza affac-ciata sul mare.

Lume di candela in senso letterale:

le uniche fonti luminose erano le fiammelle accese

sui pochi tavoli.

La bellezza del luogo e il romanticismo che la situazione potrebbe evocare c’entrano solo in minima parte con l’intensità di quell’esperienza. C’eravamo seduti a tavola mentre gli ultimi raggi del sole ancora sfioravano il paesaggio. Ma quando il sole è sparito oltre il filo dell’orizzonte, lentamente ma inesorabilmente, il mondo intorno a noi si è immerso nell’oscurità più totale. Nessuna traccia di quell’«inquinamento luminoso» che caratteriz-za porzioni sempre più larghe del nostro mondo, e che ci rende sempre più difficile con-templare il cielo stellato. Ricordo poche altre esperienze paragonabili a quella. Una notte nella vaI Bavona, dove non c’è luce elettrica. Una notte “nera come la pece” fra i sentieri della campagna senese, appena fuori da un minuscolo borgo fortificato. Parentesi d’ec-cezione, in un’esistenza costantemente e massicciamente bombardata dai watt luminosi. La storia dell’umanità, d’altra parte, offre tutte le spiegazioni possibili. L’oscurità, il buio, a lungo sono stati (e lo sono ancora adesso) sinonimi di minaccia, pericolo, inquietudine. Luoghi tranquillamente frequentati alla luce del sole, di notte se non illuminati si trasfor-mano in posti da evitare, evocano paura e tensione. Il paesaggio stesso, nella nostra per-cezione, di notte diventa magico e suggestivo solo quando è illuminato— magari con luci studiate ad hoc per accentuare quell’atmosfera fiabesca (si pensi ai castelli di Bellinzona) che ormai ci è diventata così familiare da non percepirne più l’artificialità. Naturalmente il discorso è anche più complesso di così. La dialettica luce-buio, fin dalla notte dei tempi, richiama alla mente la lotta fra bene e male. Nelle grandi storie, con il bene trionfa la luce; con il male, sono le tenebre (“l’uomo nero”) ad essere sconfitte. Ma il buio non ha solo connotazioni e valenze negative. Così come lo cerchiamo dispe-ratamente quando vorremmo, senza riuscirci, esplorare le costellazioni nelle notti cariche di fastidiosi riverberi luminosi, così ci rendiamo conto, nel profondo, che il buio è una dimensione fondamentale della nostra interiorità. È il luogo dove possiamo in ogni istante, con il semplice atto di chiudere gli occhi, ritrovare noi stessi. È la sostanza stessa del nostro essere. Nel buio siamo soli con noi stessi: tutto il resto — luoghi, persone, avvenimenti — restano fuori della soglia. Non a caso del buio spesso abbiamo paura: l’aver popolato di luci le nostre notti non è che una grande metafora della paura del vuoto che l’uomo rischia di incontrare quando è solo a confronto con se stesso. E anche l’accanimento a voler vivere di notte, a star fuori in compagnia fino all’alba, in fondo indica la volontà di sfuggire il rischio, ritrovandosi da soli in fondo alla notte, di avere di fronte il nulla. E invece il buio può essere un alleato prezioso per entrare in sintonia con il mondo. «Quan-do sento dentro di me un disagio, un dolore, un conflitto – ha scritto Raffaele Morelli in Ciascuno è perfetto (Mondadori) – socchiudo gli occhi e dico al buio: fai tu. Con questo semplice esercizio ho imparato la psicologia della resa, della non opposizione. Quando provo un disagio mi dico: Cosa posso farci, io non sono nessuno, sono il buio che copre l’isola del mio lo. Mi arrendo e basta. Subito dopo arriva la pace. Significa che il buio ha fatto cessare la lotta con me stesso, la voglia di rimettere le cose a posto, che è la causa principale del perdurare del conflitto».

La cena al buio, l’uomo nero e l’oscurità da evitare(Brevi considerazioni su una paura dei nostri tempi)

di Nico TanziBenchmark

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La Svizzera prima della SvizzeraNon si può parlare di Storia della Svizzera senza conoscere gli avvenimenti che precedettero la formazione del primo nucleo della Confederazione Elvetica, nel lontano 1291. Bisogna, infatti, avere un quadro, anche se solo per sommi capi, di quei fatti che furono all’origine del lungo e difficile percorso che, dopo oltre cin-que secoli, avrebbe portato all’unità geografica e politica di questo Paese nei suoi confini attuali. Storia molto complessa e ancora più affascinante, se si considera che il suo territorio non ha costituito «mai un’unità né politica né linguistica», né «culturale o economica». C’è dunque una Storia della Svizzera prima della Svizzera, che bisogna conoscere per capire a fondo gli avvenimenti che hanno portato poi alla formazione e al duraturo mantenimento, nei secoli, della Confederazione Elvetica. Tindaro Gatani, nostro prezioso collaboratore, ricercatore e appassionato studio-so dei rapporti italo-svizzeri, ha raccolto l’invito di realizzare una sintesi della storia di questo Paese dalle origini alla fondazione della Confederazione. Il risultato di questo lavoro sono le 13 puntate apparse sulla Rivista da gennaio 2012 a febbraio 2014, che, dopo un’attenta revisione, rispondendo anche alla richiesta di molti lettori, vedono la luce sotto forma di un volume.

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La Svizzera: da Morgarten (1315) a Marignano (1515) Le puntate apparse su «La Rivista», dal marzo 2014 a settembre 2015, sono state adesso raccolte in un volume curato dallo stesso autore, Tindaro Ga-tani, con il titolo La Svizzera: da Morgarten (1315) a Marignano (1515), nel quale si narrano gli avvenimenti di quei duecento anni che videro la Nazione elvetica diventare la più grande potenza militare europea. La pubblicazione si aggiunge al primo volume La Svizzera prima della Svizzera, edito sempre dalla Camera di Commercio Italiana di Zurigo.

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Giacomo Casanova in SvizzeraIl nostro collaboratore Tindaro Gatani ha pubblicato un interessante volume sulle avven-ture amorose di Giacomo Casanova in Svizzera, la prima opera in italiano che tratta delle gesta del grande libertino e avventuriero veneziano in Terra elvetica. Nella premessa, tra l’altro, l’autore scrive: «Tutte le pubblicazioni sulle avventure di Giacomo Casanova sono coronate da successo, non sempre, però, per merito dei vari curatori ma, piuttosto, per il brillante racconto che, nella sua Storia della mia vita o Memorie, ne fa lo stesso avventu-riero veneziano, che ha saputo unire l’arte di grande amatore con quella di consumato affabulatore. Per non appropriarmi della sua forza narrativa ho voluto che fosse lui stesso, con il suo racconto, a condurre i lettori attraverso la Svizzera del suo tempo. Per questo mi sono limitato solo a riassumere, a chiosare, a soffermarmi su alcune alte personalità dell’Ancien Régime elvetico, il periodo storico che precedette la Rivoluzione francese e la bufera napoleonica che avrebbe, poi, investito, sovvertendola, la vecchia Confederazione. (…) Da parte mia ho seguito le sue gesta servendomi dell’aiuto di quanti mi hanno pre-ceduto sulle sue orme nello stesso itinerario e, soprattutto, della guida esperta di Pierre Grellet (1881-1957) che, con Les aventures de Casanova en Suisse, pubblicate a Losanna nel 1919, ha saputo tracciare con maestria un quadro puntuale e fedele delle sue imprese in Terra elvetica. (…)».

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marzo 2017 La Rivista - 47

Gli Svizzeri, costretti ad accettare, obtorto collo, la Me-diazione napoleonica, cercarono in ogni modo di resi-stere e di reagire alle ingiunzioni sempre più pressanti dell’imperatore despota. Mentre da una parte sottosta-vano, a denti stretti, alle intimazioni dettate da Parigi, dall’altra non tralasciavano, però, di palesare tutta la malavoglia di eseguire quegli ordini imposti da una po-tenza straniera.

La neutralità armata L’Imperatore dei Francesi, non tralasciava, comunque, occa-sione per umiliarli e ricordargli di essere il loro padrone as-

soluto, al quale non interessava nulla della loro democrazia e della loro neutralità. Come ci ricorda anche Edgar Bonjour, Napoleone non risparmiava, infatti, avvertimenti e minacce, come quando disse ai delegati della Dieta, che erano andati a chiedere maggiore autonomia da Parigi: «Non sopporterò mai alcun’altra influenza sulla Svizzera che non sia la mia». Alle sue parole seguivano puntualmente i fatti. Incurante di quello che gli Svizzeri volevano e dicevano, Napoleone «mise seria-mente in pericolo l’indipendenza e la neutralità del loro Paese anche con cessioni territoriali». Nel 1806, si fece dare dal Re di Prussia il Principato di Neuchâtel in cambio di Hannover e alcuni altri territori della Germania meridionale. Il blocco continentale, al quale, «atterrita dalle massicce confische francesi, la Dieta si sottopose spontaneamente», aveva, intan-to, avuto per l’economia svizzera «conseguenze disastrose» BONJOUR Edgar, op. cit., pp.45-46).

Di tanto in tanto, gli Svizzeri tentavano di ribellarsi timida-mente alle imposizioni napoleoniche. Il 23 settembre 1805, lo stesso giorno della fondazione della Terza coalizione an-tinapoleonica (formata da Gran Bretagna, Impero austriaco, Impero russo, Regno di Napoli e Svezia), una Dieta federale straordinaria, riunita a Soletta, dichiarò lo stato di neutralità armata della Confederazione, nominando il bernese Niklaus Rudolf von Wattenwyl generale in capo con il compito di di-fendere le frontiere. Napoleone promise il rispetto di quella neutralità se gli Svizzeri avessero ottenuto un simile impegno ufficiale da parte dell’Austria. I contatti diplomatici per il riconoscimento della neutralità ar-mata si interruppero a causa della precipitazione degli even-ti bellici, che si conclusero, il 2 dicembre, con la vittoria di Napoleone e la disfatta della Terza coalizione ad Austerlitz in Moravia, nella memorabile Battaglia dei Tre Imperatori (oltre

Dalla Svizzera degli Stati a quella

federale

La Svizzera dalla Mediazione napoleonica alla Restaurazione

di Tindaro Gatani

La battaglia di Austerlitz del 2 dicembre 1805. Dipinto del 1810 di François Gérard (1770-1837).

Napoleone, dopo aver battuto le forze della Quarta coalizione, il 27 ottobre 1806, entra da trionfatore a Berlino attraverso la Porta di Brandenburgo. Dipinto di Charles Meynier (1768-1832), conservato alla Reggia di Versailles.

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a Napoleone e a Francesco I d’Austria, c’era anche Alessan-dro I di Russia). Le clausole della pace di Presburgo, l’odierna Bratislava, del 26 dicembre 1805, oltre all’uscita di Francesco I dalla Terza coalizione, stabilivano, tra l’altro, la cessione al Regno d’Italia napoleonico, fondato nello stesso 1805, del Ve-neto, di Gorizia e della Dalmazia, in cambio del Principato di Salisburgo, che passava all’Austria, che era costretta a pagare anche ingenti danni di guerra e a riconoscere i regni di Bavie-ra, del Württemberg, il Granducato di Baden e la nuova Con-federazione del Reno, creata da Napoleone tra diversi Stati tedeschi. Dopo il disimpegno austriaco, il fronte antifrancese, nell’agosto del 1806, si ricompattò nelle Quarta coalizione, di cui facevano parte la Gran Bretagna, la Prussia, l’Impero russo, la Svezia, la Sassonia e il Regno delle due Sicilie. Napoleone, dopo avere vinto i Prussiani nella battaglia di Jena (14 ottobre 1806) ed essere entrato da trionfatore a Belino il successivo 27 ottobre, si preparò allo scontro con le armate russe, che avevano già invaso la Polonia, sconfiggen-dole poi nella battaglia di Friedland del 14 giungo 1807. Con la successiva pace di Tilsit, Napoleone e lo zar Alessandro I (1777-1825) si dividevano, in pratica, l’Europa in due sfere d’influenza, lasciando fuori dagli accordi tutte le altre potenze.

L’invasione del Ticino Napoleone, le cui armate avevano occupato la Prussia e buo-na parte del resto d’Europa, si avviava a diventare il padrone assoluto di tutto il Continente. Di fronte al pericolo di restare per sempre sotto l’influenza francese, l’Impero austriaco si al-leò nuovamente, nella Quinta coalizione, con il Regno Unito

e invase la Baviera fedele alla Francia, che intervenne con prontezza e vinse gli Austriaci in diverse battaglie, costringen-doli alla resa in quella di Wagram del 5-6 luglio 1809. Le tante dure condizioni del trattato di Schönbrunn (pace di Vienna) del 14 ottobre 1809, che poneva fine allo scontro, furono miti-gate, l’anno dopo, dalla conclusione del matrimonio tra Maria Luisa d’Austria o Maria Luigia di Parma (1791-1847), figlia dell’imperatore austriaco Francesco I, con lo stesso Napoleo-ne, che, proprio nel 1809, aveva divorziato da Giuseppina di Beauharnais, che non era riuscita a dargli un erede. Con la pace di Vienna, Napoleone si era fatto riconoscere il titolo di Mediatore della Svizzera e, quindi, in pratica, di sovra-no della Confederazione. Nel frattempo era diventato signore anche di Rhäzüns, nei Grigioni, che prima apparteneva all’im-peratore d’Austria. Tutti dovevano sapere che «la Svizzera era un giocattolo nelle sue mani» e che, quindi, doveva assistere, «impotente e rassegnata, alla mutilazione del proprio suolo» (MARTIN William, op. cit., pp. 175-177). Nel momento della sua massima potenza, quando si credeva ormai onnipotente, le pretese di Napoleone sulla piccola Sviz-zera si fecero sempre più assillanti. Al Landamano di turno, lo zurighese Hans von Reinhard (1755-1835), che chiedeva maggiore considerazione del suo Paese e della sua neutrali-tà, il 25 aprile 1809, Napoleone si spinse a dirgli: «La vostra neutralità è per me una parola priva di senso» e, per rinca-rare la dose, aggiunse «e vi è utile solo entro i limiti da me stabiliti». Poi, non contento di aver tolto alla Confederazione il Principato di Neuchâtel, la città di Ginevra, la Valtellina e il Vallese, si volle impossessare anche di tutta la Svizzera di lingua italiana. Con la scusa di reprimere il contrabbando e di

La battaglia della Beresina (26-29 novembre 1812) in un dipinto d’epoca.

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assicurare alla giustizia i disertori, il 6 ottobre 1810, ordinò al Viceré di Milano Eugenio de Beauharnais (1781-1824), figlio della sua prima moglie Giuseppina, di invadere e occupare tutto il Ticino e la Valle Mesolcina. L’Imperatore in persona, non volendo «aver parte nell’incidente», fece derubricare l’in-vasione a semplice azione di polizia. Nel pomeriggio del 31 ottobre 1810, un primo corpo di 2.000 uomini occupò Luga-no, altri 3.500 soldati seguirono dopo qualche giorno. Mentre il comandante in capo, il modenese conte Achille Fontanelli (1775-1838), occupava il 1° novembre Bellinzona, un pic-colo contingente di circa 250 soldati si impossessava della Mesolcina. «Scopo inconfessato» di tutta l’operazione era quello di «stancare i Ticinesi, fino a costringerli a domandare l’annessione al Regno italico», con «le vessazioni, le taglie, le requisizioni...» (CALGARI Guido, op. cit., p. 389). Non volendo ulteriormente compromettere i suoi rapporti con gli Svizzeri, nel momento in cui aveva sempre più bisogno dei loro sol-dati da impiegare sui vari fronti, le pretese di Napoleone si ridussero alla richiesta di rettifiche di frontiera tra il Ticino e il Regno italico. La battaglia per la futura appartenenza del Tici-no restava comunque aperta anche se si andava sempre più affermando la volontà dei suoi abitanti di restare per sempre liberi e svizzeri.

Il Congresso di Vienna L’astro brillante di Napoleone aveva, però, cominciato a sbia-dirsi dopo la sconfitta navale di Capo Trafalgàr. In quella batta-glia, avvenuta tra il 20 e il 21 ottobre 1805, a nord-ovest dello Stretto di Gibilterra, la flotta franco-spagnola era stata com-pletamente distrutta da quella inglese, comandata dall’am-miraglio Horatio Nelson (1758-1805), che vi perse la vita. Da allora in poi, nonostante le sue continue vittorie, Napoleone cominciò a indebolirsi sempre più, a causa delle continue campagne di occupazione, che logoravano le sue forze mi-gliori. La più disastrosa di quelle imprese fu la Campagna di Russia. Il 25 giugno 1812, alla testa di un imponente esercito di oltre 600 mila uomini di varie nazionalità, invase quel va-stissimo Paese, sicuro di poterlo occupare in poche settima-ne, ma una volta giunto in una spettrale Mosca abbandonata e data alle fiamme dai suoi stessi abitanti, il 18 ottobre, fu costretto a ordinare il dietro front. La mancanza di viveri, la guerriglia nemica, le malattie, le diserzioni e soprattutto l’i-nizio del rigidissimo inverno russo trasformarono la ritirata in uno spaventoso disastro, il cui ultimo atto fu la battaglia della Beresina, un affluente di destra del Dnepr o Nipro. Tra il 26 e il 29 novembre 1812 sulle sponde di quel fiume, la Grande Armata francese subì ingenti perdite in uomini e materiali. Le predite ammontarono ad oltre 400 mila uomini tra morti e dispersi. Dei 7.000 svizzeri ne sopravvissero solo 700. Cen-tinaia di migliaia di uomini persero la vita in battaglia e per stenti nel corso della ritirata, mai un disastro militare era stato più grande. Napoleone riuscì a stento a sfuggire al massacro e, poi, con i soldati rimasti laceri, affamati e sfiniti, a marce for-zate, a ritornare indietro. Le ingenti perdite non gli impedirono, però, di rimettere su di nuovo un potente esercito da opporre alle forze della Sesta coalizione, formata dall’Inghilterra, dalla Russia, dalla Svezia e dalla Prussia, che lo sconfissero nella

battaglia di Lipsia del 16-19 ottobre 1813. Con il trattato di Parigi del 30 maggio 1814, Napoleone fu costretto ad abdi-care e a ritirarsi sull’isola d’Elba, da dove, dopo cento giorni, riuscì a fuggire e a organizzare un nuovo esercito con il quale si scontrò con le armate della Settima coalizione (Inghilterra, Prussia, Russia e Austria) che, il 18 giugno 1815, lo sconfis-sero definitivamente nella battaglia di Waterloo, nel Brabante belga, a circa 15 km a sud di Bruxelles. L’Inghilterra lo fece allora relegare a Sant’Elena, una sperduta isola dell’Oceano Atlantico, dove si sarebbe spento il 5 maggio del 1821. Le grandi potenze europee, che avevano sconfitto Napoleone si riunirono in Congresso a Vienna, sotto la regia di Klemens von Metternich (1773-1859), potente uomo politico e futuro (dal 1821 alla morte) cancelliere austriaco, per decidere il nuovo assetto politico dell’Europa. Quel Congresso fu un vero e proprio Mercato di popoli nel quale l’Austria, l’Inghilterra, la Prussia e la Russia, fecero i loro interessi e quelli dei loro ami-ci. Una presenza del tutto particolare fu quella del francese Charles-Maurice de Talleyrand-Périgord, principe di Benevento (1754-1838), che, con la sua indiscussa abilità diplomatica, riuscì a capovolgere la posizione della Francia da «grande accusata» a «vittima dell’imperialismo di Napoleone». Egli si era fatto accreditare al Congresso come plenipotenziario di re Luigi XVIII, fratello di Luigi XVI, che era stato ghigliottinato per effetto della Rivoluzione. Il ragionamento del Talleyrand, che chiedeva giustizia per il suo re e per tutti gli altri sovrani spo-destati da Napoleone, fu adottato senza riserva all’unanimi-tà. Questo anche perché il suo ragionamento comportava la restaurazione totale delle condizioni politiche esistenti prima della Rivoluzione con gli aggiustamenti territoriali che faceva-

L’imperatrice dei Francesi Maria Luisa d’Austria (1791-1847). Ritratto di Jean-Baptiste Paulin Guerin (1783-1855).

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no comodo alle grandi potenze. Così, per merito di Talleyrand «la Francia vinse la pace dopo aver perso la guerra».

La neutralità perpetua La strada della Svizzera verso la neutralità perpetua fu molto aspra e funestata da forti contrasti, che rigettarono, nuova-mente, il Paese nel caos e nell’anarchia. Subito dopo la scon-fitta di Napoleone a Lipsia, si era scatenata la forza centrifu-ga dei Cantoni, che miravano alla restaurazione del vecchio modello di repubbliche sovrane ognuna sul proprio territorio. I vecchi Cantoni di Uri, Svitto, Obwalden e Nidwalden, seguiti da Lucerna, Grigioni, Friburgo e Zugo, con veri e propri colpi di Stato si erano staccati dalla Dieta federale, mentre i nuovi Cantoni dell’Argovia, della Turgovia e del Vaud, che avevano acquisito l’indipendenza in seguito all’Atto di Mediazione e temevano di tornare sotto gli antichi baliaggi, si schieravano dalla parte di Napoleone, sperando in una sua nuova vittoria. Non avevano tutti i torti, perché, già il 24 dicembre 1813, il partito aristocratico di Berna appoggiato dall’Austria, preso il potere, si affrettò a lanciare un proclama «ai loro fedeli sud-diti dell’Argovia e del Paese del Vaud», affinché ritornassero sotto il loro dominio. Più defilata per ragioni particolari era la posizione del Ticino, di San Gallo e dei Grigioni, mentre i due Appenzello, Basilea, Sciaffusa e Zurigo attendevano lo svilup-po della situazione. Lo zar Alessandro I interveniva, intanto, pesantemente, per im-

pedire il distacco dei Grigioni dalla Confederazione e un suo eventuale inglobamento all’Austria. Nel trambusto generale, la vecchia repubblica di Gersau, sul Lago dei Quattro Cantoni, il 2 febbraio 1814, proclamò la sua indipendenza da Svitto. Il 19 febbraio Uri si era, intanto, annesso il suo vecchio ba-liaggio di Leventina, staccandolo dal Ticino, ancora occupato dalle truppe del Regno italico. A coloro che ci tenevano ad avere una Svizzera coesa non restava che sperare «nel man-tenimento dell’Atto di Mediazione, fuori dal quale non vede-vano che caos e lotte fratricide» (MARTIN William, op. cit., pp. 183-187). A salvare la Svizzera, ormai «sull’orlo della guerra civile», fu lo zar Alessandro I. Per respingere le richieste della Prussia, che avanzava suoi presunti vecchi diritti sulla Confe-derazione e quelle dell’Austria, che voleva sostituire il proprio protettorato a quello francese, lo zar, dopo essersi incontrato con il vodese Federico Cesare de La Harpe, che era stato suo istitutore, negli anni della sua permanenza in Russia, abbrac-ciò la causa svizzera, riuscendo a imporla al Congresso di Vienna in cambio di altre concessioni. Spinto da La Harpe, Alessandro I intervenne anche in Svizzera inviandovi il conte Giovanni Capodistria o Capo d’Istria (1776-1831), diplomati-co greco, nativo di Corfù, al suo servizio e, poi, primo capo di Stato del suo Paese indipendente. Il compito di Capodistria non era semplice: da una parte doveva imporre l’idea di una Svizzera coesa e neutrale ai suoi colleghi, che lo avevano rag-giunto a Zurigo; dall’altra doveva mettere d’accordo gli stessi Cantoni in continuo dissidio su questioni territoriali (GILLIARD Charles, op. cit., p. 72). Nelle more delle decisioni da prendere a Vienna, Svitto e Glarona occupavano, rispettivamente il 2 e il 19 maggio 1814, i vecchi baliaggi di Uznach e di Sargans. L’Appenzello Esterno avanzava pretese sul Rheintal, Zugo sul Freimat e Berna sul Fricktal. Tra i forti dissidi interni e le bra-me di spartizione esterne, il Capodistrria, sfruttando anche i contrapposti desideri di supremazia di Prussia e Austria, che avanzavano loro progetti di spartizione e di asservimento del-la Svizzera, riuscì alla fine a imporre il suo pensiero, e cioè che la migliore soluzione per tutti sarebbe stata una Confede-razione coesa con una neutralità perpetua, garantita da tutti gli altri Stati europei.

Le trattative con le Potenze europee Alla fine, la Prussia e l’Austria avevano dovuto cedere alle pressioni russe, anche perché gli Svizzeri, fiaccati dalle guer-re e dalle invasioni straniere, in disaccordo su tutto, si erano trovati d’accordo uniti e decisi solo sulla proposta di Capodi-stria, cioè di accettare il riconoscimento della loro neutralità come premessa alla pace futura. Nota, infatti, ancora Edgar Bonjour: «La delegazione svizzera al Congresso di Vienna era disgraziatamente composta di rappresentanti della vecchia e della nuova Confederazione, uomini che si paralizzavano a vicenda e rendevano impossibile qualsiasi azione comune ed energica poiché i loro desideri concernevano quasi esclusi-vamente costituzioni cantonali e rettificazioni di confine. Su un punto però non avevano divergenze d’opinioni: non vi era controversia intercantonale sulla questione della neutralità. I delegati svizzeri avevano ricevuto il preciso mandato di chie-dere il riconoscimento di questo principio della politica estera

Il conte Giovanni Antonio Capodistria (1776-1831), nativo di Corfù, plenipotenziario russo e primo capo del governo della Grecia indipendente.

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della Confederazione e tutti vi si profusero senza secondi fini» (BONJOUR Edgar, op. cit., p. 52). Bisognava, però, costringere i vecchi Cantoni a riconoscere, con uguali doveri e diritti, l’e-sistenza dei nuovi e sostituire l’Atto di Mediazione con una nuova forma di Stato. Si doveva trovare cioè una soluzione che accontentasse tutti: gli uni volevano, infatti, tornare all’An-cien Régime e dare tutta la sovranità ai singoli Cantoni senza nessuna autorità centrale, gli atri volevano, invece, trattare sul-le basi delle conquiste portate dalla Rivoluzione francese. Alla fine prevalse il varo di un nuovo Patto federale che mettesse tutti d’accordo. Non fu facile. Gli emissari delle grandi potenze alleate, man-dati in Svizzera per adottare il nuovo Patto si erano trovati di fronte a un compito molto difficile. A Zurigo, il Capodistria per la Russia, Ludwig von Lebzeltern per l’Austria, Jean-Pierre Chambrier d’Oleyres per la Prussia e Stratford Canning per l’Inghilterra, davanti ai continui dissidi interni, furono costretti a imporre le loro decisioni. Furono, infatti, loro, come ricorda il Martin, a fare «il bello e il cattivo tempo», a impartire «ordine

alla Dieta» e a redigere «le costituzioni cantonali», mentre «i deputati» dei vari Cantoni «facevano anticamera nei loro al-berghi» sulle rive della Limmat. Si giunse al punto che questi stessi ministri stranieri «s’indignavano che gli Svizzeri non sa-pessero fare un gesto senza chiedere il loro permesso». Sotto-messi quando si trattava di chiedere propri privilegi, «gli Sviz-zeri non erano, tuttavia docili» quando si trattava di decidere il bene di tutti! Tanto che ci vollero ben «cinque fallimenti in otto mesi» prima che i ministri plenipotenziari delle quattro mag-giori potenze europee riuscissero «a far adottare, il 16 agosto, il patto della Restaurazione», ma solo «dopo avergli tolto tutto ciò che riguardava le frontiere cantonali e le indennità che gli stessi Cantoni reclamavano reciprocamente», tutti problemi che «furono rinviati al Congresso, che doveva tenersi a Vien-na». Nonostante gli impegni presi fu, tuttavia, «necessario un più imperioso ultimatum», con il quale, il 9 settembre 1814, dovette essere imposta agli Svizzeri «l’adozione del Patto che doveva unirli per più di trent’anni» (MARTIN William, op. cit., p. 187). Uno scatto di orgoglio permise, tuttavia, agli Svizzeri di

Un’immagine della disastrosa ritirata dell’Armata napoleonica dalla Campagna di Russia nel novembre 1812. Dipinto d’epoca.

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presentarsi a Vienna con un proprio Patto federale concordato all’unanimità tra i 22 Cantoni, ai quali il Congresso autorizzò l’aggiunta dei vecchi loro alleati del Vallese, di Neuchâtel e di Ginevra. Come delegato svizzero alle trattative per la seconda Pace di Parigi, fu scelto Charles Pictet de Rochemont (1755-1824), un abile diplomatico di origine ginevrina, con il mandato di ottenere «la promessa stesura del documento ufficiale sul ri-conoscimento della neutralità perpetua». Poiché la questione della neutralità perpetua era ormai assodata e accettata da tutti, «come già a Vienna, anche a Parigi, il tema principale dei negoziati con la Svizzera» fu quello della rettifica dei confini.

Ginevra e la Valtellina Per l’occasione, il Pictet riuscì abilmente a togliere dall’isola-mento la sua città, assicurando a Ginevra un collegamento diretto con il resto della Confederazione, facendosi cedere il territorio di Versoix e quelli savoiardi dello Sciablese, del Fu-cigny e di quello a nord di Ugine, impegnandosi con il Re di Sardegna di farli «partecipi della neutralità svizzera». Poiché il tutto non doveva sembrare un aumento territoriale svizzero ai danni di altri Paesi, la Confederazione, ottenuta la rettifica dei confini di Ginevra, non si oppose all’unione alla Francia di Mulhouse, ancora occupata dagli Austriaci. Il trattato di Parigi, sottoscritto il 30 maggio 1814, doveva essere, però, confer-mato dal Congresso di Vienna. La Svizzera aveva di che esse-re soddisfatta dei risultati, e soprattutto essere orgogliosa del fatto che a redigere il documento ufficiale sulla sua neutralità perpetua, i plenipotenziari inglese e russo avessero incari-cato lo stesso Pictet de Rochemont. Fu «un incredibile colpo di fortuna» che quella dichiarazione «potesse essere scritta da uno svizzero e, per così dire, messa in bocca alle Poten-ze» (Austria, Francia, Gran Bretagna, Prussia e Russia), che la fecero propria, approvandola poi a Vienna, il 20 novembre 1814, «con modifiche del tutto insignificanti». A Vienna falliro-no, però, le trattative per fare almeno di una parte della Savoia un Cantone svizzero sotto il Re di Sardegna, sull’esempio di Neuchâtel, che entrava nella Confederazione pur restando sotto il Re di Prussia.

Il fallimento più grave fu però quello riguardante l’apparte-nenza della Valtellina, dove buona parte della popolazione locale voleva costituirsi prima in Cantone e quindi aderire alla Confederazione, ma non voleva ritornare sotto l’amministra-zione dei Grigioni. A rappresentare la Valtellina a Vienna c’era il conte Diego Guicciardi (1756-1837), nativo di Lugano, che, dopo essere stato un solerte funzionario della Cisalpina, non aveva accettato la nomina a viceré del Regno del principe Eu-genio, figliastro di Napoleone, e non riusciva a nascondere le sue simpatie per l’Austria. Fu lui a lanciare l’idea di un nuovo Cantone, comprendente la Valtellina con Bormio e Chiaven-na. Era una tattica per prendere tempo. Un inaspettato aiuto alle sue trame gli arrivò proprio da parte svizzera: lo zurighese Hans von Reinhard si oppose categoricamente all’ammissio-ne di un nuovo Cantone cattolico in seno alla Confederazione, egli voleva che quel vecchio baliaggio continuasse a far parte integrante del Cantone Grigioni, ma a Vienna nulla fu fatto in tal senso. Con il passare degli anni sia la Confederazione sia i Grigio-ni avrebbero protestato, a varie riprese, contro la spoliazione subita, riservandosi di rivendicare i propri diritti in futuro. Nel 1859, nel momento in cui l’Austria, dopo le sconfitte subite per opera di Napoleone III, si ritirava dalla Lombardia e il Pie-monte non l’aveva ancora occupata, si presentò l’occasione opportuna di rivendicare la Valtellina. La Svizzera impegnata nell’impossibile ripresa della Savoia, se ne dimenticò com-pletamente. Il Congresso della pace tra gli Imperi austriaco e francese, che si tenne a Zurigo, il 10 novembre 1859, non ricevendo alcun reclamo in merito da parte della Svizzera, trasmise la Valtellina, alla Francia, insieme alla Lombardia, che poi Napoleone III avrebbe ceduto al Regno di Sardegna (Piemonte) in cambio di Nizza e della stessa Savoia (MARTIN William, pp. 197 e 253). Dopo il Congresso di Vienna, con il nuovo Patto, cominciava per la Svizzera un periodo di prospe-rità materiale con lo sviluppo dell’agricoltura, dell’industria, dei commerci e la nuova e redditizia attività del turismo, che avrebbe fatto del suo territorio uno dei Paesi più visitati dagli stranieri.

I corazzieri francesi caricano la fanteria britannica durante la battaglia di Waterloo. Dipinto del 1874, del pittore Henri Félix Emmanuel Philippoteaux (1815-1884).

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Manca poco al tramonto quando il cielo grigio e nero che incombe sulla città di Haven si ac-cende di un rosso infuocato. Ma quel bagliore non proviene dal sole calante che tenta di il-luminare uno degli ultimi giorni che precedo-no il Natale. È il rosso violento di un incendio scaturito sulla cima di una collina in periferia, nella cittadina abbandonata di Eden Crossing. Il respiro del fuoco non ha lasciato scampo: l’eccentrico tempio che accoglieva il reverendo Tobias Manne e i suoi adepti è ora un sepol-cro ardente con decine di vittime. La profiler Anna Wayne e il detective Lucas sono arrivati troppo tardi per impedire quel suicidio rituale... ma qualcosa appare assurdamente incongruo. E forse quello non è un suicidio collettivo, ma la più efferata delle stragi, messa in atto da una mente visionaria e geniale. Mentre in città la notte arde di altri fuochi, Anna e Lucas devo-no sfidare il tempo per riuscire a elaborare un profilo del killer, ricostruire la storia delle vittime e individuare la più sfuggente delle ombre, pri-ma che uccida ancora. Ma ogni indagine ha un prezzo, e quando sia Anna sia Lucas scoprono che quel caso affonda le radici nel loro passa-to, nei loro segreti, sono costretti a chiedersi se possono davvero fidarsi l’una dell’altro. Federico Inverni è lo pseudonimo di un autore che preferisce conservare il proprio anonimato. Nasconde i suoi interessi e le sue passioni fra le righe che scrive. Ha esordito nel 2016 con il thriller Il prigioniero della notte (Corbaccio).

Il sistema politico svizzero fa parlare di sé l’Eu-ropa intera, per esempio quando i cittadini impongono di rinegoziare gli accordi di libera circolazione, oppure quando abrogano la de-cisione di acquistare 22 aeroplani da caccia. La democrazia diretta moderna, di tipo svizzero, affianca e non sostituisce la democrazia rap-presentativa. Essa abolisce il monopolio del po-tere legislativo e questo contribuisce a creare un dialogo tra rappresentanti e cittadini e a te-nere sana ed effettivamente “rappresentativa” la democrazia. In questo piccolo paese, pieno di montagne, l’unica risorsa naturale estraibi-le dal sottosuolo è l’acqua. Negli indici sulla competitività industriale svetta però al primo posto nel mondo. L’autore ha scoperto che lì, nei secoli, si è sedimentato qui un ricchissimo “giacimento di democrazia”. Scrive Luigi Bobbio nella prefazione: «Ciò che rende questo libro particolarmente affascinan-te è che si configura come il racconto di una graduale presa di coscienza.» … «Il suo punto di vista non è quello dello studioso – giurista o politologo – ma è quello del cittadino che si è trovato coinvolto.» «... Sono convinto che abbiamo molto da imparare dalla Svizzera ... e quindi da questo libro» Leonello Zaquini, ingegnere, residente in Svizzera dalla fine degli anni ‘90, eletto nel Consiglio comunale di Le Locle, Cantone di Neuchâtel è ora Professore Onorario del-la HE-ARCIngegnerie, University of Applied Sciences Western Switzerland ed imprenditore.

La moda ha un linguaggio tutto proprio, compo-sto di parole ed espressioni in gran parte entrate nell’uso comune dell’italiano. Ma davvero conosciamo tutti i loro significati? Che cosa differenzia, ad esempio, un abito ad anfora da uno a guaina? E uno a palloncino da uno a tubo? Che cos’è un eden? E un ottomano? Lo spiega l’autrice nel dizionario prêt-à-porter o, meglio, prêt-à-lire! Un libro fresco, interessante, dettagliato e curioso, in cui lingua italiana e lin-guistica diventano glamour, fondendosi con la moda e con il costume. All’interno, un piccolo compendio di storia della moda e le definizioni fondamentali del lessico dell’eleganza, tantissime curiosità e immagini, informazioni, aneddoti. Un vero must-have per chi lavora nel mondo delle passerelle o chi della moda vorrebbe fare il pro-prio mestiere, come giovani blogger, giornalisti, stilisti, studenti. Un libro da portare sempre in borsa e da consul-tare per trovare la parola giusta per un articolo, disegnare un bozzetto partendo da una defi-nizione o dalla storia di un capo, ma anche per chi vuole approfondire la tematica dei linguaggi tecnico-specialistici. Anna Canonica-Sawina, vive nel Canto Zurigo dove insegna di lingua italiana da 33 anni. Insegnante di storia, storia dell’arte, cultura ita-liana e storia del cinema italianoè autrice di libri di storia, storia dell’arte. Organizzatrice di viaggi culturali in Italia. si occupa del linguaggio della moda dagli anni Ottanta, periodo a cui risale il suo primo dizionario. Ma si sa, il mondo del fa-shion cambia di stagione in stagione e deve stare al passo con le tendenze, per accoglierle.

Anna Canonica-Sawina Le paroLe deLLa moda Piccolo dizionario dell’eleganza(Franco Cesati Editore pp 192; €16.00)

Leonello ZaquiniLa democrazia diretta vista da vicino(Mimesis/SX pp. 171; € 16,00)

Federico Inverni iL respiro deL fuoco(Il corbaccio pp. 480; € 16,90)

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Pirandello è un autore celebre ma anche per tanti versi sconosciuto, sia in Italia che all’estero. Alcuni dei suoi testi fanno parte del canone. A livello internazionale sono famose soprattutto le sue opere di teatro, mentre in Italia sono largamente noti anche i romanzi e le novelle, spesso in seguito a letture liceali. L’opera pirandelliana ha conosciuto, fin dall’inizio, una fortuna variabile nel tempo e nello spazio. Affermatosi come narratore con Il fu Mattia Pascal, Pirandello rag-giunge fama internazionale con le messe in scena a Londra, a New York e a Parigi dei Sei personaggi in cerca d’autore. Per questa fama a partire dagli anni ‘20 e ‘30 la sua influenza entra nel sostrato culturale agendo in modo talora sotterraneo su scrittori e artisti dei più svariati ambiti. Si può così parlare di una doppia presenza di Pirandello; egli continua ad essere letto come autore di certi testi; ma è ravvisabile anche una sua influenza celata per quanto riguarda alcuni snodi della sua poetica e della sua Weltanschauung. La variabilità temporale e spaziale della presenza o dell’obsolescenza di alcuni stimoli pirandelliani risulta significativa per il quadro artistico e socioculturale di un paese. Il 150esimo anniversario della nascita dell’autore ci offre l’occasione di cogliere la dialettica tra presenza e assenza di opere e di temi pirandelliani nella cultura italiana e internazionale. Una mappatura sincronica, diacronica e geografica del

fenomeno Pirandello permette anche una rilettura attuale del farsi della no-stra sensibilità estetica ed esistenziale. Il convegno di Zurigo vuole animare gli studiosi a esaminare tre ambiti princi-pali: 1. Pirandello autore del modernismo europeo 2. La ricezione creativa di Pirandello 3. L’articolazione del pensiero pirandel-liano nelle diverse culture nazionali

Pirandello tra presenza e assenza

Per la mappatura internazionale di un fenomeno culturale

16-18 Marzo: Convegno a Zurigo in occasione del 150° anniversario della nascita

PROGRAMMA

GioVedì 16 mARzo – KoL-F-109

13.30 - 14.00 Benvenuto da parte della Direttrice del Romanisches Seminar, Tatiana Crivelli; Saluto videofilmato da parte del sindaco di Agrigento, Calogero Firetto

14.00 - 14.45 Thomas Klinkert (Zurigo) Pirandello autore del modernismo europeo

14.45 - 15.30 Antonio Sichera (Catania) Pirandello e Montale

Pausa caffè

16.00 - 16.45 Antonella del Gatto (Chieti) Riso e linguaggio in Pirandello: Tra Benjamin e Jakobson

16.45 - 17.30 Fausto de michele (Graz) Variazioni umoristiche del romanzo esistenziale. Pirandello, Frisch e Jean Paul Rinfresco

19.00 Spettacolo teatrale: Pirandello pipistrello Monologo scenico di Ferruccio Cainero con musiche di danilo Boggini Kirchgemeindehaus Hottingen, Asylstrasse 36, 8032 Zürich

VeNeRdì 17 mARzo – Ko2-F-152

9.00 - 9.45 dominique Budor (Paris) Le «maschere» francesi di Pirandello: dalla rivoluzione teatrale alla nevrosi

9.45 - 10.30 Georges Güntert (Zurigo) Pirandello e il teatro spagnolo del Novecento: un’affinità

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che viene da lontano

Pausa caffè

11.00 - 11.45 michael Rössner (München) Un grottesco transatlantico. Pirandello in Argentina

11.45 - 12.30 Alessandra Vannucci (Rio de Janeiro) 7 di settembre del 1927. L’illustre sig. Pirandello ha preso il treno alla Central do Brasil

Pranzo

14.00 - 14.45 Rino Caputo (Roma) «La cotidiana sete di spettacoli». Pirandello dagli Anni Trenta al Terzo Millennio

14.45 - 15.30 Anna Frabetti (Strasbourg) Six personnages en quête d’auteur : appunti su alcune «traduzioni sceniche», da Georges Pitoëff a Wajdi Mouawad

Pausa caffè

16.00 - 16.45 Anna Pevoski (Zurigo) Pirandello attraverso il caleidoscopio svizzero

16.45 - 17.30 Paola Casella (Zurigo) Pirandello alla Radiotelevisione della Svizzera Italiana: l’intervista a Marta Abba del 1983

SABATo 18 mARzo – Ko2-F-152

9.00 - 9.45 Pierre Lepori (Losanna) «Creare, crearsi»: Pirandello queer

9.45 - 10.30 Angelo maria mangini (Bologna) Effetto Murnau. Pirandello e il cinema come «perturbante»

Pausa caffè

11.00 - 11.45 marialaura Simeone (Napoli) Da Die Riesen vom Berge (1994) a In cerca d’autore. Studio sui Sei personaggi (2012): Luca Ronconi «traduttore» di Pirandello

11.45 - 12.30 Srecko Jurisic (Split) Le turnazioni tra Pirandello e Camilleri: dal «Turno» alla «Targa» e oltre

12.30 - 13.00 Tavola rotonda La partecipazione al convegno è gratuita.

Sede deL CoNVeGNo Universität Zürich, Hauptgebäude Rämistrasse 71, 8006 Zürich KOL-F-109/KO2-F-152

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56 - La Rivista marzo 2017

Un uomo e una donna uniti nella vita per indurci a pensare, in italiano, ai nostri margini. E per comprendere, attraverso le immagini, con quale materia gli stessi margini sono stati fabbricati. E come varcarli.

Nato a Netstal nel Canton Glarona nel 1904 e scomparso a Ginevra nel 1980, Ludwig Hohl ha influenzato il pensiero e la produzione di Max Frisch, di Adolf Muschg, di Peter Bichsel e di Friedrich Dürrenmatt. È pertanto doveroso dare giusto risalto all’opera e alla figura di un letterato che non ha goduto di noto-rietà, nonostante la pregnanza stilistica con cui espresse gli esiti della sua raffi-nata investigazione.

Un autore tormentatoDestino comune a molti, diremo noi con la mente rivolta a Robert Walser e a Frie-drich Glauser. Ma nel caso di Hohl lo stu-pore si fa ancora più grande se si richia-mano alla memoria le parole elogiative che Friedrich Dürrenmatt gli riservò, giu-dicando i suoi scritti come fondamentali e non accessori: Hohl è necessario, noi siamo contingenti. Noi documentiamo ciò che è umano, Hohl lo stabilisce. L’op-era più importante di Hohl, alla quale Dürrenmatt fa riferimento nel suo enco-mio, è intitolata Die Notizen oder von der unvoreihgen Versöhnung, pubblicata a Zurigo nel 1944 da Artemis, ma tradot-ta in lingua italiana solo nel 1999, poi uscita con il titolo contratto di Note per i tipi della Casa editrice milanese Marcos y Marcos. Il lettore italiano che si accosta al libro avrà la possibilità di comprende-re l’insito significato dell’immagine di

Uno sguardo diverso

sul mondo che ci circonda

Ludwig Hohl e Hanny Fries

di Giuseppe Muscardini

Hanny Fries, Ritratto di Ludwig Hohl, 1944, olio su tela, foto R. Pedrini, © Stiftung Righini-Fries, Zürich

Ritratto fotografico di Ludwig Hohl, anni Cinquanta

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marzo 2017 La Rivista - 57

copertina solo procedendo nella lettura: vi compaiono numer-osi fogli appesi a fili con le mollette, come indumenti ad asci-ugare dopo il bucato.Ci sorprende il divario temporale fra la prima edizione dell’opera di Ludwig Hohl, uscita in tedesco in due parti - rispettivamente nel 1944 e nel 1954 - e la successiva traduzione italiana. La verità è che lo spessore intellettuale di Hohl è passato a lungo sotto silenzio a causa di un percorso esistenziale travagliato, che ha posto l’autore nella condizione di doversi trasferire prima in Francia e poi in Olanda, per ritornare negli anni Cinquanta in Svizzera, dove prese alloggio in una cantina di Ginevra. Ques-ta è l’immagine più veritiera che abbiamo di Ludwig Hohl: un signore âgé dai toni amabili e dall’aria distaccata, ben vestito con giacca e cravatta, in un ambiente angusto e senza finestre, davanti alla scrivania ricolma di libri e cartelle, con numerosi fogli, disegni e fotografie che pendono dal soffitto, agganciati a fili che corrono in alto. È il commovente ritratto di Hohl restituito dal fotografo Roger Montandon, che in un’istantanea coglie lo scrittore non più giovane contrapponendo la sua figura in pri-mo piano ad un disordine ambientale del tutto ininfluente, ma solo pittoresco. Come se l’esteriorità fosse secondaria rispetto alla pressante necessità dell’esplorazione dell’esistenza, alla quale Hohl sempre ubbidì.

Le immagini di un pensatore, rese dalla moglie artistaLudwig Hohl è stato ripreso in pose quotidiane anche dai fo-tografi Jean Mohr e Daniel Vittel, oltre che dal regista Alexander J. Seller, che ha impiegato i fotogrammi per un cortometraggio intitolato Film in Fragmenten. Le immagini hanno un impatto che rimane nel tempo: ci si chiede come il destino possa dec-retare per certi esseri umani situazioni tanto proibitive, pur com-pensate da una rara limpidezza di pensiero ancora persistente in età avanzata, e per di più condita da invidiabile fierezza.Almeno negli affetti Ludwig Hohl fu premiato: la nota artista zurighese Hanny Fries (1918-2009), che negli anni Quaran-ta con lui condivise a Ginevra l’esistenza, ritrasse il marito in disegni di grande effetto, con le medesime valenze celebrative dei ritratti realizzati per immortalare le scene del teatro di Dür-renmatt, esposti dieci anni fa, nel gennaio-marzo 2007, presso lo Stadthaus di Zurigo. Dürrenmatt in Schauspielhaus Zürich Theaterzeichnungen. 1954-1983, era il titolo di quella mostra curata dal Centre Dürrenmatt di Neuchâtel. Con uguale realis-mo, Hanny Fries fornì dell’ex-marito una dipintura fedele e at-tendibile, esempio superbo di ritratto psicologico di un uomo in costante meditazione, il viso un poco avvizzito, lo sguardo perso

in qualche idea dominante. Così appare Hohl anche in una tela in cui si delineano, fra pastose e materiche pennellate di colore, i tratti e i vezzi dell’uomo di profilo, i capelli lunghi e la sigaretta che gli pende dalle labbra, mentre è immerso nella lettura di un libro. La stessa Fries ebbe poi il privilegio di ritrarlo nel 1980 nella definitiva e inanimata posa della morte. Quelle immagini restituiscono di Ludwig Hohl la dimensione più autentica, am-mantando il periodo conclusivo della sua vita di una profonda tenerezza. Una tenerezza prodotta dal naturale illanguidirsi di tutti noi di fronte alla vicenda di un uomo costretto a vivere a lungo in una deprimente cantina, ma sempre capace di entu-siasmarsi quando, all’interno di quel locale asfittico, inseguiva il flusso delle idee con mente lucida e ancora cosciente delle proprie potenzialità.

Il percorso editoriale italiano Se negli ultimi dieci anni l’opera e la biografia di Ludwig Hohl è stata importata in Italia, oltre che all’impresa editoriale della Marcos y Marcos lo si deve alle iniziative dall’Istituto Svizzero, che nello Spazio Culturale di Venezia allestì nello stesso 2007 - anno della citata esposizione su Dürrenmatt curata da Hanny Fries allo Stadthaus di Zurigo - una mostra fotografica comple-tata dall’accurato studio di Peter Erismann e Anna Ruchat Ai margini del vuoto. Ludwig Hohl e l’evocazione delle cose, uscito dai torchi delle Edizioni Effigie di Milano. Da quella Venezia ric-ca di fascino che Hanny Fries conosceva per aver in più occa-sioni viaggiato in Italia, da quella zona lagunare da lei stessa tratteggiata in un gradevole olio su tela raffigurante la Stazione di Mestre, si diede avvio in Italia alla scoperta delle riflessioni dell’ex marito, di cui lei aveva illustrato con quindici schizzi l’edizione zurighese della raccolta di racconti Nächtlicher Weg, Morgarten-Verlag, Conzett & Huber, 1953, poi resa in lingua italiana nel 1991 dalla Marcos y Marcos con il titolo di Sentiero notturno nella traduzione di Giusi Valent. Senza quelle iniziative culturali, senza le traduzioni, non avremmo recepito in Italia la profondità del grande sentire di Ludwig Hohl, che così espresse un concetto sostanziale sulle complesse modalità dell’uomo di rapportarsi con il reale: Il mondo consiste di strade, pochissime delle quali sono già state percorse. Tutto lo spazio inafferrabile intorno a te è fatto di strade che tu non vuoi riconoscere come tali. Le strade, l’uomo non le deve costruire. Avere il coraggio di riconoscere una strada, questa sì è una conquista. Un concetto che vale per tutto. Uno di quei punti fermi su cui non esisto-no dubbi di sorta intorno alla sua validità. Istiga al coraggio, al recupero degli entusiasmi perduti, alla consapevolezza che molto ancora resta da fare. Ribadisce che, se noi siamo nani sulle spalle dei giganti, che tutto è già stato detto da altri e non c’è niente da scoprire ma solo da riscoprire, è anche vero che osservando attentamente il mondo (quello dei commerci e dei rapporti umani), fuori dal vuoto che abbiamo creato attorno a noi per non aver contrastato la graduale despiritualizzazione della società, restano per fortuna ambiti in cui la ricognizione sui valori più saldi ha ancora senso. Ma per non teorizzare trop-po, per non filosofeggiare oltre il consentito, basti qui sottolin-eare come la lettura di Ludwig Hohl serva ad avere uno sguardo diverso sul mondo che ci circonda. Il che vuol dire, a conti fatti, uscire dai margini.

Ritratto fotografico di Hanny Fries

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Il percorso espositivo inizia con una sala dedicata ai dipinti che raffigurano La Senna e alle sue innumerevoli e variegate in-terpretazioni, si prosegue con la sala consacrata agli alberi: le loro forme e le loro ombre proiettate sono sempre ricorrenti nei dipinti dell’artista. Diverse tele riproducono le coste della Nor-mandia e la Belle-Île con le suggestioni magiche della luce sul mare per il quale l’artista andava pazzo. Affascina la sequenza della casupola di un doganiere poggiata su una scogliera e

colta in prospettive e condizioni di luce sempre diverse: a volte sotto un sole accecante, a volte in ombra. Vista da vicino, l’om-bra sembra frammentata in una miriade di colori. Dai quadri che rendono le atmosfere mattutine sulla Senna in-vece emana una quiete contemplativa: il soggetto dipinto viene ripetuto come riflesso dipinto, in modo tale che i confini tra la realtà e la sua immagine riflessa sembrano dissolversi nella nebbia che sale. Il motivo si rispecchia interamente nell’acqua.

“Nessuno ha avuto un’esistenza più invidiabile di Clau-de Monet, egli incarna l’arte nella propria carne vivendo in essa e per essa, una vita di lavoro incessante, rude e anche dolorosa, come quella di tutti i creatori” Octave Mirbeau.

La Fondazione Beyeler di Basilea (Riehen) festeggia il suo ven-tesimo anniversario con una grande mostra dedicata a Claude Monet. Fino al 28 maggio si possono ammirare 62 capolavori del grande maestro dell’Impressionismo: paesaggi mediterra-nei, ninfee, cattedrali, la Senna dipinta in tutte le stagioni e i ponti avvolti dalla nebbia. Luci e colori che inondano le sale del museo grazie alla maestria del grande pittore francese. Fin dai primi giorni l’affluenza è stata notevole. Monet per la sua rinomanza e Beyeler per l’importanza delle mostre che presen-ta attirano sempre molti visitatori. Le opere in mostra nelle 6 sale del complesso espositivo ideato 20 anni fa dall’architetto Renzo Piano provengono dalla colle-zione della Fondazione Beyeler e dai maggiori musei del mon-do come il Musée d’Orsay di Parigi, il Metropolitan Museum di New York e l’Art Institute di Chicago, 15 dipinti provengono da collezioni private e sono stati raramente esposti.

Fino al 28 maggio alla Fondazione

Beyeler

Semplicemente Monet Il pittore che seppe toccare l’intangibiledi Augusto Orsi

Claude Monet, En Norvégienne, 1887 Olio su tela, 97,5 x 130,5 cm Musée d’Orsay, Paris, legs de Princesse Edmond de Polignac, 1947 Photo: © RMN-Grand Palais (Musée d’Orsay) / Hervé Lewandowski

Claude Monet, Nymphéas, 1916-1919Olio su tela, 200 x 180 cm Fondation Beyeler, Riehen/Basel, Collection Beyeler Photo: Robert Bayer

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marzo 2017 La Rivista - 59

Appare incerto cosa sia sopra e cosa sotto nel quadro, che si potrebbe anche appendere capovolto. In queste tele Monet non si accontenta di riprodurre il variare della luce dal giorno alla notte, ma raffigura anche il costante confluire di due corsi d’acqua. Una sezione invece è dedicata a Londra, città in cui l’artista si rifugiò durante la guerra franco-prussiana del 1870-71. Al suo ritorno a Londra dipinse le celebri vedute dei ponti di Waterloo e di Charing Cross. La mostra si conclude con le Ninfee negli stagni del giardino di Monet a Giverny, che dipinse tra il 1909 e il 1926, anno della sua morte. La sua personale ricerca pittorica non uscirà mai dai confini di questo stile, benché egli sopravvi-va molto più a lungo dell’impressionismo.

Uno stile nuovo Monet è il pittore che ha creato uno stile nuovo che è un pon-te tra la pittura chiara, trasparente e l’astratto. È dal pittore di Honfleur (Normandia) Eugène Boudin, maestro della pittura “de plein air”, incontrato all’età di 16 anni, che apprende il disegno e ad osservare la natura. Durante tutta la sua vita d’artista Mo-net cerca di fissare sulla tela le condizioni effimere della realtà, le variazioni della luce e la loro influenza sui colori. In molte delle sue opere la luce diventa l’unico oggetto della tela. Ad eccezione di “En Norvégienne” dove dipinge in modo coloristi-camente magistrale tre grazie in barca Germaine, Suzanne e Blanche Hoschedé, i personaggi dipinti sono rari e mai in pimo piano in quanto dal 1887 aveva rinunciato ai ritratti per dedi-carsi ai paesaggi e alle vedute esaltati nella magnifica esposi-zione celebrativa del ventennale.

Trascurato dai collezionisti In Svizzera, Monet fu a lungo trascurato dai collezionisti. Solo nel 1937 l’industriale Emil Bührle di Basilea diventò uno dei suoi primi e più importanti acquirenti elvetici. Nel 1977 poi Ernst Beyeler acquistò uno splendido trittico di Ninfee dove le forme si diluiscono in colore e luce: oggi, insieme ad altre, una delle attrazioni dell’esposizione, esaltando col loro splendore la grandezza coloristica di Monet. Il suo dipingere e le sue stupende ninfee sono legate a Giverny,

luogo magico per la sua creatività e per la sua arte. Nel 1883, Monet va a vivere a Giverny alle porte della Normandia (75

chilometri da Parigi). Compra un vasto appezzamento di terra e nel 1890 comincia a costruire un giardino acquatico e proprio in questo luogo, che soddisfa le sue passioni pittoriche, realizza la decorazione della sua abitazione e crea les Nymphéas 22 grandi pannelli di spettacolari ninfee. Vendute allo stato france-se, questi le colloca in esposizione permanente all’Orangerie. Claude Monet, patriarca delle arti plastiche francesi, muore al culmine della sua gloria il 17 maggio 1926 e viene sepolto a Giverny. Storicamente, la più importante esposizione di Claude Monet fu quella del Grand Palais del 2010, in Svizzera invece quella alla Fondation Gianada di Martigny nel 2011 Monet au Musée Mar-mottan et dans les collections suisses, che oltre a 70 splendidi dipinti dava spazio alle famose stampe giapponesi. La super esposizione parigina allineava in 260 opere Tout Mo-net. Vi erano i capolavori delle serie Les Meules, les Peupliers, les Cathédrales, e l’apoteosi visiva delle Ninphéas, ma anche tele raramente esposte quali: Nature morte au melon, Glycine, La gare Saint-Lazare à l’extérieur. Vista la grande affluenza di pubblico, 7000 visitatori in media ogni giorno, il Grand Palais aveva deciso che la mostra restasse aperta per 84 ore di fila nei suoi ultimi 3 giorni facendo sì che alla fine del periodo esposi-tivo Monet, con 913mila visitatori, superasse il primato realizza-to da Picasso et les Maîtres che l’anno precedente aveva visto 783mila entrate. Quell’esposizione di sessant’anni di creatività e di libertà è la lezione che questo genio della pittura universale ci ha dato e ci dà ancora oggi attraverso le sue opere.

Orari d’apertura: tutti i giorni dalle 10.00 alle 18.00. Mercoledì fino alle 20.00 www.fondationbeyeler.ch Fondation Beyeler, Beyeler Museum AG, Baselstrasse 77, CH-4125 Riehen

Claude Monet, Vue de Bordighera, 1884 Olio su tela, 66 x 81,8 cm The Armand Hammer Collection, donation de Armand Hammer Foundation, Hammer Museum, Los Angeles

Claude Monet, La Cabane du douanier, 1882 Olio su tela, 61 x 75 cm Harvard Art Museums/Fogg Museum, donation Annie Swan Coburn, 1934 Photo: Imaging Department © President and Fellows of Harvard College

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Facciamo il punto

sull’italiano nei licei svizzeri

A colloquio con il Presidente dell’ASPI Donato Sperduto

Qualche anno fa si è molto discusso del numero degli allievi che nei licei svizzeri sceglie la lingua di Dante. San Gallo ed Obvaldo avevano lanciato l’allarme, ma solo il secondo cantone ha abolito l’italiano. I numeri non sono mai stati mostrati e, quando sono sta-ti forniti, hanno fatto sorgere qualche perplessità. Il presidente dell’ASPI-VSI (Associazione svizzera dei professori d’italiano) Donato Sperduto, docente al liceo di Sursee, ha risposto ad alcune nostre domande sulla tenuta dell’italia-no nei licei della Confederazione.

Professor Sperduto, lo scorso anno ha avuto luogo la seconda edizione del Convegno Italiamo all’Università del-la Svizzera italiana. È stato tra l’altro accentuato il fatto che nei licei sviz-zeri l’italiano consolida la posizione di disciplina di maturità. Sì, la lingua di Dante attira gli studenti svizzeri e la presenza mediatica della terza lingua nazionale ha fatto capire che chi ha inteso proporre qualcosa di nuovo, in realtà intendeva curarsi del proprio giardino. Ma l’ASPI-VSI i conti li sa fare e prima di mettere le mani sull’italiano bisogna che anche altri li facciano correttamente.

Quando si parla di numero di allievi, la questione va trattata con cautela in quanto può risultare piuttosto com-plessa, vero? Certo. Inoltre, il passo dalla comples-sità alla retorica è piuttosto breve. Per cominciare ad andare oltre la soglia della retorica, bisogna innanzitutto sa-pere qual è il numero minimo di allie-vi richiesto per far partire un corso di

opzione specifica (o disciplina fondamentale) in un dato liceo o cantone, perché questo numero varia da cantone a cantone. Poi, per fare un’analisi davvero seria della situazione i numeri dell’italiano vanno anche confrontati con quelli delle altre materie. Altrimenti, l’affermazione che l’italiano sia poco scelto potrebbe addirittura essere una cosiddetta ‘falsa notizia’ riferita ad uno specifico liceo.

La questione dei numeri piccoli va cioè relativizzata se non si conosce una sin-gola realtà scolastica. Se ad esempio in un istituto vi sono due docenti ed uno pesa 50 chili e l’altro 80 chili, basarsi sulla media risulterebbe fuorviante. È esattamente il tranello dei numeri piccoli spiegato ad esempio dall’imprenditore e scrittore di successo Rolf Dobelli: facendo riferimento non solo ad piccole imprese, ma altresì a scuole piccole: può accadere persino che in casi del genere dei su-periori vengano gabbati dai loro subalterni! A sua volta, il pensatore Karl Popper ci mette in guardia dalle generalizzazioni e ci insegna che dal fatto che dei cigni sono bianchi non si può concludere che «tutti i cigni sono bianchi». Parliamo quindi di cigni. Se un dipartimento dell’educazione ha dichiarato che tutti i cigni sono bianchi (cioè l’italiano è poco scelto dagli allievi) e poi è emerso che il quel cantone vi era però anche un cigno nero, i conti non tornano.

Come si può spiegare un errore del genere? Se un dipartimento dell’educazione, prima di prendere delle importanti decisioni, procede alla leggera (cioè senza quanto meno tener conto del tranello dei numeri piccoli), rischia di essere vittima della retorica di un retore. E quando la decisione è già stata presa, riconoscere di aver preso un abbaglio vorrebbe dire ammettere di non essere stati all’altezza della situazione. Quindi, gli conviene fare buon viso a cattivo gioco.

oltre a San Gallo ed obvaldo, nessun altro cantone ha tirato in ballo con altret-tanto accanimento l’italiano. Tra quei due cantoni ci potrebbe essere una qual-che analogia? Sulla scia della Fattoria degli animali di George Orwell, si dovrebbe pensare che in tal caso avremmo a che fare con un gallo fuori dal suo pollaio di origine. Se un gallo incanta polli e galline di un pollaio diverso dal suo pollaio d’origine, lo schiamazzo non è lusinghiero. Ed il gallo fuori dal suo pollaio d’origine rappresenterebbe una sorta di anello di congiunzione giustificante il discorso dell’analogia.

Un’ultima domanda. Quali sono i progetti futuri dell’ASPi? Si sta pianificando un progetto mirante all’analisi del passaggio liceo-università, si stanno valutando i cambiamenti in atto a livello cantonale e nazionale in materia di corsi di aggiornamento ed ovviamente non ci si può permettere il lusso trascurare le discussioni in atto in materia di politica educativa.

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Il signor Aziz, padre autoritario e con-servatore, conduce una vita tranquilla in una città petrolifera iraniana. Un giorno, il suo equilibrio è sconvolto dal comportamento contestatario di sua figlia Setareh che preferisce andare a Teheran per partecipare a una festa d’addio di un’amica anziché assistere al fidanzamento ufficiale della sorella minore. Dokhtar è un film forte. “È la sto-ria d’amore luminoso e doloroso tra un padre e una figlia. Il suo punto di vista è particolarmente interessante in quanto il film è iraniano e tratta del desiderio d’emancipazione delle donne, ma pre-senta anche la situazione odierna degli uomini che non è semplice” ha dichia-rato Radu Mihaileanu, Presidente della Giuria internazionale del Festival. Reza Mirkarimi è nato a Teheran nel 1967. Dopo aver ottenuto il diploma inizia la sua carriera cinematografi-ca realizzando diversi cortometraggi e serie televisive. Il suo primo lungo-metraggio è The Child and the Soldier del 1999 che ottiene premi in Iran e all’estero. Dokhtar oltre al Prix CICAE (Confédérati-on Internationale des Cinémas d’Art et Essai), ha ricevuto quello dell’interpre-tazione maschile per il versatile e noto attore iraniano Farhad Aslani, il Prix Cinéfemme e anche il più ambito: Il Grand Prix du Festival.

Notevole exploit anche di Fleur d’Alep del regista tunisino Ridha Behi che ha vinto il Prix du Public Cinéma du Sud. Il lungometraggio racconta in modo coinvolgente la propagazione del pen-siero religioso tra i giovani tunisini e la loro partenza per i territori del jihad in Siria. In Fleur d’Alep la protagonista Sal-ma (interpretata con bravura da Hend Sabri), parte per la Siria e si arruola nell’organizzazione “Jabat Al Nusra” per cercare di riportare a casa il suo unico figlio di 18 anni, partito per la ‘guerra santa’. Nell’equilibrato Palmares, per il premio dell’interpretazione femminile trova po-sto anche l’eccellente Margarita Brei-tkreiz protagonista di Marija del regista svizzero Michael Koch. Marija porta allo schermo un’immagine forte e combat-tiva dell’immigrazione al femminile: quella di una giovane ucraina decisa e dinamica che fa di tutto, anche vendere il suo corpo, per affermarsi e realizzare il suo sogno in un mondo ostile. La giuria dei Giovani professionisti europei ha invece premiato Afterlov di Sergio Paschov, lungometraggio bril-lante con spunti geniali e cinici in una vicenda burrascosa d’amore e d’odio in Grecia. Afterlov era stato mostrato ed apprezzato a Locarno la scorsa estate nella sezione Cineasti del presente. Il cartellone del Festival tra lunghi e

corti, ha presentato un centinaio di film. Il Concorso internazionale con i suoi 11 lungometraggi, provenienti in gran parte dall’ Europa ma anche da Asia e Africa, è stato il piatto forte della mani-festazione. Tra gli undici lungometraggi in competizione anche due di cinema-tografie a noi vicine: La vita Possibile di Ivano De Matteo che filma con parte-cipazione e realismo Anna e suo figlio Valerio e il loro desiderio, la loro deter-minazione di rifarsi una vita, quella che l’uomo, che doveva amarli, ha distrutto rendendoli infelici. E, come detto, Marija di Michael Koch, coproduzione Germania- Svizzera, odis-sea di una giovane ucraina emigrata a Dortmund determinata ad aprire il suo salone di parrucchiera anche a costo di sacrificare la sua integrità. Film duro e sconvolgente su alcuni aspetti della vita degli emigranti anche in un paese tollerante come la Germania. Ben sei le altre sezioni nelle quali sono stati presentati film di provenien-za mondiale con il tema l’amore. In Cinémas du Monde, insieme ad altri 19 film, vi era anche la coinvolgente commedia romantica Sette giorni del regista italo-svizzero Rolando Colla. In una incantevole piccola isola a largo di Trapani, Ivan (Bruno Todeschini) e Chia-ra (Alessia Barella), vivono un’intensa storia d’amore.

Con ben quattro premi, Dokhtar (La figlia) del regista iraniano Reza Mirkarimi trionfa al 33. Festival International du Film d’Amour di Mons (Belgio) che dal 10 al 17

febbraio ha visto nelle sue sale più di ventimila spettatori.

marzo 2017 La Rivista - 61

Mons la 33° edizione del Festival del film d’amoredi Martine Cristofoli

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62 - La Rivista marzo 2017

Dopo un primo anno di successo della nuova formula di Open Doors, sezione del Festival del film di Locarno che mira ad aiutare il cinema in-dipendente e a mettere in luce i registi e i film dei paesi del Sud e dell’Est del mondo, in collaborazione con la Direzione dello sviluppo e della co-operazione (DSC), continua il percorso triennale di ricerca e approfondi-mento su otto paesi dell’Asia meridionale, con uno sguardo particolare nel 2017 su Afghanistan, Maldive, Pakistan e Sri Lanka.

La sezione, arrivata alla sua quindicesima edizione, e che lavora in collaborazione fin dall’i-nizio con la Direzione dello sviluppo e della cooperazione (DSC) del Dipartimento federale degli affari esteri, prevede iniziative quali proiezioni per il pubblico (Open Doors Screenings), un laboratorio mirato rivolto a produttori e registi-produttori emergenti (Open Doors Lab) e una piattaforma internazionale legata a otto progetti provenienti dalla regione selezionata con il fine di incoraggiare le collaborazioni e i finanziamenti internazionali per la loro realiz-zazione (Open Doors Hub). Nella sua nuova formula (2016 – 2018), Open Doors dedica il suo programma ad una singola regione per tre anni consecutivi, moltiplicando ulteriormente le possibilità di col-laborazione e scambio per gli addetti ai lavori di quest’ area. Lo sguardo della sezione si è soffermato su otto paesi dell’Asia del Sud: Afghanistan, Bangladesh, Bhutan, Maldive, Myan-mar, Nepal, Pakistan e Sri Lanka con uno sguardo particolare nel 2017 per gli Open Doors Screenings e l’Open Doors Lab su Afghanistan, Maldive, Pakistan e Sri Lanka. Carlo Chatrian, Direttore artistico del Festival si dice convinto che “con questo nuovo con-cetto Open Doors pone una doppia sfida: indagare su una regione del mondo giovane dal punto di vista cinematografico e svolgere un lavoro approfondito con i professionisti del set-tore sull’arco di tre anni. I primi riscontri ci indicano che la sfida è stata colta con successo, non solo per la diversità dei progetti e dei talenti proposti, ma anche per l’interesse che gli Open Doors Screenings hanno suscitato nel pubblico. In vista della prossima edizione siamo impazienti di seguire l’evoluzione delle discussioni e dei contatti nati nel corso di questo primo anno e di scoprire la curiosità dei professionisti per il nuovo focus di quest’anno, che tratterà paesi in una situazione d’instabilità politica e sociale. Tuttavia, sappiamo che spesso è in queste stesse difficoltà che gli artisti trovano l’urgenza di produrre opere più audaci e più emozionanti”. Il programma di Open Doors 2017 si compone di tre iniziative: L’Open Doors Hub (2 – 9 agosto 2017) offre una piattaforma internazionale per 8 progetti

provenienti dall’intera regione. I partecipan-ti, registi e produttori, potranno incontrare potenziali coproduttori, venditori o distri-butori, al fine di incoraggiare le collabora-zioni e i finanziamenti internazionali per la realizzazione dei loro progetti. Al termine di queste giornate, la giuria di Open Doors assegnerà il premio Open Doors del valore di 50’000 CHF, offerto dal fondo svizzero di sostegno alla produzione cinematografica visions sud est (anch’esso sostenuto dalla DSC) e dalla Città di Bellinzona. L’Open Doors Lab (2 – 9 agosto 2017) of-frirà un programma personalizzato per un gruppo ristretto di produttori e registi-pro-duttori emergenti che aspirano ad entrare sulla scena internazionale. Questi potranno approfittare di sessioni di gruppo e indivi-duali così come di occasioni di networking con gli invitati dell’industria europea e internazionale, al fine di sviluppare il loro profilo professionale ed i loro progetti. Dopo un focus, nel 2016, su Bangladesh, Bhutan, Myanmar e Nepal, quest’anno l’Open Do-ors Lab punterà i suoi riflettori su Afghani-stan, Maldive, Pakistan e Sri Lanka. Questi quattro paesi saranno anche fulcro del programma degli Open Doors Screenin-gs che presenteranno al pubblico di Locar-no una selezione di film particolarmente rappresentativi del loro universo cinemato-grafico. Open Doors 2016 in video: https://www.youtube.com/watch?v=eer7wYou69k

Continua il percorso di scoperta dell’Asia meridionale con un nuovo focus per il 2017

Open Doors 2016 – 2018

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marzo 2017 La Rivista - 63

È lo scrittore e sceneggiatore

italiano Edoardo Albinati

l’ospite attorno a cui ruoterà

il programma della quinta

edizione dell’evento primaverile del Locarno

Festival (10 – 12 marzo).

A Edoardo Albinati, acuto interprete della contemporanei-tà e narratore attento all’immaginario cinematografico, il Festival ha chiesto di comporre un programma fatto di proiezioni e incontri che svelino il suo immaginario crea-tivo, indagando il rapporto tra scrittura e cinema. Edoardo Albinati (Roma, 1956) vincitore con La scuola cattolica del premio Strega 2016, è uno dei più importan-ti scrittori italiani. Il romanzo, già in traduzione in diverse lingue, ritorna su uno dei casi di cronaca che hanno se-gnato gli anni Settanta in Italia, il delitto del Circeo, i cui responsabili frequentavano lo stesso liceo dello scrittore. Un’analisi lucida, travolgente e spietata sull’educazio-ne dei ragazzi, colta in un momento di progressivo ce-dimento della centralità del maschile e della figura del padre nella società. È un autore molto attento ai temi dell’educazione e dei conflitti sociali. Da sempre si de-dica all’insegnamento nel carcere di Rebibbia a Roma: un’esperienza che è diventata il centro del suo romanzo Maggio Selvaggio, con la quale si è fatto conoscere al grande pubblico. Numerose sono le sue collaborazioni con il cinema, a ini-ziare dalla scrittura a quattro mani del romanzo Tuttalpiù muoio con l’attore Filippo Timi. Ha inoltre collaborato alle sceneggiature di diversi film, tra cui Tale of Tales di Matteo Garrone e Fai bei sogni di Marco Bellocchio. Il cinema è al centro del suo immaginario da scrittore, che rivela la sua passione per i film noir, gli autori degli anni Settanta

e i film che sono entrati nella memoria collettiva. Carlo Chatrian, Direttore artistico del Festival del film Lo-carno così ne parla: “sceneggiatore, educatore, reporter, drammaturgo, autore televisivo… in Edoardo Albinati la scrittura si declina in forme così diverse e distanti da far provare un senso di vertigine. E vertiginosa è La scuola cattolica, il suo ultimo progetto tanto per complessità del tema quanto per ricchezza nella sperimentazione. È un libro-mondo che ha l’ambizione di tratteggiare una ra-diografia antropologica di una generazione, la sua. Da qui è nato il desiderio di esplorare meglio il suo univer-so, di chiedergli di presentarlo con l’aiuto di un pugno di film e di qualche complice. Pur essendo ancora all’inizio del cammino siamo certi che la sua parola, la sua voce, le sue scelte sapranno sorprendervi e affabularvi in un modo non diverso da quanto accade con i libri o i film che ha scritto.“ La quinta edizione de L’immagine e la parola, sotto la direzione artistica di Carlo Chatrian e a cura della critica cinematografica Daniela Persico, fa parte del programma della Primavera Locarnese. Partecipa alle masterclass de L’immagine e la parola an-che il Laboratorio di Adattamento Cinematografico orga-nizzato dal CISA in collaborazione con TorinoFilmLab da venerdì 10 a mercoledì 15 marzo. Maggiori informazioni sulle masterclass con Edoardo Al-binati su www.pardo.ch

L’immagine e la parola:un weekend nell’universo di Edoardo Albinati

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64 - La Rivista marzo 2017

Signs of Life, sezione che indaga i ter-ritori di frontiera della settima arte tra forme narrative inedite e innovazione del linguaggio cinematografico, nata nel 2014 come sezione fuori concor-so, grazie al successo riscontrato negli ultimi anni diventa competitiva. Il pre-mio, Signs of Life Award electronic-art.foundation della somma di 5’000 CHF, è stato reso possibile grazie al sostegno della electronic-art.foundation di Zuri-go, fondazione che ha come missione quella di sostenere progetti culturali in-novativi a livello internazionale. Tra i film presentati nelle scorse edizio-ni, ricordiamo A Spell to Ward Off the Darkness di Ben Russell e Ben Rivers (2013), vincitore anche al Torino Film Festival; La academia de las musas di José Luis Guerin (2015), presente e vincitore in diversi festival come il Li-sbon & Estoril Film Festival e il Seville European Film Festival; L’infinita fabbri-ca del Duomo di Martina Parenti e Mas-simo D’Anolfi (2015) e Ascent di Fiona Tan (2016). Tra le numerose iniziative promosse durante gli Industry Days del Locarno Festival, figura l’iniziativa First Look, ar-rivata alla sua settima edizione, dedica-ta ai film in fase di post-produzione e trampolino di lancio per i film del futuro. Quest’anno First Look celebrerà il 100°

anniversario del cinema Baltico, con un focus su film estoni, lettoni e lituani. Una cinematografia in costante cresci-ta e riconosciuta a livello internaziona-le grazie anche ai recenti: Tangerines di Zaza Urushadze – nominato agli Oscar nel 2015, Es esmu seit (Mellow Mud ) di Renars Vimba e I’m not from here dei registi Maite Alberdi e Giedrė Žickytė. Grazie al sostegno dell’Estonian Film Institute, del Latvia Film Centre e del Lithuanian Film Centre, First Look 2017 selezionerà da 5 a 7 film in fase di post-produzione. I produttori dei proget-ti selezionati parteciperanno al Locarno Festival e avranno modo di presentare le loro opere ai professionisti del set-tore. Durante gli Industry Days, infatti, i film saranno proiettati per venditori, compratori, programmatori e rappre-sentanti dei fondi di sostegno alla post-produzione. Nadia Dresti Vice Direttrice artistica e Head of International del Festival di Lo-carno così spiega: “gli Industry Days di Locarno sono il luogo ideale per dare la giusta visibilità a un’attività specifica. First Look è un’eccellente opportunità per i paesi individuati per evidenziare le proprie cinematografie. Grazie al pro-gramma su misura declinato dal Project Manager Markus Duffner, siamo certi che i produttori selezionati da Estonia,

Lettonia e Lituania trarranno benefici dall’esperienza locarnese. Nessuno può avere la certezza, particolarmente di questi tempi, di vendere un film, ma siamo sicuramente in grado di confer-mare che i film saranno visti dagli ac-quirenti, dai selezionatori di festival e da altri professionisti presenti, oltre che da una giuria di alto profilo.” La giuria composta quest’anno da Charles Tesson Direttore artistico della Semaine de la Critique del Festival Can-nes, da Silvain Auzou Vice Direttore del-le Giornate degli Autori – Venice Days, e da Janet Pierson responsabile del SXSW Film Festival di Austin, assegnerà il First Look Award sostenuto da CineLab Romania con un premio del valore di 65’000 euro in servizi di post-produzio-ne, il Film Français Award del valore di 5’500 euro in pubblicità e il Boogieman Media Award del valore di 5’000 euro per la produzione di un Key Art volto alla promozione del film.

Signs of Life diventa competitiva e First Look festeggia il 100° anniversario del cinema Baltico

Il Locarno Festival conferma la sua anima pionieristica e volta al futuro con Signs of Life, sezione che si propone d’indagare i territori di frontiera della settima arte, che da quest’anno diventa competitiva e con l’iniziativa Industry First Look, arrivata alla

settima edizione e dedicata ai film in fase di post-produzione, che si concentrerà quest’anno sui Paesi Baltici (Estonia, Lettonia e Lituania).

Una scena del film Ascent di Fiona Tan, 2016 Signs of Life section

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marzo 2017 La Rivista - 65

Sequenzedi Jean de la Mulière

Romeo Aldea è un medico affermato e ri-spettato che non è mai dovuto scendere a compromessi: allontanatosi da Cluj e dalla Romania durante la dittatura di Ceausescu, è ritornato in patria dopo la rivoluzione del 1989 con la speranza di poter contribuire attivamente a ricostruire un paese miglio-re. Una speranza presto disillusa, tanto che adesso l’unica aspirazione che gli rimane è quella di riuscire a mandare l’unica figlia a studiare all’estero, a Londra, grazie ad una borsa di studio conseguita con ottimi voti, grandi sacrifici per tutta la famiglia e nessu-na raccomandazione, mai nulla che non sia mai stato realmente meritato. A pochi giorni dagli esami finali, quando ormai a Romeo tutto sembra fatto e il so-gno di una vita ormai avverato, tutto sem-bra andare storto: prima uno sconosciuto tira un sasso contro la sua casa, rompendo un vetro per poi fuggire; poco dopo la fi-glia Eliza viene aggredita e (quasi) stuprata mentre si reca a scuola. L’aggressione ne compromette l’equilibrio psicologico, e fi-nisce col fare vacillare la solida impalcatura organizzata dal padre nel corso di una vita intera. La vita di Romeo, sin lì indirizzata tutta verso il soddisfacimento di un suo progetto (che riguarda la figlia, e non se stesso), a un tratto sembra disfarsi come un castello di sabbia. Un film solido, compatto, quello di Mungiu: ambientato in una citta-dina di provincia affronta. questioni morali che riguardano la famiglia e il potere por-tandole fino alle loro estreme conseguen-ze, senza fare sconti, né ai personaggi, né a chi guarda.

Bucarest 3 giorni dopo l’attacco a Charlie Hebdo a Parigi. Sono trascorsi quaranta giorni dalla morte di suo padre quando Lary, medico quarantenne, raggiunge i propri familiari per una cerimonia comme-morativa in casa della madre. Tra i presenti emergono, sempre più evidenti, le tensio-ni che sono di varia natura. Sono trascorsi 25 anni da quando le televisioni di tutto il mondo mostrarono le immagini di Nicolae Ceausescu dopo l’esecuzione della senten-za di condanna a morte. Finiva con lui una forma particolare di comunismo che si ba-sava sul potere di qualcuno che si poteva definire più che un dittatore un satrapo che aveva appoggiato il suo potere dispotico su un odio nazionalistico (volutamente mal-celato) nei confronti della Grande Madre URSS. Il film di Puiu si interroga su cosa sia ora la Romania e lo fa attraverso quella straordinaria cartina al tornasole che è la fa-miglia, aiutato in questo da una tradizione locale che vuole che quaranta giorni dopo la cerimonia funebre familiari ed amici del defunto si riuniscano per commemorarlo. Per traslato sono il Conducator Ceausescu e il suo regime ad assumere il ruolo del convitato di pietra in questo microcosmo in cui domina la menzogna (quella del Padre e anche quelle di una parte di coloro che gli sono sopravvissuti). In un film tutto racchiuso nelle pareti dome-stiche, tranne due scene girate in esterno, Puiu si dichiara fin da subito come colui che spia e ci fa spiare uno spaccato di società su cui lascia a noi di esprimere un giudizio.

Normandia 1819. Jeanne è una giovane donna che si apre alla vita. Figlia dei ba-roni Le Perthuis des Vauds, si innamora e sposa Julien de Lamare, un nobile locale decaduto che si rivela presto un adultero incorreggibile. Dopo aver sedotto e ingra-vidato Rosalie, la domestica al servizio dei baroni, Julien chiede perdono a Jeanne e lo ottiene, rientrando in seno alla famiglia e diventando padre di Paul. Ma all’orizzonte si prepara un’altra tempesta che travolgerà ogni bene, materiale e affettivo, costrin-gendo Jeanne a dialogare con i ricordi di una vita. Un film sulla disillusione quello di Stéphane Brizé, che porta sullo schermo il primo romanzo di Guy de Maupassant In una Francia che ha da poco conosciuto la Rivoluzione, con tutto ciò che ne conse-gue per il cascame aristocratico del vecchio regime, al pari di Maupassant, anche Brizé si concentra con particolare attenzione su questi personaggi in cerca di una posizione, precursori dei più recenti arrampicatori so-ciali. Une vie però è visto dalla prospettiva di una donna rassegnata e attraversata dal-la malinconia del suo secolo, che certi mec-canismi li subisce, pagando a caro prezzo le mortificanti dinamiche di un mondo che è cambiato dalla sera alla mattina. Con un costante ricorso all’uso del fla-shback, il film costruisce un’agile dialettica tra presente e passato. In tal modo, attra-versa buona parte della vita di Jeanne, dalla giovinezza, poco prima di prendere marito, fino quasi alla vecchiaia. Di mezzo poche, pochissime gioie e tanti dolori.

Graduationdi Cristian Mungiu

Sierranevadadi Christi Pulu

Une viedi Stéphane Brizé

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66 - La Rivista marzo 2017

Rimandato lo scorso novem-bre, ecco che l’appuntmento con lo straordinario pianista torinese viene recuperato all KKL di Lucerna il prossimo 30 marzo. Da non perdere. Ezio Bosso nasce a Torino nel 1971 e giovanissimo viene a contatto con la musica. A quattro anni suonava già. Da ragazzino si unisce per un breve periodo al gruppo “Gli Statuto”. Collabora con il grup-po tre anni, ma poi decide di seguire la pista della musica

classica. L’incontro con il maestro Ludwig Streicher è di fondamentale importanza per Bosso. Il giovane talento decide di andare a Vienna su consiglio di Streicher e studia Composizione e Direzione d’Orchestra all’Accademia di Vienna. A 16 anni debutta come solista e negli anni ’90 conquista la scena internazionale dalla Sydney Opera House alla Royal Festival Hall, come solista e direttore. Vincitore di importanti riconoscimenti, come il Green Room Award in Australia

A settant’anni (ormai suonati) è uno dei vecchi ragazzi del panorama contautoria-le italiano con particolare inclinazione alla musica rock e concessioni virtuose al blue’s. Il prossimo 14 marzo, martedì, sarà in con-certo al Kaufleuten di zurigo, con inzio alle ore 20°°. Napoletano verace, nella città partenopea è nato nel 1946, si avvicina alla musica gio-vanissimo fondando insieme ai suoi fratelli il trio Bennato. Verso metà degli anni ’60 in-cide i suoi primi dischi, mentre il successo

vero e proprio arriverà negli anni ’80. Risente dell’influenza di Elvis a Jerry Lee Lewis, da Ray Charles a Chuck Berry, inventando un rock dai tratti mediterranei. Rimane ad oggi uno dei cantautori più prolifici del panorama musicale italiano e detiene vari primati. Bennato è stato il primo cantautore italiano a riempire lo stadio di San Siro con 60.000 persone, primo a suonare l’armonica a bocca e il primo cantante italiano ad esibirsi, nel 1976, al Montreux Jazz Festival. I suoi testi - specie quella degli anni ‘70 – fanno trasparire critiche graffianti al potere in tutte le sue forme ed al sistema, come per esempio nell’album Burattino senza fili. Fra le canzoni e gli album indimenticabili che ci ha regalato come non ricordare l’album La Torre di Babele, Sono Solo Canzonette, e canzoni come Il Gatto e la Volpe, Viva la mamma e Un’Estate Italiana in coppia con Gianna Nannini in occasione dei mondiali di calcio del ’90. Prevendita: www.allblues.ch • www.ticketcorner.ch • Ticketcorner, La Posta, Manor, FFS• Tel. 0900 800 800 (CHF 1.19/min.)

Edoardo Bennato in concerto a Zurigo

Vuoi due biglietti in omaggio per ilconcerto di Bennato? Vinci due biglietti per il concerto di Bennato del 14 marzo al Kaufleuten di Zurigo rispondendo a questa domanda: Come si chiama il burattino senza fili a cui si riferisce il cantautore in un suo celebre album? Invia la risposta per e-mail, entro il 10 marzo a: [email protected] Fra tutti coloro che risponderanno esattamente verranno sorteggiati i due biglietti omaggio. vini in degustazioni rigorosamente alla cieca. La coordinazione avviene tramite tre curatori, i quali decidono a chi affidare i premi in seguito ad una degustazione finale. Il tutto è caratterizzato da una scala di valutazione molto rigida che consiste, di nome e di fatto, in pochi chiari elementi: un bicchiere assegnato ai vini buoni, due bicchieri a vini molto buoni, tre bicchieri ai vini più pregiati. Il riconoscimento dei “Tre Bicchieri” è diventato ormai famoso fra professionisti e appassionati di vino e incorpora in sé il concetto di qualità. La nuova edizione in versione tedesca dell’enoguida apparirà a fine gennaio 2017.

Vuoi due biglietti in omaggio per ilconcerto di ezio Bosso? Vinci due biglietti per il concerto di Ezio Bosso del 30 marzo al KKL di Lucerna, rispondendo a questa domanda: A che età il pianista torinese debutta come solista? Invia la risposta per e-mail, entro il 20 marzo a: [email protected] Fra tutti coloro che risponderanno esattamente verranno sorteggiati i due biglietti omaggio.

o il Syracuse NY Award in America, i suoi com-ponimenti godono di grande stima da parte di coreografi come James Thierrée. Sulla sce-na cinematografica produce colonne sonore di film come “Io non ho paura”, “Quo vadis”, “Baby?” e nel 2014 “Il ragazzo invisibile”. Nel 2011 gli è stata diagnosticata una malattia degenerativa autoimmune a causa della quale ha disimparato a parlare e a suonare. Con grande tenacia ha però riappreso tutto e nel 2014 ha esordito con Fantasia per Violino e Orchestra alla testa di London Symphony Orchestra. Stimato per il suo spessore uma-no e per la sua passione per la musica, tiene corsi in giro per il mondo e trasmette tutta la sua emozione ed il suo carattere attraverso le note della sua musica. Prevendita: www.allblues.ch • www.ticketcorner.ch • Ticketcorner, La Posta, Manor, FFS• Tel. 0900 800 800 (CHF 1.19/min.)

Ezio Bosso al KKL di Lucerna il 30 marzo

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marzo 2017 La Rivista - 67

Diapasondi Luca D’Alessandro

Bisogna dare atto alla bravura di Fiorella Mannoia, cantante di origine romana, che si è presentata alla 67a edizione del Festival di Sanremo con un il brano Che Sia Benedetta. Un brano profondo, convincente, fantastico, ricco di emozioni ed espressività, scritto dai cantautori Erika e Salvatore Mineo ed inserito nella seconda edizione dell’album Combattente. Questo, per essere precisi, ha avuto una prima edizione nel novembre dello scorso anno. Si trattava di una versione sin-tetica, straordinariamente impressionante sia sul piano musi-cale sia su quello testuale. Un gran numero di brani è stato scritto da autori affermati: Ivano Fossati ad esempio ha con-tribuito alle Notti Di Maggio, mentre derivano dalla penna Fabrizio Moro I Pensieri Di Zo e I Miei Passi.

Made In Italy è stato anticipato dal singolo G Come Giungla: si parla dell’undicesimo album del cantante emiliano Luciano Ligabue. È una dichiarazione d’amore verso l’Italia e i perso-naggi comuni che la caratterizzano. Svolge un ruolo centrale la figura fittizia Riko, un uomo qualunque di mezza età che, come molti altri, sfida la propria vita giorno per giorno, e pro-va a godere la sua vita nonostante i problemi che lo circonda-no. L’album sul piano musicale non può essere collocato uni-camente alla musica rock. Sono inclusi anche degli elementi di provenienza world music, tra cui il reggae e le classiche ballate. È degno di nota il brano La Vita Facile, un dibattito su come questa vita facile potrebbe essere fatta. L’album tocca l’ascoltatore su vari livelli: sia sul piano narrativo (tutti i testi sono stati scritti da Ligabue stesso) sia su quello musicale.

È uscito il 14 febbraio scorso, questo disco di provenienza ja-zzistica, firmato da due favolosi artisti italiani: il pianista Gian-luigi Trovesi e il clarinettista e sassofonista Umberto Petrin che con Twelve Colours and Synesthetic Cells propongono una raccolta di brani sofisticati ispirati al compositore e pianista novecentesco di origine russa Aleksandr Nikolaevič Skrjabin. Nove brani fanno riferimento a dei frammenti di preludi skrja-biniani. Questi si alternano a dodici improvvisazioni alla tabel-la sinestetica che il compositore russo aveva creato con l’o-biettivo di legare lo spettro dei colori alle proprie composizio-ni musicali. Il brano dal titolo Rosso-Arancione, ad esempio, è incentrato sulla nota tonica Sol, mentre Verde sulla nota tonica La. Sia Petrin sia Trovesi mettono in evidenza il genio di un compositore in anticipo rispetto ai suoi tempi.

Un album composto da due cd dai titoli Sole e Luna, firmati Livio Minafra, compositore, pianista e docente di pianoforte presso il Conservatorio Piccinni di Bari e figlio del jazzista Pino Minafra. Un’opera caratterizzata da grandi contrasti: Sole, ad esempio, rispecchia dei suoni lucidi, allegri pieni di vita e di gioia. La parte dell’assolo in questa prima parte è accompa-gnata da strumenti acustici vari, ad esempio da piccole cam-panelle, da uno xilofono o da una fisarmonica. Una cosiddet-ta “Loop Station” memorizza e ripete dei frammenti melodici rendendo così le composizioni potenti ed orchestrali. Luna contrariamente riflette la quiete della notte e l’oscurità, la tristezza e la malinconia. In questa seconda parte sono evi-denti gli elementi provenienti dalle colonne sonore cinemato-grafiche. Gli Spiriti, Gelsomina e Zampanò testimoniano una propensione di Minafra per l’universo musicale di Nino Rota.

Fiorella MannoiaCombattente(Sony)

LigabueMade In Italy(Warner)

Gianluigi Trovesi, Umberto PetrinTwelve Colours and Synesthetic Cells(Dodicilune)

Livio MinafraSole Luna(Incipit)

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Dal 30 gennaio al 3 febbraio 2017 a St. Moritz si è tenuta la 24a edizione del Gourmet Festival. Tutto ha avuto inizio con l’apertura del Grand Julius Bär.

Sotto il motto, “Stati Uniti d’America - scoprire il meglio da Ovest”, dieci dei migliori chef provenienti dagli Stati Uniti, in-

sieme con gli Executive Chef di pari fama degli hotel partner del festival, hanno deliziato gli oltre 400 ospiti che hanno po-tuto scegliere le molteplici espressioni della cucina del Nord America. Completamente prenotato, l’evento d’apertura al Kempinski Grand Hotel des Bains si è trasformato in un ambiente di vero stile Las Vegas, scintillante, offrendo la fantastica possibilità di prendere conoscenza con l’emozionante varietà culinaria offerta da tutti i dieci chef posizionati nelle loro diverse “iso-le gastronomiche” e poter conversare e disquisire sui piatti proposti. Circa una quindicina i vini internazionali proposti in abbinamento con in primis lo Champagne Laurent Perrier da magnum. A fine serata il Casinò di St. Moritz nel Kempinki Hotel ha offerto ad ogni ospite una fiche gratuita del valore di CHF 20 invitandoli a tentare la fortuna al gioco d’azzardo. “Non vedo l’ora di indossare un giubbotto invernale e poter vedere un sacco di neve” (che fortunatamente è arrivata e anche copiosa), ha detto Dean Fearing arrivato dell’assolato Texas. Come lui, anche gli altri nove chef stellati americani: Daniel Humm, James Kent, Enrique Olvera e Ron Silver (tutti di New York), Tal Ronnen di Los Angeles, Kim Canteenwalla e Rick

Moonen di Las Vegas, Lee Wolen di Chicago e Melissa Kelly di Rockland Maine, non vedevano l’ora di portare in ebollizione l’Engadina con le loro creazioni in ambienti da sogno. Sono state una quarantina le offerte per piacevoli momenti conviviali. Richiestissimi come sempre i Gourmet Safaris ga-stronomici, dove gli ospiti vanno in tour in eleganti limousine BMW, con autista, alla scoperta delle cinque tavole dei cinque chef ospiti in ristoranti diversi. Altro appuntamento “sold out” il Chocolate Cult presso il Badrutt’s Palace Hotel, dove gli ospiti per ben tre ore hanno degustato le innumerevoli prelibatezze create da finissimo cioccolato nelle più svariate composizioni create dallo chef pasticciere Stefan Gerber. E come sempre non sono mancate le deliziose praline brownie fatte di finis-simo cioccolato Sprüngli che Lisbeth Werder, pasticcere del-la nota casa Sprüngli Confiserie, ha composto con maestria artigianale appositamente per questo festival. E sempre al Badrutt’s Palace Hotel si è celebrato l’età dell’oro “Rock n’Roll “ con musica dal vivo, mentre gli chef servivano loro preliba-tezze da padelle sfrigolanti che arrivavano direttamente dalle cucine. Al Suvretta House i fan gourmet hanno mostrato la loro gio-

St. Moritz Gourmet Festival 2017

“Stati Uniti d’America

- scoprire il meglio da

Ovest”

di Rocco Lettieri

Foto di gruppo con gli Chef ‘stelle e strisce’

Reto Mathis, presidente del Festival Gourmet

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ia per la grande varietà di selezionate bevande da gustare presso le varie stazioni dei partner del festival partecipanti: Caratello Vini, Marolo Distilleria, Cerutti “il Caffè”, Laurent-Per-rier Champagne, Martel AG, Rageth Commestibles, Siberiana Wodka e la bookstore Wega. Sempre al Suvretta House si è tenuto l’elegante evento Fascination Champagne con la casa Laurent-Perrier, che ha servito una loro Cuvée esclusiva ac-compagnando un menù coordinato e creato dallo stellato di Chicago Lee Wolen. Nelle serate della cucina Whispering gli ospiti sono stati in grado di stare direttamente a contatto con la più famosa icona americana di New York, Ron Silver, del ristorante della grande mela “Bubbys”, mentre preparava aperitivi a bocconcini molto appetitosi nella cucina dell’Hotel Schweizerhof. Lo chef era abilmente assistito da figure di spicco della gastronomia lo-cale, come Rolf Hiltl e Nadia Damaso. Una vera piacevolezza poter assaporare prelibatezze in un’atmosfera molto rilassata sulle note di piatti fantasiosi della cucina americana. Ma la cucina del pop-up Ron Silver, ha proposto altri piatti informali quali frittelle soffici di mirtilli, hamburger deliziosi, sandwich con arrosti e varie torte. Una selezione delle sue specialità di cucina casalinga americana era anche disponibile come cibo da asporto da un rimorchio steelrunner posizionato all’e-sterno dell’Hotel Schweizerhof. Presso l’Hotel Waldhaus di Sils, la Jan Martel di San Gallo ha presentato ad una piccola cerchia di ospiti una selezionatissima rarità di vini americani “il meglio della maturità da bersi oggi”. Questa leggendaria degustazione di vini è stata completata da creazioni culinarie preparate dal cuoco ospite Rick Moonen, specialista in frutti di mare, il più famoso chef d’America in Las Vegas. Come da tradizione non è mancato la “cerimonie des Fromages” con il Maître Antony dall’Alsazia e ben tre serate del Wine & Chee-se Celebration nelle cantine dell’Hotel Steffani, St. Moritz. Gli ospiti venivano invitati a selezionare loro stessi i vini da ac-compagnare ai formaggi sotto la guida esperta dei due spon-sor Martel AG e Caratello Vini di San Gallo. Nell’ambitissimo US-Beef Blizzard sul Corviglia, Reto Mathis, proprietario del Mathis Food Affairs, e anima del Gourmet Festi-val, ha proposto specialità di carni bovine US dal Middle West in un ambiente da sogno ad un’altitudine di 2486 metri slm. Sulle innevate montagne di St. Moritz i diversi chef ospiti han-no goduto di un programma di attività sportiva che ha contri-

buito a fare apprezzare ancor di più l’ambiente alpino dell’En-gadina. “Le ore trascorse insieme sugli sci e sugli snowboard sul Corviglia rimarrà per me indimenticabile” ha commentato James Kent del ristorante Nomade di New York, ospite dello chef Gero Porstein al Carlton Hotel. Venerdì 3 Febbraio si è tenuto l’attesissimo Great BMW Gour-met Finale nelle sale del Kulm Hotel St. Moritz. Già durante il lungo cocktail champagne nella elegantissima hall dell’hotel, gli ospiti hanno potuto assaporare gli stuzzichini preparati dagli chef USA. La cena è stata invece servita nella sala Cor-viglia, con una imponente cornice glamour con un look ame-ricano autentico, durante la quale è stato servito un menù a più portate preparato da tutti gli chef ospiti e dagli chef locali insieme. Finale in musica con i famosi cantanti Della Miles e Josanne Thomas venuti appositamente dagli States. In chiu-sura Reto Mathis, presidente del Festival Gourmet, ha comuni-cato che il St. Moritz Gourmet Festival 2018 si svolgerà dal 29 Gennaio al 2 Febbraio 2018. Tutto top secret per un Festival che si annuncia molto promettente per festeggiare il primo 25° anniversario. Chi scrive oltre che presenziare all’apertura al Kempinski, ha avuto modo di seguire anche l’American Diner presso l’hotel Schweizerhof di St. Moritz con il più famoso cuoco americano di New York, Ron Silver. Ed ancora ho potuto degustare pres-so l’Hotel Giardino Mountain il menù del grande chef texano Dean Fearing, che ha il suo locale Fearing’s Restaurant nel famoso hotel The Ritz-Carlton di Dallas. Dean Fearing è una leggenda vivente. Le sue abilità culinarie gli hanno fatto vin-cere diversi premi. Egli descrive la sua filosofia di cucina texa-na in un modo congeniale e semplice secondo il motto: “Io cucino ciò che la gente vuole mangiare. Non sono interessato ai menù glorificati o complicati, mi ispiro ai sapori di ogni ingrediente. Sapori audaci, senza confini”. È membro del The Culinary Institute of America.

Una St. Moritz inneva ha accolto gli ospiti annunciando lo svolgimento dei Campionati mondiali di sci che si sono svolti dal 6 al 19 febbraio

Lo chef texano Dean Fearing con il nostro collaboratore

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Conviviodi Domenico Cosentino

E ancora, per via dell’allure di cibo sano e digeribile, che si porta appresso da sempre, il cotto è diventato anche ingrediente – base di omogenizzati e menù per anziani. Declinato e preparato in cento modi diversi, il cotto dà il meglio di sé in purezza nel panino più fragrante e ap-pena sfornato; democraticamente comprimario in insa-late, sughi e farciture; in crosta avvolta in sottile pasta di pane; sulla pizza, con o senza il pomodoro; in gelatina con insalata russa insaporita con capperi; nel frullato-re, sotto forma di mousse, insieme a ricotta vaccina e parmigiano; con la pasta: Famosa “la Pasta Tre P” degli anni settanta con Penne, Piselli e Panna; nelle Omelet-te, preparate con uova biologiche in padella con burro chiarificato. Appena, rappreso, prosciutto e chiusura a portafoglio; infine, in forma di involtini: coscia di man-zo tagliata sottile, sopra, prosciutto cotto e lingottini di toma d’alpeggio. Chiusura con stuzzicadenti, poi in padella con extravergine d’oliva e un bicchiere d vino bianco secco.

Prosciutto, ovvero prosciugato Il suo nome identifica la sua preparazione. Prosciutto, ovvero prosciugato. Risultato che per il crudo si ottiene salandolo e stagionandolo, mentre per il cotto occorre il passaggio al forno. La normativa datata 2005 codi-

fica tre tipologie: cotto, scelto e alta qualità, in base ai tagli di carne, dai ritagli composti ad almeno tre dei quattro muscoli della coscia e all’umidità interna, che nel cotto semplice, grazie a polifosfati e proteine di lat-te e soia, supera l’80 per cento. Come dire: comprare acqua pagandola per prosciutto, insieme a certe sfuma-ture arcobaleno e all’aspetto lucido, gelatinoso. Eppure, anche l’alta qualità (meno del 75,5 per cento d’acqua) lascia spazio a correzioni non proprio virtuose, tra gli ingredienti - vino, zucchero, aromi e spezie, naturali e no – insaporitoti e conservanti, perché l’asticella, a mio avviso, andrebbe alzata un passo prima, al momento di scegliere le carni.

Due cosce su tre sono straniere Per colpa del prezzo vergognosamente basso pagato ai nostri allevatori, inferiore a un euro e mezzo al chilo-grammo, oggi in Italia, due cosce su tre sono straniere. Ma i produttori e responsabili dei grandi marchi di sa-lumi italiani non sembrano crucciarsene troppo, anzi!

Si è ripreso la rivincita il prosciutto cotto: oggi, fra gli insaccati, è il più amato degli italiani. Comprato e gustato in modo trasversale per età e ceto socia-le. E viene consumato in tutte le stagioni; tagliato in fette sottili, spesse o a dadini, sulla polenta o sulle tartine estive, gli italiani lo mangiano più di ogni altro salume; più del nobile “fratello” pro-sciutto crudo, scegliendolo per bimbi e malati, a patto che non costi molto, sia magro e (soprattut-to) a lunga conservazione.

A molti piace cottoQuell’affettato buono per tutte le stagioni

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Sul sito di alcuni produttori famosi, in special modo nel modenese, dove il viaggiatore goloso, ultimamente, era stato ospite del Consorzio dell’Aceto Balsamico di Mo-dena, ha avuto modo di leggere la seguente frase: “Gli standard sono più o meno uguali in tutta Europa e que-sto contribuisce a livellare sia l’aspetto qualitativo, che quello della sicurezza igienica delle carni destinate alla produzione di salumi. Al di là dei salumi Dop, l’origine della carne non è determinante né per la qualità né la salubrità del prodotto… il glutammato di sodio viene impiegato con additivo per stimolare i ricettori della lin-gua aumentando la percezione del gusto della carne”. Ed è così che il Buongustaio, il Consumatore di Prodotti “Presidio Slow-Food” o a Chilometro zero, aggiungo io, è servito!!

Produzione artigianale Dall’altra parte, invece, sempre nel modenese, ci sono le produzioni artigianali, che sono ancora tante. La fa-miglia Gino Franceschini che da quasi mezzo secolo la-

vora nell’ambito gastronomico emiliano, racconta così il suo celebre prosciutto cotto: “Lavoriamo esclusivamen-te maiali di un piccolo produttore di Spilamberto che li cresce allo stato semibrado con foraggio naturale di cereali e granturco. Prepariamo la salamoia con un de-cotto di Marsala, spezie, erbe, acqua e sale, iniettato nelle vene delle cosce perché si distribuisca fin ai capil-lari. Dopo tre settimane di marinatura, cottura in forno a bassa temperatura per ventidue ore. Il calo di peso è di quasi di un terzo, da tredici chilogrammi a crudo a meno di nove, con una percentuale di umidità inferiore al 70 per cento. Il tutto per un prezzo di 39 euro al chi-lo, che è direttamente, a nostro avviso, proporzionale alla qualità della carne e inversamente alla percentuale d’acqua. Poco, dunque, ma buono! Come si diceva una volta. E per un prosciutto cotto di Alta Qualità, vale an-cora oggi”.

Nelle case contadine non esisteva Dal Crudo al cotto, sostengono a Modena, il passo è breve. A volte però i cotti (sia prosciutto, mortadella e l’antico “salame rosa”) ritornano perché sono comodi. Si tagliano in un attimo, si infilano in una croccante cia-batta, si aggiungono in un ragù istantaneo. Anche se bisogna aggiungere che, in passato, il prosciutto cotto nelle case dei contadini non esisteva. Se una coscia non era adatta alla stagionatura – troppo piccola, troppo magra – veniva tagliata a pezzi, macinata e trasformata poi in salami e salsicce. È stata l’industria a reinventare (secoli e secoli dopo i celti e i galli Boi che bollivano le cosce suine) il prosciut-to cotto. Per la prima volta, appare nel 1866 nella dit-ta Costante Villani ed Ernesto Cavazzuti, che diventerà la Villani Spa. Il prosciutto crudo era sì un tesoro. Ma bisognava aspettare almeno un anno, prima di affilare la coltellina e fare il primo assaggio. Come per l’Aceto

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Balsamico Tradizionale era la Rezdora, la padrona di casa, la custode delle Perle Nere, così per il prosciutto, era il capo famiglia a guidare la cerimonia, davanti a figli e nipoti già pronti con un pezzo di pane in mano. Due tre fettine poi la coltellina veniva di nuovo affilata con la “pietra da cote” usata per la falce da fieno. Il crudo però non sempre è stato il Re della tavola, sia in campagna che in città. Narrano, ad esempio, le cronache che l’altro cotto per eccellenza, la Mortadella, nel seicento costava a Bologna “nove volte più del pane, tre volte e mezzo più del prosciutto, due volte e mezzo più dell’olio”.

Tra salumi, salami, “saiani” e Buffalo Bill Ma la coscia di maiale cotto – in anni lontani dall’attua-le resurrezione – ha prodotto vere proprie fortune a di-versi produttori emiliani. Un esempio ci viene dai Fratelli Zappoli: “Stabilimento a vapore fratelli Zappoli 1884”, è scritto, ancora oggi, sull’ex fabbrica di salumi di Porta San Felice di Bologna. I salumi, veri gioielli, venivano cotti al vapore, confezionati in scatole di metallo e venduti, soprattutto negli Stati Uniti d’America. Venivano lavorati quindicimila maiali (tutti allevati in Italia) all’anno. E fu così che gli Zappoli entrarono nell’élite dei ricchi bolo-gnesi. Poi comprarono un grande apprezzamento di ter-reno, i prati di Caprara, e vi costruirono un ippodromo privato. Ogni anno, spettacolo per tutti i bolognesi. Nel 1890 fu invitato anche Buffalo Bill, con i suoi “Indiani d’America”. Fu in quell’occasione che i cittadini delle Due Torri impararono che il granturco poteva diventare non solo polenta o mangime per le galline e i loro ma-iali ma anche “pop corn”. Il ricordo di quello spettacolo (Wild West Show) fu tramandato di padre in figlio e nac-que anche un detto popolare: “Andare come un Saiano” (correre molto forte) dove Saiano sarebbe la “traduzio-ne” di Cheyenne. Fra i salumi cotti, oggi, sta ritrovando fortuna anche il “salame rosa”, dimenticato da decenni, fatto con tri-to scelto di spalla e prosciutto con aggiunta di grasso di guanciale. “Ha il gusto e il profumo di un arrosto”. Essendo saporito – e molto comodo – non è detto che anche lui possa correre come un Saiano, un Cheyenne.

Ingredienti per 8 involtini: • otto fettine di coscia di manzo tagliato sottile, • 8 fettine di prosciutto cotto, • 8 lingottini di toma d’alpeggio (va bene an-

che altro formaggio), • 40 g di olio extravergine d’oliva, • 2 dl di vino bianco secco, 8 stuzzicadenti, sale

e pepe.

Come l’hanno preparata:Come li preparo: Sopra le cosce di manzo taglia-te sottili, sistemo le fette del prosciutto. Aggiun-go i lingottini di formaggio, spolvero con sale e pepe. Chiudo con gli stuzzicadenti. Faccio rosola-re in padella con l’extravergine, sfumo con il vino bianco, abbasso la fiamma e lascio cuocere per 10 minuti. Servo i miei involtini su una insalatina fresca e accompagno con un buon bicchiere di vino bianco. Va bene un Soave!

Involtini di Prosciutto Cotto

Il salame rosa

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di Tatiana GaudimonteLa Dieta Rivista

La spiegazione del divieto, riportata su un cartello adiacente, illustra come pane sbriciolato o altro cibo non adatto alla fauna selvatica modifichi il metabolismo di questi animali e porti alla produzione di escrementi che risultano tossici per piante e piccoli animali acquatici, comportando in definitiva con lo sconvolgimento dell’equilibrio dell’intero habitat. Un’iniziativa sicuramente ammirevole, benché faccia storcere il naso a grandi e piccini che si divertivano a tirare briciole ad anatre e a cigni. È giustissimo salvaguardare l’ambiente e rispettare gli animali che lo abitano, anche perché, diciamolo: un laghetto putrescente non è un bel vedere. Mi chiedo allora perché mai, accanto a tanta, sacrosanta attenzione per le creature dello stagno, non corrisponda un’altrettanto meticolosa cura verso gli appartenenti della nostra specie. Perché in nessun supermercato, bar, chiosco, distributore automatico, in corrispondenza di “cibi” raffinati, zuccherati, variamente alterati nella forma, sostanza e gusto, non ci sono dei cartelli che rendano note le conseguenze del consumo continuato di questi prodotti sul metabolismo dell’homo sapiens? Perché non scrivere a chiare lettere che alimenti poveri di fibra, per esempio, portano a uno squilibrio del nostro microbioma intestinale, deputato non solo a migliorare la digestione dei cibi ma anche alla produzione di vitamine importanti e al rinforzo del nostro sistema immunitario? Che il consumo cibo non adatto a noi (come papere nutrite a pane secco) porterà a una modifica delle nostre funzioni metaboliche, a un impoverimento delle nostre risorse, a un accumulo di grasso che verrà messo da parte per far fronte a una situazione di infiammazione generale e che contribuirà a fomentarla in un assurdo circolo vizioso? Forse perché, se da una parte ripulire uno stagno infestato da residui putridi è un lavoro antipa-tico per gli operatori ecologici e grava sulle casse del Comune, dall’altra, invece, la collettività apparentemente non è disturbata dai…perdonate…residui putridi del Signor Rossi. Sono fatti suoi. Anzi, se tanti Signor Rossi, sentendosi debilitati e privi di energia, andranno in massa a comprare l’ultimo integratore visto in tv per “ricaricare le batterie”, tanto meglio, no? Facciamo girare l’economia! Però poi magari gli integratori non bastano, allora quei Signor Rossi andranno a farsi visitare e/o prescrivere esami…ed ecco che di nuovo, le conseguenze di una cattiva alimentazione andranno a pesare sulla collettività, anche se in modo più discreto e subdolo rispetto a uno stagno puzzolente. Dal momento che, finora, a nessuna autorità competente è venuto in mente di salvaguardare la nostra specie e il nostro ambiente dai rischi connessi a consumo di cibo non adeguato (nemmeno un velocissimo “può danneggiare la salute ed avere effetti collaterali” a fine spot!), la responsabilità della nostra salvaguardia ricade sulla nostra scelta quotidiana. Fateci un pensierino, alla vostra prossima spesa.

Starnazzanti saluti dalla vostra Tatiana Gaudimonte

[email protected]

Niente pane per le anatre!

Nel comune dove vivo,

nei pressi di qualunque

specchio o corso d’acqua, vige il

divieto assoluto di nutrire gli

animali selvatici, pesci o volatili

che siano, pena il pagamento

di 50 franchi di ammenda.

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Starbene

passo importante nella ricerca sulle ‘proteine con strut-tura disordinata’. La dimostrazione della possibilità di individuare mole-cole attive in grado di inibire le ‘proteine disordinate’ cambia completamente lo scenario nella lotta a nu-merose patologie e apre la possibilità di moltiplicare il numero di bersagli molecolari che si possono colpire attraverso l’uso mirato di farmaci.

Antitumorale made in italyLa rivista scientifica Cancer Discovery ha pubblicato i nuovi dati che confermano l’efficacia, del farmaco “made in Italy” entrectinib, una molecola nata dalla ri-cerca italiana del Centro Ricerche di Nerviano e per il quale lo sviluppo clinico era stato avviato al Niguarda Cancer Center e all’Istituto Nazionale dei Tumori, per poi essere espanso su scala mondiale grazie all’azienda farmaceutica americana Ignyta. I risultati sono il frutto di due sperimentazioni cliniche di fase 1 (il primo passo dello sviluppo clinico di un farmaco in pazienti con tu-more) che hanno coinvolto 119 pazienti e centri ospe-dalieri dell’area asiatica, europea e americana. Dei 25 casi che mostravano le caratteristiche idonee per la tera-pia a base di entrectinib il 79% ha risposto al trattamen-to, evidenziando inoltre un ottimo profilo di tollerabilità. Il farmaco, che viene somministrato per via orale, è un esempio di medicina di precisione e svolge un’azione mirata contro una serie di bersagli molecolari - i geni NTRK1/2/3, ROS 1 e ALK - che vengono attivati in tumo-ri di diversi tipi istologici. Lo studio indica che entrectinib induce buone risposte cliniche per un’ampia gamma di tumori che presentano le alterazioni “bersaglio” del far-maco, e che comprendono sottopopolazioni del tumore del polmone non a piccole cellule, il tumore del colon retto, il carcinoma delle ghiandole salivari, il melanoma e il carcinoma renale. Entrectinib, attualmente in fase 2 di sperimentazione clinica, è ad oggi il primo farmaco inibitore di TRK che ha alle spalle un’evidenza clinica di attività, con risultati già pubblicati, per il tumore del polmone non a piccole cellule e i tumori cerebrali.

Farmaco antipsicotico più potente della chemioterapia contro il cancro al pancreasUna molecola, utilizzata da tempo per curare gli stati d’ansia, potrebbe aprire adesso nuove speranze con-tro il tumore al pancreas. A individuarla un gruppo di ricercatori dell’Istituto di nanotecnologia del Cnr di Rende (Cs), in collaborazione con l’Università del-la Calabria e scienziati francesi e spagnoli. Lo studio, pubblicato su Scientific Reports, dimostrerebbe la capacità della molecola di interferire con la proteina Nupr1, a struttura disordinata, coinvolta nei processi di sviluppo del tumore, inibendone l’attività. La ricerca è cominciata con lo screening di oltre mille farmaci già approvati per varie indicazioni terapeu-tiche. L’uso combinato di tecniche sperimentali e di simulazioni al calcolatore ha permesso di identificare alcuni di questi farmaci in grado di interagire con la proteina Nupr1. Esperimenti in vitro hanno poi dimo-strato che i composti selezionati sono capaci di dimi-nuire la vitalità delle cellule tumorali, di ridurne le ca-pacità di migrazione e di sopprimere completamente la possibilità di formazione di colonie. Il composto più efficace, una molecola nota come tri-fluoperazina, finora utilizzata solo per la sua azione antipsicotica è stato sperimentato ‘in vivo’ su cellule del tumore del pancreas umano trapiantate su modelli murini, e si è dimostrato in grado di arrestare comple-tamente lo sviluppo della malattia. La molecola ha av-valorato un’efficacia antitumorale superiore perfino ai più potenti trattamenti chemioterapici finora disponibili. Inoltre, lo studio prova che questa nuova molecola non costituirebbe solo un’alternativa ai farmaci già noti, ma può essere combinata con questi per aumentare l’effet-to terapeutico complessivo. Al di là delle possibili ricadute mediche future, e in at-tesa che si avvii la sperimentazione per l’uso di questo farmaco sull’uomo, per i ricercatori lo studio segna un

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preferenzialmente i gangli nervosi. È una patologia molto diffusa e ne siamo circondati quotidianamen-te. Le nostre difese immunitarie sono tali da inibire, di solito, l’attività virale o ridurla al minimo. In alcuni casi, questa barriera immunitaria cede e allora il virus comincia ad aumentare le proprie capacità locali di diffusione e dispersione danneggiando, preferenzial-mente, le fibre nervose e provocando, nella sua com-parsa iniziale, fenomeni reattivi locali a livello cuta-neo. Questi, infatti, si caratterizzano con microlesioni e pustole, in una forma molto evidente e dolorosa che segue tipicamente il decorso del nervo sottostante e che colpisce soprattutto la zona del volto, del torace o degli arti inferiori. Quando questo sfogo appare si ri-corre al tipico trattamento antivirale, antinfiammatorio e antidolore anche se è sempre opportuno appurare non vi siano patologie concomitanti che abbiano in qualche modo favorito l’apertura della barriera immu-nitaria come, ad esempio, forme neoplastiche (tumo-rali). Il problema nasce nei mesi successivi ad avvenuta guarigione acuta e cutanea, nel momento in cui in-sorge la nevrite post-erpetica, sulla quale il terapista del dolore deve assolutamente intervenire prima che sopraggiungano danni irreversibili del nervo. A livello microscopico, è visibile, proprio sulla super-ficie del nervo, una forma di degenerazione della membrana protettiva del nervo stesso (mielina) che lo ricopre a livello dei gangli, ma anche lungo tutto il suo percorso. Il dolore della nevrite post erpetica è incoercibile e limita tantissimo la qualità di vita del pa-ziente perché non ha mai sosta, giorno e notte. Limita il sonno, l’alimentazione specie se è a livello del tratto facciale, limita la respirazione se è a livello toracico, quindi è una malattia estremamente grave e impor-tante da trattare. A questo proposito esistono tratta-menti specifici e mirati, a livello transcutaneo, lungo il decorso del nervo, che possono essere effettuati o con l’ausilio di un ago, con l’iniezione di farmaci anestetici o adiuvanti adatti, o con la più semplice applicazione di cerotti molto efficaci.

Tumori, un’innovativa biopsia non invasiva per la diagnosiUna biopsia liquida per analizzare le vescicole, rilascia-te nel sangue dai tumori, che trasportano le aberrazio-ni molecolari del tessuto tumorale di origine. È questo, in sintesi, l’approccio molecolare sofisticato e innova-tivo, sviluppato nei laboratori dell’Istituto Superiore di Sanità. Un nuovo approccio sperimentato finora su pazienti affetti da tumore alla prostata in uno studio pubblicato su Oncogene, e su pazienti colpiti da can-cro al polmone e al colon (in due studi in corso di pub-blicazione). L’eterogeneità e complessità delle patolo-gie neoplastiche rende molto difficile individuare una terapia unica ed efficace. Inoltre la risposta individuale del paziente ai farmaci è, molte volte, non prevedibile. Ad oggi il “goal” assoluto per combattere questo male è procedere, quanto più possibile, ad un trattamento personalizzato. L’indagine ha permesso, per la prima volta di valutare segnali proteici attivati e indicativi di tumore e dello stato aberrante molecolare del cancro in pazienti affetti da neoplasie al polmone, colon e prostata. Questi segnali sono associati alla presenza di cancro, alla progressione tumorale e alla resistenza alle terapie e sono bersagli di nuovi farmaci approvati definiti targeted therapy. Questo tipo di biopsia liqui-da realizzata con tecniche innovative, sofisticate e sen-sibili potrà permettere di avere una diagnosi sempre più precoce e certa di tumore. Questo tipo di biopsia liquida, adeguatamente sviluppata, potrà permettere di avere un metodo non-invasivo per monitorare il tu-more fin dall’esordio, per individuare tempestivamente le recidive e l’insorgenza di resistenza alle terapie.

Fuoco di Sant’Antonio: quando il dolore è insopportabileL’Herpes zoster, conosciuto comunemente come fuo-co di Sant’Antonio è una malattia virale determina-ta dal virus della varicella-zoster (VZV) che colpisce

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La SX4 S-CROSS è stata recentemente insignita dell’ASE-AN NCAP Grand Prix Award per la migliore protezione dei passeggeri adulti nella categoria dei SUV. È un mo-dello speciale, definito Piz Sulai, l’oggetto delle attenzio-ni del “vostro”, per via di un accattivante pacchetto sup-plementare, su di un equipaggiamento di per sé molto ricco. Ma, l’aspetto più importante è rappresentato dal motore turbo boosterjet da 1.4 litri, brillante e dai bassi consumi. Dal punto di vista estetico è riconoscibile dal frontale completamente riconfigurato, imponente. La calandra con listelli verticali, i fari dal look dinamico e la presa d’aria inferiore a forma di trapezio, conferiscono al vei-colo un aspetto moderno ispirato ai SUV. Nuova SX4 S-CROSS è una multi-talento compatta che coniuga i vantaggi di una van, una familiare e una SUV. Il confort di guida è da prima della classe, e, grazie al sistema di trazione di trazione integrale a controllo elettronico, co-niuga divertimento di guida e sicurezza di marcia con

un’eccellente motricità. Il sistema di trazione integrale a controllo elettronico di Suzuki Allgrip Select permet-te di scegliere tra quattro diverse modalità (Auto, Sport, Snow e Lock), selezionandole tramite il satellite posto nella consolle centrale in base alle condizioni stradali. La configurazione degli spazi interni è svariata. La lun-ghezza complessiva di 4.300 mm e il passo di 2.600 mm garantiscono ampi spazi nell’abitacolo, e il buon baga-gliaio rivela una certa vocazione per le famiglie. Altri punti forti sono il tetto scorrevole in vetro panoramico, lo schermo tattile da 7 pollici, che consente un facile uso delle funzioni multimediali: musica, comandi vocali, vivavoce, navigatore e l’integrazione dello smartphone. Funzioni che si possono usare con quattro sezioni princi-pali: listen, call, drive, conncet. Il conducente inoltre, ha sott’occhio tutte le principali informazioni della vettura, che appaiono sullo schermo al centro della strumenta-zione, come consumo di carburante, autonomia, la mo-dalità della trazione integrale selezionata e altro ancora.

Suzuki SX4 S-CROSS Piz SulaiCrossover compatto con motore turbo boosterjet da 1.4 litri e nuovo frontale

di Graziano GuerraMotori

Disponibile pure con cuore italiano Nelle versioni diesel, il motore 1,6 e il cambio sono di Fiat. Il propulsore sorprende per la sua spiccata dinamicità su ogni terreno. La turbina a geometria variabile (VGT) assicura accelerazioni dolci, mentre il nuovo sistema di ricir-colo dei gasi di scarico permette di contenere la formazione di NOx garantendo quindi livelli di emissione minimi.

La cinque porte, cinque posti, in test, Boosterjet Piz Sulai Top 4x4 1.4 BJ benzina Automatica a 6 rapporti 140 CV, presenta in listino CHF 32’490. Il turbo da 1.4 litri a iniezio-ne diretta è in grado di erogare 140 CV (103 kW), e una coppia massima di 220 Nm, erogata fra i 1500 e i 4000 giri/min. Il consumo dichiarato è di 5,4 litri / 100 km, corrispon-denti a emissioni di CO2 pari a 127 g/km. Il ventaglio prezzi parte dai CHF 19’990 della variante Boosterjet Unico 1.0 BJ benzina da 112 CV con cambio manuale a 5 marce, per arrivare ai CHF 33’490 della Compact Top Diesel 4x4 1.6 Diesel Automatica a 6 rapporti da 120 CV.

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primo equipaggiamento firma-te in stretta collaborazione con i produttori di veicoli premium. Molti dei principali produttori di automobili di tutto il mondo supportano l’innovazione, in risposta alla sempre crescente domanda di pneumatici esclu-sivi e tecnologicamente avan-

In occasione della 87° edizione del Salone di Ginevra, Ferrari presenterà in anteprima mondiale la nuova berli-netta 12 cilindri, la 812 Superfast, la Ferrari stradale più potente e prestazionale della storia. Una vettura con tan-ti contenuti innovativi e un significato particolare, per-ché la serie 12 cilindri è quella con la quale è iniziata ufficialmente la storia del Cavallino Rampante nel 1947, settant’anni or sono. La 812 Superfast, forte dell’eredità preziosa ricevuta dalle F12berlinetta e F12tdf, è destinata a quella tipologia di clientela che ricerca la Ferrari più pre-stazionale ed esclusiva della gamma, che desidera una vettura sportiva senza compromessi in grado di regalare emozioni sia su strada sia in pista, senza però rinunciare al comfort necessario per vivere sempre la propria Ferra-ri in maniera coinvolgente. Spinta da un nuovo motore V12 da 6.5 litri, in grado di erogare 800 CV, la 812 Super-fast è il nuovo punto di riferimento per vetture sportive a

La Casa sarà presente al Salone Internazionale dell’Auto-mobnile con un nuovo, molto originale, concetto di stand, che sorgerà nel padiglione 6 e porterà il numero 6360. Il produttore di pneumatici di maggior successo nel pri-mo equipaggiamento, con più di 1.600 omologazioni per gomme estive, porrà sotto la luce dei riflettori pneumatici personalizzati come il nuovo P-Zero. Inoltre, saranno per la prima volta in bella mostra i nuovi pneumatici per la Formula 1 2017. Il produttore italiano sviluppa gomme di

motore anteriore-centrale, con la potenza massima rag-giunta a 8500 giri/minuto e una potenza specifica di 123 cv/l, valori mai ottenuti in passato da motori anteriori su vetture di serie e che esaltano la sensazione di sportività estrema soprattutto agli alti regimi, esclusiva dei V12 Fer-rari. Equipaggiata con componenti e sistemi di controllo di ultima generazione, si contraddistingue per un han-dling unico. Disegnata dal Centro Stile Ferrari, ridefinisce il codice di lettura delle V12 anteriori Ferrari. Partendo dalla silhouette, si nota la connotazione da fastback: una 2 volumi dalla coda sostenuta che richiama la 365 GTB4 del 1969. La 812 Superfast debutta con il nuovo colore Rosso Settanta anni, creato appositamente per celebrare l’anniversario dell’azienda. Novità anche per l’interfaccia uomo-macchina, con nuovo volante e strumentazione, assieme al sistema di infotainment e climatizzazione di ultima generazione.

Debutta a Ginevra la Ferrari 812 Superfast Motore da 800 CV più potente di sempre per una vettura di serie

Pirelli al Salone di Ginevra 2017

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marzo 2017 La Rivista - 79

La leggenda delle corse automobilistiche Emerson Fitti-paldi ha rivelato che l’intera carrozzeria e la monoscocca della tanto attesa nuova Fittipaldi EF7 Vision Gran Turi-smo by Pininfarina saranno realizzati in fibra di carbonio, dando un vantaggio unico in pista in termini di velocità e creando una capsula di sicurezza attorno al pilota e al passeggero. La EF7 sarà super leggera (circa 1000 kg), il che significa che la velocità sul rettilineo e la rapidità di entrata e uscita dagli angoli saranno straordinarie, men-tre gli standard di sicurezza, accresciuti dalla forza della fibra di carbonio, sono della più alta considerazione pos-sibile. Fittipaldi ha rivelato che il potente motore aspirato V8, con più di 600 CV, darà un’accelerazione potente ma progressiva. Motore e cambio sono una produzione uni-ca “Fittipaldi” e sono perfettamente integrati, mentre il loro design e la loro posizione bassa nella vettura creano un unico centro di gravità. La vettura da pista in versio-ne limitata EF7 è stata sviluppata in collaborazione con Pininfarina e HWA, e sarà disponibile anche nella serie Gran Turismo, il franchising per le corse PlayStation della Sony. La Fittipaldi EF7 Vision Gran Turismo by Pininfarina sarà presentata il 7 marzo 2017 al Salone Internazionale dell’Auto di Ginevra sullo stand Pininfarina.

zati, in grado di garantire prestazioni e sicurezza. Pirelli ha adattato su misura gli pneumatici alle caratteristiche e alle esigenze del rispettivo modello di auto e ha quindi ricevuto la licenza per la prima serie. La gamma di pneumatici esti-vi è cresciuta di altri tre profili. Con l’ultima versione UHP P ZERO rafforza la presenza con prestazioni, affidabilità e requisiti di sicurezza, come pure la propria strategia Perfect Fit. La prossima generazione di pneumatici per la F1 Le nuove gomme sono notevolmente più grandi. La lar-ghezza degli pneumatici anteriori è cresciuta da 245 a 305 millimetri, quelli posteriori sono passati da 325 a 405 mil-limetri. I nuovi pneumatici offrono più aderenza in curva, consentendo velocità significativamente più elevate. La stagione di Formula 1 nel 2017 promette quindi ancora

più emozioni e prestazioni. Il nuovo P Zero ha oggi 70 Omologazioni Il nuovo si caratterizza per una serie di innovazioni tecniche sviluppa-te in stretta collaborazione con i principali produttori au-tomobilistici di tutto il mondo. Si tratta di uno pneumatico su misura per ogni veicolo, sviluppato in tre diverse versio-ni: per vetture dal carattere sportivo, dal confort elevato, mentre P ZERO Corsa è destinato alle Super-Sportive. Con circa 70 omologazioni e una gamma di oltre 80 dimensio-ni, da 18 a 22 pollici, P Zero copre i più elevati standard nel segmento UHP (Ultra-High-Performance). La gamma esti-va è completata dal CINTURATO P7 BLUE dallo SCORPION VERDE. Da segnalare l’assicurazione TYRELIFE, ottenibile anche con l’appartenenza al Club P Zero: www.pzeroclub.ch.

Fittipaldi EF7 Vision Gran Turismo by PininfarinaSarà presentata il 7 marzo 2017 al Salone di Ginevra sullo stand Pininfarina

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Il giro del mondo con una Tipo di serie in 133 giorniPercorsa la stessa distanza della circonferenza terrestre toccando 22 nazioni e 122 città

Sbarcata sulle coste inglesi, la Fiat Tipo ha attraversato 14 diversi Paesi europei, tra i quali Olanda, Germania, Fran-cia, Svizzera, Austria e Italia. Il World Tour di Fiat Tipo si è concluso con il rientro in patria dell’originale esploratore che ha potuto apprezzare, nelle oltre 400 ore di guida totali, l’affidabilità e il comfort della vettura sulle diverse strade affrontate, anche quelle più impervie, e nelle con-dizioni climatiche e meteorologiche più avverse. Merito non di una preparazione specifica della vettura, ma il ri-sultato della bontà del “progetto Tipo” che ha visto im-pegnato, per oltre 3 anni, un team di oltre 2.000 tecnici e specialisti e registrato quasi 9 milioni di chilometri di test nelle più estreme condizioni e latitudini.

Una Fiat Tipo di serie ha compiuto un’impresa straordi-naria percorrendo 41.000 chilometri – la stessa distanza della circonferenza terrestre – in 133 giorni e toccando 22 nazioni e 122 città. A condurla il giornalista Okan Al-tan. Partita il 13 agosto direttamente dallo stabilimento Tofaş a Bursa, uno dei più innovativi siti industriali del mondo come attesta la medaglia d’Oro World Class Ma-nufacturing, la Fiat Tipo non è stata sottoposta ad alcun intervento tecnico supplementare per affrontare il lun-go viaggio intorno al mondo. Le prime tappe del world tour sono state europee: dopo la Turchia, la Fiat Tipo, in versione 4 porte e livrea rossa, ha attraversato Bulgaria, Grecia, Romania e Ucraina, per poi fare il suo ingresso in Russia. Qui, ha percorso la via che costeggia la più nota tratta ferroviaria al mondo, la Transiberiana, viaggiando 11 ore al giorno, per 8 giorni totali, senza accusare al-cuna fatica. Il viaggio è proseguito in Giappone, dove la vettura è stata accolta con grande entusiasmo da parte della popolazione, prima d’imbarcarsi a Yokohama per raggiungere, via nave, il Messico. In un’avventura che si rispetti non può certo mancare l’imprevisto: infatti, per un disguido burocratico, Altan ha dovuto attendere 11 giorni prima dell’ingresso nel Paese centro-americano. Il viaggio è poi proseguito con 40 giorni di navigazione con cui sono stati coperti i 6.000 chilometri di Oceano Atlantico che separano il Messico dalla Gran Bretagna.

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Mondo in Camera

L’Italia con gusto a Carouge

Italy at CERN, 4-7 aprile

Vinitaly 2017: proposte per buyer ed espositori

Contatti Commerciali

Benvenuto ai soci

Servizi camerali

Ginevra: riparte il Corso di sommelier

Aperitivo italo-svizzero al Salone dell’Auto

TASTE OF ITALY Food edition

Riccardo Luna all’università di Ginevra

“Bella Italia” al centro commerciale Balexert di Ginevra

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82 - La Rivista marzo 2017

LUNDI 06.0317h | Cours de cuisine pour adultes (45min)18h | Cours de photo pour adultes (60min)Merci d’apporter votre tablette ou votre smartphone.

MARDI 07.0317h | Atelier mozzarella pour enfants (40min)18h | Cours de photo pour adultes (60min)Merci d’apporter votre appareil photo ou votre smartphone.

MERCREDI 08.0311h et 17h | Cours de photo pour enfants (60min)Merci d’apporter votre appareil photo ou votre smartphone.14h, 15h | Cours de cuisine pour enfants (45min)16h | Atelier mozzarella pour enfants (40min)

JEUDI 09.0314h, 16h et 18h | Atelier de mode et dessin pour adultes (90min)

VENDREDI 10.0314h, 16h et 18h | Atelier de mode et modélisme pour adultes (90min)

SAMEDI 11.0310h, 11h30 et 15h | Atelier de mode pour enfants (90min)17h | Cours de danses populaires italiennes (60min)

LUNDI 27.0217h | Cours de cuisine pour adultes (45min)18h | Cours de photo pour adultes (60min)Merci d’apporter votre tablette ou votre smartphone.

MARDI 28.0217h | Atelier mozzarella pour enfants (40min)18h | Cours de photo pour adultes (60min)Merci d’apporter votre appareil photo ou votre smartphone.

MERCREDI 01.0311h et 17h | Cours de photo pour enfants (60min)Merci d’apporter votre appareil photo ou votre smartphone.14h, 15h | Cours de cuisine pour enfants (45min)16h | Atelier mozzarella pour enfants (40min)

JEUDI 02.0314h, 16h et 18h | Atelier de mode et dessin pour adultes (90min)

VENDREDI 03.0314h, 16h et 18h | Atelier de mode et modélisme pour adultes (90min)

SAMEDI 04.0310h, 11h30 et 15h | Atelier de mode pour enfants (90min)17h | Cours de danses populaires italiennes (60min)

LUNDI 13.0317h | Cours de cuisine pour adultes (45min)18h | Cours de photo pour adultes (60min)Merci d’apporter votre tablette ou votre smartphone.

MARDI 14.0317h | Atelier mozzarella pour enfants (40min)18h | Cours de photo pour adultes (60min)Merci d’apporter votre appareil photo ou votre smartphone.

MERCREDI 15.0311h et 17h | Cours de photo pour enfants (60min)Merci d’apporter votre appareil photo ou votre smartphone.14h, 15h | Cours de cuisine pour enfants (45min)16h | Atelier mozzarella pour enfants (40min)

JEUDI 16.0314h, 16h et 18h | Atelier de mode et dessin pour adultes (90min)

VENDREDI 17.0311h, 13h30 et 15h30 | Atelier de mode et modélisme pour adultes (90min)18h | Défilé de mode (15min)

SAMEDI 18.0310h, 11h30 et 14h | Ateliers de mode pour en-fants (90min)16h | Opéra «Il meglio dell’Opera Italiana» (50min)Varduhi Khachatryan (Soprano), Xavier Demi (pianiste)

SEMAINE DU 27 FÉVRIER AU 4 MARS

SEMAINE DU 6 AU 11 MARS

SEMAINE DU 6 AU 18 MARS

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marzo 2017 La Rivista - 83

“Bella Italia” al centro commerciale Balexert di Ginevra

La Camera di Commercio Italiana per la Svizzera organizzerà presso il cen-tro commerciale Balexert la manife-stazione “Bella Italia” che colorerà il centro con sapori e creatività italiana all’interno di quello che sarà un vero e proprio villaggio italiano. È previsto infatti un fitto program-ma di attività tra cui: corsi di cucina, ateliers di moda, corsi di fotografia, atelier di mozzarella, corso di ballo popolare, sfilate di moda e l’imman-cabile Opera Italiana. A fare da cornice ci saranno squisite pietanze culinarie italiane preparate da Acquacruda, Casa Mozzarella e Mafal-da, i caffè di Caffettino et Royal Karoma Café Shop, i gelati di Mueller’s Factory, oltre ai servizi fotografici e media con Galardi Media Network e i corsi di moda dell’Istituto Moda Burgo. La manifestazione avrà luogo dal 27 feb-braio al 18 marzo. Per maggiori informazioni: Camera di Commercio Italiana per la Svizzera Rue du Cendrier 12-14 – Case Postale – 1211 Genève 1, e-mail: [email protected]

Ginevra: riparte il Corso di sommelier Riparte a Ginevra la quarta edizione del corso per sommeliers in lingua italiana. Il corso avrà la durata di un anno e si svolgerà una volta al mese a partire da sabato 25 marzo dalle 09.15 alle 17.45. Il corso è strutturato in tre livelli indi-pendenti per un totale di 36 lezioni.

Il 1°livello è dedicato alla viticoltura, alla tecnica di degustazione, alla legi-slazione, ai distillati e al marketing; Il 2° livello alla geografia vitivinicola; Il 3° livello all’abbinamento cibo-vini. Sede dei corsi è Ginevra presso il Centre de l’Espérance (Rue de la Cha-pelle 8, 1207 Genève). Al termine di ogni livello, il corsista sarà sottoposto ad una prova di autovalutazione ed otterrà un attestato di partecipazione (66% delle presenze). Al termine dei 3 livelli il corsista, se lo desidera, potrà sostenere l’esame finale (prova scritta e orale) il cui superamento darà dirit-to al diploma di sommelier. I costi dei corsi sono i seguenti: 1° livello: CHF 1’190 tassa della prova intermedia inclusa 2° livello: CHF 1’140 tassa della prova intermedia inclusa 3° livello: CHF 1’250 tassa d’esame finale inclusa Per maggiori informazioni e iscrizioni: Camera di Commercio Italiana per la Svizzera

Rue du Cendrier 12-14 – Case Postale – 1211 Genève 1, e-mail: [email protected]

Aperitivo italo-svizzero al Salone dell’Auto La Camera di Commercio Italiana a Gi-nevra, in occasione dell’87° Salone In-ternazionale dell’Auto per la Svizzera, organizza una conferenza in presenza dell’ospite d’onore e speaker David Wilkie, Direttore del Centro Stile (To-rino) di CNH Industrial, che interverrà sul tema: “Il design italiano applica-to al mondo dei motori”. L’incontro avrà luogo lunedì 13 marzo alle ore 18.00 direttamente presso il Salone di Ginevra. David Wilkie si è laureato in product design alla Glasgow School of Art, conseguendo poi un master specia-listico in automotive design al Royal College of Art a Londra. Come esperto di settore ha lavorato 5 anni per Peu-geot SA e successivamente 15 anni per Ford nello studio di advanced de-sign Ghia a Torino. E’ stato Direttore

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di interior design allo Stile Bertone, diventando poi Design Director del gruppo. Wilkie ha lavorato in seguito nel settore della mobilità elettrica in Svizzera e in Francia e come consulen-te designer per alcune aziende cinesi e indiane. Per maggiori informazioni: Camera di Commercio Italiana per la Svizzera Rue du Cendrier 12-14 – Case Postale – 1211 Genève 1, e-mail: [email protected]

TASTE OF ITALY Food edition La Camera di Commercio Italia-na per la Svizzera (CCIS) organiz-za a Ginevra il 27 marzo 2017 la seconda edizione di “TASTE OF ITALY - Food edition” rivolta ai produttori di eccellenze alimen-tari italiane. Tale evento rappresenterà un’occa-sione unica per le imprese italiane di promuovere le loro eccellenze ad un pubblico selezionato d’intenditori e di professionisti (ristoratori, impor-tatori, dettaglianti, stampa) e di far conoscere i propri prodotti in una piazza internazionale come quella di Ginevra. Con l’obiettivo di creare sempre più opportunità d’affari per le ditte ita-liane nella parte dedicata al BtoB, la CCIS ha stretto per l’edizione 2017

una collaborazione con la ditta elve-tica importatrice di vini italiani, Ca-ratello SA, che inviterà a partecipare all’evento il suo parco clienti costituito di professionisti appartenenti al mon-do dell’hotellerie, ristorazione e det-taglianti molto sensibili alla ricerca di prodotti italiani di qualità. Per maggiori informazioni: Camera di Commercio Italiana per la Svizzera Rue du Cendrier 12-14 – Case Postale – 1211 Genève 1, e-mail: [email protected]

L’Italia con gusto a CarougeLa Camera di commercio italiana per la Svizzera (CCIS) organizzerà il primo mercato italiano dove poter promuo-vere e vendere ad un pubblico come quello elvetico attento alla qualità le eccellenze italiane dei comparti agro-alimentare e artigianato. “L’Italia ...con gusto” si svolgerà nella Place de la Sardaigne a Carouge il 3 e 4 giugno e si inserisce nel Festival Inter-nazionale d’Italia che sarà organizzato dal COMITES di Ginevra (Comitato Ita-liani all’Estero) per commemorare la festa della Repubblica italiana. Per l’occasione numerose attività, ani-mazioni e conferenze saranno orga-nizzate nell’arco dei due giorni. L’obiettivo è quello di dare una vetrina

a tutti i produttori italiani interessati a cogliere le opportunità del mercato svizzero: l’“Italia con gusto” è infatti un rimando al mercato all’italiana in-teso non solo come luogo di incontro, ma anche di ricerca ed acquisto di specialità rappresentate dalle piccole e medie aziende. La cornice di questo evento sarà il fa-moso quartiere di tendenza – Carou-ge - che da sempre rimanda all’italia-nità non solo per la sua architettura ed atmosfera ma anche per la sua popolazione. Per maggiori informazioni e iscrizioni: Camera di Commercio Italiana per la Svizzera Rue du Cendrier 12-14 – Case Postale – 1211 Genève 1, e-mail: [email protected]

Italy at CERN, 4-7 aprile L’ufficio dell’Industrial Liasion Officer (I.L.O.) italiano al CERN, con la colla-borazione della Camera di Commer-cio Italiana per la Svizzera (C.C.I.S.) e il supporto della Rappresentanza Permanente d’Italia presso le Orga-nizzazioni Internazionali di Ginevra organizza la sesta edizione della Mo-stra “Italy at CERN”, manifestazione dedicata alle aziende italiane che operano in settori industriali di inte-resse del CERN. Questa manifestazione che si svol-ge periodicamente, con frequenza biennale o triennale, è intesa come vetrina dell’industria italiana aperta sul CERN ed occasione per stabili-re contatti con potenziali acquiren-ti. Le ultime edizioni si sono svolte

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marzo 2017 La Rivista - 85

nell’ottobre del 2014 e 2011, marzo 2008 e novembre 2005 e conferma del loro successo è la partecipazio-ne nel 2017 di un parco di ben 30 aziende italiane.

Per maggiori informazioni sul pro-gramma dell’evento: https://agenda.infn.it/conferen-ceOtherViews.py?view=standar-d&confId=11069

Informazioni e iscrizioni: Camera di Commercio Italiana per la Svizzera Rue du Cendrier 12-14 – Case Postale – 1211 Genève 1, e-mail: [email protected]

VINITALY 2017 Salone Internazionale del Vino e dei Distillati

PROPOSTA PER I BUYER SVIZZERI La Camera di Commercio Italiana per la Svizzera e Veronafiere hanno il piacere di invitarvi a Verona per una visita d’affari alla 51esima edizione di VINITALY – Salone Internazionale del Vino e dei Distillati – in programma presso la Fiera di Verona dal 9 – 12 aprile 2017. Le spese di soggiorno saranno a carico di Ve-ronafiere. A seguire l’offerta dei servizi:

• 3 pernottamenti in camera singola in hotel selezionato da Verona Fiere (in 9/04/2017 – out 12/04/2017)

• ingresso gratuito e catalogo ufficiale della manifestazione - pranzi in fiera, cene in hotel

• transfer hotel/fiera/hotel durante i giorni della manifestazione

Agli operatori svizzeri selezionati viene richiesta la disponibilità a partecipare alle attività richieste da Veronafiere con uno spe-cifico programma definito in anticipo. Quest’anno si richiede la partecipazione al programma di Workshop regionali “TASTE & BUY” e/o degustazioni. Ogni buyer avrà comunque del tempo libero a disposizione per visitare la manifestazione. Ulteriori in-formazioni sulla manifestazione e le iniziative correlate si posso-no visionare sul sito www.vinitaly.com. Interessati a partecipare e ad avere maggiori dettagli sulla manifestazione? Per qualsiasi domanda siamo volentieri a vostra disposizione. Non esitate a contattarci tramite telefono Tel. +41 91 924 02 32, Fax +41 91 924 02 33 o e-mail ([email protected]) entro il 2 marzo 2017.

PROPOSTA PER GLI ESPOSITORI Il pacchetto “tailor made” della Camera di Commercio Italiana per la Svizzera (CCIS) pensato per cantine, consorzi e istituzio-

ni italiane alla ricerca di contatti qualificati con importatori vi-tivinicoli svizzeri al Vinitaly 2017. La CCIS offre ad un numero selezionato di soggetti individuali e collettivi coinvolti in aree espositive al Vinitaly 2017 la possibilità di incontrare uno o due buyer svizzeri nelle giornate del 10 e 11 aprile 2017 a Verona. La CCIS garantisce:

• Servizio di ricerca e profilazione del buyer con indicazione delle preferenze rispetto alle produzioni vitivinicole presenti

• Presenza e, se richiesto, accompagnamento del buyer • Biglietto d’ingresso per il buyer • Svolgimento degli incontri concordati in precedenza tra

buyer ed aziende vitivinicole italiane A fronte del servizio reso CCIS richiede:

• 2 pernottamenti pagati a buyer a Verona • Fee di Euro 850 a buyer

Vinitaly CCIS team: • Fabio Franceschini: [email protected] • Fabrizio Macrì: [email protected]

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86 - La Rivista marzo 2017

Fax: +39 011 9136280 E-mail: [email protected] www.avanspace.com

Vini piemontesi Fratelli Serio & Battista Borgogno Via Crosia 12, Località Cannubi IT - 12060 BAROLO (CN) Tel. 0039 0173 56107 Fax. 0039 0173 56327E-mail : [email protected] www.borgognoseriobattista.it

Giacche in pelle Vitagliano Augusto Via vittorio veneto 44 IT - 33018 Tarvisio Tel: +39 0428 40913 email: [email protected]

Macchine per agricoltura LI.PA. S.r.l. Via Castellani (angolo Via Mare Adriatico) IT - 65010 SPOLTORE (PE) Tel: +39 085 4971431 Fax: +39 085 4973170 E-mail: [email protected] www.lipa-srl.it

Occhiali VISIVA s.r.l. Piazza IV Novembre 7 20124 - MILANO www.visiva.pro

Stampi per pressofusione materie plastiche SPM s.p.a. Via Bargnani, 7 I - 25132 S.Eufemia BS Tel: 0039/ 030 3363211 Fax: 0039/030 3363226 E-mail: [email protected] www.spm-mould.com

Arredamenti in legno Zatti Arredamenti Snc Via Polonia, 14 IT - 35028 Piove di Sacco (PD) tel. + 39 049 9704168 fax. + 39 049 9704254 E-mail: [email protected] www.zattiarredamenti.it

Complementi di arredo urbano SMEC Via Vivaldi 30 I – 41019 Soliera MO Tel. 0039/059 566612 Fax 0039/059 566999 E-mail: [email protected] www.smec-onweb.it

Consulenza marketing settore cosmetica e lusso Adamis Group Italia SRL P.le delle Medaglie D’oro, 46 I – 00036 Roma Tel: +39 06 43400123

CONTATTI COMMERCIALI

Dal mercato italianoOFFERTE DI MERCI E SERVIZI

Porte e serramenti in legno Bragotto & Urbinati SRL Via Brianza 19 IT – 22063 Cantù (CO) Tel: +39 031 730 440 Fax: +39 031 733 188 Email: [email protected] www.bragottoeurbinati.it

Carpenteria metallica Stefano Zucchi Via Verdi 2 I – 28881 Casale Corte Cerro (VB) Tel: +39 335492554 Fax: +39 0323866204 Email: [email protected]

Cucine su misura Gnoato f.lli srl Via loria 44 IT - 36022 Cassola (VI) Tel +39 0424 533342/533860 Email: [email protected] www.gnoatofurniture.com

Raccorderia idraulica FRABO SPA via Cadorna 30 IT - 25027 Quinzano d’Oglio (BS) Tel: +39 030.9925711 Fax: +39 0309924127 Email: [email protected] www.frabo.com

Impianti ed attrezzature per carrozzerie Aron Di Giunta L&c Sas Via Garavaglia, 22 I – 20012 Cuggiono Tel. +39 02 97249179 E-mail: [email protected]

Grafica Delta Graphix Italia Via Maestri Scalpellini, 49 21051 Arcisate (Va) Tel. 340 30 85 378 Mail: [email protected] www.deltagraphixitalia.com

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Per le richieste di cui sopra rivolgersi a: Camera di Commercio Italiana per la SvizzeraSeestr. 123, casella postale, 8027 ZurigoTel. 044/289 23 23Fax 044/201 53 57e-mail: [email protected]

Dal mercato svizzeroOFFERTE DI MERCI E SERVIZI

Elettro-scooter Alpmars S.A. Rue de Bourg 18 CH-1003 Lausanne Tel : +41 (0) 213115160 Tel: +41 (0) 213115159 Fax: +41 (0) 213115201 Email: [email protected] www.a-hover.com

Profumi Musk Collection Switzerland Sihleggstrasse 23 CH-8832 Wollerau TEL +41 (0)44 787 40 55 FAX +41 (0)44 787 40 59 [email protected] www.musk.ch

Opere di gessatura/imbianchino GIUSEPPE MARGARITO GmbH Wangenerstrasse 27 8307 Effretikon Tel +41 (0)52 347 30 10 Fax +41 (0)52 347 30 11 e-mail: [email protected]

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marzo 2017 La Rivista - 87

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FABBRI ANDREA VIA CANTARANA 6 IT-48022 LUGO RA TEL. +39 333 146 14 22 [email protected]

FERSINI VINCENZO ZWEIACKERSTRASSE 55 CH-8053 ZÜRICH TEL. +41 (0)44 371 31 88 [email protected]

MANAUS SARL - COLLONGE CAFE CERRONE ANTONIO CHEMIN DU CHATEAU DE BELLERIVE CH-1245 COLLONGE BELLERIVE TEL. +41 (0)22 777 12 45

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MORETTI LORENZO VIA CIVITALI 50 IT-20148 MILANO TEL. +39 347 960 62 60

PANOZZO PIERO AVENUE ANTOINETTE 3A CH-1234 VESSY TEL. +41 (0)79 711 23 42 [email protected]

PAPALO GIOVANNI WINTERTHURERSTRASSE 9 CH-8472 SEUZACH TEL. +41 (0)52 335 16 62 [email protected]

RISTORFOOD SARL PEILA CARLO RUE DUE RHONE 5 CH-1920 MARTIGNY TEL. +39 0165 323 79 FAX. +39 0165 234 330 [email protected] WWW.RISTORFOODS.COM

ROADRUNNERFOOT ENGINEERING SRL CECINI PIETRO VIA PO 44 IT-20010 PREGANA MILANESE MI TEL. +39 02 873 80 808 FAX +39 02 873 80 809 [email protected] [email protected] WWW.ROADRUNNERFOOT.COM

SALVINI NICOLA CONTRADA P. VERONESE 4A CH-6816 BISSONE TEL. +41 (0)79 700 40 49 [email protected]

SEAFOODPLANET LTD DIOTALLEVI ALESSANDRO 14 CHURCH ST. UK-RG277AB WHITCHURCH TEL. +39 347 796 46 09 [email protected] WWW.SEAFOODPLANET.EU

STUDIO LEGALE AGNOLI E GIUGGIOLI BRACCHI DANIELE VIA SERBELLONI 14 IT-20122 MILANO TEL. +39 339 712 06 63 [email protected] WWW.AGNOLI-GIUGGIOLI.IT

WINEZONE SRL VARINO EMANUELE VIA CARLO ALBERTO 150 IT-14049 NIZZA MONFERRATO (AT) [email protected]

WORLD WIDE INTERMEDIA SRL BALSAMO ANTONIO VIALE ANGELICO 163 IT-00195 ROMA TEL. +39 06 373 537 18 FAX +39 06 37359210 [email protected]

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88 - La Rivista marzo 2017

La CCIS (Camera di Commercio Italiana per la Svizzera) è l’hub di riferimento in Svizzera per imprese medie e piccole, grandi aziende e marchi del Made in Italy, consorzi, associazioni di categoria ed enti pubblici che abbiano l’obiettivo di accrescere la presenza economica italiana in Svizzera. Fondata nel 1909 la Camera appartiene alla rete delle Camere di Commercio Italiane all’Estero, riconosciute dal Governo italiano quali strumenti di promozione del Made in Italy nel Mondo e suscitatrici di opportunità e investimenti delle imprese dei paesi in cui operano verso il mercato italiano.

La CCIS assiste con i suoi servizi tutti i soggetti svizzeri e italiani coinvolti negli scambi economici tra Italia, Svizzera e Liechtenstein.

La gamma dei suoi servizi è ampia e strategicamente strutturata in aree tematiche:

Esportazioni- Ricerca buyers/clienti- Consulenza fiscale (rappresentanza fiscale e

recupero dell’iva italiana, svizzera e tedesca)- Consulenza di natura commerciale e doganale- Export & Investment Desk - Dalla Svizzera nel

mondo- Informazioni finanziarie e legate alla solvibilità dei

partner (visure, rapporti commerciali, ecc.)- Organizzazione di degustazioni, workshops ed

eventi- Realizzazione di delegazioni ed export strikes

(visite presso buyers svizzeri)- Organizzazione ed accompagnamento di espositori

italiani a fiere svizzere e di visitatori elvetici a fiere italiane

- Organizzazione di seminari ed incontri di affari- Focus settoriali

Investimenti- Apertura di un’attività- Investire nella ristorazione- Appalti pubblici in Svizzera- Attività di M&A e di Corporate Finance

Comunicazione e promozione turistica La Rivista, magazine mensile in lingua italiana, e www.go-italy.ch, portale bilingue, in italiano tedesco, per l’italianità in movimento

Corsi- Corsi per professionisti e semplici appassionati- Corsi per sommelier in lingua italiana

Altro- Recupero Crediti- Ricerca di dati statistici- Traduzioni ed interpretariato- Agevolazioni speciali per i soci

I settori di puntaAgroalimentare, Industria elettromeccanica, Sistema Casa, Sistema Moda, Innovazione tecnologica e Start-up, Turismo, Pubblicità e Comunicazione

Sede LuganoVia Nassa 5CH-6900 LuganoTel: +41 (0)91 924 02 32Fax: +41 (0)91 924 02 33E-Mail: [email protected]

Sede ZurigoSeestrasse 123CH-8027 ZurichTel: +41 (0)44 289 23 23 Fax: +41 (0)44 201 53 57E-Mail: [email protected]

Sede Ginevra12-14 rue du Cendrier CH-1211 Ginevra 1Tel: +41 (0)22 906 85 95 Fax: +41 (0)22 906 85 99E-Mail: [email protected]

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Anno 108 - n. 3 - Marzo 2017

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1957 – 2017. Nel 60° dei Trattati di Roma

Una svolta per l’Europa federale?Censis: l’emozione come essenza del Made in Italy