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Diocesi di Cassano All’Ionio Piazza S. Eusebio, 1 87011 Cassano all’Ionio (CS) tel. 0981.71048 - fax 0981.782250 e-mail:[email protected] sito internet: www.diocesicassanoalloionio.it web project management WEB STUDY – www.webstudy.it 1 MONS. VINCENZO BERTOLONE ALLA RICERCA DI COLUI CHE TI CERCA LETTERA PASTORALE PER L’ANNO PASTORALE 2008-2009 INTRODUZIONE Ai carissimi presbiteri, religiosi, religiose, consacrati e laici della Santa Chiesa di Dio che è in Cassano All’Ionio, amati da Dio Padre in Cristo e nello Spirito, salute e benedizione nel Signore! Dal Vangelo secondo Giovanni (4, 5-42) « 5 In quel tempo, il Signore giunse ad una città della Samaria chiamata Sicàr, vicina al terreno che Giacobbe aveva dato a Giuseppe suo figlio: 6 qui c’era il pozzo di Giacobbe. Gesù dunque, stanco del viaggio, sedeva presso il pozzo. Era verso mezzogiorno. 7 Arrivò intanto una donna di Samaria ad attingere acqua. Le disse Gesù: “Dammi da bere”. 8 I suoi discepoli infatti erano andati in città a far provvista di cibi. 9 Ma la Samaritana gli disse: “Come mai tu, che sei Giudeo, chiedi da bere a me, che sono una donna samaritana?”. I Giudei infatti non mantengono buone relazioni con i Samaritani. 10 Gesù le rispose: “Se tu conoscessi il dono di Dio e chi è colui che ti dice: «Dammi da bere!», tu stessa gliene avresti chiesto ed egli ti avrebbe dato acqua viva”. 11 Gli disse la donna: “Signore, tu non hai un mezzo per attingere e il pozzo è profondo; da dove hai dunque quest’acqua viva? 12 Sei tu forse più grande del nostro padre Giacobbe, che ci diede questo pozzo e ne bevve lui con i suoi figli e il suo gregge?”. 13 Rispose Gesù: “Chiunque beve di quest’acqua avrà di nuovo sete; 14 ma chi beve dell’acqua che io gli darò, non avrà mai più sete, anzi, l’acqua che io gli darò diventerà in lui sorgente di acqua che zampilla per la vita eterna”. 15 “Signore, gli disse la donna, dammi di quest’acqua, perché non abbia più sete e non continui a venire qui ad attingere acqua”. 16 Le disse: “Va a chiamare tuo marito e poi ritorna qui”. 17 Rispose la donna: “Non ho marito”. Le disse Gesù: “Hai detto bene «non ho marito»; 18 infatti hai avuto cinque mariti e quello che hai

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MONS. VINCENZO BERTOLONE

ALLA RICERCA DI COLUI CHE TI CERCA

LETTERA PASTORALE

PER L’ANNO PASTORALE 2008-2009

INTRODUZIONE

Ai carissimi presbiteri, religiosi, religiose, consacrati e laici della Santa Chiesa di Dio che è in Cassano All’Ionio, amati da Dio Padre in Cristo e nello Spirito, salute e benedizione nel Signore! Dal Vangelo secondo Giovanni (4, 5-42) « 5In quel tempo, il Signore giunse ad una città della Samaria chiamata Sicàr, vicina al terreno che Giacobbe aveva dato a Giuseppe suo figlio: 6qui c’era il pozzo di Giacobbe. Gesù dunque, stanco del viaggio, sedeva presso il pozzo. Era verso mezzogiorno. 7Arrivò intanto una donna di Samaria ad attingere acqua. Le disse Gesù: “Dammi da bere”. 8I suoi discepoli infatti erano andati in città a far provvista di cibi. 9Ma la Samaritana gli disse: “Come mai tu, che sei Giudeo, chiedi da bere a me, che sono una donna samaritana?”. I Giudei infatti non mantengono buone relazioni con i Samaritani. 10Gesù le rispose: “Se tu conoscessi il dono di Dio e chi è colui che ti dice: «Dammi da bere!», tu stessa gliene avresti chiesto ed egli ti avrebbe dato acqua viva”. 11Gli disse la donna: “Signore, tu non hai un mezzo per attingere e il pozzo è profondo; da dove hai dunque quest’acqua viva? 12Sei tu forse più grande del nostro padre Giacobbe, che ci diede questo pozzo e ne bevve lui con i suoi figli e il suo gregge?”. 13Rispose Gesù: “Chiunque beve di quest’acqua avrà di nuovo sete; 14ma chi beve dell’acqua che io gli darò, non avrà mai più sete, anzi, l’acqua che io gli darò diventerà in lui sorgente di acqua che zampilla per la vita eterna”. 15“Signore, gli disse la donna, dammi di quest’acqua, perché non abbia più sete e non continui a venire qui ad attingere acqua”. 16Le disse: “Va a chiamare tuo marito e poi ritorna qui”. 17Rispose la donna: “Non ho marito”. Le disse Gesù: “Hai detto bene «non ho marito»; 18infatti hai avuto cinque mariti e quello che hai

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ora non è tuo marito; in questo hai detto il vero”. 19Gli replicò la donna: “Signore, vedo che tu sei un profeta. 20I nostri padri hanno adorato Dio sopra questo monte e voi dite che è Gerusalemme il luogo in cui bisogna adorare”. 21Gesù le dice: “Credimi, donna, è giunto il momento in cui né su questo monte, né in Gerusalemme adorerete il Padre. 22Voi adorate quel che non conoscete, noi adoriamo quello che conosciamo, perché la salvezza viene dai Giudei. 23Ma è giunto il momento, ed è questo, in cui i veri adoratori adoreranno il Padre in spirito e verità; perché il Padre cerca tali adoratori. 24Dio è spirito, e quelli che lo adorano devono adorarlo in spirito e verità”. 25Gli rispose la donna: “So che deve venire il Messia (cioè il Cristo): quando egli verrà, ci annunzierà ogni cosa”. 26Le disse Gesù: “Sono io, che ti parlo”. 27In quel momento giunsero i suoi discepoli e si meravigliarono che stesse a discorrere con una donna. Nessuno tuttavia gli disse: “Che desideri? “, o: “Perché parli con lei?”. 28La donna intanto lasciò la brocca, andò in città e disse alla gente: 29“Venite a vedere un uomo che mi ha detto tutto quello che ho fatto. Che sia forse il Messia?”. 30Uscirono allora dalla città e andavano da lui. 31Intanto i discepoli lo pregavano: “Rabbì, mangia”. 32Ma egli rispose: “Ho da mangiare un cibo che voi non conoscete”. 33E i discepoli si domandavano l’un l’altro: “Qualcuno forse gli ha portato da mangiare?”. 34Gesù disse loro: “Mio cibo è fare la volontà di colui che mi ha mandato e compiere la sua opera. 35Non dite voi: Ci sono ancora quattro mesi e poi viene la mietitura? Ecco, io vi dico: Levate i vostri occhi e guardate i campi che già biondeggiano per la mietitura. 36E chi miete riceve salario e raccoglie frutto per la vita eterna, perché ne goda insieme chi semina e chi miete. 37Qui infatti si realizza il detto: uno semina e uno miete. 38Io vi ho mandati a mietere ciò che voi non avete lavorato; altri hanno lavorato e voi siete subentrati nel loro lavoro”. 39Molti Samaritani di quella città credettero in lui per le parole della donna che dichiarava: “Mi ha detto tutto quello che ho fatto”. 40E quando i Samaritani giunsero da lui, lo pregarono di fermarsi con loro ed egli vi rimase due giorni. 41Molti di più credettero per la sua parola 42e dicevano alla donna: “Non è più per la tua parola che noi crediamo; ma perché noi stessi abbiamo udito e sappiamo che questi è veramente il salvatore del mondo”».

1. Ho scelto di aprire la Lettera Pastorale per l’anno 2008-2009 con questo brano di Giovanni perché mi pare che descriva molto bene la condizione dell’uomo contemporaneo ed anche perché ci indica come possiamo attingere luce e come incontrare ed annunciare Gesù Cristo, Verità, Via e Vita.

Siamo chiamati a fare sempre nuovi incontri con Cristo e a “giocare” su di Lui la nostra vita, sia come singoli individui che come comunità ecclesiale consapevoli, come ci ricorda Agostino, che «Non lo cercheresti, se Egli no ti avesse cercato per

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primo. Più lo trovi e più il desiderio di cercarlo si fa cocente. Più lo trovi e più lo cerchi. Lo trovi solo per cercarlo più avidamente»1.

Sono certo, infatti, che il Signore sa ancora stupirci con la sua fedeltà e con le sue sorprese: «Ecco, faccio una cosa nuova. Non ve ne accorgete?» (Is 43,19).

La nostra fede, d’altronde, ha il privilegio di essere sorretta da una straordinaria consapevolezza: la salvezza ci viene da Dio per mezzo di Gesù Cristo.

2. Tuttavia, può risultare difficile comprendere e, quindi, accogliere questa

“lieta notizia” in un contesto socio-culturale come il nostro. Infatti, il discorso su Gesù che la Chiesa propone spazia su uno scenario mondiale, minato dalla crisi di grandi sistemi ideologici e di valori, dalla rinuncia al senso delle cose, dall’affievolimento della passione per la verità, dallo scandalo della povertà, da immensi problemi legati alla nascita ed alle biotecnologie, e molto altro ancora. Nonostante ciò, si percepisce per fortuna anche la “nostalgia del totalmente Altro”, per cui alcuni anelano ad essere “mendicanti del cielo”, secondo la bella metafora di Jaques Maritain.

Rispetto alle generazioni che ci hanno preceduto, noi siamo costretti a vivere con un ritmo frenetico che spesso non consente di comprendere quanto accade intorno a noi e, perciò, di interiorizzare nuovi e coerenti stili e di pensare ai valori eterni. La Chiesa non sfugge a questo incedere quasi forsennato, concausa di una condizione esistenziale che soffre per l’impoverimento dei valori di una volta2. La cultura occidentale, come affermava Giovanni Paolo II3, non ha più interesse – sembra - a intrattenere buoni rapporti con la verità, con gli storici e grandi dilemmi etici, sul senso della sofferenza, del sacrificio, della vita e della morte. Tanto materialismo, insomma, che soffoca la spiritualità.

Dovendo analizzare questa crisi notiamo che una delle sue cause è l’eclissi del sacro. Circa sessant’anni fa, Simone Weil affermava che «il presente è uno di quei periodi in cui svanisce quanto normalmente sembra costituire una ragione di vita e, se non si vuole sprofondare nello smarrimento o nell’incoscienza, tutto va rimesso in questione. Viviamo un’epoca priva di avvenire. L’attesa di ciò che verrà non è più speranza, ma angoscia»4. Sergio Quinzio registrava che «l’aria che respira l’uomo contemporaneo presenta tracce minime di religione. La filosofia è lontana mille miglia dall’attribuire un senso all’assoluto delle antiche metafisiche, o anche

1 S. AGOSTINO, Commento al Vangelo di Giovanni, 63,1, Ed. Città Nuova, Roma 1968, 1129. Cfr. anche De Trin 15,1, dove si trovano, in più, due aggettivi preziosi: dulcius e avidius: «Dio lo si cerca per trovarlo con più dolcezza, lo si trova per cercarlo con più ardore»; cfr. anche Conf. XI, 2.4. 2 Cf. CONFERENZA EPISCOPALE ITALIANA, Comunicare il Vangelo in un mondo che cambia, Orientamenti pastorali dell’Episcopato italiano per il primo decennio del Duemila, 41, Edizioni Paoline, Milano, 2001. 3 GIOVANNI PAOLO II, Lettera enciclica Fides et ratio (14.9.1998), 90: EV,17/1366. 4 S. WEIL, Riflessioni sulle cause della libertà e dell’oppressione sociale, Editrice Adelphi, Milano 1994, 11.

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soltanto alla sua ricerca»5. È lo sbocco obbligato delle premesse e delle varie tappe del processo concluso nel secolo appena trascorso. «Non essendovi nulla di durevole, viene meno il fondamento della vita storica, cioè la fiducia, in tutte le sue forme»6 ha sintetizzato Dietrich Bonhoeffer.

La nostra è una società culturalmente frammentata in cui chiunque voglia presentare dottrine di verità assoluta viene bollato come fondamentalista, ostile alla cultura ed al progresso scientifico. Questa è cecità: l’uomo non può riporre nella scienza e nella tecnologia una fiducia talmente incondizionata da credere che il progresso possa spiegare qualsiasi cosa e rispondere pienamente a tutti i suoi bisogni esistenziali, spirituali ed alle domande più radicali sul significato della vita e della morte, sui valori ultimi e sulla natura stessa del progresso.

Faccio mio il concetto di Ludwig Wittgenstein: «Noi sentiamo che anche una volta che tutte le possibili domande scientifiche hanno avuto risposta, i nostri problemi vitali non sono ancora neppure toccati»7.

Però, per grazia di Dio, accanto e dentro questa realtà che mina il cuore e i fondamenti della fede cristiana, si registra una sorta di risveglio della fede, si colgono aspirazioni di ricerca della verità, del bene e segni di sincero bisogno di spiritualità, di sacro, di preghiera. Molti, specie nel mondo giovanile, come ci testimoniano le giornate mondiali della gioventù, ricercano punti di riferimento, ragioni di vita, di speranza. E scoprono la Parola di Cristo.

Giovanni Paolo II lo aveva detto con estrema chiarezza: «Non ci seduce certo la prospettiva, ingenua, che di fronte alle grandi sfide del nostro tempo possa esserci una formula magica. No, non una formula ci salverà, ma una Persona, e la certezza che essa ci infonde: Io sono con voi! » 8.

Il Cardinale Joseph Ratzinger - nell’omelia della Messa Pro eligendo Romano Pontifice, del 18 aprile 2005 – ribadiva che è solo «il Figlio di Dio, il vero uomo: è Lui la misura del vero umanesimo». Per questo siamo chiamati ad arrivare alla «misura della pienezza di Cristo per essere realmente adulti nella fede: adulta non è una fede che segue le onde della moda e l’ultima novità; adulta e matura è una fede profondamente radicata nell’amicizia con Cristo»9.

Alla cultura nichilista della società, la Chiesa deve contrapporre l’Annuncio, il Vangelo dell’amore, della misericordia, della compassione. Deve additare Cristo Verità, Via e Vita.

5 S. QUINZIO, Religione e futuro, Adelphi, Milano 2001, 13. 6 D. BONHOEFFER, Etica, a cura di E. Bethge, Milano 1969, 91. 7 L.WITTGENSTEIN, L’Osservatore Romano, 1-2 settembre 2008, 5. 8 GIOVANNI PAOLO II, Lettera apostolica Novo Millennio Ineunte, n. 29, (6.1.2001), EV, 20/57-58. 9 Parole di Benedetto. La visione della Chiesa e del mondo negli interventi di J.Ratzinger, Ancora, Milano 2005, 26.

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3. Nella “liquidità”10 di questo nostro contesto socio-culturale, fatto di sempre nuovi bisogni da soddisfare, ma mai appagati totalmente, la Chiesa continua a ripetere l’unico messaggio capace di soddisfare pienamente ogni desiderio ed ogni attesa: Surrexit Christus Spes mea! Cristo, mia (e nostra) Speranza è Risorto!

«Egli è nato, è morto, è risorto per noi; Egli è il centro della storia e del mondo; Egli è Colui che ci conosce e che ci ama; Egli è il compagno e l’amico della nostra vita; Egli è l’uomo del dolore e della speranza; è Colui che deve venire e che deve un giorno essere il nostro giudice e, noi speriamo, la pienezza eterna della nostra esistenza, la nostra felicità. Io non finirei più di parlare di Lui: Egli è la luce, è la verità, anzi: Egli è “la via, la verità e la vita” (Gv 14, 6)»11.

Ciò rafforza la mia certezza che Gesù è quanto mai in grado di dare agli uomini le uniche risposte ai loro interrogativi esistenziali. Da qui la necessità di un discorso “cristologico” che sia in grado di mettere nella giusta luce la pretesa salvifica universale di Cristo12.

4. Echeggiano quanto mai valide le parole di Paolo VI: «Cristo è il nostro

liberatore. Cristo ci è necessario, per essere uomini degni e veri nell’ordine temporale, e uomini salvati ed elevati all’ordine soprannaturale. Qui si presentano molte domande, che travagliano il nostro tempo, e che io immagino siano presenti anche nel vostro spirito. Le domande sono: può Cristo essere davvero utile anche per risolvere i problemi pratici e concreti della vita presente? Non ha Egli detto che il suo regno non è di questo mondo? Che cosa può fare Egli per noi? Può cioè il cristianesimo generare un vero umanesimo? Può la concezione cristiana della vita ispirare un vero rinnovamento sociale? Può essa accordarsi con le esigenze della vita moderna, e favorire il progresso e il benessere per tutti?»13.

5. Alla luce di quanto sopra accennato e facendo seguito al Convegno “La

Parola della Vita” dello scorso novembre 2007, alla mia prima Lettera Pastorale “Sulla Tua Parola”, all’Instrumentum laboris, che ho consegnato alla diocesi il giorno 6 settembre u.s. in occasione della Celebrazione inaugurale del nuovo anno pastorale e come preparazione al Convegno “Il Volto di Cristo: Verità, Via, Vita”, del 26-27 settembre 2008, desidero fornirvi un ulteriore strumento per la riflessione personale e comunitaria.

Sulla salda roccia della nostra fede che è Cristo dobbiamo edificare le nostre comunità e, in definitiva, tutta la nostra pastorale diocesana. Anzi, è Cristo il nostro “piano pastorale” perché «in lui (il Padre) ci ha scelti prima della creazione 10 È l’ormai famosa definizione del sociologo polacco Baumann (che da diverso tempo risiede a Londra) a proposito della postmodernità. Mentre ciò che afferisce alla civiltà industriale è “solido”, la stessa società entrando nella fase postindustriale (e postmoderna) diventa “liquida”, cfr. Vita liquida, Editori Laterza Roma-Bari, 2005. 11 PAOLO VI, Omelia al «Quezon Circle», Manila, 29 novembre 1970, cit. da Osservatore Romano del 30.11.1970. 12 M. BORDONI, Gesù di Nazaret. Presenza, Memoria, Attesa, Queriniana, Brescia 1991, 7. 13 PAOLO VI, Omelia al «Quezon Circle», cit.

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del mondo per essere santi e immacolati al suo cospetto nella carità, predestinandoci ad essere suoi figli adottivi» (Ef 1,4-5).

Auspicherei che questa Lettera Pastorale vada sì nelle mani degli “addetti ai lavori” (sacerdoti, suore, laici impegnati), ma anche in altre innumerevoli mani, magari di chi non condivide la nostra fede o di chi attualmente ne è lontano. Oso sperare, comunque, che tutti ne traggano motivo di riflessione e aderire sempre più a Gesù Cristo, specialmente dopo le pubblicazioni spesso faziose e sensazionalistiche degli ultimi tempi e di questi giorni. Chissà che dopo la serena lettura di queste mie briciole di catechesi non si sentano interpellati ed indotti , come la samaritana, ad un meditato ed obiettivo riesame delle loro posizioni affascinati dalla luce del bel Volto del Figlio di Dio.

In questa mia seconda Lettera, perciò, offrirò alcune riflessioni sul mistero di Cristo “Verità, Via,Vita”. Essa consta di tre capitoli.

Nel primo, “Gesù Cristo, la nostra Verità”, dopo una breve riflessione sulla Rivelazione, saranno presentate alcune tracce circa l’efficacia del nostro annuncio.

Nel secondo, “Gesù Cristo, la nostra Via”, elaborerò delle indicazioni etiche a partire dal mistero di Cristo.

Nell’ultimo, “Gesù Cristo, la nostra Vita”, offro alcune riflessioni sulla vita nuova in Cristo, alimentata dai Sacramenti e in particolare dall’Eucaristia.

Lo studioso protestante Adolf von Harnack, nella sua Essenza del Cristianesimo, cita una frase di John Stuart Mill ed osserva: «Non si ricorda mai abbastanza all’umanità che un tempo visse un uomo di nome Socrate» (…). È vero, ma è anche più importante ricordare agli uomini che un tempo visse tra loro un uomo di nome Gesù Cristo»14.

«È solo Gesù Cristo che dobbiamo presentare al mondo. Fuori di ciò non avremmo nessuna ragione di parlare: non saremmo, del resto, per la nostra incapacità, neppure ascoltati» sospirò Papa Luciani al Cardinale Gantin la sera del 28 settembre 1978, poche ore prima di morire. Parole che bene esprimono lo spirito di questa Lettera Pastorale, che vi propongo come un modesto contributo, offerto con spirito “bocconista”: spero aiuti tutti ad innamorarci sempre più del Signore Gesù, nostra verità, nostra via e nostra vita.

14 A. VON HARNACK, Das Wesen des Christentums, Stuttgart 1964 (1900), 15, tr. It. L’essenza del Cristianesimo, Queriniana, Brescia 2003.

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CAPITOLO PRIMO GESÙ CRISTO LA NOSTRA VERITÀ

6. «Dove mai si vada chi lo sa? Difficilmente si ricorda perfino donde si sia

venuti». I versi di Goethe esprimono bene il sentimento di incertezza, di dubbio, a volte di angoscia, che attraversa l’uomo nel suo peregrinare per le strade del mondo e della storia. Al tempo stesso, racchiudono il desiderio sottile e struggente di sapere dove queste vie conducano.

È strano che Gesù passasse dalla Galilea alla Giudea attraverso la Samaria15 (regione montuosa, difficile da attraversare per un giudeo) e non per la strada lungo il Giordano, molto più comoda e praticabile. Inoltre, c’era una profonda ostilità tra i samaritani, considerati eretici, scomunicati dai Giudei.

Quella volta Gesù passò per la Samaria, e fece tappa a Sicàr (forse l’antica Sichene), dove c’era il pozzo di Giacobbe, molto importante per la tradizione ebraica, tanto che i samaritani, nelle adiacenze, sul monte Garizim vi avevano costruito un tempio, quasi in concorrenza a quello di Gerusalemme.

Al pozzo, luogo tradizionale per gli incontri e le conversazioni (Gen 24,10-27; 29,1-14)16, Gesù trova una donna del luogo. Partendo dal bisogno di bere (la sete) fa in modo che la donna si senta interpellata. Gesù si fa bisognoso di lei, l’aiuta ad entrare nel Mistero e le si rivela come il Messia.

L’incontro avviene a mezzogiorno, ora insolita in medio Oriente, dove il sole picchia martellate tremende e la gente preferisce starsene a casa. Ma mezzogiorno, nella teologia giovannea, annuncia il momento della luce piena, la rivelazione della luce al massimo del suo ardore che preannuncia il tempo della piena Rivelazione, destinata a fugare il buio della vita della samaritana. Nella circostanza Gesù infrange un’altra barriera: era disdicevole, infatti, per un “Rabbi” interpellare per strada una donna. Cristo, maestro di libertà, infrange tranquillamente queste regole codificate da secoli di discriminazione e le chiede da bere, con semplicità, senza formalismi. Dice don Mazzolari: «Il cerimoniale non ha senso nel vangelo. Deve cominciare chi ama di più»17. L’amore è quel “quid” che rende pregnante la nostra esistenza ed è solo tramite il mistero dell’amore che ci si accosta al mistero della verità.

15 La Samaria, in verità, era parte, con Giudea e Galilea, della «terra promessa» ad Israele e occupata dal popolo eletto al suo arrivo in Palestina (1200-1000 a.C.). In seguito, però, i samaritani, conquistati da altri popoli, tra cui gli Assiri (721 a.C.), avevano perso la purezza della loro fede, adorando gli dei pagani.. 16 Al pozzo di Nacor avviene l’incontro di Rebecca, futura moglie di Isacco (Gn 24,1-27), come presso un pozzo nel paese di Madian avviene l’incontro di Mosé con Zippora, che diventerà sua moglie (Es 2, 16-22). Nel libro della Genesi si narra che Giacobbe, al ritorno dalla Mesopotamia ove aveva prestato servizio presso lo zio Labano, giunto a Sichem, nel cuore della terra promessa, “aveva eretto un altare e fatto scavare un pozzo per bere lui coi suoi figli e il suo gregge”. Anche l’incontro di Giacobbe con la sua futura sposa, Rachele, avviene presso un pozzo (Gen 29, 1-6). 17 P. MAZZOLARI, Discorsi, EDB, Bologna 1978, 776.

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Gesù porta il discorso sulla vera sete dell’uomo, che non è quella delle cose terrene, ma quella che disseta il cuore dell’uomo.

Ci vuole un’altra acqua, un’altra felicità più piena. Thomas Eliot, osservava che «il cristianesimo è la via che conduce al possesso di ciò che spesso cerchiamo nel posto sbagliato»18.

«Gesù si rivela alla donna progressivamente, prima come giudeo, poi come profeta, quindi come il Cristo. La conduce di gradino in gradino fino al livello più alto, affinché possa scorgere in lui dapprima un giudeo assetato, poi un profeta e infine il Messia.

Essa persuase colui che aveva sete, ebbe il giudeo in avversione, interrogò il saggio, fu corretta dal profeta e adorò il Cristo»19.

La Samaritana da “cercatrice” della verità diviene “missionaria” al punto che può essere considerata come un esempio perfetto dell’evangelizzatore. Quelli che crederanno, infatti, spinti dal suo annuncio arriveranno a dire: «Non è più per la tua parola che noi crediamo; ma perché noi stessi abbiamo udito e sappiamo che questi è veramente il salvatore del mondo» (Gv 4,42)20.

7. Ogni uomo, credente o non, è un “inguaribile” ricercatore della verità. Però non tutte quelle che vengono proposte come tali sono autentiche verità. La ricerca della verità si apre, inevitabilmente, ad un’istanza religiosa: è una prima vocatio ad credendum. Nell’enciclica Fides et ratio, il Servo di Dio Giovanni Paolo II scriveva: «L’uomo, essere che cerca la verità, è dunque anche colui che vive di credenza»21.

La profondità del tema della verità, che ho già definito mistero, potrebbe indurre a pensare che stiamo per intraprendere un viaggio per il “mondo delle nuvole”. Non è così: diversamente dalle apparenze, l’argomento in discussione non appartiene al dominio dell’astrattezza o dell’astrazione22: la verità non è un bel cesto di idee e progetti, ma è una vita in cammino. Tanto è vero che gli uomini possono pure straparlare di verità e poi avere le armi in pugno.

La Rivelazione cristiana proclama che la verità sta in primo luogo in una Persona: nel Signore Gesù Cristo. La verità della Rivelazione non è solo il risultato dello sforzo intellettuale dell’uomo, ma è essenzialmente l’azione di Dio che si manifesta pienamente in Gesù.

18 Cfr. T.S. ELIOT, Cori da “La Rocca”, “I libri dello spirito cristiano” Rizzoli, Milano 1994.,15. 19 S. EFREM SIRO, Diatessaron, 12,16-18. 20 Mi piace richiamare ancora la splendida espressione di sant’Agostino: «Tu non mi cercheresti se non mi avessi già trovato» in Le confessioni, Libro IX, 21,15. 21 GIOVANNI PAOLO II, Lettera enciclica Fides et ratio, 3: EV, 17/1239. 22 P. CODA – E. SEVERINO, La verità e il Nulla. Il rischio della libertà, Edizioni San Paolo, Milano 2000, 22.

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«Nel mistero di Gesù Cristo, Figlio di Dio incarnato, il quale è la via, la verità e la vita (Gv 14,6), si dà la rivelazione della pienezza della verità divina: nessuno conosce il Figlio se non il Padre e nessuno conosce il Padre se non il Figlio e colui al quale il Figlio lo voglia rivelare (Mt 11,27); Dio nessuno l’ha mai visto: proprio il Figlio unigenito, che è nel seno del Padre, lui lo ha rivelato (Gv 1,18); è in Cristo che abita corporalmente tutta la pienezza della divinità e voi avete in lui parte alla sua pienezza (Col 2,9-10)»23.

L’atteggiamento moderno nei confronti della verità attinge le proprie origini nel confronto drammatico tra Pilato e Gesù: «Che cos’è la verità?» (Gv 18,38). Chi con la propria vita, con la parola e con l’azione afferma di essere al servizio della verità, deve essere preparato a venir classificato come sognatore o come fanatico24. «Ben lo avevano compreso i Medioevali, che, anagrammando il latino “Quid est veritas?”, vi coglievano l’indicazione del paradosso: “Est vir qui adest”. È Lui in persona la verità. (…) La verità non è più qualcosa da possedere, quanto piuttosto Qualcuno, che appella alla sequela con radicalità assoluta: “Io sono la via, la verità e la vita” (Gv 14,6). Nel Verbo fatto carne la fede riconosce l’irruzione dell’Altro, l’affacciarsi del Silenzio nella Parola abbandonata fino al supremo grido dell’ora nona, l’estasi non dell’io, ma di Dio, e precisamente del Dio vivente innamorato della Sua creatura. (…) Questa concezione della verità, per cui essa è irruzione del Tutto nel frammento, (…) è la verità che nell’ascolto che le presti viene e ti rapisce a te stesso. Non qualcosa che si possiede, ma qualcuno che ci possiede è il Vero»25.

8. La verità come autorivelazione di Dio nella persona del Cristo e nel suo

Spirito per la Costituzione Conciliare Dei Verbum è «racchiusa nel mistero di Cristo»26. È palese il fondamento cristologico della verità: «Il Cristo è la verità e la via, che la predicazione evangelica svela a tutti»27. Per questo, il termine verità addita fondamentalmente la rivelazione divina che «risplende a noi... nel Cristo»28.

Il proprio e lo specifico della religione cristiana sta qui. Nel contesto delle religioni definite “rivelate”, compreso il giudaismo, il cristianesimo è la sola in cui la rivelazione si storicizza nella carne di una Persona che non solo trasmette una dottrina, ma si autopresenta come verità e giustizia.

«Nel mistero di Gesù di Nazaret, la verità è stata offerta all’uomo una volta per tutte: non ci si può aspettare una rivelazione ulteriore. Ogni ricerca della verità è

23 CONGREGAZIONE PER LA DOTTRINA DELLA FEDE, Dichiarazione circa l’unicità e l’universalità salvifica di Gesù Cristo e della Chiesa, Dominus Jesus, n. 5, (6 agosto 2000), EV, 19/1151. 24 J. RATZINGER, La via della fede. Le ragioni dell’etica nell’epoca presente, Edizioni Ares, Milano 2005, 13-14. 25 B. FORTE, La porta della bellezza. Per un’estetica teologica, Editrice Morcelliana, Brescia 1999, 121-124-125. 26 CONCILIO ECUMENICO VATICANO II, Costituzione dogmatica sulla Divina Rivelazione, Dei Verbum n. 24, (18.11.1965), EV, 1/907. 27 IDEM, Ad Gentes, Decreto sull’attività missionaria della Chiesa, (7.12.1965), EV, 1/1107. 28 IDEM, Dei Verbum, 2: EV 1/873.

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obiettivamente destinata al paragone con l’evento storico di Gesù Cristo: solo nel Mistero pasquale di Cristo è possibile conoscere la verità in pienezza (…) ed è nella storia che questo evento permane e si fa incontro ad ogni uomo di ogni tempo: la categoria di evento indica un fatto che inizia nel passato e giunge fino all’oggi, rendendosi presente qui ed ora»29.

9. Gesù Cristo è il rivelatore del Padre, la Parola fatta carne. Interrogarsi sul significato della verità cristiana comporta prendere sul serio la rivelazione di Dio in Cristo, la sua pretesa di avere un’importanza decisiva per la storia30. Pertanto, la verità cristiana assume ad un tempo il carattere del riconoscimento e quello dell’annuncio.

Questo annuncio oggi viene rivolto ad un mondo che ritiene di potere e dover spiegare tutto con il parametro della razionalità scientifica. Ma Cristo non si stanca di ripetere: “Sono Io la verità”. Una verità da difendere e da testimoniare con forza. Sembra essere tornati al tempo di Fëdor Dostojevski e del suo celebre «Se dovessi scegliere tra la verità e Cristo, sceglierei Cristo».

10. Credere che Cristo è la verità assoluta, significa anche credere che la

storia dell’uomo è storia della salvezza, perché vi si realizza il piano di Dio nel Cristo, Salvatore e Signore della storia. È Cristo, infatti, che ricapitola in sé tutta la storia dell’uomo e la conduce alla sua totale divinizzazione31.

Ciò presuppone che al centro della storia non vi sia più l’uomo con i suoi desideri materiali, che generano divisioni, abusi, sopraffazioni e violenze di ogni genere, di cui questa nostra amata terra di Calabria è spesso vittima32, ma Dio, la verità assoluta che si è rivelata a noi in Cristo, la verità che lo Spirito ripropone instancabilmente al mondo in tutta la sua pienezza attraverso l’opera costante della Chiesa, che la comunica attraverso la Parola e i Sacramenti.

11. Come possiamo essere salvati? A questo interrogativo l’uomo nel tempo

ha dato diverse risposte. Per alcuni la salvezza significa abbracciare un credo

29 Cit. da A. SCOLA, Libertà umana e verità, in P. Coda – G. Sgubbi, Il risveglio della ragione. Proposte per un pensiero credente, Edizioni Città Nuova, Roma 2000, 102. 30 R. GUARDINI, L’essenza del cristianesimo,Editrice Morcelliana, Brescia, 1999, 36-38. È apprezzabile anche la prospettiva della concezione della verità che ci offre la sintesi di Andrea Milano: «A suo avviso, la verità non può essere compresa in maniera appropriata dalla teologia, se non ponendosi davanti a Gesù di Nazareth, interrogandosi, o forse meglio, lasciandosi interrogare dalla sua persona, tentando di ascoltare la sua voce: solo lui, secondo la testimonianza giovannea (Gv 14,6), è la verità, la verità fatta carne e sangue, tempo e storia»; in A. MILANO, Quale verità. Per una critica della ragione teologica, EDB, Bologna, 1989, 91-161. 31 Cfr. CONCILIO ECUMENICO VATICANO II, Costituzione pastorale sulla Chiesa nel mondo contemporaneo Gaudium et spes, 22, (7.12.1965), EV, 1/1385. 32 Cf. CONFERENZA EPISCOPALE CALABRA, “Se non vi convertirete perirete tutti allo stesso modo” (Lc 13,5). Annunciare il Vangelo della vita nella nostra terra per un futuro di giustizia e carità, n. 4, 2007.

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religioso, non importa quale, e cercare di vivere conformemente ai suoi precetti. Per altri, essa è il frutto di una condotta esemplare: più ci si dedica a fare del bene e ad andare incontro alle necessità di chi soffre e più si è certi della propria giustizia dinanzi a Dio. Altri, ancora, confidano nell’intercessione di famosi personaggi vissuti come santi di Dio.

Le Sacre Scritture ci dicono, però, che nessuna di queste “risposte” può procurare il perdono dei peccati e la vita eterna al di fuori del solo vero Dio, del solo Mediatore, l’Unico in grado di redimere l’uomo: Cristo Gesù, il Signore.

Egli può salvare pienamente quanti si accostano a Dio per mezzo di Lui, perchè con la Sua morte ha subito la condanna che spettava ad ogni uomo a causa del peccato. «Egli è la salvezza e non soltanto la insegna e la promette»33.

12. La Chiesa può affrontare il compito dell’evangelizzazione solo ponendosi, di fronte a Gesù Cristo, parola di Dio fatta carne, «grande sorpresa di Dio»34, che è presente tra noi e parla, insegna, attesta ciò che ha visto e sentito in seno al Padre.

Con la venuta di Gesù sulla terra si è creato un legame nuovo fra Dio e l’uomo, per il quale il Signore onnipotente prende dimora nel tempio del corpo di Cristo e, per suo mezzo, nell’uomo. Ed è per questo che il Concilio Vaticano II ha sottolineato con decisione che in Cristo si rivela non solo il mistero del Padre, ma anche il mistero dello stesso uomo e della sua altissima vocazione35. «In Cristo entrambi i mondi sono conciliati, e il cielo è sceso in terra e vi ha messo radici» dice Hans Küng.36 Per Bruno Forte, «La Trinità entra nel tempo quando l’uomo si decide a vivere nella libertà e nell’amore: “Se uno mi ama, osserverà la mia parola e il Padre mio lo amerà e noi verremo a Lui e prenderemo dimora presso di lui” (Gv 14,23). La decisione dell’uomo per Cristo apre dunque l’esistenza nel tempo all’accoglienza della vita eterna: nella storia presente viene a narrarsi la storia eterna dell’amore»37.

I Vangeli insistono su questa “dimensione trinitaria”, nel senso che Gesù – Figlio si lascia condurre dalla parola di Dio e vive nello Spirito. Per Rino Fisichella dire che « … Gesù è profezia del Padre significa affermare e riconoscere che lui è la parola di Dio. Una parola definitiva che entra nella storia; parola che non è più

33 Cit. da, B. SESBOÜE, Gesù Cristo l’unico mediatore. Saggio sulla redenzione e la salvezza – 1, Edizioni Paoline, (Cinisello Balsamo) Milano, 1991, 11. 34 GIOVANNI PAOLO II, Novo millennio ineunte, n. 4, EV, 20/16. 35 Cf. GAUDIUM ET SPES, 22, EV, 1/1385. 36 H. KÜNG, Incarnazione di Dio. Introduzione al pensiero teologico di Hegel. Prolegomeni ad una futura cristologia, tr. it. di F. JANOWSKI, Queriniana, Brescia 1972, 550. 37 B. FORTE, Trinità come storia. Saggio sul Dio cristiano, Edizioni San Paolo, Cinisello Balsamo, Milano 1988, 188.

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distinguibile dall’essenza e dal contenuto che pone in atto, perché in lui Parola e Verbo coincidono e permettono la rivelazione della vita divina»38.

13. Gesù il Signore è al centro della proposta e dell’annuncio della Chiesa. Anzi, è proprio la riscoperta quotidiana e grata della presenza di Gesù Cristo fra noi a rendere necessario, oggi come duemila anni fa, l’annuncio a tutti gli uomini di una salvezza che non cessa di rendersi vicina ed accessibile all’uomo. È la presenza salvifica di Gesù Cristo la grande speranza che muove la Chiesa incontro al mondo. Per questo la Nota dottrinale della Congregazione per la Dottrina della Fede su alcuni aspetti dell’evangelizzazione ammonisce che evangelizzare non vuol dire insegnare una dottrina, bensì annunciare il Signore Gesù con parole ed azioni, cioè farsi strumento della sua presenza operante nel mondo39.

La Chiesa ha dunque come suo compito precipuo quello dell’evangelizzazione. Perciò Paolo VI nell’esortazione apostolica Evangelii nuntiandi poteva affermare: «Evangelizzare è la grazia e la vocazione propria della Chiesa, la sua identità più profonda»40.

Nessuna obiezione può dunque ragionevolmente frenare l’impeto della Chiesa che, come fuoco di carità, muove i nostri cuori ad annunciare, con parole ed opere, Colui che è la speranza attesa segretamente da ogni cuore.

Annunciare e vivere Gesù Cristo è anche l’indicazione del Convegno Ecclesiale di Verona, che ci aiuta a individuare le soluzioni più adatte per la nostra vita di cristiani. La “Nota Pastorale” dei vescovi italiani ha indicato tre scelte di fondo, che costituiscono anche un metodo di lavoro. La prima consiste nel dare il primato a Dio nella vita e nella pastorale della Chiesa; la seconda nella fede in Cristo risorto, quale forza di trasformazione dell’uomo e dell’intera realtà; la terza nella centralità della Parola, quale guida della progettualità pastorale e del discernimento comunitario. Tale metodo di lavoro evidenzia che nella vita di fede della comunità ecclesiale non si realizza un’iniziativa personale, non ci si pone al servizio di una scelta propria, ma si segue la vocazione che è stata donata da Dio, e si lavora per la missione che è stata affidata da Lui.

L’unico fondamento della Chiesa è Gesù Cristo, il suo Signore, il centro di ogni atto e messaggio cristiano. Per questo la Chiesa ritorna continuamente all’incontro con il suo Signore. “Aprite le porte a Cristo” è stato il grido costante del pontificato di Giovanni Paolo II. Quell’invito echeggia ora tra le colonne di Piazza san Pietro per bocca di papa Benedetto XVI: «Egli non toglie nulla, e dona tutto. Chi

38 R. FISICHELLA, Gesù di Nazaret profezia del Padre, Paoline Editoriale Libri, Milano 2000, 145. 39 CONGREGAZIONE PER LA DOTTRINA DELLA FEDE, Nota dottrinale su alcuni aspetti dell’evangelizzazione, n. 2, LEV, Roma 03.12.2007. 40 PAOLO VI, Lettera apostolica, Evangelii nuntiandi, n. 14, (8.12.1975), EV 5/1601.

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si dona a lui, riceve il centuplo»41, perché non c’è altra salvezza per l’umanità al di fuori di nostro Signore Gesù Cristo, morto e risorto per noi.

A questo impegno di annuncio e di testimonianza della verità cristiana come salvezza per il mondo sono chiamati tutti i credenti, nessuno escluso. È un dovere missionario che nasce dalla profondità della stessa fede: la fede, infatti, confessa in Gesù di Nazaret il Figlio di Dio nella carne umana, il Signore e il Maestro, portatore di una nuova speranza per il futuro della storia e del mondo, venuto a rivelare la volontà salvifica universale del Padre per tutti gli uomini.

14. È necessario quindi superare la tendenza a fare del Vangelo di Cristo

solo una dottrina: questa deve essere continuamente rimandata alla Persona di Cristo, ai fatti fondanti della fede, primo (e anche ultimo) tra i quali la sua morte e risurrezione.

La Sua forza ci costituirà testimoni della verità, a vantaggio dei nostri fratelli, e quindi anche di questa cara terra di Calabria, e non ci farà tirare indietro, se necessario, neanche davanti al martirio.

È compito di ciascuno di noi credere fermamente che Cristo è la verità, e testimoniare la nostra fede in Lui con la santità della vita, la preghiera e le opere. Come nostro ausilio c’è la pratica dei Sacramenti, la quale corrobora e rende fiduciosi che il Signore, morto e risorto per noi, ci è accanto in tutte le difficoltà che incontreremo ed i dubbi che genererà la nostra ragione.

Diletta Chiesa di Cassano, e con te tutto il Sud, non demordere, non demoralizzarti, e continua a sperare, perché la speranza è il fondamento del vivere civile e religioso. E contrariamente alle apparenze, essa è virtù concretissima, esercizio quotidiano di uno sguardo diverso sulle persone e sul mondo. Dunque, non permettere al male di occupare il campo, di guadagnare terreno, di mettere radici nel cuore di altri uomini.

Pensa, mia Diocesi, alla parabola del grano e della zizzania (Mt 13, 24-43). Vigila, affinché il maligno non prevarichi sul buon seminatore e faccia crescere accanto alle spighe benedette l’erba cattiva. Ricorda che il Signore ha sguardo lungo: saprà ben intervenire al momento opportuno. È per questo che ti esorto dal profondo del cuore, Diocesi amata: spera sempre! «Cristiani non si nasce, si diventa», ha scritto Tertulliano. «Non si può dare per scontato che si sappia chi è Gesù Cristo, che si conosca il Vangelo, che si abbia una grande esperienza di Chiesa. C’è bisogno di un rinnovato primo annuncio della fede»42. 41 BENEDETTO XVI, Omelia per l’inizio del ministero petrino, 24 aprile 2005, cit. da Osservatore Romano del 25.4.2008. 42 CONFERENZA EPISCOPALE ITALIANA, Il Volto missionario delle Parrocchie in un mondo che cambia. Nota Pastorale, Edizioni Paoline, Milano, 2004, n. 6.

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C’è bisogno di uno slancio missionario nella nostra comunità diocesana, anzitutto per acquisire una mentalità nuova, aperta (e con essa guardare a ciò che già esiste e si fa) e poi per vivificare la convinzione che lo Spirito di Gesù abita già tra di noi perché ha deciso che dovrà portare l’annuncio del Vangelo al mondo vicino e lontano.

15. Riguardo all’annuncio e al primato di Dio, mi piace qui richiamare la

testimonianza del professore alessandrino Carlo Carretto e del medico veneziano Luigi Gedda43, morti non molti anni fa. Il primo crebbe alla scuola del secondo ed insieme furono impegnati nell’Azione Cattolica, prima piemontese poi nazionale. Dopo si separarono per diversità di ideali e di afflato spirituale. Ma ecco come Carretto ricorda l’incontro con Gedda nel 1930, all’ospedale di Torino:

«E mi capitò una grande avventura, la più grande della mia vita. Conobbi un medico di 28 anni: forte, bello, leale, dominatore. Stare con lui era per me un paradiso. Quando guardava i miei occhi sentivo il bisogno di essere buono. Un giorno m’invitò in clinica dove era assistente. Lo trovai in un reparto. Mi fece indossare un camice bianco come se fossi anch’io un medico e capii che faceva così per essere più tranquillo a parlarmi lungo le corsie senza turbare i malati e le suore. Mi condusse nella chiesetta dell’ospedale e la nostra intimità incominciò facendo assieme la Via Crucis. Poi mi parlò della Gioventù di Azione Cattolica lungo i letti degli ammalati.

Io bevevo le sue parole come il morente aspira l’ossigeno. Diventati amici, m’invitò a colloquio a sera quando usciva dall’ospedale. Andavo a lui col cuore che mi batteva come un innamorato. Difatti s’accendeva in me un grande amore. Il giovane medico mi parlava di Dio come nessuno mi aveva mai parlato, mi parlava di Gesù come del suo primo amico al quale mi avrebbe presentato. Ricordo tutte le parole che mi disse in quell’inverno lungo la spalletta del Po in quei colloqui.

Con lui il soprannaturale prendeva consistenza nel mio animo. Dio mi pareva di toccarlo; soprattutto Gesù diventava reale; a tratti mi sembrava di vederlo passeggiare con noi. Hai mai pensato – mi diceva – che anche noi professionisti, medici, ingegneri, avvocati possiamo desiderare la santità? Hai mai pensato che anche noi laici dobbiamo essere assetati di anime e buttarci all’apostolato con l’ardore dei primi cristiani? Trasformare la nostra casa in cella dove dobbiamo santificarci e le vie della nostra città in corridoi del nostro convento?

Che colpi mi dava al cuore all’aprirsi di sì vasti orizzonti! Così mi parlava e io m’innamorai dell’apostolato. Non passai più un sol giorno festivo a casa:

43 Così egli si rivolgeva ai laici: “Che tu sia lavoratore dei campi o dell’officina, artigiano, diplomato, laureato o altro ancora, è giunta l’ora nella quale puoi misurare la tua posizione spirituale di fronte al mondo”. L. GEDDA, Il libro del senior della Giac, Roma, 1942.

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bisognava andare andare andare. Conobbi migliaia e migliaia di giovani, contadini, operai, studenti, professionisti: il nostro ideale era di far cristiano il mondo.

Parlai di apostolato come di una cosa oramai mia, come di una cosa che mi avrebbe riempito totalmente la vita. Il giovane medico mi disse: solo Dio riempie totalmente la vita. Solo Lui ci basta. Neanche del bene dobbiamo innamorarci, ma solo di Dio.

Innamorarci solo di Dio! Questa frase detta laggiù lungo il viale del Po, sotto i fanali che di notte conoscevano solo le coppie degli innamorati, mi si piantò in testa e non volle più uscirne. Innamorarmi di Dio? Quale avventura prodigiosa per un povero cuore di uomo! Cercai il volto di Dio servendomi di due lampade che m’aveva indicato l’amico: la comunione quotidiana e la meditazione. Mangiare Dio e pensare a Dio…» 44.

16. La Chiesa si trova oggi a dover rinsaldare ed approfondire la coscienza e la professione della verità di Cristo come unico redentore.

Sia il fenomeno della proliferazione delle sette, di nuovi movimenti religiosi e di tante tendenze sincretistiche, sia l’atmosfera di relativismo che caratterizza la nostra società, debbono essere un segnale di allarme, un “codice rosso” per tutti i cristiani, specialmente per quelli che hanno responsabilità di guida e di insegnamento nella comunità ecclesiale (vescovi, presbiteri, diaconi, teologi e catechisti) e nella società: insieme siamo chiamati a testimoniare e a diffondere capillarmente la verità cristiana: spesso l’ostacolo è lo scoraggiamento perché fidiamo solo sulle nostre forze.

Il primo avversario da sconfiggere è l’opinione purtroppo crescente che Gesù Cristo è stato soltanto una delle tante manifestazioni del Verbo di Dio nella storia religiosa dell’umanità. Poi va messa alle “corde” anche l’altra opinione che lo Spirito Santo non è altro che il nome cristiano di un universale spirito divino, testimoniato nelle diverse esperienze religiose; e poi, che la Chiesa va messa tra parentesi, a favore di una vaga concezione del regno di Dio che affratella tutte le religioni.

Per noi fedeli – e per tutti – deve essere chiaro che grazie alla Chiesa l’uomo ha la possibilità di conoscere Dio Padre, Figlio e Spirito Santo, e di partecipare alla vita divina. Cristo, infatti, l’ha dotata della pienezza dei beni e dei mezzi di salvezza; lo Spirito Santo dimora in essa, la vivifica con i suoi doni e carismi, la santifica, la guida e la rinnova continuamente. Ne deriva una relazione singolare e unica, che pur non escludendo l’opera di Cristo e

44 C. CARRETTO, Incontro al domani, Editrice AVE, Roma, 1943, 10.

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dello Spirito Santo fuori dei confini visibili della Chiesa, le conferisce un ruolo specifico e necessario.

Prendere definitivamente coscienza di ciò implica che tutti gli uomini sono chiamati all’unità cattolica della Chiesa e che questa è necessaria alla salvezza. Di qui l’impegno e il debito di amore, verso Dio e verso i fratelli, di annunciare il Vangelo a tutte le genti (cfr. Mt 28,19-20). La volontà salvifica universale di Dio, Padre amoroso e misericordioso, fa sì che quelli che senza colpa ignorano il Vangelo di Cristo e la sua Chiesa e tuttavia cercano sinceramente Dio, e sotto l’influsso della grazia si sforzano di compierne con le opere la volontà, conosciuta attraverso il dettame della coscienza, possano conseguire la salvezza eterna. Ma ciò avviene sempre in virtù di una grazia che proviene da Cristo, è comunicata dallo Spirito Santo ed ha una misteriosa relazione con la Chiesa45.

17. All’inizio del terzo millennio, Giovanni Paolo II rinnovò l’invito di Gesù a tutta la Chiesa perché assumesse, con coraggio ed «un dinamismo nuovo»46, la propria responsabilità verso il Vangelo e verso l’umanità in un mondo in cambiamento.

Oggi più di allora la questione cruciale per la Chiesa è proprio questa. L’impegno che nasce dal comando del Signore: «Andate e rendete discepoli tutti i popoli» (Mt 28,19), è quello di sempre, eppure appare nuovo. Da esso dipendono il volto del cristianesimo, come pure il futuro della nostra società. Negli orientamenti pastorali per questo decennio si afferma che «la missione ad gentes non è soltanto il punto conclusivo dell’impegno pastorale, ma il suo costante orizzonte e il suo paradigma per eccellenza»47. Nella vita delle nostre comunità deve esserci un solo desiderio: che tutti conoscano Cristo, che lo scoprano per la prima volta o lo riscoprano se ne hanno perduto memoria, per fare esperienza del suo amore nella fraternità dei suoi discepoli48.

Se la Diocesi di Cassano vuole porsi veramente alla sequela di Cristo, deve farlo a partire da una pastorale precisa, che abbia come punto di partenza e di arrivo Cristo.

Bisogna investire in una pastorale capace di garantire ad ogni battezzato di rispondere alla chiamata di Dio senza indugio, come ha fatto la Vergine Maria, per testimoniare con gioia la verità che è Cristo.

45 Cf. M. BORDONI, La cristologia nell’orizzonte dello Spirito, Queriniana, Brescia 1995, 201-280. 46 GIOVANNI PAOLO II, Novo millennio ineunte, 15, EV, 20/35. 47 CONFERENZA EPISCOPALE ITALIANA, Comunicare il Vangelo in un mondo che cambia, n. 32. 48 IDEM, Il volto missionario delle parrocchie in un mondo che cambia ,n. 1.

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L’uomo, infatti, deve saper confidare in Dio, perché quando ci chiamerà darà anche modo alla nostra richiesta di trovare adeguato ascolto. Al profeta Geremia che recalcitrava davanti alla chiamata di Dio trincerandosi dietro la giovane età (e perciò affermando di non sentirsi in grado di parlare, cfr. Ger 1,5-6), il Signore risponde: «Non dire sono giovane: andrai da coloro a cui ti manderò e annunzierai quanto ti ordinerò. Non temere di fronte a loro, perché io sarò con te per proteggerti» (Ger 1,8).

Non temete, dunque, miei amati fedeli, di non poter testimoniare Cristo a causa della vostra debolezza: la forza non proviene da voi, ma da Dio49 e da Cristo che vi guida!

Questa forza conferita da Dio a tutti i battezzati attraverso l’azione dello Spirito, deve essere intesa come strumento di servizio: tutti, uomini e donne, siamo stati chiamati in Cristo per ricevere l’adozione a figli, per metterci a servizio l’uno dell’altro e cooperare a migliorare la stessa creazione, deturpata nella sua bellezza originale dall’irrompere del peccato.

Per tale motivo, mi rivolgo a voi con le stesse parole di uno tra i più grandi Padri della Chiesa, san Giovanni Crisostomo: «La vostra vita sia degna della grazia e della verità che avete ricevuto»50.

Se saremo fedeli a tale mandato, Cristo sarà la verità per un numero sempre più grande di persone, che, redente dalla Sua Croce, entreranno entusiaste a far parte del suo popolo.

49 Ci ricorda l’apostolo Paolo che «lo stesso Dio che ha detto la luce deve sorgere dalle tenebre, è entrato come luce nei nostri cuori per far irradiare la conoscenza della sua gloria che splende sul volto di Cristo. Ma noi portiamo questo tesoro in vasi fragili; è evidente, dunque, che la forza sovrabbondante non proviene da noi, ma da Dio»; 2 Cor 4, 5-7. 50 S. GIOVANNI CRISOSTOMO, Omelie sul Vangelo di Giovanni, Roma, Città Nuova Ed., XV 7.

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CAPITOLO SECONDO GESÙ CRISTO LA NOSTRA VIA

18. «Trovo che la cosa importante nel mondo è non tanto dove stiamo,

quanto in che direzione stiamo andando». L’espressione di Oliver_Wendell_Holmes ci dice che non si può navigare senza bussola e senza meta, ne che si può vivere senza sapere dove si sta andando. Per noi allora è importante conoscere il percorso, il segno che Dio ha tracciato per noi. Per questo il salmista implora: «Mostrami, Signore, la tua via» (86,11), che è una via di sapienza e di pace, da raggiungere attraverso la meditazione e l’ascolto. E stato detto: «la Bibbia è un libro pieno di strade e di vento, nel quale Dio appare come il grande viaggiatore da sempre in cerca dell’uomo, da quando nel giardino dell’Eden alla brezza della sera scendeva a conversare con Adamo»51

Non è infrequente incontrare uomini o donne interiormente a pezzi, gravati da problemi giudicati insolubili; avviliti e rinchiusi nel proprio mondo nel quale non penetra neppure un filo di luce. Le cause? Un matrimonio fallito, una morte imprevista, un dissesto finanziario possono distruggere progetti o prospettive di futuro, e togliere la voglia di vivere. Si subisce tutto nell’oppressione di una routine, nell’indifferenza generale. Un po’ come nella pagina della Samaritana: una donna spenta nelle sue chiusure; bloccata dal complesso d’inferiorità; chiusa in una meschina idea di Dio. È vittima del suo disordine morale: una “povera donna” di tanti uomini, se non di tutti. L’incontro con il Signore squarcia le nuvole e libera l’orizzonte: la scoperta dell’«acqua viva».

Il pozzo di Sicar è per tutta l’umanità metafora dell’incontro con Gesù. L’uomo sarà sempre insoddisfatto finché non scoprirà Cristo, la via unica per accedere alla felicità ed alla salvezza.

Nel suo “Cammino di perfezione” S. Teresa d’Avila scriveva: «La sete esprime il desiderio di una cosa, ma un desiderio talmente intenso che ne moriamo se ne restiamo privi». Uno dei Padri della Chiesa, San Gregorio di Nazianzo esclamava: «Dio ha sete che si abbia sete di Lui»52.

La Samaritana è simbolo di ogni uomo che cerca, magari inconsciamente, Dio e spera di incontrarlo partendo dalla realtà di sé e del proprio quotidiano.

51 E. RONCHI, Sulla soglia della vita, San Paolo, Cinisello Balsamo, (MI), 2008,77 52 Al pozzo di Giacobbe si sono incontrati due desideri, perché, come osserva il filosofo russo Berdjaev, «esiste un desiderio umano di Dio, ma anche un desiderio divino dell’uomo. Dio è l’idea più grande, il tema, il desiderio più grande dell’uomo. Ma l’uomo è altrettanto per Dio». L’incontro di questo duplice desiderio emerge anche dal Prefazio di questa Domenica: «Egli chiese alla Samaritana l’acqua da bere, per farle il grande dono della fede, e di questa fede ebbe sete così ardente da accendere in lei la fiamma del tuo amore». La Samaritana che «uscì nel sudiciume, e ritornò immagine della Chiesa, senza macchia. Uscì ed attinse la vita come una spugna; uscì portando la brocca, rientrò portando Dio» (Romano il Melode). Gesù si rivela Messia alla Samaritana e ne fa un’apostola. La trasfigura, le fa sgorgare dall’intimo quella fonte di acqua viva che toglie ogni sete e la lancia a dire: “ho trovato il Messia”.

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“Dammi da bere”: lasciati amare da me, per essere capace, a tua volta, di amare. Anche noi abbiamo “tanti mariti”: le viltà, i compromessi, i rancori.

L’incontro di Gesù con la samaritana è un racconto esemplare del cammino di fede: dalla non credenza, mista a diffidenza e ostilità, alla confessione esplicita di Gesù quale Messia. Ma è un capolavoro anche sotto il profilo psicologico 53.

19. Solo l’incontro, non la legge, cambia la vita. In principio è l’incontro: con chi ti parla come nessuno, con chi “ti dice tutto”, con il Dio che ha sete della nostra sete di lui, ha desiderio del nostro desiderio.

Gesù illumina contemporaneamente le coscienze e la nostra vita. Questo perché l’incontro con Cristo, quando è vero, coinvolge l’esistenza di qualunque uomo e di qualunque donna disposti a lasciarsi incontrare da Lui. È ciò che accade anche nella narrazione lucana degli Atti degli Apostoli, quando – dopo aver ascoltato l’annuncio cristiano – i pagani «all’udir tutto questo si sentirono trafiggere il cuore e dissero a Pietro e agli altri apostoli: “Che cosa dobbiamo fare?” e Pietro disse “pentitevi…”» (At 2,37), ovvero imboccate la via che conduce a Cristo e poi tornate con Lui, tenendovi per mano, perché «Su questa via che conduce da Cristo all’uomo, su questa via sulla quale Cristo si unisce ad ogni uomo, la Chiesa non può essere fermata da nessuno»54.

20. Il tema della strada e del viaggio è uno dei più pregnanti e penetranti del

nostro immaginario collettivo, con tutte le sue interpretazioni religiose, artistiche e letterarie: dal mito di Ulisse, che ha ispirato generazioni di autori, alla precarietà della condizione umana descritta da Samuel Beckett in “En attendant Godot”. L’evangelista Luca ci dice che sulla strada da Gerusalemme a Emmaus, si incontra Uno che da sempre, dall’eternità, è accanto all’uomo, ospite silenzioso e premuroso. Nella pagina del Vangelo (Lc 24,13 ss.), Cleopa e il suo compagno - alla fine del loro parlare, che serve solo a riempire l’interminabile vuoto creatosi quando è venuta meno la Parola che è scesa a cercare l’uomo - credono di fare spazio al personaggio misterioso che ha incrociato la loro libertà in cammino; e invece scoprono di essere già stati abitati dalla compagnia di Dio, dalla sua volontà di prendere dimora tra gli 53 La donna di Samaria è maestra di seduzione, ma non lo è di meno per la bravura dialettica e per la notevole conoscenza della teologia. Gesù non solo accetta, ma provoca la disputa storica scritturistica. Realizza una svolta ad “U” nella collocazione della donna nella società e nella comunità credente, a costo di suscitare scandalo. Un Rabbì non solo non accettava simili dispute, ma in pubblico si rifiutava persino di salutare una donna. In privato le cose potevano andare anche diversamente. Gli stessi apostoli si meravigliarono anche se non lo manifestarono apertamente. Prima di arrendersi questa donna eccezionale che i Padri della Chiesa non esitano a definire santa, sguscia come un’anguilla, fino a che non viene inchiodata dalla rivelazione: il Messia sono io! Allora la pubblica peccatrice si trasforma in missionaria, anche se non riesce a scalfire i suoi concittadini. Il cammino di fede della samaritana sfocia in un coro di fede, professata dai molti samaritani che credettero in Gesù: “Non è per la tua parola (quella della Samaritana) che noi crediamo, ma perché noi stessi abbiamo udito e sappiamo che questi è veramente il Salvatore del mondo”. 54 GIOVANNI PAOLO II, Lettera enciclica, Redemptor hominis, n. 13, (4.3.1979), EV, 6/1207.

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uomini ed essere in comunione con loro. Nella sua essenza più profonda. Emmaus ci richiama alla sequela di Cristo e alla sua imitazione55.

Gesù è la Via: questo è uno dei dati più significanti del Nuovo Testamento e della religione cristiana. Egli non ha mai detto “Io sono via, verità e vita”, ma “Io sono la via, la verità e la vita”. Non “una” delle tante, ma “la” via, l’unica che può condurci alla porta della casa del Padre. San Simeone precisa: «E lo dirò ancora: la porta è il Figlio - “Io sono la porta” dice egli (Gv 10,7.9) -: la chiave della porta è lo Spirito Santo - “Ricevete lo Spirito santo; a chi rimetterete i peccati saranno rimessi e a chi non li rimetterete, resteranno non rimessi”, (Gv 20,22-23) -: la casa, il Padre - “Nella casa del Padre mio vi sono molti posti” dice egli (Gv 14,2). Fa’, dunque, molta attenzione al senso spirituale della parola. Se la chiave non apre - perché “il guardiano gli apre” (10,3) -, la porta non viene aperta: ma se la porta non si apre, nessuno entra nella casa del Padre, come dice il Cristo: “Nessuno viene al Padre se non per mezzo di me” (Gv 14,6). Ora, che lo Spirito Santo, per primo, apre il nostro spirito (cfr. Lc 24,45) e ci insegna le cose del Padre e del Figlio, è Lui che lo ha detto»56.

21. Se l’anelito che trova una nicchia nei nostri cuori è quello di giungere

all’unione con Dio, non possiamo evitare di appartenere in tutto e per tutto a Cristo. Clemente Rèbora, uno dei più interessanti poeti del ventesimo secolo,

meditando su Gesù Cristo e sulla sua importanza per la vita dell’uomo, scriveva: «Speravo in me stesso: ma il nulla mi afferra. / Speravo nel tempo: ma passa, trapassa; / in cosa creata; non basta, ci lascia. / Speravo nel ben che verrà, sulla terra: / ma tutto finisce, travolto, in ambascia. / Ho peccato, ho sofferto, cercato, ascoltato / la Voce d’Amore che chiama e non langue, / ed ecco la certa speranza: la Croce. / Ho trovato Chi prima mi ha amato / e mi ama e mi lava, nel Sangue che è fuoco, / Gesù, l’Ogni bene, l’Amore infinito, / l’Amore che dona l’Amore, / l’Amore che vive ben dentro nel cuore»57.

Questi versi aprono al significato di Cristo, che è la meta verso cui tende il nostro desiderio di infinito giungere alla casa di Dio Padre, la nostra casa, quella abbandonata dai nostri progenitori Adamo ed Eva; ad essa faremo ritorno grazie all’opera salvifica di Cristo; perché è scritto: «Nessuno viene al Padre se non per mezzo di me» (Gv 14,6).

22. Scrive Benedetto XVI nella sua prima enciclica: «La vera novità del

Nuovo Testamento non sta in nuove idee, ma nella figura stessa di Cristo, che dà carne e sangue ai concetti - un realismo inaudito. Già nell’Antico Testamento la 55 Cf. V. BERTOLONE, Sulle orme del Divino Viandate, Ed. Velar, Gorle (BG) 2007, 49. 56 Cit. da, Y. CONGAR, Credo nello Spirito Santo 1, Queriniana, Brescia, 1981, 114. 57 C. REBORA, La speranza, in Le Poesie, Garzanti, Milano 1993.

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novità biblica non consiste semplicemente in nozioni astratte, ma nell’agire imprevedibile e in certo senso inaudito di Dio. Questo agire di Dio acquista ora la sua forma drammatica nel fatto che, in Gesù Cristo, Dio stesso insegue la pecorella smarrita, l’umanità sofferente e perduta. Quando Gesù nelle sue parabole parla del pastore che va dietro alla pecorella smarrita, della donna che cerca la dracma, del padre che va incontro al figliol prodigo e lo abbraccia, queste non sono soltanto parole, ma costituiscono la spiegazione del suo stesso essere ed operare. Nella sua morte in croce si compie quel volgersi di Dio contro se stesso nel quale Egli si dona per rialzare l’uomo e salvarlo - amore, questo, nella sua forma più radicale. Lo sguardo rivolto al fianco squarciato di Cristo, di cui parla Giovanni (cfr 19, 37), comprende ciò che è stato il punto di partenza di questa Lettera enciclica: “Dio è amore” (1 Gv 4, 8). È lì che questa verità può essere contemplata. E partendo da lì deve ora definirsi che cosa sia l’amore. A partire da questo sguardo il cristiano trova la strada del suo vivere e del suo amare»58.

È necessario incamminarci sulla strada dell’amore: «Amiamoci l’un l’altro, poiché l’amore è da Dio, e chiunque ama è nato da Dio e conosce Dio. Colui che non ama non ha conosciuto Dio, perché Dio è amore… Nessuno ha mai conosciuto Dio; se ci amiamo l’un l’altro, Dio abita in noi e il suo amore in noi è perfetto» (1Gv 4, 7-8.12).

Secondo Romano Guardini, «l’attitudine amante allarga lo sguardo della fede e, reciprocamente, più questo sguardo si afferma, più l’amore s’accresce e guadagna in chiarezza. Si può anche dire che la fede procede dall’amore e che l’amore procede dalla fede, perché a livello più profondo i due non fanno che uno: l’affermarsi del Dio vivente e pieno di grazia, nell’uomo vivente»59.

A Tommaso che gli chiedeva «Signore, non sappiamo dove vai e come possiamo conoscere la via?», Gesù rispose: «Io sono la via». Dobbiamo, dunque, camminare con Lui, e come Lui imparare prima a familiarizzare, poi, ad amare le persone che si incontrano lungo la strada, pur nelle contraddizioni e nelle conflittualità della quotidianità, ispirandoci al modello dell’amore cristiano, chiamato a concretizzarsi sempre nel gesto del buon samaritano.

23. Il cristianesimo non è una religione statica né promette tranquillità. La vocazione cristiana aspira piuttosto ad essere sequela Christi, un camminare con il Dio viandante. Quando Gesù dichiara di essere la “via” insieme alla “verità” e alla “vita” (Gv 14,6) esprime e spiega la profondità dell’espressione “essere pellegrino di Dio”, in cammino verso la vita, con la vita. A ragione il salmista dice: «Beato chi

58 BENEDETTO XVI, Lettera enciclica, Deus caritas est, (25.12.2005), n.12, EV, 23/1561. 59 Cit. da R. FISICHELLA, La fede come risposta di senso. Abbandonarsi al mistero, Paoline Editoriale Libri, Milano, 2005, 63.

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decide nel suo cuore il santo viaggio» (Sl 84, 6): a questi il Signore non rifiuta la grazia, la gloria, il bene (Sl 84, 12).

Il comportamento personale e sociale del cristiano deve essere conforme alla via amoris, a Cristo, cioè tendere alla santità, che è il fine della Chiesa e di ciascun fedele.

L’uomo santificato fa a meno della propria volontà, del “particolare”, perché sceglie di donarsi e rinuncia ad esistere per se stesso, lasciando entrare in lui ogni altra vita, «stimando dopo Dio tutti gli uomini come Dio stesso»60.

È quello che dice l’Apostolo Pietro: «Ad immagine del Santo (Cristo) che vi ha chiamati, diventate santi anche voi nella vostra condotta, poiché sta scritto: voi sarete santi, perché io sono santo» (1Pt 15,16): questo invito deve incarnarsi nella storia di tutti noi affinché diventiamo testimoni di Cristo attraverso il nostro amore verso il prossimo, amore che è conforme alla volontà di Dio, e così operando vivremo secondo Dio e ci assimileremo sempre di più a Lui, cercando di raggiungere la Sua perfezione: «Siate perfetti come è perfetto il vostro Padre celeste» (Mt 5,46).

Miei cari figli e fratelli, essere chiamati alla santità sia per ciascuno di noi il vanto più grande; ricordate, però, che per essere santi bisogna vivere profondamente Cristo e testimoniarlo con le proprie opere.

Il Concilio ci ricorda che «beni quali la dignità dell’uomo, la fraternità e la libertà, cioè tutti i frutti buoni della natura e della nostra operosità, dopo che li avremo diffusi sulla terra nello Spirito del Signore e secondo il suo precetto, li ritroveremo poi di nuovo, ma purificati da ogni macchia, purificati e trasfigurati quando Cristo rimetterà al Padre il regno eterno e universale»61.

C’è una conversione a Dio che porta alla conversione al mondo, perché ogni cambiamento reale della persona ha una dimensione storica e una dimensione universale: «non dobbiamo aspirare soltanto alla nostra salvezza personale, ma alla trasfigurazione dell’universo»62.

24. La nostra epoca vive una profonda crisi perché al posto dei valori si sono affermati i cosiddetti “disvalori”. Questa è la cartina di tornasole di un modo di vivere, di una cultura non conforme a Cristo, che sgomenta e scoraggia spesso una qualsiasi reazione, confinandoci nella spiacevole sensazione di rassegnata impotenza. Questo disagio è aggravato dalla presenza malavitosa nella nostra Regione, la quale deve fare i conti con i quotidiani soprusi delle organizzazioni mafiose, favorite dal problema della disoccupazione, piaga che sta negativamente caratterizzando, in questi ultimi anni, la vita di tutto il Meridione63. 60 SAN NILO DEL SINAI, PG 79, 1193 C 61 Cf. GAUDIUM ET SPES, 39, EV, 1/1441. 62 N. BERDJAEV, Spirito e libertà, Milano 1947, 444-445. 63 Cf. CONFERENZA EPISCOPALE CALABRA, “Se non vi convertirete perirete tutti allo stesso modo” (Lc 13,5),19.

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«Certi fenomeni dell’attuale sociocultura stordiscono, impedendo di entrare in profondità nella valutazione dei fatti della vita, di cui sempre meno si vuole attingere il senso interiore, l’appello alla propria libertà, la promessa divina che vi si svela. Il rischio, per i cristiani, è che si giri su se stessi, inoltrandosi in av-venture senza progetti o in arroccamenti senza novità. La giovinezza dello spirito – a cui la fede cristiana è chiamata - è garantita dalla presenza dello Spirito Santo di Dio all’opera nei giorni dell’uomo: questo Spirito spinge verso forme nuove di testimonianza, autenticamente cristiane perché portano il segno di Cristo, ovvero la forza onnipotente della sua croce, del suo dono d’amore nell’effusione del sangue versato per tutti, perché tutto - lavato dal sangue di un’alleanza nuova - potesse essere rivestito di una novità permanente, che dura e non passa mai e sempre rinnova i progetti degli uomini per la costruzione di un futuro buono e felice, cui ogni uomo ha diritto su questa terra e a cui ogni agire ecclesiale (predicazione, liturgia, carità) va orientato»64.

Ed allora? Allora siamo chiamati a rimboccarci le maniche per contrastare, bloccare i mali del mondo in generale e quelli della nostra terra in particolare, cominciando dalla famiglia, per giungere ai tanti soprusi che vengono perpetrati a scopo di profitto e di potenza65, per sopraffare e mortificare i più deboli.

All’inoperosità piagnucolona di «quelli che non hanno speranza» (2Ts 4,13), dobbiamo saper opporre la via di Cristo che può anche comportare il rischio di sentirsi abbandonati, come fu per Cristo stesso nell’orto degli ulivi e sulla Croce, ma che non cede mai alla tentazione della disperazione, perché saper sopportare la sofferenza, fisica e morale, è dono dello Spirito ed è certezza che Gesù Risorto è con noi, tutti i giorni della nostra vita.

25. Mi piace qui richiamare di Ignazio Silone una delle opere maggiori:

“Uscita di sicurezza”66. Lo scrittore, di formazione umanistica, si trovò per varie vicissitudini, tristi, umilianti, mortificanti, a fare un esame di coscienza della propria vita, delle proprie azioni, del modo di pensare. Ne concluse che non si possono servire contemporaneamente due padroni: la propria coscienza e un’ideologia politica materialista e disumanizzante. Scelse di ritirarsi, rinunziando a tutto quello che una lunga militanza politica e partitica gli avrebbe garantito, in termini di successo, onore, carriera. Si ritirò, attirandosi la malevolenza, l’odio, le accuse di tradimento da parte dei suoi ex compagni. Non poté farne a meno: fu la sua uscita di sicurezza per vivere da cristiano autentico.

64 A. STAGLIANÒ, Pensare la fede, cristianesimo e formazione teologica in un mondo che cambia, Città Nuova, Roma 2004, 49-50. 65 Cf. CONFERENZA EPISCOPALE CALABRA, “Se non vi convertirete perirete tutti allo stesso modo” (Lc 13,5), 12. 66 IGNAZIO SILONE, Uscita di sicurezza. Mondadori, I Meridiani, Milano 199.

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«Questa infatti è veramente la perfezione: staccarsi della vita di peccato non più per il servile timore di venire punito, né fare il bene per la speranza delle ricompense, mercanteggiando la vita virtuosa con intendimento affaristico e interessato; ma trascurando anche tutti i beni che speriamo conseguire secondo la promessa, ritenere temibile soltanto il decadere dall’amicizia di Dio e giudicare per noi onorevole e desiderabile solo il divenire amici di Dio»67.

Da quando il Signore si è incarnato per noi, suoi figli, l’uscita di sicurezza dalla mediocrità, dal torpore, dal grigiore della rassegnazione del particolare, del materialismo e dell’egoismo è una sola: conoscere e testimoniare senza vergogna Gesù Cristo.

26. Compito primario della pastorale della nostra Diocesi è condurre i fedeli a testimoniare Cristo, in ogni circostanza reale.

Siamo chiamati, in altre parole, come tante volte ha sottolineato il Concilio68, a liberarci dal legame con un mondo dominato e schiavizzato dal peccato, per incamminarci sulla via di Cristo per rendere testimonianza all’Amore di Dio. E questo senza separare la morale cristiana da quella naturale, perché la prima contiene in sé la seconda, fondata sull’essere uomo69, altrimenti non comprenderemmo il messaggio della Rivelazione nella realtà umana e di quei valori come il matrimonio, la famiglia, la società e lo Stato, oggi spesso messi in discussione, o, quantomeno, ridimensionati. Parimenti, non saremmo in grado di testimoniarne tanti altri, altrettanto importanti, come l’onestà, la giustizia, la solidarietà, la fratellanza.

Come credenti, dobbiamo essere convinti che nessuna nostra azione che corrisponde solo alla legge naturale, e nessuna virtù, per quanto buona ed elevata, può condurre l’uomo alla salvezza. C’è sempre bisogno che tutto questo venga assunto e garantito dalla carità di Cristo, al quale apparteniamo.

Questa appartenenza deve spingerci, attraverso la preghiera, al confronto con il Magistero e all’unione fra tutti i cristiani, anche con i fratelli delle Chiese separate, perché il mondo ha bisogno di una Chiesa Universale idonea a testimoniare Cristo come la “via-verità”.

Alle nostre comunità spetta quindi di far risuonare, in tutta la loro ricchezza, le verità “morali” universali e innegabili. Proprio da questo ci riconosceranno.

27. Porsi alla sequela di Cristo implica la fedeltà ad una chiamata,

coerentemente con gli insegnamenti del Nuovo Testamento e del Magistero della

67 GREGORIO DI NISSA, Vita di Mosè, Mondadori, 1984, Libro II, 320. 68 Cf. GAUDIUM ET SPES, 22, EV, 1/1388. 69 Cf. IBIDEM, 36, EV, 1/1431.

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Chiesa, da cui l’urgenza di un’adeguata educazione della coscienza morale70, nella quale è presente ed agisce lo Spirito di Dio.

In definitiva, il dinamismo che è presente nella coscienza dell’uomo, creato ad immagine e somiglianza di Dio e immerso con il battesimo nel mistero trinitario, è il mistero pasquale di Gesù Cristo71.

28. Seguendo Gesù nostra via, il battezzato vive in modo coerente la sua

condizione di figlio di Dio. Forte di questa consapevolezza, la nostra pastorale deve indirizzare il popolo verso nostro Signore Gesù Cristo, che potrebbe anche chiederci di salire con Lui il Calvario.

Questa è la sequela radicale che intendo proporre alla Diocesi, perché nutro la convinzione che soprattutto le nuove generazioni (destinate ad una identità “liquida” se non interverremo in tempo), sapranno essere capaci di slanci di amore e di altruismo encomiabili per Cristo e per la Chiesa.

70 E’ stato Giovanni Paolo II a lanciare questo interrogativo: «Qual è il ruolo della coscienza nella formazione del profilo morale dell’uomo?», in GIOVANNI PAOLO II, Lettera enciclica, Veritatis splendor, n. 30, (6.8.1993), EV, 13/2615. 71 «È dunque il Cristo crocifisso e risorto l’unico e definitivo luogo e orizzonte in cui io posso accedere, nello Spirito, a un’ontologia trinitaria della persona che si compie nella grazia-caritas» (P. CODA, Per un’ontologia trinitaria della carità. Una riflessione introduttiva, in “Lateranum” 51 (1985), 74).

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CAPITOLO TERZO GESÙ CRISTO LA NOSTRA VITA

29. “Vita”: questa parola è il phil rouge che avvolge tutte le pagine veterotestamentarie dall’incipit della creazione al lungo cammino dell’esodo, dai canti gioiosi o tristi del salterio, dalle lamentazioni di Giobbe alle visioni dei profeti. La venuta di Cristo spezza il filo, non tacita la parola “vita”, anzi la integra con “verità” e “via”. Ma ora ritorniamo alla pagina evangelica di Gesù che si ferma, perché ha sete, al pozzo di Giacobbe e incomincia a parlare con la Samaritana come colui che possiede l’acqua viva, capace di togliere la sete più profonda dell’uomo. La donna si meraviglia, non capisce, continua a pensare all’acqua, che normalmente attinge al pozzo. Gesù le spiega: «Chiunque beve di questa acqua [l’acqua di questo pozzo] avrà di nuovo sete; ma chi berrà dell’acqua che io gli darò, non avrà più sete in eterno. Anzi, l’acqua che io gli darò diventerà in lui una sorgente d’acqua che zampilla per la vita eterna» (Gv 4, 13-14).

Chiediamoci: che significa “acqua della vita eterna”? Che cosa è quest’acqua?Attraverso la successione dei fatti raccontati riceviamo l’illuminazione: questa «acqua», significa la verità, e in particolare la verità della coscienza. Gesù, parlando alla Samaritana le illumina la coscienza. Pensate allo scambio di parole: «Va’ a chiamare tuo marito». «Non ho marito». «Hai detto bene “non ho marito”; infatti hai avuto cinque mariti e quello che hai ora non è tuo marito; in questo hai detto il vero» (Gv 4, 16-18).

Nello stesso tempo, quest’acqua è la verità dello stare in intimità con il Dio che deve essere adorato “in spirito e verità”72.

La Samaritana replica: «So che deve venire il Messia (cioè il Cristo): quando egli verrà ci annunzierà ogni cosa». Gesù: «Sono io, che ti parlo» (Gv 4, 25-26).

30. Il cammino millenario dell’umanità, un giorno è stato incrociato da

Cristo. Egli rivela in se stesso la “sorgente di acqua che zampilla per la vita eterna”. Egli la “dà” ai suoi apostoli nel giorno della risurrezione e nel giorno della Pentecoste.

31. È acqua viva, acqua di vita: «L’uomo che vuol comprender se

stesso fino in fondo, non soltanto secondo immediati, parziali, spesso superficiali, e perfino apparenti criteri e misure del proprio essere, deve, con la sua inquietudine e incertezza e anche con la sua debolezza e 72 “Il Padre cerca tali adoratori. Dio è spirito, e quelli che lo adorano devono adorarlo in spirito e verità” (Gv 4, 23-24).

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peccaminosità, con la sua vita e morte, avvicinarsi a Cristo. Egli deve, per così dire, entrare in lui con tutto se stesso, deve “appropriarsi” e assimilare tutta la realtà dell’incarnazione e della redenzione per ritrovare se stesso»73.

Vanno ricercate in Cristo le origini dell’uomo: creato, infatti, «per mezzo di lui e in vista di lui» (Col 1,16); «il Verbo (che è) la vita […] è la luce che illumina ogni uomo che viene nel mondo» (Gv 1,3-4,9). Se è vero che l’uomo è stato creato ex nihilo, è anche possibile affermare che è creato dalla pienezza (ex plenitudine) di Cristo. Il Padre ci ha destinato ad essere suoi figli e figlie e «ad essere conformi all’immagine del Figlio suo, perché egli sia il primogenito tra molti fratelli» (Rm 8, 29).

32. Riflettiamo: essere cristiani oggi come ieri significa prendere

coscienza che Cristo chiede a ciascuno di noi di offrirgli la vita perché essa trova senso e realizzazione solo in Lui.

L’autore della Prima Lettera di Pietro, nel confortare i cristiani di fronte al pericolo della persecuzione, li esortava ad adorare Cristo nei loro cuori, ma anche ad essere «pronti sempre a rispondere a chiunque vi domandi ragione della speranza che è in voi» (1Pt 3,15)74.

È necessario che il vero cristiano sappia distinguere tra la religiosità innata e la fede in Cristo. L’essere religioso non implica necessariamente la fede in Cristo: i pagani erano e sono religiosi, non credenti.

La fede è un rapporto reale, vivo dell’uomo con Dio, in risposta ad un rapporto di uguale intensità e natura che Dio ha voluto istituire con l’uomo. È una rivelazione di Dio fatta all’uomo, un suo ingresso cioè nella vita e nella storia dell’uomo.

In Cristo noi abbiamo un rapporto vivo, reale con Dio. L’incontro con Cristo è sempre un’avventura nuova, in cui nulla è scontato. È questo il rischio e la bellezza della nostra libertà, l’audacia a cui siamo continuamente chiamati, perché la nostra vita abbia significato e passione.

33. Sostenere il binomio “Gesù-vita” è lo stesso che attestare che Gesù è la grazia. Si possono, infatti, operare tante suddivisioni sistematiche del De gratia e si possono anche utilmente richiamare i ricchi insegnamenti della Tradizione al riguardo. Non si può, d’altra parte, ignorare quanto questo tema centrale della fede cristiana sia presente nello studio e nella ricerca 73 GIOVANNI PAOLO II, Lettera enciclica, Redemptor hominis, n. 10, EV, 6/1194. 74 Per un breve commento esegetico-teologico a questa pagina, cf. E. COTHENET, Le réalisme de l’espérance chrétienne selon 1 Pierre, «New Testament Studies» 27 (1981) 564-572.

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della teologia. Ma l’ultimo fondamento di ogni trattato è Gesù stesso, la rivelazione personale dell’amore del Padre; colui che ha ridato all’uomo l’amicizia di Dio e, morendo e resuscitando, gli ha dato la vita eterna. Perciò vogliamo considerare, seppur brevemente, l’ultima radice della grazia prescindendo da un’esposizione sistematica delle linee classiche del De gratia.

Il tema della vita ritorna con frequenza, soprattutto in san Giovanni ed in san Paolo, e ci fa toccare con mano come Gesù-Vita trasformi il cristiano in una nuova creatura mediante il dono dello Spirito, e lo abiliti ad un’esistenza di fede, amore e speranza, preludio della vita eterna.

Nel NT il concetto di vita come tale rimane nel solco della tradizione: quasi sempre indica la vita eterna. La predicazione di Gesù è tutta orientata in senso escatologico e sottolinea che il valore della vita futura rende stolta ogni tendenza sfrenata al possesso della terra75. Dice Cristo di sé: «Io sono venuto perché tutti abbiano la vita e l’abbiano in abbondanza» (Gv 10,10).

Secondo Paolo, Gesù risorto è il principio e la fonte della vita in quanto nuovo Adamo: «Come in Adamo tutti muoiono, così in Cristo tutti saremo vivificati» (1 Cor 15,22), ma con una differenza enorme: la vita portata da Cristo, considerata negativamente, è redenzione dalla colpa e dalla condanna (Rm 8,1); dalla forza malvagia del peccato (Rm 6, 22); dalla legge, precetto che pesa senza aiutare (Gal 3,13); dalla morte fisica, mediante la risurrezione.

Se, invece, la consideriamo positivamente, la vita cristiana possiede un principio interiore: lo Spirito Santo, che abita nel cuore dei cristiani (Gal 4,6), i quali diventano così «il tempio di Dio e la dimora dello Spirito di Dio» (1Cor 3,16). L’effetto primo e fondamentale della presenza personale, continua e attiva dello Spirito Santo è la relazione di intimità ontologica con Cristo, sicché il cristiano diviene anch’egli figlio di Dio (Rm 8,14-17), coerede con lui, nuova creazione (Gal 6,15), uomo nuovo (Ef 4,21-24) che si è rivestito di Cristo e che, rigenerato e rinnovato per mezzo del battesimo, vive la stessa vita di Cristo e fa parte di quel corpo mistico di cui Cristo è il capo (Col 1,18; Ef 4,11-16).

Volendo riassumere il messaggio sottostante alle molteplici testimonianze circa la vita, possiamo dire che Gesù è la vita perché salva l’uomo ed il proprio popolo dai peccati (Mt 1,21). Egli trasferisce i suoi fratelli

75 Scrive François Mauriac: «C’è stato bisogno che Dio s’immergesse nell’umanità e che a un preciso momento della storia, sopra un determinato punto del globo, un essere umano, fatto di carne e di sangue, pronunciasse certe parole, compisse certi atti, perché io mi gettassi in ginocchio»; in F. MAURIAC, Vita di Gesù, Milano 1937, Prefazione.

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da una sfera di isolamento ed abbandono in una di salvezza di Dio, perché li fa passare dalla morte alla vita (Gv 5,24).

È convinzione costante del NT che l’evento definitivo di grazia è entrato in azione per mezzo di Gesù Cristo. Ma questi non è solamente colui che dà avvio a quest’evento, ne è la ragione. Il regno di Dio esiste già ora, perché Egli, il Messia, è già presente. È Lui che salva l’uomo dalla rovina. È Lui stesso la vita. La grazia, dal punto di vista neotestamentario, non è altro che l’introduzione, donata da Dio, dell’uomo e del mondo nell’evento di salvezza di Cristo, evento che è anche la radicale comunicazione di sé del Dio trinitario76.

34. L’uomo in Cristo è definito “creatura nuova”77. Questa espressione descrive, in termini molto originali, espliciti e pertinenti, quanto la figura personale di Gesù Cristo costituisca davvero il punto focale dell’esperienza cristiana, il suo autentico ed irrinunciabile epicentro. Dire che Cristo vive in noi equivale a dire che tra noi e Cristo esiste un rapporto di causalità, cioè che il Cristo risorto è l’origine della nostra nuova vita. L’ultimo Adamo, Cristo risorto, è diventato spirito datore di vita e tutti gli uomini riceveranno la vita da lui (1Cor 15,22)78.

Si può dunque dire, secondo il NT, che vivere una nuova vita, abbraccia l’essere uniti a Dio, esistere in Cristo Gesù e appartenere al popolo della nuova alleanza, cioè alla Chiesa, sono vari aspetti della medesima realtà.

Per sant’Agostino, Cristo «ci ha incorporati a sé, ci ha fatto suoi membri. Eccoci in lui divenuti Cristo. Siamo realmente il suo corpo; in lui dipendiamo dal Cristo, Christi sumus; più ancora Christus sumus, non solamente di Cristo, ma Cristo medesimo»79. Il Santo Padre, considerando il dono della vita che ci viene da Nostro Signore, specifica: «Gesù ci dà la vita perché ci dà Dio. Ce la può dare perché è Egli stesso una cosa sola con Dio. Perché è il Figlio. Egli è il dono. Egli è la vita»80.

Mi piace qui richiamare alcune espressioni del mio fondatore, il Beato 76 Cf. F.MUSSNER, Lineamenti fondamentali della teologia della grazia nel N.T., in Mysterium salutis, IX, Queriniana, Brescia, 1975, 52. 77 Secondo il testo paolino della seconda lettera ai Corinzi «Se uno è in Cristo è una nuova creatura» (2 Cor 5,17). La stessa realtà è indicata dalle espressioni paoline: «in Cristo»,«nel Signore» (Rm 6,11; Gal 3,20). In un passo della lettera ai Galati (2,20) inoltre, «Sono stato crocifisso con Cristo e non sono più io che vivo, ma Cristo vive in me; questa vita che vivo nella carne io la vivo nella fede del Figlio di Dio che mi ha amato e ha dato se stesso per me». 78 R. PENNA, Essere cristiani secondo Paolo, Marietti, Torino, 1982, 23. 79 S. AGOSTINO, Enar. in Psal. 26, 11, 2. 80 J. RATZINGER- BENEDETTO XVI, Gesù di Nazaret, Rizzoli, milano, 2007, 404.

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Giacomo Cusmano. Egli vede con chiarezza le proprie scorie e attraverso l’ascesi, la purificazione, la mortificazione, l’“agere contra”, la lotta al cuore81, ed il superamento della dolorosa “notte della desolazione”82 maturata appié del Crocifisso, è tutto proteso a realizzare in sé la salesiana metafora della “trasformazione del bruco in farfalla”83, l’uomo nuovo in Cristo. L’illuminazione interiore, l’anelito al Volto di Dio, il vivere la vita del Cristo umanato copiata dalla SS. Vergine, la presenza di Dio, l’adorazione, l’adesione totale a Dio, e l’unione e l’abbandono in Dio e nella Sua adorabile volontà, l’Eucaristia, il povero, la presenza di “Gesù nel Povero”, l’aspirazione alla pace in Dio, lo zelo per la gloria di Dio, l’apostolato della carità lo portano a considerare Dio il suo “tutto”84: «Costi Dio quanto vuol, non è mai caro»; «Si perda tutto e non si perda Dio»85.

Questo anelito gli mette in corpo la nostalgia, il desiderio di Dio, del bene, della santità.

Il 23 febbraio 1888 (diciannove giorni prima della morte) scrive ad una suora riecheggiando San Bernardo: «Tutto ciò che non è eterno è niente», ed ancora: «La morte è il principio di quella vera vita che durerà in eterno». Siamo al “cupio dissolvi” per essere con Cristo, espressione del cammino spirituale di santità del Cusmano, un itinerario di “vita secondo lo Spirito”, vissuto e proposto con origina-lità86.

L’approdo di questo travagliato e misterioso cammino di conversione è la Vita Nuova in Cristo, solo libro della sua vita, unica norma ed “unico amore dell’anima mia”, che gli dà la forza per lottare il peccato, di mettere un piede sul cuore, di mortificarsi, di umiliarsi e di vivere di fede e di carità.

Ispiratore di questa rinascita è l’«Apostolo delle genti», e fonte privilegiata l’Epistola ai Romani, nella quale Paolo asserisce che è necessario per l’uomo nuovo in Cristo “edificare la fede”, seguire le parole di Dio che sono “vive ed eterne”. Per questo progetto di “rifondazione” è requisito necessario, forse indispensabile, la risolutezza e l’impegno con i quali l’uomo si applica “docilmente” ad attuare il comando di Dio in Cristo. «Se uno è in Cristo – afferma Paolo – è una creatura nuova; le cose vecchie sono passate» (2Cor 5,7). Se si è convinti, fermi, costanti non sarà difficile abbandonare la vecchia esistenza basata sull’egoismo e sull’incertezza: non si può temere (“noli timère”) se solo si pensa alla Redenzione di Cristo!

Vita nuova in Cristo, dunque. Questa la folgorazione di Giacomo Cusmano che, pure, ancora non si fida delle proprie forze, teme di sbagliare, ritiene di essere

81 Lettera a Mons. Turano, 24 settembre 1874, LeF I, 220-221. 82 Lettera a Mons. Turano, del 10 settembre 1878, ivi 326-330. 83 LeF II, 455-457. 84 Lettera a Sr. Calascibetta del 24 novembre 1880, LeA I/1, 210. 85 LeA I/1, 62. 86 LeA I/3, 454.

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indegno, di dover restare chissà per quanto tempo ancora “bruco” senza poter completare la metamorfosi dell’essere compiuto, perfetto, pronto a spiccare il volo alla nuova vita.

Ecco un altro valido esempio di uscita di sicurezza: abbandonarsi docilmente a Dio scegliendo sempre ciò che è a lui gradito, con libera decisione, dalla quale dipende, però, la realizzazione del progetto di Dio su di noi, quella che si chiama la sua volontà. La spiritualità cusmaniana parte, dunque, dalla volontà di Dio e dalla sua attuazione: attuazione segnata dalla dialettica iam nunc et nondum, che considera tutto una perdita e guarda a Cristo come a principio, via, cammino, mèta, speranza dell’umanità e della Chiesa in cammino, che coinvolge gli uomini a maturare i grandi progetti per il Signore nella linea del Risorto.

35. «Signore, da chi andremo? Tu solo hai parole di vita eterna!»

(Gv 6,52). Queste parole, pronunciate da Pietro, testimoniano efficacemente quale tipo di atteggiamento debba assumere il cristiano davanti a Cristo. Non c’è, infatti, altra vita se non quella di Colui che ha parole di vita eterna. Ma credere in ciò significa che Cristo-Vita deve diventare la nostra regola di comportamento. E se frutto principale della vita è l’amore, conseguentemente vivere Cristo significa aprirsi all’amore e quindi alla totale donazione di sé87, il cui gesto più alto è testimoniato dalla Croce di Cristo: saper salire il Calvario con Lui per amore del prossimo significa saper spendere bene la propria vita alla luce della volontà del Padre.

Vivere Cristo-Vita vuol dire vivere per gli altri, promuovendo e difendendo la vita a tutti i livelli. La strada maestra per saper dispensare e preservare la vita è imitare Cristo, modello ideale del nostro comportamento storico.

36. Carissimi figli e fratelli, so che anche voi, come tutti, cercate la

vita piena, in cui dimorino la gioia e la felicità. Questa vita non è un’utopia. C’è scritto negli Atti degli Apostoli: «In nessun altro c’è salvezza, non vi è altro nome dato agli uomini sotto il cielo nel quale sia stabilito che possiamo essere salvati» (At 4,12), e questo nome è quello di Gesù, il Cristo.

Quindi per vivere la vita in pienezza bisogna abbandonarsi totalmente a Cristo. Così metteremo a frutto e valorizzeremo la nostra 87 Osserva Nicola Ciola: «Non solo la Croce di Cristo è diventata locus theologicus, ma ha aiutato a scoprire un nuovo volto di Dio-Trinità come colui che si china sulle sofferenze dell’uomo. Guardare alla croce significava ricuperare la rilevanza soteriologica del mistero trinitario, per troppo tempo piuttosto trascurata»; in N. CIOLA, Teologia trinitaria, Storia – Metodo – Prospettive, EDB, Bologna, 1996, 168.

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esistenza. La vita che i cristiani sono chiamati a vivere e che ha in Cristo il suo prototipo è quella che si apre alla speranza, all’amore verso il prossimo e verso il creato. Aprendosi all’amore, si apre a Dio-Amore.

37. Parlando della vita, dobbiamo far riferimento a quella eterna,

cioè all’escatologia, che tratta delle “cose ultime”. Ma il fatto di rinviare le “cose ultime” all’ultimo giorno le «privava del loro significato di orientamento, di incoraggiamento e di istanza critica nei confronti dei giorni che si vivono qui sulla terra, prima della fine, nella storia. Perciò queste dottrine sulle cose ultime costituivano gli sterili capitoli finali della dogmatica cristiana; erano come un’appendice disorganica divenuta apocrifa e irrilevante»88.

Invece, interpretandola alla luce della teologia della speranza cristiana, l’escatologia comprende non soltanto “la cosa sperata” ma anche “l’atto dello sperare”. Il cristianesimo stesso è escatologico: «E’ speranza, è orientamento e movimento in avanti e perciò è anche rivoluzionamento e trasformazione del presente»89.

Essa ci parla di Gesù Cristo, riconosce la realtà della risurrezione e annuncia il futuro del risorto: a motivo della sua risurrezione, il Cristo crocifisso ha un futuro90.

Scrive Benedetto XVI: «Noi abbiamo bisogno delle speranze – più piccole o più grandi – che, giorno per giorno, ci mantengono in cammino. Ma senza la grande speranza, che deve superare tutto il resto, esse non bastano. Questa grande speranza può essere solo Dio, che abbraccia l’universo e che può proporci e donarci ciò che, da soli, non possiamo raggiungere »91.

In questi termini, lo spessore antropologico e sociale della speranza cristiana appare indiscutibile: non proietta in un “oltre vuoto”, né aliena o distoglie dalle responsabilità della storia; piuttosto, immerge totalmente il credente nel mondo con la testimonianza della carità.

Una fede che opera attraverso la carità è la verifica più probante del modo cristiano di sperare. Per vivere questa vita di amore nell’orizzonte della speranza, è necessario però assimilarsi a Cristo attraverso la preghiera, la meditazione della Parola ( Lectio divina personale comunitaria)92 e,

88 J. MOLTMANN, Teologia della speranza, Queriniana, Brescia 1970, 9. 89 IBIDEM, 10. 90 IBIDEM, 11. 91 BENEDETTO XVI, Lettera enciclica Spe salvi, (30.11. 2007), n. 31, LEV, Roma 2007. 92 A riguardo ho predisposto un libretto sulla lectio che viene consegnato contestualmente alla presente lettera.

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soprattutto, i sacramenti, in particolare l’Eucaristia. Mangiando infatti la carne di Nostro Signore e bevendo il suo sangue, l’uomo viene assimilato misteriosamente a Lui e reso intimamente partecipe della sua natura.

In una parola, l’Eucaristia ci rende partecipi della stessa vita di Cristo, in grado quindi di vivere come Egli ha vissuto: amando.

38. L’evento della perfetta comunicazione della premurosa cura di

Dio ci viene trasmesso nell’Eucaristia, per un rinnovato impegno cristiano. Il rito non è l’evento, ma pone la vita dell’uomo in comunicazione con l’evento, permettendogli di entrare nella vita umana ed a questa di parteciparvi realmente. Dice Giovanni Paolo II «Nell’Eucaristia Ti sei fatto farmaco d’immortalità: dacci il gusto di una vita piena, che ci faccia camminare su questa terra come pellegrini fiduciosi e gioiosi, guardando sempre al traguardo della vita che non ha fine. Rimani con noi, Signore! Rimani con noi»93: abbiamo estremo bisogno che Dio entri nella nostra vita. Nell’Eucaristia Dio è entrato in essa, e se noi lo desidereremo vi entrerà ogni giorno, prenderà possesso della nostra carne, liberandola dal peccato e trasfigurandola.

Sia nel Cristo storico che ha camminato con gli uomini, sia nel Cristo Eucaristia si rivela il volto di Dio che si pone alla ricerca dell’uomo, mostrandosi come l’infaticabile pastore alla continua ricerca della pecora smarrita (cfr. Lc 15, 4), il Padre amorevole intento ad aspettare fiducioso il ritorno del figlio prodigo per poterlo accogliere fra le sue braccia (cfr. Lc 15, 11-32).

L’Eucaristia “impianta” in noi la cultura del dono, ed immette nella storia la gratuità dell’amore, caratteristiche della vita trinitaria.

Gesù con l’Eucaristia ci consegna la sintesi del Vangelo: amare sempre tutti sino alla fine: «nessuno ha un amore più grande di questo: dare la vita per i propri amici!» (Gv 15,13). Questo è l’unico modo di gareggiare con l’amore infinito di Dio: amare anche noi totalmente. Perciò l’evangelista Giovanni non riporta l’istituzione dell’Eucaristia ma il gesto della lavanda dei piedi (cfr Gv 13), come se esso costituisse il senso vero e profondo di questo mirabile Sacramento.

Dall’Eucaristia deve scaturire il “miracolo” del servizio. Il cristiano non può starsene con le mani in mano, a guardare: egli è chiamato a servire i fratelli nelle loro necessità, materiali e spirituali. L’amore fraterno, cari 93 GIOVANNI PAOLO II, Omelia per l’apertura dell’Anno dell’Eucaristia, 17 ottobre 2004, cit. da Osservatore Romano del 18.10.2004.

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figliuoli, è un precetto sommo. Ce lo ricorda la parabola del giudizio finale, dove leggiamo che il Figlio dell’uomo farà entrare nella beatitudine eterna chi ha donato un bicchiere d’acqua all’assetato, un boccone all’affamato, un vestito all’ignudo, perché tutte le volte che tali gesti di carità furono compiuti a favore di «uno solo di questi miei fratelli più piccoli, lo avete fatto a me!» (Mt 25,31-46).

Per Giovanni Paolo II, la via della solidarietà è perciò «espressione di comunione nella vita della Chiesa e progetto di solidarietà per l’intera umanità. Il cristiano che partecipa all’Eucaristia apprende da essa a farsi promotore di comunione, di pace, di solidarietà., in tutte le circostanze della vita. L’immagine lacerata del nostro mondo, che ha iniziato il nuovo Millennio con lo spettro del terrorismo e la tragedia della guerra, chiama più che mai i cristiani a vivere l’Eucaristia come una grande scuola di pace, dove si formano uomini e donne che, a vari livelli di responsabilità nella vita sociale, culturale, politica, si fanno tessitori di dialogo e di comunione»94.

39. Dalla risurrezione di Gesù dipende il nostro essere “pietre vive”.

L’intimità dei battezzati con lui permette la costruzione di un edificio spirituale: è questa la condizione di coloro che sono stati rigenerati nella morte e risurrezione di Gesù. La “pietra viva” è l’inizio del nuovo tempio che il Padre si sta costruendo. È segno definitivo della sua presenza. E, sempre per iniziativa del Padre, coloro che ricevono il battesimo, cioè aderiscono a Cristo, sono una comunità che forma il nuovo tempio, quello spazio sacro della presenza del Padre.

«La risurrezione di Cristo - afferma Benedetto XVI - non è un semplice ritorno alla vita terrena; è la più grande mutazione mai accaduta, il salto decisivo verso una dimensione di vita profondamente nuova. L’ingresso in un ordine completamente diverso, che riguarda anzitutto Gesù, ma con Lui anche noi, tutta la famiglia umana, la storia e l’intero universo»95. E Pietro: «Stringendovi a Lui, pietra viva, rigettata dagli uomini, ma scelta preziosa davanti a Dio, anche voi venite impiegati come pietre vive per la costruzione di un edificio spirituale, per un sacerdozio santo, per offrire sacrifici spirituali graditi a Dio, per mezzo di Gesù Cristo» (1Pt 2, 4-5)» 96. 94 GIOVANNI PAOLO II, Lettera apostolica Mane nobiscum Domine, n. 27, (7.10.2004), EV,22/3069. 95 BENEDETTO XVI, Discorso al Convegno ecclesiale di Verona, 19 ottobre 2006, Notiziario della Conferenza Episcopale Italiana, 2006, 232 96 Mi piace qui riportare un significativo pensiero di Carlo Carretto: «Quanto mi sei contestabile, o Chiesa, eppure quanto ti amo! La credibilità non è degli uomini, è solo di Dio e del Cristo. Solo lo Spirito Santo è capace di fare la Chiesa con delle pietre così mal tagliate come siamo noi!»

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Queste espressioni sulla comunione, fiore all’occhiello del popolo di Dio, mi danno modo di preannunciarvi che vorrei dedicare proprio all’essere Chiesa la mia terza Lettera Pastorale.

40. Il mondo ha bisogno di uomini di comunione. Nel discorso sul

monte si parla di “costruttori di pace”: in quest’ottica ora vi dico che dobbiamo diventarlo anche noi, costruendo ponti fra famiglie divise, fra classi divise, fra popoli divisi, fra comunità ecclesiali tra loro indifferenti, fra diverse confessioni religiose.

Essere veri uomini di comunione presuppone un grande coraggio e una conquista: quella di non aver più paura della paura, e significa obliarsi di sé per avere occhi solo per gli altri. Certo, ci sono dei rischi… Dimentichiamoci subito che essere uomini di comunione voglia dire essere bravi a organizzare incontri, a creare organismi dove le persone sono viste, magari inconsciamente, come dei “pezzi” da mettere insieme: la comunione ha bisogno di un’aura che viene da più lontano, da Cristo e si estrinseca con gli sguardi, le mani, i gesti, l’infinitamente feconda benignità e umanità di Dio.

Ci vuole tanta “compassione”, cioè la capacità di essere aperti, sempre e comunque, agli altri. Dobbiamo fare della compassione l’elemento di fondo della vita, essere aperti agli altri, mettere al centro la vita comunitaria, lasciare che la preghiera sia il respiro della tua vita, tutto ciò richiede la disponibilità ad abbattere gli innumerevoli muri che abbiamo eretto tra noi e gli altri per mantenere il nostro isolamento sicuro. È una battaglia spirituale assai lunga e ardua, perché abbattendo i muri con una mano ne costruiamo di nuovi con l’altra.

Forse, uno dei simboli più significativi della comunità, scuola e sorgente di comunione, è il mosaico: la comunità è come un grande mosaico. Ogni tassello sembra così insignificante. Quando tutte queste pietruzze vengono messe insieme in un grande mosaico che rappresenta il volto di Cristo, chi metterebbe in questione l’importanza di ciascuna di esse?

In questo senso, è significativo il nostro modo di fare comunione con i poveri, che sono l’espressione primaria della presenza di Cristo: essi sono il centro della Chiesa. Ma chi sono i poveri? La prima risposta è che si tratta di persone che non sono come noi: persone che vivono nelle baracche, che mangiano nelle mense della Caritas, che dormono in strada, persone recluse in prigione negli ospedali psichiatrici, eccetera. Questo è tutto vero, però tanti poveri possono esserci molto vicini, addirittura nelle nostre famiglie, nelle

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chiese o nei luoghi di lavoro. Poveri sono pure e soprattutto i peccatori, perché “poveri di Dio”.

È proprio quando vediamo e sperimentiamo la povertà - sia essa lontana, vicina o nel nostro stesso cuore - che abbiamo bisogno di diventare Chiesa, vale a dire di tenerci per mano come fratelli e sorelle, di confessare le nostre lacerazioni e i nostri bisogni, di perdonarci a vicenda, di guarire le ferite gli uni degli altri e di radunarci attorno alla mensa di Gesù per spezzare il pane. In tal modo, come poveri, noi riconosciamo Gesù, che si è fatto povero per noi.

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CONCLUSIONE

Sant’Agostino era affascinato dal dialogo tra Gesù e la Samaritana e ne fece

un commento memorabile soffermandosi sulla sete di Gesù97. Il tema della sete attraversa tutto il Vangelo di Giovanni: dall’incontro con

la Samaritana, alla grande profezia durante la festa delle Capanne (Gv 7,37-38), fino alla Croce, quando Gesù, prima di morire, disse per adempiere la Scrittura: «Ho sete» (Gv 19,28).

La sete di Cristo è una porta di accesso al mistero di Dio, che si è fatto assetato per dissetarci, così come si è fatto povero per arricchirci (cfr 2 Cor 8,9).

Dio ha sete della nostra fede e del nostro amore. Come un padre buono e misericordioso desidera per noi tutto il bene possibile e questo bene è Egli stesso.

La donna di Samaria, invece, è metafora dell’insoddisfazione esistenziale di chi non ha ancora trovato ciò che cerca: ha avuto “cinque mariti” ed ora convive con un altro uomo; il suo andare e venire dal pozzo per prendere acqua è metafora di un vivere ripetitivo, rassegnato, spento.

Per sua fortuna, tutto cambiò quel giorno, grazie al colloquio con il Signore Gesù, che la sconvolse a tal punto da indurla a lasciare la brocca dell’acqua e a correre per dire alla gente del villaggio: «Venite a vedere un uomo che mi ha detto tutto quello che ho fatto. Che sia forse il Messia?» (Gv 4,28-29).

Anche per noi tutti, miei carissimi figli e fratelli, in un contesto come il nostro, ha ancora senso l’annuncio cristiano: essere pietre angolari capaci di reggere la costruzione, essere assetati di comunione e di amore. Mi piace trascrivere una parte della relazione di Mons. Ravasi al recente convegno diocesano: «È forse sorprendente, ma è ancora oggi la Bibbia a indicarci meglio le tre tipologie di non credenza che attualmente possiamo classificare a livello culturale. L’ateismo rigoroso sopra descritto è da ricercare nell’idolatria che genera pagine veementi nelle Scritture. È la tentazione di sostituire se stessi o un dato storico immanente alla trascendenza divina: pensiamo al materialismo dialettico marxista, ma anche allo Spirito immanente all’essere e alla storia nella concezione idealistica hegeliana o all’umanesimo ateo che pone l’uomo come misura e senso esclusivo di tutto l’essere e l’esistere. San Paolo nel primo capitolo della Lettera ai Romani vede nella sostituzione della verità divina con un sistema a propria immagine e interesse la sorgente della degradazione morale.

C’è, però, un secondo modello biblico da considerare: è l’incredulità di Israele nel deserto, è quella dello “stolto” che grida: «Non c’è Dio» (Sal 14, 1; 53, 2), o quella dei giudei che “mormorano” contro Gesù, e persino degli stessi discepoli che 97 S. AGOSTINO, In Io. Ev. tr. 15, 6.10-17.

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rigettano il paradosso della croce e della risurrezione, («Non essere incredulo!», dice il Risorto a Tommaso). Non è la negazione teorica e programmatica di Dio quanto l’affermazione della sua distanza o irrilevanza nella storia. Sotto questo schema potremmo rubricare la vera forma dominante di non credenza, la cosiddetta indifferenza religiosa. La figura di Dio non deve interferire nelle vicende umane, non dev’essere principio di scelte esistenziali, deve rimanere nel limbo della sua remota trascendenza. Dio non lo si combatte, ma lo si ignora perché considerato una realtà inattuale e, comunque, disturbante. Come scriveva ironicamente il filosofo canadese Charles Taylor nel suo saggio sulla Secular Age (2007) contemporanea: se Dio dovesse entrare nella nostra società, al massimo gli si chiederebbero i documenti.

È paradossale, ma a questa particolare tipologia di “incredulità” dev’essere associata anche una certa forma di religiosità contemporanea, fluida e sottile, che produce surrogati spirituali e cocktail religiosi che fondono sincretisticamente spezie di fedi diverse, miscele di esperienze somatico-mistiche, messaggio e massaggio, yoga e yogurt, fitness dell’anima e dei corpi, emozioni panteistiche ed elevazioni intimistiche. Forse il modello più espressivo è quello della “New Age”, divenuta poi “Next Age”, un percorso che evita ogni discorso serio e severo, un itinerario consolatorio che esclude l’inquietudine agostiniana della ricerca (“finché si è inquieti, si può stare tranquilli”, ammoniva lo scrittore cattolico francese Julien Green), un’esaltazione della spiritualità eterea che ignora il peso del peccato e le insorgenze del reale drammatico e del tragico della storia.

La terza tipologia biblica è quella dell’assenza misteriosa di Dio, Essa, però, fa parte della stessa esperienza di fede e ruota attorno alla domanda che sale verso l’alto di fronte allo sconcerto degli scandali del male, del dolore, della morte: «Dov’è Dio?». Questo interrogativo rivolto al Dio muto e apparentemente assente scandisce l’intero itinerario di Giobbe, che è in verità un vero credente anche quando le sue parole acquistano iridescenze blasfeme e quando ripete: «Io grido a te e tu non rispondi!». È la situazione di Qohelet che si sente coinvolto e avvolto dal non-senso (habel, “vuoto, vanità”) della storia e dell’essere e si trova di fronte a un cielo muto e a un Dio taciturno. È, allora, necessario – quando si affronta il fenomeno dell’ateismo – operare una serie di distinzioni, ricordando che il confronto anche culturalmente più arduo non è tanto con l’idolatria-ateismo autentico, che è vissuto con sincerità come una vera visione della vita, quanto piuttosto con l’indifferenza-incredulità, realtà sfuggente e ambigua.

Essa è simile a una nebbia difficile da diradare, non conosce ansietà e domande, si nutre di stereotipi e di banalità, si accontenta di vivere in superficie, sfiorando i problemi fondamentali, secondo l’ormai notissima immagine del Diario di Soeren Kierkegaard: «La nave è in mano al cuoco di bordo e ciò che trasmette il megafono del comandante non è più la rotta, ma ciò che mangeremo domani». I mezzi di comunicazione di massa, infatti, ci insegnano tutto sulle mode e i modi di

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vivere, ma ignorano il significato ultimo dell’esistere, l’inquietudine della ricerca interiore, le interrogazioni radicali sull’“oltre” e sull’“altro” rispetto a noi e al nostro orizzonte. Un conto è avere a che fare con la notte dello spirito dell’ateo o del credente (come Giovanni della Croce o Meister Eckhart o Angelo Silesio) e un conto è avere a che fare con quella che già il filosofo Martin Heidegger, nei Sentieri interrotti, chiamava «il tempo della notte del mondo, ossia il tempo della povertà del mondo, quella di non riconoscere più la mancanza di Dio come mancanza». Ed è purtroppo questa la dominante della non credenza nell’attuale mondo secolarizzato.

Quale strategia sia da adottare di fronte a una simile temperie culturale “grigia” è piuttosto difficile da programmare. Certo è che le Chiese non devono rassegnarsi a inseguire questa deriva, scegliendo la strada dell’adattamento, riducendo la religiosità a una spiritualità debole e inoffensiva, che si accontenti del minimo, sia pure con la continua consapevolezza che non si deve spegnere la fiammella vacillante. È, invece, da calibrare innanzitutto un linguaggio che sia percepibile a queste orecchie ostruite dai rumori di fondo della società, dal brusio informatico, dalla distrazione superficiale. Un linguaggio che sappia anche ricorrere alle categorie “deboli” di questa cultura, ma ne induca altre “forti”, quasi come una spina nel fianco, una provocazione nella mente.

Fuor di metafora, è necessario procedere verso la proposta di alcuni contenuti radicali che riescano ad artigliare la coscienza intorpidita, anche se per un istante, aprendole una ferita»98.

Questa, dunque, la sfida che ci aspetta, ma non dobbiamo temere, come ci ricorda il Servo di Dio Giovanni Paolo II: «Non abbiate paura! Cristo sa “cosa è dentro l’uomo”. Solo lui lo sa! Oggi così spesso l’uomo non sa cosa si porta dentro, nel profondo del suo animo, del suo cuore. Così spesso è incerto del senso della sua vita su questa terra. È invaso dal dubbio che si tramuta in disperazione. Permettete, quindi – vi prego, vi imploro con umiltà e con fiducia – permettete a Cristo di parlare all’uomo. Solo lui ha parole di vita, di vita eterna»99.

Già intorno agli anni Cinquanta del secolo appena trascorso, dopo la fine della seconda Guerra mondiale e dopo il crollo di regimi che avevano imposto la barbarie razzista, era stato affermato che l’identità europea avrebbe ritrovato se stessa guardando a Cristo, liberatore del cuore dell’uomo100.

Allo stesso modo oggi, dopo la caduta dell’ideologia marxista e dei regimi che avevano tentato di realizzarla nell’Europa centrorientale e di fronte all’insorgere

98 G. RAVASI, Custodisci il buon deposito. Tradizione e sfide culturali, Conferenza tenuta al Convegno teologico-pastorale della Diocesi di Cassano All’Ionio, 27 settembre 2008 in corso di pubblicazione. 99 GIOVANNI PAOLO II, Omelia per l’inizio del ministero petrino, 22 ottobre 1978, cit. da Osservatore Romano del 23.10.1978. 100 R. GUARDINI, Natura, cultura, cristianesimo. Saggi filosofici. trad. ital., Brescia 1953, 295.

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di movimenti neofascisti e neonazisti e di schieramenti terroristici, è necessario ritornare a riproporre con impegno critico e sapienza spirituale il Vangelo di Cristo!

Mi piace concludere la mia Lettera con questa bellissima preghiera: C’è anche nella mia vita, Signore, un pozzo come a Sicar, un pozzo a cui devo recarmi, di tanto in tanto, con la corda ed il secchio, per attingere un po’ d’acqua. È una strada che affronto ogni giorno, a prezzo di fatica e di sudore, per assicurarmi qualcosa di necessario. È la strada del mio lavoro e del mio impegno, delle mie qualità e delle mie risorse, una strada che devo ripetere spesso perché l’acqua che bevo non mi basta per molto. Poi torno a sentire un’arsura che mi divora il corpo e l’anima. Tu, Gesù, mi parli di un’acqua che zampilla per sempre, tu mi offri un’acqua fresca, che soddisfa ogni sete, tu dici di poter strapparmi una volta per tutte al bisogno di andare e di venire continuamente a questo pozzo che mi offre solo un’acqua morta. Tu, Gesù, un poco alla volta, parlandomi, fai uscire tutta la mia vita, con il suo carico di luce e di ombra, con le sue ferite e le certezze. Nessuno mi ha mai parlato come te. Nessuno riesce a scandagliare questo mio cuore come ora stai facendo tu, nessuno ha mai risvegliato in me un desiderio così intenso di una vita nuova, diversa, libera. Così un poco alla volta io mi accorgo che tu non sei come tutti gli altri, quello che fai per me, quello che dici è così grande e bello che può venire unicamente da Dio. Anche nella mia vita, Signore, c’è un pozzo come a Sicar, ma solo tu puoi donarmi un’acqua viva,

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che zampilla per sempre dentro di me101.

Che quest’acqua che è Cristo, Verità, Via e Vita, zampilli abbondante nel cuore di ciascuno di voi!

E la Benedizione del Signore scenda su di voi e con voi rimanga sempre!

+Vincenzo Vescovo

101 ROBERTO LAURITA, Servizio della Parola 335 (2002), 101.

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APPENDICE IL CRISTO CONTESTATO

«Chi dice la gente che io sia?» (Mc 8,27), domandò un giorno Gesù ai suoi

discepoli. Le loro risposte stanno a dimostrare come si possa indicare e descrivere Gesù. Da allora le curiosità su di Lui si sono moltiplicate esponenzialmente, sia all’interno che all’esterno del cristianesimo.

«Gesù è un personaggio singolare e affascinante. Magnanimo e umile. Forte e mite. Totalmente libero e totalmente a servizio. Vicino al Dio santo e vicino all’uomo peccatore. Di viva intelligenza e squisita sensibilità. Elevato nel pensiero e semplice nell’esprimersi. Contemplativo e impegnato nell’azione. (…) Aperto all’amicizia e ai valori della vita e pronto ad accettare la solitudine e la morte. So-prattutto singolare, incomparabile nell’autorità e nel dono di sé. (…) Già al suo tempo la gente, presa dallo stupore, si domandava: da dove gli viene questa autorità, questa potenza nell’operare e questa sapienza nel parlare? qual è la vera identità di quest’uomo? I discepoli stessi non finivano di meravigliarsi e si dicevano tra loro: “Chi è dunque costui?” (Mc 4, 41)»102.

Questa lunga citazione mi è stata molto utile per non dimenticare un efficace strumento di catechesi su Gesù Cristo, cioè La Verità vi farà liberi, pubblicato dopo la Pasqua del 1995 quale definitivo Catechismo degli Adulti per le Chiese in Italia. Al mistero di Cristo sono dedicate circa 140 pagine, che si leggono tutte di un fiato, da proporre allo studio ed alla conoscenza dei sacerdoti e del popolo.

Nella nostra società, che rifugge da ogni dichiarazione di convinzione riguardante Dio, ma allo stesso tempo ideologizza le opinioni riguardanti la caducità e la fugacità delle cose, la professione di fede in Cristo richiede coraggio civile e fermezza interiore. Proprio perché vi sono questi nodi da sciogliere, ho maturato l’opinione che per poterci avvicinare a Gesù in modo corretto, integro e realistico, sia utile e prezioso il Documento CEI anche per questa lettera pastorale.

I. Strabismo religioso

Il primo dei nodi da sciogliere è quel fenomeno che può definirsi come lo

“strabismo religioso” di coloro che conoscono superficialmente e poco Gesù e sono esposti ad altri messaggi fuorvianti su di Lui, col risultato di dar vita, nel proprio pensiero, ad una figura confusa, che va a sostituirsi a quella chiara e semplice proposta dalla fede cattolica.

102 CONFERENZA EPISCOPALE ITALIANA, “La Verità vi farà liberi” Catechismo degli Adulti, LEV, Roma 1995, 119-120.

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Si pensi al libro di Augias e Pesce, Inchiesta su Gesù. Chi era l’uomo che ha cambiato il mondo103, nel quale gli autori rifiutano il Personaggio della Scrittura e della Tradizione, perché basato esclusivamente su pochi dati, ritenuti scarsi ed inconsistenti, riportati dai testi evangelici, ed ai quali sostituiscono ipotesi (queste sì fantasiose!) quale quella per cui Gesù era un rabbino che, animato dalla sete di conoscenza, aveva girato il medio ed estremo Oriente per una dozzina d’anni per poi rientrare in Palestina a svolgere una funzione sociale.

A questo filone va ricondotto anche il “Gesù gnostico”, di E. Pagels, che divulga scoperte “sensazionali”...104

Viviamo insomma in pieno opinionismo transculturale, e non sempre ne abbiamo contezza. L’espansione dei mass media, televisione ed internet in testa, incrementa il sapere in ogni ambito, anche religioso, per via dell’assunzione di prestiti e recensioni varie dalle diverse tradizioni, in una sorta di sincretismo in cui l’uomo postmoderno appare più tollerante verso credenze panteistiche, tecniche psicologiche, pratiche esoteriche e religioni monoteistiche che, insieme, formano una gratificante miscela in cui Buddha, Confucio, Visnù, Gesù Cristo, Maometto possono essere invocati come dèi del nuovo Pantheon!105

Il bisogno di Dio e la necessità di dare senso alla vita fanno da collante dei cocci raccolti, che ognuno organizza come crede. In tal modo, si sfugge all’assolutezza del Cristianesimo in quanto religione della rivelazione storica del Dio vivente.

Sperimentiamo quotidianamente la difficoltà di presentare il messaggio cristiano in un contesto culturale attraversato dal crescente divario tra annuncio di verità eterne e strapotere mediatico della comunicazione massiva e manipolata. Tutto è ridotto a messaggio breve ma imperioso, subliminale, angosciante e ricattatorio. Quale la conseguenza? Che l’annuncio evangelico, oggi, o si traduce in immagine o si rende incomunicabile e quindi si autoannulla. Si ignora la luminosa certezza di Dio che si incarna nella natura umana, parla una nostra lingua e ci dona se stesso nell’Eucaristia. L’uomo si crea un dio su misura, cioè un idolo. E attorno vi tesse le trame dei suoi desideri: la solitudine viene vinta attraverso la comunicazione 103 AUGIAS-PESCE ,inchiesta su Gesù. Chi era l’uomo che ha cambiato il mondo, Mondadori,2007.Ed al successivo, in vendita da Ottobre 2008, “Storia del cristianesimo”, Mondadori,2008. 104 divulga scoperte sensazionali subito smentite, supposizione di complotti per nascondere la verità di Gesù che risulterebbe dai documenti di Qumran o di Nag Hammadi, mentre, al contrario, questi testi “gettano una luce nuova sul giudaismo del primo secolo scoprendo un mondo fino ad allora in gran parte ignoto, e in questo senso ha di riflesso illuminato meglio anche alcuni passi evangelici, permettendo di tracciare con maggiore l’ambiente giudaico nel quale si è svolta gran parte della predicazione e dell’azione di Gesù. E. Castellucci, Il “Gesù storico” e il “Cristo della fede”. Presentazione del volume di J. Ratzinger ( Benedetto XVI) “Gesù di Nazaret”, in Orientamenti Pastorali, EDB, Bologna 10/2007, 11. 105 Sfogliando il libro di quasi duemila anni di storia del cristianesimo, incontriamo una quantità innumerevole di risposte personali, nuove e sconvolgenti. Talvolta si è notato che la figura di Buddha, illustrata da migliaia di immagini e statue, conserva una fissità statica, ha sempre i medesimi tratti, mentre una sconcertante diversità segna gli sforzi di tracciare il Volto di Cristo. Michelangelo e Dalì, il pittore d’una icona e l’architetto di una cattedrale medievale, sembrano non aver nulla in comune quando tentano di rendere visibile il Volto del Verbo incarnato.

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planetaria, lo spettro della morte esorcizzato con l’idea della reincarnazione. Attraverso ripetuti tentativi, l’uomo sfocia nell’oceano cosmico!

Si tratta di religiosità vaga e confusa, che si connette in mille modi con pratiche superstiziose, decisamente da condannare. Questa lettera pastorale si prefigge di ribadire e rimotivare la unicità di Gesù Cristo in ordine alla salvezza: «Gesù è la pietra che, scartata da voi, costruttori, è diventata testata d’angolo. In nessun altro c’è salvezza; non vi è infatti altro nome dato agli uomini sotto il cielo nel quale è stabilito che possiamo essere salvati» (At 4, 11-12).

La centralità di Cristo come volto da contemplare pone in primo piano una cristologia della contemplazione che è sia svelamento della figura trinitaria di Dio, il Dio dell’Amore assoluto, tripersonale; sia principio di una pedagogia pastorale da attuare con semplicità e immediatezza. La missione della Chiesa trova la sua ragion d’essere e il suo dinamismo in una sequela coerente e partecipativa del modo con cui Dio, in Cristo, sceglie di farsi parte della storia per un progetto di salvezza che riguarda ogni uomo. Se guarderemo a Lui troveremo il tutto, perché Egli è la nostra locuzione e risposta, ogni nostra visione e rivelazione.

Il grande vescovo di Aquisgrana, K. Hemmerle, prematuramente scomparso, sosteneva che «nella definitività della Rivelazione divina della salvezza in Gesù, tutto diventa lo spazio santo unico e comprensivo (cfr. per esempio At 10 e 17; 1 Cor 3,22;10,26) e al tempo stesso viene disincantato, messo a disposizione degli uomini in quanto sono essi i veramente santificati. Sacralità e profanità del mondo sotto il profilo cristiano diventano la stessa cosa»106.

In Gesù di Nazaret Dio ha parlato in modo definitivo all’uomo: «Dio, che aveva già parlato nei tempi antichi molte volte e in diversi modi per mezzo dei profeti, ultimamente, ha parlato a noi per mezzo del Figlio, che ha costituito erede di tutte le cose e per mezzo del quale ha fatto anche il mondo» (Eb 1, 1-2).

In Cristo, Dio raggiunge l’uomo e gli offre la salvezza, cioè la vita eterna, che si consegue mediante la sequela di Lui nell’esodo sino al Padre: «Io sono la via, la verità e la vita. Nessuno viene al Padre se non per mezzo di me» (Gv 13, 6). E’ una proposta chiara e forte: «Io sono la risurrezione e la vita; chi crede in me, anche se muore, vivrà; chiunque vive e crede in me,

106 Cit. da C. DOTOLO, Un cristianesimo possibile. Tra postmodernità e ricerca teologica, Queriniana, Brescia 2007, 199.

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non morrà in eterno!» (Gv 11, 25-26). «Credi tu?» (Gv 11, 26). A questa proposta va data risposta.

II. Facili sicurezze

Il secondo nodo è la presunzione di avere la salvezza in tasca. Forse

abbiamo dato l’impressione che determinate pratiche religiose abbiano un esito infallibile. Ne deriva un impegno ansioso per “fare” le scelte pratiche, cui segue uno stato di rilassamento penoso e pericoloso.

Molti “fedeli” vivono questa religiosità blasfema e intrisa di devozioni senza spessore e senza fede. La fede è un dono di Dio, credere è un privilegio: «Beati gli occhi che vedono ciò che voi vedete. Vi dico che molti profeti e re hanno desiderato di vedere ciò che voi vedete, ma non lo videro, e udire ciò che voi udite, ma non l’udirono» (Lc 10, 24).

Questa valutazione non implica condanna verso i non credenti, soprattutto se in stato di ricerca. Nei loro riguardi deve nutrirsi una sana trepidazione per stimolare in essi il desiderio della verità come segno del lavorio della grazia nel loro cuore, perché «Dio vuole che tutti gli uomini siano salvi!» (1 Tm 2, 4).

La fede, del resto, difficile da praticarsi perché tenuta a passare per lo scandalo della croce (cfr Mt 16, 21-23 e paralleli), è l’incontro dell’umano andare e del divino venire. Essa non è riposo tranquillo, ma lotta come per Giacobbe al guado dello Jabbok (Gen 32, 23-33), perché Dio si rivela come l’Altro, irriducibile alla misura umana. Sant’Agostino ammoniva: «Nessuno pretenda di avere già scoperta la Verità. Cerchiamola invece come qualcosa che non si conosce ancora. Soltanto se non pretendiamo di averla già scoperta, possiamo cercarla con amore e sincerità!».

In sintesi, si può affermare che la fede è sempre risposta ad un gesto previo di Dio, che consente il salto oltre i fenomeni e gli avvenimenti e che, con un atto di filiazione, costituisce nel credente la struttura adeguata che fa sì che l’amore-agape venga ad esistenza e si conservi. La fede è anche sorpresa, nel senso che l’uomo non ha alcuna possibilità di divinizzare il tempo: solo all’Eterno è consentito entrare nel tempo e renderlo un’occasione favorevole, ovvero un kairòs che può schiudere l’opportunità di dilatare ogni istante fino all’eternità. Infine, l’abbandono di Gesù nel fare fino in fondo la volontà del Padre in tutta la sua drammaticità, è il momento culminante, il più intenso e, nello stesso tempo, rivelativo del suo atteggiamento di fede. In altri termini, «Gesù abbandonato è la fede»107.

Cercare è, dunque, l’operazione che accomuna tutti gli uomini di buona volontà. Il fedele non deve ritenersi come uno che ha scavato e trovato nella sua terra una falda freatica dalla quale pompare acqua per l’orto, né uno che, avendo costruito il pozzo, instaura con i vicini un rapporto di potere, pretendendo che essi paghino per 107 P. CODA-C. HENNECHE, La Fede, Città Nuova, Roma 2000, 17.

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la “sua” acqua. Rispetto alla fede, dobbiamo sentirci destinatari di un bene che dobbiamo dividere con gli altri in “perfetta letizia”.

III. Ricerca stanca

Il terzo nodo da sciogliere preliminarmente è la nostra stanchezza

concettuale. E’ un’esigenza che può toccare tutti i sacerdoti, sia gli anziani che i giovani. A quelli preconciliari fu fatta studiare una cristologia speculativa e discendente, schematizzata attorno all’”unione ipostatica” con i conseguenti corollari, una cristologia che dona ragione della fede nel Figlio venuto a redimerci, ma sorvola tout court sullo spessore concreto del mistero di Gesù, che pure è una fonte che alimenta la nostra passione per Lui. Ai più giovani, invece, è stata data una formazione atta a ricercare i dati biblici in modo più scientifico e vasto. Ciò nonostante, anche essi dovranno prestare attenzione a non lasciar sbiadire questo patrimonio di approcci moderni a Gesù, ripensandolo in chiave orante nelle pause del ministero, perché la preghiera trasforma l’orizzonte culturale in forza volitiva, necessaria per investire nella storia la nostra fede in Lui.

Quanto alla formazione dei futuri presbiteri, nel contesto della Chiesa italiana che sta celebrando un progetto culturale orientato in senso cristiano, forse sarà utile avere a mente le parole del Servo di Dio Giovanni Paolo II: «La formazione intellettuale dei candidati al sacerdozio trova la sua specifica giustificazione nella natura stessa del ministero ordinato e manifesta la sua urgenza attuale di fronte alla sfida della nuova evangelizzazione alla quale il Signore chiama la Chiesa alle soglie del terzo millennio. “Se già ogni cristiano - scrivono i Padri sinodali - deve essere pronto a difendere la fede e a rendere ragione della speranza che vive in noi, molto di più i candidati al sacerdozio e i presbiteri devono avere diligente cura del valore della formazione intellettuale nell’educazione e nell’attività pastorale, dal momento che per la salvezza dei fratelli e delle sorelle devono cercare una più profonda conoscenza dei misteri divini”. La situazione attuale poi, pesantemente segnata dall’indifferenza religiosa e insieme da una sfiducia diffusa nei riguardi della reale capacità della ragione di raggiungere la verità oggettiva e universale, e da problemi e interrogativi inediti provocati dalle scoperte scientifiche e tecnologiche, esige con forza un livello eccellente di formazione intellettuale, tale cioè da rendere i sacerdoti capaci di annunciare, proprio in un simile contesto, l’immutabile Vangelo di Cristo e di renderlo credibile di fronte alle legittime esigenze della ragione umana. Si aggiunga, inoltre, che l’attuale fenomeno del pluralismo quanto mai accentuato, nell’ambito non solo della società umana ma anche della stessa comunità ecclesiale,

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chiede una particolare attitudine al discernimento critico: è un ulteriore motivo che dimostra la necessità di una formazione intellettuale quanto mai seria»108.

IV. La questione del Gesù storico

L’espressione “Gesù è il Signore” rappresenta la più sintetica e antica

professione di fede cristiana. In essa vengono congiunti due nomi: il primo si riferisce alla figura storica del profeta Gesù di Nazaret, vissuto in Palestina venti secoli fa; il secondo appartiene alla sfera della fede ed attiene a Colui che il Padre ha glorificato e che il credente considera Salvatore universale.

Nella luce dell’esperienza pasquale, veicolata nelle formule di fede e nei racconti delle apparizioni, si rilegge all’indietro e in avanti, retrospettivamente e in modo prolettico, la storia del Nazareno, d’Israele, della Chiesa e del mondo. Si pone preliminarmente il problema del rapporto fra l’esperienza pasquale e il passato di Gesù: in che relazione sono i due momenti espressi nella formula “Gesù è il Signore”, e cioè la storia dell’Umiliato e la condizione del Resuscitato da Dio? Il Cristo della fede pasquale è in continuità o in discontinuità col Gesù della storia?

Se la verità di esistenza della fede si fonda sulla verità di fatto delle cose che vanno credute, si capisce come questo interrogativo investa il fondamento stesso della fede cristiana: è il problema critico di essa109. La fede cristiana è legata alla storia in quanto professa che l’autorivelazione di Dio è avvenuta in un modo speciale, attraverso una serie di eventi storici particolari e grazie ad un gruppo di persone particolari: i profeti, gli apostoli e, soprattutto, la persona di Gesù e gli avvenimenti nei quali egli fu coinvolto. Difatti, il tema più discusso nell’approccio alla persona di Gesù di Nazaret è l’opportunità di accostarsi alla penetrazione della sua figura e del suo mistero attraverso quella movenza ondeggiante che va dalla storia alla fede e viceversa.

Gesù Cristo è un’entità d’importanza storica mondiale. Gesù visse in Palestina tra il 7 a.C. e il 30 d.C. La sua comparsa segna l’inizio di una storia effettuale che ha trasformato radicalmente il mondo dal punto di vista non solo religioso, ma morale e sociale. Questa storia ha esercitato grandissima influenza sui cristiani, sulle chiese e sulle loro comunità fino al presente. Ma la sfera d’influenza di Gesù si dilata anche al di fuori del cristianesimo ufficiale, coinvolgendo l’intera civiltà occidentale e mondiale.

Gesù di Nazaret e la sua opera sono, quindi, in senso storico-universale, immediatamente presenti anche ai nostri giorni. Il problema storico, che ha per oggetto ciò che noi possiamo conoscere della sua vita, apparizione, predicazione e 108 GIOVANNI PAOLO II, Esortazione apostolica postsinodale Pastores dabo vobis, n. 51, ( 25.03.1992), EV,13/1412. 109 B. FORTE, Gesù di Nazaret, storia di Dio, Dio della storia. Saggio di una cristologia come storia, San Paolo, Cinisello Balsamo (Mi), 1981, 103-104.

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morte, ci interessa direttamente, perché ha delle ripercussioni anche sul cristianesimo contemporaneo, sulle chiese attuali e sulla cultura direttamente o indirettamente condizionata dal cristianesimo. Se così non fosse, la maggioranza degli uomini mostrerebbe per Gesù l’interesse - notevole o scarso a seconda dei casi – riservato a Socrate, Buddha o Lao tse110.

Non desta stupore, allora, come attorno a questa istanza si sia raccolta entusiasticamente la riflessione cristiana degli ultimi due secoli. Si possono indicare tre tappe, cronologicamente susseguenti, che sono anche tre tipi di risposta111, di questa ricerca.

V. Le varie tappe della ricerca

Nel tentativo di ricostruire le varie tappe della ricerca, inizierò dagli albori

dell’era cristiana. Durante la prima evoluzione della fede cristiana, il fenomeno più rilevante

di opposizione al Cristianesimo sul piano culturale fu il succedersi incalzante di movimenti ereticali. La parola “eresia” richiama un’operazione di selezione per cui un gruppo di credenti, spinto da particolari circostanze e ispirato da peculiari concezioni filosofiche, sceglie una parte del messaggio, facendone l’elemento più importante della fede.

È naturale che nei primi secoli gli attacchi fossero rivolti sia alla figura del Cristo con il mistero della sua incarnazione, sia alla veridicità dei Vangeli. Ricordo, a questo proposito il Discorso veritiero di Celso (scritto tra il 170 e il 180 d.C.) ed i quindici libri di Contro i cristiani, di Porfirio (270 d.C.), che rappresentano un’ampia raccolta di obiezioni, di difficoltà e di accuse contro l’opera e la dottrina di Cristo, presentato come un uomo arrogante, empio, bugiardo e millantatore, un mago che spacciava per straordinarie cose le guarigioni che, invece, erano solo frutto di astuzia o di tecniche apprese solo con lo studio e l’esperienza.

I Vangeli subirono lo stesso attacco contro Cristo: fu negato loro qualsiasi valore di veridicità e di attendibilità storica e, quindi liquidabili.

Sia le eresie, sia le altre accuse furono combattute e sconfitte dagli scrittori ecclesiastici dei primi secoli del cristianesimo. Nella difesa e nell’approfondimento della fede essi fecero prevalere la novità e l’originalità del “kérygma” neotestamentario sulla visione filosofico-religiosa della cultura del tempo, la quale, pur diventando strumento espressivo del cristianesimo, subì un vero e proprio processo di purificazione o, per meglio dire, di de-ellenizzazione, e di conversione.

110 Cf. W. KASPER, Gesù il Cristo, Queriniana, Brescia, 1996, 25. 111 Cf. R. LATOURELLE, A Gesù attraverso i Vangeli, Cittadella, Assisi, 1979, 15-46, 133-270.

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Nei secoli successivi, di fondamentale importanza per la tutela dell’ortodossia fu l’opera delle prime assise ecumeniche contro coloro che mettevano in discussione le verità che la Tradizione della Chiesa aveva riconosciuto a Gesù Cristo: Figlio dell’Uomo, Verbo, Salvatore, Messia. Il Concilio di Nicea (325) proclamò contro Ario che il Verbo è consustanziale al Padre; i Concili di Costantinopoli e di Aquileia, (381) e quello di Efeso (431) ribadirono, contro Nestorio, l’unicità della persona di Cristo e del Verbo; il Concilio di Calcedonia (451) condannò il monofisismo del monaco Eutiche.

A questi primi attacchi contro il cristianesimo seguì un lungo periodo di quiete, per tutto il Medioevo ed il Rinascimento, fino al secolo XVIII, detto “dei Lumi”.

L’indagine moderna sul Gesù storico si può dire inizi nel 1778, con la pubblicazione postuma di parti degli scritti di Hermann Reimarus (1694-1768), che parlano di Gesù come un sedicente rivoluzionario politico fallito miseramente. I suoi discepoli ne trafugarono il cadavere e, inventata la storia della risurrezione, costituirono una nuova Chiesa: la cristiana. Questa teoria sollevò una prevedibile valanga di critiche che la sommersero, almeno per un po’!112

Tuttavia, Reimarus, con la sua tesi «stolta e dilattentistica»113, ebbe il merito di dare il via all’indagine su Gesù e sull’attendibilità storica delle fonti cristiane, con una notevole eco negli ambienti protestanti mitteleuropei, fino a sfiorare il cattolicesimo con il modernismo114. Dall’indagine sulla vita di Gesù nacquero infiniti ritratti del Messia, tutti offuscati dal pregiudizio e dall’antidogmatismo prettamente illuministi e razionalisti. Il risultato fu che ogni epoca, ogni teologia, ogni autore ritrovava nella personalità di Gesù il proprio ideale. Tra le opere più note di questo periodo, la Vita di Gesù di Georg W. F. Hegel (1795) e quelle, con titolo analogo, di David F. Strauss (1835) e di Ernest Renan (1863).

Altri ricercatori accettarono solo il Cristo della fede, annunciato e proclamato dai Vangeli, non curandosi dello spaccato storico di Gesù, asserendo che i testi evangelici non permettevano da soli di arrivare a Cristo in chiave storica.

In questo contesto, autore di spicco fu R. Bultmann (1884-1976), il quale sostenne che il Gesù presentato dai Vangeli sarebbe stato un Gesù nato e morto, ma del quale, dal punto di vista storico, sarebbe stato impossibile dire di più. «Io sono indubbiamente del parere - scriveva - che noi non possiamo sapere più nulla della vita e della personalità di Gesù, poiché le fonti cristiane non si sono interessate al riguardo se non in modo molto frammentario e con taglio leggendario»115. Ed 112 Cf. G. O’COLLINS, Gesù oggi. Linee fondamentali di cristologia, Edizioni Paoline, (Cinisello Balsamo), Milano, 1993, 40. 113 J. JEREMIAS, Il problema del Gesù storico, Paideia, Brescia, 1974, 12. 114 Cf., C. PORRO, La controversia cristologica nel periodo modernista (1902-1910), La Scuola Cattolica, Venegono Inferiore 1971. 115 R.BULTMANN, Jesus, Berlin, Deutsche Bibliothek, 1929; trad. ital. Gesù, Queriniana, Brescia, 1972, 103.

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inoltre: «Ciò che è avvenuto nel cuore di Gesù non lo so, né m’importa saperlo»116. Muovendo dal postulato che il Nuovo Testamento è stato scritto con una

mentalità mitico-metafisica, anziché storico-scientifica, Bultmann giunge alla conclusione che Cristo non può avere per noi alcun interesse, sotto il profilo storico, dato che nulla di quanto ci viene riferito dagli autori del Nuovo Testamento ha valore storicamente rilevante. Perciò Gesù potrebbe interessarci soltanto come portatore del kérygma, cioè dell’annuncio salvifico. «La predicazione cristiana – sottolineava ancora Bultmann - è un kérygma ossia una proclamazione che non si rivolge alla ragione speculativa, ma all’uditore preso nella sua ipseità. E così che Paolo si raccomanda ad ogni coscienza umana davanti a Dio (2 Cor 4,2). La demitizzazione vuole mettere in evidenza questa funzione della predicazione come messaggio personale: facendo ciò essa eliminerà il falso scandalo e metterà in piena luce il vero scandalo, la parola della croce»117.

In sintesi, il processo della demitizzazione nell’ottica bultmanniana intende operare la trasposizione del messaggio di Cristo in un sistema filosofico comprensibile anche dall’uomo della strada: Bultmann, sulla scia di Heidegger, riteneva che la filosofia esistenzialista fosse in grado di corrispondere a siffatto compito118.

Questa seconda ricerca è caratterizzata dall’opposizione al razionalismo liberale degli esponenti della teologia dialettica, che più che puntare sul Gesù della storia, fecero leva sul Cristo del kérygma. La premessa filosofica di tale fase è riconducibile alla teologia dialettica di Karl Barth, che intendeva opporsi al tentativo razionalistico e storicistico della teologia liberale. Per Barth, infatti, la credibilità del kérygma era tutta concentrata nella sua radicale alterità rispetto alle aspettative umane. Il divino è “totalmente Altro” rispetto all’umano.

Sono stati, però, numerosi gli studiosi che hanno riconosciuto piena valenza al dato storico, tra i quali il Jeremias, Ernst Käsemann, Günther Bornkamm, Heinz Conzelmann, inclini a rivalutare in modo sostanziale il Gesù della storia come importante per la fede, dal momento che la comunità cristiana primitiva non intendeva far sfumare nel mito la persona del suo Maestro119.

Tra i menzionati studiosi, per il contributo peculiare offerto nel ridefinire i sentieri della ricerca, mi pare opportuno citare solo il Käsemann, che osservava: «La questione del Gesù storico è, legittimamente, la questione della comunità dell’evangelo nella discontinuità dei tempi e nella variazione del kerygma. 116 IDEM, Glauben und Verstehen, I-IV, Tubingen 1933, 1952, 1960, 1965, 101, 251; tr. it. Credere e comprendere, Queriniana, Brescia 1990. 117 Idem, Jesus Christ and Mythology, New York Scribner, 1958, 205. 118 Cf. R. FISICHELLA, La rivelazione: evento e credibilità. Saggio di Teologia Fondamentale, EDB, Bologna, 1985, 210. La rivelazione: evento e credibilità. Saggio di Teologia Fondamentale, EDB, Bologna, 1985, 210. 119 Cf. A. AMATO, La questione cristologica odierna, Giornate per le questioni pastorali del Centro Sacerdotale Montalegre, in Osservatore romano dell’11-12 febbraio 2008.

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L’evangelo è legato a colui che, prima e dopo pasqua, si è rivelato ai suoi come Signore, ponendoli davanti al Dio vicino e di conseguenza nella libertà e responsabilità della fede. Per questo, alla fin fine non è possibile classificarlo né in una prospettiva storico-religiosa, né in una prospettiva psicologica o storica. Se proprio dev’essere classificato, occorre parlare nel suo caso di contingenza storica. In questo senso, il problema del Gesù storico non è un’invenzione nostra, ma è l’enigma che egli stesso ci propone»120. Nella famosa conferenza del 1953, ritenne necessario un recupero della storicità di Gesù, per tornare ad una riconciliazione tra storia e fede, dal momento che la fede richiede proprio la storicità di quanto viene creduto, altrimenti non sarebbe più fede, ma illusione, mito, leggenda.

All’inizio dell’ultimo decennio del Novecento si è delineata una nuova fase nell’ambito della ricerca storica su Gesù, denominata «Third Quest»121. La sua caratteristica più rilevante è la collocazione dei fatti e dei detti di Gesù nell’ambiente ebraico (diremmo meglio giudaico)122 in cui egli visse. Afferma ad esempio Charlesworth: «Gesù di Nazareth, in quanto uomo della storia, deve essere visto all’interno del giudaismo del suo tempo»123. Se questo è vero, in questa nuova fase, anche la criteriologia storica – con i suoi aspetti più significativi (attestazione multipla, continuità, discontinuità) – subisce una revisione critica. Si riafferma il criterio della continuità e della coerenza storica di Gesù con il suo ambiente, mentre il criterio di discontinuità viene ridimensionano sia per evitare che Gesù diventi un “estraneo” al suo ambiente, sia per non ridurre il suo mistero a quanto risulta essere esclusivo solo a lui.

Questa fase, che intende quindi recuperare alcuni elementi sostanziali del Gesù storico a partire dalla fede delle prime comunità, si avvale della ricerca esperita dal Castellucci nel riassumere in quattro posizioni fondamentali il rapporto tra il “Gesù storico” e il “Cristo della fede”: due si possono ritenere estreme, e due mo-derate. Definirei estreme le due posizioni della «storia senza dogma e dogma senza storia». Moderate, invece, quelle che sostengono «una storia aperta o almeno non chiusa al dogma e quella che prospetta un dogma innestato nella storia»124.

120 E. KÄSEMANN, Il problema del Gesù storico, in ID, Saggi esegetici, Marietti, Casale Monferrato 1985, 56-57. 121 Per quanto riguarda tutta la nuova impostazione relativa al problema del “Gesù storico” segnalo i tre volumi, editi in italiano dall’editrice Queriniana di Brescia tra gli anni 2001-2003, dell’opera colossale di JOHN P. MEIER, Un ebreo marginale – Ripensare il Gesù storico. 122 Con il termine giudaismo (che compare per la prima volta in 2Mac 2,21 in contrapposizione ad ellenismo) si suole designare la tradizione di Israele quale si configurò dopo l’esilio. Dicendo giudaismo biblico (o veterotestamentario) si intende quello testimoniato negli scritti dell’AT. Dicendo giudaismo post-biblico (o post-veterotestamentario) si intende globalmente quello attestato da una molteplice e varia schiera di testimoni, quali il NT, Filone, Giuseppe Flavio, la letteratura rabbinica e gli scritti apocrifi dell’AT. 123 J. H. CHARLESWORTH, Gesù nel giudaismo del suo tempo alla luce delle più recenti scoperte, Claudiana, Torino 1994, 11. 124 E. CASTELLUCCI, Il “Gesù storico” e il “Cristo della fede”. Presentazione del volume di J. Ratzinger ( Benedetto XVI) “Gesù di Nazaret”, in Orientamenti Pastorali, EDB, Bologna 10/2007.

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Il Gesù storico è affascinante perché è tema centrale, tanto da essere stato sempre oggetto di controversie piuttosto accese e di conflitti interpretativi. Vale a dire che dinanzi alla figura di un personaggio che corrisponde al nome di Gesù di Nazaret, detto il Cristo, si è data origine ad una serie di prospettive diversificate che hanno tentato, in qualche modo, o di sminuire il valore significativo che ha per la storia dell’uomo, o di ridurne la peculiarità125.

Dire Gesù storico non equivale a dire semplicemente Gesù o Gesù di Nazaret o Gesù della storia o, ancora, Gesù terrestre. L’aggettivo storico, dato a Gesù, è prettamente tecnico e qualificativo. Il problema del Gesù storico è quindi ciò che costituisce oggetto della critica storica; è tutto quello che, mediante una ricerca oggettiva dei dati, si può acquisire scientificamente sulla persona di Gesù di Nazaret, senza avere la pretesa che il risultato ottenuto sia esaustivo della realtà studiata: le scienze storiche non potranno mai arrivare ad un puro dato oggettivo nella descrizione di Gesù perché, oltre alla dimensione storica verificabile, si incontra in Lui la definitività dell’agire di Dio che, come ben evidenzia anche il teologo Fisichella, non è solo oggetto di scienza126.

La questione, allora, non sta tanto nel dilemma se il personaggio Gesù sia storicamente esistito, quanto piuttosto nel perché quel personaggio storico sia stato interpretato come Cristo e come si possa affermare che Egli sia Dio. Ecco il vero punctum quaestionis127. L’ideale per una possibile ma non esaustiva soluzione sarebbe l’equilibrio tra una ricerca storica ed una intelligenza teologica che evitassero sia le strettoie di uno storicismo inadeguato, sia la riduzione a un discorso mitico o simbolico.

Il lungo percorso aperto dalla storia della ricerca su Gesù porta a una conclusione: la formula primitiva “Gesù è il Signore” non è un’invenzione dei primi cristiani per architettare una frode, ma è la comprensione determinante della figura storica di Gesù, una personalità fuori dal comune. I Vangeli e gli scritti del Nuovo Testamento, quando parlano di Gesù e della novità paradossale del Regno, lasciano emergere i tratti della Sua personalità e del Suo messaggio: l’assoluta libertà; la proclamazione dell’uguaglianza tra gli uomini; l’attenzione a coloro che vivono ai margini della cultura, della società, della religione; l’annuncio di un Dio-Padre che oltrepassa qualsiasi idea di divinità statica e disinteressata del destino della storia.

In tal senso Gesù non è esauribile in una formula, né racchiudibile in uno schema interpretativo prestabilito. Ciò è evidenziato con insistenza e non senza qualche forzatura interpretativa, dagli studiosi riconducibili nell’alveo della terza

125 Cf. C. DOTOLO La questione del Gesù storico, Conferenza tenuta presso il Centro Culturale L’Areopago della Parrocchia di S. Melania l’11 marzo 2005, in corso di stampa. 126 Cf. R. FISICHELLA, La rivelazione: evento e credibilità, 202. 127 Cf. C. DOTOLO, La questione del Gesù storico,o.cit.

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ricerca128.

VI. Il Gesù della storia è il Cristo della fede Secondo il Peláez, «agli albori del XXI secolo, la figura di Gesù continua a

presentarsi per molti aspetti come un enigma che, forse, può essere decifrato solo se alla luce della storia sommiamo l’esperienza della fede, per poter confessare insieme e come i primi cristiani che “Gesù è il Cristo”, e chiamarlo “Gesù Cristo”»129, puntando sulla non contraddizione tra storia e fede. Quest’ultima, infatti, non è un mito senza fondamento storico, né un paradosso senza fondamento razionale, mentre la storia non è solo l’ambito di eventi intramondani, ma ospita anche il dialogo salvifico di Dio con l’uomo130.

Ancora Fisichella ribadisce che «quanto detto sulla storia di Gesù e sulla continuità personale tra il Gesù della storia e il Cristo della fede costituisce in rapida, sintesi quella che oggi viene chiamata cristologia fondamentale»131. Sostenendo tale tesi, R. Penna parla di «due inizi della cristologia neotestamentaria: uno è fornito dall’azione e dalla predicazione di Gesù in Galilea; l’altro dalla sua gloriosa risurrezione a Gerusalemme. In effetti il primo non si potrebbe comprendere appieno (e storicamente non fu compreso), se non sulla base della luce pasquale; il secondo poi sarebbe privo di consistenza, se colui che è proclamato risorto dal sepolcro non fosse lo stesso Gesù che parlò e operò precedentemente nella terra d’Israele. Tutta la successiva cristologia ecclesiale poggia i piedi su questo doppio fondamento, e di questa dualità si nutre e si sostanzia»132.

Germoglia così con la risurrezione, per confermarsi sempre più, la cristologia, ovvero la fede completa in Gesù come Figlio Unigenito del Padre, suo Verbo eterno, scopritore del senso della vita e della storia, nuovo Capo dell’umanità riscattata e liberata. Lorenzo Rossetti, commentando la Dominus Jesus precisa: «Soltanto nell’uomo storico Gesù Dio si è rivelato totalmente. C’è un’identità reale tra Gesù, nato da Maria, nella storia e il Figlio eterno che conosce tutto il mistero di luce e di amore del Padre. Non si può dire che altre manifestazioni siano altrettante incarnazioni del Figlio di Dio»133.

Alla fine di questo percorso viene spontaneo chiedersi quale sia l’utilità del 128 IDEM, Gesù storico e Cristo della fede: tappe di una ricerca in Ricerca maggio 2007, 19-21. 129 J. PELÁEZ, Un lungo viaggio verso il Gesù della storia, in J. J. TAMAYO-ACOSTA (ed.), 10 parole chiave su Gesù di Nazaret dalle ‘vite’ di Gesù al Gesù della ‘vita’, Cittadella Editrice, Assisi 2002, 103. 130 Cf. A. AMATO, Gesù il Signore. Saggio di cristologia, EDB, Bologna, 1988, 42. 131 FISICHELLA, La rivelazione: evento e credibilità, 229-239. 132 R. PENNA, I ritratti originali di Gesù il Cristo. Inizi e sviluppi della cristologia neotestamentaria, I. Gli inizi, San Paolo, Cinisello Balsamo (Mi) 1996, 27. 133 C. L. ROSSETTI, Il paradosso di un’umile pretesa. Riflessioni sulla dichiarazione “Dominus Iesus” e sulla sua ricezione, in L’attuale controversia sull’universalità di Gesù Cristo (a cura di Massimo Serretti) Lateran University Press, Roma 2002,181.

Page 54: ALLA RICERCA DI COLUI CHE TI CERCA...ALLA RICERCA DI COLUI CHE TI CERCA LETTERA PASTORALE PER L’ANNO PASTORALE 2008-2009 INTRODUZIONE Ai carissimi presbiteri, religiosi, religiose,

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Gesù storico per i credenti. Risposta: nessuna, se ci si interroga solo sull’oggetto diretto della fede cristiana. È invece Gesù, Cristo, crocifisso, risorto e presente oggi nella sua Chiesa, accessibile a tutti i credenti, inclusi quelli che non studieranno mai teologia! Però, anche se la ricerca sul Gesù storico non è l’oggetto diretto e l’essenza della fede, essa deve essere parte integrante della moderna riflessione credente come condizione di possibilità. Infatti il Gesù storico è un’arma contro ogni riduzione della fede cristiana ad una ideologia fuori della storia, giacché si rifiuta di essere afferrato o rinchiuso in una sola scuola di pensiero, sia di “destra” che di “sinistra”, e spinge i teologi a procedere per nuove vie per avvicinarsi alla costante e sorprendente novità del Gesù storico, stimolo costante per il rinnovamento teologico. Si può affermare con irrefutabile certezza che tra il Gesù prepasquale ed il Cristo della gloria annunciato dalla Chiesa non esiste alcuno iato, in quanto tra le due esperienze di questa medesima persona c’è perfetta sintonia, continuità e identità, nel senso che il Gesù dell’ultima cena (eucaristia del dolore) è lo stesso, identico e medesimo Gesù della colazione postpasquale consumata sulla riva del lago di Tiberiade (eucaristia della gloria).

A rinsaldare inscindibilmente questo concetto, la Dominus Jesus riafferma gli elementi dottrinali centrali dell’identità cattolica: «Il Signore Gesù, unico salvatore, non stabilì una semplice comunità di discepoli, ma costituì la Chiesa come mistero salvifico: egli stesso è nella Chiesa e la Chiesa è in lui (cfr. Gv 15,1ss; Gal 3,28; Ef 4,15-16; At 9,5); perciò, la pienezza del mistero salvifico di Cristo appartiene anche alla Chiesa, inseparabilmente unita al suo Signore. Gesù Cristo, infatti, continua la sua presenza e la sua opera di salvezza nella Chiesa e attraverso la Chiesa (cfr. Col 1,24-27), che è suo Corpo (cfr. 1Cor 12,12-13.27; Col1,18). (…) Perciò, in connessione con l’unicità e l’universalità della mediazione salvifica di Gesù Cristo, deve essere fermamente creduta come verità di fede cattolica l’unicità della Chiesa da lui fondata. (…) I fedeli sono tenuti a professare che esiste una continuità storica – radicata nella successione apostolica – tra la comunità dei dodici e la Chiesa cattolica: «E’ questa l’unica Chiesa di Cristo (…) che il Salvatore nostro, dopo la risurrezione (cfr. Gv 21,17), diede da pascere a Pietro, affidandone a lui e agli altri apostoli la diffusione e la guida (cfr. MI: 28,18ss); egli l’ha eretta per sempre come colonna e fondamento della verità (cfr. 1Tm 3,15)»134.

Vincenzo, Vescovo

134 Cf. DOMINUS JESUS, n. 16, EV, 19/1180-1181-1182.