[agricoltura - ita] alimenti

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I TEMI DELLA NUTRIZIONE Gli alimenti A cura di Alberto Daghetta Professore Ordinario di Analisi Chimica dei Prodotti Alimentari Facoltà di Agraria. Università degli Studi di Milano Con la collaborazione di Carlo Cantoni, Giuseppe Caserio, Danilo Catelani, Ivano De Noni, Mara Lucisano, Marilena Manzini, Maria Ambrogina Pagani, Pierpaolo Resmini, Antonio Tirelli Aspetti tecnologici e nutrizionali I STITUTO D ANONE I I T T E E M M S S

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I T E M I D E L L A N U T R I Z I O N E

Gli alimenti

A cura di

Alberto DaghettaProfessore Ordinario di Analisi Chimica dei Prodotti Alimentari

Facoltà di Agraria. Università degli Studi di Milano

Con la collaborazione di

Carlo Cantoni, Giuseppe Caserio, Danilo Catelani, Ivano De Noni, Mara Lucisano, Marilena Manzini,

Maria Ambrogina Pagani, Pierpaolo Resmini, Antonio Tirelli

Aspetti tecnologici e nutrizionali

I S T I T U T O D A N O N E

II TT EE MM SS

1692/97 copertina+retro+costa 29-05-2002 11:23 Pagina 1

I S T I T U T O D A N O N EPER LA RICERCA E LA CULTURA DELLA NUTRIZIONE

M O T I V A Z I O N I E O B I E T T I V I

DD anone è una società multinazionale operante nel settore alimentare. La sua “mission”istituzionale è quella di migliorare l’alimentazione umana, sia con prodotti di alta qualità

ed elevato valore nutrizionale, sia con iniziative di ricerca e di divulgazione scientifica. In que-st’ottica ha deciso di destinare risorse alla ricerca e alla cultura della nutrizione, dando vitaall’Istituto Danone.

L’Istituto Danone si prefigge di:

Incoraggiare la ricerca scientifica sul rapporto tra alimentazione e salute

Promuovere una corretta educazione alimentare

Diffondere i risultati della ricerca nutrizionale presso gli operatori della salute e del-l’educazione alimentare

Costituire un anello di giunzione tra il mondo scientifico e gli operatori della salute e dell’educazione alimentare

Gli obiettivi dell’Istituto Danone sono quindi due:

Conoscere – attraverso la promozione di ricerche, proprie o di terzi, nel settore nutrizionale

Far conoscere – attraverso attività editoriali e congressuali mirate a diffondere la culturadella nutrizione

Per adempiere a questa missione, l’Istituto Danone si avvale di un Comitato Scientificoche rappresenta l’elemento propositivo, la fonte delle conoscenze ed il garante della scienti-ficità di tutte le attività dell’Istituto stesso. A far parte di questo Comitato sono stati chiama-ti, tra i massimi esperti nazionali dei vari settori della nutrizione umana, i professori MarcelloGiovannini (Presidente), Ermanno Lanzola e Carlo Vergani (Vicepresidenti), Vittorio Bottazzi,Michele O. Carruba, Alberto Daghetta, Alberto Notarbartolo, Giancarlo Piva, PierpaoloResmini e Enrica Riva.

Sede Istituto Danone: Via F. Filzi, 25 – 20124 Milano

1692/97 Lettera 29-05-2002 11:24 Pagina 1

Gli alimenti

II TT EE MM SS

Aspetti tecnologici e nutrizionaliA cura di

Alberto DaghettaProfessore Ordinario di Analisi Chimica dei Prodotti Alimentari.

Facoltà di Agraria. Università degli Studi di Milano

Con la collaborazione di

Carlo CantoniProfessore Ordinario di Ispezione e Controllo dei Prodotti Alimentari

di Origine Animale. Facoltà di Veterinaria. Università degli Studi di Milano

Giuseppe CaserioProfessore Associato di Patologia Animale e Ispezione delle Carni.

DISTAM Facoltà di Agraria. Università degli Studi di Milano

Danilo CatelaniProfessore Associato di Chimica Analitica.

DISTAM Facoltà di Agraria. Università degli Studi di Milano

Ivano De NoniRicercatore presso DISTAM Facoltà di Agraria.

Università degli Studi di Milano

Mara LucisanoProfessore Associato di Processi della Tecnologia Alimentare.

DISTAM Facoltà di Agraria. Università degli Studi di Milano

Marilena Manzini Esperta in Scienze dell’Alimentazione. Milano

Maria Ambrogina PaganiProfessore Associato di Processi della Tecnologia Alimentare.

DISTAM Facoltà di Agraria. Università degli Studi di Milano

Pierpaolo ResminiProfessore Ordinario di Industrie Agrarie.

DISTAM Facoltà di Agraria. Università degli Studi di Milano

Antonio TirelliRicercatore presso DISTAM Facoltà di Agraria.

Università degli Studi di Milano

I T E M I D E L L A N U T R I Z I O N E

1692/97 frontespizio 29-05-2002 11:25 Pagina 1

Introduzione 5A. Daghetta

Cereali e derivati 7M. Lucisano, M.A. Pagani

Il latte e i prodotti derivati 69I. De Noni, P. Resmini, A. Tirelli

Alimenti carnei e alimenti ittici 115C. Cantoni, G. Caserio

Condimenti lipidici 137A. Daghetta, M. Manzini

L’acqua e le bevande analcoliche 177D. Catelani

3

II ndice

1692/97 indice 29-05-2002 11:26 Pagina 3

Nell’intento di fornire ai Sigg. Medici,in maniera semplice e aggiornata, utiliinformazioni nutrizionali per il quotidianoapproccio professionale, già nel 1° qua-derno della collana ITEMS “I temi dellanutrizione” un capitolo è stato dedicatoalla composizione degli alimenti di cui ve-nivano delineati gli specifici nutrienti e lerelative fonti di rifornimento.

Una sintesi egregia per chiarezza elinearità, ma, a ben vedere, non del tuttosufficiente a dissipare dubbi e perplessitàche possono insorgere nel Medico chia-mato ad orientare non solo il paziente af-fetto da una specifica patologia, ma an-che l’individuo sano, in una corretta scel-ta alimentare scevra di pregiudizi.

Pur col chiaro intento di evitare unamera rifrittura di un Trattato di Broma-tologia (ingiustificata, vista l’esistenza diuna miriade di opere validissime sia sulpiano scientifico che divulgativo), si sonochiamati alcuni Esperti nei vari settori ali-mentari a delineare le peculiarità nell’am-bito della specifica competenza, nella

consapevolezza di quanto possa essereostico trarre chiari lumi dalla lettura dellaetichettatura e delle informazioni nutrizio-nali riportate sulle confezioni anchequando elaborate con la più scrupolosaosservanza della normativa.

Discernere fra “denominazioni tas-sative” e “denominazioni di fantasia”,valutare le reali discrepanze quali-quanti-tative nell’ambito della medesima tipolo-gia di prodotto, è compito non sempreagevole anche per gli addetti ai lavori.

Allo stesso modo, convincere il con-sumatore che il tempo minimo di con-servazione “t.m.c.” non rappresentaun’inderogabile data di scadenza, bensìsemplicemente il periodo per il quale ilproduttore, sulla base della propria espe-rienza, giudica inalterate le prerogative,sia nutrizionali che organolettiche, delproprio formulato, richiede una buonaconoscenza dei fenomeni biochimici chein quel dato prodotto si evolvono neltempo.

Ringrazio i Colleghi Amici che in una

5

II ntroduzione

A. Daghetta

1692/97 introduzione 29-05-2002 11:27 Pagina 5

ridda di disposizioni normative talvoltacontrastanti e contraddittorie si sono ad-dossati il compito di apportare un contri-buto di chiarezza, spezzando una lanciain favore delle Tecnologie alimentari, cosìda facilitare ai Colleghi Medici il compitodi dirimere nel consumatore ataviche in-

certezze, “idola tribus” di baconiana me-moria. Al benevolo lettore il compito diformulare un motivato giudizio sul risulta-to da noi effettivamente conseguito.

Alberto Daghetta

Introduzione

6

1692/97 introduzione 29-05-2002 11:27 Pagina 6

I cereali sono senza dubbio i vegetalipiù largamente coltivati al mondo: si sti-ma che circa i due terzi della superficiecoltivabile sulla terra siano dedicati allaloro produzione. I prodotti della trasfor-mazione dei cereali costituiscono dasempre gli alimenti “di base” per l’uomo.I cereali rappresentano infatti un’ottimafonte energetica, una discreta risorsa diproteine, vitamine e sali minerali e posso-no essere trasformati in un’ampia gam-ma di prodotti, soddisfacendo le abitudinie le tradizioni alimentari più diverse.

Il termine “cereali” definisce le pian-te afferenti alla famiglia delle Grami-neae, coltivate per i loro particolari frutti,botanicamente definiti “cariossidi”, co-munemente ma impropriamente chia-mati semi. I principali cereali coltivati so-no i seguenti: frumento, riso, mais, or-zo, avena, segale, miglio e sorgo.

La produzione cerealicola mondialenel 1995 è stata globalmente di 1.900milioni di tonnellate, di cui il 25% è rap-presentato dal frumento.

Questa disponibilità, se equamentesuddivisa tra la popolazione mondiale,potrebbe essere sufficiente a fornire cir-ca 1 kg di cereali/pro capite/die. Va tut-tavia sottolineato che solo il 50% circadella produzione totale viene utilizzato peralimentazione umana, mentre un terzodel raccolto è destinato all’alimentazioneanimale e percentuali variabili vengonoimpiegate per altri scopi; infine non vadimenticato che una quota considerevoledi materiale viene purtroppo persa perinfestazioni di varia origine (microbiche,roditori, insetti, ecc.) o per condizioni diconservazione non appropriate.

Origine dei cereali,caratteristichebotaniche e lorocomposizione

I cereali attualmente coltivati deriva-no da forme selvatiche spontanee chegià dal Neolitico (10000-15000 a.C.)

7

CC ereali e derivati

M. Lucisano, M.A. Pagani

Cattedra di Processi della Tecnologia AlimentareDISTAM Facoltà di AgrariaUniversità degli Studi di Milano

I cereali

1692/97 capitolo 1 29-05-2002 11:32 Pagina 7

l’uomo aveva introdotto nella sua ali-mentazione. Sembra che le prime spe-cie coltivate, a partire dal 5000 a.C.,siano state l’orzo (Hordeum) ed il fru-mento (Triticum) in alcune particolariaree dell’Asia Minore. A partire da que-ste forme primitive, si sono selezionatedelle specie sempre più complesse econ un numero di cromosomi più eleva-to. Per quanto riguarda il frumento, ri-tenuto oggi il cereale più importante perl’alimentazione umana, le specie piùdiffuse (di cui si conoscono e si selezio-nano migliaia di varietà) sono il Triticumdurum, o frumento duro, la cui destina-zione d’uso principale è la pastificazione,ed il Triticum aestivum, o frumento te-nero, impiegato per la produzione di pa-ne e di altri prodotti da forno.

La cariosside dei cereali è un fruttoil cui corpo fruttifero è tutt’uno con il se-me, di piccole dimensioni, variabili co-munque a seconda della specie (Fig. 1).

La struttura anatomica della carios-side di tutti i cereali è sostanzialmentesimile: si riconoscono infatti tre regioniprincipali, corrispondenti ai tegumenti(sia del frutto che del seme), all’em-brione (comunemente definito germe)e all’endosperma amilaceo o mandor-la farinosa (Fig. 2). Ognuna di questeregioni è composta da più strati e pos-siede un’organizzazione strutturale ed

una composizione chimica diversa especifica per meglio rispondere allapropria funzione biologica (Tab. 1).

L’embrione, o germe, consiste inun abbozzo della futura pianta (asseembrionale) e in una regione (scutello)in grado di fornire principi nutritivi allapianta durante la germinazione. La com-posizione dell’embrione è perciò carat-terizzata da un’elevata presenza in pro-teine, lipidi, zuccheri solubili e vitamine.L’endosperma rappresenta percentual-mente la maggior parte del chicco: ècomposto da due regioni, la più esternadelle quali è conosciuta come stratoaleuronico. Si tratta di un tessuto assairicco in proteine, sali minerali, vitamineed enzimi. La maggior parte dell’endo-sperma è rappresentata dalla cosiddet-ta mandorla, o albume, costituita dacellule in cui sono immagazzinati, in for-ma insolubile, nutrienti importantissimi,che potranno essere resi disponibili du-rante la fase di germinazione del chic-co. La frazione glucidica è per la mag-gior parte rappresentata dall’amido,sotto forma di granuli; il secondo costi-tuente, in termini percentuali, sono leproteine. In tutti i cereali vi è un gra-diente di concentrazione di questi duecomponenti, via via che si passa dallecellule esterne della mandorla, più ric-che in proteine, verso quelle più centrali,

Cereal i e derivat i

8

1692/97 capitolo 1 29-05-2002 11:32 Pagina 8

M. Lucisano, M.A. Pagani

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Cariossidi nude

Cariossidi vestite

Cariossidi vestitesenza glume

Mais Segale Frumento(grano)

Orzo Avena Riso

0 5 10 mmFigura 1

Morfologia e dimensionidelle cariossidi deiprincipali cereali coltivatie loro suddivisione in tipivestiti e svestiti (nudi).Le cariossidi vestitesono mostrate con esenza le glume dirivestimento.

Endosperma amilaceo(albume, mandorla farinosa)

77-81%

Strato aleuronico6-8%

Tegumenti10-12%

Scutello

Embrione2-3%

ed

FARINA,SEMOLA

CRUSCA

GERME

Figura 2

Struttura della cariossidedi frumento esuddivisione percentualenelle diverse zoneanatomiche conindicazione dell’originedei prodotti esottoprodotti dimacinazione.

1692/97 capitolo 1 29-05-2002 11:32 Pagina 9

più ricche in amido. I tegumenti sonocomposti da numerosi strati, alcuni af-ferenti al frutto (pericarpo), altri al seme(testa), la cui funzione protettiva è ga-rantita dalla composizione particolar-mente ricca in fibre cellulosiche ed emi-cellulosiche, sali minerali e fitati. La ca-riosside all’interno della spiga è protettaanche da altre strutture, le glume obrattee. In alcuni cereali (quali orzo, riso,avena) questi rivestimenti sono intima-mente associati ai tegumenti del frutto:per questa caratteristica tali cariossidisono definite “vestite”, a differenza diquelle degli altri cereali, denominate “nu-de” o “svestite”, in quanto si liberano fa-cilmente di tali parti durante le operazionidi trebbiatura.

L’eliminazione delle glume nelle ca-riossidi vestite è indispensabile se il ce-reale è destinato ad usi alimentari, acausa dell’elevato contenuto in silice.

Proprietà funzionali deiprincipali costituentidella cariosside

Conoscere le proprietà funzionali eil valore nutrizionale dei diversi costi-tuenti della cariosside è basilare percomprendere i fenomeni che hannoluogo durante la trasformazione dei ce-reali in alimenti. Il successo e la diffu-sione del frumento rispetto agli altri ce-reali sono, ad esempio, legati alla capa-cità delle sue proteine di strutturarsi inun particolare complesso, conosciutocome glutine, vera e propria “impalca-tura” di tutti i prodotti derivati dal grano.

Carboidrati

La maggior parte dei carboidratipresenti nella cariosside dei cereali è

Cereal i e derivat i

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Regione anatomica Percentuale Amido Proteinedella cariosside della e altri

cariosside carboidrati% %

Tegumento frutto (pericarpo) 4 14-16 10-14

Tegumento seme (testa) 1 9-11 13-19

Strato aleuronico 8 10-14 29-35

Germe 3 19-21 36-40

Endosperma 82 80-85 8-14

(Dati espressi per 100 g di sostanza secca)

Tabella 1

Composizione dellacariosside di grano e delle sue regionianatomiche.

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rappresentata dall’amido, macromole-cola con funzioni di riserva, localizzataesclusivamente nell’endosperma. Lapianta, a partire dal glucosio, sintetizzadue diversi polimeri, l’amilosio e l’ami-lopectina, stoccati nelle cellule sottoforma di granuli. La morfologia e le di-mensioni di questi ultimi sono diversi aseconda della specie botanica.

L’amilosio è un polimero lineare for-mato da diverse migliaia di unità di glu-cosio; l’amilopectina, anch’essa costi-tuita da solo glucosio, presenta unastruttura ramificata, di dimensioni note-voli (Fig. 3). Nel granulo d’amido diquasi tutti i cereali l’amilosio rappresen-ta solo il 20-25%, ma questi valori pos-sono essere inferiori nelle varietà dettecerose (o waxy).

La disposizione di amilosio e amilo-pectina all’interno del granulo non è ca-suale: infatti il granulo d’amido, in cui

sono riconoscibili strati successivi di ac-crescimento, mostra, con test assai so-fisticati, proprietà semicristalline, pro-prie di strutture “ordinate”.

Questo materiale è caratterizzato dauna spiccata insolubilità in acqua afreddo, ma cambia totalmente il propriocomportamento se, in presenza d’ac-qua, è sottoposto ad un riscaldamento:a partire dai 50-60 °C, i granuli sonointeressati al fenomeno della gelatiniz-zazione, in cui sono riconoscibili piùtappe: dapprima un sensibile rigonfia-mento con incremento della viscositàdel sistema, cui segue la rottura dellastruttura così rigonfiata con fuoriuscitae parziale solubilizzazione del materialeamilaceo nell’acqua, e formazione diquella che è comunemente definita sal-da d’amido. Ed è proprio questa pro-prietà funzionale che consente di utiliz-zare l’amido in numerose preparazioniindustriali, come agente addensante ostabilizzante di gel ed emulsioni, o an-cora come agente legante.

La gelatinizzazione, che può esserepiù o meno intensa e vistosa a secondadell’origine botanica dell’amido e dellaquantità d’acqua presente nel sistema,produce interessanti modificazioni sulladigeribilità dell’amido: infatti le macro-molecole di amido gelatinizzato sono piùfacilmente idrolizzabili da parte dei si-

M. Lucisano, M.A. Pagani

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Lipidi Cellulosa MineraliEmicellulosaPentosani

% % %

1-3 60-74 3-5

3-5 53-63 9-15

7-9 35-41 5-15

13-17 20-24 4-6

2-3 1-3 0,5-1,5

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Cereal i e derivat i

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Amilosio

Amilopectina

Figura 3

Struttura semplificatadelle macromolecole di amilosio e diamilopectina.

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stemi enzimatici, quali l’alfa e la betaamilasi. La “disorganizzazione” struttu-rale associata alla gelatinizzazione siperde se il sistema viene sottoposto araffreddamento: la massa si trasformain un gel, in grado di trattenere effica-cemente l’acqua, modificazione macro-scopica associata ad una ritrovata orga-nizzazione delle macromolecole di ami-losio e amilopectina. Questo fenomeno,conosciuto come retrogradazione del-l’amido, può ridurre la digeribilità del-l’amido (frazione di amido resistente) econtribuire a rendere raffermi il pane ealtri prodotti da forno.

Nella cariosside matura dei cerealisi ritrovano solo in modeste quantitàforme più semplici di carboidrati, qualiglucosio, fruttosio, maltosio e sacca-rosio. La concentrazione di molte diqueste molecole può sensibilmente au-mentare a seguito della germinazione,complesso fenomeno che mobilita tuttele sostanze di riserva della cariossideper poter dare luogo allo sviluppo di unanuova pianta.

Carboidrati strutturaliNelle parti tegumentali del chicco,

dove si ritrovano cellule con una grossaparete cellulare, i carboidrati sono rap-presentati da molecole con funzionebiologica strutturale. La cellulosa è un

polimero costituito da solo glucosio, male singole unità sono interessate in unlegame diverso da quello tipico del-l’amido e, perciò, non idrolizzabile daparte dei sistemi amilolitici. Questagrossa macromolecola (anche in questocaso le unità di glucosio ammontano adiverse migliaia) si presenta completa-mente insolubile in acqua e assicura ri-gidità alla parete cellulare. Essa rappre-senta una frazione importante di quellache viene comunemente chiamata fibraalimentare, di cui è stato largamente il-lustrato l’effetto positivo sulla peristalsiintestinale.

Un altro interessante componentedelle pareti cellulari è rappresentatodalla frazione dei pentosani, polimeriassai complessi formati da zuccheri di-versi dal glucosio (pentosi). I pentosanisono presenti in forme diverse per di-mensioni, composizione, solubilità. Inquesti ultimi anni è stato loro ricono-sciuto un ruolo attivo nella formazionedell’impasto, dovuto all’elevata capacitàdi legare acqua.

Proteine

Le proteine presenti nei cereali so-no, come detto, distribuite in percen-tuale diversa a seconda della regione

M. Lucisano, M.A. Pagani

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1692/97 capitolo 1 29-05-2002 11:32 Pagina 13

del chicco. Sebbene interessanti perquantità (circa il 10% dell’intero chic-co), si ritiene che la componente protei-ca dei cereali, come ben noto, soddisfisolo in parte le esigenze nutrizionalidell’uomo in quanto carente di alcuniamminoacidi essenziali, in primo luogola lisina (Fig. 4). La complessità el’eterogeneità che caratterizza le protei-ne dei cereali è enorme.

Tradizionalmente la maggior partedegli studi relativi a questo settore pre-vede una suddivisione delle molecoleproteiche dei cereali in 4 differenti clas-si a seconda della loro solubilità (Tab.2). Si parla perciò di proteine solubili(albumine e globuline), per lo più protei-ne con funzioni enzimatiche, e di pro-teine insolubili o proteine di riserva, aloro volta distinte in prolammine e glu-teline (rispettivamente gliadine e glute-nine nel frumento).

La prima frazione, quella solubile, èparticolarmente rappresentata nell’em-brione e nello strato aleuronico.

Le seconde, che raggruppano per-centualmente anche l’80% della com-ponente proteica, sono localizzatenell’endosperma. La loro funzione bio-logica è completamente diversa daquella che contraddistingue le proteinesolubili: si tratta in questo caso di so-stanza di riserva, organizzate in una ma-

trice tra i granuli d’amido. Il rapporto prolammine/gluteline è

diverso a seconda dei cereali. Nel caso del frumento queste due

classi sono presenti in quantità confron-tabile e sono caratterizzate da una com-posizione amminoacidica assai particola-re, caratterizzata da una elevata percen-tuale (un terzo circa di tutti i residui am-minoacidi) di acido glutammico (comeglutammina) e di prolina, e di una bassaquantità di lisina. Questa particolarecomposizione consente a queste protei-ne di riserva di strutturarsi, durante l’im-pastamento della farina con acqua, in uncomplesso unico nel mondo vegetale,conosciuto come glutine e che può es-sere inteso come un tessuto reticolare.

Le proprietà plastiche ed elastichedel glutine (proprietà reologiche) sonodeterminanti per la trasformazione dellafarina in pane o in qualsiasi altro pro-dotto da forno, e della semola in pastaalimentare.

Le diverse migliaia di varietà di fru-mento sono state selezionate nel corsodegli anni in modo da migliorare ancheil comportamento tecnologico del relati-vo sfarinato e, dunque, la sua idoneitàalla trasformazione in un ben definitoprodotto.

I trattamenti termici, sempre pre-senti nel processo produttivo dei pro-

Cereal i e derivat i

14

1692/97 capitolo 1 29-05-2002 11:32 Pagina 14

M. Lucisano, M.A. Pagani

15

Alimenti di origine vegetale

Grano (8-13,5%)

Lys Met Ile Leu Val Thr Trp

Riso (7-8%)Soia (35-40%)Patata (2%)

Alimenti di origine animale

Latte (3,2%)

Lys Met Ile Leu Val Thr Trp

Uovo (13%)Pesce (20-25%)Manzo (18-20%)

Phe

Phe

Riferimenti FAO

Riferimenti FAO

........................................................................

14

12

10

8

6

4

2

0

g/10

0 g

prot

eine

14

12

10

8

6

4

2

0

g/10

0 g

prot

eine

Figura 4

Contenuto inamminoacidi essenzialidelle proteine di alcunialimenti di originevegetale e animale:confronto con la proteinadi riferimento FAO. Inparentesi è indicato ilcontenuto in proteine (% tal quale) di ciascunalimento.

Phe = fenilalaninaLys = lisinaMet = metioninaIle = isoleucinaLeu = leucinaVal = valinaThr = treoninaTrp = triptofano

1692/97 capitolo 1 29-05-2002 11:32 Pagina 15

dotti derivati dei cereali (es. cottura inforno, essiccazione della pasta e suacottura, ecc.) modificano in maniera so-stanziale anche le proprietà funzionalidelle proteine. A partire dai 60-70 °C leproteine, indipendentemente dall’umiditàdel sistema, sono interessate da feno-meni di denaturazione e coagulazione.

Nel caso del glutine il trattamentotermico stabilizza la struttura reticolareche perde così la sua capacità nativa diestendersi e di deformarsi, ma anche diresistere a sollecitazioni troppo intense.

Le proteine solubili, come detto,sono per lo più proteine con attività en-zimatiche. Gli enzimi maggiormentepresenti sono di tipo idrolitico (amilasi,proteasi, lipasi), ma le cariossidi possie-dono anche attività di tipo ossidativo (li-possigenasi, perossidasi).

In molti processi tecnologici di tra-sformazione dei cereali le attività enzi-matiche devono essere attentamentecontrollate.

Lipidi

Questi costituenti delle cariossidisono generalmente considerati “minori”a causa della loro limitata quantità (vediTab. 1). Ciò nonostante, la loro impor-tanza è rilevante sia da un punto di vistanutrizionale che tecnologico. I lipidi deicereali costituiscono una classe estre-mamente eterogenea di sostanze, di-stribuita in maniera assai diversificatanei diversi tessuti del chicco. Accanto aitrigliceridi, i più rappresentati nel tes-suto dell’endosperma, la cariossidecontiene lipidi polari, le cui proprietàfunzionali (emulsionanti, stabilizzanti)consentono interazioni con molecoleproteiche ed amilacee e sono strategi-che per le trasformazioni tecnologiche.La presenza rilevante di acidi grassi in-saturi e polinsaturi nei lipidi dei cerealirende purtroppo assai frequenti i feno-meni di deterioramento, quali l’irrancidi-mento. Tale elevata alterabilità potrebbe

Cereal i e derivat i

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Natura Gruppi Solubilità Peso molecolare

Albumine Acqua Basso

Globuline Soluzioni di sali Basso

Gliadine Etanolo 70% Basso

Glutenine Acidi, basi, Altoagenti idrofobici (> 100.000)

Tabella 2

Classificazione eprincipali caratteristichedelle proteine deicereali.

Proteinecitoplasmatiche

Proteine di depositonell’endosperma

1692/97 capitolo 1 29-05-2002 11:32 Pagina 16

in parte giustificare i trattamenti di raffi-nazione (separazione della sola man-dorla farinosa) dei cereali che, sebbenene abbassino il valore nutrizionale, assi-curano una più facile conservabilità.

Minerali

La maggior parte delle sostanzeminerali contenute nella cariosside deicereali è localizzata nelle parti tegumen-tali ed è costituita da fosfati e solfati dipotassio.

Il fosforo è presente inoltre come fi-tati. Le proprietà nutrizionali negative diquesti sali sono ben note e sono dovutealla loro capacità di formazione di com-plessi con i minerali, riducendo la biodi-sponibilità di questi ultimi. I cereali con-tengono in tracce numerosi elementi,tra cui ferro, rame e zinco.

Vitamine

I cereali rappresentano una impor-tantissima fonte di vitamine, soprattuttodel gruppo B (Tab. 3). Esse sono loca-lizzate prevalentemente nei tessuti delgerme ed in quelli più periferici dell’en-dosperma.

La separazione di queste parti,operazione conseguente i trattamenti dimacinazione del grano e di brillatura delriso, produce una forte perdita di questiprincipi nutritivi.

M. Lucisano, M.A. Pagani

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Struttura Proprietà Contenuto%

Enzimatiche15-20

Schiumogene, emulsionanti

Estensibilità 40

Elasticità, tenacità 40

Vitamina Nome chimico Localizzazione

B1 Tiamina Embrione (scutello)

B2 Riboflavina Più parti del chicco

B6 Piridossina Strato aleuronico

B12 Niacina Strato aleuronico

Acido pantotenicoStrato aleuronico,endosperma

E Tocoferolo Embrione

Tabella 3

Vitamine presenti nei cereali e lorolocalizzazione nellacariosside.

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La conservazione dei cereali

I cereali vengono raccolti in un solomomento nell’arco dell’anno, corrispon-dente alla maturazione della cariosside.La richiesta del prodotto si estende, alcontrario, nello spazio dell’intero anno.

È perciò indispensabile provvederealla conservazione della granella per pe-riodi di svariati mesi o addirittura di anni.Lo stoccaggio di questi prodotti è, po-tenzialmente, un’operazione semplice acausa della loro bassa umidità (10-15%) e della presenza di componentiche per natura ed organizzazione strut-turale sono poco suscettibili a deterio-ramenti. Nonostante ciò, una importan-te parte del raccolto mondiale di cereali

viene, come detto, persa a seguito dinon corrette e inadeguate condizioni diconservazione.

I pericoli derivano da un’eccessivaumidità del prodotto al momento dellasua raccolta, condizione che facilita ilsurriscaldamento della massa; infesta-zioni da microrganismi, in modo partico-lare muffe (Aspergillus, Penicillum,ecc.), da insetti e da roditori; deteriora-mento a seguito di attività enzimatiche(germinazione, ecc.).

Non è raro osservare interazioni traquesti eventi negativi con effetto catali-tico assai difficile da controllare e con-tenere. Le legislazioni di tutti i paesiconsentono trattamenti di disinfestazio-ne contro insetti ed altri predatori me-diante insetticidi e fumiganti.

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La molitura è il processo tecnolo-gico che consente la trasformazionedelle cariossidi dei cereali in sfarinati.Viene anche definito processo di ma-cinazione a secco in quanto i chicchivengono lavorati in assenza di acqua.

È difficile individuare con precisionel’epoca alla quale far risalire l’originedella macinazione dei cereali; già nelleSacre Scritture si legge che Abramo fe-ce preparare per i suoi ospiti del paneconfezionato con la farina più fine.

Non è perfettamente noto quale trala pietra a sella o il pestello con il mor-taio fosse il primo dispositivo di maci-nazione, anche se numerose testimo-nianze rinvenute negli scavi in Egittofanno ritenere che il pestello con ilmortaio fosse il primo strumento utiliz-zato a tale scopo.

In seguito si sostituì il pestello conuna pietra, o mola cilindrica, molto lar-ga e pesante, dotata di scanalatureper agevolare la presa del chicco du-rante la macinazione e ruotante sopra

una mola inferiore. A partire dal 200 a.C., furono im-

piegati gli animali quale sistema dimovimentazione.

Successivamente si utilizzò, qualemezzo di propulsione, l’energia idrauli-ca, come testimonia Vitruvio, architet-to romano vissuto intorno al 115 a.C.,che ha descritto le ruote propulsive adacqua adottate per la molitura del gra-no il cui moto era trasmesso al molinomediante un meccanismo molto similea quello presente nei moderni moliniidraulici.

All’inizio del XII secolo furono uti-lizzati in Europa i primi molini a ventoche sfruttavano appunto il vento qualemezzo di propulsione delle mole.

L’adozione dei laminatoi a cilindri edei sistemi di abburattamento del ma-teriale macinato divenne comune soloverso la fine del XIX secolo, anche segià nella seconda metà del XVIII seco-lo ne era stato proposto e sperimenta-to l’uso.

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L’industriamolitoria

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Definizione di prodottoe caratteristiche di qualità

Nel caso del frumento vengono di-stinti i prodotti ottenuti dalla molitura delgrano tenero da quelli ricavati dal gra-no duro.

Dal primo si ottengono farine, im-piegate principalmente nella panificazio-ne e nella produzione dei prodotti daforno, dal secondo si ricavano semolee semolati usati prevalentemente nell’in-dustria pastaria.

La definizione delle diverse tipologiedi sfarinati è stabilita da una legge spe-cifica (legge 4 luglio 1967, n. 580) chedisciplina la lavorazione ed il commerciodei cereali, degli sfarinati, del pane edelle paste alimentari e che riporta i li-miti di alcuni parametri analitici qualil’umidità, le ceneri, la cellulosa e il con-tenuto di glutine (Tab. 4).

La qualità di uno sfarinato è valuta-ta non solo in termini di composizionechimica, ma principalmente sulla basedelle caratteristiche reologiche degli im-pasti, preparati ed analizzati secondometodiche standardizzate.

La destinazione d’uso di una farinaè infatti condizionata dalla sua maggioreo minore capacità di dar origine ad unimpasto in grado di resistere a prolun-

gati sforzi meccanici quali quelli che siregistrano durante l’impastamento o du-rante lunghe fasi di lievitazione.

Le farine vengono in tal modo clas-sificate come farine deboli, medie eforti. Ciascun prodotto da forno richiedeuna farina che risponda a specifici re-quisiti sia dipendenti dalle caratteristichedel prodotto finito sia dalla tecnologiaadottata: così per la produzione di un bi-scotto secco, caratterizzato da una ele-vata friabilità, è opportuno utilizzare unafarina debole, mentre per un prodottolievitato tipo panettone o pandoro è indi-spensabile disporre di una farina fortecaratterizzata da un’elevata stabilità.

Tecnologia di produzione

La macinazione industriale del gra-no è un processo assai diverso da quel-lo tradizionalmente realizzato con i moli-ni a molazze.

L’attuale tecnologia può essere sud-divisa nelle quattro fasi seguenti: 1) rice-zione, prepulitura e insilamento del gra-no in arrivo, 2) pulitura e condizionamen-to, 3) macinazione, 4) conservazione de-gli sfarinati prodotti.

Il grano in arrivo al molino, traspor-tato generalmente “alla rinfusa” in ca-

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È denominata “farina di grano tenero” o semplicemente “farina” il prodotto ottenutodalla macinazione e conseguente abburattamento del grano tenero liberato dallesostanze estranee e dalle impurità. Le farine di grano tenero possono essereprodotte solo nei tipi “00”, “0”, “1”, “2” e “integrale” e devono presentare le seguenticaratteristiche:

Tipo e Umidità In percento sul seccoDenomi- massima Ceneri Cellulosa Glutine secconazione %

max. max. min.

Farina 00 14,50 0,50 – 7

Farina 0 14,50 0,65 0,20 9

Farina 1 14,50 0,80 0,30 10

Farina 2 14,50 0,95 0,50 10

Farina integrale 14,50 1,40-1,60* 1,60 10

* intervallo di variabilità

È denominata “semola di grano duro” o semplicemente “semola” il prodottogranulare a spigolo vivo ottenuto dalla macinazione e conseguente abburattamentodel grano duro, liberato dalle sostanze estranee e dalle impurità.

È denominato “semolato di grano duro” o semplicemente “semolato” il prodottoottenuto dalla macinazione e conseguente abburattamento del grano duro, liberatodalle sostanze estranee e dalle impurità, dopo l’estrazione della semola.

Tipo e Umidità In percento sul seccoDenomi- massima Ceneri Cellulosa Sost. nazione % azotate

(N x 5,7)

min. max. min. max. min.

Semola 14,50 0,70 0,90 0,20 0,45 10,50

Semolato 14,50 0,90 1,20 – 0,85 11,50

Farina** 14,50 1,35 1,60 – 1,00 11,50

** da destinare esclusivamente alla panificazione

Semolato

Semola

FarinaTabella 4

Caratteristiche di leggedegli sfarinati di granocommercializzati in Italia(legge n. 580, 4 luglio1967).

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mion cassonati, treni o navi, viene sca-ricato in grandi tramogge con aperturagrigliata per facilitare la separazione dicorpi estranei di maggiore dimensione.

Questa operazione è preceduta daveloci controlli analitici di campioni rap-presentativi dell’intera partita che con-sentono la valutazione di alcuni parame-tri di qualità previsti dal capitolato d’ac-quisto.

Le operazioni preliminari di pulitura,effettuate prima dell’immissione dellagranella nei sili, consentono di allontana-re principalmente i corpi estranei gros-solani.

La pulitura vera e propria del granoè effettuata immediatamente prima delprocesso di macinazione. Essa consistein una successione di operazioni aventilo scopo di separare impurità, corpiestranei e polveri, realizzate sfruttandola differenza in dimensione, forma e pe-so specifico del materiale che si vuolerimuovere rispetto alla cariosside intera.

Determinante per il rendimento del-le operazioni successive è la fase dicondizionamento del grano, cioè la suaumidificazione fino ad innalzare di 2-4punti percentuali il contenuto in acquadelle cariossidi.

Questa operazione ha lo scopo diridurre la friabilità delle parti tegumentalievitandone una eccessiva frammenta-

zione e di rendere più fragile l’endo-sperma amilaceo, facilitando la separa-zione di queste due zone anatomichedella cariosside.

Il tempo di condizionamento (varia-bile da 6 a più di 24 ore) e la quantitàdi acqua utilizzata dipendono dal tipo digrano. Dopo tale fase le cariossidi pre-sentano circa il 16-17% di umidità, di-stribuita in modo omogeneo.

L’obiettivo della macinazione è quel-lo di separare l’endosperma amilaceodalle parti tegumentali e dal germe e diridurre la granulometria dell’endospermaa valori inferiori a 150-200 µm per la fa-rina e a 500 µm per la semola.

La separazione selettiva della man-dorla è resa possibile dal fatto che, co-me è stato precedentemente evidenzia-to nella Tabella 1, la sua composizionedifferisce da quella del germe e del te-gumento.

La separazione non è tuttavia quan-titativa, ma nei sottoprodotti della maci-nazione si perdono parti di endospermae nella farina sono inevitabilmente pre-senti piccole percentuali di particelle te-gumentali. La bontà della separazioneed il rispetto delle caratteristiche stabili-te dalla legislazione condizionano dun-que la resa produttiva di farina o di se-mola.

Il diagramma di molitura è comples-

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so, sia per il tipo di operazioni che locompongono, sia per il numero delleoperazioni stesse e la modalità con laquale si susseguono.

Nella Figura 5 viene presentato unoschema semplificato relativo sia alleoperazioni di molitura sia alle operazionidi classificazione sulla base della di-mensione e del peso specifico.

Il grano subisce una rottura inizialecondotta in laminatoi, coppie di cilindriin ghisa opportunamente distanziati,che presentano una superficie rigata eruotano in senso opposto a velocità di-versa. Alla prima operazione di rotturane seguono altre (generalmente 4 o 5).

I passaggi di rottura, nel loro insie-me, hanno la funzione di aprire, tagliaree laminare i chicchi di grano, distaccarel’endosperma dai tegumenti, frantuman-dolo, e lasciare la crusca sotto forma dilamelle larghe e piatte, in modo da con-sentire una sua più facile rimozione.

Perché ciò avvenga in modo otti-male, l’operazione di rottura viene rea-lizzata gradualmente per evitare l’ec-cessiva frantumazione delle parti cru-scali che, se di dimensioni molto ridot-te, sono di difficile separazione.

Ogni passaggio di rottura è seguitoda una classificazione per dimensioni(stacciatura) effettuata con plansich-ters, macchine costituite da una serie di

setacci piani (buratti) aventi un’aperturadelle maglie adeguata alla granulome-tria del materiale alimentato.

I grossi frammenti denominati se-mole si dividono tradizionalmente in “ve-stite”, costituite da mandorla farinosa al-la quale sono rimaste attaccate particruscali, e “nude”; queste due frazionisono separate sulla base del loro pesospecifico e della dimensione utilizzandoparticolari attrezzature chiamate semo-latrici che operano in corrente d’aria.

Le semole vestite subiscono in se-guito passaggi detti di svestimento, at-traverso laminatoi finemente rigati.Anche lo svestimento è immediatamen-te seguito da una classificazione me-diante plansichters.

Le semole nude sono invece desti-nate alle operazioni di rimacina, con-dotte con cilindri lisci. Le rimacine rap-presentano i passaggi finali di macina-zione, aventi la funzione di ridurre a fari-na le semole, selezionate e pulite nellefasi precedenti di lavorazione.

Il diagramma di macinazione preve-de un numero idoneo dei diversi pas-saggi, in modo da assicurare che lamaggior parte dell’endosperma sia con-vertito a farina, nel caso del grano te-nero, o a semola, nel caso del granoduro, e che la maggior parte dei tegu-menti sia separata e rimossa come sot-

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Laminatoirigati

Frammentigrossolani

Frazioniintermedie

Classificazioneper dimensioni

Classificazioneper peso specifico

GRANO PULITOE CONDIZIONATO

Rottura

SemolatriciPlansichter

Svestimento

Lavorazionesottoprodotti

Laminatoirigati

SOTTOPRODOTTI (crusca, germe, ecc.)

Figura 5

Schema semplificatodelle operazioni dimacinazione delfrumento.

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Fraz

ioni

inte

rmed

iesv

estit

e

RimacinaRiunione

delle frazioni Stoccaggio

Laminatoilisci Miscelatore Silos

FARINA

1692/97 capitolo 1 29-05-2002 11:32 Pagina 25

toprodotto. Da ognuno dei numerosipassaggi di molitura si ottiene una fra-zione di farina: la miscelazione di tuttequeste farine consente di ottenere lafarina finale commerciale, detta anchetuttocorpo.

La resa percentuale di macinazione,espressa come numero di chilogrammidi farina ottenuta da 100 chilogrammi digrano già pulito e condizionato, è gene-ralmente compresa tra il 72 e il 76% peril grano tenero, e tra il 68 e il 72% per ilgrano duro.

È opportuno ricordare che tanto piùraffinata è la farina (ad esempio farina00) quanto minore è il tasso di estrazio-

ne; infatti durante la sua produzione ven-gono eliminati insieme ai tegumenti an-che gli strati più esterni dell’endosperma.

Valore nutrizionaledegli sfarinati

La separazione del germe e deglistrati più esterni della cariosside duranteil processo di molitura inevitabilmente de-termina profonde modificazioni nellacomposizione chimica e, di conseguenza,nel valore nutrizionale dei prodotti finiti.

In particolare, la farina o la semolapresentano rispetto alla cariosside una

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40

120

100

80

60

40

20

0

120

100

80

60

40

20

0

Tasso di estrazione (%)50 60 70 80 90 100 40 50 60 70 80 90 100 40 50 60 70 80 90 100

Acido nicotinico MagnesioFibra

Grasso

Proteine

Calorie

Carboidrati

Riboflavina

Vitamina B1

Calcio

Ferro

Fosforo

Costituentiprincipali

Vitamine Minerali

Ceneri totali

Con

cent

razio

ne d

el c

ostit

uent

e (%

del

tota

le n

el g

rano

inte

ro) .........................................

.........................................

Figura 6

Composizione innutrienti della farina a diverso tasso diestrazione: confrontocon la composizionedella cariosside intera.

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minore concentrazione di ceneri, di pro-teine, di vitamine e di zuccheri semplicie un maggiore contenuto di amido.

La differenza relativa tra la compo-sizione della materia prima e quella deiprodotti finiti dipende ovviamente dal-l’efficienza con cui avviene la separazio-ne degli strati più esterni della cariossi-de dall’endosperma; così una farina 0,alla quale corrisponde un tasso di estra-zione di circa il 75%, contiene, rispettoa una farina integrale, il 5% della fibra,il 45% del grasso, il 30% delle sostan-ze minerali e una quota variabile tra il15 e il 40% delle diverse vitamine. Percontro, il contenuto di carboidrati, inparticolare di amido, è superiore nella

farina di circa il 10% (Fig. 6). È ovvio che l’eliminazione del ger-

me, ricco di acidi grassi insaturi tra iquali predomina l’acido linoleico, deter-mina una diminuzione del valore nutrizio-nale del cereale, ma nel contempo in-crementa la conservabilità degli sfarinatiche facilmente potrebbero andare in-contro a reazioni degradative a caricodegli acidi grassi con sviluppo di ranci-dità nel prodotto, già dopo brevi periodidi conservazione. Anche l’eliminazionedei tegumenti, nella cui composizionepredominano i costituenti della cosiddet-ta fibra dietetica, migliora la digeribilità,la conservabilità degli sfarinati, ma, so-prattutto, la loro qualità sensoriale.

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La pasta alimentare è senza dubbiouno degli alimenti più conosciuti ed ap-prezzati al mondo disponibile in diversetipologie (Fig. 7). La scarsità di docu-menti relativi all’origine di questo prodot-to ha alimentato numerose leggende.

Alcune collegano la nascita dellapasta al nostro paese, in altre vengonodate origini assai più lontane, forse ci-nesi. Un prodotto simile alla nostra pa-sta è descritto in un trattato di arte culi-naria risalente all’epoca dell’imperatoreTiberio. Bisogna tuttavia attendere il XIIsecolo per trovare altre citazioni su que-sto alimento.

La sua produzione avveniva pretta-mente in ambito familiare: solo a partiredalla metà del ’300 sono documentatele prime produzioni in botteghe artigia-nali. Sebbene l’origine della pasta sem-bri essere collocabile in Sicilia, è a Na-poli che l’industria della pastificazione sisviluppa.

Le botteghe dei vermicellai lascianoil posto a stabilimenti solo nei primi anni

di questo secolo, in concomitanza dellacomparsa dei primi motori elettrici.

Sicuramente l’introduzione dellapressa continua nel processo di forma-

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La pasta alimentare

PASTEALIMENTARI

Figura 7

Le diverse tipologie di pasta alimentare.

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tura dell’impasto intorno agli anni ’30rappresentò un’innovazione tecnologicadecisiva per lo sviluppo di questo pro-dotto: il processo produttivo, da discon-tinuo quale era stato fino a quel mo-mento, divenne continuo, consentendocosì una maggiore produttività ed eco-nomicità.

I motivi alla base del successo edella diffusione della pasta alimentarenel mondo risiedono soprattutto nellapossibilità di utilizzare, a seconda del

paese e delle tradizioni alimentari, an-che cereali diversi dal grano duro, spes-so i più economici e disponibili, e nellaestrema semplicità della formulazione edelle operazioni tecnologiche richiesteper la sua produzione (Fig. 8).

Sostanzialmente queste sono rap-presentate dall’impastamento dello sfa-rinato con acqua, dalla formatura diquesta massa in svariati formati me-diante due approcci tecnologici, l’estru-sione sotto pressione e la laminazione,

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Pastalunga

Formati piatti(tagliatelle)

Formati pieni

Formati fantasia

Formati bucati

Pastacorta

Formati rotondi

Nidi omatasse

lisci

rigati

curvi

diritti

Solo semolao semolato

Aggiunta di altriingredienti:

paste all’uovopaste speciali

Senza ripieno

Con ripieno

pieni(spaghetti)

bucati(zite)

SECCHEUmidità < 12,5%

Materia prima:semola o semolato

FRESCHEUmidità < 30%

Materia prima:anche farina oltre asemola e semolato

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cui segue l’essiccazione ed il confezio-namento. L’insieme di queste operazio-ni garantisce alla pasta secca una lungaconservabilità e, vista la mancanza diqualsiasi additivo o conservante, unaelevata genuinità.

In questi ultimi anni anche altri fat-tori hanno incrementato, soprattutto al-l’estero, l’interesse per la pasta. Alpiatto tradizionale, preparato esclusiva-mente con sfarinati di cereali, si affian-cano spesso prodotti simili alla pastaper forma ma caratterizzati da un piùelevato valore nutrizionale perché inte-grati con proteine di diversa origine (es.pasta all’uovo, pasta arricchita di siero-

proteine, ecc.), vitamine e sali minerali,sia essiccati che pronti per il consumo,dunque già cotti e conditi (conveniencefood). Infine, la riscoperta dei vantagginutrizionali della cosiddetta dieta medi-terranea ha finalmente liberato questoalimento dal pregiudizio di “piatto in-grassante”.

Definizione di prodottoe caratteristiche di qualità

La pasta secca rappresenta senzadubbio la tipologia di pasta preferita da-

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ACQUASEMOLA

DosaggioMiscelazione

Semolaidratata

ImpastamentoEstrusione

o Laminazione

Pasta fresca

Essiccamento

PASTA SECCA

Acqua

Figura 8

Le principali operazionidel processo dipastificazione.

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gli italiani: rappresenta infatti il 90% cir-ca dei volumi d’acquisto del comparto.Accanto a questo prodotto, va semprepiù affermandosi la cosiddetta pastafresca, denominazione che, secondo lanostra legislazione, fa riferimento al solocontenuto di umidità dell’alimento e nonalla data di produzione (vedi Fig. 7).

Se tale criterio di classificazione ri-mane il più diffuso, non va dimenticatoche altri parametri utili per discriminare idiversi prodotti possono essere la pre-senza di particolari ingredienti nella for-mulazione (pasta all’uovo e paste spe-ciali) oppure il processo tecnologico e,quindi, il tipo di formato (pasta lunga ecorta, laminata o estrusa).

La materia prima d’elezione per lapasta alimentare e l’unica permessadalla nostra legislazione per la pastasecca resta la semola di grano duro(Tab. 5).

Le proprietà funzionali delle protei-ne di questo cereale e l’elevato tenorein pigmenti consentono infatti di ottene-re un prodotto considerato “di qualità”.Tuttavia le caratteristiche che la pastaalimentare deve possedere per poteressere giudicata di buona qualità dalconsumatore, frequentemente non coin-cidono con quelle indicate dalla legisla-zione e possono essere assai differentia seconda delle abitudini alimentari dei

consumatori: in altre parole la scala divalutazione è fortemente soggettiva inquanto basata su preferenze del tuttopersonali.

È importante ricordare che il giudi-zio sulla pasta, a tutt’oggi, non conside-ra l’integrità nutrizionale del prodotto,caratteristica che può essere, comeverrà discusso successivamente, am-piamente influenzata dal processo tec-nologico utilizzato.

Il giudizio finale del consumatoretiene sicuramente conto dell’aspetto delprodotto allo stato secco e il suo com-portamento in cottura. A tale propositovale la pena soffermarsi brevemente sulruolo e sul comportamento dei due prin-cipali componenti della semola e dellapasta, l’amido e le proteine.

Nella pasta secca l’amido si trovaancora sotto forma di granuli integri,così come è possibile osservarli nellasemola; le proteine, disposte tra granu-lo e granulo in maniera più o menouniforme e regolare, sono per la mag-gior parte interagite a formare il com-plesso del glutine.

Durante la cottura i granuli d’amidoe le proteine hanno un comportamentocompletamente diverso: i primi si rigon-fiano rapidamente e tendono a disper-dersi e in parte a solubilizzarsi; le protei-ne, al contrario, diventano completamen-

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te insolubili e coagulano creando un re-ticolo. Poiché questi fenomeni avvengo-no approssimativamente alle stessetemperature, più le proteine formano ra-pidamente, durante la cottura, un retico-lo compatto, più il rigonfiamento del-l’amido sarà contenuto e i componenti

amilacei resteranno intrappolati nellamaglia proteica, assicurando al prodottobuon “nerbo” e assenza di collosità. Alcontrario, se il reticolo manca di elasti-cità o tarda a formarsi, i granuli d’amido,non trovando fisicamente alcun ostaco-lo, si rigonfieranno molto facilmente e

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Sono denominati “pasta di semola di grano duro” e “pasta di semolato di grano duro”i prodotti ottenuti dalla trafilazione, laminazione e conseguente essiccamento diimpasti preparati esclusivamente con:

a) semola di grano duro e acqua;b) semolato di grano duro e acqua.

La pasta destinata al commercio può essere prodotta soltanto nei tipi e con lecaratteristiche riportate nella successiva tabella.

La pasta con l’impiego di uova deve essere prodotta esclusivamente con semola econ l’aggiunta di almeno 4 uova intere di gallina, prive di guscio, per un pesocomplessivo non inferiore a grammi 200 di uova per ogni chilogrammo di semola.

La pasta prodotta con l’impiego di uova deve essere posta in commercio con la soladenominazione di “pasta all’uovo” e deve avere le caratteristiche riportate nellaseguente tabella.

Tipo e Umidità In percento sul seccoDenomi- massima Ceneri Cellulosa Sost. Aciditànazione % azotate in gradi*

(N x 5,7)

min. max. min. max. min. max.

Pasta di semola di 12,50 0,70 0,90 0,20 0,45 10,50 4grano duro

Pasta di semolato di 12,50 0,90 1,20 – 0,85 11,50 5grano duro

Pasta all’uovo 12,50 0,85 1,05 0,20 0,45 12,50 5

* Il grado di acidità è espresso dal numero di centimetri cubi di soluzione alcalina normaleoccorrente per neutralizzare grammi 100 di sostanza secca.

Pasta e pasta all’uovoTabella 5

Caratteristiche di leggedella pasta alimentarecommercializzata inItalia (legge n. 580, 4 luglio 1967).

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parte del materiale gelatinizzato e solu-bilizzato passerà nell’acqua di cottura: ilprodotto verrà giudicato colloso e discarsa consistenza.

È facile dunque capire come unabuona qualità in cottura sia associata aun alto contenuto in proteine della se-mola e ad una loro pronta reticolazionea formare glutine: numerosi studi sonocondotti allo scopo di selezionare nuovevarietà meglio rispondenti alle esigenzedelle aziende produttrici di pasta.

Tecnologia di produzione

La qualità della pasta è influenzata,oltre che dalle proprietà della materiaprima, anche dalle condizioni in cui èattuato il processo di pastificazione: glieffetti sui componenti possono essereassai diversi, condizionando in cottura ilrisultato della competizione fra amido eproteine.

Sebbene la pasta sia un alimento

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È consentita la produzione di paste alimentari fresche. Nella produzione di tali pastedevono essere osservate le prescrizioni stabilite per le paste alimentari secche, salvoche per l’umidità.

È consentito l’uso delle farine di grano tenero. Le paste alimentari fresche, poste invendita in confezioni sigillate, devono presentare le seguenti caratteristiche:

Tipo e Umidità In percento sul seccoDenomi- massima Ceneri Cellulosa Sost. Aciditànazione % azotate in gradi*

(N x 5,7)

min. max. min. max. min. max.

Pasta fresca 30,0 0,70 0,90 0,2 0,45 10,5 6(semola)

Pasta fresca 30,0 0,90 1,20 – 0,85 11,5 6(semolato)

Pasta fresca all’uovo

30,0 0,70 1,10 0,2 0,45 12,5 5

(semola)

* Il grado di acidità è espresso dal numero di centimetri cubi di soluzione alcalina normaleoccorrente per neutralizzare grammi 100 di sostanza secca.

Paste alimentari frescheTabella 5

[segue]

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conosciuto da secoli, il suo processoproduttivo è interessato ancora oggi daimportanti innovazioni tecnologiche,motivate per lo più da esigenze econo-miche e produttive.

Il processo di pastificazione è oggicondotto su linee completamente auto-matizzate. Le semole vengono traspor-tate, mediante un sistema pneumatico,fino alla prima sezione della pressacontinua, dove si provvede all’impasta-mento con acqua ottenendo un impa-sto con un tenore di umidità totale del30% circa. In questa fase, la cui durataè di circa 15-20 minuti nelle macchinetradizionali, è importante assicurare unaidratazione delle particelle di semola ilpiù possibile uniforme per evitare puntibianchi nel prodotto finito.

La massa umidificata, che si pre-senta come grumi di materiale più o me-no grossi, viene successivamente “for-mata” nella seconda parte della pressa,zona formata da un cilindro dispostoorizzontalmente in cui ruota una vite sen-za fine che assicura la movimentazionedell’impasto, facilitando e favorendo l’in-terazione delle proteine idratate a forma-re il glutine.

Questa operazione è per lo più ef-fettuata in macchine sotto vuoto perevitare che l’inclusione di piccole bolled’aria e l’ossidazione dei pigmenti nativi

della semola provochino perdite di lu-centezza e attenuazioni di colore.

L’impasto viene poi spinto dalla vitedi compressione verso la trafila, piastradi bronzo (materiale in grado di soppor-tare le pressioni presenti all’interno del-la macchina) recante fori diversi a se-conda del formato desiderato e gene-ralmente ricoperti di teflon per ottenereuna superficie liscia nel prodotto. L’im-piego della trafila di solo bronzo, al con-trario, dà una rugosità superficiale che,secondo alcuni consumatori, è preferi-bile in quanto consente alla pasta ditrattenere meglio il sugo.

Questa fase del processo produtti-vo, denominata estrusione o trafilazio-ne, è sempre accompagnata dallo svi-luppo di notevoli pressioni all’internodella macchina, anche superiori alle100 atm.

La scarsa fluidità della massa pro-duce inoltre forti attriti con aumenti ditemperatura, effetto indesiderato inparte controllabile rendendo termostati-co il cilindro stesso a temperature di40-45 °C. Temperature superiori favori-rebbero il rigonfiamento dei granulid’amido e la coagulazione delle protei-ne in ammassi disordinati: entrambiquesti fenomeni avrebbero ripercussioninegative sulle proprietà in cottura delprodotto finito.

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Gli attuali sistemi di controllo degliimpianti permettono di evitare danni alprodotto: la pasta appena uscita dallatrafila rispecchia fedelmente le caratte-ristiche di qualità della semola utilizzata.Le innovazioni apparse nel corso deglianni a carico di questa prima fase delprocesso di pastificazione, anche le piùrecenti, hanno riguardato prevalente-mente l’ottimizzazione da un punto di vi-sta ingegneristico delle prestazioni dellamacchina, ma non hanno sostanzialmen-te cambiato le modalità con cui l’impastoviene formato.

Il prodotto appena estruso, la pastafresca, presenta un contenuto di umi-dità del 30% circa, caratteristica che lorende poco conservabile alle condizioniambiente.

L’essiccazione ha dunque lo scopodi abbassare la sua umidità fino al12,5%, valore massimo imposto dallanostra legislazione e che assicura con-dizioni di acqua libera (aw) inferiori a0,4, tali da impedire la proliferazione in-desiderata di microrganismi e ridurre nu-merose attività enzimatiche. Allo stessotempo il prodotto acquisisce sapore,aroma e consistenza caratteristici. L’es-siccazione ha sempre rappresentato, eresta ancora oggi, l’operazione crucialedi tutto il processo di pastificazione: nesono un chiaro indice la superficie ri-

chiesta per lo sviluppo degli essiccatoi, itempi richiesti per l’operazione (che va-riano a seconda del formato ma che re-stano, anche per il ciclo più breve, di al-cune ore) e le innovazioni dedicate a ta-le momento.

Essiccare una pasta non vuol diresolo far evaporare dell’acqua: tale ope-razione deve avvenire nel rispetto dellastruttura chimico-fisica del prodotto.

Vanno soprattutto evitate le tensioniche si possono creare nelle diverse zo-ne e tra i componenti della pasta, dovu-te sia a disomogenee distribuzioni d’ac-qua tra regioni superficiali e regioni in-terne sia a diverse affinità per l’acquatra proteine e amido.

La pasta deve ridurre la propria umi-dità (e il proprio volume) in modo unifor-me e omogeneo.

Fino al secolo scorso la buona riu-scita dell’essiccazione dipendeva solodall’abilità del pastaio e dall’esistenza diparticolari condizioni ambientali-climati-che come quelle delle aree prospicientiil golfo di Napoli e il golfo di Genova.Un ciclo di essiccazione per pasta lungapoteva durare anche più giorni ed esi-geva numerosa manodopera. I progres-si tecnologici avvenuti all’inizio di questosecolo hanno reso finalmente indipen-dente l’essiccazione dalle condizioni cli-matiche: a partire dagli anni ’40, l’ope-

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razione cominciò a essere condotta ingallerie a clima artificiale in cui l’aria po-teva essere condizionata per tempera-tura e umidità, controllandone così lecapacità di adsorbimento d’acqua.

Qualsiasi ciclo di essiccazione dellapasta può essere per semplicità divisoin due fasi: il primo stadio è denominatodi pre-essiccazione o di incartamento(dal nome “carta” attribuito alla sottilecrosta superficiale che viene a formar-si); si instaurano i presupposti per otte-nere un prodotto senza difetti. In questafase la pasta può perdere velocementeacqua, fino ad un terzo di quella ag-giunta durante l’impastamento.

Terminata la fase di incartamento,l’umidità presente nella pasta (comedetto circa il 18-20%) è differentemen-te distribuita fra superficie più secca(anche 15% di umidità) e parte interna,dove il contenuto d’acqua è del tuttoconfrontabile a quello della pasta appe-na estrusa.

Nella seconda fase del ciclo di es-siccamento, la cui durata è di gran lun-ga superiore a quella di incartamento,sono previsti periodi cosiddetti di “rinve-nimento” o “riposo” in ambienti ad altaumidità, necessari per consentire unadistribuzione omogenea di umidità all’in-terno del prodotto. Si evitano così fissu-razioni nella pasta (bottature), a seguito

delle tensioni di tipo fisico tra le zone adiverso contenuto di umidità.

Fino a una decina di anni or sono ilciclo di essiccazione prevedeva mo-menti di essiccazione, o di “ventilazio-ne”, alternati a momenti di riposo, otte-nuti scegliendo convenientemente lecondizioni igrometriche all’interno degliessiccatoi.

Oggi le moderne macchine sonoprogettate per effettuare in una sola fa-se l’evaporazione dell’acqua, cui segueuna lunga fase di stabilizzazione per ot-tenere una distribuzione d’umidità uni-forme. Al termine dell’essiccazione lapasta viene raffreddata a temperaturaambiente prima del suo confeziona-mento. Fino agli anni ’70 le temperatu-re massime utilizzate in essiccazioneerano di 50-55 °C (oggi definite bassetemperature o LT). In tali condizionierano necessarie anche più di 24 oreper essiccare certi formati lunghi.

Potevano così instaurarsi fermenta-zioni, alcune delle quali desiderate inquanto apportavano al prodotto caratteri-stici gusti e aromi, ma non si osservava-no significative modificazioni delle pro-prietà funzionali dei componenti della se-mola: la qualità in cottura risultava stret-tamente correlata alla qualità della ma-teria prima utilizzata: pastificare un’ottimasemola era, in quegli anni, la sola garan-

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zia per ottenere un prodotto con buoneproprietà in cottura.

Le innovazioni tecnologiche in que-sto scenario furono ovviamente legatealla ricerca di una maggiore economi-cità del processo, accompagnata dauna maggior igienicità e costanza diqualità del prodotto.

Una delle soluzioni più logiche e tec-nologicamente più semplici fu quella diinnalzare le temperature, fino a 70-90 °Ce oltre (diagrammi ad alta temperaturao HT), condizioni che consentirono unadrastica riduzione dei tempi di processo,fino a 10 volte (4-8 ore a seconda deiformati), e conseguentemente, offrironosensibili vantaggi di natura economica,igienica e sensoriale (colore più intensodella pasta secca).

Del tutto inattesi furono i migliora-menti osservabili a livello della qualità incottura del prodotto, talvolta con risul-tati sorprendenti rispetto alle caratteri-stiche della materia prima, correlati allemodificazioni indotte dai trattamenti HTa carico dell’amido e, soprattutto, delleproteine: queste ultime, infatti, in condi-zioni di temperatura e umidità opportu-ne (a partire dai 70 °C con umidità delcampione inferiore al 16-18%), coagu-lano e creano, già nel prodotto crudo,un reticolo assai simile a quello che siviene a formare in cottura, efficace nel

contrastare fin dai primi momenti un ec-cessivo rigonfiamento dei granuli d’ami-do e, quindi, un’elevata collosità e as-senza di nerbo nella pasta cotta.

Le modificazioni associabili ai dia-grammi di essiccazione HT non sonotuttavia solo positive. Queste condizioniinfluiscono sensibilmente su alcuneproprietà sensoriali, provocando un ap-piattimento di gusto ed un eccessivoimbrunimento, ma, soprattutto, un dan-no termico non trascurabile nella pastasecca, di cui verrà discusso il significatoin seguito.

Valore nutrizionaledella pasta

La composizione e il valore nutrizio-nale della pasta secca presentano, ov-viamente, tutti gli aspetti positivi e ne-gativi del grano da cui essa è prodotta.Nella Figura 9 è riportata la composizio-ne di 100 g di questo alimento, infor-mazione che oggi la maggior parte delleaziende produttrici riporta sulla confe-zione, e la distribuzione percentuale dicalorie fornite dai singoli principi nutriti-vi, confrontata quest’ultima con quellasuggerita dall’Istituto Nazionale dellaNutrizione (Livelli di Assunzione Racco-mandati di Nutrienti – LARN).

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12%

proteine4,9%

grassi4,8%

carboidrati30,0%

minerali0,3%acqua

60,0%

minerali 0,8%

grassi 1,2%

proteine 11,6%acqua 12,6%

carboidrati 73,7%

Raccomandazione LARN

Pasta cruda

Pasta cotta e condita

62%

26%

83,8%

3,1%13,1%

60%

25%

15%

proteinegrassicarboidrati

COMPOSIZIONE SOMMARIA

RIPARTIZIONE DELL’APPORTOCALORICO NEI NUTRIENTI

Figura 9

Composizione innutrienti e lororipartizione caloricanella pasta alimentarecruda e dopo cottura eaggiunta di condimento(salsa di pomodoro, olioe formaggio grana):confronto con leraccomandazioni deiLARN.

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La pasta secca non può essere con-siderata un alimento equilibrato: manca-no infatti quasi completamente i lipidi.Inoltre il valore biologico delle proteine èlimitato, soprattutto a causa del bassocontenuto in lisina. Tuttavia le 350 kCalassunte mediamente con 100 g di pa-sta cruda, fornite principalmente dal-l’amido, non devono essere viste in ter-mini negativi.

L’amido è oggi considerato un com-ponente calorico ottimale per l’uomo,specie se confrontato con carboidratipiù semplici la cui assunzione è, nelladieta di tipo occidentale, in eccesso. Lapasta è sempre consumata cotta e incombinazione con altri alimenti. La piùcomune integrazione è quella rappre-sentata dal condimento che prevedesolitamente prodotti vegetali (olio e po-modoro nella più semplice delle salse) eformaggio tipo grana.

In questo modo non solo si elevasensibilmente il valore quali-quantitativodelle proteine, ma si ha una ripartizionedell’apporto calorico del tutto confron-tabile con quello che una dieta equili-brata dovrebbe possedere.

Se è vero che la qualità nutrizionaledella pasta è correlata ai componenti inessa presenti, è altrettanto vero che itrattamenti tecnologici possono modifi-care la disponibilità di alcuni nutrienti.

In particolare i cicli HT, oggi così lar-gamente diffusi a causa dei numerosivantaggi già ricordati, possono produrreun elevato danno termico, ascrivibileprincipalmente alla reazione di Maillard,facilmente quantificabile attraverso il do-saggio di particolari molecole, la più co-nosciuta delle quali è la furosina (Fig.10). Tale marker dell’intensità del dannotermico si viene a formare per idrolisiacida dai cosiddetti composti di Amadori,rappresentativi della prima fase dellareazione di Maillard.

Queste modificazioni, oltre a poterincidere negativamente su alcune ca-ratteristiche sensoriali della pasta secca(colore e sapore anomali), causano unadiminuzione del contenuto di lisina bio-disponibile, fino al 40% della quotaoriginariamente presente nella semola,e la comparsa di composti di neoforma-zione, tipici della crosta dei prodotti daforno e che si formano per degradazio-ne dei composti di Amadori (es. pirro-loaldeidi, ecc.).

L’impoverimento in lisina subìto dalprodotto è un aspetto che il consuma-tore difficilmente può valutare in manie-ra diretta ma che potrebbe essere inse-rito nelle informazioni nutrizionali pre-senti sulle confezioni.

Sebbene questa perdita possa es-sere recuperata attraverso l’integrazio-

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ne con il condimento (es. formaggio,carne, ecc.), è importante sottolineareche l’aggiunta di proteine animali ha uncosto sicuramente più elevato di quellodelle proteine del prodotto di partenza.

Le future innovazioni in questo set-tore dovranno tenere in considerazioneanche questi aspetti.

La pasta alimentarefresca

Il mercato delle paste fresche, seb-bene di dimensioni ridotte se confronta-to con quello della pasta secca, è in

grande e continua espansione. Tra i diversi motivi che giustificano

questo successo, vi è sicuramente ilforte legame nel consumatore tra ideadi “freschezza” di un alimento e produ-zione a livello artigianale, con limitataconservabilità nel tempo. Questo crite-rio di classificazione è assai lontano daquello utilizzato dalla nostra legislazione,che definisce, come già sottolineato(vedi Tab. 5), la pasta fresca unicamen-te sulla base del parametro “umidità”.

Attualmente sono commercializzatepiù tipologie di pasta fresca, differentiper la loro conservabilità.

Accanto al prodotto tipico del labo-

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Semola

Pasta estrusa

Pasta frescafatta in casa

Pasta frescaindustriale

Bassatemperatura

(55 °C)

Altatemperatura(> 75 °C)

Furosinamg/100 gproteina

Perditadi lisinalys/100 lys tot.

3-9

9-10

13-20

13-120

10-15

40-80

300-700

0,2-0,6

0,6-0,7

0,9-1,4

0,9-8,4

0,7-1,1

2,8-5,6

21-49

Pastaessiccata

Impasto

Figura 10

Intensità di dannotermico (livello di furosina) in alcuniprodotti della filiera del grano duro.

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ratorio artigianale, la pasta fresca nonconfezionata, la cui conservabilità si limi-ta a 3-4 giorni, si trovano prodotti la cuivita commerciale è assai prolungata: da30-40 giorni fino a 120 giorni. Questorisultato è raggiungibile utilizzando unoo due trattamenti termici di pastorizza-zione, il confezionamento in atmosfera“protettiva” (escludendo cioè l’ossigenomediante atmosfere di azoto e/o anidri-de carbonica) e mantenendo il prodottonella catena del freddo (4-8 °C).

Tali condizioni garantiscono un ido-neo profilo igienico dell’alimento, aspet-to assai critico soprattutto nel caso chela formulazione contenga uova (ingre-diente generalmente previsto per i posi-tivi effetti a livello tecnologico) e, comenelle paste speciali e farcite, altri derivati

di origine animale e/o vegetale (carne,formaggi, verdure, ecc.). Queste mate-rie prime, infatti, veicolano assai fre-quentemente microrganismi patogenicome salmonelle e stafilococchi.

Le diversità rispetto alla pasta sec-ca si estendono anche ad altri aspettidel prodotto: è infatti possibile utilizzarenella formulazione anche farina di granotenero; il processo tecnologico di for-matura dell’impasto in una sfoglia ècondotto per laminazione attraverso ci-lindri: questa tecnologia, la cui produtti-vità è largamente inferiore a quella delprocesso d’estrusione sotto pressione,consente di strutturare al meglio il reti-colo proteico del glutine, anche in ma-terie prime meno idonee alla pastifica-zione, quale è la farina.

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Il pane, prodotto ottenuto dalla cot-tura di un impasto a base di farina, ac-qua e lievito, ha origini più antiche diquelle di ogni altro alimento.

In molte religioni il pane è statoconsiderato, e viene tuttora considera-to, come simbolo sacro. Al tempo degliantichi Egizi era usato nei riti religiosi eveniva gettato nel Nilo in omaggio aglidèi, mentre i Greci lo ritenevano di taleimportanza da erigere templi alla Deadel pane.

Nei più antichi processi di panifica-zione il grano veniva frammentato econsumato come una pasta acquosa,solo più tardi fu macinato in molini pri-mitivi e poi setacciato.

La farina ottenuta era impastata esagomata in grossi pani, cotti su piastreroventi o direttamente sul fuoco.

Il passo successivo fu la cotturadell’impasto fermentato; gli antichiEbrei distinguevano infatti tra panelievitato e pane non lievitato (pane az-zimo).

La conoscenza della fermentazionevenne in seguito tramandata a Greci eRomani.

Nell’antica Roma si conoscevanodecine di qualità differenti di pane,spesso ottenuto con crusca o miscelan-do cereali meno “nobili” del grano tene-ro per i consumatori delle classi più po-vere.

A quel tempo i panettieri cuocevanoil pane in forni di pietra o di argilla e lapanetteria faceva frequentemente partedi un complesso comprendente ancheun molino e una fabbrica di birra.

Nelle cittadine medioevali si registròun incremento notevole nel numero del-le panetterie, ancora associate a molinie fabbriche di birra.

La formulazione base e le principalifasi del processo di produzione del pa-ne sono rimaste sostanzialmente inva-riate nel corso dei secoli sebbene, inmolti paesi, il processo di panificazionesia stato progressivamente automatiz-zato e reso “continuo”.

Il pane

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Definizione di prodotto

La legge n. 580 del 4/7/1967 de-finisce il pane come il “prodotto ottenu-to dalla cottura totale o parziale di unapasta convenientemente lievitata, pre-parata con sfarinati di grano, acqua elievito, con o senza aggiunta di sale co-mune” .

Se l’impasto è costituito solamentedagli ingredienti suddetti, il pane è de-nominato comune, mentre se vi sonoanche altri ingredienti si ha il pane spe-ciale.

Il pane comune è classificato in di-versi tipi a seconda del tipo di farinaimpiegata: “pane di tipo 00”, se prodot-to con farina di grano tenero di tipo 00,“pane di tipo 0”, se prodotto con farinadi grano tenero di tipo 0, e così via perle altre tipologie di farina di grano tene-ro, “pane di semola” e “pane di semo-lato”, prodotti rispettivamente con se-mola o semolato di grano duro o lororimacine.

La nostra legislazione non prevedeattualmente la panificazione di misceledi farina e semola.

Gli altri ingredienti permessi nei panispeciali devono far parte di una lista po-sitiva, indicata all’articolo 20 della stessalegge. Lo scopo del loro utilizzo può es-sere semplicemente quello di rendere il

pane più appetibile, o anche di miglio-rarne la qualità (ad esempio rallentare ilraffermimento, come nel caso del panespeciale all’olio).

È inoltre permesso l’impiego di fari-na di cereali maltati, estratti di malto, al-fa e beta amilasi. Per esigenze tecnichedi produzione di particolari forme di pa-ne è ammessa la spalmatura con burro,olio d’oliva (escluso quello di sansa ret-tificato) e strutto. È assolutamente vie-tato aggiungere all’impasto residui dipane.

Poiché il pane deve essere vendutoa peso, la legge n. 580 stabilisce ilmassimo contenuto in umidità del panea cottura ultimata, in funzione della pez-zatura.

È possibile vendere pane parzial-mente cotto, surgelato o non, sia alconsumatore finale, sia a operatori in-termedi.

Tale prodotto deve essere confezio-nato e recare in etichetta, oltre all’indi-cazione che si tratta di un pane precot-to, anche una serie di altre informazioni,tra cui le modalità di cottura per render-lo commestibile.

Nel caso di pane surgelato, è ne-cessario specificare in etichetta che sitratta di pane surgelato, oltre alle indi-cazioni previste per tutti i prodotti sur-gelati.

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Materie prime e tecnologia di produzione

Gli ingredienti base utilizzati in unimpasto per panificazione sono la fari-na, l’acqua, il lievito e il sale. La farinaè l’elemento strutturante nelle fasi diimpastamento, lievitazione e cottura.

Durante l’impastamento, in seguitoall’aggiunta di acqua e all’apporto dienergia, si ha la formazione del glutine,struttura a maglia tridimensionale, in cuirimane intrappolato l’amido.

Il glutine possiede caratteristiche vi-scose (conferitegli dalle gliadine) edelastiche (grazie alle glutenine) e taliproprietà gli permettono di distendersisotto la pressione dei gas di fermenta-zione e di trattenerli. Durante la cotturala struttura glutinica si irrigidisce in se-guito alla denaturazione proteica, man-tenendo così la forma e il volume delpane.

Altro ingrediente fondamentale èl’acqua, aggiunta in dosi variabili da 40a 65 parti per 100 parti di farina, a se-conda del tipo di pane e del metodo dilavorazione.

L’azione dell’acqua non si ferma allaformazione del glutine: essa regola le at-tività enzimatiche, idrata i granuli d’ami-do durante la cottura ed esplica un’azio-

ne solvente per altri ingredienti quali ilglucosio, il saccarosio, il sale e il latte inpolvere.

Il principale ruolo del lievito (gene-ralmente Saccharomyces cerevisiae) èla conversione dei carboidrati fermente-scibili presenti nell’impasto in anidridecarbonica ed etanolo.

Il gas che si forma determina l’au-mento di volume dell’impasto durante lafase di lievitazione e provoca, in tal mo-do, importanti modificazioni nella strut-tura del prodotto.

Le maggiori funzioni del sale, pre-sente generalmente in percentuali del-l’1-2% sul peso della farina, sono es-senzialmente sensoriali e secondaria-mente strutturali per la sua capacità diincrementare la “forza” dell’impasto,presumibilmente attraverso legami salinicon le proteine del glutine.

Come accennato precedentemen-te, nei pani speciali è permessa l’ag-giunta di altri ingredienti, tra i quali si ri-cordano gli zuccheri, i grassi, l’estrattodi malto o la farina di cereali maltati el’acido ascorbico.

Gli zuccheri rappresentano una fon-te di carboidrati per i lieviti e contribui-scono a migliorare il gusto e il coloredel pane. Gli shortening (grassi anidri),sono aggiunti all’impasto in ragione del4% circa sulla farina.

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Il pane speciale con l’aggiunta digrassi si ottiene, invece, addizionandoall’impasto burro, strutto o olio d’oliva inquantità tale che la materia grassa rap-presenti almeno il 4,5% della sostanzasecca nel prodotto finito. Il principaleruolo tecnologico degli shortening, sepresenti in percentuale ridotta, è quellolubrificante: facilitano infatti lo scorri-mento tra le macromolecole del glutineche sarà caratterizzato da una maggioreestensibilità prima della rottura (mag-giore volume del prodotto finale). Inoltrei grassi stabilizzano le bolle d’aria crea-tesi durante l’impastamento, evitandoche queste si fondano in bolle di mag-giori dimensioni dando origine a una al-veolatura fine e regolare della mollica.

Durante la conservazione i lipidi pre-vengono le interazioni tra i granuli d’ami-do, rendendo più lenta la retrogradazio-ne dell’amido, e ostacolano i fenomenidi migrazione d’acqua tra amido e pro-teine, rallentando il raffermimento. Tuttociò si traduce in un aumento della vitacommerciale (shelf-life) del prodotto.

L’impiego di estratti di malto o fari-na di cereali maltati permette di arric-chire l’impasto di enzimi in grado discindere l’amido in zuccheri fermente-scibili, substrato per i lieviti nella fase difermentazione.

L’addizione di malto consente quin-

di un rapido avvio della lievitazione au-mentando il volume del pane e miglio-randone l’alveolatura.

L’acido ascorbico, l’unico additivoammesso nella farina dalla nostra legi-slazione, viene aggiunto a livelli di partiper milione per la sua capacità di favori-re la formazione di ponti disolfuro tra leproteine del glutine aumentando la for-za dell’impasto.

Anche se vi sono differenze tra letecnologie attualmente utilizzate per laformazione dell’impasto, si può affer-mare che il diagramma per la produzio-ne del pane sia sostanzialmente costi-tuito dalle operazioni unitarie riportatenella Figura 11.

Ciascuna delle fasi viene condottaper raggiungere specifici obiettivi e com-porta una serie di modificazioni nel pro-dotto, come viene schematicamente in-dicato nella Tabella 6.

La produzione di pane è tradizional-mente un processo di tipo discontinuoin quanto le diverse fasi di impastamen-to, di lievitazione e di cottura sono con-dotte su quantità discrete di materiale ein impianti separati. Verso la fine deglianni ’50, vennero introdotti negli StatiUniti alcuni processi di panificazione incontinuo, in cui il dosaggio degli ingre-dienti e le successive operazioni avveni-vano senza alcuna interruzione.

M. Lucisano, M.A. Pagani

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Queste tecnologie sono poco diffu-se in Italia per la produzione di pane,mentre trovano maggiore successo neipaesi anglosassoni, o nella produzionedi altri prodotti da forno.

I processi di panificazione discontinuipossono essere realizzati adottando unmetodo diretto o un metodo indiretto,quest’ultimo differenziabile in una tec-nologia che prevede la preparazionedella cosiddetta biga (Fig. 12) e in unprocesso che fa uso di un lievito natu-rale o madre acida (Fig. 13).

Nel metodo diretto tutti gli ingre-dienti sono miscelati contemporanea-mente per formare l’impasto che viene

lasciato lievitare. Dopo la fermentazio-ne, l’impasto è suddiviso in parti dellapezzatura voluta, modellato e postonuovamente a lievitare prima della suacottura.

Nei processi indiretti gli ingredientisono aggiunti in più riprese, durante icosiddetti rinfreschi dell’impasto.

Secondo il metodo con biga si ha laformazione di un impasto preparatorio(detto appunto biga), ottenuto misce-lando parte del lievito compresso (dun-que di colture selezionate di microrgani-smi), della farina e dell’acqua previstanella formulazione.

Dopo un periodo di lievitazione va-

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IMPASTAMENTO

LIEVITAZIONE

FORMATURA

COTTURA

RAFFREDDAMENTO

CONDIZIONAMENTO

Figura 11

Le principali operazionidel processo dipanificazione.

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riabile da 10 a 20 ore, in funzione dellatipologia di pane che si vuole produrre,si aggiungono gli altri ingredienti.

L’impasto finale, generalmente do-

po mezz’ora di lievitazione, è tagliato,modellato, ancora lasciato lievitare percirca un’ora e mezza e infine cotto.

Il metodo con lievito naturale preve-

M. Lucisano, M.A. Pagani

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Operazione Obiettivi Modificazioni

Impastamento • Distribuire in modo omogeneo • Idratazione e gli ingredienti solubilizzazione

• Formazione di una struttura dei composti idrofilicoerente • Formazione del glutine

• Inglobamento d’aria

Lievitazione • Aumentare il volume • Formazione di gasdell’impasto • Produzione di metaboliti

• Sviluppare caratteristiche di fermentazione, che aromatiche tipiche influenzano la solubilità

dei vari componenti e danno precursori dell’aroma

Formatura • Dare forma all’impasto • Suddivisione dell’impasto a seconda delle pezzature finali

Cottura • Stabilizzare l’impasto aerato • Aumento di volume causa e formato evaporazione dei gas

• Rendere appetibile l’impasto di fermentazione.• Dare al prodotto la tipica Il 20-30% del volume

colorazione finale si ottiene in fase di cottura (fenomeno detto oven spring)

• Denaturazione delle proteine

• Gelatinizzazione dell’amido

• Sviluppo di aroma e sapore

• Eliminazione di acqua

Raffreddamento • Permettere l’eventuale • Cambiamento della condizionamento del prodotto solubilità degli zuccheri,

che solidificano• Solidificazione dei grassi

Condizionamento • Proteggere il prodotto a livello • Modificazione meccanico, fisico, chimico, dell’atmosfera esterna biologico e interna al prodotto

Tabella 6

Principali modificazioniosservabili nellemacromolecole duranteil processo dipanificazione.

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Lievito compresso1600 g

900 700

Farina100 kg

30 70

Acqua60 kg

35 25

Malto500-1000 g

Primoimpastamento

“Biga”

Prima lievitazione(10-20 ore)

“Biga” matura

Secondoimpastamento

Impasto finale

Riposo“puntata” (20-30')

Spezzaturae formatura

Impastitagliati e modellati

Lievitazione finale“appretto” (70-90')

Cottura (30')

PANE

Sale2 kg

Figura 12

Schema di flusso del processo dipanificazione indirettomediante “biga”.

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M. Lucisano, M.A. Pagani

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Lievitocompresso840-1800 g

Lievito naturale“madre acida”

2 kg

Farina100 kg

80 16 4

Acqua60 kg

2 8 50

Primo impastamento“primo rinfresco”

Prima lievitazione(8-12 ore)

Primo impasto

Secondoimpastamento

“secondo rinfresco”

Impastamento finale

Lievitazione finale“appretto” (70-90')

Cottura (30')

PANE

Sale2 kg

Seconda lievitazione(8-11 ore)

Impastitagliati e modellati

Riposo “puntata”(1 ora)

Spezzaturae formatura

Secondo impasto

Figura 13

Schema di flusso del processo dipanificazione indirettomediante “madre acida”.

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de l’impiego di un innesto rappresenta-to da una parte dell’impasto del giornoprecedente, opportunamente fermenta-to e conservato in ambiente refrigerato.

Nell’impasto sono presenti, oltre aiSaccharomyces, batteri, prevalente-mente lattobacilli omofermentanti edeterofermentanti. Generalmente si ope-ra per rinfreschi successivi, seguiti cia-scuno da una fase di lievitazione del-l’impasto.

Con i processi indiretti si ottiene unpane con caratteristiche organolettichemigliori e con una maggiore durabilitàrispetto al pane ottenuto con metododiretto.

Inoltre, l’uso di un lievito naturalecomporta notevoli vantaggi quali unapiù prolungata shelf-life del prodotto,grazie alla maggiore acidità dell’impa-sto, in grado di rallentare lo sviluppo dimuffe. Il prodotto è caratterizzato dauna alveolatura più fine e regolare, gra-zie ad una più lenta e graduale produ-zione di CO2, in virtù della maggiore du-rata della fermentazione.

Inoltre, presenta un sapore e unprofumo caratteristici, dovuti alla forma-zione di sostanze organiche volatili (pro-dotti secondari di fermentazione) e disostanze aromatiche che si formano incottura in seguito a reazioni di Maillardtra glucosio e aminoacidi liberati duran-

te il lungo processo di fermentazione.Non bisogna infine dimenticare che ilpane prodotto con il lievito naturalesembra presentare una più elevata di-geribilità, a causa di una più prolungataazione enzimatica.

D’altro canto, usando il lievito com-presso si ha un processo più rapido e lapossibilità di usare farine di forza infe-riore, in quanto devono sopportare unminor tempo di lievitazione.

I principali processi continui (pro-cessi Do-Maker e Amflow) prevedonola preparazione di un prefermento liqui-do costituto da zucchero, lievito, acqua,materiale nutritivo per i lieviti ed even-tualmente una piccola percentuale difarina.

Questa fase, durante la quale si halo sviluppo del lievito e la produzionedegli aromi del pane, è seguita da unaseconda fase di impastamento finale.Spesso, alla lievitazione biologica vieneaffiancata una lievitazione di tipo fisico(metodo Chorleywood), ottenuta per in-globamento di aria in un impasto fluido,o per forte azione meccanica da partedelle impastatrici o per insufflamento diaria sotto pressione nell’impasto.

In questo processo è necessarioutilizzare una farina tenace in grado diresistere alle sollecitazioni meccanichee addizionare emulsionanti e grassi che

Cereal i e derivat i

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agevolano l’incorporazione dell’aria nel-l’impasto.

L’operazione conclusiva di qualsiasiprocesso di panificazione è rappresen-tata dalla cottura, condotta in forno ge-neralmente a temperature comprese tra180 e 220 °C per tempi proporzionalialla pezzatura del prodotto. La cotturainduce trasformazioni radicali all’impa-sto lievitato che acquisisce così le ca-ratteristiche peculiari di un “prodotto daforno”. Le modificazioni sono comples-se e interessano tutti i componenti pre-senti nell’impasto lievitato. Fino a che latemperatura dell’impasto si mantieneinferiore ai 50 °C, possono proseguirele attività enzimatiche e fermentative. Aldi sopra di tale temperatura i gas di lie-vitazione, l’anidride carbonica e i vaporidella miscela etanolo-acqua, si espan-dono in maniera sempre più vistosa.

Contemporaneamente i lieviti vannoincontro a una morte rapida, buona par-te delle attività enzimatiche si riduce einizia ad aver luogo, con intensità diver-sa a seconda della quantità d’acquapresente, il fenomeno della gelatinizza-zione dell’amido (negli impasti non vi èacqua a sufficienza perché si possamanifestare anche la dispersione colloi-dale dell’amido).

Le proteine del reticolo glutinico,che si sono ulteriormente estese a se-

guito della dilatazione termica dei gas dilievitazione (fenomeno dell’oven spring)vanno incontro a denaturazione, per-dendo così la loro capacità di estender-si: la forma del pane si stabilizza e sifissa anche la struttura alveolata dellamollica.

Verso la fine della cottura si rag-giungono all’interno del prodotto tem-perature vicine ai 100 °C: tale valorenon è mai superato in quanto durantetutto il periodo della cottura si osserval’evaporazione dell’acqua. Solo a livellodel sottile strato di crosta la temperatu-ra si avvicina a quella del forno, rag-giungendo e oltrepassando i 150 °C.

La cottura rappresenta un’operazio-ne fondamentale non solo per l’acquisi-zione delle caratteristiche di aroma e digusto tipiche del pane (conseguenti allareazione di Maillard, alla formazione dipirodestrine, a reazioni di pirolisi di car-boidrati e proteine), ma anche per l’al-lontanamento di una buona parte del-l’acqua presente nell’impasto in modoche nel prodotto non siano oltrepassati ilimiti massimi imposti dalla legislazione.

La cottura può essere considerataun processo di spinta pastorizzazione inquanto non produce gli effetti di un pro-cesso di sterilizzazione: all’interno delprodotto possono rimanere vitali sporebatteriche e fungine.

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Una prolungata conservazione delpane è possibile solo se nel prodottosono addizionate sostanze conservanti,quali agenti antifungini. È comunqueimportante ricordare che qualsiasi tipodi pane può essere soggetto, dopo cot-tura, a nuove contaminazioni a seguitodelle operazioni di manipolazione, di ta-glio, trasporto e contatto con superficisporche: le difese “naturali” del prodottoconsistono essenzialmente nella bassaattività dell’acqua della crosta: questecondizioni, pur non consentendo la pro-liferazione dei microrganismi, ne garan-tiscono la sopravvivenza.

Accanto alle numerose unità pro-duttive a carattere artigianale, a partiredalla seconda metà degli anni ’80, si èsviluppato il settore della panificazioneindustriale il cui prodotto copre circa il10% del mercato italiano di pane. Per ilsuccesso di questo comparto industria-le sono risultati determinanti la capillareespansione della grande distribuzione el’individuazione di materiali di confezio-namento idonei per questa tipologia diprodotto.

L’industria della panificazione pro-pone sia pane di tipo tradizionale, gior-nalmente posto in commercio previoopportuno confezionamento, sia paneparzialmente cotto.

Quest’ultimo, commercializzato co-

me prodotto refrigerato o dopo una fa-se di congelamento, completa il propriociclo di cottura a livello domestico, neiservizi di ristorazione collettiva o ancora,più frequentemente, presso il repartopanetteria di grosse catene distributive.

È questo un tentativo per fornire alconsumatore un pane fresco, appenasfornato, superando il problema del ra-pido decadimento di qualità nel prodot-to preparato presso il panettiere o pres-so l’azienda di panificazione e conser-vato al dettaglio per l’intera giornata.

Si è inoltre recentemente sviluppatol’uso di impasti surgelati, utili soprattut-to per piccoli panifici, per i bar nel casodi prodotti di pasticceria tipo brioche eper il reparto di panetteria dei super-mercati dove la fase di scongelamentoe cottura può essere realizzata anchead opera di personale non esperto, ne-cessario altresì nelle prime fasi del pro-cesso di panificazione.

La tecnica della surgelazione è sta-ta applicata non solo al pane precotto,ma anche ai prodotti da forno a cotturaultimata, sempre con l’intento di ritarda-re il raffermimento del prodotto e pre-servarne quindi le caratteristiche di fre-schezza.

Fase tecnologica comune alle di-verse tipologie di prodotto precedente-mente citate, che le differenzia dal pane

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tradizionale artigianale o industriale, è ilprocesso di congelamento. Al fine di ot-tenere un prodotto di qualità, è essen-ziale che quest’operazione venga con-dotta con impianti e operando in condi-zioni di processo tali da superare rapi-damente la zona di temperature com-prese tra 10 e –5 °C.

Infatti, solo con una rapida riduzio-ne di temperatura si induce la formazio-ne di numerosi cristalli di ghiaccio dipiccole dimensioni che, a differenza diquelli di grosse dimensioni ottenibili conun processo di congelamento lento,non alterano le caratteristiche funzionalie strutturali degli impasti, dei pani pre-cotti o dei prodotti finiti.

Velocità di congelamento molto ele-vate sono ottenibili con congelatori sta-tici ad armadio o con tunnel di congela-mento in continuo operanti con azoto li-quido quale fluido criogenico; velocitàpiù modeste si realizzano, invece, consistemi di congelamento ad aria ventila-ta, anche se notevolmente superiori aquelle ottenibili nelle classiche celle dicongelamento.

Ulteriori punti critici per la qualitàdei prodotti congelati sono il confezio-namento del prodotto e le sue condizio-ni di conservazione in quanto è essen-ziale evitare perdite d’umidità durante idiversi passaggi della catena distributiva

e limitare i fenomeni di ricristallizzazionedel ghiaccio, indotti principalmente dafluttuazioni di temperatura.

Valore nutrizionaledel pane

Il pane è uno dei componenti fonda-mentali della dieta mediterranea. Con-trariamente a quanto si possa pensare,i consumi di pane in Italia, all’incirca65-67 kg/pro capite/anno, non sonotra i più alti in Europa: non va infatti di-menticato che nella nostra dieta copreun ruolo fondamentale anche la pasta,alimento che, dal punto di vista nutrizio-nale, presenta analogie con il pane.

È tuttavia risaputo che nel corsodegli ultimi 40 anni il consumo di panenel nostro paese si è quasi dimezzatomentre sono sempre più diffusi, a cau-sa di profondi cambiamenti sia nel te-nore e nello stile di vita sia nelle abitudi-ni alimentari, prodotti di origine indu-striale (crackers, grissini, fette biscotta-te, ecc.) che possiedono un elevatocontenuto di servizio e sono indicati perspuntini veloci.

Le differenze tra pane integrale epane “bianco” da farina raffinata sonodel tutto trascurabili a livello energeticoe assai più importanti a livello di singoli

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costituenti. Il pane bianco possiede in-discutibilmente una maggiore digeribilitàe una più elevata qualità igienica con-seguenti l’allontanamento delle partiesterne tegumentali che raccolgono an-che le diverse sostanze inquinanti. Il pa-ne integrale facilita la peristalsi intesti-nale proprio per la presenza di fibra in-digeribile.

Indipendentemente dal tipo mer-ceologico e, dunque, dalla materia pri-ma utilizzata, il pane, al pari di tutti glialtri alimenti derivati dai cereali “nondolci” è un alimento altamente energeti-co per via del suo elevato tenore inamido (Tab. 7).

Questa macromolecola a livello nu-trizionale è definita da alcuni Autori co-

me un glucide “lento”, in grado cioè diinnalzare lentamente il tasso glicemicodel sangue.

L’aumento del consumo di prodottiricchi di zuccheri solubili è sicuramenteuna delle cause dell’attuale diffusionedel diabete anche in individui giovani.La presenza in tutti i prodotti da forno diamido non più allo stato nativo, ma ge-latinizzato a seguito della cottura rendeveloce la digestione di questa molecolada parte delle amilasi, a cominciare daquelle salivari.

Recenti ricerche hanno tuttavia evi-denziato l’esistenza in numerosi alimentiamilacei di una frazione di amido nondigeribile dai sistemi enzimatici e perciòdenominata “amido-resistente”.

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Prodotto Umidità Glucidi Fibra Proteine Grassi Energiadigeribili alimen.

% % % % % kcal/100 g

Chicco 14 65 8 11 2 360

frumento

Farina 14,5 75 2 8 0,5 380

tipo 00

Pane 29* 52 7 10 2 300

integrale

Pane 29* 60 2 8 1 310

tipo 00

Pane 29* 55 2 8 5 330

all’olio

Biscotto 5 62 2 6 25 530

Croissant 7 45 2 6 40 600

* valore massimo per pezzature fino a 70 g

Tabella 7

Composizionecentesimale e valoreenergetico di alcuni tipidi pane e di altri prodottida forno.

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Tale frazione si comporta a livellonutrizionale come la fibra dietetica esembrerebbe per lo più formata da ami-do retrogradato. Ne consegue che più ilpane risulta raffermo e l’amido retro-gradato, più il fenomeno assumerà im-portanza.

I processi di cottura del pane, oltrea facilitare l’idrolisi dell’amido da partedelle amilasi, sembrano migliorare an-che la digestione proteica grazie a unamigliore azione degli enzimi proteoliticisulle proteine denaturate.

A livello della crosta, zona dell’ali-mento in cui il tenore d’umidità è assairidotto, si hanno tuttavia perdite assairilevanti di lisina (fino al 40% rispetto al-la materia prima), amminoacido già limi-tante del grano, con conseguente ridu-zione della qualità nutrizionale dell’ali-mento. Il fenomeno responsabile di que-sti cambiamenti è la reazione di Maillardche, a seguito di trattamenti termici, haluogo tra zuccheri riducenti (es. gluco-sio, fruttosio, maltosio) e gruppi ammini-ci liberi (es. ε-gruppo della lisina).

I prodotti finali di questa reazionesono numerosissimi e alcuni sono re-sponsabili del particolare e caratteristicoquadro aromatico dei prodotti da forno.

I lipidi nativi dei cereali sono pre-senti in quantità trascurabili e perciònon sono di interesse nutrizionale, an-

che se è stato dimostrato un loro ruolopositivo in panificazione.

Tale classe di composti raggruppamolecole assai diverse, ma tutte carat-terizzate dal possedere una limitata sta-bilità chimica e fisica: proprio questaproprietà ha motivato da sempre l’allon-tanamento delle regioni ricche di lipidi(germe e strato aleuronico) durante leoperazioni di macinazione del grano.

L’aggiunta di grassi in alcune tipo-logie di pane e nella maggioranza deiprodotti da forno provoca un sensibileincremento del contenuto calorico del-l’alimento (vedi Tab. 7).

Per quanto riguarda i cosiddetticomponenti minori, i costituenti mineralipresenti nel pane rispecchiano esatta-mente quelli della materia prima di par-tenza, con perdite di tali composti tantopiù elevate quanto minore è il tassod’estrazione. Il frumento è infine ritenu-to una interessante fonte di vitamina Ee di alcune vitamine del gruppo B.

È importante sottolineare come l’in-teresse vitaminico del pane sia grande-mente influenzato da un lato dal tassod’estrazione della farina (la raffinazionecomporta perdite stimabili tra il 40 el’80%), dall’altro dalle operazioni tecno-logiche di impastamento e, soprattutto,di cottura, che portano in pratica allascomparsa di questi composti.

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I prodotti da forno (in cui è possibileincludere il pane) rappresentano unafamiglia assai eterogenea ma caratteriz-zata da una comune matrice merceolo-gica in quanto alimenti derivati daglisfarinati dei cereali. È possibile ricono-scere anche altre analogie all’interno diquesto gruppo.

Gli ingredienti “di base”, indispen-sabili per qualsiasi prodotto da forno,sono rappresentati dalla farina, dall’ac-qua e da un agente lievitante. Per quan-to i processi tecnologici possano esserediversi, in ognuno di loro sono semprepresenti le operazione di impastamento,di lievitazione e di cottura: queste fasi insuccessione consentono di trasformarelo sfarinato in un alimento appetibile edigeribile che, a livello macroscopico,presenta una struttura porosa differen-ziata in una crosta friabile e in una parteinterna alveolata.

A livello microscopico è possibile ri-conoscere una struttura reticolare, ilglutine, più o meno sviluppato in una

maglia regolare e omogenea che con-tiene l’amido.

La classificazione dei prodotti daforno può essere basata su numerosicriteri. Un primo criterio (Fig. 14), quellopiù largamente impiegato a livello mer-ceologico, discrimina i prodotti sulla ba-se della loro sofficità, dunque del volu-me specifico e dell’umidità, e della pre-senza nella formulazione di una quantitàdi zucchero apprezzabile a livello senso-riale, corrispondente al 10% del pesodella farina.

I prodotti da forno più semplici performulazione sono dunque i vari tipi dipane. Il parametro “sofficità” esprimeun insieme di proprietà derivanti dal tipodi processo tecnologico, in modo parti-colare dal tipo di lievitazione.

L’aumento in volume della massa èpossibile in quanto l’impasto è capacedi trattenere gas, quali l’anidride carbo-nica che origina dall’attività fermentativadei lieviti, per lo più derivanti da coltureselezionate di Saccharomyces cerevi-

I prodotti da forno

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siae (lievitazione biologica), oppuredalla reazione tra specifici sali (lievita-zione chimica).

Anche l’aria, immessa e inglobatain gran quantità a seguito dell’impasta-mento condotto in particolari condizioni,può essere considerata un gas di lievi-tazione (lievitazione fisica). Gli effettidei diversi tipi di lievitazione sulla strut-tura del prodotto sono riconoscibili an-che a livello macroscopico. La lievitazio-ne biologica, l’unica utilizzabile in panifi-cazione, produce un’alveolatura impor-tante ma eterogenea e, contempora-neamente, l’acidificazione della massa,fenomeno interessante non solo ai fini

sensoriali ma anche reologici (capacitàdi mantenere la forma prima della cot-tura) e di conservabilità del prodotto(prolungamento della shelf-life).

La lievitazione chimica è di granlunga la preferita nei prodotti di biscot-teria e di pasticceria dove è desiderabileun’alveolatura finale del prodotto rego-lare e fine.

Nei prodotti di pasticceria, che co-stituiscono la base di molte torte e me-rendine, tale risultato è da mettere inrelazione non tanto alle proprietà funzio-nali del glutine quanto alla presenza diparticolari ingredienti nella formulazione(es. albume d’uovo) in grado di assicu-

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Lievitazione biologicaRicorrenza: panettone,

pandoro, colombaContinuativi: merendine

Lievitazionechimica e fisica

Continuativi:pluridose (torte)

monodose (merendine)

Lievitazione biologicapane, pane speciale,

pane in cassetta

Lievitazione biologicacrackers, grissini,fette biscottate

Lievitazionechimica e fisica

biscotti, wafer

Zucchero: farina< 1:10

Zucchero: farina> 1:10

Volume specifico:5,5-3,5 ml/gH

2O 18-35%

Volume specifico:1,3-3,3 ml/gH

2O < 10%

dolce

sala

to

soffice

secco

Figura 14

Classificazione deiprodotti da fornosecondo criteri di tipo merceologico e tecnologico.

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rare stabilità alla “schiuma” (o sponge)prodotta con l’impastamento. La con-servabilità di questi prodotti è assicuratadalla formulazione, ricca sia di zuccherisemplici sia di sostanze grasse in gradodi rallentare i fenomeni di “invecchia-mento”.

La friabilità che contraddistingue iprodotti di biscotteria rappresenta il ri-sultato finale dell’impiego di farine “de-boli”, caratterizzate cioè da glutine assaipoco tenace, di formulazioni assai ric-che in grassi saturi (burro, ecc., ingre-dienti che ostacolano la formazione diun reticolo omogeneo del glutine) e del-le particolari condizioni in cui si effettual’impastamento (creaming).

La classificazione generalmente uti-lizzata per i biscotti è basata sulle mo-dalità con cui si effettua la fase di for-matura. Si parla infatti di biscotti stam-pati (biscotti “secchi”) prodotti da impa-sti assai consistenti, di biscotti estrusi(tipo frollino) con forme a rilievo, anchedecorate, e di biscotti colati, provenientida impasti assai fluidi (cialde, wafer).

L’operazione della cottura è sicura-mente la tappa decisiva che determinale caratteristiche desiderate al prodotto,tanto da assegnare il nome al gruppomerceologico. Come già descritto per ilpane, i fenomeni che hanno luogo incottura sono di natura sia chimica (de-

naturazione delle proteine, gelatinizza-zione dell’amido, reazione di Maillard,ecc.) sia fisica (evaporazione dei gas,ecc.).

Interessanti innovazioni sono attual-mente allo studio sia per quanto attienealla forma di produzione che di trasmis-sione del calore in modo da rendere ilprocesso più economico, pur garanten-do la formazione della struttura tipicadel prodotto da forno.

Il confezionamento, l’operazione fi-nale del processo produttivo a livello in-dustriale, assolve non solo funzioni diprotezione meccanica del prodotto chene facilitano il trasporto e la presenta-zione al punto vendita, ma anche diprotezione delle caratteristiche igieni-che, merceologiche, nutrizionali e sen-soriali.

Infatti, con il confezionamento l’ali-mento viene dotato di un “involucro” icui materiali, se opportunamente scelti,formano una barriera contro le contami-nazioni e consentono la conservazionedi quei parametri sensoriali quali l’aro-ma, il gusto, la morbidezza o la friabilitàsviluppatisi durante le diverse fasi delprocesso e che costituiscono criteri discelta da parte del consumatore.

Questi risultati positivi possono es-sere migliorati (ulteriore prolungamentodella shelf-life) se il confezionamento

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viene effettuato con un’idonea atmo-sfera di gas diversi dall’aria a contattodel prodotto (confezionamento in atmo-sfera modificata). La variazione dell’at-mosfera ha lo scopo di ridurre la dispo-nibilità di ossigeno e, conseguentemen-te, le alterazioni di tipo chimico, enzima-tico e soprattutto microbiologico favoriteda questo gas.

La strada tecnologica percorribile atale scopo nel comparto dei prodotti daforno è quella che prevede la sostituzio-ne dell’aria a contatto con il prodottocon un’atmosfera arricchita in CO2 (finoa 100% CO2). Tale gas è efficace nel

rallentare non solo la crescita microbicama anche i complessi fenomeni dell’in-vecchiamento. Altre soluzioni possibiliper il prolungamento della shelf-lifeconsistono nell’impiego di vapori di eta-nolo (efficace già in concentrazione parial 2% del peso del prodotto), permessoin Italia per il solo pane in cassetta.

In paesi extraeuropei è stato propo-sto con successo l’utilizzo di particolarisostanze di origine inorganica “assorbi-tori di ossigeno” inseriti all’interno delleconfezioni e in grado di reagire veloce-mente con tale gas sequestrandolodall’atmosfera.

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Il riso è un alimento consumato dacirca il 50% della popolazione mondialee fornisce un quinto delle calorie totaliassunte nel mondo. La sua coltura, dal-la Cina, dove ebbe origine migliaia dianni fa, venne estesa dapprima all’India,poi a Siria, Egitto, Marocco e Spagna e,verso il 1400, all’Italia.

Vengono riconosciute due varietàprincipali: Oryza sativa var. Indica, concariosside lunga e stretta, completa-mente vitrea, dalla quale hanno avutoorigine le cultivar diffuse soprattuttonell’Asia Sud-Orientale; Oryza sativavar. Japonica, con cariosside tondeg-giante, endosperma vitreo provvisto diuna zona opaca (denominata perla),coltivata prevalentemente in Occidente.

La cariosside presenta le glume ele glumette intimamente associate aitegumenti del frutto, necessita quindi diuna serie di operazioni aventi lo scopodi liberare la parte più interna del seme(riso propriamente detto) dagli involucrie dalle parti fibrose (lolla).

L’elevata concentrazione in silice,che caratterizza queste regioni, rende lacariosside vestita (risone) non idoneané all’alimentazione umana né a quellaanimale. La lavorazione del riso iniziacon la pulitura del risone, realizzata me-diante vagli e tarare (sistemi di separa-zione in corrente d’aria), cui segue lafase di sbramatura condotta con molinia dischi o a rulli gommati (denominatisbramini) che consentono l’apertura ela rottura dei rivestimenti.

Dalla successiva classificazione incorrente d’aria e su vagli si separa il ri-so sbramato o integrale (cariosside nu-da) dalla lolla (glume e glumette).

Le operazioni successive prevedo-no la separazione del riso sbramato dalrisone residuo e dalle cariossidi imma-ture e una serie di passaggi attraversomolini abrasivi, chiamati sbiancatrici.

Si ha così la rimozione graduale delpericarpo, dello strato aleuronico e dellaparte di germe residuo che costituisco-no un sottoprodotto denominato pula,

Il riso

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mentre il riso così lavorato è detto risoraffinato. Le cariossidi possono esseresottoposte a un ulteriore trattamento dilucidatura con olio minerale (riso camo-lino) e/o a una fase di brillatura con tal-co e glucosio (riso brillato). La brillatu-ra, oltre a migliorare l’aspetto esternodel riso, ne migliora la conservabilità.

Il riso lavorato ha forma allungatacon un’estremità arrotondata (testa) el’altra appuntita (punta). In corrispon-denza della punta si nota un’incavatura(dente) lasciata dall’asportazione del-l’embrione. L’endosperma ha general-mente una struttura vitrea, tuttavia inmolte varietà si può riconoscere una zo-na opaca di endosperma farinoso, de-nominata perla, che presenta forma eposizione diversificate. Ai fini commer-ciali il riso viene classificato in quattrodiverse tipologie distinte: riso comune,semifino, fine e superfino.

Riso comuneCon cariosside piccola e tondeg-

giante lunga meno di 5,5 mm, dentepoco pronunciato, perla poco estesa ein posizione centrale.

Riso semifinoA cariosside lunga da 5,5 a 6,5

mm, dente pronunciato, perla centro-laterale estesa.

Riso fineLungo più di 6,5 mm, perla netta

centro-laterale, dente sfuggente.

Riso superfinoCon cariossidi lunghe e affusolate,

perla centrale estesa, dente sfuggente.

Il riso è prevalentemente consuma-to sotto forma di chicco raffinato. Il suovalore alimentare è inferiore a quello delriso sbramato in quanto con la pulavengono allontanate aliquote importantidi proteine, lipidi, minerali e di vitamine(Tab. 8 ). Come quelle di altri cereali, leproteine del riso sono carenti di alcuniamminoacidi essenziali, in particolare dilisina e di triptofano, quelle del riso bril-lato, e solo di lisina quelle del riso inte-grale.

Sono state sviluppate alcune tecno-logie per incrementare il valore alimen-tare del riso, conferire una maggiore re-sistenza alla cottura e per diminuire itempi necessari per la sua preparazione.

Il riso perboiled deriva da un parti-colare trattamento tecnologico, attuatosul risone, che incrementa il valore nu-trizionale e rende più resistente alla cot-tura il riso raffinato. Durante il tratta-mento di perboiling si realizza la diffu-sione verso la parte interna del chiccodei sali minerali, delle proteine e delle

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vitamine, in particolare quelle del grup-po B e la vitamina E, composti presentiprevalentemente nel tegumento e nelgerme e che verrebbero altrimenti elimi-nati durante la raffinazione.

Inoltre la parziale gelatinizzazionedella superficie del chicco, evitandoperdite d’amido durante la cottura, de-termina una maggiore integrità e unaminore collosità del prodotto cotto.

La tecnologia di produzione di risoperboiled prevede l’immersione in ac-qua del risone per uno o due giorni, iltrattamento con vapore per circa 30 mi-nuti e l’essiccamento del prodotto pri-ma della normale raffinazione.

Sono stati recentemente propostinumerosi processi per la produzione diriso a cottura rapida. Alcuni prevedonola cottura in acqua bollente del riso raf-finato, fino a ottenere la gelatinizzazione

dell’amido e il successivo essiccamen-to, condotto in condizioni controllate, alfine di creare una struttura finementeporosa.

In altri processi si opera direttamen-te con aria calda sul chicco raffinatocon la conseguente formazione di ma-crofessurazioni.

In entrambi i casi si determina unapiù rapida penetrazione dell’acqua, conuna conseguente diminuzione dei tempidi cottura.

Altri prodotti che si ricavano dal risosono alcuni sfarinati quali la crema, lafarina e il semolino, ottenuti dalla maci-nazione della cariosside fino a una di-versa granulometria, il riso soffiato ot-tenuto per rapida evaporazione dell’ac-qua contenuta nel prodotto cotto e ilsakè, bevanda debolmente alcolica,prodotta dal mosto di riso fermentato.

Cereal i e derivat i

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Prodotto Amido Proteine Lipidi Cellulosa Mineralie altri Emicellulosacarboidrati Pentosani% % % % %

Riso 86,9 8,5 2,2 1,0 1,4

integrale

Riso 91,0 7,6 0,4 0,3 0,6

raffinato

Riso 90,1 8,2 0,3 0,2 0,8

perboiled

Lolla 34,1 1,1 0,4 34,1 27,3

Pula 10,0 14,4 21,1 10,0 8,9

Tabella 8

Composizione di diversetipologie di riso e dialcuni sottoprodotti (datiespressi per 100 g disostanza secca).

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M. Lucisano, M.A. Pagani

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Nel linguaggio degli Indiani d’Ame-rica la parola mais significava letteral-mente quel che mantiene in vita. Conil frumento e il riso il mais è uno dei ce-reali più coltivati nel mondo: la produ-zione mondiale annua si aggira intornoai 500 milioni di tonnellate.

La sua coltura ha avuto inizio nel-l’America Centrale, in Messico, circa7000 anni fa.

Questa pianta ha rappresentatol’elemento centrale della civilizzazioneMaya ed Azteca, ricoprendo un ruoloimportante non solo nell’alimentazione,ma anche nella religione di questi popo-li. Alla fine del XV secolo, dopo la sco-perta dell’America, il mais venne intro-dotto in Europa, diffondendosi dappri-ma nel bacino del Mediterraneo, quindinelle regioni nord-europee.

È noto come le popolazioni del-l’America Centrale da sempre sotto-pongono il mais, prima della sua assun-zione in preparazioni alimentari tipiche(tortillas, ecc.), a una serie di operazio-

ni che lo trasformano in un prodotto de-nominato masa. Le cariossidi sono ri-scaldate a temperature superiori a 80˚C in presenza di calce e quindi lasciateraffreddare.

Questo procedimento, oltre a facili-tare la separazione delle parti tegumen-tali, permette la liberazione della niacina(vitamina PP), presente nel chicco informa non disponibile (niacinogeno).

La carenza di tale vitamina determi-na l’insorgenza della pellagra, malattiaassai diffusa in passato nell’Italia set-tentrionale in gruppi la cui alimentazioneera basata prevalentemente su prodottiderivati dal mais.

Il mais viene utilizzato non solo perl’alimentazione umana, ma anche perl’alimentazione animale sia come gra-nella sia come pianta intera. Questa,opportunamente condizionata ed insila-ta, viene impiegata con successo nel-l’alimentazione dei bovini da latte e dacarne.

Accanto ai sopra citati impieghi, una

Il mais

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quota sempre più importante di questocereale viene oggi destinata a trasfor-mazioni industriali.

Tra le cariossidi dei cereali, quelladel mais si distingue per le sue dimen-sioni (vedi Fig. 1) e per lo sviluppo delgerme che rappresenta circa il 10%dell’intero chicco. Ne deriva che un’in-teressante destinazione d’uso di questochicco assai ricco in lipidi (Tab. 9) con-siste nell’estrazione di un olio comme-stibile, assai apprezzato.

La cariosside del mais, inoltre, pos-siede un’organizzazione peculiare dellamandorla farinosa: accanto a zone vi-trose, d’aspetto translucido, se ne rico-noscono altre opache e “farinose”. Taledifferenza è legata alla diversa compat-tezza con cui il materiale di riserva, ami-do e proteine, viene stoccato durante lamaturazione.

La distribuzione percentuale di que-ste due zone è assai diversa tra le va-rietà. Infatti, negli ibridi di mais “denta-ti”, Zea mays indentata, così chiamatiper la caratteristica forma del chicco ea cui appartengono le varietà più colti-vate in Italia, la zona farinosa occupa laparte centrale ed è circondata da regio-ni vitree più o meno estese. Le varietàvitrose o flint (Zea mays indurata) pre-sentano una mandorla per la maggiorparte vitrosa.

Questa diversa organizzazione strut-turale condiziona la destinazione d’usodella granella. Infatti, gli ibridi vitrosi,cornei, in macinazione tendono a for-mare solo piccole percentuali di “farina”(materiale con particelle di dimensionimassime di poche centinaia di micron)ma, di preferenza, si spezzano in fram-menti grossolani, suddivisi in hominy,quelli di maggior dimensioni, e gritsquelli di taglia intermedia.

Tale materiale è idoneo a esseretrasformato in “fiocchi” (corn flakes) edè ritenuto assai pregiato anche per l’in-dustria della birra e per la produzione difarina per polenta.

La produzione di grits prevede unprocesso di macinazione a secco, pre-via decorticazione per eliminare i tegu-menti. Le macchine sono simili a quelleimpiegate per la macinazione del fru-mento, ma il diagramma è assai piùsemplice con un numero di passaggi in-feriore. Il germe, opportunamente se-

Cereal i e derivat i

64

Regione anatomica della cariosside

Germe

Endosperma

Pericarpo

Cariosside

Tabella 9

Composizione dellacariosside di mais e delle sue regionianatomiche (datiespressi per 100 g di sostanza secca).

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parato, viene destinato, come detto,all’estrazione dell’olio.

Buona parte della produzione mon-diale di mais è destinata all’amideria,filiera industriale il cui obiettivo consistenell’estrazione dell’amido nativo e nellasua trasformazione in un numero assaivasto di derivati, quali amidi modificati,destrine, sciroppi di glucosio (Fig.15). Il processo di macinazione differi-sce sostanzialmente da quelli illustratifinora in quanto consente di ottenerenon solo una separazione delle diverseparti della cariosside, ma permette an-che una suddivisione dei costituenti sul-la base della loro natura chimica. Laprima operazione (che dà il nome all’in-tero processo di macinazione per viaumida) consiste in un’importante umidi-ficazione delle cariossidi a circa 50 ˚Cper 30-50 ore in acqua contenente pic-cole quantità di SO2.

Questo composto, che svolge atti-vità antisettiche, consente l’idrolisi dei

ponti S-S tra le proteine, facilitando lesuccessive operazioni di estrazione.L’umidità finale dei chicchi raggiungevalori di 45-50%.

La struttura dell’endosperma vieneresa così assai soffice, facilitando sia ladegerminazione (anche in questo pro-cesso il germe viene inviato all’estrazio-ne) sia la separazione dell’amido dalmateriale fibroso e proteico medianteoperazioni di macinazione, setacciaturae sedimentazione. I sottoprodotti della la-vorazione trovano largo impiego in man-gimistica.

L’amido così estratto, dopo oppor-tuna purificazione, può essere ulterior-mente trasformato in una gamma assaiampia di derivati, largamente utilizzaticome additivi nel campo alimentare:amidi pre-gelatinizzati, amidi modificatiper via chimica o enzimatica (agenti ad-densanti, di ricopertura, ecc.), derivatidi peso molecolare inferiore, quali glisciroppi di glucosio.

M. Lucisano, M.A. Pagani

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Percentuale Amido Proteine Lipidi Cellulosa Sostanzedella e zuccheri Emicellulosa mineralicariosside solubili Pentosani

% % % % %

12 9 28 38 15 10,0

82 87 10 1 1 0,3

6 9 7 1 79 14,0

100 72 10 6 12 1,2

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In questi ultimi prodotti le grossestrutture molecolari dell’amilosio e del-l’amilopectina sono idrolizzate, in am-biente acido, in molecole più piccole, fi-no a zuccheri solubili (glucosio, malto-sio, maltotriosio, ecc.).

Tale trasformazione è controllata eguidata scegliendo opportunamente il

tipo di enzima e le condizioni d’idrolisi. È così possibile produrre sia scirop-

pi con elevata viscosità e bassa con-centrazione zuccherina, e perciò pocofermentescibili, sia sciroppi con elevatacapacità dolcificante, facilmente fer-mentescibili e dalle spiccate proprietàosmotiche, in cui la depolimerizzazione

Cereal i e derivat i

66

Sciroppi di glucosioMaltodestrine

Glucosio

FruttosioSorbitoloMannitolo

TrasformazioneenzimaticaIdrolizzatiAmidi

pre-gelatinizzatiAmidi

modificati

Trattamentichimici

Trattamentitermici

Idrolisienzimatica

CARIOSSIDI

Proteine

Sottoprodotti

Germe

Olio

Panello d’estrazione

Latted’amido

Figura 15

Prodotti ricavati dalprocesso di macinazionea umido del mais.

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M. Lucisano, M.A. Pagani

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dell’amido è pressoché totale. Ulteriori modificazioni, sempre di

natura enzimatica, permettono di iso-merizzare il glucosio in fruttosio: l’im-piego di questo zucchero è sempre piùdiffuso a causa del suo elevato poteredolcificante, ben superiore a quello delsaccarosio, e alle limitate implicazioninegative che la sua assunzione pone alivello nutrizionale.

Un’interessante e innovativa trasfor-mazione del mais è quella che prevedela produzione di alcool per usi industriali.

Le cariossidi sono in questo casofinemente macinate, sospese in acqua(75% di umidità) e trattate termicamen-te ed enzimaticamente onde assicurareuna totale idrolisi dell’amido. Il sistemaè lasciato fermentare con culture sele-zionate di Saccharomices cerevisiae.

Riferimenti bibliografici

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1692/97 capitolo 1 29-05-2002 11:32 Pagina 67

Per il mammifero neonato il latterappresenta il primo e, in molti casi,unico alimento durante un considerevo-le periodo della sua vita. Con l’allatta-mento il giovane mammifero assumeprincipi nutritivi e composti biologica-mente attivi che, insieme, fanno del lat-te un alimento di valore “bionutrizionale”ineguagliabile. Nel regime alimentaredell’uomo adulto il latte e i prodotti deri-vati ricoprono ugualmente una funzioneimportante e rappresentano alimentibase per alcune fasce sociali della po-polazione.

Il latte destinato all’alimentazioneumana è prodotto per circa il 90% dallavacca (Bos Taurus) e trasformato se-condo le filiere di lavorazione schema-tizzate in Figura 1. Altre specie rumi-nanti allevate (pecora, capra e bufala)rivestono un’importanza economica mi-nore o limitata a particolari zone geo-grafiche. Il loro latte, pur contenendo glistessi principi nutritivi, può presentarerilevanti differenze compositive (Tab. 1)

e, in linea di principio, viene trasformatosecondo le filiere del latte vaccino.

La legislazione italiana prevede che,con la sola parola latte, si deve intende-re il latte proveniente dalla vacca, che èdefinito come “il prodotto ottenuto dallamungitura regolare ininterrotta e com-pleta della mammella di animali in buo-no stato di salute e di nutrizione”.

Questa definizione tende a garanti-re una minima qualità igienica e compo-sitiva al latte che, in particolari stati pa-tologici o fisiologici della bovina, puòpresentare caratteristiche microbiologi-che o compositive che non lo rendonoidoneo al consumo.

Il latte è il prodotto di secrezione edescrezione della ghiandola mammaria; inesso si ritrovano sostanze provenienti di-rettamente dal sangue per filtrazione esostanze sintetizzate dalla mammella apartire da precursori presenti nel circolosanguigno. I composti sintetizzati rap-presentano quantitativamente la mag-gior parte delle sostanze presenti nel

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II l latte e i prodotti derivati

I. De Noni, P. Resmini, A. Tirelli

Cattedra di Industrie AgrarieDISTAM Facoltà di AgrariaUniversità degli Studi di Milano

1692/97 capitolo 2 29-05-2002 11:31 Pagina 69

I l latte e i prodott i derivat i

70

Latteconcentrato

Concentrazione Trattamento termico

Latte alimentare

Latte pastorizzato

Latte UHT

Latte sterilein bottiglia

Fermentazione

Latti fermentati(es. yogurt)

Essiccazione

Latte in polvere

LATTE CRUDO INTERO

Figura 1

Principali filiere di lavorazione del latte.

1692/97 capitolo 2 29-05-2002 11:31 Pagina 70

I . De Noni , P . Resmin i , A . T irell i

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Essiccazione Ricotta Lattosio

Siero in polvere

Concentrazione Scotta

Trattamentotermico

Siero

Formaggi

Latte magroin polvere

Burro

Latticelloin polvere

Essiccazione

Concentrazione

Latticello

Burrificazione

Cremaalimentare

Trattamentotermico

Crema

Caseificazione

Scrematura

Latte parz.scremato

Essiccazione

Concentrazione

Trattamentotermico

Latte magro Separazionecomponenti

del latte

Caseina

Siero-proteine

Lattosio

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latte e giustificano la grande attività dibiosintesi della mammella e l’enormevolume (900 litri) di sangue filtrato perla produzione di un litro di latte.

La composizione centesimale dellatte così come la quantità prodottapossono variare a seconda dei fattorigenetici (razza e individuo), fisiologici(stadio di lattazione e numero dei parti)e patologici. Nel caso di affezioni masti-tiche della mammella, l’attività di biosin-tesi viene drasticamente ridotta e lacomposizione chimica del latte si avvici-na a quella del plasma sanguigno. Altrifattori di variabilità compositiva sono:l’alimentazione, la tecnica di allevamen-to e il clima.

Le proprietà dei principalicomponenti del latte

I principali macrocomponenti sonopresenti nel latte in stati fisici diversi: il

grasso in fase di emulsione, la caseinain fase di sospensione colloidale, i sali,il lattosio e le sieroproteine in soluzio-ne. La conoscenza della eterogeneitàfisica del latte consente di meglio com-prendere gli equilibri chimico-fisici chesi instaurano nel latte naturalmente o inseguito a processi ad esso applicati. Lediverse fasi sono peraltro caratterizzateda una certa instabilità che comporta, intermini tecnologici, la possibilità di se-pararle singolarmente e di ottenere unavasta gamma di prodotti, diversi perproprietà nutrizionali, organolettiche efunzionali.

Sostanze azotate

Le sostanze azotate costituisconomediamente il 3,2% del latte intero(Tab. 2) e sono rappresentate per il95% da caseina e sieroproteine.

La restante parte è azoto non pro-teico (NPN) che, da un punto di vista

I l latte e i prodott i derivat i

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Latte Proteine Grasso Lattosio Sali minerali Acqua

Vacca 3,2 3,5 4,8 1,0 87,5

Pecora 6,0 7,5 4,5 1,0 81,0

Capra 3,3 3,5 4,5 0,9 87,8

Bufala 4,8 7,5 4,7 0,8 82,2

Donna 1,5 3,5 6,5 0,2 88,3

Tabella 1

Composizione media(g/100 ml) del latte di alcune specie.

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chimico, è composto da un insieme ete-rogeneo di sostanze tra le quali urea, ilcomposto più abbondante, amminoacidie ammoniaca.

La caseina costituisce il 78% dellesostanze azotate totali ed è un aggre-gato di più individui proteici (frazioni ca-seiniche) denominati αs1, αs2, β, γ e κ-caseina associati in micelle altamenteidratate. Le caseine, ad eccezione dellaγ, vengono sintetizzate a livello mam-mario dove subiscono modificazioni po-st-traduzionali di fosforilazione e, per laκ-caseina, di glicosilazione. La γ-caseina

rappresenta il prodotto della proteolisipost-secretoria a carico della β-caseinaad opera principalmente della plasmina,una proteasi nativa del latte.

I meccanismi di associazione tra lediverse caseine e la struttura finale del-la micella prevedono l’iniziale formazio-ne di sub-micelle, con diametro di 15-20 nm e peso di circa 106 Da, attraver-so interazioni idrofobiche ed elettrostati-che tra poche molecole di frazioni ca-seiniche. Le sub-micelle, attraversol’intervento principalmente di calcio efosfati, si associano a loro volta per co-

I . De Noni , P . Resmin i , A . T irell i

73

Composizione media

g/l relativa

SOSTANZE AZOTATE TOTALI 32 100

Caseine: 25 78 100

αs1-caseina 9,5 38

αs2-caseina 2,5 10

β-caseina 9,0 36

κ-caseina 3,5 14

γ-caseina 0,5 2

Sieroproteine: 5,6 17 100

β-lattoglobulina 3,0 53

α-lattoalbumina 1,1 20

albumina del siero di sangue 0,3 5

immunoglobuline 0,6 11

proteoso peptoni 0,6 11

1,6 5II – Sostanze azotate non proteiche

I – Proteine

Tabella 2

Distribuzione mediadelle sostanze azotatedel latte.

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stituire micelle con diametro di 50-300nm e peso di circa 109 Da. In questastruttura la κ-caseina è localizzata pre-ferenzialmente alla superficie della mi-cella garantendo, con la sua sequenzaglicosilata e pertanto fortemente idrofi-la, una elevata idratazione e stabilità allamicella stessa.

L’organizzazione strutturale descrit-ta rende conto delle proprietà delle mi-celle e condiziona il comportamento dellatte durante i processi tecnologici di ri-sanamento termico e di successiva tra-sformazione.

Le caseine contengono gruppi fo-sforici esterificati con residui di serina.Correlata al grado di fosforilazione è lasensibilità delle caseine verso il calcio,vale a dire la loro tendenza ad insolubi-lizzarsi in presenza di ioni calcio. La κ-caseina possiede solo una debole affi-nità per il calcio dovuta alla presenza diun solo residuo fosfoserinico e presen-ta, legata alla sua catena amminoacidi-ca, una sequenza di poche molecole dizuccheri neutri, zuccheri azotati e acidosialico.

Le caratteristiche descritte contri-buiscono a chiarire il comportamentodella caseina durante i processi di ca-seificazione. Le caseine presentanouna composizione amminoacidica per-centuale similare anche se solamente

αs2 e κ-caseina contengono cisteinache, nutrizionalmente, rappresenta ilfattore limitante nella composizione am-minoacidica dell’intera caseina.

Le sieroproteine costituiscono lafrazione proteica in soluzione nel sierodi latte. Strutturate principalmente co-me monomeri o piccoli polimeri, essecostituiscono il 18% delle sostanzeazotate del latte (vedi Tab. 2) e si origi-nano o per sintesi mammaria, come laβ-lattoglobulina (β-lg) e l’α-lattoalbumi-na (α-la), o per filtrazione ematica, co-me le immunoglobuline (Ig) e l’albuminadi siero di sangue (BSA).

I proteoso peptoni si formano dallaβ-caseina in seguito alla stessa proteolisiche porta alla formazione della γ-caseina.Sono inoltre presenti piccole quantità dienzimi (ossidoriduttasi, transferasi, idrola-si, liasi, isomerasi e metallo-proteine).

Le sieroproteine svolgono attivitàbiologiche quali la sintesi del lattosio(α-la), il trasporto del retinolo nell’inte-stino nel vitello (β-lg) e l’immunizzazio-ne passiva durante i primi giorni di allat-tamento (Ig).

Le proteine del siero assumono unnotevole interesse tecnologico in quan-to sono spesso utilizzate nella formula-zione di preparati alimentari quali gelati,burro a ridotto o basso tenore in gras-so, conserve e prodotti da forno.

I l latte e i prodott i derivat i

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Sono inoltre impiegate quali integra-tori nelle formulazioni alimentari per l’in-fanzia o per atleti, ciò grazie alla lorocomposizione amminoacidica che, pre-sentando maggiori quantità relative di ci-steina, triptofano e lisina, risulta megliobilanciata rispetto a quella delle caseine.

Nel loro complesso le proteine so-no il componente nutrizionalmente piùimportante del latte, forniscono circa il22% delle calorie totali, presentano unaelevata digeribilità e una composizioneamminoacidica che comprende tutti gliamminoacidi essenziali per l’uomo. Perl’alto contenuto in lisina le proteine dellatte complementano quelle di diversicereali dando luogo ad un abbinamentoottimale.

Questa complementazione, infatti,conferisce alla quota proteica finale unvalore biologico superiore a quello delledue componenti proteiche di partenza.È inoltre presente un elevato contenutodi leucina, isoleucina e valina che pos-sono assolvere un ruolo importante nel-la dieta di alcuni atleti.

Glucidi

I glucidi del latte sono essenzial-mente costituiti da lattosio, disaccaridesintetizzato dalla ghiandola mammaria a

partire da galattosio e glucosio, e pre-sente in concentrazione pari a 4,8-5,0%. Altri glucidi sono presenti nel lat-te in quantità trascurabili e sono essen-zialmente legati a proteine e in partico-lare alla κ-caseina dove rappresentanocirca il 5% del suo peso. I più importan-ti sono: glucosammina, galattosammi-na, N-acetilglucosammina, N-acetilga-lattosammina e acido N-acetilneuram-minico (acido sialico).

La capacità di sintesi del lattosiorappresenta il fattore limitante della pro-duzione lattea della vacca poiché que-sto zucchero, essendo il composto idro-solubile più abbondante, determina inlarga parte la pressione osmotica dellatte. Affinché venga mantenuta l’isoto-nia tra sangue e latte nella mammella ènecessario che la composizione del sie-ro di latte, e quindi la concentrazione dilattosio in esso presente, rimanga co-stante.

Il lattosio riveste una notevole im-portanza tecnologica. Esso, oltre a rap-presentare un substrato fermentativoper la microflora del latte, è in parte re-sponsabile dei cambiamenti di colore esensoriali che avvengono a carico dellatte durante i processi termici.

Il lattosio presenta anche particolarifunzioni nutrizionali: rappresenta circa il30% del potere calorico del latte intero;

I . De Noni , P . Resmin i , A . T irell i

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è una fonte “diretta” di galattosio; favo-risce l’assorbimento e l’assimilazionedel calcio; stimola lo sviluppo nel grossointestino di una microflora lattica favo-rendo l’instaurarsi di una fermentazioneacida; presenta un potere dolcificanteche, pur essendo tre volte inferiore aquello del saccarosio, è sufficiente aconferire al latte il caratteristico gustodolciastro.

L’assorbimento intestinale del latto-sio è limitato dalla capacità di idrolisidello zucchero nei due esosi costitutiviper mezzo della β-galattosidasi.

La mancanza di questo enzima o lasua insufficiente produzione, unita auna scarsa colonizzazione del grosso in-testino a opera della microflora lattica,provocano fenomeni di intolleranza allatte con caratteristici sintomi clinici.

Lipidi

Il grasso è il componente più varia-bile e quello che più di altri conferiscepeculiari caratteristiche sensoriali e dipalatabilità al latte stesso e ai suoi deri-vati. La quantità che si ritrova nel latte,mediamente il 3,5%, così come la suacomposizione, sono strettamente con-nesse al tipo di alimentazione e di alle-vamento adottati.

I trigliceridi costituiscono il 98%del grasso latteo, il rimanente 2% èrappresentato principalmente da fosfoli-pidi, digliceridi e colesterolo (Tab. 3).

Il β-carotene e le vitamine E, D e Ksono presenti in quantità variabili in fun-zione dell’alimentazione e, per la vitami-na D, del livello di esposizione della bo-vina alla luce.

La maggior parte dei trigliceridi edegli acidi grassi che li costituisconovengono sintetizzati dalla mammella apartire dagli acidi acetico e butirricoprodotti dalla microflora ruminale. La ri-manente parte proviene invece da acidigrassi e glicerolo presenti nel circolosanguigno. Nel latte sono stati identifi-cati più di cento acidi grassi diversi, tut-tavia, 15 di essi rappresentano circa il98% degli acidi grassi dei trigliceridi(Tab. 4).

Gli acidi grassi saturi maggiormen-te presenti sono palmitico, stearico emiristico, anche se il grasso del latte divacca si caratterizza, come del restoquello di altri ruminanti, per il contenutorelativamente alto in acidi grassi volatilia corta catena e basso punto di fusione(da C4 a C12).

Il grasso di latte è una scarso appor-tatore di acidi grassi polinsaturi che, in-trodotti con l’alimentazione della vacci-na (soprattutto foraggi verdi), vengono

I l latte e i prodott i derivat i

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in gran parte metabolizzati e “saturati”dalla microflora del rumine principal-mente ad acido oleico.

Il grasso è presente nel latte comeemulsione di globuli sferici avvolti da unamembrana lipoproteica. I globuli hannoun diametro variabile da 0,2 a 12 µm e,al loro interno, i diversi trigliceridi sonolocalizzati secondo una struttura lamella-re concentrica con i trigliceridi liquidi a

temperatura ambiente situati nella partepiù interna. Nella membrana sono loca-lizzati, insieme a lipoproteine e gliceridineutri, la maggior parte dei fosfolipidi eparte del colesterolo del latte. L’organiz-zazione assunta da questi composti nel-la membrana le conferisce una strutturacon le caratteristiche anfifiliche neces-sarie per la stabilizzazione della fase lipi-dica nel plasma latteo acquoso.

I . De Noni , P . Resmin i , A . T irell i

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Costituente Contenuto

g/100 ml % dei lipidi totali

3,5

Gliceridi: 3,4 98,4

tri- 98,0

di- 0,36

mono- 0,04

Fosfolipidi: 0,021 0,60

fosfatidilcolina 0,21

fosfatidiletanolammina 0,19

sfingomielina 0,15

altri 0,05

Steroli: 0,012 0,33

colesterolo 0,31

altri 0,02

Acidi grassi liberi tracce 0,03

µg/100 ml

Vitamine liposolubili:

A e β-carotene 41

D 0,06

E 100

K 1,1

Lipidi totali

Tabella 3

Distribuzione mediadelle sostanze lipidichedel latte.

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Di conseguenza la composizionechimica e l’integrità fisica della mem-brana sono di fondamentale importanzaper la stabilità dell’emulsione.

Il grasso apporta circa il 50% dellecalorie totali del latte intero e la sua di-gestione è facilitata dallo stato fisico edal punto di fusione che è inferiore allatemperatura corporea.

Il grado di saturazione, il contenutoin acidi grassi polinsaturi (linoleico so-prattutto) ed il livello di colesterolo rap-presentano i punti di maggior discussio-

ne relativamente alle proprietà nutrizio-nali del grasso latteo. Una corretta va-lutazione nutrizionale della componentelipidica non può comunque prescindereda alcune considerazioni. La prima èche circa il 20-25% degli acidi grassi èrappresentato da acido oleico conside-rato privo di effetti aterogeni. La secon-da è che alcuni acidi grassi saturi a cor-ta catena (da C4 a C10) hanno, simil-mente ai glucidi, un destino prevalente-mente energetico e non aterogeno eipercolesterolizzante.

I l latte e i prodott i derivat i

78

Saturi 68

C4 – butirrico 3,5

C6 – caproico 4,0

C8 – caprilico 1,0

C10 – caprico 2,0

C12 – laurico 3,0

C14 – miristico 11,0

C15 – pentadecanoico 1,5

C16 – palmitico 30,0

C18 – stearico 12,0

Monoinsaturi 28

C16 – palmitoleico 2,0

C18 – (cis) oleico 23,0

C18 – (trans) vaccenico 3,0

Polinsaturi ~3

C18 – (diene) linoleico 2,0

C18 – (triene) linolenico 0,5

C20 – (tetraene) arachidonico 0,2

Acidi grassi minori 1 1

Tabella 4

Principali acidi grassi dellatte (% degli acidi grassitotali).

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Sali minerali

Il contenuto in sali minerali del latte,pari a circa 1%, è poco influenzato dal-l’alimentazione; il livello rimane costanteanche quando si produce una carenza diquesti composti nell’animale e ciò valein particolare per calcio e fosforo. Nellatte sono presenti in quantità significati-va: calcio (1,2 g/l), fosforo (1,0 g/l),potassio (1,5 g/l), cloro (1,1 g/l), sodio(0,4 g/l) e magnesio (0,13 g/l).

Il calcio ed il fosforo meritano unaattenzione particolare per l’importanzatecnologica e nutrizionale che essi rive-stono. Questi due elementi sono diver-samente distribuiti tra la fase acquosa(in soluzione nel siero) e la fase colloi-dale (associati alla caseina). Il fosforo èin piccola parte presente anche nei fo-sfolipidi. Le due forme, solubile e colloi-dale, sono tra loro in equilibrio: è possi-bile cioè il passaggio dall’una all’altraforma. Il riscaldamento del latte, adesempio, provoca il passaggio di calcioe fosforo dalla forma solubile a quellacolloidale; il raffreddamento e l’acidifi-cazione agiscono in senso opposto.Normalmente nel latte il 60-70% delcalcio e il 50-55% del fosforo sono as-sociati alla fase colloidale. La distribu-zione tra le due forme è di fondamenta-le importanza tecnologica poiché ad es-

sa è legato il mantenimento dell’or-ganizzazione strutturale della micella ca-seinica.

Il latte e i suoi derivati rappresenta-no una delle migliori fonti di calcio e fo-sforo nell’alimentazione umana. Il rap-porto calcio/fosforo (simile a quello esi-stente nelle ossa in accrescimento) e ilruolo svolto dal lattosio nel loro assorbi-mento intestinale sono fattori importantinel determinare l’elevata assimilabilità diquesti elementi.

Inoltre circa il 40% del fosforo “col-loidale” è legato stabilmente alla casei-na tramite un legame estere con residuidi serina. Questa parte di fosforo rivesteun particolare significato nutrizionalepoiché contribuisce significativamenteall’assorbimento passivo del calcionell’intestino. Cloro, sodio e potassiosono presenti per la maggior parte informa ionica.

Nel latte sono presenti diversi oli-goelementi (zinco, rame, ferro, manga-nese e molibdeno) in tracce o in quan-tità di modesto significato nutrizionale.

Vitamine idrosolubili

Le vitamine idrosolubili sono pre-senti nella fase acquosa del latte inquantità relativamente costante e poco

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influenzata da fattori esterni. Tuttavia ilcontenuto vitaminico può subire impor-tanti riduzioni a seguito di fenomeni fisi-co-chimici (riscaldamento, ossidazioni,ecc.) a carico del latte crudo.

Le vitamine del gruppo B vengonobiosintetizzate dalla microflora ruminalee, insieme alla vitamina A, sono pre-senti in quantità nutrizionalmente impor-tanti (Tab. 5).

Il latte è anche una buona fonte diriboflavina (circa 1,7 mg/l) e acido pan-totenico (circa 3,5 mg/l).

Il contenuto medio di niacina dellatte è piuttosto basso (0,8 mg/l); tut-tavia il latte può essere considerato unalimento di indubbia efficacia per la pre-venzione della pellagra. Le ragioni di ciòrisiedono sia nella completa biodisponi-bilità della niacina presente, che nelladiscreta presenza di triptofano nelle

proteine del latte. Questo amminoacidoviene utilizzato per la biosintesi corporeadella niacina; 60 mg di triptofano, laquantità contenuta in circa 100 g di lat-te, equivalgono ad 1 mg di niacina.

È interessante notare che le perditepercentuali delle tre vitamine citate aseguito della pastorizzazione del lattesono del tutto trascurabili.

Nel latte si ritrovano anche altre vi-tamine del gruppo B (biotina, acido foli-co, piridossina e cobalamina) e la vita-mina C.

Il latte alimentare

Perché il latte possa essere consu-mato e conservato come tale è neces-sario che venga sottoposto a processidi risanamento che inattivino la micro-

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Contenuto (mg/l)

Tiamina 0,45

Riboflavina 1,70

Acido pantotenico 3,50

Niacina 0,80

Piridossina 0,50

Acido folico 0,05

Cobalamina 0,004

Biotina 0,003

Acido ascorbico < 20

Tabella 5

Principali vitamineidrosolubili del latte.

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flora patogena, anche solo potenzial-mente presente, e riducano i microrga-nismi alterativi in modo da consentire lasua conservazione per il tempo e nellecondizioni desiderate. Tali processi con-sistono principalmente in trattamentitermici che vengono effettuati in manie-ra da minimizzare la riduzione del valorenutrizionale del latte.

Questi scopi possono essere con-seguiti se la qualità microbiologica dellatte crudo di partenza è elevata, ovverose le condizioni di mungitura, raccolta etrasporto del latte agli stabilimenti ditrattamento sono rispondenti ai rigorosicriteri di igiene ben specificati da preci-se normative nazionali e comunitarie.

Indipendentemente dal trattamentotermico applicato, il latte viene dappri-ma corretto del suo contenuto in grassoin modo da ottenere valori non superioria 0,3 g/100 ml per il latte scremato,compresi fra 1,5 e 1,8 g/100 ml per illatte parzialmente scremato e non infe-riori a 3,5 g/100 ml per il latte intero.Ciò comporta modifiche del contenutodi trigliceridi e di costituenti liposolubiliquali il colesterolo che è presente inquantità di circa 3 mg per ogni grammodi grasso.

Un’ulteriore modifica apportata allafrazione lipidica del latte alimentareconsiste nella riduzione delle dimensioni

dei globuli di grasso mediante omoge-neizzazione. Questa operazione vieneeseguita sul latte, o sulla sua compo-nente grassa, di norma prima del tratta-mento termico e ha lo scopo di impedi-re l’affioramento della panna durante laconservazione del latte. Inoltre ha l’ef-fetto di aumentare la superficie espostadal grasso facilitando così l’azione deisali biliari e la digestione.

Ad eccezione della componente li-pidica, le differenze di composizione fralatte crudo e latte alimentare sono do-vute principalmente all’intensità del ri-scaldamento applicato.

In base alle normative vigenti è pos-sibile individuare almeno tre tipi di tratta-mento termico applicati per il risana-mento del latte: pastorizzazione, ste-rilizzazione in flusso continuo con con-fezionamento asettico (UHT) e steriliz-zazione in confezione ermetica (Fig. 2).

Pastorizzazione

Il trattamento di pastorizzazione hala funzione di rendere igienicamente si-curo il latte e di permetterne la conser-vazione in frigorifero (4 °C) per almenoquattro giorni (legge italiana n. 169 del3.5.1989). Viene effettuato riscaldandoil latte ad almeno 72 °C per 15 secondi

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I l latte e i prodott i derivat i

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Raffreddamentoa 4 °C

Sterilizzazionein contenitorea 110-120 °C

per 15-20 minuti

Confezionamentoasettico

Confezionamentoin contenitori

ermetici

Pastorizzazionea 72-75 °C

per 15-20 secondi

Confezionamento

Omogeneizzazione

LATTE Depurazione fisica

Correzione del titolo in grasso

Lattepastorizzato

Latte sterilein bottiglia

LatteUHT

Preriscaldamento

Sterilizzazione UHTa 135-150 °C per 3-10 secondi

Raffreddamentoa temperatura ambiente

Figura 2

Schema di produzionedel latte pastorizzato,UHT e sterilizzato inconfezione ermetica.

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onde garantire la distruzione del batteriopatogeno non sporigeno più resistenteal calore, il Mycobacterium tuberculo-sis bovis. Oltre a quelli patogeni vengo-no distrutti molti microrganismi alterativiappartenenti essenzialmente alle fami-glie delle Pseudomonadaceae ed En-terobacteriaceae. Sopravvivono alla pa-storizzazione i microrganismi apparte-nenti ai generi Microbacterium, Micro-coccus, Bacillus e alcuni batteri lattici,che tuttavia non possono svilupparsi, incondizioni di refrigerazione, entro il ter-mine di scadenza dei quattro giorni sta-biliti dalla attuale normativa italiana.

I latti pastorizzati sono caratterizzatianche dal limitato danno termico subitodai loro costituenti, intendendo comedanno termico l’insieme delle modifichedella composizione del latte dovuto alcalore. Infatti, le frazioni glucidica e lipi-dica non vengono modificate sensibil-mente (Tab. 6) e solo una minima partedelle proteine solubili del siero (i costi-tuenti proteici più termosensibili del lat-te), in particolare alcuni enzimi nativi dellatte e il 30-60% della BSA e delle im-munoglobuline, viene denaturata.

Queste proteine, corrispondenti acirca il 10-25% delle sieroproteine to-tali, rimangono tuttavia interamente bio-disponibili. Della componente vitaminicasolo l’acido ascorbico e l’acido deidroa-

scorbico possono subire una riduzionefino a circa il 10% in seguito alla pasto-rizzazione. Tuttavia il latte non può es-sere definito un importante apportatoredi vitamina C, in quanto anche allo statocrudo esso contiene questa vitamina inquantità limitate (< 2 mg/100 ml).

Sulla base delle normative vigenti inItalia (legge n. 169 del 3.5.1989 eDPR n. 54 del 14.1.1997) si possonodistinguere almeno quattro tipi di lattepastorizzato (Tab. 7):– latte fresco pastorizzato di alta qua-

lità;– latte fresco pastorizzato;– latte pastorizzato;– latte pastorizzato ad alta temperatura.

Il latte fresco pastorizzato e quellopastorizzato possono essere conside-rati equivalenti per composizione e valo-re nutrizionale e presentano un conte-nuto di sieroproteine solubili (cioè nondenaturate) superiore al 14,5% delleproteine totali. La dicitura “fresco” puòessere legalmente riportata sull’etichet-ta solo quando il trattamento termicosia stato effettuato entro 48 ore dallamungitura.

Il latte fresco pastorizzato di altaqualità si differenzia da questi latti peraver subito una pastorizzazione partico-larmente blanda tale che le frazioni sie-roproteiche solubili costituiscano alme-

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no il 15,5% delle proteine totali del lat-te (corrispondenti a 10-15% di siero-proteine denaturate) e pertanto deveessere ottenuto da latte crudo di eleva-

ta qualità microbiologica. Inoltre il suocontenuto proteico non deve essere in-feriore a 3,2%, mentre il tenore ingrasso deve essere di almeno 3,5%.

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• Distruzione dei microrganismi patogeni non sporigeni:– conservabilità a 4 ºC per 4 giorni (fino a 45 giorni per il latte pastorizzato ad

alta temperatura)

• Denaturazione del 10-25% delle sieroproteine (fino a 50% per il latte pastorizzatoad alta temperatura):– enzimi nativi– immunoglobuline, BSA e β-lattoglobulina

• Distruzione fino al 10% di acido ascorbico e deidroascorbico

• Distruzione delle forme microbiche vegetative e sporigene:– conservabilità a temperatura ambiente per 3 mesi

• Denaturazione del 10-90% delle sieroproteine

• Formazione di lattulosio (5-60 mg/100 ml)

• Cross-link irreversibile delle proteine:– defosforilazione della caseina– riduzione della biodisponibilità degli amminoacidi

• Reazione di Maillard:– formazione dell’odore di sterilizzato– imbrunimento del colore– riduzione della biodisponibilità di lisina

• Riduzione fino al 30% di acido ascorbico, folacina, piridossale, tiamina e vitaminaB12

• Distruzione di tutte le forme microbiche e delle proteasi e lipasi da loro prodotte:– conservabilità fino a 1 anno a temperatura ambiente

• Formazione di lattulosio (40-100 mg/100 ml)

• Denaturazione completa delle sieroproteine

• Intensa reazione di Maillard e cross-link irreversibile delle proteine:– defosforilazione della caseina– riduzione dell’apporto di calcio

Sterilizzazione in contenitore ermetico

Sterilizzazione UHT

PastorizzazioneTabella 6

Effetti dei trattamentitermici sulla microflora esui costituenti del latte.

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Il latte fresco pastorizzato di altaqualità è quello che fra i latti alimentaripiù si avvicina alle caratteristiche nutri-zionali, compositive, e quindi anche or-ganolettiche, del latte crudo.

Il latte pastorizzato ad alta tempe-ratura è l’unico, fra i latti pastorizzati,che può essere prodotto anche da lattegià pastorizzato e che può essere sotto-posto a trattamenti termici tali da di-struggere tutta la microflora vegetativa(es. 140 °C per meno di 1 secondo).

Questo latte può essere conservatoa temperature inferiori a 10 °C per 10-45 giorni e, pur avendo subito una de-naturazione sieroproteica maggiore,presenta ancora caratteristiche chimi-che, organolettiche e nutrizionali vicine aquelle degli altri tipi di latte pastorizzato.

Sterilizzazione

Per poter garantire al latte un pe-riodo di conservazione prolungato atemperatura ambiente è necessariosottoporlo a un processo di sterilizza-zione, cioè a un riscaldamento che ri-duca il numero di microrganismi (formevegetative e spore) a un livello tale daimpedirne lo sviluppo in specifiche con-dizioni di confezionamento. I più razio-nali metodi di sterilizzazione si basanosu trattamenti termici flash, cioè effet-tuati per tempi molto brevi a tempe-rature elevate. Questi processi si fon-dano sul principio che all’aumentaredella temperatura di trattamento la ve-locità di distruzione delle forme microbi-che accelera maggiormente rispetto al-

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Costituente Fresco Fresco Pastorizzato pastorizzato pastorizzato ad alta di alta qualità o pastorizzato temperatura

Sieroproteine solubili(% delle

≥ 15,5 ≥ 14,5 ≤ 14,5

proteine totali)

Proteine totali (g/100 ml)

≥ 3,2 ≥ 2,8 ≥ 2,8

Grasso ≥ 3,5 ≤ 0,3 (scremato) ≤ 0,3 (scremato)(g/100 ml) 1,5-1,8 1,5-1,8

(parz. scremato) (parz. scremato)≥ 3,5 (intero) ≥ 3,5 (intero)

Coliformi (UFC/ml) assenti assenti assenti

Patogeni assenti assenti assenti

Tabella 7

Classificazione ecaratteristiche deidiversi tipi di lattepastorizzato.

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la velocità di alterazione dei costituentidel latte.

Pertanto, benché sia possibile otte-nere la stessa distruzione di microrgani-smi applicando temperature basse pertempi prolungati o temperature elevateper tempi molto brevi, è quest’ultima al-ternativa ad essere applicata poiché èquella che produce il minor danno ter-mico al latte. Questi trattamenti vengo-no definiti UHT (dall’inglese ultra-hightemperature), cioè a temperatura ultra-alta, e consistono in un rapido riscalda-mento a 135-150 °C del latte che vie-ne mantenuto a questa temperatura per3-10 secondi prima di essere rapida-mente raffreddato a temperatura am-biente e confezionato in condizioni ste-rili (vedi Fig. 2).

Per il confezionamento asettico ven-gono di norma utilizzati contenitori dimateriale poliaccoppiato, costituiti cioèda più strati di diverso materiale fra loroopportunamente saldati, che proteggo-no il latte dall’ambiente esterno. In par-ticolare uno strato di alluminio impedi-sce il passaggio dell’ossigeno esternocosì da inibire lo sviluppo delle sporeeventualmente ancora presenti e l’irran-cidimento ossidativo del grasso del lat-te. Il contatto del latte con l’alluminio èimpedito da uno strato di polietilene.

Il latte UHT, essendo praticamente

sterile, può essere conservato a tempe-ratura ambiente fino a tre mesi dallaproduzione (legge italiana n. 169 del3.5.1989), tuttavia, le componenti pro-teiche e glucidiche vengono modificate(vedi Tab. 6) dall’intenso trattamentotermico subito, con importanti conse-guenze sulle proprietà nutrizionali. Inparticolare, i cambiamenti termo-indottisulla struttura delle micelle caseinicheproducono una maggiore digeribilitàpeptica e un più rapido svuotamentogastrico rispetto al latte pastorizzato. Siverifica nel contempo una interazionefra le proteine, dovuta in primo luogoalla formazione di legami disolfuro frasieroproteine e caseine e secondaria-mente a legami covalenti formati dalladefosforilazione dei residui fosfoserinicidella caseina e dalla successiva intera-zione di questi con i residui di lisina o diistidina. Mentre il primo tipo di interazio-ne è reversibile e non riduce la biodi-sponibilità degli amminoacidi coinvolti(perdita per altro quantitativamente insé poco importante), il secondo non èreversibile e provoca una ridotta suscet-tibilità delle proteine all’attacco delleproteasi digestive a cui consegue unminore apporto di amminoacidi dal latte.

Il lattosio è invece convertito in lat-tulosio per isomerizzazione della frazio-ne glucosidica in fruttosio. La quantità

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di lattulosio formata può raggiungere60 mg/100 ml (circa 1,3% del lattosioiniziale). Questo zucchero possiede pro-prietà stimolanti la crescita dei bifido-batteri e può quindi assolvere un ruoloimportante nell’equilibrio della microflo-ra intestinale. Inoltre, proteine e lattosiopossono reagire fra loro instaurandouna serie di reazioni che nel complessovengono definite reazioni di Maillard eche portano a una riduzione della biodi-sponibilità della lisina e alla formazionedi sostanze non ancora tutte ben identi-ficate. Alcune di queste sostanze (me-lanoidine) sono responsabili dell’imbru-nimento del colore del latte. Altre mole-cole, quali il diacetile, i lattoni e i che-toalcoli, prodotti anche dalla degrada-zione termica del grasso, sono respon-sabili della modifica del gusto che il lat-te UHT assume unitamente al caratteri-stico odore di sterilizzato. La formazionedi composti derivati dalla reazione diMaillard e l’interazione covalente fra leproteine proseguono nel corso dellaconservazione, soprattutto se quest’ulti-ma avviene in ambienti caldi. Inoltre l’in-terazione fra lattosio e β-lattoglobulinapuò aumentare il rischio di insorgenzadi fenomeni allergici verso questa pro-teina nei bambini.

Un’ulteriore conseguenza del tratta-mento UHT è la riduzione del livello di

vitamine che può essere molto variabilein funzione dell’intensità del trattamentotermico e delle condizioni di conserva-zione del latte confezionato. Mentre levitamine liposolubili (A, D, E e K) risul-tano stabili ai trattamenti UHT, l’acidoascorbico, la folacina, il piridossale, latiamina e la vitamina B12 vengono ridottifino al 30%. Più influenti risultano lecondizioni di conservazione. Ossigeno,luce e ambienti caldi possono portarealla distruzione di molte delle vitamine,tuttavia, le confezioni di poliaccoppiatogarantiscono sufficiente protezione dal-l’ossigeno e dalla luce.

Il trattamento UHT conferisce allatte confezionato una conservabilità atemperatura ambiente di almeno 3 me-si. Per tempi di conservazione più lun-ghi possono verificarsi fenomeni di geli-ficazione delle proteine dovuti all’azioneidrolitica delle endoproteasi microbiche(es. da Pseudomonas e Flavobacte-rium) liberatesi in seguito alla lisi dellecellule batteriche dovuta al calore.Alcune di queste proteasi sono termo-stabili e non vengono inattivate comple-tamente col riscaldamento UHT. Perpoter conservare il latte per 6-12 mesiè necessario inattivare questi enzimi ef-fettuando un trattamento termico piùenergico rispetto a quello applicato neiprocessi a temperatura ultra-alta.

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In particolare il latte viene sterilizzatodapprima con il metodo UHT e successi-vamente confezionato in contenitore er-metico e quindi riscaldato a 110-120 °Cper 15-20 minuti. Questo doppio tratta-mento porta sia alla distruzione degli enzi-mi termostabili che limitano la durata del-la conservazione del latte UHT, ma an-che ad un danno termico di gran lungamaggiore di quello descritto per il latteUHT. Il valore nutrizionale del latte steri-lizzato in bottiglia risulta quindi forte-mente ridotto.

Il formaggio

La denominazione merceologica diformaggio è per legge (RDL n. 2033del 15.10.1925) riservata al “prodottoche si ricava dal latte intero o parzial-mente o totalmente scremato, oppuredalla crema, in seguito a coagulazioneacida o ‘presamica’ anche facendo usodi fermenti e sale da cucina”.

Il passaggio chiave della filiera pro-duttiva del formaggio (Fig. 3) è la coa-gulazione del latte, cioè il momento incui si realizza la destabilizzazione dellasospensione colloidale caseinica e laconseguente aggregazione delle micellecon formazione di un coagulo (cagliata).

La stabilità della fase colloidale è

garantita dall’elevato grado di idratazio-ne delle micelle che, allo stato nativo,contengono circa il 70% in peso di ac-qua. La destabilizzazione della sospen-sione micellare è quindi legata alla pos-sibilità di determinare una modifica delsuo stato di idratazione.

Il processo di coagulazione di mag-giore interesse applicativo è quello otte-nuto per via enzimatica attraverso l’usodel caglio. Il caglio (o “presame”) è tra-dizionalmente estratto dal quarto sto-maco dei vitelli lattanti e la sua attivitàcoagulante è principalmente dovutaall’azione di una proteasi, la chimosina.In funzione della modalità di preparazio-ne, il caglio può contenere significativequantità di pepsina e, se estratto dal-l’abomaso di agnello o capretto, anchedi lipasi.

La chimosina è chimicamente unaproteasi specifica che provoca il distac-co di un determinato segmento (casei-nomacropeptide, CMP) della κ-caseinadal resto della catena amminoacidicache rimane invece associata alla micel-la. Nel CMP sono presenti molti idros-siamminoacidi e gli zuccheri che garan-tiscono una elevata solvatazione dellaκ-caseina nativa e quindi della micella.

Con il distacco del CMP lo stato diidratazione diminuisce e le micelle de-stabilizzate, favorite dalla vicinanza reci-

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Depurazione fisicaLATTE

Correzione del titolo in grasso

Trasferimento in caldaia

Aggiunta fermenti lattici

Riscaldamento(temperatura > 15 °C)

Aggiunta caglio

Coagulazione(formazione della cagliata)

Rottura della cagliata

Estrazione della cagliata

Riposo in forma

Salatura

Maturazione

FORMAGGIO

Cottura dellacagliata (per i formaggi

a pasta filata)

Maturazione(acidificazionedella cagliata)

Filatura(con acqua calda

a 80-90 °C)

PastorizzazioneSosta del latte

Figura 3

Schema di produzionedel formaggio.

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proca (nel latte la distanza fra le micelleè pari a circa due volte il loro diametromedio), interagiscono per formare uncoagulo presamico che si presenta ini-zialmente come un caratteristico gelconsistente ed elastico, con volume paria quello del latte prima della coagulazio-ne e contenente tutto il calcio e il fo-sforo colloidale. L’ulteriore avvicinamen-to delle micelle con conseguente con-trazione (o sineresi) del coagulo deter-mina l’espulsione di siero. Un coagulotipicamente presamico è quello ottenu-to nella produzione di un formaggiomolle quale la Crescenza.

Il latte può essere coagulato ancheper acidificazione conseguente ad unafermentazione lattica o all’aggiunta diacidi organici. L’abbassamento del valo-re di pH, infatti, provoca la disidratazio-ne della micella caseinica per avvicina-mento progressivo al suo punto isoelet-trico (pHi 4,6). In questa situazione lacarica netta globale della proteina ènulla, le interazioni con le molecole diacqua sono minime e vi è quindi la pos-sibilità di aggregazione tra le micelle.

Il coagulo acido ottenuto è forte-mente demineralizzato, farinoso, facil-mente disgregabile perché privo dellaconsistenza ed elasticità che caratteriz-za il coagulo presamico. I formaggi tipocaprino sono prodotti per coagulazione

acida a seguito di fermentazione latticadel latte.

Tra i due processi descritti esistononumerosissime condizioni intermedienelle quali la coagulazione può avveniresia per acidificazione che per azione delcaglio. In ogni caso la lavorazione presa-mica viene applicata nella produzione diformaggi a pasta molle dove si richiedeuna buona ritenzione di acqua; la lavo-razione “acido-presamica” viene utilizza-ta per la produzione di formaggi a pastadura (ad es. Parmigiano Reggiano eGrana Padano) dove è necessario rom-pere finemente la cagliata e disidratarla.

La filiera produttiva descritta inFigura 3 è in generale applicabile a tuttii formaggi; tuttavia piccole variazioninella tecnologia conducono a formaggimolto diversi.

Alcuni passaggi della filiera produt-tiva del formaggio assumono al riguardoparticolare importanza. La sosta del lat-te prima della coagulazione consentesia lo sviluppo di alcune microflore pre-senti che di lavorare latte con aciditàsviluppata. Il coagulo ottenuto assu-merà di conseguenza le caratteristichedescritte per il coagulo acido. La lavo-razione di un latte ad acidità naturale(senza sosta) consente invece di otte-nere una cagliata tipicamente presami-ca e compatta, con sineresi spontanea

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lenta, in sostanza una cagliata che puòpotenzialmente dare un formaggio piùricco di acqua.

Il latte lasciato in sosta non vienepastorizzato poiché coagulerebbe e vie-ne quindi lavorato crudo (è il caso delParmigiano Reggiano e del GranaPadano). La caseificazione di latte cru-do non comporta necessariamente pro-blemi igienici, soprattutto quando il for-maggio subisce una prolungata matura-zione. La presenza della microflora latti-ca, unitamente ai fenomeni biochimiciad essa conseguenti, e la tecnologiastessa di preparazione del formaggiosono elementi sufficienti a creare unambiente non favorevole allo sviluppo dimicrorganismi patogeni eventualmentepresenti nel latte.

L’aggiunta al latte di una microfloralattica specifica (innesto) consente diintegrare o sostituire, nel caso di avve-nuta pastorizzazione, la microflora natu-rale del latte crudo. La microflora inne-stata, oltre a sviluppare acidità, deter-mina con il proprio corredo enzimatico ifenomeni che governano la maturazionedel formaggio. Ai formaggi senza matu-razione, quali quelli tipo “caprino” o laMozzarella, i composti prodotti dalla fer-mentazione lattica iniziale conferisconoparticolari proprietà sensoriali. Nellaproduzione dei formaggi “erborinati” (ad

es. Gorgonzola) vengono utilizzati ancheinnesti fungini, vale a dire sospensionidi spore di eumiceti.

Dopo l’aggiunta dell’innesto, il latteviene riscaldato a temperature maggioridi 15 °C e addizionato del caglio. Lacoagulazione presamica effettuata allatemperatura ottimale di attività del ca-glio (circa 40 °C) consente di ottenerecagliate più consistenti; al contrario, pertemperature inferiori ai 30 °C, il coagu-lo ottenuto è rilassato con scarsa sine-resi. La quantità di caglio influisce sultempo di coagulazione che risulta pro-porzionalmente più breve all’aumentaredella quantità di enzima. Entro certi limi-ti, la rapidità della coagulazione conferi-sce elasticità e compattezza al coagulo.

La fase di sineresi spontanea è unfenomeno molto lento per cui, nella pro-duzione casearia, si facilita l’espulsionedel siero attraverso la lavorazione mec-canica della cagliata. Il coagulo vienerotto con modalità diverse a secondadello spurgo richiesto: pezzi piccoli (chic-co di riso) per la produzione di formaggia pasta dura, pezzi grossi (arancia) per iformaggi a pasta molle.

Nei formaggi a pasta dura a fortespurgo, l’azione meccanica e l’acidifica-zione, dovuta allo sviluppo della micro-flora innestata, sono affiancate dallacottura della cagliata. Il trattamento ter-

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mico provoca la disidratazione del ma-teriale proteico. L’esposizione di gruppiidrofobici e la loro interazione, favoritadalla temperatura (50-60 °C), facilitanola coesione tra i granuli caseosi conconseguente ottenimento di una massasufficientemente compatta e asciutta.

La cagliata comunque ottenuta vieneestratta dalla caldaia, con conseguenteeliminazione del siero, e posta in forma.Con il siero vengono asportati anchemolti componenti estranei al latte. Pro-prio per questo il formaggio è da consi-derarsi un prodotto alimentare fortemen-te depurato da potenziali contaminanti,specie idrosolubili; si pensi che media-mente i 9/10 del volume del latte casei-ficato sono costituiti da siero che verràeliminato nel corso della lavorazione.

Nel caso dei formaggi a pasta filata(Mozzarella, Provolone, ecc.), la caglia-ta estratta viene lasciata a riposo peralcune ore. Durante tale periodo, lo svi-luppo della flora lattica conferisce allacagliata le caratteristiche di acidità chele consentono di assumere, se trattatacon acqua calda, una tipica strutturaplastica e filamentosa. Durante la filatu-ra la cagliata viene modellata nelle for-me e pezzature più diverse.

Di fondamentale importanza per lecaratteristiche finali del formaggio è ilprocesso di maturazione che modifica

le proprietà organolettiche e reologicheiniziali. L’entità di queste modificazionidipende, oltre che dalla durata dellamaturazione, da un insieme di condizio-ni fisiche e fisico-chimiche che influen-zano sia lo sviluppo delle microflore pre-senti che diverse attività enzimatiche aloro volta dovute ad enzimi sia nativi(endogeni del latte) che di origine mi-crobica.

La durata della maturazione è con-dizionata dalla quantità di acqua del for-maggio e quindi dallo spurgo subito dal-la cagliata in seguito ai processi (in par-ticolare la cottura) da essa subiti in la-vorazione.

Il formaggio a pasta molle e quindicruda, essendo ricco di acqua, è pococonservabile e avrà una breve matura-zione. Al contrario il formaggio a pastadura e cotta, povero di acqua subiràuna maturazione più lunga.

Durante la stagionatura le modifi-che più evidenti sono date dalla proteo-lisi a carico della caseina, con liberazio-ne di composti azotati solubili e a bassopeso molecolare.

Questi fenomeni, ascrivibili all’azio-ne di proteasi di varia origine (caglio,microflora dell’innesto e superficiale delformaggio, proteasi endogene), varianonei diversi tipi di formaggio e, nel casodi una prolungata maturazione, portano

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alla liberazione di amminoacidi e dei lorocomposti di degradazione, quali acidi,ammine, ammoniaca. Tali sostanze con-tribuiscono a formare l’aroma e il saporedel formaggio.

Il lattosio scompare già nei primigiorni successivi alla produzione del for-maggio per fermentazioni da parte dibatteri lattici che lo trasformano princi-palmente in acido lattico. L’acidificazionedella cagliata ne favorisce lo spurgo, mainfluisce anche sull’aroma del formaggioe sulla sua struttura, solubilizzando partedei sali minerali legati alla caseina. Ilconseguente abbassamento del pHcrea condizioni non favorevoli allo svilup-po di specie microbiche putrefacenti egasogene, solitamente anticasearie esempre presenti nel latte crudo.

L’acido lattico formato durante laprima maturazione viene degradato perfermentazioni secondarie, salificato dalcalcio e neutralizzato dall’ammoniacaformatasi a seguito dei fenomeni proteo-litici. Si assiste di conseguenza a un in-nalzamento del valore di pH, del formag-gio, molto limitato per le paste dure ecotte, più significativo per le paste molliche, in condizioni di maturazione spinta,possono anche diventare alcaline.

I fenomeni di lipolisi a carico dei tri-gliceridi provocano la liberazione degliacidi grassi che determinano, in partico-

lare quelli a corta catena, il caratteristicogusto piccante di alcuni formaggi. Nelcaso del Pecorino e del Provolone le li-pasi provengono principalmente dal ca-glio, mentre nei formaggi erborinati, co-me il Gorgonzola, sono principalmentedi origine fungina. Nei formaggi erbori-nati, inoltre, l’attività enzimatica dellamicroflora fungina trasforma alcuni acidigrassi in composti carbonilici (chetoacidie metilchetoni) responsabili del caratte-ristico aroma di questi formaggi.

Da un punto di vista nutrizionale ilformaggio può essere considerato unprodotto ove si concentrano le proteinee, nella maggior parte dei casi, il grassodel latte.

La composizione centesimale delformaggio (Tab. 8) è determinata dal ti-po di lavorazione utilizzata. In linea dimassima la caseina e il grasso vengonoquasi interamente trattenuti nella caglia-ta, mentre i composti solubili, quali latto-sio, sieroproteine ed alcuni sali, vengo-no in gran parte persi nel siero, rima-nendo nel formaggio in quantità propor-zionale al suo contenuto di acqua cioè algrado di spurgo subito dalla cagliata.

Il contenuto in grasso dei formaggirappresenta sia un possibile criterio diclassificazione (Tab. 9) che un indiceanalitico di interesse nutrizionale. Inrealtà, questo parametro è spesso poco

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significativo se non viene valutato insie-me al contenuto di acqua del formaggiostesso. A parità di peso, un formaggio“grasso” ma ricco di acqua, come laCrescenza, apporta meno grasso di unformaggio “semigrasso” ma contenentemeno acqua, come il Grana Padano o ilParmigiano Reggiano.

Degli aspetti nutrizionali che coinvol-gono la componente lipidica si è già di-scusso. Tuttavia, una corretta valutazio-ne dietetica deve necessariamente con-siderare anche la componente proteicae minerale che il formaggio apporta.

Molto interessante è la differenzia-zione dei formaggi sulla base del pro-cesso biochimico preminente che puòcaratterizzarne la maturazione (vedi Tab.9). Infatti, i fenomeni fermentativi ed

enzimatici favoriscono la formazione dicaratteristiche non solo organolettichema anche nutrizionali, di digeribilità e incerti casi probiotiche, che fanno del for-maggio un prodotto a diversificazione il-limitata e le cui composizioni sommariecentesimali costituiscono sfumate e so-lo indicative rappresentazioni.

Si consideri, ad esempio, che i for-maggi a maturazione lattica o lattico-proteolitica hanno una carica in fermen-ti lattici vivi e vitali paragonabile a quelladello yogurt (Tab. 10).

Inoltre nei formaggi a maturazioneprolungata, in cui spesso la proteolisiprevale sugli altri fenomeni enzimatici,avviene tutta una serie di modificazionicon liberazione di composti azotati di al-to valore biologico quali gli amminoacidi.

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Formaggio Umidità Grasso Proteine Sali minerali

Tipo caprino 60-70 9-25 10-15 2,0

Mozzarella vaccina 60 20 17 2,3

Crescenza 57 22 18 2,5

Taleggio 50 26 20 3,5

Gorgonzola 45 30 21 3,9

Fontina 39 31 25 4,5

Emmenthal 37 29 30 3,8

Provolone 38 30 28 4,0

Pecorino 33 32 27 8,0

Parmigiano Reggiano e Grana Padano

30 29 35 5,0

Ricotta 50-70 5-20 15-23 2-3

Tabella 8

Caratteristichecompositive medie (% sul prodotto) di alcunitipi di formaggio e dellaricotta.

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Questi ultimi possono rappresentare fi-no al 20% dell’azoto proteico del GranaPadano o del Parmigiano Reggiano,formaggi che rappresentano quindi unafonte di proteine prontamente assimi-labili.

Altre caratteristiche compositive nu-trizionalmente interessanti sono il con-

tenuto in lattosio, in calcio e in sodio ela presenza di prodotti di degradazionedei grassi (vedi Tab. 10).

Ognuno di questi parametri puòrappresentare un criterio di scelta perl’inserimento del formaggio nella dietadi soggetti con particolari esigenze nu-trizionali o dietetiche.

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Criterio Parametro Classificazione Esempi

grassi (> 42%) Crescenza (50%)21% s.t.q.*

semigrassi Grana Padano e

Contenuto grasso (36-41%) Parmigiano Reggiano (38%)

lipidico (% s.s.**)26% s.t.q.

leggeri (20-35%) formaggi vari (25%)7% s.t.q.

magri (< 20%) formaggi vari (19%)5% s.t.q.

molli (45-70%) Crescenza (58%)

Consistenza umidità (%) semiduri (35-45%) Fontina (39%)

duri (30-38%) Grana Padano eParmigiano Reggiano (33%)

freschi (< 1 gg) tipo “caprino” e “Quarg”Mozzarella

Durata della tempo rapida (< 1 mese) Crescenza (6 gg)

maturazione media (1-6 mesi) Taleggio (2 mesi)

lenta (> 6 mesi) Grana Padano eParmigiano Reggiano (12 mesi)

lattica tipo “caprino” e “Quarg”

Tipo di processo lattico/proteolitica Crescenza

maturazione biochimico proteolitico/lipolitica Taleggio, Grana Padano epreminente Parmigiano Reggiano

lipolitico/proteolitica Provolone

* % sul prodotto tal quale** % sulla sostanza secca

Tabella 9

Possibili criteri diclassificazione deiformaggi.

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Formaggi fusi

I formaggi fusi sono particolari pre-parazioni alimentari ottenute dalla fusio-ne a caldo (80-100 °C), in presenza diacqua e di sali di fusione, di miscelecontenenti prodotti e sottoprodotti lattie-ro-caseari: formaggi, burro, crema, pol-veri di latte e siero, proteine del latte.

L’uso di sali di fusione, quali i citratie i polifosfati di sodio, consente di otte-nere un prodotto più o meno cremoso,facilmente fondibile e dispersibile a cal-do. Queste proprietà derivano dalla ca-pacità di questi composti di sequestrareil calcio disgregando le micelle caseini-che e contribuendo a stabilizzare l’emul-sione di grasso. I polifosfati hanno an-che grande capacità di ritenere acqua.

In generale i formaggi fusi vengonoottenuti da materie prime diverse, inparticolare da formaggi scarsamentevalorizzabili e recuperabili per altra via.Non esistono inoltre norme precise sul-la quantità e qualità degli ingredienti uti-lizzabili per la preparazione dei formaggifusi.

Come logica conseguenza, la qua-lità di questi prodotti è strettamente le-gata, più di quanto avvenga per altri de-rivati lattieri, alla serietà del produttore.

Per le temperature e le materie pri-me utilizzate nella loro preparazione, iformaggi fusi si caratterizzano spessoper un danno termico elevato conse-guente ai processi di fusione e sterilizza-zione finale del prodotto e riconducibileprevalentemente a una intensa reazione

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Formaggio Lattosio Fosforo Calcio(%) (mg/100 g) (mg/100 g)

Tipo caprino 1,5-2 60 100

Mozzarella vaccina 1,5-2 150 290

Crescenza 1,5-2 150 300

Taleggio 0 280 310

Gorgonzola 0 350 600

Fontina 0 560 870

Emmenthal 0 640 1020

Provolone dolce 0 400 900

Pecorino 0 670 1000

Parmigiano Reggiano e Grana Padano

0 680 1160

Tabella 10

Caratteristichecompositive,biochimiche enutrizionali medie dialcuni tipi di formaggio.

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di Maillard e a reazioni di cross-link traamminoacidi.

Questi fenomeni riducono la quan-tità di lisina disponibile e possono origi-nare artefatti nutrizionali che meritanoun’attenta valutazione soprattutto seconsiderati nell’ottica dell’utilizzatore fi-nale.

Non bisogna infatti dimenticare cheuna discreta fascia di consumatori diformaggi fusi è costituita da bambini.La preferenza accordata a questi for-maggi deriva sia dalla praticità di uso(ad es. confezioni monodose) sia dalleloro caratteristiche di spalmabilità e disolubilità.

D’altra parte proprio nei formaggifusi destinati ai bambini spesso vieneutilizzato, tra le materie prime, siero in

polvere che, contenendo circa il 70% dilattosio, predispone il formaggio a un’in-tensa reazione di Maillard durante la fu-sione. In questi prodotti il lattosio con-corre a un leggero addolcimento del sa-pore del formaggio, aumentandone cosìl’apprezzamento da parte dei bambini.Se si considera che la maggior partedei formaggi fusi del commercio pre-senta valori di umidità molto simili (40-50%), l’elevato contenuto in lattosiocompensa a livello ponderale un minorcontenuto proteico. Viene così aumen-tata la componente energetica del pro-dotto a scapito di quella plastica.

Queste problematiche di caratterenutrizionale si affiancano a quelle createdall’uso dei polifosfati. Infatti, l’effettosequestrante esercitato dai polifosfati sul

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NaCl Proteolisi Lipolisi Microflora lattica Valore energetico(%) (UFC/g) (kcal/100 g)

1,0 assente assente 109-1010 140-280

1,0 assente assente 108-109 230

1,9 leggera assente 108-109 280

2,1 media leggera poco significativa 320

3,5 media forte poco significativa 360

1,1 media leggera poco significativa 380

1,6 media leggera non significativa 380

2,9 leggera leggera non significativa 360

5,5 media forte non significativa 370

1,6 forte media non significativa 390

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calcio, indispensabile a livello tecnologi-co, si accompagna a una minore assimi-labilità del calcio stesso (in considerazio-ne anche dell’alterato rapporto Ca/Pdell’alimento), privando il formaggio diuna parte, seppur modesta, di compo-nenti nutrizionalmente interessanti.

Come ultima considerazione occor-re ricordare che i formaggi fusi sono ali-menti praticamente sterili. Ciò comportada un lato una grande affidabilità igieni-ca ed una prolungata conservabilità(shelf-life), ma dall’altro anche la man-canza di quelle proprietà probioticheprecedentemente descritte per il for-maggio tradizionale che dovrebbe esse-re sempre visto come alimento “vivo”.

Ricotta

Da un punto di vista legale la Ricottanon è un formaggio in quanto non è ot-tenuta dal latte ma dal siero, che è unsuo sottoprodotto, per coagulazionedelle proteine solubili mediante acidifi-cazione e riscaldamento.

La tecnologia di produzione della ri-cotta prevede il riscaldamento a 70-90 °Cdel siero residuato dalla caseificazionee la successiva aggiunta di acidi organi-ci (solitamente citrico) o di siero acidoin proporzioni diverse in funzione della

provenienza della materia prima. Lamassa proteica coagulata che affioraalla superficie viene separata dal liquidorestante (scotta) e posta in forme o “fu-stelle”.

La Ricotta da siero di latte vaccinopresenta la composizione chimica ripor-tata in Tabella 8. Contrariamente a quan-to normalmente ritenuto, essa può pre-sentare un discreto contenuto di grassomal collocandosi in diete che escludonoapporti di grassi animali. Il minor conte-nuto possibile di grasso è ottenuto pre-parando la Ricotta a partire da sieroscremato.

All’aspetto nutrizionale accennato siaffianca, non meno importante, quellomicrobiologico. La Ricotta è un prodottoricco di acqua e privo di una significativacarica di batteri lattici vivi: è quindi facil-mente alterabile se conservata in condi-zioni igieniche non idonee.

Bisogna infine ricordare che sonooggi presenti sul mercato prodotti de-nominati “ricotta” ma preparati a partireda miscele di siero di latte con latte.Questi prodotti sono di conseguenzaassimilabili più ai coprecipitati delle pro-teine del latte, cioè all’insieme delle fra-zioni caseiniche e sieroproteiche sepa-rate del latte per coagulazione acido-termica, che non alla Ricotta così cometradizionalmente intesa.

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Lo yogurt e i latti fermentati

Viene definito yogurt il prodottodella fermentazione lattica del latte,senza sottrazione di siero, ad opera diStreptococcus thermophilus eLactobacillus delbrueckii var. bulgari-cus. L’attuale tecnologia di produzionedello yogurt (Fig. 4) prevede che il latte,dopo essere stato eventualmente sotto-posto a correzione del titolo in grasso,venga concentrato per evaporazione fi-no a ottenere un aumento del residuosecco magro dal 9% a circa il 10%.Viene quindi eseguita una energicaomogeneizzazione prima di riscaldare illatte a circa 90-95 °C per 5-10 minuti.Queste operazioni hanno lo scopo di fa-vorire la successiva formazione di uncoagulo di consistenza viscosa, cremo-sa, e di minimizzare lo spurgo di siero.Inoltre, il forte riscaldamento rende igie-nicamente sicuro il prodotto e crea unambiente adatto alla crescita dei batterilattici che vengono aggiunti dopo averraffreddato il latte a 40-45 °C. Il latteinoculato può quindi subire la fermenta-zione o direttamente nelle confezioni divendita (yogurt a coagulo compatto) oin appositi serbatoi fermentatori da cuiviene poi prelevato per il confeziona-mento.

In entrambi i casi l’eventuale ag-giunta di frutta (in forma di pezzi o mar-mellata) viene effettuata subito primadel confezionamento. Una volta com-pletata la fermentazione, lo yogurt deveessere refrigerato a 4 °C e conservatoa questa temperatura fino al consumoal fine di conservare vivi e vitali i batterilattici presenti.

Nel corso della fermentazione nonsi verificano sensibili modifiche del con-tenuto proteico e lipidico i cui valori, ri-portati in Tabella 11, sono funzione del-la quantità di acqua evaporata in prece-denza. Il lattosio diminuisce a valori di3,8-4,2 g/100 g parallelamente allaproduzione di acido lattico (circa 1,0-1,2 g/100 g) che provoca la coagula-zione del latte portandone il pH a valoridi circa 4,0-4,6. La coagulazione avvie-ne senza lo spurgo di siero in quantol’interazione provocata dal calore trasieroproteine denaturate (fortementeidrofiliche) e caseina preserva lo statodi idratazione del coagulo.

Con la fermentazione vengono inol-tre prodotti gli aromi caratteristici delloyogurt: principalmente acetoino (0,25-0,4 mg/100 g), acetone (0,1-0,4mg/100 g) e diaceti le (0,05-0,1mg/100 g).

L’importanza dello yogurt nell’ali-mentazione va anche attribuita alla pre-

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Pastorizzazione a90-95 °C per 5-10 minuti

Inoculo diStreptococcus thermophilus e

Lactobacillus delbrueckii var. bulgaricus

Depurazione fisicaLATTE

Correzione del titolo in grasso

Omogeneizzazione

Confezionamento

Fermentazionea 40-45 °C

Raffreddamentoa 40-45 °C

Raffreddamentoa 4 °C

Fermentazionea 40-45 °C

in fermentatori

Rottura e lavorazionedel coagulo

Confezionamentoe raffreddamento a 4 °C

Raffreddamento

Aggiuntadi marmellata

o frutta in pezzi

Concentrazione

YOGURTA COAGULOCOMPATTO

YOGURTA COAGULO

ROTTO

Figura 4

Schema di produzionedello yogurt.

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senza di microrganismi vivi e vitali chehanno un ruolo nell’equilibrio della mi-croflora intestinale. In base alle indica-zioni del Ministero della Sanità e allenorme UNI (norma U59.09.100.0) ènecessario che al momento del consu-mo lo yogurt contenga almeno 107 mi-crorganismi per grammo, di cui almeno106 devono appartenere ad una delledue specie caratteristiche dello yogurt.Tali valori dovrebbero essere quelli mini-mi necessari perché i batteri lattici pos-sano superare la barriera gastrica eprendere il sopravvento sulla microfloraintestinale presente svolgendo così uneffetto probiotico. I batteri lattici con-sentono di aumentare la digeribilità del

lattosio negli individui che non tolleranoquesto zucchero.

In funzione del ceppo questi batterihanno inoltre un effetto stimolante o ini-bente la mobilità gastrointestinale e, gra-zie alla loro attività fermentativa e alla pro-duzione di batteriocine, esercitanoun’azione inibente verso lo sviluppo di al-cuni batteri patogeni. Ciò è utile nella curadi alcuni disturbi intestinali quali le diarree.

In alcuni latti fermentati sono ag-giunti, oltre a Streptococcus thermo-philus e Lactobacillus delbrueckii var.bulgaricus, anche Lactobacillus aci-dophilus e Bifidobacterium di variaspecie. Questi ultimi esercitano un ef-fetto barriera ancora maggiore nell’inte-

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Componente Valori

Zuccheri (g/100 g):

lattosio 3,8-4,2

glucosio tracce

galattosio 1,0-1,2

saccarosio (yogurt condito) 5-15

Proteine (g/100 g) 3,5-3,8

Grasso (g/100 g):

scremato 0,1

intero 4-4,8

Streptococcus thermophilus(UFC/g)

≥ 106

Lactobacillus delbrueckiivar. bulgaricus (UFC/g)

≥ 106

S. thermophilus + L. delbrueckiivar. bulgaricus (UFC/g)

107-109

Tabella 11

Composizionecentesimale media dello yogurt.

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stino, probabilmente a causa della pro-duzione di acido acetico oltre a quella diacido lattico. Essi hanno inoltre la capa-cità di ridurre nel colon i livelli di alcunienzimi, quali la β-glucuronidasi, l’azore-duttasi, la nitroreduttasi e l’acido glico-colico idrolasi che sono implicati nellaconversione di sostanze procarcinogenea carcinogene quali nitrosammine e salibiliari secondari. Ciononostante, nonesistono ancora evidenze definitive a fa-vore dell’effettiva utilità dello yogurt edei latti fermentati nella prevenzione deltumore al colon e al retto, anche se re-centi studi epidemiologici mostrano unacorrelazione inversa fra questi tumori e ilconsumo di tali alimenti.

Per l’importante ruolo svolto dai bat-teri lattici nell’intestino, vengono oggiprodotti “latti speciali” costituiti da lattefresco pastorizzato o da latte pastorizzatoaddizionato di Lactobacillus acidophilus.Questo microrganismo, uno dei principalirappresentanti della microflora del picco-lo intestino, non è in grado di svilupparsiin condizioni di refrigerazione del latte percui non ne altera il gusto.

Il burro

Il burro viene prodotto a partire dallapanna del latte, ottenuta per centrifuga-

zione (panna dolce) o affioramento (pan-na acida), o dalla panna di siero (pannaacida) (Fig. 5). Vengono solitamente uti-lizzate panne con titolo in grasso del 30-40%, quindi più alto delle panne da cuci-na o da montare (circa 20-30%). Primadi essere lavorata, la panna viene energi-camente pastorizzata (es. 90-95 °C per30 sec) al fine di garantire la distruzionedella microflora vegetativa presente e fa-cilitare così lo sviluppo dei microrganismiche potranno essere aggiunti nella suc-cessiva fase di maturazione.

All’inizio della maturazione la pannaviene raffreddata a 6-11 °C per 2-4 orein funzione del contenuto relativo di acidigrassi insaturi al fine di conferire al burrofinale una consistenza adeguata (matu-razione fisica). Se alla panna sono statiaggiunti fermenti (Lactococcus lactis eLeuconostoc citrovorum) per effettuareanche una maturazione di tipo biologico(fermentativa), la temperatura viene suc-cessivamente portata a 15-21 °C al finedi favorire l’attività dei batteri lattici.Questi fermentano il lattosio e l’acido ci-trico producendo le sostanze che confe-riscono il tipico aroma al burro: acetoinoe diacetile (circa 1 mg/kg burro). In que-sta fase si svolge anche una fermenta-zione lattica che, acidificando la panna,facilita la burrificazione, ne aumenta laresa e implementa il gusto finale.

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Le panne già acidificate e parzial-mente aromatizzate a seguito dell’attivitàdei batteri lattici nelle vasche di screma-tura o nelle vasche di affioramento (pan-ne acide) vengono sottoposte alla solamaturazione fisica. La panna maturataviene quindi burrificata, cioè sottopostaa un processo di agitazione meccanica afreddo (temperatura < 15 °C) durante ilquale si svolge l’inversione delle fasi: iglobuli di grasso, inizialmente emulsio-nati nella fase acquosa, si aggreganoformando una fase continua (burro) incui rimane dispersa una certa quantità difase acquosa (latticello).

Il burro viene quindi lavato con ac-qua e sottoposto a una serie di impasta-menti al fine di eliminare il latticello resi-duo e i microrganismi in esso presenticosì da aumentarne la conservabilità. Lafase acquosa residua è dunque costitui-ta da latticello molto diluito e risulta di-spersa in goccioline di dimensioni infe-riori a 20 µm nelle quali i pochi batterilattici presenti non trovano quantità dinutrienti sufficienti per svilupparsi. Pertali ragioni il burro può essere conservatoa 4 °C per un tempo prolungato anchese, solitamente, viene conservato a tem-perature molto inferiori (–10/–15 °C). Altermine dell’impastamento il burro puòessere addizionato di sale in ragione di0,3-3 g/100 g, a seconda che si tratti

di burro ottenuto da panna acida, ovverosottoposto a maturazione biologica, o diburro da panna dolce. Il burro così otte-nuto è costituito da almeno 82% digrasso, mentre la rimanente quota èrappresentata essenzialmente da acqua,sale e tracce di composti azotati.Rispetto alla composizione lipidica dellatte, il grasso del burro contiene unaminore quantità di fosfolipidi che vengo-no persi nel latticello. I trigliceridi rappre-sentano il 98% della frazione grassa e ilcolesterolo lo 0,3%.

Da un punto di vista nutrizionale, ol-tre al colesterolo apportato dal burro,deve essere considerato anche l’effettoipercolesterolizzante dovuto alla presen-za di acidi grassi saturi C12 (3% circadegli acidi grassi), C14 (11% circa de-gli acidi grassi) e C16 (30% circa degliacidi grassi). Detti acidi grassi sono in-vece assenti negli oli vegetali, o pre-senti in piccola quantità.

Fra gli acidi grassi essenziali è pre-sente, in quantità limitata, l’acido lino-leico (2 g/100 g di acidi grassi totali),mentre gli acidi linolenico e arachidoni-co sono presenti solo in tracce.

Sono oggi in commercio tipi di bur-ro con contenuto di grasso inferioreall’82% e per questo definiti leggeri aridotto tenore di grasso (60-62% inmateria grassa) o leggeri a basso teno-

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re di grasso (40-42% in materia gras-sa). In questi casi la parte non grassa ècostituita da acqua e da una quota diproteine del latte che svolgono la fun-zione di addensanti.

Oggi viene anche prodotto burro aridotto contenuto di colesterolo che, perora, non può essere definito commer-cialmente tale. In questo prodotto ilcontenuto in colesterolo risulta ridotto

del 90-95% rispetto a quello del burrotradizionale.

I peptidi ad attivitàbiologica

In questi ultimi anni le conoscenzeacquisite in materia di fisiologia e bio-chimica della nutrizione hanno dimo-

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Centrifugazione

SIERO

Affioramento

Centrifugazione

LATTE

Figura 5

Schema di produzionedel burro.

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strato che l’assunzione di prodotti lat-tieri coinvolge aspetti che vanno ben ol-tre il semplice apporto di nutrienti.Infatti numerosi composti minori pre-senti nel latte quali ormoni, fattori dicrescita e sostanze antibatteriche pos-sono svolgere un ruolo importantenell’alimentazione dell’individuo ed inparticolare nella crescita e nello svilup-po del lattante.

Recentemente la ricerca in questosettore si è orientata verso una partico-lare categoria di composti “biologica-mente attivi”: si tratta di peptidi presen-ti in uno stato inattivo nella sequenzaprimaria di alcune proteine del latte eche, una volta liberati da queste ultimeper idrolisi enzimatica, possono influen-zare alcune funzioni biologiche dell’or-ganismo umano (Tab. 12).

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PANNA ACIDA

Pastorizzazione

Raffreddamento

Aggiunta fermenti lattici

Zangolatura

Maturazione

Lavaggio e impastamento(eventuale salatura)

Confezionamento

Conservazione a –10/–15 °C

Latte magro

Latte parzialmente scremato

Siero magro

Per panna da affioramento

PANNA DOLCE

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Peptidi oppioidi

I peptidi con attività oppioide-similesono stati i primi e i più studiati compo-sti bioattivi derivanti dalla caseina. Unaserie di peptidi chiamati casomorfinesono stati ottenuti dall’idrolisi enzimaticain vitro della β-caseina vaccina. Altripeptidi oppioidi sono localizzati nelle se-quenze: 90-96 della αs1-caseina vacci-na (esorfine); 41-44 della β-caseinaumana (β-casorfine); 50-53 della α-lat-toalbumina vaccina ed umana (lattorfi-na); 399-404 della albumina sericavaccina (serorfina); 102-105 della β-lattoglobulina vaccina (lattorfina). Tuttiquesti peptidi possiedono un residuo N-terminale di Tyr indispensabile per l’atti-vità oppioide e caratteristico di tipici pep-

tidi oppioidi derivanti da molecole quali laproencefalina.

Peptidi ad attività oppioide e ipoten-siva sono stati ritrovati in latte fermenta-to da ceppi di Lactobacillus helveticus.

La presenza nella circolazione ema-tica di peptidi oppioidi derivati dal latte èstata riscontrata nelle gestanti e nelledonne in lattazione. In questo caso ipeptidi si originano dallo stesso lattematerno e attraversano il tessuto mam-mario andando a influenzare il rilascio diormoni che agiscono sulla lattazione(prolattina e ossitocina) e sull’attività delsistema nervoso centrale.

Alcuni peptidi (casoxine) derivantidalla κ-caseina mostrano un’azione op-pioide antagonista per soppressionedell’attività della encefalina.

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Proteina precursore Funzione biologica

Casomorfine β-caseina oppioide agonista

Esorfine αs1-caseina oppioide agonista

α-Lattorfine α-lattalbumina oppioide agonista

β-Lattorfine β-lattoglobulina oppioide agonista

Serorfine BSA oppioide agonista

Casoxine κ-caseina oppioide antagonista

Fosfopeptidi αs1, αs2 e β-caseina carrier di sali minerali

Casochinine αs1 e β-caseina ipotensiva e immunostimolante

Immunopeptidi αs1 e β-caseina immunostimolante

Lattoferricina ferritina immunostimolante

Casopiastrine κ-caseina antitrombotica

Tabella 12

Peptidi bioattivi derivantidalle proteine del latte.

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Fosfopeptidi

Le frazioni caseiniche sono caratte-rizzate dalla presenza di residui fosfose-rinici nella loro struttura primaria. Daqueste proteine, per azione delle protea-si gastrointestinali ed in particolare dellatripsina, si liberano in vitro ed in vivonumerosi peptidi fosforilati: frammenti43-58, 59-79 e 66-74 dalla αs1-casei-na; frammenti 46-70 e 1/2-21 dallaαs2-caseina; frammenti 1-25, 1-28 e33-48 dalla β-caseina. Questi casei-nofosfopeptidi (CPP), per la loro resi-stenza all’idrolisi enzimatica, sono ritro-vabili nell’intestino e, per la presenza dipiù residui adiacenti di fosfoserina, sonocaratterizzati da un elevato potere che-lante verso il calcio. I complessi CPP-Casono molto solubili e possono inibire laprecipitazione del fosfato di calcio favo-rendo il trasporto e l’assorbimento dicalcio nell’intestino. In particolare i com-plessi CPP-Ca sono responsabili del tra-sporto passivo che ha luogo nelle porzio-ni distali del piccolo intestino per azionedella pressione osmotica. In condizionifisiologiche il calcio assorbito in questomodo è ponderalmente più importante diquello assorbito per trasporto attivo (me-diato dalla vitamina D) e si dimostra effi-cace, indipendentemente dall’apporto divitamina D, nell’aumentare la calcifi-

cazione ossea nella cura del rachitismo. Recentemente è stata segnalata la

formazione di CPP durante la stagiona-tura di formaggi a pasta dura quali ilGrana Padano per azione combinatadella plasmina e di proteasi microbiche.

È stato proposto l’utilizzo dei CPPnella formulazione di dentifrici per la lo-ro capacità di limitare e prevenire la de-mineralizzazione dell’enamel e fenomenicariogeni. I CPP ben si prestano a talescopo anche per l’assenza di effetti al-lergizzanti. Inoltre, poiché non alteranola palatabilità degli alimenti, potrebberoessere utilizzati quali anticariogeni nelleformulazioni alimentari.

Peptidi ipotensivi

Lo studio di idrolizzati triptici di ca-seina vaccina ha portato alla identifica-zione di 3 peptidi aventi attività ipotensi-va (casochinine). Questi peptidi, loca-lizzati nella αs1-caseina (frammenti 23-24, 23-27 e 194-199) e nella β-casei-na (frammenti 173-183), inibiscono invivo l’azione dell’enzima (angiotensin I-converting-enzyme, ACE) che convertel’angiotensina I.

Altri peptidi ipotensivi sono da temponoti e presenti nelle sequenze primariedelle caseine umane β e κ, in altre pro-

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teine animali (es. gelatina) e vegetali (es.zeina) o nel veleno di alcuni serpenti.

Peptidi immunomodulanti

Peptidi derivati dalla idrolisi triptica echimotriptica della αs1- e della β-caseinahanno mostrato in vitro la stimolazionedell’attività macrofagica nei confronti dieritrociti senescenti. Un’analoga attivitàin vivo non è stata ancora rilevata ben-ché siano stati individuati sulle cellule fa-gocitarie umane recettori specifici per al-cuni peptidi derivati da caseina umana.Un’azione antibatterica diretta sui batteriGram negativi e su alcuni lieviti (es.Candida albicans) è svolta dalla latto-ferricina, un peptide di 25 amminoacididerivato dall’idrolisi peptica della ferritina.Come la ferritina questo peptide inibiscelo sviluppo dei microrganismi seque-strando il ferro necessario all’attività me-tabolica, ma a tale meccanismo di azioneunisce una vera e propria attività idroliticanei confronti dei lipopolisaccaridi dellamembrana batterica esterna.

Peptidi antitrombotici

Le similitudini esistenti tra coagula-zione del sangue e coagulazione presa-

mica del latte hanno indotto a ricercarele analogie tra le sequenze del fibrino-geno umano e la κ-caseina vaccina. Ilframmento 106-116 della κ-caseinapresenta una similitudine strutturale conil dodecapeptide del fibrinogeno, maanche una notevole analogia funzionale.Il peptide caseinico citato (casopiastri-na), ottenuto da un idrolizzato triptico,evidenzia in vitro una grande attività an-titrombotica fissandosi ai recettori pia-strinici al posto del fibrinogeno. Un altropeptide della κ-caseina (frammento103-111) inibisce l’aggregazione pia-strinica ma non la formazione del lega-me specifico del fibrinogeno.

Molte delle attività fisiologiche deipeptidi bioattivi sono state valutate me-diante studi in vitro; la loro efficacia invivo, soprattutto dopo somministrazioneorale, è una questione a tutt’oggi anco-ra controversa. Infatti per poter esplica-re la loro attività i peptidi devono: 1) es-sere liberati dalle proteine precursorimediante una moderata e specifica pro-teolisi; 2) essere resistenti alle proteasidel tratto gastrointestinale; 3) essereassorbiti a livello intestinale qualora nonesplichino la loro attività in loco; 4) rag-giungere gli organi specifici senza de-gradazione da parte di proteasi e pepti-dasi plasmatiche. Nonostante i proble-mi descritti, l’assunzione orale di latte o

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peptidi da esso derivati determina effettifisiologici sicuramente accertati (attivitàoppioide-simile e ipotensiva) anche sesono necessarie ulteriori ricerche sul-l’attività in vivo di queste sostanze.

In particolare esiste la necessità diacquisire una più approfondita cono-scenza del ruolo svolto dai biopeptidinell’alimentazione del neonato e del-l’adulto, nonché degli effetti dei proces-si tecnologici sulla biodisponibilità e bio-funzionalità di queste sostanze.

Latte di donna e formulazionialimentari sostitutive

Vari fattori possono limitare l’allatta-mento al seno, quali la nascita prema-tura, la presenza di contaminanti o far-maci pericolosi per il lattante, malattiespecifiche o ragioni psicologiche.

Per alcuni di questi casi è necessa-rio ricorrere all’uso di formulazioni ali-mentari con caratteristiche compositivesimili quanto più possibile al latte ma-terno. Fra i fattori che condizionano laqualità di questi alimenti sostitutivi è dinotevole rilievo l’apporto energeticocomplessivo. Il livello di 70 kcal/100 mlconsigliato dalla FAO/WHO sembra es-sere eccessivo rispetto alle reali esigen-

ze del lattante per il quale apporti ener-getici prossimi a 60 kcal/100 ml ap-paiono più rispondenti a una correttaalimentazione e tale valore minimo èquello previsto dalle norme della UnioneEuropea sulle formulazioni alimentariper l’infanzia.

In termini compositivi un ruolo parti-colarmente importante è svolto dalleproteine che, oltre ad avere una funzio-ne plastica, fungono da apportatori diamminoacidi precursori nella biosintesi dineurotrasmettitori. Formulazioni alimen-tari con apporti proteici insufficienti, osbilanciati per composizione amminoaci-dica, possono pertanto condizionare ne-gativamente lo sviluppo neurologico dellattante. L’apporto proteico del latte ma-terno varia nel corso della lattazione da1,65 g/100 kcal (1,95 g/kg die) a 1,31g/100 kcal (1,18 g/kg die) dopo seimesi di lattazione. Nella formulazione dilatti umanizzati deve essere tuttavia con-siderata la possibilità che il fabbisognoproteico effettivo risulti maggiore a cau-sa della variabilità di composizione am-minoacidica del latte materno durante lalattazione e per una eventuale ridotta di-geribilità e biodisponibilità proteica. Taliformulazioni dovrebbero quindi apportareproteine in ragione di 2,2 g/100 kcalper i primi tre mesi di lattazione e suc-cessivamente di 1,6 g/100 kcal.

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La variabilità amminoacidica del lat-te materno nel corso della lattazione èdovuta alla variazione del contenuto re-lativo delle frazioni proteiche presenti. Ilrapporto sieroproteine/caseina nella fa-se iniziale della lattazione è di 90/10ma si riduce a 60/40 nel latte maturoper divenire 50/50 nella tarda lattazio-ne. Tali valori sono molto differenti daquelli tipici del latte vaccino ed in gene-rale dei ruminati e dei poligastrici nelquale la caseina rappresenta circal’80% delle proteine (latti caseinosi).

Inoltre, nel latte materno circa il25% delle sostanze azotate del latte ècostituto da sostanze non proteiche(0,25% del latte) rappresentate preva-lentemente da urea (circa 50%) chesvolge un ruolo marginale nella nutrizio-ne del lattante. Fra le proteine l’α-lat-toalbumina è quella ponderalmente piùabbondante, rappresentando il 28%delle proteine (41% delle sieroprotei-ne), mentre è assente la β-lattoglobuli-na. Fra le frazioni caseiniche la β-casei-na costituisce quella quantitativamentepiù rilevante.

Di notevole rilievo è la presenzadella lattoferrina (20% delle proteine)che, pur non svolgendo un ruolo di rilie-vo nell’apporto amminoacidico, favori-sce l’assorbimento del ferro, e lo svilup-po intestinale di una microflora bifida e

quindi di un ambiente acido sfavorevolealla crescita di batteri Gram-negativi edi alcuni Gram-positivi patogeni.

Esercita inoltre un’azione positivanella risposta immunitaria e nella proli-ferazione cellulare.

Nelle formulazioni per l’infanzia unrapporto sieroproteine/caseine vaccinedi 60/40 facilita la formazione di uncoagulo con aggregati di minore dimen-sione e quindi una digestione più rapi-da, tuttavia il profilo amminoacidico nonrisulta bilanciato. Il triptofano, precurso-re della serotonina, risulta presente inquantità limitata e inoltre l’elevata pre-senza di treonina potrebbe ulteriormen-te ridurre l’afflusso di triptofano al siste-ma nervoso centrale influenzando ne-gativamente il corretto sviluppo nervosodel bambino.

La cisteina, utilizzata anche per lasintesi della taurina e agente di prote-zione verso i danni perossidativi, puòanch’essa risultare insufficiente.

L’arricchimento delle formulazionialimentari per l’infanzia con α-lattoalbu-mina e lattoferrina permette di ottenereun prodotto più bilanciato in termini pro-teici.

Meno variabile delle proteine è lacomposizione del grasso del latte uma-no che è costituito per il 98% da trigli-ceridi, per l’1,3% da fosfolipidi e per lo

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0,4% da colesterolo. Fra i costituentidel grasso un ruolo particolarmente im-portante è svolto dagli acidi grassi polin-saturi essenziali, quali linoleico (C18:2n-6) e linolenico (C18:3 n-3). I loro de-rivati quali l’acido arachidonico (C22:4n-6) e l’acido docosaesaenoico (C22:6n-3) divengono essenziali quando nonpossono essere biosintetizzati come nelcaso di nascite premature.

Questi acidi grassi rientrano nellacomposizione delle membrane cellularie in particolare di quelle neuronali svol-gendo un ruolo di rilievo nel primo svi-luppo del cervello oltre che della retina.Lo sviluppo della retina e la capacità diapprendimento vengono ridotte irrever-sibilmente se non vengono accumulatedurante lo sviluppo quantità sufficienti diacido docosaesaenoico.

La capacità di sintesi degli acidi po-linsaturi C22 nei neonati potrebbe nonessere sufficiente e pertanto un bilancia-to apporto di acidi grassi C18 e C22 po-linsaturi deve essere presente in unacorretta formulazione lattea per l’infanzia.

Nel latte umano il lattosio, presentein quantità di 7-8%, rappresenta l’85%degli zuccheri. La rimanente parte è co-stituita principalmente da monosaccaridi(0,05-0,1% del latte), da trisaccaridi ealtri oligosaccaridi (1-1,3% del latte) incui sono presenti glucosio, galattosio,

N-acetil-glucosammina, fucosio e acidosialico. Questi zuccheri, oltre alla lorofunzione nutrizionale, svolgono un’atti-vità che stimola lo sviluppo della micro-flora bifida. Il fucosio e l’acido sialicosono inoltre utilizzati per la sintesi di gli-coproteine e glicolipidi cerebrali. In ter-mini energetici è consigliabile un appor-to di carboidrati pari a 8-12 g/100 kcal(5,4-8,2% del latte).

Nelle formulazioni per l’infanzia èimportante la limitata presenza di mo-nosaccaridi come il glucosio in quantoquesti zuccheri possono aumentare lapressione osmotica del prodotto cau-sando diarrea. La concentrazione di so-luti (monosaccaridi e ioni) nel latte uma-no è di 273 mOsm e valori prossimi a300 mOsm caratterizzano solitamentele formulazioni latte per l’infanzia.

Fra gli elementi in tracce, un ruolodi rilievo è svolto dal ferro. Nei neonati“a termine” sono presenti quantità diquesto elemento sufficienti per 4 mesi,grazie alle riserve accumulate durantegli ultimi 3 mesi di gestazione e alla de-gradazione dell’emoglobina durante leprime 6-8 settimane di vita.

Nel latte umano il contenuto di fer-ro scende da 0,06 mg/100 ml presentia due settimane di lattazione a 0,03mg/100 ml al quinto mese. Il 65-81%di questo nutriente è legato alle siero-

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proteine ed in particolare il 24-40% èveicolato dalla lattoferrina ed il 19-26%è legato alla membrana dei globuli digrasso.

Nelle formulazioni alimentari il ferroè presente in quantità di 0,5-0,8 g/100ml di latte (0,7-1,2 mg/100 kcal).Quantità elevate di ferro potrebbero ini-bire la biodisponibilità dello zinco che èsolitamente aggiunto a livelli di 0,4-0,5mg/100 ml.

Un ultimo importante aspetto com-positivo del latte umano investe la pre-senza di numerosi peptidi ad attività or-monale appartenenti a diversi gruppi fracui: tiroide-paratiroide, fattori di cresci-ta, regolatori del tratto gastrointestinale,ipotalamo-ipofisari. Questi ormoni sem-brano svolgere un ruolo funzionale im-portante nel lattante grazie alla elevatapermeabilità del tratto gastrointestinalee della bassa attività proteolitica.

Ormoni e peptidi ad attività biologi-ca sono presenti anche nel latte vacci-no ma la loro concentrazione può esse-re molto diversa e differentemente va-riabile nel corso della lattazione.

Il latte in polvere

La disidratazione consente di con-centrare i costituenti del latte renden-

doli conservabili a temperatura ambien-te per oltre un anno. La tecnologia diproduzione del latte in polvere prevedeche il latte, dopo essere stato correttodel suo contenuto in grasso, vengatrattato termicamente in modo da otte-nere un effetto equivalente almeno aduna pastorizzazione. Possono essereapplicati trattamenti termici più intensifino a 120 °C per alcuni minuti per pro-durre latte in polvere da utilizzare qualeingrediente nella produzione di partico-lari prodotti, come quelli da forno o ilcioccolato. In seguito il latte viene con-centrato fino a ridurre la quantità d’ac-qua del 75%. Di norma questa faseviene condotta per evaporazione sottovuoto in modo che la temperatura nonsuperi i 65-70 °C e si svolge in pochiminuti in modo da non danneggiare ul-teriormente i costituenti del latte. Il latteconcentrato viene quindi essiccato ne-bulizzandolo in un flusso d’aria riscalda-ta a 160-220 °C così da ottenere unarapidissima disidratazione.

Al termine di questo processo, defi-nito spray, il contenuto di acqua scendead 1-3%. Alcune modifiche alla velocitàdel processo di essiccazione permetto-no di conferire al prodotto essiccatouna rapida e completa solubilità.

La composizione finale del latte inpolvere ottenuto con questa tecnologia

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è quella descritta in Tabella 13. Nelcorso della fase di essiccazione si verifi-ca una intensa reazione di Maillard acausa dell’elevata concentrazione diproteine e lattosio raggiunta e dellatemperatura relativamente elevata dellapolvere.

Poiché tale reazione è più intensadi quella indotta dal processo di steriliz-zazione UHT, la perdita di valore biolo-gico delle proteine nel latte in polverepuò anche essere rilevante.

Riferimenti bibliografici

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Walstra P, Jenness R Dairy Chemistry and Physics.John Wiley & Sons, New York, 1984.

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Latte intero Latte scremato

Acqua 1-5 1-5

Grasso 26-28 0,5-2

Lattosio 40 51-55

Sostanze azotate 22-24 33-38

Sali minerali 8 10-11

Tabella 13

Composizione media(g/100 g) del latte interoin polvere e del lattescremato in polvere.

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Negli anni ’50 il modello alimentareitaliano ha subito notevoli cambiamentia causa soprattutto dei mutamenti nelleabitudini di vita dei consumatori: vi èstato un progressivo passaggio da unadieta basata sui farinacei e sulle protei-ne vegetali a una dieta più varia, com-posta da ortaggi, frutta e, soprattutto,proteine di origine animale.

Nel passato più recente, il consu-mo di carne per gli italiani non ha signi-ficato tanto il punto di arrivo di una buo-na nutrizione, quanto la difesa di una

conquista sociale. Negli ultimi anni diquesto millennio si può vedere che, do-po decenni di rilevante incremento, ilmercato delle carni sembra destinato auna graduale inversione di tendenza.

Questa evoluzione risulta chiaranella Tabella 1.

Le ragioni di questo affievolimentod’interesse per l’alimento carne sonomolteplici e si possono individuare nel-l’aumentata richiesta di pasti fuori casada consumarsi velocemente (spesso nona base di carne), in un ritorno ampia-

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AA limenti carnei e alimenti ittici

C. Cantoni*, G. Caserio**

* Cattedra di Ispezione e Controllo dei Prodotti Alimentari di Origine Animale Facoltà di Veterinaria – Università degli Studi di Milano** Cattedra di Patologia Animale e Ispezione delle Carni DISTAM Facoltà di Agraria – Università degli Studi di Milano

Premessa

1990 1991 1992 1993 1994 1995 1996

Bovina 26,6 25,4 25,1 25,5 24,9 24,5 22,9

Suina 27,0 26,6 26,9 27,4 27,3 27,4 28,1

Pollame 18,8 18,8 18,9 18,7 18,8 18,8 19,2

Coniglio e4,0 4,2 4,3 4,3 4,3 4,2 4,1

selvaggina

Equina 1,3 1,3 0,9 0,7 0,7 1,0 0,9

Ovicaprina 1,7 1,5 1,4 1,4 1,3 1,2 1,2

Frattaglie 3,8 3,9 4,0 3,4 4,0 3,8 3,6

Totale 83,2 81,7 81,5 81,4 81,3 80,9 80,0

Tabella 1

Consumi di carne inItalia (kg annuali procapite) dal 1990 al 1996(elaborazione Dolp’sStudio, su dati ISTAT e Una).

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mente divulgato alla dieta mediterranea,negli orientamenti dei dietologi, in unacerta diffidenza del consumatore versoun prodotto non sempre genuino e sicu-ro, nella perdita di immagine di statusdelle carni e infine nell’incertezza circal’origine del prodotto che resta così ano-nimo.

Le carni che più hanno accusato leconseguenze di questo stato di cosesono quelle bovine, a fronte di un signi-ficativo incremento dei consumi di carnibianche di pollame e di carni suine.

La continua ricerca intesa a ottenerecarni magre e a basso contenuto di co-lesterolo, ha avuto successo; noti nutri-zionisti e famosi scienziati hanno mutatoatteggiamento verso questo alimentoche oggi ha cambiato profondamente lasua composizione chimica fondamentale(un etto di carne di maiale, ad esempio,contiene circa 6 grammi di grasso controi 20 grammi di dieci anni fa).

Problematiche relativeal consumo di carni

Problematiche circa il consumo dicarni e prodotti carnei ve ne sono sem-pre state: da quelle igienico-sanitarie aquelle più squisitamente nutrizionistichee dietologiche. Alle problematiche igie-

nico-sanitarie del passato (Salmonello-si, malattie da parassiti, utilizzo fraudo-lento di sostanze ad azione ormonale),si sono aggiunti negli anni recenti altririschi, dovuti sia a nuove patologie, siaa consuetudini alimentari che promuo-vono il consumo di carni crude.

Da una decina d’anni la listeriosi èstata riconosciuta malattia di origine ali-mentare ed episodi infettivi dovuti aconsumi di prodotti carnei inquinati daquesto microrganismo si sono verificatiin diversi paesi europei.

Da pochi anni la sindrome emolitico-uremica dovuta a infezione alimentaresostenuta da Escherichia coli verocito-tossici colpisce i consumatori di carnimacinate crude o poco cotte (la malattiada hamburger degli Stati Uniti d’Ame-rica).

Da ultimo, il problema delle encefa-lopatie spongiformi dei bovini e degli ovi-ni, sostenute da particelle infettanti pro-teiche denominate “agenti trasmissibilinon convenzionali” ha fatto crollare ilmercato delle carni bovine nel nostropaese. Anche la questione del divieto diimportazione nella Comunità Europea dicarni bovine americane prodotte conl’ausilio di ormoni è attuale e suscita al-larmismo nel consumatore. Da ultimo, laproblematica delle patologie cosiddetteocculte (cioè zoonosi di difficile diagnosi

Alimenti carnei e al imenti itt ic i

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senza l’ausilio di metodiche di laborato-rio) può complicare il quadro relativo allasicurezza di consumo di carni.

Sicurezza che è basata fortementesull’efficienza del nostro sistema ispetti-vo di controllo negli allevamenti, al mat-tatoio, negli spacci di vendita, nei frigori-feri delle mense per collettività, nei de-positi.

Infatti le carni sono senza ombra didubbio gli alimenti che subiscono ilmaggior numero di controlli, imposti daleggi ben precise e molto rigorose.

A partire dalle visite veterinarie in

allevamento, seguitando con i certificatidi origine e sanità che scortano gli ani-mali trasportati al macello; quindi conuna visita ante-mortem prima della ma-cellazione e una post-mortem primadella bollatura delle carni destinate alconsumo umano.

In conclusione, il sistema di control-lo ha dimostrato grande efficienza nelnostro paese, dove, di conseguenza, ri-sultano minimizzate le malattie alimen-tari dovute a consumo di carni e pro-dotti carnei che in altri paesi hanno pro-dotto gravi situazioni di rischio.

C. Cantoni , G. Caserio

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Gli alimenti carnei comprendono lecarni fresche, le preparazioni di carne eprodotti di trasformazione delle carni.

Per carni fresche la legislazioneComunitaria e quella del nostro paeseintendono quelle carni che non hannosubito alcun trattamento per prolungarela loro conservabilità, se non l’applica-zione del freddo (refrigerazione, conge-lamento, surgelazione).

Per prodotti carnei si intendonoquelli che hanno subito trattamenti qualila salagione, l’essiccamento, l’affumi-camento, la stagionatura, l’uso di con-servanti, l’uso del calore (pastorizzazio-ne, cottura, sterilizzazione), per poter ri-sultare stabili per tempi medio-lunghi, indiverse condizioni di conservazione.

Le carni sono le parti molli comme-stibili degli animali da macello e cioè imuscoli (che costituiscono la carcassa)e i visceri quali fegato, cuore, reni, pol-moni, stomaci, che si ottengono dallamacellazione di bovini, suini, ovini e ca-prini, equini, pollame e coniglio.

Delle carni di pesce e dei prodottiittici tratteremo specificatamente piùavanti.

La commercializzazionedelle carni

Le carni vengono commercializzatesia sfuse (preincarto o vassoietto rico-perto da film plastico a contatto) siaconfezionate (sottovuoto o in atmosferaprotettiva): le modalità di confeziona-mento consentono il prolungamentodella vita commerciale, mantenendoinalterati per tempi diversi i caratteri or-ganolettici più importanti: colore, odore,sapore, consistenza.

Tutte le carni fresche sono in realtàcarni refrigerate, cioè mantenute atemperature prossime a 0/+2 °C, inmodo che sia l’attività enzimatica deitessuti, sia la proliferazione microbicavengano notevolmente rallentati.

Durante la conservazione allo stato

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Alimenti carnei e ittici

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refrigerato il processo di frollatura sicompleta e la carne acquista, soprattut-to con la cottura, tenerezza e saporecaratteristici.

Le carni devono possedere quei pre-requisiti e requisiti che concorrono a co-stituire la qualità.

1) qualità igienico-sanitaria, legataall’assenza di sostanze indesiderate(metalli pesanti, micotossine), di residuidi pesticidi usati in agricoltura, di residuidi farmaci (antibiotici, cortisonici, ormo-ni), di additivi non consentiti;

2) qualità chimico-bromatologica,definita in base alla composizione cen-tesimale;

3) qualità nutrizionale, come risulta-to delle proprietà dietetiche e nutrizionali(qualità delle proteine, dei lipidi, ecc.);

4) qualità organolettica (colore, odo-re, sapore, tenerezza, succosità, ecc.);

5) qualità tecnologica (attitudine al-la lavorazione, conservazione, trasfor-mazione).

Insieme a questi requisiti gli alimenticarnei, per essere accettati dalla moder-na dietologia, devono essere dotati dibuona digeribilità, di basso valore calori-co (basso contenuto in grassi), esserericchi di componenti plastici nobili e bendotati dei principi nutritivi indispensabili

(vitamine, oligoelementi, acidi grassi es-senziali) e in forme ben utilizzabili.

Le carni dal punto di vista nutrizionale

Dalla valutazione delle Tabelle 2-8circa la composizione chimica delle car-ni delle varie specie animali, la compo-sizione in acidi grassi, il contenuto in vi-tamine, il contenuto in colesterolo, ilrapporto tra acidi grassi saturi e insatu-ri, si può ritenere che le carni siano og-gi un alimento insostituibile delle diete.

Sono numerose le ragioni per cui lecarni sono da molti considerate alimentiinsostituibili:

1) La carne e i prodotti carneisono alimenti formati da proteinead alto valore biologico e sono ali-menti facilmente digeribili.

Le proteine della carne soddisfanoin percentuale elevata il fabbisogno inamminoacidi dell’uomo.

Gli amminoacidi sono liberati dalleproteine introdotte con il cibo tramite ilprocesso digestivo e vengono utilizzatidall’organismo per la costruzione delleproprie proteine.

Le proteine della carne sono ricchedi amminoacidi ramificati (i cosiddetti

C. Cantoni , G. Caserio

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1692/97 capitolo 3 29-05-2002 11:30 Pagina 119

branch chain amino acids = valina,leucina, isoleucina) e di altri amminoa-cidi essenziali (treonina, metionina, lisi-na, fenilalanina e triptofano), che sonoin rapporto molto simile a quello neces-sario per l’organismo umano.

Gli amminoacidi ramificati (BCAA)sono rapidamente metabolizzati dall’or-ganismo, avendo un turn-over rapidissi-mo, e rappresentano la quota dominan-te degli amminoacidi circolanti nel liqui-do ematico.

I muscoli possono utilizzare diretta-mente i BCAA per la sintesi delle pro-

teine specifiche. I BCAA inibiscono o li-mitano la degradazione delle proteine estimolano la glucogenesi tramite il co-siddetto circolo alanina-glucosio: l’alani-na prodotta nel muscolo con la proteoli-si e per la disponibilità dei BCAA, vienedesaminata nel fegato formando piruva-to; il glucosio derivato viene rilasciato eindirizzato nuovamente al muscolo, do-ve è di nuovo convertito in piruvato ealanina.

Un’altra funzione dei BCAA è cor-relata con l’aumentata produzione diammoniaca durante lo sforzo muscolare

Alimenti carnei e al imenti itt ic i

120

Alimento Acqua Proteine Lipidi Ferro Energiag g g mg kcal

Vitello 76,9 20,7 1,0 2,3 92

Vitellone magra 71,5 21,3 3,1 2,3 113

grassa 66,3 18,1 14,6 2,0 204

Maiale magro bistecca 74,0 18,3 3,0 1,5 100

coscia 75,3 18,7 3,0 1,6 102

Maiale grasso magra 72,5 19,9 6,8 1,7 141

grassa 19,0 14,5 37,3 1,2 394

Pollo intero 68,7 19,1 11,0 1,5 175

petto 75,3 22,2 0,9 1,6 97

coscia 74,2 17,9 6,5 2,0 130

Tacchino petto 70,2 22,0 4,9 2,5 134

coscia 69,2 20,9 11,2 2,5 186

ala 68,2 22,3 11,5 2,5 193

Coniglio magra 75,3 23,7 0,6 1,3 102

grassa 66,2 18,1 14,4 0,1 203

Agnello 75,2 20,0 2,2 1,9 101

Tabella 2

Composizine chimica e valore calorico dellecarni (per 100 g di partecommestibile).

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e nella neutralizzazione della sua tossi-cità: i BCAA agiscono condizionando laformazione di glutammina che funge datrasportatore di ammoniaca al fegato,dove viene utilizzata per la sintesi del-l’urea (composto tossico) ed eliminatasotto questa forma.

Per quanto riguarda gli altri ammi-noacidi che la carne contiene, l’argininastimola la produzione dell’ormone dellacrescita (GH), e ciò può spiegare per-ché in Italia l’aumento di statura dellapopolazione sia andato di pari passocon l’aumento dei consumi di carne.

C. Cantoni , G. Caserio

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Valori precedenti* Valori nuovi*a) b) c) d)

Acqua (g) 71,5 69,6 75,2 71,6

Proteine (g) 21,3 19,1 21,8 21,3

Grassi (g) 3,1 9,3 1,8 6,1

Energia (kcal) 113 160 103 140

Colesterolo (mg) 65 68 55 59

Acidi grassi polinsaturi 5 4 21 17(% acidi grassi totali)

Ferro (mg) 2,3 2,1 1,8 1,3

* valori riferiti a tessuto muscolare privato del grasso visibilea) carne magra; b) carne semigrassa; c) taglio magro (fesa); d) taglio grasso (lombata)

Tabella 3

Composizione della carne bovina(vitellone, per 100 g di sostanza fresca.

Vitamine* Vitello Vitellone Suino Ovino

A (U.I.) tracce tracce tracce tracce

Tiamina (mg) 0,10 0,07 1,00 0,15

Riboflavina (mg) 0,25 0,20 0,20 0,25

Niacina (mg) 7,00 5,00 5,00 5,00

Acido pantotenico (mg) 0,60 0,40 0,60 0,50

Biotina (µg) 5,00 3,00 4,00 3,00

Acido folico (µg) 5,00 10,00 3,00 3,00

B6 (mg) 0,30 0,30 0,50 0,40

B12 (µg) 0,00 2,00 2,00 2,00

C (mg) 0,00 0,00 0,00 0,00

D (U.I.) tracce tracce tracce tracce

* unità, mg o µg per 100 g di carne fresca

Tabella 4

Contenuto in vitamine di carni di specieanimale diversa.

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Il triptofano aumenta la produzionedi serotonina, composto che possiedeuna naturale azione “calmante, saziantee tranquillante” svolta dalla carne usatanelle diete dimagranti.

2) La carne è insostituibile nel-l’apporto di alcuni minerali.

La carne contiene minerali moltoimportanti come ferro, zinco, selenio,fosforo e potassio; questi minerali sonocombinati nella carne in forme partico-lari biodisponibili, per cui sono altamen-te assorbiti e utilizzati.

La carne contiene poco sodio, mi-nerale che, se assunto in eccesso, ag-grava la sintomatologia degli ipertesi.

Il manganese è presente in muscolie organi; la sua deficienza rallenta lamaturità sessuale e provoca irregolaritànell’ovulazione.

La carne è una fonte di zinco mi-gliore rispetto ai vegetali, perché inquesti il fitato presente lo rende bioindi-sponibile. Lo zinco concorre a prevenirepatologie epatiche e la sua deficienzanella dieta ritarda la crescita corporea ela maturazione sessuale.

Alimenti carnei e al imenti itt ic i

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Alimenti Lipidi Saturitotali totali Oleico

Agnello 2,2 1,3 0,88

Bovino adulto 15,4 6,5 6,20

Coniglio 5,3 1,9 2,35

Maiale 22,1 7,0 12,11

Oca 34,4 13,9 17,06

Pollo 6,5 2,1 1,95

Tacchino 11,2 6,1 3,20

Vitellone 9,3 5,1 3,87

Tabella 5

Composizionepercentuale in acidigrassi di diversi tipi di carni.

Alimenti Saturi Monoinsaturi Polinsaturi P/S

Pollo 35,1 47,6 14,9 0,42

Tacchino 36,5 26,9 29,5 0,80

Coniglio 43,3 20,8 34,0 0,78

Manzo 44,9 49,3 4,3 0,09

Maiale 42,5 47,9 8,3 0,19

Tabella 6

Rapporto tra acidi saturie insaturi del grasso di vari tipi di carne.

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Il cobalto è anch’esso un mineraleessenziale perché fa parte della vitami-na B12 e deve pervenire all’organismoumano combinato in questa forma, cheè quella biologicamente attiva.

Il selenio scarseggia nella frutta ein alcuni vegetali, mentre è presente inanimali marini, nel fegato e nella carne;fa parte di diversi enzimi e sembra svol-gere un ruolo favorevole nelle malattiecardiache.

Anche il cromo è presente nellecarni: svolge un ruolo fondamentalenel corretto metabolismo glicidico e li-pidico, nella sintesi proteica e influenzapositivamente la longevità.

3) La carne apporta significativequantità di vitamine del gruppo B.

La carne contiene apprezzabil iquantità di tiamina, la cui mancanza nel-

la dieta favorisce le polineuriti, dà inap-petenza, ritardo della crescita, infertilità.

La tiamina è un costituente dellatiaminapirofosfato, che è un coenzimadel metabolismo dei carboidrati e inter-viene nelle attività neurofisiche favoren-do la trasmissione dell’impulso nervoso.

La carne è una buona fonte di ribo-flavina, vitamina essenziale per il cor-retto accrescimento della massa corpo-rea; la sua deficienza rallenta lo svilup-po, favorisce lesioni oculari e dermatiti.La riboflavina è un costituente di nu-merosi enzimi che svolgono un ruolovitale nei processi ossidativi tessutali.

La niacina (acido nicotinico) è benpresente nelle carni e costituisce unfattore determinante nella prevenzionedella pellagra, malattia presente fino aiprimi anni di questo secolo, che dàluogo a dermatite, diarrea, delirio emorte.

Altre vitamine del gruppo B appor-tate dalla carne sono la vitamina B6, lacolina, l’acido folico e la vitamina B12

(vedi Tab. 4).La vitamina B6 può essere trasfor-

mata dall’organismo in due sostanzeesse pure ad attività vitaminica, il piri-dossale e la piridossamina, coenzimi ri-spettivamente dell’amminoacido-car-bossilasi e della transaminasi, che han-no un ruolo indispensabile nel metabo-

C. Cantoni , G. Caserio

123

Acidi grassi insaturi

Linoleico Linolenico Arachidonico

tracce 0 0

0,40 0,20 tracce

0,76 0,12 0,12

1,90 0,17 0,05

2,39 0,12 0

2,04 0,12 0,02

1,36 0,05 0,10

tracce 0 0

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lismo degli amminoacidi.La colina fa parte dei cosiddetti

“composti lipotrofi” che impediscono ildepositarsi di un eccesso di grassi nelfegato; probabilmente agisce trasfor-mando i grassi in fosfolipidi.

L’acido folico è presente nei tes-suti animali come fegato e rene: pren-

derebbe parte nella sintesi enzimaticadella timina, una base pirimidinica cheentra nella costituzione degli acidi nu-cleinici.

La vitamina B12 (cianocobalamina) èun fattore importante contro l’anemiamacrocitica, contro la demielinizzazionediffusa nel sistema nervoso centrale (che

Alimenti carnei e al imenti itt ic i

124

Alimento Quota in mg per 100 g di parte commestibile

Vitello parte edibile totale 71

carne magra 70

grasso 75

Bovino adulto parte edibile totale 68

carne magra 65

grasso separato 75

Maiale parte edibile totale 62

carne magra 60

grasso separato 70

Pollo carne e pelle 81

petto 67

coscia 88

grasso separato 65

Coniglio 65

Rana 50

Cervello > 2.000

Fegato agnello e manzo 300

pollo 555

tacchino 436

Rene 375

Organi

Animali

Tabella 7

Contenuto in colesterolodelle carni.

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porta a demenza) e nel sistema nervosoperiferico, che porta a polineurite.

4) La carne apporta carnitina.La carnitina o betaina dell’acido

betaidrossigamma-amminobutirrico èstata isolata per la prima volta dal tes-suto muscolare e recenti studi ne han-no dimostrato l’importanza nel metabo-lismo degli acidi grassi come trasporta-tore di radicali acidi attraverso la mem-

brana mitocondriale.La membrana mitocondriale infatti

risulta impermeabile sia all’acetil-CoAformatosi all’interno, sia ai radicali aci-di a catena carboniosa lunga presentinel citoplasma; la carnitina forma conquesti un acetilderivato che ha la pro-prietà di attraversare facilmente lamembrana mitocondriale: la carnitinafavorisce quindi l’ossidazione degli aci-di grassi.

C. Cantoni , G. Caserio

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Alimento Quota in mg per 100 g di parte commestibile

Cervella 2.000

Fegatini di pollo 555

Rognone 375

Fegato 300

Uova 260

Animelle 250

Pollo (coscia) 88

Vitello 71

Manzo 68

Coniglio 65

Maiale 62

Würstel 110

Lardo 95

Prosciutto crudo 80

Salame 80

Prosciutto cotto 70

Bresaola 37

Prosciutto crudo magro 33

Insaccati e salumi

Tabella 8

Quantita di colesterolonelle carni e in altrialimenti di origineanimale.

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5) La carne è pressoché privadi sostanze residuali.

La carne degli animali da macello èpriva o contiene solo tracce di sostanzeresiduali, concentrazioni cioè prive di si-gnificato tossicologico.

In un ambiente carico di residui chi-mici, non esistono, teoricamente, ali-menti esenti da possibili residui; gli ani-mali, però, a differenza dei vegetali,hanno la possibilità di eliminarli.

I possibili effetti nocividovuti al consumo di carne

Il consumo di carne è stato ritenutocausa diretta o indiretta di alcune ma-lattie quali quelle cardiovascolari, il can-cro, l’ictus. Soprattutto il suo contenutoin grasso è stato stigmatizzato.

In questi anni la teoria lipidica del-l’arteriosclerosi, che ha creduto di indi-viduare nel colesterolo il principale re-sponsabile di questa malattia, non sem-bra più poggiare sulle certezze del pas-sato per numerose ragioni.

La quantità di colesterolo comunqueche si ingerisce con il cibo carneo èpressoché irrilevante: il contenuto nellecarni varia fra 40 e 100 mg/100 g el’intestino ne assorbe solo il 60%; quan-

do del colesterolo viene ingerito con glialimenti, l’organismo limita la quota chenormalmente sintetizza e viceversa (vediTabb. 7 e 8). Solo una piccola parte (10-20%) del colesterolo che è nel nostrosangue è di origine alimentare.

Quanto al tipo di grasso che si in-gerisce, il grasso bovino presenta unrapporto acidi grassi saturi e insaturi dicirca 1/1; quello di suino ha una quotadi acidi grassi polinsaturi superiore aquella del bovino; i grassi di pollo e co-niglio si distinguono per la limitataquantità di acido stearico e la rilevantepercentuale di acidi grassi polinsaturi(vedi Tab. 6).

Carne e tumori

Si è ritenuto ancora di identificarenella carne, tramite il grasso contenuto,la causa dell’incidenza di alcuni tumorial colon e alla mammella in popolazionidi paesi sviluppati.

L’ipotesi suggerita per spiegare l’as-sociazione grasso/tumore al colon, cheè valida anche per i grassi vegetali, è laseguente: dopo l’ingestione di grasso,l’organismo secerne acidi biliari peremulsionarlo e per permetterne l’assor-bimento. L’eccesso di acidi biliari verreb-be trasformato dalla flora batterica inte-

Alimenti carnei e al imenti itt ic i

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stinale in vari composti dotati di poterecancerogeno.

Si pensa oggi che la causa più pro-babile delle patologie ricordate sia l’in-troduzione eccessiva di calorie e cioèl’eccesso di cibo, piuttosto che il con-sumo di prodotti di origine animale.

Le carni di pesce

Le carni di pesce hanno un tassoproteico intorno al 15-20%, con un’otti-

ma composizione in amminoacidi essen-ziali (tra questi la lisina è particolarmenteelevata). Contengono tutti gli amminoa-cidi essenziali in rapporti ottimali.

Il triptofano è presente in modestequantità; la cisteina è quattro volte piùelevata rispetto alla quantità presentenella caseina del latte.

Le basi puriniche e pirimidiniche re-stano sempre scarse e questo rende ilpesce adatto ai malati di gotta. I glucidisono in genere trascurabili mentre i lipi-di possono variare in modo notevole.

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Buona Media Scarsa digeribilità digeribilità digeribilità

Cernia Alice Aringa

Dentice Cefalo Sgombro

Merluzzo Palombo

Orata Sardina

Sogliola Tonno

Spigola Triglia

Trota Salmone Anguilla

Carpa

Luccio

Pesce persico

Temolo

Tinca

Cavedano

Coregone

Di acqua dolce

Di mare

Tabella 9

Digeribilità di pesci dimare e di acqua dolce.

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I lipidi dei pesci sono particolarmentericchi di acidi grassi insaturi e polinsaturi,alcuni dei quali sono essenziali all’orga-nismo umano, come l’acido linoleico.

I lipidi dei pesci hanno valore nutri-zionale elevato, anche perché conten-gono fosfolipidi (lecitine che sono moltoutili); il contenuto lipidico oscilla tra lo0,5% e il 30%, in relazione alla specie,allo stato sessuale, alla stagione, al-l’alimentazione e all’habitat.

Sali minerali e vitamine sono conte-nuti in quantità elevata: calcio, iodio efosforo sono più abbondanti nei pesciche nelle carni degli animali da macello;il ferro, pur presente, non raggiunge i

valori delle carni bovine.I pesci sono pure un’ottima fonte di

fluoro. Discrete sono le quantità di vita-mine del gruppo B; largamente diffusele vitamine A, D, B12, PP, E.

La digeribilità (tempo di permanen-za nello stomaco) è proporzionale alcontenuto di grasso e di solito è moltobuona, anche per la minore quantità ditessuto connettivo presente nei musco-li: cosa che consente facile masticazio-ne e rapida azione dei succhi gastrici.

Pesci di mare, pesci di acqua dolce,molluschi e crostacei sono stati classifi-cati in base alla loro digeribilità nellaTabella 9.

Alimenti carnei e al imenti itt ic i

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C. Cantoni , G. Caserio

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I prodotti carnei sono prodotti ditrasformazione delle carni che hannosubito un trattamento che ha conferitoloro sia i caratteri organolettici tipici, siala stabilità, cioè una conservabilità più omeno lunga.

Grande importanza rivestono, fraquesti, i prodotti della salumeria, prepa-rati soprattutto con carni suine e secon-dariamente bovine, equine e di altrespecie animali.

In Italia, negli anni passati, l’alleva-mento del suino aveva praticamente unsolo mercato, quello dell’impiego indu-striale, mentre era del tutto marginale ilmercato delle carni suine fresche.

Le esigenze dell’industria hanno,così, condizionato per il passato la pro-duzione del suino pesante da salumeria.

Oggi, stimolati dalla ricerca dieteti-co-nutrizionale e con l’approfondimentodegli studi sul ruolo dei grassi animalinell’eziologia di alcune malattie cardio-vascolari, altre esigenze zootecnichehanno cominciato a prevalere.

Si sono selezionate linee genetichedi suini magri con limitati depositi digrasso e il mercato delle carni suine haassunto aspetti particolari.

Oggi si producono tre tipi di suini infunzione del loro utilizzo:1) suini da carne leggeri o da macelleria;2) suini per la produzione di cosceadatte per prosciutto cotto;3) suini da carne pesanti per i prodotticlassici e tipici del nostro salumificio(prosciutto stagionato).

La tecnica salumiera si è affinata eoggi sono centinaia le specialità del sa-lumificio che hanno acquisito pregio enotorietà nel mondo.

Classificazione dei prodotti del salumificio

Una classificazione valida dei pro-dotti del salumificio può essere basatasui seguenti principi:

I prodotti carnei

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a) prodotti di carne macinati, fre-schi o stagionati, insaccati in involucrinaturali o cellulosici: salsicce fresche esalami stagionati;

b) prodotti di carne interi o in pezzi,insaccati in involucri diversi oppure noninsaccati, salati e stagionati: prosciutti,bresaole, coppe, pancette, culatelli;

c) prodotti di carne macinata, in-saccati e trattati termicamente: morta-della, würstel, salami cotti;

d) prodotti di carne interi o in pezzi,salati per siringatura, massaggiati equindi cotti in stufe: prosciutto e spallacotti.

Questi prodotti possono essere af-fumicati, aromatizzati con droghe espezie, additivati; la loro stabilità micro-biologica poggia su diversi fattori chimi-co-fisici, chimici e biologici quali l’ab-bassamento dell’attività dell’acqua (disi-dratazione), l’abbassamento di pH (aci-dificazione), l’intervento di flore microbi-che competitive, l’uso di additivi con-servanti (nitrato e nitrito di sodio o po-tassio), la conservazione a temperaturedi refrigerazione.

I prodotti di carnecrudi da stagionare

Sono caratterizzati dalla salagione,

dalla parziale disidratazione delle carni edal fatto che sono sottoposti a “matura-zione” o stagionatura (periodo più omeno lungo, a temperatura controllata,nel quale avvengono trasformazioni do-vute a enzimi di tessuto e a batteri spe-cifici che conferiscono stabilità e aromaalle carni).

I prodotti di carne cotti (macinati oin pezzi) sono sottoposti a un tratta-mento termico di stufatura a vapore etalvolta sono sterilizzati in apposite au-toclavi (zampone precotto, cotechinoprecotto, ecc.).

Oltre ai prodotti del salumificio, unaltro gruppo di prodotti di carne o di pe-sce, chiamato conserve, basa la suastabilità sul fatto di essere sterilizzato inautoclave in contenitore ermetico; que-sto trattamento consente la conserva-zione delle conserve per lunghi periodi atemperatura ambiente.

I prodotti crudistagionati

Il prosciutto crudo

Il prosciutto crudo è fra i prodottimeno manipolati e più naturali presentisulla tavola; l’unico ingrediente aggiun-to è infatti il cloruro di sodio.

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Si prepara in tutta la Penisola, main alcune zone ha avuto un tale sviluppoda essere considerato prodotto tipicocome il prosciutto di Parma, di S. Da-niele, di Modena, il Berico-Euganeo, ilProsciutto Toscano.

Durante la stagionatura la cosciasuina va incontro a complesse modifi-cazioni di tipo enzimatico a carico siadel tessuto muscolare sia di quello adi-poso.

Tale processo idrolitico è dovuto siaagli enzimi della carne sia alla flora mi-crobica superficiale del prosciutto stes-so, apportata dalla carne stessa e so-prattutto dal sale.

Il risultato di questa stagionatura,che dura fino a 2 anni, è la presenzanel prodotto di amminoacidi e di acidigrassi liberi, che sono frazioni altamen-te digeribili.

La formazione di questi composticrea le caratteristiche nutrizionali tipichedel prosciutto crudo stagionato.

Informazioni nutrizionaliIl prosciutto crudo deve essere con-

siderato come un alimento predigerito ilcui consumo non impegna quindi lo sto-maco come avviene per altri alimenti.

È ricco di amminoacidi “ramificati”che hanno la proprietà di entrare nel ci-clo metabolico durante l’attività fisica e

sono in grado di impedire l’insorgenzadi crampi muscolari durante lo sforzo,opponendosi alla formazione di acidolattico.

È un alimento adatto sia ai bambinisia agli anziani.

Il culatello

Come il prosciutto, si ricava dallecosce suine fresche. Il culatello (dettodi Zibello) è costituito da muscoli degliarti inferiori del suino privo di cotenna edi osso: viene stagionato nelle zone ri-vierasche del Po e del Basso Parmen-se. Dopo la preparazione dei muscoli(toelettatura) il prodotto viene salato, le-gato a pera e stagionato per tempi di 6mesi fino ad 1 anno.

Informazioni nutrizionaliIl suo valore nutritivo è simile a

quello del prosciutto crudo.

Lo speck dell’Alto Adige

Lo speck dell’Alto Adige (o Süd-tiroler Markenspeck o Südtiroler Speck)è la coscia di suino disossata, modera-tamente salata e aromatizzata, privata omeno della fesa e affumicata a freddo.

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La coscia di suino aperta e disos-sata viene poi compressa per conferirela caratteristica forma appiattita.

L’aromatizzazione viene eseguitacon sale grosso marino, salnitro, aglio,ginepro, pepe e altri ingredienti; dopo lasalagione lo speck viene affumicato confumo ottenuto dalla combustione di tru-cioli di acero e di faggio in appositi affu-micatoi.

La stagionatura varia da un minimodi 4-5 mesi a 8-9 mesi.

Informazioni nutrizionaliIn passato lo speck era un prodotto

molto grasso, ottenuto con suini localigrassi; oggi è ottenuto da suini a carnimagre e, pur non possedendo i pregidel prosciutto crudo (dolce, non affumi-cato, privo di additivi), è un prodotto adelevato potere nutritivo, molto saporitoe dal profumo marcato.

La coppa

La coppa è un prodotto del salumi-ficio preparato con le masse dei mu-scoli spinoappendicolari e spinodorsali,posti tra le vertebre atlante e la 5a ver-tebra dorsale.

È un pezzo di carne intero, in cui lepercentuali di grasso oscillano intorno al

25%. Sotto il profilo tecnologico, pre-senta una fase di salagione simile aquella del prosciutto crudo e quindi unalunga fase di stagionatura. Le caratteri-stiche organolettiche del prodotto finitosono dovute sia a processi enzimatici ditessuto sia a processi microbici di florelattiche.

Per la sua preparazione si usanosale, spezie, nitrati e nitriti. La stagiona-tura si completa in un tempo di 60-90giorni.

Informazioni nutrizionaliLa coppa può essere considerata

un alimento di base per l’apporto digrassi e proteine; l’apporto nutritivo vabilanciato con carboidrati e sali minerali.

La pancetta

La pancetta viene preparata colpannicolo adiposo proveniente dallaparte ventrale della mezzena suina, cheva dalla regione retrosternale a quellainguinale, comprendendo la sola partelaterale delle mammelle.

Le principali tipologie di prodotto so-no 4: a) pancetta con cotenna; b) pan-cetta senza cotenna; c) pancetta sgras-sata; d) pancetta coppata.

La pancetta si prepara tesa o arro-

Alimenti carnei e al imenti itt ic i

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tolata. La preparazione comprende lasalatura e l’addizione di chiodi di garo-fano, pepe nero e altre spezie che con-feriscono l’aroma e il sapore.

Dopo una fase di riposo in celle ap-posite, le pancette vengono stufate estagionate per periodi fino a 60 giorni.

Informazioni nutrizionaliSi producono e si commercializzano

pancette più o meno grasse, con con-tenuti proteico e lipidico molto variabili,ma sempre considerevolmente elevati.

Gli insaccati stagionati

I salami

I salami sono prodotti preparati concarni magre suine e a volte di altre spe-cie animali (bovine principalmente), congrasso suino, sale, aromi naturali; le car-ni vengono macinate e insaccate in bu-delli naturali o cellulosici e quindi poste astagionare.

I tipi di salami prodotti in Italia sononumerosi; i più conosciuti sono il tipoMilano (caratterizzato da un impasto ma-cinato finemente), il tipo Felino, il tipoVarzi, il Fabriano, il Fiorentino, il Campa-gnolo, il tipo Napoli, il Cremonese, ilMontanaro, il salame all’aglio, il crespo-

ne, l’ungherese, la spianata romana, ilcacciatore.

Il tempo di stagionatura è variabile estrettamente legato al calibro del prodot-to, al tipo di budello, alla finezza o gros-solanità della macinatura.

Informazioni nutrizionaliAlto è il valore energetico degli in-

saccati stagionati: 100 g di salame ap-portano mediamente da 400 a 500 cal.

Ragguardevole il contenuto in pro-teine nobili, mediamente dal 25 al30%; mancano gli zuccheri perché ven-gono fermentati dalle flore lattiche chesi moltiplicano nell’impasto.

Il contenuto in acidi grassi insaturi èbuono: più della metà del totale deigrassi presenti.

Oggi i salumi si stanno pienamenteadeguando alle raccomandazioni nutri-zionali, che prevedono un rapporto di1/3, 1/3 e 1/3 nell’assunzione di grassisaturi, insaturi e polinsaturi (con l’orien-tamento per un certo vantaggio per igrassi monoinsaturi).

È pur vero che non bisogna esage-rare nemmeno con i polinsaturi, perchéun loro eccesso rischia di produrre piùradicali liberi da neutralizzare, quandonon venga bilanciato da una presenzaadeguata di sostanze protettive conte-nute in verdura e frutta.

C. Cantoni , G. Caserio

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La Tabella 10, tratta da una recen-te indagine dell’Istituto Italiano dellaNutrizione, mostra che nei salumi italia-ni negli ultimi anni si è più che dimezza-ta la quota di grasso totale.

Secondo Ballarini, questa rivoluzio-ne è dovuta soprattutto all’evoluzionedell’allevamento dei suini alimentati conmangimi mirati per ottenere carni conelevata nutrizionalità, pochi grassi madella giusta qualità, meno colesterolo. Ilcontenuto in colesterolo dei salumi è in

media pari a 80-110 milligrammi per100 g di prodotto (si colloca cioè sui li-velli della carne di pollo, di agnello o ditrota) (vedi Tab. 8).

Per concludere, le carni e i prodotticarnei sono stati notevolmente rivalutatidalla moderna dietologia, sia perché lecarni sono effettivamente più magre, siaperché il loro apporto nutrizionale sem-bra insostituibile, data la loro ricchezza inamminoacidi, in acidi grassi, in vitamine,in minerali.

Alimenti carnei e al imenti itt ic i

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su 100 gr Grassi totali Calorie1980 1994 1980 1994

Prosciutto crudo 31 12 370 224

Prosciutto crudo sgrassato 12 5 224 159

Pancetta 69 28 661 337

Salame 35 31 462 390

Prosciutto cotto 36 15 412 215

Tabella 10

Grassi totali e calorie nei salumi italiani di ieri e di oggi.

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Riferimenti bibliografici

Ballarini GConferenza stampa del 24 maggio 1995, organizza-ta dal Consorzio Salumi Italiani. 1995.

Cantoni CCarne e uova nella dieta umana. Ristorazione Collettiva-Catering, n. 9, 1993.

Carnovale EIl valore nutrizionale della carne bovina. Eurocarni, 9/96, 1996.

Invernizzi GAspetti poco conosciuti del problema colesterolo. Eurocarni, 3/93:92-9, 1993.

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C. Cantoni , G. Caserio

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I lipidi alimentari

I grassi o lipidi sono sostanze ubi-quitariamente diffuse sia nel regno ani-male sia in quello vegetale. La loroestrazione porta a ottenere specifichecategorie merceologiche, classificatesecondo diversi criteri, come:– la materia prima di provenienza;– la consistenza (liquida o concreta); – lo stato fisico (anidro o idratato);– le peculiarità nutrizionali e biologiche,

connesse alla specifica composizionedel materiale lipidico, alla presenza disostanze di natura non trigliceridica, einfine alle modifiche intervenute a se-guito dei trattamenti attuati allo scopodi ottenere un prodotto suscettibile diimpiego (Tab. 1).

I grassi alimentari hanno prevalen-temente natura chimica di trigliceridi:sono infatti costituiti per il 97-99% daesteri della glicerina (alcool trivalente)con tre molecole (per lo più differentitra loro) di acidi carbossilici della serie

alifatica. Questi acidi (chiamati ancheacidi grassi) sono a loro volta struttu-ralmente caratterizzati dalla lunghezzadella catena di atomi di carbonio e dallapresenza o meno di ramificazioni e/odoppi legami.

Il rimanente 1-3% della materiagrassa è rappresentato da una misceladi costituenti minori (la cosiddetta fra-zione insaponificabile): steroli, idrocar-buri, caroteni e carotinoidi, alcooli alifa-tici superiori, alcooli triterpenici, polife-noli, vitamine liposolubili.

Pertanto, in primo luogo, una mate-ria grassa differisce da un’altra preva-lentemente in ragione delle diverse per-centuali relative degli acidi grassi che lacostituiscono.

È da rilevare, tuttavia, che la com-posizione percentuale acidica rimanespecifica nell’ambito del regno animale,mentre nel regno vegetale tale specifi-cità si mantiene nell’ambito delle piantea ciclo pluriennale; per quanto si riferi-sce invece alle piante annue, questa

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CC ondimenti lipidici

A. Daghetta*, M. Manzini

* Cattedra di Analisi Chimica dei Prodotti AlimentariFacoltà di Agraria – Università degli Studi di Milano

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specificità può essere facilmente modi-ficata praticando opportuni incroci eibridazioni, nella prospettiva di ottenereun miglioramento delle qualità dellaspecie o di eliminare possibili inconve-nienti nutrizionali.

In altri termini, è possibile oggi re-perire sul mercato, ad esempio, un “oliodi girasole” avente composizione acidicapercentuale assai simile a quella del-l’olio di oliva.

Il problema dell’identificazione di unprodotto è comunque risolvibile sul pia-no analitico, in quanto la selezione ge-netica non incide sulla composizionepercentuale dei rispettivi componentiminori (come ad esempio quella deglisteroli): la costanza dei relativi indici,

specifici della famiglia vegetale di pro-venienza, garantisce così una sufficien-te differenziazione merceologica.

In sostanza, un alimento lipidicoviene essenzialmente caratterizzato dadue categorie di informazioni analitiche,determinabili entrambe con metodi ga-scromatografici: la composizione acidi-ca percentuale e la composizione stero-lica percentuale.

Nella compilazione delle Tabelle cheriportano i vari parametri analitici speci-fici di una sostanza grassa, la composi-zione sterolica può essere espressa inuna forma semplificata, quella che si ri-cava nel corso di analisi che si avvalgo-no di colonne cromatografiche conven-zionali, di limitato potere di risoluzione.

Condimenti l ip id ic i

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Mammiferi terrestri (lipidi della secrezione lattea e lipidi di deposito)

Mammiferi marini e pesci (lipidi di deposito e lipidi da tessuti ghiandolari)

Uccelli e animali da cortile (lipidi di deposito e lipidi delle uova)

Specie oleaginose (da frutto e da seme)

Regno vegetale

Regno animaleTabella 1

Fonti diapprovvigionamentodelle materie grasse.

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Operando invece con colonne cromato-grafiche capillari, la composizione stero-lica si rivela più complessa: ad esempio,il picco che tradizionalmente viene indi-cato come “betasitosterolo” in realtà sidimostra costituito da una miscela di di-versi componenti, che possono essereindividualmente caratterizzati e determi-nati quantitativamente.

Nomenclatura degli acidi grassi

Gli acidi grassi di origine lipidica og-gi conosciuti sono più di trecento e il lo-ro numero è costantemente in aumen-to. Gli atomi di carbonio contenuti nellacatena sono di norma in numero pari ele insaturazioni hanno configurazionecis; non mancano peraltro le eccezioni,con configurazione trans, anche se laloro diffusione in termini percentuali ap-pare assai modesta. Fino a pochi annior sono si riteneva che gli acidi grassinaturali fossero caratterizzati esclusiva-mente da una catena lineare di atomi dicarbonio; più recentemente sono statievidenziati isomeri a catena ramificata(ad esempio acido isopalmitico).

Purtroppo, i nomi comuni degli acidigrassi conosciuti da più tempo sonostati derivati da quelli delle specie olea-

ginose in cui sono maggiormente diffusio da altre considerazioni più o menofantasiose: in conseguenza di ciò, la lo-ro denominazione ben poco ci dice delleloro caratteristiche strutturali, che ven-gono invece compiutamente considera-te nella nomenclatura chimica (IUPAC),ancorché piuttosto complessa in rap-porto all’uso quotidiano.

Per risolvere questo problema è in-valso l’uso di una scrittura stenografica,secondo la quale ogni acido grasso vie-ne indicato da una formula semplificata,costituita dalla lettera C maiuscola se-guita da due indici separati da due pun-ti: il primo indice valuta il numero com-plessivo di atomi di carbonio presentinella molecola, mentre il secondo forni-sce il numero delle insaturazioni (doppilegami).

In aggiunta, l’informazione vienecompletata dal simbolo “∆” accompa-gnato da una soprascritta numerica cheserve a indicare le posizioni delle insa-turazioni lungo la catena di atomi di car-bonio.

Così, ad esempio, C18:1, ∆ 9cisindica l’acido oleico, mentre C18:3, ∆9cis, 12cis, 15cis contrassegna l’acidoα-linolenico.

Gli acidi più diffusi in natura sono 5:laurico, palmitico, stearico, oleico e li-noleico.

A. Daghetta, M. Manzin i

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Riportiamo l’elenco dei più rappre-sentativi acidi grassi a catena lineare,distinti in:– acidi saturi (a corta catena, C4-C10;

a media catena, C12-C18, a lungacatena, C20-C24);

– acidi monoinsaturi (monoenoici);– acidi diinsaturi (dienoici);– acidi polinsaturi (polienoici) (Tab. 2).

Procedimenti di estrazione

I principi sui quali sono basate letecniche produttive delle sostanze gras-se tengono conto del loro basso punto

di fusione e della loro sostanziale inso-lubilità in acqua a fronte di una spiccatasolubilità nei solventi organici.

I tipi di processi lavorativi possonoessere classificati in tre categorie prin-cipali:– la cosiddetta colatura a secco o a

umido, realizzata riscaldando la mate-ria prima (commistione di tessuti ani-mali frantumati), in modo da provoca-re la fusione della frazione lipidica cheviene successivamente separata perdecantazione o per centrifugazione;

– l’estrazione meccanica, che si realiz-za sottoponendo a compressione (inpresse continue o discontinue) i tessu-ti vegetali opportunamente pretrattati;

Condimenti l ip id ic i

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Sigla Nome comune Fonte principale

Acidi saturi a catena lineare “Cn:0”

C4:0 butirrico grasso del latte

C6:0 capronico grasso del latte

C8:0 caprilico grasso del latte

C10:0 caprinico o caprico grasso del latte, olio di cocco, palmisto

C12:0 laurico semi di Lauracee, grasso di cocco, palmisto

C14:0 miristico grasso del latte, olio di cocco, palmisto

C16:0 palmitico sego, strutto, olio di palma, burro di cacao

C17:0 eptadecanoico olio d’oliva

C18:0 stearico sego, strutto, burro di cacao

C20:0 arachico olio di arachidi

C22:0 behenico olio di arachidi

C24:0 lignocerico olio di arachidi

Tabella 2

Acidi saturi e insaturi a catena lineare.

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– l’estrazione con solventi (ad esem-pio con esano), eseguita sia su tes-suti vegetali sia su tessuti animali, dinorma già sottoposti a uno dei dueprecedenti trattamenti, e quindi giàparzialmente esauriti.

La possibile destinazione a uso ali-mentare del prodotto ottenuto è stretta-mente dipendente dalla qualità (fre-

schezza, grado di purezza e integrità)della materia prima di provenienza.

Aspetti nutrizionistici

La componente lipidica degli ali-menti è notoriamente caratterizzata dauna preminente funzione energetica,

A. Daghetta, M. Manzin i

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Sigla Nome comune Fonte principale

Acidi insaturi a catena lineare monoenoici “Cn:1, ∆ a”

C10:1 ∆ 9,cis caproleico grasso del latte

C14:1 ∆ 9,cis miristoleico grasso del latte

C16:1 ∆ 6,cis palmitoleico diffusione ubiquitaria

C17:1 ∆ 9,cis eptadecenoico olio d’oliva

C18:1 ∆ 6,cis petroselinico grasso del latte, prezzemolo

C18:1 ∆ 9,cis oleico diffusione ubiquitaria

C18:1 ∆ 9,trans elaidinico crucifere

C20:1 ∆ 9,cis gadoleico oli di pesce

C22:1 ∆ 13,cis erucico crucifere

Acidi insaturi a catena lineare dienoici “Cn:2, ∆ a, b”

C18:2 ∆ 9,cis,12,cis

linoleico diffusione ubiquitaria

C22:2 ∆ 13,cis,16,cis

docosadienoico olio di colza

Acidi insaturi a catena lineare polienoici “Cn:3, ∆ a, b, c”

C18:3 ∆ 9,cis,12,cis,15,cis

α-linolenico diffusione ubiquitaria

C18:3 ∆ 6,cis,9,cis,12,cis

γ-linolenico Boringiacee

C20:4 ∆ 5,cis, tutti i grassi animali8,cis,12,cis,15,cis

arachidonico(in piccola quantità)

Tabella 2

[segue]

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per il fatto di concentrare le scorte ca-loriche in un piccolo volume. Questaprerogativa si può esprimere quantitati-vamente osservando che da 1 g di ma-teria grassa si ricavano circa 9 kcal, piùdel doppio di quelle che si ottengono dacarboidrati e da proteine (4 kcal/g).

Ovviamente, l’importanza nutrizio-nale dei lipidi non si arresta al solo ap-porto calorico, espletando essa altrenumerose funzioni, quali:– la funzione veicolante nel confronto di

vitamine e di altre sostanze liposolubili(ad esempio quelle aventi proprietàantiossidanti), degli steroli e di altre

sostanze steroidee, come gli ormonidella corteccia surrenale, ecc.;

– la funzione di esaltazione del gustodegli alimenti, con azione promotricesull’appetito;

– la funzione plastica (nell’ambito delmetabolismo cellulare), indispensabileper il normale accrescimento corpo-reo;

– la funzione protettiva delle struttureanatomiche;

– la funzione termica, volta al manteni-mento della temperatura corporea;

– la funzione estetica, legata alla mor-fologia dell’organismo.

Condimenti l ip id ic i

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Lipidi della secrezionelattea

Notoriamente, le secrezioni latteesono delle emulsioni colloidali allo statodi sol, costituite da acqua, sali minerali,micelle caseiniche, globuli di grasso.Fin dall’antichità l’uomo ha imparato aseparare le “creme”, cioè le emulsioniarricchite di globuli di grasso, che a ri-poso tendono all’affioramento. Dalla la-vorazione delle creme si ottiene unaemulsione solida, chiamata burro. I pro-cessi di burrificazione consistono ogginel sottoporre le creme al cosiddettoprocesso di inversione delle fasi, rappre-sentato dal passaggio dallo stato di di-spersione del grasso nel plasma latteo aquello di dispersione del plasma latteonel grasso rappreso. La tecnica tradizio-nale di burrificazione della crema si ba-sava sullo sbattimento a bassa tempera-tura (15 °C) di creme al 20-30% di ma-teria grassa; modernamente si utilizzanole zangole o addirittura i convertitori au-

tomatici (per i dettagli si rimanda al ca-pitolo sui prodotti caseari). Il burro, chesenza ulteriori specificazioni va intesocome prodotto dalla crema di latte vac-cino, è costituito dall’80% di materiagrassa, mentre il restante 20% è rap-presentato da acqua finissimamenteemulsionata commista a piccole quantitàdi lattosio, proteine e sali. Il burro è ca-ratterizzato da una composizione acidicaparticolare: si riscontrano acidi dal C4 alC20, con significativa presenza di acidia corta catena e non trascurabile quan-tità di acidi a n. dispari di atomi di C. Lacomposizione acidica del burro di lattevaccino differisce modicamente da quel-lo di capra e marcatamente da quello dipecora e di altri mammiferi. Mentre ri-mandiamo anche la problematica dellanutrizionalità del burro al capitolo suiprodotti caseari, ci preme qui accennarea due importanti innovazioni tecnologi-che, che stanno ormai entrando nell’usocomune. Ci riferiamo ai cosiddetti burrileggeri e a quelli decolesterolizzati.

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Grassi di animaliterrestri

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I primi conservano la loro consi-stenza strutturale pur presentando untasso lipidico del 60 o addirittura del40%. Tali prodotti assumono particolarerilevanza nutrizionale (come limitazioneall’uso di grassi animali) quando l’utiliz-zo avviene per spalmatura su alimenticarboidratici, come è larga tradizionedei popoli nordici. I secondi sono inveceprodotti in cui la crema di ottenimentoviene preventivamente sottoposta a unprocesso di parziale eliminazione delcolesterolo presente, usando particolarisequestranti chimici (ciclodestrine),che, una volta complessati con il cole-sterolo, possono essere praticamenteeliminati.

Lipidi di deposito

Tra i lipidi di deposito meritano unaparticolare menzione quelli ottenuti daitessuti adiposi delle specie bovina esuina. Dopo l’abbattimento, le carcassevengono selezionate e i cosiddetti pro-dotti di bassa macellazione (interiora,tessuto connettivo, cartilagini, ossa,ecc.) vengono frantumati e inviati aiprocessi di colatura o di estrazione cuisi è accennato prima.

Secondo una differenziazione mer-ceologica risalente al secolo scorso, nel

nostro paese venivano indicate comegrassi nobili tre categorie di lipidi, ov-vero gli oli ottenuti dalla lavorazione del-le olive, i burri vaccini e lo strutto, cioè ilgrasso ricavato dalla colatura dei tessutiadiposi freschi del suino.

Tale discriminazione è rimasta sinoai giorni nostri ed è alla base della diffe-renziazione tra le possibili destinazioni diimpiego alimentare tra strutto e sego,che è invece ricavato dai tessuti adiposidel bovino. Ad esempio, nella prepara-zione del pane speciale (pane condito)è ammesso, oltre al burro e all’oliod’oliva, soltanto lo strutto e non il segoe le margarine, sebbene le differenzecompositive e nutrizionali tra sego estrutto siano di modesta entità.

Sego

Si presenta compatto, untuoso altatto ed è ottenuto dalla lavorazione deitessuti adiposi del bovino. Come ripor-tato nella Tabella 3, il sego viene diffe-renziato in ben quattro categorie, chesostanzialmente riflettono la qualità del-la materia prima.

Dalla lavorazione dei tessuti freschisi ottiene ovviamente la prima qualità,che ha impieghi alimentari umani, men-tre col degradare della classificazione si

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A. Daghetta, M. Manzin i

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Extra I qualità II qualità III qualità

N. di iodio max 47,0 max 48,0 max 50,0 max 52,0

Insaponificabile (%) max 0,3 max 0,3 max 0,5 max 0,5

Composizione acidica (%)

caprinico max 0,1 max 0,1 max 0,1 max 0,1

laurico max 0,2 max 0,2 max 0,2 max 0,2

tetradecanoico ramif. max 0,1 max 0,1 max 0,1 max 0,1

miristico 2,5-4,5 2,5-4,5 2,5-4,5 2,5-4,5

miristoleico + isopentadecanoico

1,0-1,5 1,0-1,5 1,0-1,5 1,0-1,5

pentadecanoico max 1,0 max 1,0 max 1,0 max 1,0

esadecanoico ramif. max 0,3 max 0,3 max 0,3 max 0,3

palmitico 25,0-29,0 25,0-29,0 25,0-29,0 25,0-29,0

palmitoleico 2,5-3,5 2,5-3,5 2,5-3,5 2,5-3,5

non identif. max 1,0 max 1,0 max 1,0 max 1,0

eptadecanoico max 1,5 max 1,5 max 1,5 max 1,5

eptadecenoico max 1,0 max 1,0 max 1,0 max 1,0

stearico 20,0-28,0 20,0-28,0 20,0-28,0 20,0-28,0

oleico 30,0-35,0 30,0-35,0 30,0-35,0 30,0-35,0

nonadecanoico max 0,5 max 0,5 max 0,5 max 0,5

linoleico max 3,0 max 3,5 max 3,5 max 3,5

linolenico max 0,8 max 0,8 max 0,8 max 0,8

arachico max 0,3 max 0,3 max 0,3 max 0,3

eicosenoico max 0,3 max 0,3 max 0,3 max 0,3

Steroli (%)

colesterolo max 98,0 max 98,0 max 98,0 max 98,0

Altre caratteristiche di qualità

Acidità (% ac. oleico) max 1,0 max 2,0 max 5,0 max 10,0

Umidità (%) max 0,3 max 0,3 max 0,3 max 0,5

Impurità (%) max 0,2 max 0,2 max 0,3 max 0,5

Colore Lovibond max 0,5R 5Y max 2R 20Y max 3R 30Y max 5R 50Y

N. perossidi max 2,0 – – –

Saggio di Kreiss negativo – – –

Tabella 3

Caratteristiche digenuinità del sego.

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scende all’uso zootecnico o addiritturaagli usi industriali (materia prima per lapreparazione di prodotti della chimica fi-ne). Il sego di qualità edibile è materiaprima per la preparazione industriale dispeciali tipi di margarine; inoltre può es-sere usato in friggitoria e, limitatamen-te, come condimento. La sua composi-zione acidica è prevalentemente rappre-sentata da acidi grassi saturi (soprattut-to palmitico e stearico) e dal monoinsa-turo oleico; la frazione insaponificabile èquasi esclusivamente costituita da cole-sterolo.

Strutto

Per strutto extra si intende il grassoricavato dalla colatura a umido, a tem-peratura non superiore a 80 °C, dei tes-suti adiposi del suino, che non abbia su-bito processi chimico-fisici diversi dalladecantazione, centrifugazione e filtrazio-ne. Si presenta di colore bianco niveo,untuoso al tatto, di consistenza cremo-sa, meno compatta di quella del sego.

Dai tessuti non necessariamente la-vorati subito dopo la macellazione si ot-tengono prodotti di qualità inferiore, chepossono essere però stabilizzati per unabuona edibilità con un blando trattamen-to di raffinazione (strutti di I e II qualità).

Rispetto al sego la composizionedello strutto è più ricca in acido oleico,ma gli elementi differenziali che con-sentono il controllo analitico della suapurezza vanno invece ricercati nella pra-tica assenza di acido miristoleico, pen-tadecanoico ed esadecanoico ramifica-to, significativamente presenti, invece,nel sego (Tab. 4). Come si è detto, lostrutto vergine trova particolare impiegonella preparazione del pane condito, ilcui consumo è ancora molto diffuso inparticolari regioni italiane; altrimenti èdestinato come condimento e per usodi friggitoria, oggi particolarmente limi-tata dall’impiego alternativo dei frazio-nati di palma, che presentano il vantag-gio di essere praticamente esenti dacolesterolo.

Altri lipidi di depositodi origine animale

Con la scomparsa della trazioneanimale, gli equini sono ridotti all’alleva-mento come animali affettivi, ragion percui il grasso equino, un tempo larga-mente utilizzato, ha perso d’importanzatecnologica. Sono invece aumentati gliimpieghi di grassi alimentari ottenuti dapollame lavorato industrialmente e daaltri animali di bassa corte.

Condimenti l ip id ic i

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Lipidi di deposito dipesci e mammiferi marini

Fino a qualche decennio fa, la cac-cia indiscriminata ai grossi cetacei por-

tava alla disponibilità di non trascurabiliquantità dei relativi grassi, largamenteutilizzati soprattutto nei paesi nordici.

Severe disposizioni internazionalihanno ora finalmente limitato la caccia

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Extra I qualità II qualità

N. di iodio max 65,0 max 65,0 max 65,0

Insaponificabile (%) max 0,3 max 0,5 max 0,5

Acidi grassi (%)

capronico assente assente assente

caprilico max 0,1 max 0,1 max 0,1

caprinico max 0,1 max 0,1 max 0,1

laurico max 0,1 max 0,1 max 0,1

tetradecanoico ramif. assente assente assente

miristico 1,3-1,8 1,3-1,8 1,3 -1,8

miristoleico max 0,05 max 0,05 max 0,05

pentadecanoico max 0,1 max 0,1 max 0,1

esadecanoico ramif. assente assente assente

palmitico 20,0-27,0 20,0-27,0 20,0-27,0

palmitoleico 2,0-3,5 2,0-3,5 2,0-3,5

eptadecanoico ramif. assente assente assente

eptadecanoico max 0,5 max 0,5 max 0,5

eptadecenoico max 0,3 max 0,3 max 0,3

stearico 13,0-19,0 13,0-19,0 13,0-19,0

oleico 37,0-45,0 37,0-45,0 37,0-45,0

linoleico 7,0-10,0 7,0 -10,0 7,0 -10,0

linolenico max 1 max 1 max 1

arachico max 0,5 max 0,5 max 0,5

eicosenoico max 1,2 max 1,2 max 1,2

behenico max 0,3 max 0,3 max 0,3

eicosadienoico max 0,5 max 0,5 max 0,5

Tabella 4

Caratteristiche digenuinità dello strutto.

1692/97 capitolo 4 29-05-2002 11:30 Pagina 147

alle balene e alle foche, che rischiavadi pregiudicare la sopravvivenza di que-ste specie, per cui oggi tali prodottinon sono più reperibili sul mercato na-zionale.

Per contro, circa 1/3 del pesce az-zurro pescato nel mondo viene utilizzatoper la produzione di farina di pesce, ali-mento zootecnico di grande importanzaper l’alto contenuto proteico.

Il pesce lavorato nell’industria vienecotto, pressato e delipidizzato prima diessere essiccato, cosicché si ottiene unolio di pesce la cui caratteristica com-

positiva è quella di essere ricco di acidigrassi polinsaturi a lunga catena. Lasua utilizzazione è pertanto compatibilesolo dopo un trattamento di stabilizza-zione che di norma è rappresentato daun processo di sollecita e drastica idro-genazione.

Il grasso solido stabilizzato così ot-tenuto può avere impieghi alimentarinella preparazione di margarine; in al-ternativa la sua utilizzazione si affianca aquella della farina di pesce nella prepa-razione di mangimi composti per usozootecnico.

Condimenti l ip id ic i

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Extra I qualità II qualità

Steroli (%)

colesterolo max 98,0 max 98,0 max 98,0

Altre caratteristiche di qualità

Acidità (% ac. oleico) max 1,0 max 2,0 max 8,0

Umidità (%) max 0,3 max 0,3 max 0,5

Impurità (%) max 0,1 max 0,2 max 0,5

Colore Lovibond max 0,5 R 5 Y – –

Colore FAC – max 1,0 max 5,0

N. perossidi max 2,0 max 5,0 –

Saggio di Kreiss negativo – –

Indice di Boemer min 74 min 74 min 72

Spettrofotometria UV 268 nm

E 1% (1 cm) max 0,15 max 0,20 –

T max 1,0 – –

Q max 4,0 – –

Tabella 4

[segue]

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Olio d’oliva

L’olio d’oliva si ottiene dalla lavora-zione dei frutti (drupe) delle numerosevarietà di Olea europea L., prevalente-mente coltivate nelle zone temperatedei paesi del bacino Mediterraneo.

I frutti dell’olivo hanno dimensionivariabili a seconda della cultivar di pro-venienza e sono strutturati in epicarpo,polpa e nocciolo; il peso va da 1 a 3grammi e il tenore in olio può oscillaredal 20 al 24%. L’olio è prevalentemen-te contenuto nelle celle oleifere dellapolpa, che presenta inoltre un 50% cir-ca di umidità.

La raccolta delle olive avviene da ot-tobre a marzo in ragione dell’irraggia-mento solare della zona di coltivazione:determinanti, ai fini dell’ottenimento diun olio di alta qualità, la perfetta matura-zione e l’integrità strutturale dei frutti.Quest’ultima prerogativa si realizza con ilmetodo di raccolta manuale (brucatu-ra), pur condizionato, ovviamente, dal

crescente costo della manodopera. Co-me sistema alternativo di raccolta, ovela struttura pedologica (pianori) e la tipo-logia varietale (cultivar ad arbusto) loconsentano, si può ricorrere all’impiegodi reti opportunamente sistemate sottogli alberi, i quali verranno sottoposti ascuotimento manuale o meccanico.

Metodi di raccolta diversi, comel’abbacchiatura o la raccolta da terra(olive di cascola), condurranno inevita-bilmente ad ottenere oli ad alta aciditàlibera e/o inaccettabilmente difettosinel sapore: i traumi subiti dal tessutovegetale durante la raccolta determina-no infatti l’attivazione di enzimi lipolitici, iquali provocano nella drupa la scissionedei trigliceridi in acidi grassi e glicerina,con conseguente aumento dell’aciditàlibera, che può giungere a pregiudicarela diretta commestibilità del prodotto.Quando l’acidità libera, espressa in aci-do oleico, è superiore al 3,3% si otten-gono i cosiddetti oli vergini lampanti,destinati alla raffinazione.

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Oli vegetali

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Processo di estrazione

degli oli d’oliva

Per prescrizione normativa (sia na-zionale che comunitaria) l’estrazione del-l’olio dalle olive si esegue esclusiva-mente per azione meccanica (pressioneo centrifugazione): trattasi di procedi-menti tradizionali (discontinui) o innova-tivi (continui) che, in chiave moderna, sirifanno comunque ai sistemi utilizzatinell’antichità.

Lo schema di lavorazione tradizio-nale è il seguente:– pulitura delle olive mediante vagli a

vibrazione o ventilazione, per l’elimi-nazione dei materiali estranei (foglie,frammenti di arbusti, ecc.);

– lavaggio con acqua corrente fredda,per l’eliminazione del terriccio;

– frangitura delle olive in frangitore a pal-menti o in mulino meccanico, fino al-l’ottenimento di una pasta omogenea;

– impilamento della pasta distribuita in fi-scoli e pressatura in pressa idraulicacon incremento progressivo della pres-sione di esercizio;

– rimacinatura della pasta d’oliva par-zialmente esaurita, reimpilamento eseconda pressatura.

Negli impianti continui, di più recen-te introduzione, le operazioni sono as-semblate in un’unica apparecchiatura,

che comporta l’approntamento della pa-sta, la sua ulteriore idratazione con ac-qua fredda e la diretta immissione in se-paratore centrifugo, dal quale fuoriescel’olio-mosto con scarico automatico delmateriale esaurito. Gli oli-mosti vengonoseparati dall’acqua di vegetazione in es-si contenuta mediante sosta in vasi didecantazione o per centrifugazione.

Differenti tipologie

degli oli ottenibili

Quando vengono sottoposte al pro-cesso di spremitura olive sane, fresche,integre e a punto di maturazione otti-male, di norma si ottiene un olio di aro-ma e sapore molto gradevoli che, peressere reso limpido e brillante e quindipronto al confezionamento e al consu-mo, non richiede altre manipolazioni senon quelle già citate della decantazionee della filtrazione. Per questi oli di qua-lità la genuinità non viene posta in di-scussione: il criterio di valutazione mer-ceologica è basato su due parametri:– l’acidità libera (comunque bassa, ma

variabile da meno dell’1% fino al limi-te del 3,3%);

– il punteggio, risultante dalla valutazio-ne organolettica condotta da un grup-po di esperti assaggiatori (panel test).

Condimenti l ip id ic i

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Da questa valutazione viene ricava-ta la corretta denominazione dell’olio,secondo le classi specifiche previstedalla normativa. La denominazione diolio extravergine d’oliva compete alprodotto con acidità libera non superio-re all’1%, in totale assenza di difetti or-ganolettici e con accentuate note sen-soriali positive (aroma gradevole e gu-sto di dolce, fruttato, mandorlato, ecc.).

A questa categoria appartengono leeccellenze produttive che hanno reso fa-mose le zone oleicole di particolare rino-manza. Per i produttori di olio extravergi-ne d’oliva, la normativa prevede la liceitàdi riportare in etichetta l’indicazione dellaprovenienza, che costituisce un ulteriorecontrassegno distintivo per gli intenditori.

Qualora l’olio ottenuto, sempre privodi difetti e con buone note olfattive egustative, presenti un’acidità libera com-presa fra l’1 e il 2%, ad esso competela denominazione di olio vergine d’oli-va. Si tratta della seconda delle due ti-pologie di maggior pregio della produ-zione olivicola, che distingue oli appron-tati senza alcuna manipolazione chimi-ca, ancorché lieve, secondo una meto-dologia praticata fin dall’antichità nel-l’assoluto rispetto delle intrinseche pro-prietà bionutrizionali.

Un’ulteriore tipologia di olio d’oliva(peraltro non destinata al diretto consu-

mo) è rappresentata da quelle partite diolio di spremitura che, pur esenti da di-fetti sensoriali, mostrano tuttavia un’aci-dità libera elevata, ma non superiore al3,3%, cui viene attribuita la denomina-zione di olio d’oliva vergine corrente.Questi tipi di olio mostrano note gustati-ve particolarmente marcate, hannoun’intensa pigmentazione (oli verdoni) esi prestano a essere industrialmente uti-lizzati per i tagli, cioè per la “personaliz-zazione” degli oli raffinati.

In certe annate, anche nelle zonetradizionalmente caratterizzate da unaproduzione oleicola di buona qualità, sipossono verificare condizioni climatichesfavorevoli e/o possono manifestarsiinfestazioni da parassiti (come gli attac-chi da mosca olearia). In tal modo, indi-pendentemente dall’impegno e dallaperizia degli operatori, la qualità dellaproduzione viene compromessa: si ot-tengono in tal caso i cosiddetti oli d’oli-va vergini lampanti che, per essere re-si commestibili, richiedono un comples-so trattamento tecnologico, denominatoappunto rettifica o raffinazione.

La raffinazione consiste in una seriedi trattamenti, igienicamente ineccepibi-li, frutto dell’evoluzione tecnologica de-gli ultimi 150 anni, che comportano:– l’abbattimento del grado di acidità

mediante neutralizzazione degli acidi

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liberi, trasformati in saponi ed elimi-nati (fase di neutralizzazione);

– l’eliminazione, per via fisica, dei pig-menti spontaneamente degradatisi(fase di decolorazione);

– l’eliminazione dei microcomponentivolatili ossidati, per strippaggio convapore iniettato ad alta pressione inun contenitore mantenuto sotto vuotospinto (fase di deodorazione).

Le partite di oli vergini lampanti chehanno subito il processo di raffinazionecostituiscono l’olio d’oliva raffinato, nu-trizionalmente ineccepibile, ma incolore eprivo di fragranza. Si rende pertanto ne-cessario un intervento atto a reintegrarlodelle sue originarie peculiarità, obiettivoche si consegue mediante aggiunta (ta-glio) con opportune quantità di oli verginia elevato grado di sapidità e di pigmen-tazione (ad es. con oli verdoni e fruttati,in rapporto orientativo dall’8 al 12%).

Si ottiene così il prodotto di basedella produzione oleicola, che è appun-to denominato olio d’oliva (senza altreaggettivazioni), la cui acidità non devesuperare l’1,5% (in genere si attestasullo 0,5%). Il residuo del processo dispremitura prende il nome di sansa edè costituito da tessuto vegetale fine-mente frantumato (polpa e noccioli), im-pregnato di una parte dell’olio originario(dal 4 al 7%). Non essendo economica-

mente conveniente procedere a un’ul-teriore spremitura, risulta più vantaggio-so praticare una solubilizzazione conl’impiego di solventi organici (esano). Atal fine le sanse vengono tempestiva-mente sottoposte a un processo di es-siccamento per frenare l’intensa attivitàlipolitica, che condurrebbe alla presso-ché totale saponificazione dell’olio resi-duo; successivamente le sanse vengo-no raccolte e avviate ai grossi impiantiindustriali di estrazione.

Dalla lavorazione industriale dellasansa si ottiene l’olio di sansa d’olivagreggio, che si presenta intensamentepigmentato e di elevatissima acidità libe-ra: per questo viene sottoposto a un dra-stico processo di raffinazione le cui fasioperative, rispetto a quelle delineate inprecedenza per gli oli lampanti, si diffe-renziano soltanto nell’intensificazione deiparametri procedurali, e quindi nelle resedi lavorazione.

Il nuovo prodotto prende il nome diolio di sansa d’oliva raffinato: si tratta diun prodotto nutrizionalmente valido, mamarcatamente depauperato nei suoi mi-crocomponenti naturali, e pertanto deci-samente meno interessante dal punto divista organolettico.

Per renderlo adatto all’impiego incampo alimentare, si opera un tagliosostanzioso con olio d’oliva appartenen-

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te a una delle tipologie già citate traquelle destinate al consumo diretto: il ri-sultato di questa operazione è rappre-sentato da un olio commestibile cuicompete la denominazione legale di oliodi sansa d’oliva (la quarta categoria inordine decrescente di qualità).

In sostanza, quindi, sono reperibiliper il diretto consumo quattro tipologiedi oli d’oliva, il cui pregio in ordine de-crescente è così stabilito:– olio extravergine d’oliva;– olio vergine d’oliva;– olio d’oliva;– olio di sansa d’oliva.

Caratteristiche compositive

e nutrizionali

La composizione percentuale acidicadei trigliceridi dell’olio d’oliva (Tab. 5), inconformità con quella dei principali semidelle altre specie oleaginose, è caratte-rizzata da un elevato grado di insatura-zione (85% circa di acidi insaturi e 15%di saturi). A differenza però delle altrespecie oleaginose, in cui l’acido quanti-tativamente maggioritario è l’acido lino-leico, diinsaturo, l’olio di oliva ha per co-stituente maggioritario l’acido oleico,monoinsaturo, oggi considerato comel’acido meglio di ogni altro utilizzabile dal-

l’organismo umano. A esso si affianca-no, in quantità diverse e moderatamentevariabili, acidi grassi essenziali comel’acido linoleico e l’acido linolenico. Tra isaturi prevale l’acido palmitico, accom-pagnato da modeste quantità di acidostearico. Per la sua facile emulsionabilitàcon i succhi digestivi, l’olio d’oliva pre-senta un elevato grado di digeribilità, ca-ratterizzata da un’azione di stimolo sullasecrezione dell’apparato digerente: que-st’azione stimolante è dovuta alla parti-colare appetibilità determinata dalle suecaratteristiche di odore e sapore.

La stabilità del prodotto, almeno sot-to il profilo nutrizionale, è assicurata pertempi molto maggiori della sua vita discaffale (in genere indicata in un annosolare): ciò è dovuto principalmente allaridotta predisposizione all’autossidazione(irrancidimento), sia in ragione della mo-desta presenza di acidi polinsaturi, siaper l’abbondanza di antiossidanti naturali(clorofille, tocoferoli, polifenoli, ecc.) pre-senti nella frazione insaponificabile. Perquesti motivi, la normativa vigente nonprevede, per le categorie di olio d’olivadestinate al diretto consumo, l’utilizzo diquegli additivi ad azione conservante chevengono ammessi invece nel caso deglioli di semi.

La propensione al consumo dell’oliod’oliva non va attribuito esclusivamente a

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ragioni abitudinarie. Al contrario, si trattadel risultato di valutazioni ataviche incon-sapevoli, anche se oggi scientificamenteacquisite: ne è dimostrazione il fatto cheogniqualvolta i genetisti sono stati chia-mati a selezionare nuove varietà di olea-ginose (come vedremo parlando di oli disemi), il loro obiettivo è stato quello dicreare varietà la cui composizione acidicasia pressoché sovrapponibile a quelladell’olio d’oliva.

Oli di semi

Giova precisare che per oli di semesi intendono globalmente sia quelli pro-venienti dal seme vero e proprio (colza,soia, arachide, ecc.), sia quelli prove-nienti da germe (frumento e mais), siaquelli provenienti da frutto (palma, pal-misto e cocco). La commercializzazio-ne degli oli di semi è regolamentata nelnostro paese da una legislazione spe-

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Olio Olio Olioextravergine vergine di sansad’oliva d’oliva d’oliva

N. di iodio 80,0-88,0 80,0-88,0 79,0-88,0

Insaponificabile (%) max 1,5 max 1,5 max 3,0

Composizione acidica (%)

miristico max 0,05 max 0,05 max 0,05

palmitico 7,0-17,0 7,0-17,0 7,0-17,0

palmitoleico 0,3-3,0 0,3-3,0 0,3-3,0

eptadecanoico max 0,5 max 0,5 max 0,5

eptadecenoico max 0,5 max 0,5 max 0,5

stearico 1,5-4,0 1,5-4,0 1,5-4,0

oleico 63,0-83,0 63,0-83,0 63,0-83,0

linoleico max 13,5 max 13,5 max 13,5

linolenico max 0,9 max 0,9 max 0,9

arachico max 0,7 max 0,7 max 0,7

eicosenoico max 0,5 max 0,5 max 0,5

behenico max 0,3 max 0,3 max 0,3

lignocerico max 0,5 max 0,5 max 0,5

palmitico + max 1,3 max 1,5 max 2,0

stearico (in posiz. 2)

Tabella 5

Caratteristiche digenuinità dell’olio di oliva.

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Olio Olio Olioextravergine vergine di sansad’oliva d’oliva d’oliva

Composizione sterolica semplificata (%)

colesterolo max 0,5 max 0,5 max 0,5

brassicasterolo max 0,2 max 0,2 max 0,2

campesterolo max 4,0 max 4,0 max 4,0

stigmasterolo < campesterolo < campesterolo < campesterolo

betasitosterolo max 93 max 93 max 93

delta-7-stigmastenolo max 0,5 max 0,5 max 0,5

eritrodiolo + uvaolo max 4,5 max 4,5 max 4,5

Steroli totali (ppm) min 1000 min 1000 min 1800

Somma isomeri < 0,03 < 0,20 < 0,40

transoleici (%)

Somma isomeri translinoleici e < 0,03 < 0,30 < 0,35translinolenici (%)

Saggio Bellier-Carocci-Buzzi

negativo negativo positivo

Trilinoleina (%) max 0,5 max 0,5 max 0,5

Caratteristiche di qualità

Acidità libera (%) max 1,0 max 1,5 max 3,0

N. di perossidi max 20,0 max 15,0 max 15,0

Estinzione spec. UV:

K232 max 2,40 max 3,40 max 5,50

K270 max 0,20 max 1,00 max 2,00

delta-K max 0,01 max 0,13 max 0,20

Impurità + umidità (%) max 0,3 max 0,1 max 0,1

Saponi (ppm) n.r. 10 10

Panel test (punti) min 6,5 – –

Tabella 5

[segue]

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ciale protettiva nei confronti dell’oliod’oliva: tale protezione investe sia aspet-ti formali (denominazione dei prodotti erelativa etichettatura) sia aspetti sostan-ziali (prescrizioni attinenti i processi diestrazione e di raffinazione).

Tutta questa normativa è peraltro incorso di evoluzione nell’ambito dell’armo-nizzazione legislativa che l’Amministrazio-ne Comunitaria si è impegnata a realizza-re per il libero mercato delle merci, se-condo i dettami del Trattato di Roma. Cilimitiamo a riassumere le principali di-screpanze rispetto alla già illustrata legi-slazione inerente l’olio di oliva.

In Italia, gli oli estratti dalle variespecie di oleaginose vengono commer-cializzati come oli monoseme oppurecome miscele. Nel primo caso vieneassegnata la denominazione commer-ciale obbligatoria di olio di semi di... se-guita dal nome della specie vegetale diappartenenza, senza possibilità di ulte-riori aggettivazioni. Per le miscele di piùoli di diversa specie (quale che ne sia lacomplessità) la denominazione obbliga-toria è quella generica di oli di semivari: è quindi facoltativo riportare in eti-chetta l’elencazione delle specie oleagi-nose costituenti la miscela. Qualora es-sa venga indicata, dovrà essere rispetta-to il criterio dell’indicazione in ordine de-crescente di concentrazione presente.

Sotto il profilo merceologico, gli olidi semi non vengono differenziati in fun-zione del metodo di estrazione praticato(spremitura o estrazione a mezzo sol-vente). Nel nostro paese, l’applicazionedel processo di raffinazione è obbligato-ria: non vengono commercializzati oli disemi vergini e non sussiste nemmeno lapossibilità di una differenziazione di qua-lità basata sul diverso grado di acidità li-bera. La normativa prevede che l’aciditàmassima dei prodotti al diretto consumonon superi lo 0,5%, indiscriminatamen-te, sebbene i moderni impianti di raffina-zione consentano di produrre oli il cuivalore di acidità libera è sistematica-mente inferiore allo 0,2%.

Un’ulteriore norma non ancora abro-gata prescrive inoltre che, nel corsodella raffinazione, la fase di decolorazio-ne sia praticata drasticamente, in mododa eliminare pressoché completamentela pigmentazione naturale presentatadagli oli di talune oleaginose (olio di pal-ma, olio di semi di pomodoro, ecc.).

Ciononostante, il continuo aggiorna-mento delle tecnologie estrattive, non-ché di quelle attinenti le varie fasi dellaraffinazione, consente di produrre olipregiati anche sotto il profilo dell’appeti-bilità, con note gustative peculiari riferibilialla specie di appartenenza, tali da ren-dere i formulati apprezzati anche per gli

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usi allo stato di condimento crudo. Ov-viamente, al fine di assicurare la costan-za di qualità del prodotto per tutta la vitadi scaffale preventivata (particolarmentenei confronti dei particolari processi ossi-dativi), è necessario attuare particolariaccorgimenti per ostacolare l’insorgenzadi fenomeni degradativi. Poiché il pro-cesso di raffinazione comporta inevitabil-mente un impoverimento nel contenutodi antiossidanti naturalmente presentinell’olio grezzo, la normativa consentel’aggiunta di sostanze antiossidanti, se-condo specifiche dosi d’impiego.

Caratteristiche compositive

e nutrizionali

In termini di composizione trigliceri-dica (e quindi di composizione percen-tuale acidica) merita di accennare preli-minarmente a qualche sostanziale diffe-renza tra composizione dei semi e com-posizione dei frutti, almeno per le spe-cie oleaginose di maggior consumo.

I trigliceridi costituenti i lipidi dei se-mi sono particolarmente ricchi di acidigrassi polinsaturi, con netta predomi-nanza ponderale dell’acido linoleico. Intaluni casi (olio di soia e olio di crucife-re), questo acido si accompagna a unasignificativa percentuale di acido linole-

nico. Il principale elemento di differen-ziazione rispetto all’olio d’oliva consistenel diverso tipo di insaturazione (che siattesta comunque sempre all’85% cir-ca del totale): in pratica, negli oli di se-mi si inverte il rapporto fra acidi mo-noinsaturi e acidi polinsaturi.

Nel caso invece dei trigliceridi dafrutti, la distribuzione acidica percentua-le risulta nettamente diversa sia per unamaggiore complessità di componenti(presenza di acidi grassi a corta cate-na), sia per il grado di insaturazione, as-sai più basso: figurano infatti, fra i com-ponenti maggioritari, gli acidi saturi pal-mitico, miristico e stearico, con unapresenza ridotta di acidi oleico e linolei-co. Questi sommari cenni distintivi con-sentono di differenziare le prerogative diimpiego fra le varie tipologie di prodot-to, particolarmente per quanto concer-ne i trattamenti termici cui i vari oli pos-sono essere sottoposti nelle specificheutilizzazioni.

L’alto grado di polinsaturazione deitrigliceridi costituenti gli oli di semi pro-priamente detti non depone per una loroottimale utilizzazione nella frittura deglialimenti; risultano avvantaggiati invecegli oli da frutto, anche rispetto al tradizio-nale impiego di grassi concreti ricavatidai tessuti adiposi animali (strutto e se-go), e ciò anche per il differente conte-

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nuto di sostanze insaponificabili e per ladiversa natura dei costituenti di queste,con particolare riferimento al colesterolo.

Riportiamo di seguito sinteticamentele caratteristiche compositive dei princi-pali oli da seme, da germe o da fruttoche vengono utilizzati nel nostro paese.

Olio di arachide

Si ricava dai semi della Arachys hy-pogaea L., coltivata in Africa (Senegal,Congo e regioni tropicali), in Asia (India,Indonesia, Cina) e in America (Stati Unitie Brasile). Questa pianta appartiene allacategoria delle oleaginose ricche (mate-ria grassa al 40% e più del peso dei se-mi); la farina di estrazione costituisce uningrediente pregiato per la preparazionedi alimenti zootecnici. L’olio di arachide èconsiderato uno dei più pregiati tra gli olidi semi destinati ad uso commestibile,secondo solo all’olio d’oliva: proprio acausa del suo gradevole sapore vienecommerciato come olio monoseme.Nella Tabella 6 sono riportate le caratte-ristiche compositive e i valori dei para-metri chimico-fisici principali. Le ampieoscillazioni che si possono osservare so-prattutto nella composizione acidica sonoda ascrivere alla differente provenienza ealla diversità delle caratteristiche varietali.

Olio di mais

Si estrae dai germi delle diverse va-rietà di Zea mays L. e appartiene allacategoria degli oli a elevato contenuto inacido linoleico, tanto da essere racco-mandato, almeno in passato, nella profi-lassi dietetica della arteriosclerosi. Disapore caratteristico, ha un largo usocommestibile sia come olio monoseme,sia come materia prima nella produzionedi margarine da tavola. Nella Tabella 7sono riportate le caratteristiche compo-sitive e i parametri fondamentali atte-stanti natura e qualità dell’olio di mais.

Olio di girasole

Si ricava dai semi dell’Helianthusannuus L., composita di coltivazionelargamente diffusa nelle regioni euro-pee a clima continentale (Bulgaria, Un-gheria, Russia) e in Sud America (Ar-gentina); attualmente è coltivato anchein Italia nelle modificazioni varietali co-siddette “ad alto oleico”. Appartiene allacategoria delle oleaginose ricche.

Come già precedentemente accen-nato, il successo commerciale dell’oliodi girasole è legato alle caratteristichecompositive delle nuove varietà ottenu-te per selezione genetica.

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Indice di rifrazione a 25 °C 1,4680-1,4760

Insaponificabile (%) max 1,0

N. di iodio 85,0-108,0

Composizione acidica (%)

acidi inferiori a C14 assenti

ac. miristico max 0,1

ac. palmitico 8,0-13,5

ac. palmitoleico max 0,5

ac. stearico 2,0-5,0

ac. oleico 35,0 -70,0

ac. linoleico 15,0-48,0

ac. linolenico max 0,2

ac. arachico 1,0-2,5

ac. eicosenoico 0,9-1,5

ac. beenico 2,0-4,0

ac. lignocerico 1,0-2,5

Composizione sterolica semplificata (%)

colesterolo max 1,0

campesterolo 11,0 -19,0

stigmasterolo 8,0-13,0

betasitosterolo 69,0-78,0

delta-7-stigmastenolo max 1,5

Indice di Bellier (°C) min 38,5

Caratteristiche di qualità (per gli oli raffinati a uso alimentare)

Caratteri organolettici:

– odore e sapore: caratteristici dell’olio di arachide, esenti da difettosità

– aspetto: limpido a 20 °C

– colore: praticamente incolore

Acidità (% ac. oleico) max 0,5

N. di perossidi max 10,0

Tabella 6

Caratteristiche digenuinità dell’olio di arachide.

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Condimenti l ip id ic i

160

Indice di rifrazione a 25 °C 1,4700-1,4740

Insaponificabile (%) max 2,5

N. di iodio 110-130

Composizione acidica (%)

acidi inferiori a C14 assenti

ac. miristico max 0,1

ac. palmitico 10,0-15,0

ac. palmitoleico max 0,5

ac. stearico 1,5-3,0

ac. oleico 23,0-41,0

ac. linoleico 41,0-63,0

ac. linolenico 0,6-1,1

ac. arachico 0,2-0,7

ac. eicosenoico 0,2-0,5

ac. beenico max 0,2

Composizione sterolica semplificata (%)

colesterolo max 0,5

campesterolo 16,0-22,0

stigmasterolo 6,0-8,0

betasitosterolo 68,0-73,0

delta-7-stigmastenolo 0,5-2,0

Caratteristiche di qualità (per gli oli raffinati a uso alimentare)

Caratteri organolettici:

– odore e sapore: caratteristici dell’olio di mais, esenti da difettosità

– aspetto: limpido a 20 °C

– colore: praticamente incolore

Acidità (% ac. oleico) max 0,5

N. di perossidi max 10,0

Tabella 7

Caratteristiche digenuinità dell’olio di mais.

1692/97 capitolo 4 29-05-2002 11:30 Pagina 160

Nella Tabella 8 sono riportate lecomposizioni acidica e sterolica dell’oliodi girasole tradizionale, ad alto contenu-to in acido linoleico, e della varietà riccain acido oleico.

Olio di soia

Si ricava dai semi della Soia hispi-da, leguminosa per lungo tempo colti-vata esclusivamente in Estremo Orien-te. Dal secondo dopoguerra la sua col-tivazione si è estesa negli Stati Uniti, inSud America e più recentemente anchein Italia. Appartiene alla categoria delleoleaginose povere, in quanto l’olio co-stituisce un sottoprodotto della lavora-zione dei semi, dai quali si ottiene unafarina ad alto valore nutrizionale, parti-colarmente per l’alimentazione zootec-nica, in ragione dell’elevato contenutoin proteine. L’olio di soia non è conside-rato un olio di pregio, in quanto la suacomposizione non è idonea all’impiegonelle fritture (elevato contenuto in acidipolinsaturi, particolarmente in acido li-nolenico) (Tab. 9).

La raffinazione dell’olio di soia è unaoperazione particolarmente complessa edelicata, che comporta una preventivademucillaginazione (separazione e recu-pero della lecitina), nonché una deodora-

zione drastica, che deve essere condottain modo da evitare il fenomeno della re-versione (lo sviluppo di un sapore sgra-devole di fagiolo crudo che l’olio assumedopo un breve periodo di conservazione).

Olio di nocciola

Lo si estrae dagli acheni di Corylusavellana L., pianta largamente coltivatain svariatissime cultivar in tutte le zonetemperate. La mandorla, che costitui-sce la parte edibile della nocciola, ha unelevato contenuto di olio (superiore al50%), anche se il frutto in questione èprevalentemente commerciato comefrutta secca stagionale, oppure vienetrattato per ottenere la pasta, ingredien-te da associare al cacao per la produ-zione del cioccolato gianduja.

Come l’olio di noci e di mandorle,anche l’olio di nocciola trovava limitatis-simo impiego come condimento, da unaparte a causa del costo elevato e dall’al-tra per le difficoltà che si incontrano nel-la sua stabilizzazione dopo il processo diraffinazione.

La peculiarità dell’olio di nocciola(Tab. 10) è rappresentata dalla spiccataaffinità compositiva con quella dell’olio dioliva. Attualmente, in ragione del vertigi-noso incremento produttivo verificatosi

A. Daghetta, M. Manzin i

161

1692/97 capitolo 4 29-05-2002 11:30 Pagina 161

Condimenti l ip id ic i

162

T O

Indice di rifrazione a 25 °C 1,4720-1,4760 1,4670-1,4690

Insaponificabile (%) max 2,0 max 2,0

N. di iodio 120-145 75-90

Composizione acidica (%)

acidi inferiori a C14 assenti assenti

ac. miristico max 0,1 max 0,1

ac. palmitico 5,0-8,0 3,0-5,0

ac. palmitoleico max 0,5 max 0,2

ac. stearico 2,5-7,0 3,0-5,0

ac. oleico 13,0-40,0 70,0-85,0

ac. linoleico 40,0-74,0 3,0-20,0

ac. linolenico max 0,3 max 0,2

ac. arachico max 0,5 max 0,6

ac. eicosenoico max 0,5 max 0,3

ac. beenico 0,5-1,0 0,5-1,1

Composizione sterolica semplificata (%)

colesterolo max 0,5

campesterolo 8,5-13,0

stigmasterolo 9,0-13,0

betasitosterolo 58,5-67,5

delta-7-stigmastenolo 11,0-23,0

Caratteristiche di qualità (per gli oli raffinati a uso alimentare)

Caratteri organolettici:

– odore e sapore: caratteristici dell’olio di girasole, esenti da difettosità

– aspetto: limpido a 20 °C

– colore: praticamente incolore

Acidità (% ac. oleico) max 0,5

N. di perossidi max 10,0

Tabella 8

Caratteristiche digenuinità dell’olio digirasole tradizionale (T)ad alto contenuto inacido linoleico e diquello della varietà adalto contenuto in acidooleico (O).

1692/97 capitolo 4 29-05-2002 11:30 Pagina 162

A. Daghetta, M. Manzin i

163

Indice di rifrazione a 25 °C 1,4720-1,4760

Insaponificabile (%) max 1,5

N. di iodio 120-143

Composizione acidica (%)

acidi inferiori a C14 assenti

ac. miristico max 0,1

ac. palmitico 9,0-13,0

ac. palmitoleico max 0,3

ac. stearico 3,0-5,0

ac. oleico 19,0-30,0

ac. linoleico 48,0-58,0

ac. linolenico 5,0-9,0

ac. arachico max 1,0

ac. eicosenoico max 0,5

ac. beenico max 0,5

Composizione sterolica semplificata (%)

colesterolo max 1,0

campesterolo 12,0-24,0

stigmasterolo 12,0-24,0

betasitosterolo 50,0-65,0

delta-7-stigmastenolo 0,5-3,0

Caratteristiche di qualità (per gli oli raffinati a uso alimentare)

Caratteri organolettici:

– odore e sapore: caratteristici dell’olio di soia, esenti da difettosità

– aspetto: limpido a 20 °C

– colore: praticamente incolore

Acidità (% ac. oleico) max 0,5

N. di perossidi max 10,0

Tabella 9

Caratteristiche digenuinità dell’olio di soia.

1692/97 capitolo 4 29-05-2002 11:30 Pagina 163

Condimenti l ip id ic i

164

Indice di rifrazione a 25 °C 1,4720-1,4760

Insaponificabile (%) max 1,5

N. di iodio 120-143

Composizione acidica (%)

ac. miristico max 0,1

ac. palmitico 4,5-7,5

ac. palmitoleico 0,1-0,4

ac. eptadecanoico max 0,1

ac. eptadecenoico max 0,2

ac. stearico 1,8-3,2

ac. oleico 77-84

ac. linoleico 6-14

ac. linolenico max 0,3

ac. arachico max 0,3

ac. eicosenoico max 0,3

ac. beenico max 0,2

Composizione sterolica semplificata (%)

colesterolo max 0,6

campesterolo 4,2-7,0

stigmasterolo 0,5-2,2

betasitosterolo 87,0-94,0

delta-7-stigmastenolo 0,6-3,0

Caratteristiche di qualità (per gli oli raffinati a uso alimentare)

Caratteri organolettici:

– odore e sapore: caratteristici dell’olio di nocciola, esenti da difettosità

– aspetto: limpido a 20 °C

– colore: praticamente incolore

Acidità (% ac. oleico) max 0,5

N. di perossidi max 10,0

Tabella 10

Caratteristiche digenuinità dell’olio di nocciola.

1692/97 capitolo 4 29-05-2002 11:30 Pagina 164

particolarmente in Turchia, è possibilereperire olio di nocciola a costo compati-bile con una potenziale sofisticazionedell’olio di oliva. Tuttavia, a questa prati-ca si oppone il minor pregio dell’olio dinocciola in rapporto alle sue caratteristi-che organolettiche, difficilmente parago-nabili a quelle dell’olio di oliva.

Olio di colza

Si otteneva in origine dai semi diBrassica campestris L. o di Brassicanapus L., crucifere largamente coltivatenell’Europa centro-settentrionale e inIndia. L’olio, contenuto nei semi in con-centrazione variabile dal 30 al 50%, eracaratterizzato da un tenore elevato (piùdel 59%) in acido erucico, un acidograsso monoinsaturo poco digeribile, ac-cusato, in più, di provocare negli animalida esperimento un marcato decrementodello sviluppo, alterazioni al miocardio eall’apparato riproduttivo femminile.

A seguito di queste osservazioni,venne ottenuta una varietà di Brassicada cui si estrae un olio a basso conte-nuto di acido erucico (Tab. 11), che èquello attualmente posto in commercioe usato in particolare nelle miscele di olidi semi vari (per le quali il contenuto diquesto acido non deve comunque su-

perare il 5%). È proprio a propositodell’olio di colza (primi anni ’70) che so-no iniziati gli studi e la produzione dinuove varietà di oleaginose: per tale ra-gione, dal punto di vista del controllomerceologico, si è reso necessario as-sociare, alla composizione percentualeacidica, anche quella della frazione ste-rolica. Infatti, anche se le nuove varietàmostravano una marcata modificazionedelle percentuali relative degli acidi,tanto da cambiarne profondamente ilprofilo compositivo evidenziabile daltracciato gascromatografico (la cosid-detta “impronta digitale” o fingerprint),la frazione sterolica manteneva pratica-mente inalterate le percentuali relativedei suoi componenti.

Olio di vinaccioli

Si estrae dai semi dell’uva (Vitis vi-nifera L.), separati dai graspi delle vi-nacce (residuo delle operazioni di vinifi-cazione ed eventualmente della distilla-zione). Il contenuto in olio è intorno al10-15%. Dopo raffinazione viene im-piegato in friggitoria e in diverse appli-cazioni industriali (ad esempio nella pre-parazione di vernici) (Tab. 12). Altri olivegetali si ricavano dai semi di pomodo-ro, sesamo, cartamo, cotone, ecc.

A. Daghetta, M. Manzin i

165

1692/97 capitolo 4 29-05-2002 11:30 Pagina 165

Condimenti l ip id ic i

166

Indice di rifrazione a 25 °C 1,4700-1,4720

Insaponificabile (%) max 2,0

N. di iodio 110-126

Composizione acidica (%)

acidi inferiori a C14 assenti

ac. miristico max 0,1

ac. palmitico 4,0-6,0

ac. palmitoleico max 0,5

ac. stearico 1,1-2,0

ac. oleico 51,0-64,0

ac. linoleico 16,0-24,0

ac. linolenico 7,0-11,0

ac. arachico 0,4-0,7

ac. eicosenoico 1,9-4,5

ac. eicosadienoico max 0,5

ac. beenico max 0,5

ac. erucico max 5,0

ac. docosadienoico max 0,5

ac. lignocerico max 0,5

ac. tetracosenoico max 0,5

Composizione sterolica semplificata (%)

colesterolo max 0,6

brassicasterolo 5,8-12,0

campesterolo 38,0-44,0

stigmasterolo tracce

betasitosterolo 49,0-52,0

Caratteristiche di qualità (per gli oli raffinati a uso alimentare)

Caratteri organolettici:

– odore e sapore: caratteristici dell’olio di colza, esenti da difettosità

– aspetto: limpido a 20 °C

– colore: praticamente incolore

Acidità (% ac. oleico) max 0,5

N. di perossidi max 10,0

Tabella 11

Caratteristiche digenuinità dell’olio di colza.

1692/97 capitolo 4 29-05-2002 11:30 Pagina 166

A. Daghetta, M. Manzin i

167

Indice di rifrazione a 25 °C 1,4720-1,4760

Insaponificabile (%) max 2,0

N. di iodio 130-140

Composizione acidica (%)

acidi inferiori a C14 assenti

ac. miristico max 0,2

ac. palmitico 6,0-8,0

ac. palmitoleico max 1,0

ac. stearico 3,0-6,0

ac. oleico 12,0-25,0

ac. linoleico 60,0-76,0

ac. linolenico max 0,5

ac. arachico max 0,5

ac. eicosenoico max 0,2

ac. beenico max 0,2

Composizione sterolica (%)

colesterolo max 0,5

campesterolo 9,0-13,5

stigmasterolo 9,5-17,0

betasitosterolo 70,0-77,0

delta-7-stigmastenolo 1,0-3,5

eritrodiolo + uvaolo min 2,0

Caratteristiche di qualità (per gli oli raffinati a uso alimentare)

Caratteri organolettici:

– odore e sapore: caratteristici dell’olio di vinaccioli, esenti da difettosità

– aspetto: limpido a 20 °C

– colore: praticamente incolore

Acidità (% ac. oleico) max 0,5

N. di perossidi max 10,0

Tabella 12

Caratteristiche digenuinità dell’olio di vinaccioli.

1692/97 capitolo 4 29-05-2002 11:30 Pagina 167

Grasso di cocco

Si produce essiccando il frutto delCocos nucifera, pianta tipica dei paesidella fascia tropicale e subtropicale, esottoponendo il materiale essiccato (co-pra, contenente fino al 60-70% di gras-so) a estrazione con solvente o a com-pressione. La composizione acidica dif-ferisce da quella di altri grassi di originevegetale per il fatto di contenere apprez-zabili quantità di acidi saturi a catenacorta (Tab. 13).

Il suo impiego è finalizzato quasiesclusivamente alla produzione dellemargarine.

Grasso di palma e palmisto

Dal frutto della palma da olio (Elaeisguineensis) si ottengono due distinti ti-pi di grasso: grasso di palma e grassodi palmisto. Per olio o grasso di palma

si intende la materia grassa ricavatadalla polpa del frutto, mentre per olio ograsso di palmisto si intende la so-stanza grassa ottenuta dal seme delfrutto (mandorla).

Il grasso di palma, allo stato grezzo,si presenta di colore arancio, per l’ele-vata concentrazione in carotenoidi (circa0,5 g/kg); il grasso di palmisto è invecedi colore bianco niveo. La composizionedei due grassi è notevolmente diversa,come evidenziano le rispettive Tabelle dicomposizione (Tabb. 14 e 15).

Questi grassi vegetali vengono im-piegati soprattutto per produrre marga-rine e vengono anche commercializzatidopo opportuno frazionamento (oleinedi palma, stearine di palma).

Stabilità dellesostanze lipidiche

Notoriamente, i lipidi sono in lineadi massima molto più degradabili degli

Condimenti l ip id ic i

168

Grassi vegetali

1692/97 capitolo 4 29-05-2002 11:30 Pagina 168

altri due principi nutritivi fondamentali(carboidrati e protidi), anche se alcunidi essi contengono, in quantità variabi-le, sostanze naturali ad azione protettiva

(come gli antiossidanti tocoferoli, leciti-ne, ecc., presenti nelle oleaginose ve-getali).

La loro vita di scaffale risulta per-

A. Daghetta, M. Manzin i

169

Indice di rifrazione a 25 °C 1,4475-1,4510

Insaponificabile (%) max 0,5

N. di iodio 6,0-12,0

Composizione acidica (%)

ac. capronico 0,5-1,0

ac. caprilico 7,0-10,0

ac. caprinico 5,0-7,0

ac. laurico 44,0-50,0

ac. miristico 16,5-18,5

ac. palmitico 7,5-10,0

ac. palmitoleico max 0,2

ac. stearico 2,0-3,0

ac. oleico 6,0-8,5

ac. linoleico 1,5-2,5

Composizione sterolica (%)

colesterolo 0,3-0,8

campesterolo 8,0-11,0

stigmasterolo 15,0-20,0

betasitosterolo 74,0-77,0

delta-7-stigmastenolo max 0,5

Caratteristiche di qualità

Caratteri organolettici:

Acidità (% ac. laurico) max 1,0

N. di perossidi max 3,0

MIU (moisture, impurities, unsaponifiable, %) max 2,0

Tabella 13

Caratteristiche digenuinità dell’olio di cocco.

1692/97 capitolo 4 29-05-2002 11:30 Pagina 169

tanto limitata, anche intervenendo nelconfezionamento e nella conservazionecon sistemi di varia efficacia (abbatti-

mento del contenuto di ossigeno persostituzione con gas inerti come azoto eanidride carbonica, limitazione del teno-

Condimenti l ip id ic i

170

Indice di rifrazione a 25 °C 1,4565-1,4590

Insaponificabile (%) max 0,8

N. di iodio 48-54

Composizione acidica (%)

ac. caprilico max 0,1

ac. caprinico max 0,1

ac. laurico max 0,3

ac. miristico 0,8-1,3

ac. pentadecanoico max 0,1

ac. palmitico 43,0-48,0

ac. palmitoleico max 0,3

ac. eptadecanoico max 0,1

ac. stearico 4,5-5,5

ac. oleico 35,0-40,0

ac. linoleico 8,5-11,0

ac. linolenico max 0,4

ac. arachico max 0,4

ac. eicosenoico max 0,1

Composizione sterolica (%)

colesterolo 2,0-4,0

campesterolo 20,0-22,0

stigmasterolo 9,0-13,0

betasitosterolo 60,0-65,0

delta-7-stigmastenolo max 0,5

Caratteristiche di qualità (per i prodotti a uso alimentare)

Acidità (% ac. palmitico) max 0,5

N. di perossidi max 5,0

MIU (moisture, impurities, unsaponifiable, %) max 2,0

Tabella 14

Caratteristiche digenuinità dell’olio o grasso di palma.

1692/97 capitolo 4 29-05-2002 11:30 Pagina 170

re di umidità e di metalli pesanti, prote-zione dalla luce solare diretta e in parti-colare dalla luce ultravioletta: questi fat-tori concorrono infatti, con diversi ruolie in differente misura, all’innescamento

dei fenomeni di autossidazione).Il processo di autossidazione dei lipi-

di dipende dalla loro attitudine alla for-mazione spontanea di radicali liberi, mo-lecole instabili, caratterizzate da estrema

A. Daghetta, M. Manzin i

171

Indice di rifrazione a 25 °C 1,4490-1,4520

Insaponificabile (%) max 0,5

N. di iodio 13-21

Composizione acidica (%)

ac. capronico max 0,4

ac. caprilico 3,0-6,0

ac. caprinico 3,0-5,5

ac. laurico 47,0-51,5

ac. miristico 15,5-17,0

ac. palmitico 6,5-9,0

ac. palmitoleico max 0,3

ac. stearico 1,5-3,0

ac. oleico 11,0-16,0

ac. linoleico 1,0-3,0

ac. arachico max 0,3

Composizione sterolica semplificata (%)

colesterolo 0,3-0,7

campesterolo 5,5-6,5

stigmasterolo 14,5-17,0

betasitosterolo 74,0-77,0

delta-7-stigmastenolo 1,0-1,5

Caratteristiche di qualità (per prodotti a uso alimentare)

Acidità (% ac. laurico) max 0,5

N. di perossidi max 3,0

MIU (moisture, impurities, unsaponifiable, %) max 2,0

Tabella 15

Caratteristiche digenuinità dell’olio o grasso di palmisto.

1692/97 capitolo 4 29-05-2002 11:30 Pagina 171

reattività e da vita media dell’ordine del-le frazioni di secondo. La concentrazio-ne in radicali liberi è funzione dello statodi polinsaturazione della matrice lipidica:queste sostanze sono capaci di genera-re idroperossidi, molecole altrettantoinstabili, che innescano, dopo una pri-ma fase di induzione, il processo notocon il termine di irrancidimento, re-sponsabile della formazione di odori esapori sgradevolissimi che in definitivacompromettono l’utilità e l’accettabilitàdelle sostanze grasse.

A questa situazione si può porre ri-medio mediante aggiunta di opportuniadditivi alimentari, aventi azione antios-sidante, il cui impiego e dosaggio sonoregolamentati da una specifica normati-va. Queste sostanze costituiscono unabarriera difensiva, in quanto capaci dirallentare il processo di irrancidimento,ossidandosi in luogo dei trigliceridi e ini-bendone pertanto la degradazione; laloro efficacia è peraltro limitata nel tem-po, anche in relazione alle dosi massi-me di impiego consentite.

Un altro accorgimento, inteso a li-mitare l’autossidazione dei lipidi, consi-ste nel modificarne la struttura, ridu-cendo il loro grado di insaturazione,ossia il numero di doppi legami presentisulle catene carboniose di alcuni acidigrassi.

Questo si realizza mediante un pro-cesso chimico che prende il nome diidrogenazione catalitica: la partita digrasso, eliminata ogni traccia di aria,viene riscaldata in autoclave a un’op-portuna temperatura e trattata con idro-geno in presenza di un catalizzatore,generalmente a base di nichel o di ra-me. L’idrogeno, assorbito a livello deidoppi legami, determina un mutamentonella composizione chimica della mate-ria grassa: semplificando il processo,possiamo dire che due atomi di idroge-no trasformano inizialmente un residuolinolenico (caratterizzato da tre doppi le-gami) in residuo linoleico (due doppi le-gami); l’intervento di una seconda cop-pia di atomi di idrogeno porta al residuooleico (un doppio legame), che per ulte-riore azione dell’idrogeno fornisce il re-siduo stearico, completamente saturo.

In questo modo, un olio caratterizza-to da un’elevata fluidità, come ad esem-pio l’olio di germe di mais, può esseregradatamente trasformato in un prodot-to che a temperatura ambiente mostrala consistenza di grasso concreto. Aglieffetti di un impiego in campo alimenta-re, la temperatura limite di fusione èrappresentata da 36 °C, al di sopra del-la quale viene fortemente inibito il pro-cesso di assorbimento dei grassi a livelloenterico.

Condimenti l ip id ic i

172

1692/97 capitolo 4 29-05-2002 11:30 Pagina 172

Va ricordato che in realtà la cineticadel processo di idrogenazione implica lacontemporanea formazione, accantoagli acidi grassi saturi, dei cosiddettiacidi grassi trans-isomeri: pur trattan-dosi semplicemente degli isomeri geo-metrici degli acidi grassi naturali (aventiinvece struttura cis), questi compostimostrano una limitata utilizzabilità daparte dell’organismo umano.

In ogni caso, anche queste sostan-ze, mostrando un punto di fusione piùelevato dei corrispondenti isomeri natu-rali, concorrono all’indurimento dellamassa lipidica trattata.

In relazione alla composizione netta-mente differenziata da quella della ma-trice di partenza, i grassi idrogenati co-stituiscono una categoria lipidica a séstante: essi possono essere utilizzati co-me condimento e come lipidi di frittura ecostituiscono la materia prima per lapreparazione di quei surrogati del burroche prendono il nome di margarine.

Margarine

Nel secolo scorso, la grande richie-sta di grassi concreti (in quanto spal-mabili), da parte delle popolazioni deipaesi a clima tipicamente continentale,non poteva essere completamente sod-

disfatta. D’altra parte si registrava unarelativa abbondanza di oli vegetali, di cuituttavia, come si è precedentemente ri-cordato, non era possibile garantire laconservabilità per tempi lunghi e quindineppure il trasporto a grandi distanze.

Una particolare occasione di crisi siebbe intorno al 1870, quando, in occa-sione dell’assedio di Parigi, venne me-no la disponibilità di burro. In quell’annoHyppolite Mège-Mouriés, un farmacistafrancese, creò un prodotto che proposecome surrogato del burro: per fraziona-mento del sego, egli ottenne una frazio-ne fluida (oleomargarina), che poi veni-va emulsionata con latte magro. Na-sceva così la margarina come surrogatodel burro.

Industrialmente la margarina vennepoi ricavata emulsionando siero di lattecon grassi di diversa provenienza, con-sistenza e valore; l’affermazione di que-sto prodotto si verificò nei primi anni del’900, come conseguenza della rapidaevoluzione della chimica industriale.Numerosi furono i brevetti depositati ri-guardanti l’idrogenazione dei grassi: laloro applicazione rese disponibili al con-sumo mondiale enormi quantità di ma-terie prime di diversissima provenienza,come quelle ricavate dalle sconfinatepiantagioni africane e asiatiche o quelleottenute dai prodotti della pesca.

A. Daghetta, M. Manzin i

173

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Queste margarine, che possiamochiamare di prima generazione, caratte-rizzate, come si è detto, da una marcatapresenza di trans-isomeri, mostravano laseguente composizione di massima:– 80% grassi concreti naturali e/o idro-

genati;– 20% frazione acquosa, costituita da

siero di latte magro o da acqua, op-portunamente arricchita di aliquote diemulsionanti (lecitina, ecc.), di aro-matizzanti (diacetile, ecc.) e di colo-ranti naturali (caroteni).

Per ottenere un miglioramento dellecaratteristiche nutrizionali si pensò inseguito di procedere a un’idrogenazio-ne parziale, in maniera tale da ricavareun prodotto di consistenza tale da con-sentire un successivo taglio con lo stes-so olio non idrogenato: nascevano cosìle margarine monoseme, o margarine diseconda generazione, più pregiate inquanto fisiologicamente più adatte alconsumo umano.

Più recentemente si è attuato unnuovo tipo processo, che ha portato aottenere le margarine di terza genera-zione. Lo stato semisolido di questi pro-dotti viene realizzato senza impiego di

grassi idrogenati: la matrice lipidica ècostituita da grassi naturalmente con-creti, tagliati con una opportuna frazio-ne, anch’essa concreta, di grassi vege-tali, soprattutto quello di palma.

Sono oggi disponibili anche marga-rine fluide a minor contenuto lipidico,preparate con un processo di parzialetransesterificazione: si ottiene in tal mo-do un grasso con punto di fusione di-verso da quello del materiale di parten-za, adatto per essere emulsionato conquantità di acqua superiori, in modo daridurre la percentuale di grassi dall’80%circa al 40-60%. Questi prodotti, com-merciati in contrapposizione ai burri leg-geri, prendono il nome di menarine.

La scelta del grasso o della misceladi grassi da sottoporre al processo diproduzione della margarina dipende dal-la disponibilità (clima, periodo stagiona-le, costo) e dall’impiego cui la margari-na è destinata. L’emulsione acquosa,ottenuta per agitazione a caldo, vieneraffreddata e, dopo solidificazione, vie-ne pressata e impastata con un sistemadi cilindri rotanti, sino a ottenere la con-sistenza voluta. Si passa poi al confe-zionamento.

Condimenti l ip id ic i

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Proprietà eprerogative dellasostanza acqua

Le prerogative più importanti dell’ac-qua (molecola H20), che fanno di que-sta sostanza il fondamento della vitasulla Terra, si possono così riassumere:

a) la grande resistenza all’azionedel calore: anche per riscaldamento adaltissime temperature l’acqua mantienela sua struttura e composizione moleco-lare (a 2300 °C si dissocia in atomi sol-tanto per il 2-3%);

b) la stabilità agli agenti chimici: ilegami tra gli atomi non possono esserespezzati se non con l’apporto di quan-tità elevate di energia, tanto che in na-tura H2O è quasi sempre un prodotto direazione, difficilmente un reagente (l’uni-ca eccezione è costituita dalle reazionipromosse da esseri viventi, che peròavvengono in condizioni particolari diapporto energetico);

c) il suo bassissimo grado di disso-

ciazione in ioni idrogeno (H+ o H3O+) eidrossido (OH–), che la rende, almenoallo stato di purezza assoluta, un cattivoconduttore di elettricità;

d) la sua bassa volatilità a tempera-tura ambiente e l’intervallo di tempera-tura entro il quale mantiene lo stato diaggregazione liquido (0-100 °C), com-patibile con la vita dell’uomo, degli ani-mali, delle piante e dei microrganismi;

e) la temperatura di massima den-sità (3,98 °C), che permette la forma-zione di uno strato superficiale di ghiac-cio (isolante termico) in caso di bassis-sime temperature dell’aria, consentendola vita nei bacini d’acqua sottostante;

f) il valore assai elevato del calore la-tente di evaporazione (la quantità di ener-gia necessaria a convertire 1 g di acquain vapore), e la sua bassa conduttivitàtermica che la rendono adatta a fungereda efficace sistema termostatico;

g) la polarità della molecola, che fa-vorisce la sua azione solvente nei con-fronti di moltissimi composti naturali.

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LL’’ acqua e le bevande analcoliche

D. Catelani

Cattedra di Chimica AnaliticaDISTAM Facoltà di Agraria Università degli Studi di Milano

Introduzione

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Particolarmente solubili in acqua ri-sultano: – moltissime sostanze a carattere salino; – alcune sostanze organiche polari a

basso peso molecolare (come alcolmetilico ed etilico, acido acetico, ace-tone);

– sostanze organiche aventi strutturaparticolarmente somigliante a quelladell’acqua, come i carboidrati;

– in misura minore, altre importanti so-stanze organiche polari e a basso pesomolecolare (amminoacidi e vitamine).

Altre sostanze più complesse, bio-chimicamente assai importanti come leproteine e i lipidi, sono praticamente in-solubili in acqua, ma in determinate con-dizioni di acidità, o in presenza di partico-lari agenti solubilizzanti, possono esseremesse in condizione di circolare all’inter-no e all’esterno delle pareti cellulari.

Una prerogativa dell’acqua meno fa-vorevole per l’uomo è quella di fungereda veicolo per malattie infettive e affezioniallergiche, in quanto agenti patogeni e al-lergeni trovano nell’acqua un potentemezzo di diffusione ambientale: tra i mi-crorganismi più pericolosi si possono cita-re le Salmonelle (tra cui la S. typhi), glienterobatteri, il Vibrio cholerae e gli stafi-lococchi; nell’acqua possono essere pre-senti molti parassiti e virus, come quellodell’epatite A, della poliomielite, ecc.

Il ciclo dell’acqua in natura

L’azione fisica e chimica dell’acquanei confronti del mondo minerale ac-compagna una tappa fondamentale del“ciclo naturale” di questa sostanza che,per effetto della gravità e lungo percorsidiversissimi, finisce per raccogliersi neibacini marini e oceanici. Il ciclo si com-pleta con i processi di evaporazione e diprecipitazione.

Le acque di precipitazione, o ac-que meteoriche, si possono considera-re sostanzialmente prive di sostanze mi-nerali, se si eccettuano piccole concen-trazioni, assai variabili nel tempo e nellospazio, di: – gas naturalmente presenti nell’atmo-

sfera (soprattutto argon, anidride car-bonica, azoto e ossidi d’azoto, ozono);

– materiali che vi si raccolgono in quan-to presenti nel pulviscolo atmosfericoin forma di aerosol (come il cloruro disodio);

– sostanze derivanti dall’inquinamento(anidride solforosa e solforica, ossidid’azoto e altri prodotti della combu-stione, solfuro d’idrogeno, ammonia-ca, idrocarburi, derivati di mercurio,cromo, piombo, ecc.).

Sempre a seguito dei lavaggi ope-rati nei confronti dell’atmosfera, nelle

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acque meteoriche si rilevano inoltre gra-nuli di polline (che i venti trasportano agrandi altezze e a distanze anche assairilevanti dai luoghi di origine), e inoltregermi e polvere, particolarmente con-centrati negli strati più vicini al terreno.

Una parte delle acque meteoricheincontra immediatamente uno strato su-perficiale impermeabile, formando così icorsi d’acqua (ruscelli, torrenti e fiumi) oi grandi bacini naturali (laghi, mari eoceani).

Le restanti penetrano in profonditànel terreno, finendo anch’esse per rag-giungere formazioni rocciose imper-meabili.

Queste acque (dette acque telluri-che) possono: – aprirsi una strada attraverso fessura-

zioni delle rocce, formando veri e pro-pri corsi d’acqua sotterranei (fenome-no detto carsismo nei casi di roccecalcaree);

– approfittare della relativa porosità deglistrati di suolo che si trovano a con-tatto con lo strato impermeabile perraggiungere un punto di emergenza,dove si uniranno ai corsi d’acqua su-perficiali;

– formare bacini sotterranei che alimen-tano sorgenti naturali, resorgive, fon-tanili, ecc.

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Pur non fornendo alcun apporto ca-lorico, la sostanza acqua è un importan-te fattore della dieta, visto che rappre-senta il 60% circa del peso di un adulto(e oltre il 75% nel bambino).

Inoltre, alcune acque per la lorocomposizione possono apportare un im-portante contributo di sali minerali qualicalcio, fluoro, iodio e altri oligoelementiessenziali.

Un importante contributo calorico,invece, può essere fornito dalle bevan-de analcoliche, soprattutto in relazioneal tipo di frutto e alla natura e quantitàdi carboidrati che compaiono nella loroformulazione. I succhi di verdura e difrutta, inoltre, contengono una discreta

quantità di sali minerali (e di microele-menti); le spremute di frutta fresca sonoparticolarmente ricche di vitamine.

In condizioni di temperatura am-biente e di attività normale il fabbisognod’acqua giornaliero per un adulto si ag-gira intorno a 1-2 litri, considerando inaggiunta: – la cosiddetta acqua metabolica, che

si forma all’interno dell’organismo pereffetto di tutte le reazioni chimicheche vi avvengono (altri 300 ml circa,calcolati su una razione media di2500-2800 cal.);

– l’apporto di acqua determinato dalladieta (acqua nascosta), che può es-sere stimato in circa 300 ml (Tab. 1).

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L’acqua nella dieta

Alimento % acqua Alimento % acqua

Burro 15 Latte 90

Carne 65 Ortaggi 80-90

Farina 15 Pane 30-40

Frutta 80-95 Pesce 50

Zucchero 0 Olio d’oliva 0

Tabella 1

Contenuto in acqua (%)di alcuni alimenti.

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Il bilancio complessivo dell’acqua sichiude considerando le perdite: con leurine (1-1,5 litri), le feci (0,15), la respi-razione (0,35) e la traspirazione (0,5).

Per effetto di uno sforzo fisico im-pegnativo o di una temperatura esternaparticolarmente alta (ovvero per la feb-bre, nel corso di una malattia) le perditeper traspirazione aumentano: sarà quin-di necessario, in tale evenienza, preve-dere un maggiore apporto di acqua perevitare il rischio di disidratazione.

Oltre a essere la principale compo-nente di tutti i fluidi che circolano nel-l’organismo (sangue, linfa, secrezioniormonali), o riscontrabili all’interno dellestrutture cellulari (citoplasma), l’acquasvolge, come è noto, molteplici funzioni:– introduce nell’organismo una certa

quantità di sali minerali in essa natural-mente presenti (soprattutto il calcio);

– come solvente promuove il trasportodei cibi lungo l’apparato digerente,veicolando inoltre i prodotti della dige-stione, di cui facilita l’assorbimentoattraverso le pareti intestinali e il tra-sporto sino ai tessuti;

– interviene come reagente nei processidigestivi, promuovendo l’idrolisi delleproteine, dei grassi e dei carboidrati;

– partecipa ai processi di escrezione dei

metaboliti;– funge da agente termoregolatore del-

la temperatura corporea, trasportandocalore o agendo da refrigerante (eva-porazione del sudore), a seconda del-le necessità;

– agevola i movimenti dei muscoli e fun-ge da lubrificante delle articolazioni;

– come liquido amniotico, rappresentala protezione del feto nel corso dellagravidanza.

Per quanto si riferisce al consumo diacqua e bevande analcoliche si possonofornire le seguenti indicazioni generiche: – consumare acqua troppo fredda può

portare a disturbi dell’apparato gastro-enterico (congestione); inoltre, l’acquagelata è meno dissetante di quella atemperatura ambiente;

– nelle gastropatie ipersecretive si devo-no preferire acque minerali alcaline enon gassate, mentre quelle gassate,caffè, the, cioccolato e menta facilita-no la mobilità gastrica (peristalsi); caf-fè, the, spremute di frutta acidula, suc-chi conservati di agrumi e pomodoristimolano la secrezione gastroenterica;

– le acque oligominerali sono le più in-dicate per il neonato, in quanto il ri-dotto contenuto di sali facilita la dige-stione, alleggerendo il carico renale.

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Approvvigionamentoidrico

L’acqua va oggi considerata comeun bene comune, addirittura rarissimo, seconsideriamo il fattore purezza: di questobene prezioso si devono evitare gli spre-chi. Fortunatamente, dopo decenni disaccheggio indiscriminato, la tutela delpatrimonio idrico del nostro pianeta è daqualche tempo oggetto di attenzione nonsolo nella coscienza dei singoli, ma – ciòche più conta – da parte delle organizza-zioni nazionali e sovranazionali. A secon-da della sua “storia” l’acqua può natural-mente avere una composizione assai va-riabile: nelle opere di approvvigionamen-to se ne deve tener conto, in maniera dacommisurare ogni trattamento alla natu-ra e concentrazione delle sostanze pre-senti. In qualche caso si deve procedereanche a opportune integrazioni, comeavviene per acque povere di fluoro o disostanze minerali in genere (acque pro-venienti da impianti di dissalazione).

Approvvigionamento

da acque meteoriche

In quanto assai povera di sali mine-rali, l’acqua meteorica viene raccolta eimpiegata come acqua potabile soltantoin casi estremi, quando cioè non è possi-bile approvvigionarsi altrimenti (abitazioniin località isolate, situate su terreni estre-mamente aridi). In tal caso, le superfici diraccolta e i recipienti di conservazione(costituiti da materiali refrattari all’azionedell’acqua) devono essere sottoposti adattenta vigilanza e a periodiche operazio-ni di pulizia, onde evitare l’inquinamentoda sporcizia (ad es. escrementi di volatili),e da microrganismi (soprattutto alghe).Le superfici di raccolta e le capacità deiserbatoi vengono dimensionate in basealle particolari caratteristiche di piovositàdella zona (abbondanza delle precipita-zioni, piovosità giornaliera, lunghezza deiperiodi di siccità), nonché al fabbisognoannuale. Si raccomandano periodici trat-tamenti delle cisterne con cloro.

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L’acqua potabile

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Approvvigionamento

da acque superficiali

Nelle acque superficiali si possonoriscontrare: – sostanze solubilizzate dalle rocce con

cui le acque di scorrimento sono ve-nute a contatto;

– sostanze estratte dal terreno (com-prese quelle derivanti dall’attività del-l’uomo, come fertilizzanti, diserbanti,e pesticidi in genere);

– materiale particellare (limo, argilla,ossidi di ferro, microrganismi e proto-zoi, ecc.) che non è stato trattenutodall’azione filtrante del suolo.

Nei processi di solubilizzazione/estra-zione di sostanze dalle rocce e dal ter-reno, grande influenza riveste l’acidità(pH) dell’acqua di precipitazione. Inol-tre, nel passaggio attraverso aree diparticolare densità abitativa, si osservaun arricchimento di agenti tensioattivi(detersivi anionici, cationici e non ionici)e di microrganismi (pozzi neri), mentregli insediamenti industriali contribuisco-no a rafforzare particolarmente il tassod’inquinamento chimico, di tipo organi-co e/o inorganico.

Le bocchette di captazione delleacque superficiali vengono dunque si-stemate in maniera opportuna, a unagiusta profondità (laghi e mari) e a di-

stanza sufficiente dalla riva e da centriabitati.

Le acque di mare devono subireuna dissalazione spinta, capace di ab-bassare il tenore di cloruro di sodio al disotto del valore limite stabilito dalle nor-mative vigenti.

Opportune analisi consentono unagenerica classificazione delle acque su-perficiali in tre categorie, che richiedonotrattamenti differenziati: prima del pas-saggio finale, rappresentato dalla disin-fezione, le acque di tipo A1, le più puli-te, subiscono un trattamento fisicosemplice, quelle di tipo A2, mediamen-te inquinate, richiedono un trattamentochimico e fisico normale, mentre per leacque di tipo A3, particolarmente spor-che, è previsto un trattamento spinto.

Approvvigionamento

da acque telluriche

Come per le acque superficiali, lacomposizione delle acque telluriche di-pende dalla natura/proprietà/composi-zione degli strati di suolo attraversato,nonché dalla distanza percorsa.

Delle falde sotterranee, la più su-perficiale è detta freatica, e può trovar-si generalmente tra i 10 e i 40 metri aldi sotto della superficie.

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Altre falde si localizzano a profon-dità maggiori, anche parecchie decinedi metri e sono pertanto meno esposteall’inquinamento del terreno sovrastan-te. In più la loro migliore qualità è dovu-ta a una più prolungata azione di purifi-cazione da parte degli strati attivi delsottosuolo.

A dimostrazione della sua provenien-za da una falda sotterranea, l’acqua do-vrebbe avere portata pressoché costantee temperatura compresa tra 9 e 12 °C.

Quando manca uno sbocco natura-le (sorgente) il prelievo da acque sotter-ranee avviene per mezzo di particolarimanufatti, i pozzi o le gallerie filtranti.

I pozzi si classificano in base al me-todo con cui vengono ottenuti: – a scavo (i pozzi che interessano la

falda freatica);– battuti o pozzi Northon (realizzati con-

ficcando a forza la tubazione in profon-dità: sono evidentemente adatti a ter-reni soffici);

– trivellati o a rotazione (possono rag-giungere profondità anche di qualchecentinaio di metri: se non è la stessapressione di falda, complice una fa-vorevole disposizione degli strati im-permeabili, a far risalire l’acqua insuperficie, per il sollevamento è ne-cessario l’impiego di pompe som-merse);

– a percussione (in alternativa alla tec-nica a rotazione).

Le gallerie filtranti sono invece gal-lerie scavate orizzontalmente in mododa intercettare il flusso sotterraneo.

Inquinamento eapprovvigionamento

Un ecosistema naturale, in partico-lare un sistema idrogeologico, può es-sere considerato in equilibrio quandonon intervengano importanti fenomeni diapporto di massa o di energia.

Con l’immissione massiccia di refluiinquinati si alterano drasticamente lacomposizione autonoma dell’acqua e ilsuo equilibrio.

La “vitalità” di un sistema naturale,in quanto formato da un’infinità di sotto-sistemi fisici, chimici e biologici in rap-porto di stretta interdipendenza, è taleda metterlo in condizione di reagire, op-ponendo all’azione inquinante una rea-zione che porterà a un nuovo equilibrio,diverso da quello precedentemente os-servato.

La “distanza” tra le due posizioni diequilibrio dipende da moltissimi fattori,sostanzialmente riconducibili alla com-posizione del sistema originario e all’en-tità dell’azione inquinante.

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In passato, quando le cause di in-quinamento erano limitate per numeroe per entità, si poteva verificare un so-stanziale ritorno alle condizioni iniziali intempi assai brevi, garantiti dai ritmi rela-tivamente rapidi che caratterizzavano lacapacità autodepurante del terreno.

I recenti e recentissimi processi diurbanizzazione e di industrializzazionehanno tuttavia introdotto imponenti pro-blemi di perturbazione degli equilibri na-turali, in particolare attraverso la restitu-zione all’ambiente di un’acqua di com-posizione (talvolta di temperatura) bendiversa da quella consumata.

Benché una legislazione particolar-mente severa regoli oggi, anche inItalia, l’immissione di acque reflue nel-l’ambiente (in particolare quando pro-vengono da scarichi industriali e/o con-tengono prodotti chimici pericolosi), siregistra un grave ritardo nell’applicazio-ne di tali norme, dovuto, da una parte,a una coscienza non sempre adeguataper i problemi che ne derivano e, dal-l’altra, all’indubbia vastità degli interessiin gioco.

Come risultato, riscontriamo al pre-sente uno stato di inquinamento del ter-reno piuttosto preoccupante, soprattuttoal Nord del nostro paese, mentre al Sudil degrado è dovuto maggiormente allasituazione di dissesto idrogeologico e al-

la maggiore scarsità di precipitazioni.Da una parte, questa situazione de-

termina la necessità di reperire acqua infalde sempre più profonde o di utilizzarecorpi idrici superficiali e, dall’altra, pro-voca periodicamente episodi di inquina-mento chimico e/o microbiologico, ren-dendo necessaria la chiusura tempora-nea dei pozzi interessati e la loro tem-pestiva bonifica.

Talvolta, per la distribuzione dell’ac-qua potabile, si deve ricorrere all’impie-go di autocisterne.

La tutela dei corpi idrici dall’inqui-namento si realizza su tre piani fonda-mentali: la sorveglianza idrogeologica,la protezione delle opere di captazionee la depurazione delle acque reflue.

Sorveglianza idrogeologica

delle falde

Le falde acquifere sono soggette asorveglianza tramite opportune ispezio-ni stratigrafiche, miranti a verificare pe-riodicamente l’integrità e la stabilità de-gli strati di terreno sovrastanti il bacinoacquifero.

Si tratta di garantire l’efficacia dellaprotezione, che potrebbe essere com-promessa da eventuali processi franosio movimenti tellurici: se la portata di

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questi eventi è tale da produrre fes-surazioni nella struttura altrimenti com-patta del terreno si potrebbero verifica-re episodi di contaminazione della falda,nel qual caso si renderebbe necessariointervenire con la debita tempestività.

Protezione delle opere

di captazione

Quanto ai pozzi e alle gallerie fil-tranti, la loro costruzione deve assicura-re la massima purezza dell’acqua: i poz-zi a scavo sono i più vulnerabili e ven-gono pertanto protetti da rivestimentiimpermeabili (in cemento), elevandonele sponde ben al di sopra del livello delsuolo, per evitare le conseguenze diesondazioni; per la protezione dallapolvere vengono dotati di opportune co-perture.

Depuratori delle acque

di scarico

Possono essere depuratori civili,industriali e agricoli, a seconda dellaloro destinazione.

La progettazione è evidentementeassai diversa, essendo funzione dellaqualità e quantità del refluo da trattare.

Un tempo, e ancor oggi in localitàa sviluppo prevalentemente agricoloe/o caratterizzato da limitatissimi inse-diamenti umani, l’acqua da scarichi ci-vili veniva distribuita al suolo, nelle co-siddette marcite, o inviata a pozzi fil-tranti (simili alle più moderne fosse bio-logiche).

La restituzione all’ambiente era cosìben distribuita nel tempo e nello spazioda rappresentare un trascurabile turba-mento degli equilibri naturali, e ciò con-sentiva un loro ripristino praticamentetotale.

Oggi, la raccolta nei collettori fo-gnari di una massa imponente di acqueprovenienti da scarichi civili e la sua im-missione in un punto preciso di un cor-so idrico provoca in esso un’alterazionetraumatica degli equilibri biologici.

Questa condizione è imputabile so-stanzialmente alla bassissima concen-trazione di ossigeno che caratterizza lacomposizione dell’acqua reflua a causasoprattutto dell’attività metabolica di mi-crorganismi.

Scompaiono così specie animali evegetali ossigeno-dipendenti, sostituiteda specie meno esigenti.

Un depuratore civile deve pertantooperare sull’acqua di scarico quellestesse trasformazioni che il sistema idri-co naturale non è in grado di compiere,

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e negli stessi tempi: questo viene otte-nuto mediante l’impiego di un’abbon-dante carica di organismi (batteri, alghee protozoi) in grado di metabolizzare,opportunamente rifornita di ossigeno, lamassima quantità possibile di sostanzeinquinanti.

Queste masse biologiche, che sisono adattate a vivere nelle condizionichimico-fisiche proprie dell’effluente ci-vile, vengono chiamate fanghi attivi: inpiccola parte vengono riciclate nel de-puratore, mentre il resto viene utilizzatoper la produzione di biogas (50% me-tano e 50% anidride carbonica).

I depuratori per reflui agricoli e in-dustriali, pur nella loro grande diversitàin funzione della composizione del re-fluo da smaltire, operano secondo prin-cipi analoghi.

Il funzionamento ottimale di un de-puratore dipende dalla costanza dellacomposizione e dalla portata del fluidoche lo alimenta.

Fabbisogno idrico

e possibili future soluzioni

Il fabbisogno idrico varia da 100 a1000 litri circa al giorno per persona: illimite inferiore si riferisce a piccoli centrie a zone a sviluppo prevalentemente

agricolo, mentre la richiesta aumentaper città densamente abitate, magaricircondate da una fascia caratterizzatada forte concentrazione industriale.

I consumi maggiori si devono a:– maggiore diffusione di elettrodomesti-

ci a funzionamento automatico, conrisciacqui multipli (lavabiancheria e la-vastoviglie);

– servizi di pubblica utilità (lavaggiostrade, manutenzione fognature, fon-tane, piscine, ospedali, mense, ma-celli e mercati).

Poiché le prospettive future inqua-drano ulteriori aumenti nel fabbisognoidrico e costi crescenti per il trattamen-to di potabilizzazione dell’acqua peruso domestico, viene presa in seriaconsiderazione l’opportunità di un dop-pio impianto di distribuzione nei locali auso civile (abitazioni e uffici): un primoimpianto garantirebbe acqua potabile,idonea a uso strettamente alimentare eper l’igiene personale (bagno e doccia),mentre l’altro fornirebbe un’acqua dicaratteristiche meno pregiate (detta ac-qua usabile), da adibire a tutti gli altriconsumi.

Il maggior costo del doppio impian-to verrebbe compensato dal minor con-sumo di acqua potabile e dalle diminuiteesigenze di trattamento per acque de-stinate ad altri scopi.

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Potabilizzazione

Qualità dell’acqua potabile

e normativa vigente

Qualunque ne sia l’origine, prima diessere avviata al consumo domestico,l’acqua captata da una delle risorse di-sponibili, tranne quella di origine meteo-rica, deve oggi subire una serie di trat-tamenti fisici e chimici adeguati, mirantia garantirne l’accettabilità: è rarissimo,infatti, che un centro abitato dispongadi una risorsa d’acqua naturale già ca-ratterizzata di tutti i requisiti per essereimpiegata per l’alimentazione.

Esistono dei parametri di qualità,cioè delle limitazioni cui un’acqua deveattenersi per essere dichiarata potabile:natura e valori limite di tali parametri so-no fissati da precise norme legislative.

Il criterio cui le amministrazioni si ri-conducono nell’indicare parametri e re-lativi valori di riferimento (concentrazio-ni massime ammissibili, CMA) è assaidelicato ed è sostanzialmente rappre-sentato da un compromesso tra costi ebenefici.

In altre parole, si tratta di un criterio“politico”, che di fatto assegna un prez-zo alla salute, non molto diverso daquello secondo il quale viene assegnatoun prezzo al “ticket” per medicinali, per

analisi cliniche, per prestazioni speciali-stiche o per degenze ospedaliere.

Tale criterio è basato su tre veritàfondamentali:

a) l’acqua “pura”, cioè l’acqua esen-te da sostanze estranee che nulla hannoa che fare con fenomeni puramente na-turali, non esiste più: per effetto del tra-sporto riconducibile ai movimenti del-l’atmosfera, anche quella che forma ighiacci polari o le nevi perenni delle piùalte montagne contiene quantità sensi-bili di inquinanti, direttamente o indiret-tamente derivati dalle attività dell’uomo;

b) i processi di purificazione hannoun costo che cresce tanto vertiginosa-mente quanto più ci si avvicina al limite(irraggiungibile) rappresentato dal 100%di purezza; ci si deve pertanto rasse-gnare, accettando la presenza di inqui-nanti in concentrazioni finite, piccole perquanto risulta possibile, ma potenzial-mente non innocue;

c) mentre per la valutazione dellatossicità acuta esistono soglie piuttostoprecise (esprimibili ad es. in termini didosi o di concentrazioni letali, ricavatesperimentalmente lavorando su animali-cavia e su tessuti), non è mai stata di-mostrata in maniera convincente l’esi-stenza di precise soglie di pericolositàper l’assunzione continuata di sostanzechimiche: attualmente si può affermare

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semplicemente che quanto più alta è ladose, tanto maggiore risulta il pericolodi subirne l’effetto.

Di conseguenza, entrano in conflit-to, da una parte, il diritto alla salubritàdell’acqua e, dall’altra, la richiesta dienormi quantità a prezzi non proibitivi:questo equilibrio precario non ha unasoluzione unica, oggettivamente valida,e questo si evidenzia nella diversità deilimiti che spesso si riscontrano tra i di-versi paesi, nonostante i continui tenta-tivi di unificazione da parte delle orga-nizzazioni internazionali.

In particolare, certi valori più alti dellamedia si debbono a situazioni locali “sto-riche” di inquinamento; in qualche caso(anche in Italia, ad es. per il diserbanteatrazina) si rende necessaria l’emana-zione di appositi decreti di deroga prov-visoria, in mancanza dei quali l’acquanon potrebbe essere distribuita dagli ac-quedotti.

In prospettiva, con la possibilità di li-mitare l’inquinamento tramite una mag-giore sorveglianza degli scarichi e lamessa a punto di tecnologie che produ-cano un minore impatto ambientale, sitenderà almeno al raggiungimento deicosiddetti valori guida, minori dei CMAmediamente di un ordine di grandezza.

In Italia, i requisiti di qualità che de-vono possedere le acque destinate al

consumo umano (le acque potabili,escluse quelle minerali), sono stati fis-sati dal DPR 24.5.1988 n. 236, pub-blicato nella GU n. 152 del 20.6.1988,emanato in attuazione della direttivaCEE n. 80/778. Di tale Decreto fannoparte integrante (Allegato I) le tabelle A,B, C, D e E, rispettive ai parametri: – organolettici;– chimico-fisici;– concernenti sostanze “indesiderabili”;– concernenti sostanze “tossiche”;– microbiologici.

Nello stesso DPR (Allegato II) ven-gono indicati i modelli di analisi da pren-dere in considerazione nel caso di con-trolli minimi, normali, periodici e occa-sionali, con le relative frequenze di ese-cuzione, dipendenti dall’entità della po-polazione servita. Sono infine riportati(Allegato III) i metodi analitici di riferi-mento.

Analisi dell’acqua

da trattare

Per decidere il tipo e la portata deitrattamenti cui un’acqua deve esseresottoposta per essere resa potabile sideve procedere a una rilevazione di al-cune caratteristiche che permettono unaclassificazione orientativa (Tab. 2).

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Significato di alcuni parametri analitici

Con riferimento alla Tabella 2, la pri-ma colonna può rappresentare un’acquadi falda profonda o di falda freatica nonparticolarmente contaminata, mentre ivalori dei parametri riportati nell’ultimacolonna potrebbero essere attribuiti adacque superficiali (ad es. di un lago).

Riportiamo di seguito il significato dialcuni dei più importanti parametri anali-tici considerati nella scelta del tratta-mento più idoneo cui sottoporre un’ac-

qua naturale al fine di renderla potabile.Nella scelta tra più acquiferi, più che larispondenza in termini di valori medi, èimportante valutare l’abbondanza in rap-porto al fabbisogno, la distanza dal luo-go d’impiego e la costanza delle carat-teristiche compositive.

Temperatura e pHCome si è già visto, il controllo del-

la temperatura e della stabilità del suovalore nel tempo sono particolarmenteimportanti nel caso di acque telluriche:

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Parametri Sorgente Sorgente Sorgente ottima buona scadente(richiede solo (richiede (richiede unun trattamento filtrazione e trattamentodi disinfezione) disinfezione) speciale)

Colore* 0-20 20-150 > 150

Torbidità* 0-10 20-250 > 250

pH medio 6-8,5 5-9 3,8-10,5

BOD5 (mg/l O2) 0,75-1,5 1,5-2,5 > 2,5(media mensile)

Max occasionale 1-3 3-4 > 4

O2 disciolto4-7,5 4-6,5 4

(mg/l, media mens.)

Cloruri (mg/l) ≤ 50 50-250 > 250

Fluoruri (mg/l) < 1,5 1,5-3 > 3

Fenoli (mg/l) assenti < 0,005 > 0,005

Coliformi/100 ml50-100 100-5000 > 5000

(media mensile)

Max occasionale > 100 > 5000 > 20.000(in meno del) (5%) (20%) (5%)

* si misurano in unità convenzionali(da California State Water Pollution Central Board, 1963)

Tabella 2

Criteri orientativi per laclassificazione delleacque naturali e per lavalutazione del tipo ditrattamento più idoneo a renderle utilizzabilicome acque potabili.

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variazioni di temperatura in acque pro-fonde possono indicare infiltrazioni dastrati superficiali, più esposti all’inquina-mento. Un valore di pH molto lontano da7 implica l’inquinamento da infiltrazioni(tuttavia, di per sé, un pH prossimo a 7non esclude inquinamento!). Nell’acquapotabile sono tollerati i limiti da 6 a 9,5.

Torbidità e coloreI valori assunti da questi parametri

rappresentano un indice della presenza dimateriale organico (humus, microrgani-smi) o inorganico (limo, idrossidi di ferroe manganese), legati in genere a un po-tere filtrante insufficiente del terreno; unasensibile colorazione indica presenza disostanze umiche derivanti da decomposi-zione di vegetali o da inquinanti industriali.

Odore e saporeUn odore avvertibile può indicare

presenza di inquinanti, soprattutto indu-striali; prevalentemente, comunque, essoè attribuibile alla presenza di particolariorganismi acquatici (alghe, batteri, proto-zoi), responsabili della liberazione di mi-croquantità di oli essenziali, prodotti delloro metabolismo o della loro decomposi-zione. Il sapore può derivare invece dallapresenza di alcuni sali inorganici, comequelli di calcio, magnesio, ferro, manga-nese e, naturalmente, cloruro di sodio.

BOD5 (Biochemical Oxigen Demand)e COD (Chemical Oxigen Demand)

Rappresentano un indice della con-centrazione di sostanze organiche pre-senti nell’acqua: oltre a consentire laclassificazione della fonte di approvvi-gionamento, sono una guida per la pro-gettazione dei depuratori.

Il BOD5 indica la quantità di ossi-geno necessaria alla flora batterica persvilupparsi, metabolizzando la sostanzaorganica inquinante: si ottiene misuran-do la concentrazione di ossigeno di-sciolto (mg/l) all’atto del prelievo e do-po 5 giorni di mantenimento a 20 °C.

Poiché nei processi metabolici lesostanze organiche presenti vengonodistrutte solo in parte, e per il resto so-no trasformate in materiale cellulare, iltasso di inquinamento organico vienecompletato dal COD.

Esso è rappresentato dalla concen-trazione di ossigeno (mg/l) chimica-mente (stechiometricamente) corrispon-dente alle sostanze ossidabili disciolte.

Il COD si ottiene mediante una de-terminazione volumetrica con un ossi-dante chimico, il dicromato di potassioo il permanganato di potassio.

Esiste una relazione di proporzio-nalità tra COD e BOD5, variabile in ra-gione della natura degli inquinanti or-ganici.

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Ossigeno discioltoÈ un indice della capacità dell’ac-

qua di mantenere forme di vita aerobi-che piuttosto che anaerobiche, nonchédi mineralizzare in maniera diretta omediata le sostanze presenti nell’ac-quifero.

Una bassa concentrazione di ossi-geno in rapporto al valore di saturazione(concentrazione possibile, pari a ca. 10mg/l) può essere attribuita a un forteinquinamento o indicare una prevalenzadi fenomeni putrefattivi.

Analisi microbiologicaL’analisi microbiologica dell’acqua

non solo permette di conoscere lo statodell’inquinamento da batteri e alghe,ma può anche indicare la contaminazio-ne da materiale fecale (dovuto a infil-trazioni). Una simile constatazione, an-che in caso di assenza di virus e/o mi-crorganismi pericolosi, può indurre il so-spetto di una futura possibile diffusionedi epidemie, nell’eventualità che al ma-teriale fecale contaminante pervenganoagenti patogeni dotati di azione partico-larmente virulenta.

Elementi e sostanze indesiderabiliLa presenza di sali ammoniacali

può derivare dalla decomposizione disostanze organiche azotate, e denota

un inquinamento ancora in atto o co-munque assai recente. Lo stesso sipuò dire dei nitriti e dei nitrati: i primisono prodotti di ossidazione dell’ammo-niaca o di riduzione dei nitrati a opera dimicrorganismi, mentre i secondi sonoprodotti di ossidazione di sostanze or-ganiche azotate.

Il fluoro, necessario a piccole dosi(previene la carie dentaria nei bambini),è nocivo se presente in forti concentra-zioni nell’acqua potabile (CMA 0,7-1,5mg/l). La sua presenza indica soltantoil passaggio dell’acqua a contatto conrocce capaci di cedere questo anione.La presenza di fosfati può essere giu-stificata da un inquinamento causato dadetersivi, fertilizzanti o da prodotti di ori-gine animale.

I solfuri non devono essere conte-nuti in concentrazione tale da alterare lecaratteristiche organolettiche dell’acqua(sono avvertibili all’olfatto): si tratta co-munque di un indice di decomposizionedi materiale organico solforato.

Elementi e sostanze tossicheTra le sostanze tossiche l’arsenico,

oltre a essere largamente presente innatura, è presente nella formula di alcu-ni pesticidi usati in agricoltura; il cad-mio può avere origine naturale o indu-striale, mentre cianuri, cromo, mercu-

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rio, piombo, selenio e altri hanno origi-ne prevalentemente industriale.

Nell’ambito dei composti organici, icomposti clorurati (come la trielina) egli idrocarburi aromatici (tra cui il ben-zene) hanno origine industriale: i primideterminano lesioni epatiche, renali ecardiache e sono dotati di attività muta-gena, i secondi mostrano una decisacarcinogenicità; le molecole dei pestici-di, assai stabili, possono provocare car-cinomi epatici e leucemia.

Una caratteristica non correlabile apericolosità per la salute è rappresenta-ta dalla durezza (complessiva), attribui-bile ai sali di calcio e magnesio, e di-stinguibile in durezza temporanea e per-manente: la durezza temporanea vieneeliminata per ebollizione, attraverso laprecipitazione del carbonato di calcio,mentre quella permanente è legata allapresenza di sali solubili (soprattutto clo-ruri, solfati e nitrati).

Un’eccessiva durezza dell’acqua rap-presenta un rilevante problema ingegne-ristico: gli impianti domestici e industrialipossono andare incontro ad alcuni in-convenienti quali incrostazioni di tubatu-re e caldaie; inoltre, deprimendo la for-mazione di schiuma, si osserva una par-ziale perdita di capacità emulsionantedei detersivi: in questi casi sarà beneprocedere all’addolcimento, consistente

nel parziale sequestro dei sali responsa-bili. Una moderata durezza va invececonsiderata fisiologica, oltre che agli ef-fetti del bilancio di sostanze minerali perl’organismo, anche per uno stato di con-servazione delle tubature metalliche, chealtrimenti subirebbero un veloce proces-so di corrosione, con liberazione di catio-ni nocivi alla salute (piombo, zinco, rame,stagno).

Anche la radioattività dell’acqua de-ve essere controllata: l’OrganizzazioneMondiale della Sanità ha stabilito dei li-miti per la radioattività globale di tipo al-fa e di tipo beta.

Il rispetto o il superamento di questilimiti fornisce indicazioni sulla radioatti-vità naturale e su quella dovuta a rica-dute radioattive attribuibili all’uso più omeno pacifico dell’energia nucleare.

I trattamenti

di potabilizzazione

L’acqua potabile deve essere limpi-da, incolore, inodore e di sapore grade-vole: a questo risultato devono condurrei diversi trattamenti di potabilizzazione,correggendo i parametri organolettici,chimici e microbiologici, quando i valoridi questi (o di alcuni di questi) non sianocompatibili con le corrispondenti CMA.

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Un impianto per la potabilizzazioneè sostanzialmente diverso da quello diun depuratore, pur essendo entrambidestinati alla correzione delle caratteri-stiche di una soluzione acquosa.

La differenza consiste essenzialmente: – nella composizione del materiale da

trattare: l’acqua da potabilizzare vieneconsiderata di scarsa qualità e quindinecessita di interventi pesanti conBOD di 2,5 mg/l, corrispondenti a unCOD intorno a 5 mg/l, mentre il re-fluo è generalmente molto ricco di so-stanze organiche (COD da 1 g/l perun’acqua di fognatura sino a 30 e piùg/l per uno scarico di distilleria) e ri-chiede un trattamento biologico;

– nella composizione dell’acqua al ter-mine del trattamento, che deve corri-spondere alle limitazioni (CMA) impo-ste dal DPR 24.5.1988, mentre l’ef-fluente da un depuratore mostreràspecifiche di qualità nettamente infe-riori (ad es. un BOD di 30 mg/l èconsiderato soddisfacente), in quantolo si considera suscettibile di un’ulte-riore purificazione di tipo naturale du-rante il successivo trasporto dell’ac-qua, in superficie o in profondità.

Correzione di caratteri organoletticiIl processo di lavorazione di un’ac-

qua per la sua potabilizzazione segue

uno schema fondamentale, che iniziacon l’eliminazione della torbidità e delcolore. La precipitazione delle particellecolloidali, organiche e/o inorganiche,avviene in ampi bacini aperti, le vaschedi decantazione, previa aggiunta diagenti coagulanti (sali di metalli comealluminio e ferro).

Nella situazione di pH propria del-l’acqua da trattare, questi sali si trasfor-mano nei corrispondenti idrossidi metal-lici, i quali neutralizzano le cariche elet-triche presenti sulla superficie delle par-ticelle colloidali, portandole ad agglo-merarsi in masse fioccose più pesantiche tendono a sedimentare.

La diminuzione della velocità di scor-rimento dell’acqua evita un massicciotrascinamento in uscita del materiale se-dimentabile.

Per eliminare le particelle più leg-gere, si procede a una filtrazione pergravità o sotto pressione su letti di sab-bia e ghiaia (ed eventualmente altromateriale a granulometria più fine).

Odori e sapori non graditi vengonoeliminati con l’impiego di uno strato fil-trante di carbone attivo. Nell’acqua fil-trata la carica batterica risulta abbattutasino al 95-98%.

Un’ulteriore formazione di sapori eodori può essere prevenuta con oppor-tuni trattamenti preventivi miranti a im-

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pedire la proliferazione degli organismiresponsabili (ad es. con piccole con-centrazioni di cloro per gli attinomiceti edi solfato di rame per alghe e protozoi).

Correzione di caratteri chimiciAbbattimento di ferro e manganese

Questi ioni metallici, a pH anche de-bolmente alcalino, possono precipitarecome idrossidi, ostruendo tubazioni evalvole (il ferro in particolare può portarealla proliferazione di ferrobatteri): per ot-tenere un’accettabile diminuzione di con-centrazione, quando si tratta di compostiinorganici, è sufficiente il contatto conaria, altrimenti bisogna ricorrere a fortiossidanti (cloro e permanganato in am-biente alcalino).

Abbattimento dei sali di calcio e magnesio

È il già citato processo di addolci-mento, realizzato per aggiunta di calceo con l’impiego di materiali scambiatoridi ioni.

Una tecnica piuttosto interessante,sviluppata in tempi relativamente recen-ti, sfrutta il principio dell’osmosi inversa:mediante applicazione di un’alta pres-sione (10-30 atm), l’acqua contenente isali da eliminare viene obbligata a tran-sitare attraverso una membrana semi-permeabile che trattiene gli ioni disciolti.

Per evitare un eccessivo impoveri-mento di sali, viene trattata solo unafrazione dell’acqua da potabilizzare. Inpratica l’acqua attraversa una cartucciacontenente un fascio di tubicini in ace-tato di cellulosa, dal diametro internodell’ordine del millesimo di millimetro:mentre la soluzione concentrata deflui-sce all’uscita, l’acqua pura trasuda nelcorpo della cartuccia.

Questa tecnica sembra assai indi-cata anche nella dissalazione dell’acquadi mare, un processo che, per l’altaconcentrazione dei sali disciolti, risultaancora assai costoso, se condotto me-diante tecnologie convenzionali; per sup-plire al fabbisogno di acqua potabile insituazioni di particolare emergenza sonocomunque in funzione altri impianti chesfruttano fonti alternative come la lucesolare.

Correzione di caratteri batteriologiciL’abbattimento della carica microbica

inquinante si ottiene mediante l’azionedel cloro (come tale o in forma di de-rivati come l’ipoclorito o il biossido) o del-l’ozono: queste sostanze si decompon-gono, liberando ossigeno atomico, carat-terizzato da un fortissimo potere ossidan-te, in grado di bloccare, con meccanisminon del tutto chiariti, il metabolismo cel-lulare.

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Uno svantaggio dei composti delcloro è costituito dalla reazione con so-stanze organiche, con formazione deiTHM (trialogeno metani e clorofenoli),sostanze per molte delle quali è stataaccertata la cancerogenicità e che quin-di andrebbero eliminati: la loro concen-trazione dipende da molti fattori (con-centrazione del cloro aggiunto, pH, tem-peratura, presenza di bromo e di so-stanze organiche nell’acqua).

Una normale clorazione richiede, co-me ordine di grandezza, l’aggiunta di 0,5mg/l di cloro attivo: questo decade sinoa un valore intorno a 0,1 mg/l, che rap-presenta il residuo a garanzia del man-tenimento delle condizioni di bonifica.

In presenza di ammoniaca (NH3),parte del cloro presente viene consu-mata con formazione di cloroammine,anch’esse dotate di azione disinfettan-te, più lenta ma più prolungata nel tem-po rispetto al cloro. L’impiego di ozonorichiede apparecchiature costose e dalfunzionamento delicato, ma si sta rapi-damente diffondendo. Le Figure 1 e 2rappresentano gli schemi a blocchi didue impianti tipici degli anni ’60-’70 edegli anni ’90, rispettivamente.

Soluzioni più recentiAlcuni dei passaggi descritti (come

l’abbattimento di ferro e manganese) e

altri ancora (come la nitrificazione del-l’ammoniaca e l’abbattimento dei nitra-ti) vengono oggi ottenuti in diversi im-pianti moderni con trattamenti di tipobiologico (batteri).

Una nuovissima tecnica, suscettibiledi un notevole sviluppo nell’immediatofuturo, è quella dell’ultrafiltrazione. Latecnica è simile a quella dell’osmosi in-versa, anche se il principio di funziona-mento della membrana è diverso: l’ac-qua grezza sotto pressione viene fattacircolare all’interno di fibre cave moltosottili, la cui parete è costituita da unamembrana di porosità tale da trattenerepersino i virus e le grosse macromoleco-le organiche, ma non gli ioni inorganici ele molecole organiche più piccole, comequelle dei pesticidi; l’acqua filtrata passanella camicia che raccoglie e circonda ilfascio di diverse migliaia di fibre (Fig. 3).

Per la minore purificazione ottenibi-le rispetto all’osmosi inversa, l’ultrafil-trazione richiede qualche trattamentoaddizionale, oltre al lavaggio in contro-corrente per rimuovere le molecole in-trappolate nei pori della membrana fil-trante. In compenso il patrimonio di so-stanze minerali viene completamente ri-spettato. Anche questo tipo di impiantoè completamente automatico, e vienemesso in moto dalla stessa richiestaidrica dell’utenza.

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Impianti domestici

per il trattamento

dell’acqua potabile

La “normale” presenza nell’acquapotabile di sostanze classificate come in-desiderate o addirittura nocive (ma auto-rizzate dal DPR 24.5.1988 purché inconcentrazioni inferiori ai CMA), può in

certi casi alterare in maniera significativa isuoi caratteri organolettici (odore di cloro,colorazioni attribuibili alla presenza di fer-ro e manganese) o i parametri tecnologi-ci (eccessiva durezza). In alcuni eventistraordinari, come il caso dell’inquina-mento da atrazina, si è addirittura fatto ri-corso a uno specifico intervento legislati-vo per sancire un “provvisorio” aumento

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Preclorazione

ALTRI REATTIVI– coagulante (in tutti i casi)– flocculante (eventuale)

– correzione pH (eventuale)– carbone attivo in polvere (eventuale)

• Coagulazione-Flocculazione• Decantazione

• Postclorazione• Correzione pH (eventuale)

• Remineralizzazione (eventuale)

Cl2

Cl2

OH–

ACQUA GREZZA

Filtrazione su sabbia

DISTRIBUZIONE

Figura 1

Schema-tipo del trattamento delle acque superficialinegli anni ’60-’70.

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• Disinfezione di sicurezza• Correzione pH

Preozonazione

Eventuale remineralizzazione

ALTRI REATTIVI– coagulante (sempre)

– flocculante (nella maggioranza dei casi)– correzione pH (se necessario)

– carbone attivo in polvere (opzionale)

• Coagulazione-Flocculazione• Decantazione o Flottazione

Primo stadio di filtrazione su sabbiao eventualmente su doppio strato

(sabbia più antracite)

• Richiesta chimica 03

• Disinfezione 03

• Ossidazione per radicali

Secondo stadio di filtrazionesu CAG

DISTRIBUZIONE

03

03

H2 02(opzionale)

CI2OH–

ACQUA GREZZA

Figura 2

Schema-tipo del trattamento delle acque superficialinegli anni ’90.

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circa 1 mm

Acqua grezza

Acqua trattata

Acqua grezza

30 cm

Acqua trattata

Testata delmodulo

Cartuccia

Griglia diprotezione

Membrana

MODULO

MEMBRANA

Figura 3

Struttura e funzionamento di una fibra e di unmodulo impiegati nel processo diultrafiltrazione.

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della relativa CMA. Tutto ciò ha determi-nato una crisi di sfiducia dei consumatorinei confronti dell’acqua potabile, causan-do un forte incremento nel consumo diacqua minerale e promuovendo contem-poraneamente lo sviluppo di un mercatoselvaggio di apparecchiature per il tratta-mento domestico dell’acqua potabile, incui solo in tempi relativamente recenti ilMinistero della Sanità ha messo ordine(Circolare 30.10.1989 n. 26: Istruzionitecniche concernenti apparecchiatureper il trattamento domestico di acque po-tabili), subordinando la commercializza-zione dei dispositivi a una preventiva au-torizzazione da parte del Ministero.

Eliminati i filtri puramente meccanici,sono attualmente disponibili in commer-cio diversi tipi di apparecchiature che, ri-spettando certe regole di corretto impie-go e periodico controllo, necessarie permantenere le condizioni di sicurezza del-l’acqua potabile, sono tuttavia in grado dimigliorare le caratteristiche chimiche, fisi-che e igieniche, abbassando sensibil-mente le concentrazioni delle sostanzeindebitamente contenute nell’acqua stes-sa. La Tabella 3 illustra gli effetti patologi-ci da assunzione prolungata di alcunedelle sostanze estranee contenute nel-l’acqua potabile.

La classificazione, determinata dalMinistero della Sanità, è la seguente:

– addolcitori (funzionano scambiandogli ioni calcio e magnesio, responsa-bili della durezza, con ioni sodio);

– osmotizzatori (basati sul principio del-l’osmosi inversa);

– apparecchiature a funzioni miste (ades. a carbone attivo e membrana).

Sorveglianza

La dichiarazione di potabilità diun’acqua compete alle USL, che hannoil compito di sorvegliarne periodicamen-te la qualità mediante analisi apposita-mente programmate in numero, tipo eperiodicità, in funzione della popolazioneservita, secondo i l già citato DPR24.5.1988 (All. II e III). I cittadini posso-no richiedere alla USL di competenza idati analitici dell’acqua potabile.

Considerazioni conclusive

Esiste un problema etico, concer-nente la conservazione quantitativa e latutela qualitativa del patrimonio idriconon solo nazionale: come la qualitàdell’aria, anche la qualità dell’acqua nonha frontiere.

Un secondo e più preoccupanteaspetto del problema è quello che ri-

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guarda il consumo di acqua a scopo ali-mentare.

Come si è visto, l’acqua dichiaratapotabile non è per questo acqua pura:le ricerche circa i pericoli derivanti dal-l’assunzione continuativa di sostanzedefinite indesiderabili o addirittura tossi-che, sia pure in piccole concentrazioni,sono lunghe e difficili, e spesso nonconsiderano l’eventuale sinergismo, os-sia l’effetto combinato di due o più spe-cie chimiche, una delle quali può essereaddirittura innocua o non particolarmen-te sospetta, ma di fatto – per così dire

– aprire la strada a un’altra, magari an-ch’essa non particolarmente nociva, seassunta da sola (si pensi all’azionecombinata dell’alcool e della comunissi-ma aspirina, capaci di produrre ulcera-zioni nella mucosa dello stomaco).

A queste azioni sinergiche si tendead attribuire oggi l’insorgenza delle co-siddette malattie aspecifiche, cioè quel-le che non è stato possibile correlare aun unico agente patogeno: si tratta perlo più di malattie a carattere degene-rativo, la cui diagnosi è spesso tardiva,caratterizzate da un decorso quasi sem-

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Specie CMA Patologia

Nitrati 50 mg/l Disturbi gastrointestinali,metaemoglobinemia infantile

Nitriti 0,1 mg/l Sospetta cancerogenicità

Ammoniaca 0,5 mg/l Bassa tossicità

Idrogeno solforato Non ril. organolett. Cefalea, nausea

Idrocarburi 10 µg/l Sospetta cancerogenicità

Fenoli 0,5 µg/l Danni a rene e fegato

Tensioattivi anionici 200 µg/l Disturbi gastrointestinali

Organoalogenati 30 µg/l Danni a fegato e sistema nervoso

Ferro 200 µg/l Disturbi gastrointestinali

Manganese 50 µg/l Disturbi gastrointestinali

Rame 1000 µg/l Disturbi gastrointestinali

Zinco 3000 µg/l Nausea

Fosforo 5000 µg/l Anemia, danni alle ossa(come P2O5)

Fluoro 1500 µg/l Danni a denti e ossa

Sostanze indesiderabili

Tabella 3

Principali effettipatologici determinati daesposizione prolungataalle principali sostanzeindesiderabili e tossichedi origine esogena e aimicrorganismi presentinell’acqua.

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pre infausto (tumori, arteriosclerosi, dia-bete, malattie neuropsichiche, ecc.). Inpiù ricordiamo il problema delle allergie,ormai considerato, al di là di ogni dub-bio ragionevole, correlato alla qualitàdell’ambiente in cui viviamo.

Dati non certo discutibili dimostranoun aumento enorme della sensibilizza-zione al polline, alla polvere, al pelo dianimali, a certe fibre artificiali, ecc.

La percentuale di popolazione chemostra problemi di allergia supera ormai

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Specie CMA Patologia

Arsenico 50 µg/l Danni a sangue, fegato e reni(cancerogeno sulla cute)

Cadmio 5 µg/l Vomito e disturbi gastrointestinali,anemia, ritardo di crescita, danni ai denti, lesioni renali, cardiovascolarie agli organi sessuali

Cianuri 50 µg/l Cefalea, vertigini, nausea, debolezza

Cromo 50 µg/l Disturbi gastrointestinali

Fluoruri 1,5 mg/l Fluorosi dentale cronica/anchilosante

Nitrati 50 mg/l Metaemoglobinemia dell’infanzia

Piombo 50 µg/l Anemia, disturbi gastrointestinali

Mercurio 1 µg/l Disturbi al cavo orale, danni ai reni

Nichel 50 µg/l Nausea, vomito, diarrea

Antimonio 10 µg/l Disturbi gastrointestinali

Selenio 10 µg/l Danni al fegato, disturbi gastrointestinali

Antiparassitari 0,1 µg/l Ogni composto (cancerog., teratogeno)(tot. max 0,5 µg/l)

Policiclici aromatici 0,2 µg/l Cancerogenicità, teratogenicità

Coliformi Disturbi gastrointestinali

Streptococchi Infezioni streptococciche

Clostridi Infezioni e intossicazioni

* I valori riportati sono desunti dalle tabelle C, D e E allegate al DPR 24.5.1988 n. 236.Purtroppo si è spesso reso necessario, da parte del Ministero della Sanità, aumentare i valoridelle CMA (nel caso di fenomeni di inquinamento della falda di particolare gravità). Con questoescamotage, l’acqua di rete, che non sarebbe potabile ai sensi del DPR suddetto, viene resa dinuovo potabile, per decreto. Contro simili provvedimenti è più volte intervenuta anche la CEE.

Microrganismi

Sostanze tossiche

Tabella 3

[segue]

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il 15% e tende a salire: di questa gli an-ziani e i bambini sopportano le conse-guenze maggiori.

L’acqua che beviamo è certamenteuna, se non la maggiore, responsabile,insieme all’aria che respiriamo.

Il controllo e la lotta contro malattiedi questo tipo richiede un imponentesforzo di ricerca, mentre i risultati, sino-

ra, sono limitati: una via alternativa, in-vece, può essere quella della prevenzio-ne, a tutti i livelli praticabili.

A questo tendono le organizzazionisovranazionali, fissando dei valori guidaaccanto alle CMA, dei valori cui sembraragionevole tendere, mettendo in operastrumenti di tutela del territorio e metodidi produzione più rispettosi dell’ambiente.

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Prima del l’emanazione del DL25.1.1992 n. 105, pubblicato sul Sup-plemento Ordinario alla GU n. 39 del17.2.1992, la definizione di “acque mi-nerali naturali” e le norme circa la produ-zione, il controllo e il commercio dellestesse erano contenute in una serie dileggi e decreti facenti capo al RD28.11.1919 n. 1924 e quanto a esso siriferiva, come il DM 20.1.1927.

Il DL n. 105 comporta una discipli-na assolutamente innovativa, in ottem-peranza alla Direttiva CEE n. 777 del15.7.1980 in materia di riavvicinamentodelle legislazioni degli stati membri sul-l’utilizzazione e la commercializzazionedelle acque minerali naturali. La nuovadefinizione è la seguente (art. 1, comma1): «Sono considerate acque mineralinaturali le acque che, avendo origine dauna falda o giacimento sotterraneo,provengono da una o più sorgenti natu-rali o perforate e che hanno caratteristi-che igieniche particolari e proprietà fa-vorevoli alla salute».

È scomparso ogni riferimento a con-clamate “proprietà terapeutiche”, chenon possono essere rivendicate né inetichetta né come messaggio pubblicita-rio (art. 17). La differenza dalle ordinarieacque potabili è rappresentata dalla “pu-rezza originaria e sua conservazione”,nonché dal “tenore in minerali, oligoele-menti e/o altri costituenti e dai loro effet-ti” (art. 1, comma 2). Ciò in relazione allaloro provenienza da falde sotterranee,poco o per nulla esposte a inquinamentoper merito della loro particolare situazio-ne idrogeologica.

Se prodotte in Italia, vengono postein commercio su autorizzazione del Mini-stero della Sanità (per acque importateda paesi della Comunità, riconosciute da-gli stati membri e comprese negli elenchipubblicati dalla GU della CEE, l’importa-zione è libera, mentre sono soggette adautorizzazione quelle importate da paesiterzi). Il decreto di riconoscimento specifi-ca le caratteristiche igieniche particolari,le proprietà favorevoli alla salute e le indi-

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Acque mineralinaturali

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cazioni e controindicazioni che possonoessere riportate in etichetta (art. 4). L’au-torizzazione all’utilizzo di una sorgente vie-ne concessa dalle autorità regionali, previopportuni accertamenti sugli impianti, chedevono essere tali da escludere pericoli diinquinamento, conservando nel contem-po all’acqua minerale le proprietà riscon-trabili alla sorgente (art. 5).

Le opere consentite (art. 7) riguar-dano la captazione e sostanzialmente iltrasporto diretto (tramite tubazioni) in va-sche e serbatoi, nonché eventuali tratta-menti volti a eliminare presupposti di in-stabilità (ad es. ossigenazione e filtrazio-ne), purché ininfluenti sulle proprietà del-l’acqua originaria; sono ancora ammes-se, infine, le operazioni volte a diminuireo aumentare il contenuto di anidride car-bonica. Non è invece consentita l’ag-giunta di sostanze batteriostatiche o bat-tericide (art. 8).

La disciplina delle etichette è conte-nuta nell’art. 11, che tra l’altro prescrivel’indicazione, accanto alla denominazio-ne particolare, della dizione “acqua mi-nerale naturale”, seguita – se del caso –da menzioni riguardanti eventuali tratta-menti che hanno o non hanno modifica-to il tenore in CO2 (totalmente oppureparzialmente degassata, naturalmentegassata o effervescente naturale, ecc.).

L’etichetta deve riportare, oltre ai ri-

sultati delle analisi (da aggiornare entroun periodo di 5 anni), la data e il labora-torio autorizzato in cui sono state ese-guite, il termine minimo di conservazione(“da consumarsi entro...”) e il lotto di im-bottigliamento; il contenuto della bottiglianon può superare i due litri. Non devepiù essere riportata l’analisi microbiologi-ca perché già definita per legge la suaconformità, ma può essere aggiunta l’in-dicazione “microbiologicamente pura”.

Sempre sull’etichetta possono an-cora comparire menzioni riguardanti ilcontenuto in sali minerali (per i relativicriteri, vedi Tab. 4) e inoltre, mutuate daldecreto di riconoscimento, indicazioni econtroindicazioni, come “può avere ef-fetti diuretici (o lassativi)”, “stimola la di-gestione”, “può favorire le funzioni epa-tobiliari (o altro)”, “indicata per l’alimen-tazione dei neonati”, ecc.

In etichetta non sono ammesse af-fermazioni pubblicitarie. La pubblicitàcommerciale è libera, ma è soggetta adautorizzazione nel caso in cui venganomenzionate le proprietà salutari o le indi-cazioni e/o controindicazioni riportate neldecreto di riconoscimento. Sono inveceescluse affermazioni circa la capacità diun’acqua minerale di prevenire, curare oguarire malattie: in precedenza questeaffermazione erano invece consentite seattestate da una specifica relazione me-

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dica. Agli effetti della commercializzazio-ne vengono abbandonati i criteri di clas-sificazione come quello, storicamenteimportante, proposto da Marotta e Sicae fondato sul residuo fisso ottenibile perriscaldamento a 180 °C:– acque oligominerali, con residuo infe-

riore a 200 mg/l;– acque medio-minerali, con residuo

compreso tra 200 mg e 1 g/l;– acque minerali, con residuo superiore

a 1 g/l.Un’altra classificazione storicamente

importante, e in parte ripresa dalla nor-mativa attualmente in vigore, consideravail tenore in sostanze minerali: si possono

così avere acque minerali salse, solfu-ree, arsenicali-ferruginose, bicarbonatoe solfato; ciascuna di queste cinque ca-tegorie risultava ulteriormente suddivisain funzione della concentrazione di parti-colari specie caratterizzanti: ad es. eranodette carbonatiche quelle con prevalenzadell’anione HCO3

– (idrogenocarbonato obicarbonato), mentre venivano definitecarboniche quelle caratterizzate da effer-vescenza per CO2 disciolta. Da ricordareinoltre le acque radioattive, anche senon comprese nella recente legislazionesulle acque minerali naturali. Il loro gra-do di radioattività (attribuito al gas raroRadon in esse disciolto) viene espresso

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Menzioni Criteri

Oligominerale oppure Tenore in sali minerali (calc.leggermente mineralizzata come residuo fisso) < 500 mg/l

Minimamente mineralizzata Tenore in sali minerali (calc.come residuo fisso) < 50 mg/l

Ricca in sali minerali Tenore in sali minerali (calc.come residuo fisso) > 1500 mg/l

Contenente bicarbonato Tenore in HCO3– > 600 mg/l

solfata Tenore in SO4= > 200 mg/l

clorurata Tenore in Cl– > 200 mg/l

calcica Tenore in Ca++ > 150 mg/l

magnesiaca Tenore in Mg++ > 50 mg/l

Fluorata o contenente fluoro Tenore in F– > 1 mg/l

Ferruginosa o contenente ferro Tenore in Fe++ > 1 mg/l

acidula Tenore in CO2 > 250 mg

sodica Tenore in Na+ > 200 mg/l

Indicata per diete povere di sodio Tenore in Na+ < 20 mg/l

Tabella 4

Menzioni e criteriprevisti all’art. 11 del DL 25.1.1992.

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in nanocurie/litro (1 nC corrisponde a37 disintegrazioni al secondo). Unapossibile classificazione è la seguente:– debolmente radioattive (da 1 a 30 nC/l);– radioattive (da 30 a 150 nC/l);– fortemente radioattive (oltre 150 nC/l).

Secondo il regolamento che reca icriteri di valutazione delle caratteristichedelle acque minerali naturali, riportatodal DM 12.11.1992 n. 542, pubblicatosulla GU n. 8 del 12.1.1993, a corredodella domanda di riconoscimento deveessere presentata una relazione idro-geologica, comprendente tra l’altro laplanimetria della zona, una definizionedel bacino imbrifero geografico e idro-geologico della sorgente, nonché i piani

topografici e permeatimetrici che dimo-strino la non interferenza di altre falde arischio di inquinamento e la descrizionedei criteri di salvaguardia della falda edelle opere di captazione (art. 2).

Alla domanda di riconoscimento de-vono essere allegati i certificati di alme-no 4 analisi relative alle quattro stagionidell’anno (art. 3), eseguite presso labo-ratori autorizzati (art. 4) e concernentiuna serie di parametri fisici e chimici(artt. 5 e 6) e microbiologici (artt. 7-10): in questi stessi articoli sono speci-ficati i limiti per sostanze contaminanti oindesiderabili al di sopra di una certaconcentrazione e per alcuni microrgani-smi (Tabb. 5, 6 e 7).

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Parametri analitici chimici e fisico-chimici

1) Temperatura alla sorgente 13) Calcio

2) Concentrazione degli ioni 14) Magnesioidrogeno alla sorgente

3) Conduttività 15) Ferro disciolto

4) Residuo fisso 16) Fluoro

5) Ossidabilità 17) Azoto ammoniacale

6) Anidride carbonica libera 18) Fosforo totalealla sorgente

7) Silice 19) Grado solfidrometrico

8) Bicarbonati 20) Stronzio

9) Cloruri 21) Litio

10) Solfati 22) Alluminio

11) Sodio 23) Bromo

12) Potassio 24) Iodio

Tabella 5

Parametri analiticichimici e fisico-chimicida determinare per leacque minerali naturali(artt. 5 e 6, DM 12.11.1992n. 542).

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Parametri microbiologici

Carica microbica a 20 °C e a 37 °C

Coliformi in 250 ml (in duplice)

Streptococchi fecali in 250 ml (in duplice)

Clostridi solfitoriduttori in 50 ml

Pseudomonas aeruginosa in 250 ml

Staphylococcus aureus in 250 ml

Tabella 7

Parametri microbiologicida determinare sulleacque minerali naturali(artt. 9 e 10, DM12.11.1992 n. 542).

Sostanza Concentrazione

1) Cianuri 0,01 mg/l

2) Fenoli (escl. quelli naturali, 0,5 µg/l C6H5OHche non reagiscono al cloro)

3) Agenti tensioattivi (MBAS anionici) 200 µg/l laurilsolfato

4) Oli minerali, idrocarburi disciolti o emulsionati) 10 µg/l

5) Idrocarburi aromatici policiclici 0,2 µg/l

6) Pesticidi e bifenili policlorurati 0,1 µg/l per componente 0,5 µg/l totale

7) Composti organoalogenati 1 µg/l che non rientrano alla voce n. 6

8) Arsenico 0,05 mg/l As(III)0,15 mg/l As(V)0,20 mg/l totale

9) Bario 10 mg/l

10) Borati 30 mg/l H3BO3

11) Cadmio 0,01 mg/l

12) Cromo VI 0,05 mg/l

13) Mercurio 0,001 mg/l

14) Manganese 2 mg/l

15) Nitrati 45 mg/l NO3

10 mg/l per acque destinate ad alimentazione nell’infanzia

16) Nitriti 0,03 mg/l NO2

17) Piombo 0,05 mg/l

18) Rame 1 mg/l

19) Selenio 0,01 mg/l

Tabella 6

Parametri relativi asostanze contaminanti o indesiderabili al disopra di una certaconcentrazione (a fiancoindicata), da determinareper acque mineralinaturali.

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I relativi metodi analitici sono ripor-tati nel DM 13.1.1993 (GU n. 14 del19.1.1993).

Con la Circolare del Ministero dellaSanità n. 17 del 13.9.1991 vengonocompletate le indicazioni sulle procedu-re relative ai controlli microbiologici for-nite con la Circolare n. 61 del 9.8.1976dello stesso Ministero (modalità di cam-pionamento e metodologia analitica).

Con analoga Circolare (n. 19 del12.5.1993) si provvede per quanto at-tiene alle analisi chimiche e chimico-fi-siche. Le suddette circolari indicano an-che la periodicità dei controlli analiticida eseguire, differenziando i compiti tragli organi sanitari competenti e le azien-de imbottigliatrici.

Premesso che «nella fase di com-mercializzazione l’acqua minerale natu-rale non deve presentare alterazioni cherappresentino un difetto dal punto di vi-sta organolettico e la carica microbicatotale deve essere conforme al suo mi-crobismo naturale», al punto C.2 dellasuddetta Circolare si prendono in consi-derazione gli indici di contaminazioneper il giudizio di qualità che deve tenereconto della qualità del processo di im-bottigliamento e del contenitore.

Le autorità sanitarie possono in ogni

momento disporre accertamenti volti acontrollare l’effettiva rispondenza delprodotto alla normativa vigente.

Il sapore e le proprietà di un’acquaminerale naturale dipendono ovviamentedalla sua composizione (natura e con-centrazione dei sali in essa contenuti),determinata dalla sua situazione idro-geologica e in particolare alla composi-zione delle rocce con cui l’acqua è ve-nuta a contatto; se gassata (cioè addi-zionata di una quantità di CO2 superiorea quella propria dell’acqua prelevata allasorgente), l’acqua minerale assumeproprietà stimolanti del processo dige-stivo, ma contemporaneamente diventacontroindicata per quanti soffrono diproblemi di ipersecrezione gastrica.

L’impiego di acque minerali naturalinella preparazione di bibite analcoliche èpossibile, ma è subordinato all’autorizza-zione dell’autorità regionale: l’acqua mi-nerale deve essere condotta dalla sor-gente allo stabilimento mediante apposi-ta canalizzazione.

Sull’etichetta può essere riportato ilnome della fonte, ma anche in questocaso è vietato ogni riferimento a indica-zioni terapeutiche e alle caratteristichemedico-fisiche e batteriologiche dell’ac-qua minerale naturale.

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Il DPR 19.5.1958 n. 719 definisceacque gassate (da non confondere conacque minerali naturali addizionate diCO2) l’acqua di seltz (acqua potabileaddizionata di anidride carbonica) el’acqua di soda (acqua potabile, conte-nente sodio bicarbonato e addizionatadi anidride carbonica).

Le bibite analcoliche (gassate enon) vengono ottenute con acqua pota-bile o minerale e possono contenere:– succo di frutta;– infusi, estratti di frutta o di parti di

piante commestibili o amaricanti oaromatizzanti;

– essenze e aromi naturali o natural-identici o artificiali;

– sostanze coloranti e conservanti;– saccarosio;– acido citrico e/o tartarico.

Il saccarosio può essere sostituitoda destrosio per un massimo del 10%e il contenuto in alcol etilico non devesuperare l’1%.

Come si è già accennato, in caso di

impiego di acque minerali naturali auto-rizzate è necessaria l’autorizzazione delMinistero della Sanità: ricordiamo anco-ra che è consentito riportare la denomi-nazione della fonte, ma non i riferimentialle caratteristiche dell’acqua minerale,in particolare a proprietà e indicazioniterapeutiche.

La conservazione e la salubrità del-le bibite analcoliche viene assicuratamediante idoneo trattamento termico(in genere la pastorizzazione). Non è piùammessa l’aggiunta di sostanze chimi-che in qualità di conservanti come salidell’acido benzoico e dei suoi derivati.

I succhi di frutta devono esserepreparati con succo naturale, o concen-trato, o liofilizzato o sciroppato: l’etichet-ta deve ovviamente riportare il/i nome/idel/i frutto/i usato/i nella preparazione.

I succhi di arancio, limone e manda-rino possono contenere succhi, estrattio essenze naturali provenienti da agrumidiversi.

Il residuo secco non può essere in-

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Acque gassate ebevande analcoliche

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feriore al 10% (p/v) e il contenuto disucco naturale (o l’equivalente se vieneimpiegato il concentrato o il liofilizzato)deve essere almeno del 12%: tale con-tenuto deve essere riportato esplicita-mente sull’etichetta. Quando il conte-nuto in succo naturale supera il 30%(p/v) il residuo secco può essere infe-riore al 10%.

Le bibite preparate con estrattipossono contenere succhi di frutta, so-stanze amaricanti e aromatizzanti diver-se dal frutto o dalle piante cui la prepa-razione si richiama. Il residuo non puòessere inferiore all’8%.

La gassosa è preparata con acquapotabile, gassata ed edulcorata consaccarosio; può contenere inoltre acidocitrico, acido tartarico ed essenza di li-mone. Escluse le sostanze coloranti. Ilresiduo secco minimo è del 6%.

Le bibite analcoliche vendute condenominazioni di fantasia non devono

avere un residuo secco inferiore all’8%(p/v). Eventuali coloranti devono appar-tenere all’elenco dei prodotti consentiti.Per i succhi di frutta sono tollerate trac-ce di anidride solforosa.

Per alcune bibite (come Coca Colae Pepsicola) è stata consentita l’aggiun-ta di acido ortofosforico e caffeina.

L’insieme delle norme riportate de-ve intendersi applicabile anche alle pol-veri per la preparazione estemporaneadelle acque da tavola e di bibite in ge-nere (camomilla solubile, the solubile,caffè e surrogati, ecc.).

Oltre ai succhi di frutta preparati in-dustrialmente citiamo quelli ottenuti perspremitura o frullatura immediatamenteprima del consumo: in quanto non diluiticon acqua e privi di additivi conservantie inoltre per non necessitare di alcuntrattamento fisico volto ad assicurarnela sterilità, le loro proprietà nutrizionalisono assolutamente superiori.

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Le diverse qualità di caffè che sitrovano in commercio, intero o macina-to, sono solitamente miscele, cui la to-statura ha impartito l’aroma e il saporeben noti (durata e temperatura di que-sta operazione possono essere scelticon una certa libertà, al fine di adegua-re le caratteristiche organolettiche delprodotto ai gusti delle diverse categoriedi consumatori).

Durante la tostatura si produconodue gruppi di sostanze idrosolubili, unestratto pesante che dà corpo e saporealla bevanda, e uno più leggero, re-sponsabile dell’aroma.

Dell’estratto pesante fanno parte:caffeina, acido caffetannico, glucosio,destrine, proteine e sostanze minerali.Inoltre, per effetto del calore, i semiproducono una certa quantità di oli, lacui degradazione ossidativa è responsa-bile dell’irrancidimento nel tempo.

Una buona conservazione del caffèmacinato si ottiene mantenendolo sottovuoto (una volta aperta la confezione è

consigliabile conservare il prodotto inluogo asciutto e freddo).

I metodi per la preparazione delcaffè sono assai differenziati nel mondo:in Italia il metodo più usato è quello delcaffè espresso, che utilizza un caffèmolto tostato e permette di ottenereuna bevanda scura, molto forte.

Il contributo calorico del caffè è cor-relabile alla quantità di zucchero che vie-ne aggiunto: per gli italiani, che sono trai consumatori più forti, può quindi rap-presentare un importante fattore die-tetico. Quanto alla diffusa sensazione dibenessere generale, essa è dovuta allaben nota azione stimolante della caffei-na sul sistema nervoso centrale: laquantità assunta per tazzina si aggiraintorno ai 100 milligrammi.

I soggetti ipersensibili possono av-vertire insonnia, stati ansiosi e accelera-zione della frequenza del battito cardia-co: in tal caso è consigliabile il tipo de-caffeinato, ottenuto estraendo la caffei-na dal caffè verde con solventi adatti.

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Caffè

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Il prodotto ottenuto, che mostra unalimitata perdita di aroma e sapore, insie-me a una parte delle sue proprietà sti-molanti, deve contenere al massimo lo0,15% di caffeina e mostrare un’umi-dità inferiore al 5%.

Il caffè solubile, ottenuto per disi-dratazione spinta della bevanda nonzuccherata, si scioglie istantaneamentein acqua facilitando così la preparazione.

Tra i surrogati del caffè troviamo le

bevande preparate da semi e germoglid’orzo torrefatti e macinati (caffè d’or-zo e malto solubile), o dalla radice di ci-coria. Il loro consumo, motivato daun’azione stimolante più blanda, è piut-tosto considerevole e tende ad aumen-tare.

Oltre ad agire come eccitante, ilcaffè caldo o freddo promuove la mobi-lità gastrica e stimola la secrezione ga-stroenterica.

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È il tannino a dare corpo e colore althe, mentre aroma e sapore sono dovu-ti agli oli essenziali estratti durante l’in-fusione dalle foglie essiccate e macina-te: il contenuto in oli essenziali derivadal grado più o meno spinto della fer-mentazione che i succhi fogliari subi-scono durante la fase di essiccazione.

Alla teina (sinonimo di caffeina) e adaltre sostanze stimolanti come teobro-mina e teofillina è dovuta l’azione ecci-tante, analoga a quella del caffè; anchein questo caso il suo apporto calorico èattribuibile allo zucchero aggiunto. Labevanda favorisce inoltre la diuresi.

Come per il caffè sono disponibili iltipo deteinato e polveri solubili per lapreparazione di una grande varietà dithe aromatizzati; molto diffuse le confe-zioni pastorizzate di the pronto da bere.

Riferimenti bibliografici

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Magliano EM Igiene. Cortina Ed, Milano, 1990.

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The

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I S T I T U T O D A N O N E

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