accogliere si può e si deve. senza paura · abbiamo visto il mondo bussare alle ... sfogliando...

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Quando un venerdì sera come gli al- tri 130 giovani vengono sterminati nei loro bar e nei loro ristoranti preferiti dalla follia jihadista in una città come Parigi, all’improvviso ti rendi conto, ti devi rendere conto, che qualcosa è cambiato per sempre. Per anni ci siamo abituati a conside- rare l’impegno politico nei soli termi- ni dell’amministrazione dell’esisten- te. Quante tasse applicare nei nostri Comuni? Realizzare o no quella tale infrastruttura? Come dare al nostro territorio prospettive di sviluppo e pro- sperità? Avevamo relegato la guerra al raccon- to dei nonni, oppure, sempre distratti, alle mute immagini di un irraggiungibi- le ed indesiderabile altrove trasmesse della televisione. La morte dovuta alle guerre del mondo non ci sembrava così diversa da quella dei personaggi dei film e dei telefilm. La generazione cui io appartengo non ha conosciuto la stagione della guerra né del ter- rorismo. Da qualche anno tuttavia, abbiamo visto il mondo bussare alle nostre porte. Un’ondata di migranti provenienti dal Medioriente e dal Me- diterraneo ha cominciato ad invadere non solo le cronache dei telegiornali, non solo i porti di Lampedusa, ma an- che Muzzano, Pettinengo, Occhiep- po. Nonostante le sciocche polemiche cominciarono sin da subito sull’op- portunità di ospitare ed accogliere, il territorio rispose con un straordinario slancio di volontariato civile e sensibi- lità sociale. Alcune decine di persone sono state accolte con successo nelle associazioni, dalle famiglie. Poi però le decine di persone sono cambiate. Molte hanno dovuto andarsene, ma ne sono arrivate delle altre, e molte di più. Sono arrivate a Chiavazza, a Pray, a Zimone, a Trivero; poi ai Giar- dini Zumaglini, all’addiaccio. Sono centinaia. Difficile anche ricostruire la loro sto- ria. Le ingiustizie del sistema di di- stribuzione della ricchezza mondiale hanno certamente gonfiato le fila dei richiedenti asilo. Qualcuno scappa dalle guerre, quelle guerre lontane… qualcuno dalla fame, dalla povertà o dall’ingiustizia. Comunque scappano; non possono venire in Italia e in Euro- pa con le armi della legge, scelgono quindi i barconi, facendosi strumenti di guadagno nelle mani di sanguinosi trafficanti di uomini. In pochi mesi poi in un villaggio turisti- co della Tunisia succede il finimondo. Poi un attentato fa tremare una Mo- schea scita in Arabia Saudita. Non ce ne siamo accorti. Un aereo dei Russi viene abbattuto. Non ce ne siamo ac- corti molto nemmeno qui. Ad Ankara vengono uccisi in un at- tentato molti curdi. Cosa c’è di nuovo sotto il sole? A Beirut un attentato uccide decine di persone. Ma alle nostre orecchie, Bei- rut fa rima con guerra. Che ne sappia- mo noi delle ambizioni di normalità, di sicurezza e di pace degli abitanti di Beirut? Niente, non ce ne siamo ac- corti. (segue a pagina 2) Accogliere si può e si deve. Senza paura

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Page 1: Accogliere si può e si deve. Senza paura · abbiamo visto il mondo bussare alle ... Sfogliando questo giornalino, parten-do dal resoconto della discussione ... oggi trova una cinica

Quando un venerdì sera come gli al-tri 130 giovani vengono sterminati nei loro bar e nei loro ristoranti preferiti dalla follia jihadista in una città come Parigi, all’improvviso ti rendi conto, ti devi rendere conto, che qualcosa è cambiato per sempre.Per anni ci siamo abituati a conside-rare l’impegno politico nei soli termi-ni dell’amministrazione dell’esisten-te. Quante tasse applicare nei nostri Comuni? Realizzare o no quella tale infrastruttura? Come dare al nostro territorio prospettive di sviluppo e pro-sperità? Avevamo relegato la guerra al raccon-to dei nonni, oppure, sempre distratti, alle mute immagini di un irraggiungibi-le ed indesiderabile altrove trasmesse della televisione. La morte dovuta alle guerre del mondo non ci sembrava così diversa da quella dei personaggi dei film e dei telefilm. La generazione cui io appartengo non ha conosciuto la stagione della guerra né del ter-rorismo. Da qualche anno tuttavia,

abbiamo visto il mondo bussare alle nostre porte. Un’ondata di migranti provenienti dal Medioriente e dal Me-diterraneo ha cominciato ad invadere non solo le cronache dei telegiornali, non solo i porti di Lampedusa, ma an-che Muzzano, Pettinengo, Occhiep-po. Nonostante le sciocche polemiche cominciarono sin da subito sull’op-portunità di ospitare ed accogliere, il territorio rispose con un straordinario slancio di volontariato civile e sensibi-lità sociale. Alcune decine di persone sono state accolte con successo nelle associazioni, dalle famiglie. Poi però le decine di persone sono cambiate. Molte hanno dovuto andarsene, ma ne sono arrivate delle altre, e molte di più. Sono arrivate a Chiavazza, a Pray, a Zimone, a Trivero; poi ai Giar-dini Zumaglini, all’addiaccio. Sono centinaia. Difficile anche ricostruire la loro sto-ria. Le ingiustizie del sistema di di-stribuzione della ricchezza mondiale hanno certamente gonfiato le fila dei

richiedenti asilo. Qualcuno scappa dalle guerre, quelle guerre lontane… qualcuno dalla fame, dalla povertà o dall’ingiustizia. Comunque scappano; non possono venire in Italia e in Euro-pa con le armi della legge, scelgono quindi i barconi, facendosi strumenti di guadagno nelle mani di sanguinosi trafficanti di uomini. In pochi mesi poi in un villaggio turisti-co della Tunisia succede il finimondo. Poi un attentato fa tremare una Mo-schea scita in Arabia Saudita. Non ce ne siamo accorti. Un aereo dei Russi viene abbattuto. Non ce ne siamo ac-corti molto nemmeno qui.Ad Ankara vengono uccisi in un at-tentato molti curdi. Cosa c’è di nuovo sotto il sole? A Beirut un attentato uccide decine di persone. Ma alle nostre orecchie, Bei-rut fa rima con guerra. Che ne sappia-mo noi delle ambizioni di normalità, di sicurezza e di pace degli abitanti di Beirut? Niente, non ce ne siamo ac-corti. (segue a pagina 2)

Accogliere si puòe si deve. Senza paura

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“La maturità inizia a manifestarsi quando sentiamo che è più grande la nostra preoccupazione per gli altri che non per noi stessi”.Lascio a questa citazione di Albet Einstein la sintesi di questa copia de “Il Democratico”. E’ un numero spe-ciale e monotematico, e ciò lo rende diverso dalle pubblicazioni precedenti non è soltanto l’oggetto dei contenu-ti, interamente dedicato al fenomeno dei richiedenti asilo, al mondo dei mi-granti, ad un fenomeno di struggente attualità. Il tema editoriale è soltanto l’incipit, perchè ciò che invece emer-ge dalla lettura delle prossime pagine restituisce una particolarità della qua-le dobbiamo andare fieri: il Biellese è un territorio intero che, unito, pur con difficoltà che non mancano mai, acco-glie, con solidarietà, cercando di fare massa critica intorno ad una dramma-tica situazione che l’Europa e l’Italia stanno affrontando con coraggio.Sfogliando questo giornalino, parten-do dal resoconto della discussione che il Partito democratico ha voluto pubblicamente aprire sul finire dello scorso anno, ci si accorge di come stiamo vivendo una storia tutta nuo-va, una pagina dolorosa che sta se-gnando nuovi confini negli equilibri del mondo. Povertà e nuovi migranti,

come ha sintetizzato con efficacia il segretario provinciale del Pd Pao-lo Furia, non sono un tema qualsiasi che può essere affrontato, discusso e accantonato al termine di una rifles-sione, perchè si tratta della questione centrale della nostra società.Nelle pagine che seguono si alterna-no amministratori che hanno dovuto gestire l’arrivo di persone smarrite in un paese molto diverso dal loro a membri delle istituzioni che spiegano con dati ed esempi come il fenomeno stia incidendo sulle nostre province e sulle nostre vite.Spesso l’arrivo di persone bisogno-se supera persino la capienza delle strutture messe a disposizione e ge-stite per l’emergenza. E in questi casi diventa tutto ancora più difficile, come spiega il sindaco di Biella Marco Ca-vicchioli, convinto che non sia possi-bile, per una città, respingere chi ha bisogno solo perchè si è superato un numero burocratico di assegnazioni.Dalla serata nella quale il dibattito è stato condiviso con la cittadinanza sono passati circa due mesi. Oggi, come ieri, finite le festività, l’emergen-za continua e rimane di disarmante attualità.

Fabrizio Ceria

segue dalla prima pagina

Accoglieresi può e si deve Senza pauraInfine, Parigi. E oggi piangiamo 130 morti di una guerra che è la stessa, ma proprio la stessa, di cui distrat-tamente raccogliamo informazioni guardando il telegiornale, magari aspettando le notizie dello sport o il nostro varietà preferito. Quella stessa guerra, e ora dovremmo capirlo, che produce la straordinaria ondata mi-gratoria dell’ultimo anno. Siamo forse diversi noi, che potevamo morire quel-la notte di Parigi come sono morti co-etanei identici in tutto e per tutto a noi e che facevano pure le stesse cose, ossia ballare, fumare una sigaretta, bere una birra, ridere e scherzare con gli amici, dai migranti che scappano dai luoghi della guerra e che arrivano sino a noi? Insieme si può non poteva cadere in un momento più appropria-to. Parlare di migranti per noi vuol dire sostenere, accogliere chi scappa dal-le guerre si può e si deve, che il diritto d’asilo va riformato, che l’integrazione deve essere garantita, che nessuno deve arricchirsi nell’ambito del siste-ma d’accoglienza, e che nello stesso tempo vanno aumentate le risorse per contrastare la povertà assoluta nel nostro paese e favorire il reinse-rimento nel mondo del lavoro. Tra-smettere questi messaggi oggi vuol dire non solo orientare la politica e le politiche di questo paese e del nostro territorio verso una sempre maggiore attenzione per le questioni sociali, ma vuol anche dire cercare di contrastare l’ondata di paura e di diffidenza verso il diverso. I terroristi ci vogliono divisi, fragili, insicuri e intolleranti. Ecco per-ché noi dobbiamo essere il contrario esatto: perché abbiamo in mente una società diversa, migliore, più giusta.Il mondo è a casa nostra, la guerra non è lontana, la pace è un compito di tutti i giorni. Insieme si può è una iniziativa che deve continuare e conti-nuerà nelle prossime attività del Parti-to Democratico Biellese.

Paolo Furia

Segretario Provinciale Pd

Il Democratico affrontapovertà e immigrazione

La sala del museo del Territorio durante l’iniziativa del 21 novembre scorsoFoto Andrea Battagin foto e video

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Migranti, il Pd ne discute al MuseoCampana: “Servono risposte nuove”“Dopo la strage di Parigi e degli altri episodi di terrorismo che sono suc-cessi in questi giorni nulla è più come prima”. Aprendo i lavori della iniziativa su Biellese, migranti e nuove povertà, che si è svolta lo scorso 21 novembre al Museo del Territorio di Biella, Pa-olo Furia, segretario provinciale del Pd, mette subito l’accento sui tragici avvenimenti che stiamo vivendo nel mondo.“Il dibattito sulle povertà, sui migranti e sull’integrazione oggi – ha detto an-cora Furia - non è uno dei tanti temi. E’ il problema, la questione di oggi centrale per la tenuta delle nostre so-cietà”.Già prima di questa nuova esplosione di violenza in Europa preoccupa che “si stiano alzando sempre più muri e fili spinati per arginare l’arrivo di nuovi migranti” sottolinea Marco Tallia della segreteria provinciale del Pd.Una situazione che don Giovanni Pe-rini direttore della Caritas biellese de-scrive senza mezzi termini: “La pover-tà è la vergogna di un paese. Questa immigrazione è la vergogna del mon-do”. E Daniele Albanese, sempre del-la Caritas, aggiunge che “l’esclusione crea violenza”.Incentrato sui temi del viaggio, dell’ac-coglienza e della post accoglienza è l’intervento di Roberta Mo dell’asso-ciazione Filo da tessere.Per i giovani democratici, Nicolò Moli-nari mette in rilievo la necessità di un reddito minimo per i giovani per con-trastare la forte diseguaglianza socia-le esistente.Prima ancora di illustrare – afferma il consigliere regionale Vittorio Ba-razzotto- “l’ottimo lavoro svolto dalla Giunta regionale e dall’assessore Ce-rutti, assieme alle nostre Province, è necessario eliminare con cifre ogget-tive un velo di sospetto e di disinfor-mazione, spesso strumentalizzata ad arte, che presenta il richiedente asilo come un soggetto ostile e pericoloso e, in molti casi, un delinquente che vive a sbafo e alle spalle della comu-nità. Non è così. E analizzare i numeri

è necessario. Con buona pace di chi oggi trova una cinica convenienza politica nell’instillare dubbi, sospetti e talvolta paura fra la gente, provando con falsità ad incendiare le piazze”.Nel suo intervento il deputato del Pd Andrea Giorgis, presentatore del di-segno di legge sullo “Ius soli”, ricor-da che, con questo provvedimento, si vuole applicare uno dei principi basi-lari della Rivoluzione francese ossia “ègalitè, uguaglianza di fronte alla legge, che è l’architrave dello stato di diritto”. Giorgis sottolinea “che la po-litica è responsabile della situazione economica e la politica neoliberista di Berlusconi ha prodotto la crisi che ora ci troviamo a dover gestire”.Concludendo l’iniziativa di Biella Mi-caela Campana, responsabile nazio-nale welfare del Pd, ribadisce che “Dobbiamo dare risposte nuove a un fenomeno che è internazionale. A un fenomeno che non si ferma e non si fermerà. Bisogna essere capaci di comprendere che non è più una si-tuazione di emergenza, ma un grande fatto epocale che durerà ancora pa-recchi anni”.Non sarà chiudendo le frontiere a chi scappa dalla guerra e dal terrorismo che la nostra Europa sarà più sicura. La pericolosa equazione che sentia

mo ripetere da giorni, profugo uguale terrorista, è il tentativo maldestro di voler fare politica in un momento di emergenza. Mettere tutti sullo stesso piano oltre ad essere profondamente ingiusto, rischia di dare uno spazio di manovra più ampio ai terroristi”I fatti di Parigi sono segnali che devo-no spingere l’Unione Europea “a raf-forzare velocemente la cooperazione dei servizi di intelligence, la costituzio-ne di una banca dati comune per lo scambio di informazioni, autorizzare una maggiore spesa per la coopera-zione internazionale”

Massimiliano Zegna

Da sinistra a destra, il responsabile provinciale Welfare del Pd Marco Tallia, la responsabile nazionale Welfare del Partito democratico Micaela Campana e il Deputato Pd Anrea Giorgis - Foto Andrea Battagin foto e video

Don Perini della Caritas

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Dopo il 13 novembrenulla sarà più come primaGli attentati dell’Isis di venerdì 13 no-vembre a Parigi hanno cambiato per sempre la nostra percezione non solo dello stato islamico, ma anche del fe-nomeno dell’immigrazione. Un attacco multiplo nel centro della capitale fran-cese, in luoghi frequentati da giovani e in quello che sembrava un normale fine settimana, è un colpo inferto alla nostra stessa sicurezza, al nostro stile di vita, alla nostra libertà. Non a caso il quotidia-no del Pd l’Unità ha definito la strage, in un titolo di prima pagina, come “Il mas-sacro della meglio gioventù”, ragazze e ragazzi di 14 diverse nazionalità, per lo più studenti o comunque intellettuali, eu-ropei e cosmopoliti, uccisi a un concer-to, in un bistrot, davanti ad un ristorante, come la ricercatrice italiana Valeria So-lesin, 28 anni. In questi giorni si susseguono le analisi e i commenti politici e credo sia giusto tenersi lontani dalla retorica stucchevo-le e inutile. L’Italia è impegnata con la comunità internazionale nel contrasto al terrorismo e all’avanzata dello stato

islamico e sta rafforzando ulteriormente i protocolli di sicurezza interna. E’ certo che il terrorismo dell’Isis si combatte con l’unità della comunità internazionale e il G20 dei giorni scorsi, con la riapertura del dialogo tra Usa e Russia sulla sicu-rezza, rappresenta una speranza. Ac-canto a questo, tuttavia, nei talk show, ma anche per le strade e nelle case, tutti gli italiani si interrogano sulla pos-sibilità di convivere ancora, in pace, con i tanti stranieri, molti di religione musul-mana, che arrivano nel nostro Paese in modo clandestino e poi rimangono. La domanda sorge spontanea ed è caval-cata dalle destre, in primis dalla Lega di Salvini. Credo che questo interrogativo sia legittimo e che la politica debba dare risposte concrete. Continuare a vivere in pace la nostra quotidianità si può e si deve ed è la migliore risposta all’integra-lismo islamico che vuole seminare raz-zismo e paura in Europa, non solo per mettere a repentaglio le nostre vite, ma anche per fare proseliti tra i giovanissimi musulmani, avere altra carne da macel-

lo per la chiamata alla Jihad e continua-re l’espansione dello Stato islamico. Ma, accanto alla sicurezza e ai controlli, noi abbiamo due armi da utilizzare. La pri-ma è quella di un’accoglienza più mirata ai veri rifugiati. E’ un argomento antico, che però adesso è quanto mai attuale. Per evitare i ghetti e garantire prospetti-ve è necessario distinguere tra chi scap-pa per motivi economici e chi fugge dalle persecuzioni e dalla guerra. La secon-da freccia al nostro arco è quella della cultura e dell’integrazione. Da offrire, ma anche da pretendere. Le comunità islamiche che risiedono in Italia devono avere il coraggio di condannare il terrori-smo e la Jihad enza se e senza ma, così come noi dobbiamo continuare a prati-care i nostri valori della tolleranza e del rispetto dei diritti umani.

Nicoletta Favero

Senatrice

Segretaria commissione Lavoro

Prima ancora di provare a spiegare le ragioni umane e civili per le quali il Partito Democratico, dalla prima ora, si onora di essere un partito accogliente, è necessario presentare una serie di dati, oggettivi ed europei, che spiegano concretamente quale sia il fenomeno migratorio e quale impatto esso abbia sui nostri territori e sulle nostre vite.Dobbiamo eliminare con cifre oggettive un velo di sospetto e di disinformazione, spesso strumentalizzata ad arte, che presenta il richiedente asilo come un soggetto ostile e pericoloso e, in molti casi, un delinquente che vive a sbafo e alle spalle della comunità. Non è così. Con buona pace di chi oggi trova una cinica convenienza politica nell’instilla-re dubbi, sospetti e talvolta paura fra la gente. Il commissario agli Affari Econo-mici della Comunità Europea proprio in questi giorni ha spiegato quanto l’impat-to economico dell’immigrazione sia leg-gero ma positivo, con un aumento del

prodotto interno lordo per l’Unione dello 0,2%-0,3% da qui al 2017. Sono numeri che smentiscono i molti pregiudizi che si vedono circolare in queste settimane di un impatto necessariamente negativo del fenomeno. Le persone che hanno fatto domanda di asilo all’Unione Eu-ropea dall’inizio del 2014, in quasi due anni, sono 1,2 milioni. Un flusso desti-nato ad aumentare giacchè le previsio-ni stimano in altri 2 milioni gli arrivi nel biennio 2016-2017. Ed è proprio qui che interviene la politica. Ed una buona poli-tica sa assumersi concrete responsabi-lità, ben diverse dalla superficialità di chi vuol parlare di emergenza sempre e solo con accezione negativa e pessimistica. La Germania ha fatto dell’accoglienza addirittura un obiettivo strategico, ca-pace di imprimere un impulso ancora maggiore alla propria economia. Ed è al primo posto della classifica europea con 700mila domande di asilo. L’Italia non figura nemmeno fra i primi sette paesi, eppure, a sentire certe polemiche non suffragate dai numeri, sembriamo un

Paese invaso dai migranti. In Piemon-te le strutture che accolgono richiedenti asilo sono 316 ed ospitavano, al 5 otto-bre scorso, 6489 persone. In tutto il 201 4 sono state 6.275. Dal 2 febbraio 2014 al mese scorso, nella nostra Regione sono stati assegnati 10.427 richiedenti asilo provenienti dalle operazioni Mare Nostrum e Triton. Numeri, questi, che confermano quanto spesso l’Italia sia paese d’approdo ma non necessaria-mente di permanenza. Ecco il punto. Possiamo, con queste cifre, parlare di invasione? Io direi proprio di no. Secondo uno studio, il 44% dei cittadi-ni ritiene che ci sono troppi immigrati. La percentuale, però, esattamente si dimezza (22%) quando gli si mettono sotto gli occhi i dati reali. Cioè la con-sistenza effettiva, inoppugnabile, della presenza straniera in Italia. E semplice-mente raccontando la verità agli italiani.

Vittorio Barazzotto

Consigliere regionale

Presidente commissione Bilancio

Se studiamo i dati reali,il migrante non ci invade

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La Protezione Civile c’è,ma serve l’autorizzazioneRiguardo l’attuale situazione migranti che sta vivendo il Biellese, l’Ammini-strazione Provinciale si è, fin dal prin-cipio, resa disponibile a mettere a di-sposizione gli spazi all’interno di uno degli stabili di proprietà. L’unico edificio che si è potuto mette-re a disposizione è la ex caserma dei Vigili del Fuoco, sita in via Gersen a Biella, attuale sede del Coordinamen-to Provinciale di Protezione Civile, ma l’attuale normativa non consen-te la convivenza di Protezione Civile e migranti, pertanto senza un diretto intervento del Governo non si potrà procedere. Quello che è certo che la Provincia di Biella non ha la volontà di lasciare il Coordinamento senza sede, privando i Biellesi di una realtà sem-pre presente ed a disposizione dei cit-tadini e delle Istituzioni.Il Governo ha chiaramente e formal-

mente attribuito alle Prefetture la gestione dei flussi migratori, ma nel Biellese, di fatto, sono gli Enti Locali ad occuparsi della ricerca di stabili da adibire all’accoglienza dei migranti.È da molto che sostengo fortemen-te che il Governo, e sul territorio le Prefetture, dovrebbero dislocare i mi-granti secondo quote prestabilite, al-trimenti ci troviamo a confrontarci con situazioni che vedono piccoli centri

ospitare un gran numero di immigrati, mentre realtà decisamente più grandi, e, probabilmente con maggior peso politico, devono gestire numeri molto ridotti o comunque ampiamente al di sotto delle reali potenzialità. Se si continua a perseguire una gestio-ne come quella attuale ho il timore che scoppi una bomba sociale, alimenta-ta da soggetti che, anziché avanzare proposte concrete, pensano a gettare benzina sul fuoco, peggiorando la già difficile situazione, che deve essere affrontata e gestita nel minor tempo possibile.

Emanuele Ramella Pralungo

Sindaco di Occhieppo Superiore

Presidente della Provincia di Biella

L’emergenza non è finita:un appello a tutti i Comuni

Non è la scelta di un territorio quella di ospitare profughi in sovrannumero rispetto a quelli assegnati dalle quote regionali e provinciali. Ma è una precisa e doverosa scelta di una città quella di fare tutto il possi-bile perché l’accoglienza sia puntuale e dignitosa, come è accaduto a Biella con l’arrivo a ondate dei richiedenti asilo fuggiti dal Pakistan. Da quest’estate, la situazione è chia-ra eppure complessa: prima piccoli gruppi isolati, poi gruppi sempre più numerosi richiamati dal passaparola, hanno scelto Biella e non una grande città più conosciuta e più facilmente raggiungibile, per farsi accogliere. Arrivo dopo arrivo, le persone di cui la nostra provincia si è fatta carico sono diventate ormai 150, prima nel

clamore delle polemiche fomentate ad arte da chi, in politica e sui media, ama solleticare istinti xenofobi, poi nel silenzio. Il Comune di Biella ha fin da subito fatto quanto è stato nelle sue possibilità, preferendo i fatti alle pole-miche e andando spesso oltre i suoi compiti istituzionali. Così alla struttura di via Coda a Chia-vazza, messa a disposizione della Prefettura già in estate in piena emer-genza e oggi ancora occupata visto che l’emergenza non è cessata, si è aggiunta l’ex sede dell’Atap di viale Macallé, un altro stabile di proprietà comunale che abbiamo concesso di trasformare in rifugio sicuro per i ri-chiedenti asilo, perché non fossero costretti a passare la notte all’aper-to. Per il resto delle necessità molto, anzi moltissimo, ha fatto la Caritas, sostenuta dalla voglia di fare senza

ascoltare le polemiche, che sentiamo nostra. Poco, anzi pochissimo, hanno fatto altri enti: sono stati lasciati ca-dere senza avere una risposta i tanti appelli agli altri Comuni della provin-cia, perché sulla falsariga di Biella contribuissero a mettere a disposizio-ne strutture per affrontare l’ondata di arrivi. Un appello che mi sento di rinnovare, perché l’emergenza non è cessata: oggi il Biellese ospita quasi 500 pro-fughi e ne ha viste transitare nel solo 2015 circa 900. E non sono cessate nemmeno le cause, dalle guerre civili alla voglia di costruirsi un futuro migliore, che spin-gono così tante persone lontano dalle loro case

Marco Cavicchioli

Sindaco di Biella

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Parlare di povertà significa anche pro-vare a fare un inquadramento genera-le, contestualizzare le azioni concre-te e soprattutto cercare la radice del problema.Viviamo in un mondo globalizzato, governato da un sistema su cui la politica sta perdendo sempre di più il controllo e che sta aumentando la distanza tra ricchi e poveri: ma non si tratta più di “sud del mondo” e “nord del mondo”, perché per quanto que-sta disuguaglianza rimanga molto for-te e sia all’origine dei flussi migratori che ci troviamo ad affrontare, si tratta anche di una disuguaglianza all’inter-no del nostro mondo.Si tratta di un aumento della pover-tà assoluta e relativa all’interno del civilissimo occidente, con tutta una serie di conseguenze che la povertà economica si porta dietro: esclusione sociale, tensioni, violenze, fanatismi e ghettizzazioni. Un sistema che tende a generare contraddizioni e contrap-posizioni: disoccupazione contrap-posta a sfruttamento e lavoro nero; aree degradate o abbandonate e aree di lusso; nuove generazioni sensibil-mente più povere di quelle vecchie, destinate a lavorare molto più a lungo e irregolarmente. Sicuramente è diffi-cile prospettare una soluzione ad uno scenario così macroscopico anche se è essenziale ripartire da un elemen-to fondamentale dei sistemi nazionali europei: i Diritti.

Diritti significa libertà e soprattutto di-gnità: In questo momento sono poche le regioni in Italia ad adottare stru-menti di sostegno alla povertà come il reddito minimo (che è diverso dal salario minimo e che può avere ulte-riori appellativi come di dignità o di in-clusione sociale), peraltro in maniera non del tutto soddisfacente.Crediamo che, invece, proprio da questo strumento si debba ripartire per poter ridare una forma di soste-gno a chi si trova in difficoltà, accom-pagnandolo ad un inserimento o rein-serimento nel mondo del lavoro.E’ uno strumento che dà dignità anche perché permette a chi ne usufruisce di poter uscire da un’ottica emergenzia-le e di poter reinvestire risorse e tem-po per il proprio futuro senza dover accettare lavori a qualsiasi condizione (spesso in nero o in cui gli standard minimi non vengono garantiti), può quindi essere anche uno strumento che punta a migliorare la qualità del lavoro in generale e quindi anche la qualità della vita di chi direttamente non ne usufruisce.E’ una misura con molte variabili e probabilmente dovrebbe essere il più universale possibile, per cittadini ita-liani come anche per chi non possie-de la cittadinanza, per nuclei familiari numerosi come anche nuclei familiari monocomposti (a riguardo va fatta una segnalazione per quel che riguar-da la proposta di legge presentata in

Regione Piemonte che conta il soste-gno anche del presidente Chiampari-no).Un altro diritto essenziale è quello allo studio che purtroppo non viene ancora garantito a tutti; come se non bastasse la situazione andrà a breve peggiorando perché con il nuovo ISE risulteremo tutti più ricchi senza es-serlo realmente diventati. Ciò andrà a rendere ancora più esclusivo l’acces-so agli studi universitari.In conclusione si può affermare che sicuramente la povertà una proble-matica sociale e quindi molto com-plessa, ma resta una priorità che la politica deve affrontare. Perché è solo costruendo una società più equa ed inclusiva che sarà possibile convive-re e condividere in armonia, togliendo linfa ai fanatismi e alla violenza.

Nicolò Molinari

Giovani Democratici

Giovani democratici: “Il reddito minimo strumento che dà dignità”

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Cossato dorme, e l’amministrazione senza coraggio si limita a gestire l’esi-stente e a ridurre i debiti. Quante volte lo abbiamo scritto? Troppe. Cossato è meno equa, con aumenti generalizzati e incauti sulle tariffe mensa dettati da una grossolana interpretazione dei nuo-vi criteri ISEE che ha costretto l’ammi-nistrazione Corradino al dietrofront su nostra segnalazione. Meno sicura, con lavori di manutenzione in ritardo o fat-ti col contagocce (Castellengo vedrà a breve, forse, iniziare i lavori di ripristino del tratto danneggiato dalle piogge del-lo scorso anno) e segnaletica carente. Meno solidale, perché l’accoglienza dei richiedenti asilo è diventata terreno di propaganda leghista senza alcuna uma-nità e strategia. Meno centrale, lascian-do che le idee e le progettualità venga-no dai comuni e dalle unioni confinanti che sembrano trascinarla verso colla-borazioni necessarie, ma delle quali do-vrebbe essere capofila, non gregaria. Sgombro subito il campo: ogni comune vive sulla propria pelle le difficoltà della spending review che pare aver colpito

solo loro senza intaccare altre sacche di spreco. I margini di manovra per gli amministratori sono pochi, ma è proprio questo a rendere necessario un inno-vativo lavoro in rete. Non sarà questo centrodestra, i cui consiglieri non dicono una parola in consiglio (salvo le battu-tine razziste del loro capogruppo), che vede come “contrasto alla violenza di genere” 500€ di libri a tema per la bi-blioteca e che di fronte a uno scempio come il cantiere dell’area ATC in fraz. Picchetta vede il Vice Sindaco Moggio allargare le braccia perché “da quando è di quadrante, parlare con ATC è dura”, a tirarci fuori dalle secche. Lo faremo noi, vigilando su errori dannosi come quello sulle tariffe mensa, segnalando agli uffici i disservizi come abbiamo fatto per l’illuminazione pubblica e i cantieri non in sicurezza, facendo approvare lo sconto pannolini sui rifiuti, chiedendo di tutelare il servizio della Residenza Ma-riagrazia.

Marco Barbierato

Consigliere Comunale

Membro Direzione Regionale PD

Cossato dorme e non è più solidale E Corradino non ha risposte valide

A Trivero le gestione dei migranti è iniziata in salita. Servono sinergieDodici giovani migranti sono giunti a Trivero la scorsa estate dalla Nigeria dal Gambia e dal Ghana. Sono ospitati in una casa privata in frazione Mazzucco dove sono gestiti dall’as-sociazione Nuvola di Torino.La vicenda dei migranti a Trivero è iniziata in “salita”. I proble-mi sono stati determinati sostanzialmente dagli scarsi contatti tra l’associazione Nuvola e l’Amministrazione comunale. Infatti, essendoci state trattative esclusivamente tra i privati che hanno messo a disposizione l’edificio e l’associazione, l’Amministrazione comunale ha potuto semplicemente pren-dere atto della situazione. All’inizio sono emersi una serie di problemi e incomprensioni, tra Nuvola, l’Amministrazione e le associazioni di volontariato che fin da subito si erano mes-se a disposizione per aiutare i ragazzi. Inoltre gli ospiti han-no vissuto situazioni di disagio, che sono poi sfociate in una manifestazione di protesta alla quale si sono associati anche i migranti ospitati a Pray, anch’essi gestiti dall’associazione Nuvola. Le cose hanno preso una piega diversa solo dopo una serie di incontri tra Nuvola, volontari, Amministrazioni comunali di Trivero e Pray e Prefettura, durante i quali si sono

definiti i rapporti, i ruoli e un programma finalizzato a gestire in modo adeguato gli ospiti e a contribuire alla loro integrazione.Da questa prima esperienza emerge in modo evidente che il problema profughi deve essere affrontato in stretta collabora-zione tra gestore, amministrazioni e volontariato. I ragazzi in-tanto passano le giornate nella noia, anche se alcuni volontari li coinvolgono nelle feste e nelle manifestazioni che si svolgo-no in paese e partecipano alle lezioni di italiano che due volte la settimana si tengono in biblioteca. Ci stiamo organizzando con le associazioni per occupare i ragazzi con lavori social-mente utili, in attesa che le commissioni si esprimano sul per-messo di soggiorno. Probabilmente la maggior parte di loro non otterrà lo stato di profugo, ipotesi che nessuno sembra prendere in considerazione. Questo è l’aspetto più triste della vicenda e ci si chiede alla fine quale sarà il loro futuro?Intanto ci stiamo preparando a probabili nuovi arrivi, sperando che con l’esperienza vissuta potremo evitare certi errori.

Massimo Biasetti

Sindaco di Trivero

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Vorrei portare il punto di vista di operatore nei progetti di ac-coglienza per migranti forzati. Lavoro per il Consorzio So-ciale Il Filo da Tessere, Ente attuatore del progetto SPRAR di Biella; all’interno del Progetto ricopro il ruolo di operatore legale che significa accompagnamento dei beneficiari in tutto quello che è l’iter burocratico-amministrativo per l’ottenimento dei documenti necessari ad essere regolari in Italia. L’attività determinante nel mio lavoro è la preparazione dei beneficiari al colloquio che avverrà presso la Commissione Territoriale competente alla valutazione della loro domanda di protezione internazionale.Ho iniziato ad interessarmi di migrazione e migranti da quan-do scrissi la tesi di Laurea sul mediatore interculturale nel 2003, poi mi sono specializzata facendo un Master di 1°livel-lo a Torino nell’ anno accademico 2008-2009; tra la fine del 2009 e la fine del 2010, nell’ambito del Servizio Volontario Europeo che ho svolto a Istanbul, ho avuto modo di cono-scere personalmente la realtà di coloro che erano fuggiti per motivi di persecuzione, infatti ho seguito un progetto di ricerca sociologica che aveva come oggetto gli sfollati interni (IDP) del kurdistan turco (sud-est della Turchia) trasferiti a Istanbul, successivamente dopo il mio rientro in Italia, cercando di fare volontariato in progetti legati all’accoglienza dei richiedenti asilo e rifugiati in Italia, ho trovato a Torino l’Ufficio Pastorale Migranti che mi ha dato prima l’opportunità di fare volontariato e dopo mi ha proposto una collaborazione di lavoro; il servizio in cui mi sono formata, che mi ha dato gli strumenti per fare il lavoro che faccio oggi, è stato proprio quello che per primo ho sperimentato (che sfortunatamente è stato chiuso per man-canza di fondi): si trattava di uno sportello per richiedenti asilo e rifugiati che seguiva i beneficiari nella ricostruzione delle storie di fuga e delle motivazioni che li hanno spinti a lasciare il proprio paese al fine di preparare le persone all’audizione presso la Comissione Territoriale.Tra l’esperienza in Turchia e l’esperienza dello sportello tori-nese ho conosciuto molti migranti forzati, di tanti paesi diver-si, ho ascoltato tante storie e ho tentato di mettere a disposi-zione le mie competenze affinché quelle loro storie avessero un senso all’interno della normativa, ed è ciò che tento ancora di fare: è un lavoro complesso e frustrante perchè le storie delle persone non si possono incastrare nelle leggi. L’esito della domanda d’asilo determina in tutte queste persone che hanno avviato la procedura un tipo di futuro oppure un altro.E nel frattempo, visto che la procedura dura molti mesi, ad-dirittura anni, chi è fortunato sta dentro un progetto di acco-glienza e cerca di intraprendere un percorso di rinascita.Per più o meno buoni che siano i progetti di accoglienza sono e rimangono temporanei e limitati, se pensiamo agli anni tra-scorsi tra la preparazione della fuga e la fuga stessa ci ren-diamo subito conto che la permanenza in questi progetti non è altro che un piccolo tassello della vita dei migranti. Se pensiamo al percorso migratorio di una persona che scap-pa troviamo il pericolo, il rischio di morte, la fuga dal proprio paese, il transito da paesi sconosciuti, la prigionia, lo sfutta-mento lavorativo e non, la violazione dei diritti umani fino, se non si muore prima, all’arrivo in Europa.E l’Europa, l’Italia cosa offrono?

Che si chiami C.D.A., C.P.S.A., C.A.S., C.A.R.A. o S.P.R.A.R. il progetto inizia, dura alcuni mesi, per alcuni anche anni, ma prima o poi finisce e l’uscita da un progetto senza avere nè una casa nè un lavoro determina per forza di cose un’attiva-zione di strategie che produce percorsi diversi da quelli che vorremmo che le persone facciano o che ci immaginiamo per loro.Come vivono i migranti la permanenza nei progetti? Per al-cuni è un’opportunità per risollevarsi e ricominciare, per altri è una pausa di riposo e di riflessione, per altri un ennesimo momento di transito.Bisogna in tutto questo tenere conto di almeno tre fattori:1) la parzialità di condivisione dei loro vissuti e delle loro pro-gettualità (che ha a che fare con la fiducia)2) la multiprogettualità3) l’aproccio emergenziale alla vitaDeclino meglio questi aspetti:

1) Il fatto che i migranti condividano solo alcune delle infor-mazioni degli aspetti della loro vita passata e presente è rela-tivo non solo alla fiducia che si instaura con gli operatori ma anche alla loro libertà di dire o meno certi vissuti e all’utilità che ne può loro derivare. Se pensiamo che per tutto il viaggio precedente l’arrivo in Italia le persone hanno avuto a che fare con trafficanti, sfruttatori, truffatori che hanno preso soldi in cambio di aiuto com’è possibile che di punto in bianco rice-vano un aiuto per così dire “gratuito”? Cosa ci rende diversi? Quindi è legittima la loro diffidenza e la cautela ed è da tenere presente per rendere efficace la relazione d’aiuto.2) La vita dei migranti prima dell’arrivo nei nostri progetti di accoglienza ha un peso sicuramente maggiore dei 6/10 mesi di tempo trascorsi da noi; è utile pensare ai percorsi dei mi-granti nei vari progetti di accoglienza come non definitivi e non esclusivi, nelle loro teste ci sono di sicuro altri progetti,

La fuga, il viaggio e l’arrivo nei centriE poi che cosa succede in Italia?

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magari paralleli, magari successivi che verranno attivati a se-conda della necessità: dobbiamo sapere che ci sono. Il livello di resilienza dei migranti forzati è così alto che non è lontana-mente confrontabile a quello che ognuno di noi può avere e le strategie messe in atto come risposta alla sopravvivenza li portano ad avere diverse vie di fuga e di salvezza anche dalla difficoltà di inserimento lavorativo, abitativo e sociale in Italia. Quindi non si tratta solamente di uso e consumo delle risorse, si tratta di resilienza e adattamento: se non si trova qui la risorsa che si cerca è ovvio che si va altrove.3) Rispetto all’ultimo punto: penso che l’attitudine a trovare risposte rapide a bisogni immediati sia una caratteristica im-portante che hanno le persone che fuggono, una modalità di approccio alla vita di cui non ci si libera facilmente anche in presenza di situazioni non-emergenziali. Questo condiziona il modo di agire e di progettare e bisogna tenerne conto quando si propone un “nostro” modo di fare progetti di vita, progetti che sono tendenzialmente più ponderati, più pensati e con step di medio-lungo periodo.Ora, ritengo che tenendo conto di questi tre aspetti sia più semplice e meno frustrante sviluppare dei progetti di acco-glienza sensati, utili alle persone e non al sistema. Lo scopo del buon operatore è cercare di fornire alle persone accolte gli strumenti necessari al loro percorso di vita, percor-so che viene fatto assieme per una piccola percentuale e che proseguirà magari qui, magari altrove.Infine, cosa succede usciti dai progetti di accoglienza? In base ai vissuti che ho conosciuto ho individuato una serie di percorsi/esiti differenti: c’è chi rimane sul territorio biellese in modo semi-autonomo; sto pensando ai casi di accoglienza in famiglia o in case condivise, persone che hanno un tirocinio lavorativo o addirittura un contratto di lavoro più o meno stabi-le; c’è chi rimane sul territorio biellese in modo non autonomo; penso ai casi in cui le persone passano da un servizio ad un altro o da un progetto all’altro e di solito sono persone che hanno interiorizzato un approccio molto assistenzialista e che non fanno nulla o fanno poco per rendersi autonomi e per svincolarsi dagli aiuti statali, anzi ingrossano le sacche della povertà locale cercando di elemosinare piccoli progetti di as-sistenza; c’è chi lascia la nostra piccola provincia biellese per andare in una grande città dove ha contatti di connazionali e qualcuno che lo aiuta a trovare casa e lavoro, magari in nero;c’è chi lascia la provincia e prova a vivere in città italiane di-

verse, facendo tentativi qua e là, attivando tutte le reti di sup-porto;c’è chi si dirige senza pensarci due volte verso quelle realtà del sud Italia dove il caporalato la fa da padrone sicuri di tro-vare un lavoro, non importa se da schiavi, prevalentemente nell’agricoltura (Puglia, Calabria, Campania...Rosarno è la meta più conosciuta); come disse un ragazzo del Senegal “il lavoro nero lo conosco meglio di voi e non mi spaventa, devo pur mandare dei soldi a casa, voi qui non avete le arance e i pomodori, giù li hanno”;c’è infine chi prende la via dell’estero, fuori dall’Italia (Centro e Nord Europa) e gira, passando da un paese all’altro, rien-trando un pò in Italia, in ogni caso infrangendo le normative ma trovando di che campare. E’ personalmente l’esito che più mi affascina soprattutto in questi anni, in questi giorni in cui si grida alla chiusura delle frontiere, è la prova che alzare le frontiere non è la risposta, non serve.Ho un pensiero che mi accompagna, un paradosso continuo del mio lavoro di operatore legale: ho il dovere di spiegare e far conoscere la normativa, le leggi, i diritti e i doveri, cosa si può e cosa non si può fare in Italia e in Europa, e cosa mi trovo davanti? Persone che riescono ad aggirare le leggi, che trovano spiragli di passaggio fuori dalle norme, che tentano e riescono, magari non sempre, ma spesso sì. Trovo la resi-stenza, la disobbedienza, l’alternativa.E qui sta il nodo della questione: se non vogliamo che tutti scappino via, se vogliamo dare l’opportunità a tutte queste persone di diventare i nuovi cittadini del nostro paese che contribuiscono alla crescita e allo sviluppo dello stesso allora dobbiamo darci da fare e creare le condizioni perchè que-sta sia davvero una scelta possibile, se invece come sistema paese Italia siamo in grado di offrire poco, allora le persone cercheranno altrove la propria strada, sono in grado di farlo proprio per quel discorso di resilienza di cui sopra; se il nostro paese non riesce ad offrire una stabilità, un futuro decente ai giovani che arrivano nel nostro paese, tutto il lavoro che si fa nell’accoglienza è certamente un investimento andato a buon fine per le persone stesse ma è un investimento perso e sprecato se si ragiona in termini macro pensando al futuro dell’Italia. E’ una questione sicuramente aperta che merita ri-flessioni adeguate.

Jahela Milani

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La tratta di esseri umani è il mezzo con cui sempre più per-sone vengono schiavizzate. Riguarda tutti i continenti e quasi tutti i paesi del mondo. La tratta degli esseri umani è il tra-sferimento di persone con la violenza, l’inganno e la forza, finalizzato al lavoro forzato, alla servitù o a pratiche assimila-bili alla schiavitù, quali la prostituzione. Costituisce schiavitù perché i “trafficanti” usano violenza, minacce e altre forme di coercizione per costringere le proprie vittime a lavorare con-tro il loro volere. Ciò comprende la limitazione della libertà di movimento, della scelta di dove e quando lavorare, e quanto e se le vittime debbano essere pagate. È un problema su sca-la mondiale. Avviene sia all’interno dei paesi d’origine che ai confini e /o nei paesi altri, ed è una delle attività più redditizie della criminalità internazionale. Difficile dare dati certi perché la tratta è un mercato sommerso. Le prime vittime sono don-ne e bambini, venduti per prostituzione, per lavori degradanti o per l’espianto e l’utilizzo dei loro organi. La tratta non è una novità è una pratica antica di scambio MERCE, si perché non è ritenuta vita umana ma merce, una pratica sottovalutata dove le sanzioni e le punizioni sono minime contro i trafficanti. L’Italia è al centro del traffico degli esseri umani ed è da tem-po una delle mete preferite dal racket. La tratta è la forma di schiavitù più aberrante che rende miliardi, è al terzo posto tra i fenomeni criminali internazionali subito dopo stupefacenti e armi. I trafficanti muovono le persone con la forza o l’inganno per sfruttarle una volta arrivate a destinazione, ma il business inizia già con il viaggio, per il quale intere famiglie si indebita-no. Quindi potenzialmente le vittime sono tutti i migranti, non solo chi viaggia senza documenti ma anche chi entra legal-mente o chi chiede lo status di rifugiato.Sfruttamento sommerso e diffusoIn Italia le vittime a sfondo sessuale provengono generalmen-

te da Romania, Brasile, Nigeria, Marocco, Sri Lanka e Ban-gladesh, ma esistono casi anche fra i Rom e i Sinti, i nomadi italiani. I disabili, costretti alla microcriminalità o all’elemosina, sono originari soprattutto dalla Romania. Infine i lavori forza-ti - edilizia, agricoltura, commercio, domestico - sono i casi di sfruttamento più sommerso e diffuso. Secondo Save The Children, l’Italia ha il triste primato del maggior numero di vit-time di sfruttamento sessuale (almeno 2.500 casi su 10.000 in Europa nel 2011) mentre una stima approssimativa parla attualmente di oltre 30.000 vittime di traffico fra i minori.I vuoti normativiL’Italia è al centro del fenomeno non solo per la sua posizione geografica ma anche a causa di vuoti normativi che permet-tono ai traffickers di servirsi di modalità legali. Con i flussi per lavoro stagionale la vittima infatti entra con documenti regola-ri ma non si presenta al lavoro né si registra in commissariato: presto diventerà clandestino.Questione di RetiE’ necessaria una rete transnazionale per combattere questo fenomeno. Gli organizzatori sono all’estero, Fondamentale è il “mediatore”, che è in contatto con la comunità residente in Italia e anzi spesso ne fa parte: rimedia i documenti utili e coordina i compiti di ognuno. Nel paese d’origine entrano in azione uno o più reclutatori, che prendono contatti con la vit-tima, le fanno avere i documenti e la affidano allo smuggler per portarla in Italia. Non meno importante è colui che deve “accogliere” la vittima in Italia ed, eventualmente, farla uscire dal Cie. Il prezzo varia dai seimila euro in caso di viaggio senza documenti, ai 10-12mila euro con contratto stagionale: i controlli ora sono intensi ma non sufficienti.

Rita De Lima

La tratta degli esseri umani:una pratica ancora di attualità

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Nel Biellese in spirito di solidarietà e di ricerca politica stiamo cercando di tro-vare strade per offrire ai migranti un’ac-coglienza degna di questo nome. Ma non possiamo accontentarci, il Pd deve e può fare di più: non possiamo affrontare il tema delle grandi migrazioni se il PD non si adopera a cambiare la Legge “Bossi -Fini”. Legge che condan-na, a chi entra in clandestinità, una vita senza speranze. Possiamo adoperarci perché l’Europa cambi e costruisca regole condivise in-vece che chiudersi e adeguarsi a sche-mi nazionali, spesso in contrasto gli uni con gli altri e destinati solo a cercare qualche voto in più. Possiamo aiutare questa Europa a cre-scere e mantenere alto il profilo di patria del diritto. Muri innalzati e respingimenti senza regole sono la prova annunciata della fine dello Stato di Diritto e degli Stati Uniti d’Europa.Il PD è ancora capace di parlare di

Pace? Il popolo turco che è sceso in piazza per camminare per la Pace e ha subito per questo un grande e gravissi-mo oltraggio e noi? Aldilà dello sdegno timidamente dimostrato, non siamo stati capaci di scendere in piazza con gran-di manifestazioni di sostegno. Certo è importante sapere chi ha armato la mano omicida, ma ora è anche urgente riflettere sul fatto che la parola Pace è sparita dalle nostre piazze e dalle nostre menti.Il popolo turco oppresso scende in piazza ogni giorno per chiedere spazi di democrazia .Quando ricominceremo a pensare che è un dovere di tutti fare pressioni sugli Stati e sui Governi di qualunque colore politico affinché per-seguano politiche di pace?Agli oppressi poco importa sapere di chi è quella terra interessa invece sapere se c’è uno stato di diritto che li tutela e di essere certi di poter avere una identità. Noi Democratiche biellesi siamo anco-

ra in grado di urlare che non ci stiamo, che non vogliamo le guerre, la fame e la miseria. Abbiamo ancora delle menti vigili ,delle coscienze in grado di dire mai più guer-re, mai più intolleranze, basta stragi.Noi Democratiche siamo per la Pace e la Giustizia. Noi donne, testimoni di vita che aiutia-mo l’essere umano ad emigrare dal no-stro ventre al mondo, vogliamo essere testimoni di Pace e vogliamo resistere all’odio e all’intolleranza, vogliamo de-bellare le vecchie e nuove schiavitù.La via della Pace per quanto difficile è l’unica via che permette a tutti gli esseri viventi di salvarci insieme.Proponiamo inoltre che la Legge sullo Iuss solis sia spiegata nelle scuole, ai cittadini perché diventi legge umana per tutti.

Giziana Roda

Migranti, il Pd può fare di più:“Possiamo ancora parlare di pace?”

CONOSCENZE E COMPETENZE PER UNA BUONA POLITICA LOCALE

SABATO 13 FEBBRAIO 2016 Legge di stabilità. Aggiornamenti

Relatore: Enrico Morando Viceministro dell’Economia e delle Finanze

SABATO 27 FEBBRAIO 2016 Fondi, progetti e senso della politica costruttiva tra amministrazioni e parlamento europeo

Relatore: Daniele Viotti Eurodeputato

SABATO 19 MARZO 2016 Focus sulle forme associative dei Comuni. Nuova legge di stabilità.

Relatore: Marco Orlando Segretario Unione Province Piemontesi,Responsabile

Ufficio Studi Provincia Torino,Consulente ANCI Piemonte

SABATO 9 APRILE 2016 Patto di stabilità e gestioni associate, unioni e fusioni. Le novità sui tributi comunali con la nuova legge di stabilità.

Relatori: Matteo Barbero Regione Piemonte, esperto di finanza locale

Sergio Pelosi già Assessore al Bilancio Provincia Biella

SABATO 7 MAGGIO 2016 Rifiuti: i cicli produttivi e le buone pratiche italiane.

Relatore: Laura Puppato Capogruppo PD Commissione bicamerale ciclo dei rifiuti

SABATO 11 GIUGNO 2016 Urbanistica Partecipata

Relatori: Emanuela Saporito Architetto PhD . Ricercatrice Dist, Politecnico di

Torino Andrea Polidori

agronomo - paesaggista

A Biella, presso la sala riunione della Federazione

Provinciale del PD Biellese in via Trieste 41

orario : 9,30 - 12,30incontri gratuiti

INFO: [email protected] - 015 8494988 Fabio Morandini 328 8436256

Corso di Formazione 2016

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