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I Edizione 2008

© 2008 - EDIZIONI PIEMME Spa15033 Casale Monferrato (AL) - Via G. del Carretto, 10www.edizpiemme.it - [email protected]

Titolo originale: Sebastian Darke Prince of Fools©2007 Philip Caveney per il testoAll rights reserved.The right of Philip Caveney to be identified as authorof this work has been asserted in accordance with the Copyright,Designs and Patents Act, 1988.Published by arrangement with Random House Children’s Books.

Grafica dell’edizione italiana: Michela Clerici

È assolutamente vietata la riproduzione totale o parziale di questo libro,così come l’inserimento in circuiti informatici, la trasmissione sotto qual-siasi forma e con qualunque mezzo elettronico, meccanico, attraversofotocopie,registrazione o altri metodi,senza il permesso scritto dei titolaridel copyright.

Stampa: Mondadori Printing S.p.A. - Stabilimento NSM - Cles (Trento)

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Philip Caveney

Sebastian Darknella città dei briganti

Illustrazioni di

Matteo Piana

Traduzione di

Simona Mambrini

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l vecchio carrozzone di legnosbucò cigolando dal folto deglialberi e si fermò per un mo-mento sull’ampia distesa pia-neggiante.

Uno spettatore che avesseosservato la scena avrebbe sicuramente notato lavistosa scritta sul fianco della vettura: SEBASTIANDARK PRINCIPE DEI GIULLARI. A un occhio parti-colarmente attento, poi, la parola “Sebastian” sareb-be apparsa vergata con mano tremante in caratterileggermente diversi, e chiaramente sovrapposta aun nome precedente.

Il sole era basso sull’orizzonte e Sebastian dovet-te schermarsi gli occhi con una mano per scrutarenella luce accecante del tardo pomeriggio. Davantia lui si apriva una distesa piatta e arida di terra ros-sa, punteggiata qua e là da qualche macchia di ar-

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busti aggrappati tenacemente al suolo.Non aveva laminima idea della distanza che lo separava dallacittà di Keladon, ma un mercante il giorno prima loaveva avvisato di prepararsi ad almeno tre giorni etre notti di viaggio.

«È parecchio lontano» aveva detto il mercante.«E quegli altipiani sono infestati dai briganti.Ti con-siglio di dormire con un occhio aperto,elfo.»

Sebastian ormai ci aveva fatto il callo, ma quel-l’appellativo non gli era mai piaciuto. In realtà eraun “mezzelfo”, di padre umano e madre elfa. Avevaereditato la statura alta e i lineamenti gentili dal ra-mo paterno della famiglia. Ma anche il ramo mater-no era ben rappresentato, nelle grandi iridi nere elucenti,e nelle lunghe orecchie, leggermente a pun-ta. La figura allampanata era accentuata dal costu-me a strisce bianche e nere, completo di un altocappello a tre punte che terminavano in lucenti so-nagli. Il costume era appartenuto a suo padre e gliandava un po’ grande, ma Sebastian si era oppostotenacemente all’offerta di sua madre di sistemar-glielo: con il tempo, le aveva detto, sarebbe cresciu-to a sufficienza per entrarci a pennello. Per calarsialla perfezione nella parte del giullare, invece, gli cisarebbe voluto un po’ di più.

Sebastian fece schioccare la lingua e frustò le re-

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dini sui fianchi irsuti di Max, il bufante muschiatoche trainava il carro. Max sbuffò, scuotendo il testo-ne fornito di corna, e ripartì alla solita andaturatranquilla. L’animale faceva parte da sempre dellafamiglia Dark, e uno dei primissimi ricordi di Seba-stian riguardava suo padre che lo issava sulla suapossente groppa e gli faceva fare lentamente il girodel recinto. Max era ormai in età avanzata e moltipeli bianchi stemperavano il rosso fulvo della suafolta pelliccia. Ogni giorno che passava, sembravadiventare sempre più irascibile (e va detto che nonera uno che sapesse nascondere bene il propriomalumore).

– Non mi piace granché quel che vedo – borbot-tò Max avviandosi. – Ci servirà un bel po’ d’acqua.

– L’acqua non ci manca – gli rispose Sebastian.– Ne abbiamo almeno per due giorni. E poi incon-treremo dei ruscelli strada facendo. Così mi ha det-to il mercante di Berundia.

Max sbuffò sdegnosamente. – Proprio non capi-sco come tu possa credere a un Berundiano – bron-tolò.– Quello venderebbe anche sua nonna per duecroati.

– Tu non ti fidi di nessuno – lo rimproverò Seba-stian. – Secondo te, chiunque incontriamo è unaspecie di furfante.

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– Infatti, il più delle volte è così. Quello è perfinoriuscito a venderti una lampada a olio!

– E con questo? Ne avevamo bisogno.– Non per tre croati! È un furto bell’e buono! Al

mercato di Jerabim ne compri una cesta per…– Qui non siamo a Jerabim – gli ricordò Seba-

stian.Proseguirono per un po’ in un silenzio imbron-

ciato e Sebastian si ritrovò a pensare con nostalgiaal luogo in cui aveva trascorso i suoi primi dicias-sette anni di vita. Chiuse gli occhi e ritornò per unmomento nell’animata piazza cittadina, dove ricchimercanti avvolti in costose vesti richiamavano agran voce i clienti.

All’improvviso, i suoi sensi furono investiti dauna serie di immagini, odori e sapori familiari.Videtessuti riccamente decorati e tappeti che pendeva-no dalle strutture in legno intorno alle bancarelle.Le narici si riempirono dell’odore penetrante delbestiame e del dolce aroma di caffè d’orzo cheemanava dai locali affacciati sulla piazza. Ripassòmentalmente il delizioso gusto effervescente delsorbetto caldo…

Poi il pensiero indugiò su un ricordo particolar-mente vivido: il viso di sua madre, il giorno in cuiera partito. I suoi occhi cerchiati di rosso e il corag-

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gioso tentativo di abbozzare un sorriso. Dal sediledel carro, Sebastian le aveva urlato che avrebbe fat-to fortuna e sarebbe tornato, e allora tutte le suepreoccupazioni sarebbero svanite. Ma nessuno deidue aveva preso sul serio quella promessa.

«Abbi cura di te, Sebastian» si era raccomandatasua madre. «E non dimenticare che, se qualcosa an-dasse storto, io sarò sempre qui ad aspettarti!»

Questo era accaduto tre mesi prima.A Sebastiannon piaceva immaginarsela tutta sola nella loro mi-sera casetta, mentre fuori infuriava il vento gelidodella notte…

– Che barba! –. La voce lamentosa di Max inter-ruppe i suoi pensieri. – Ma, dico, ti sei guardato in-torno? Non c’è niente: neanche una collina,o un al-bero. Almeno potresti distrarmi facendo un po’ diconversazione.

– Non sono in vena – rispose Sebastian. – E poi,la maggior parte dei bufanti sa stare al proprio po-sto e non scoccia in continuazione il suo padrone.

– Tu non sei il mio padrone – gli ricordò Max.– Questo era un onore che spettava solo a tuo padre.

– Ormai è morto da un anno. Io ho ereditato lacasa e anche te. Perciò, rassegnati e tieni chiusaquella bocca!

– Molto carino da parte tua! – protestò Max, indi-

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gnato.– Degradato al rango di volgare proprietà! Be-ne,almeno adesso so come stanno le cose.

Sebastian si pentì immediatamente di quelloche aveva detto. – Non sei una “proprietà”, lo sai. Seiun… una specie di…

– Servitore? Effetto personale?– Stavo per dire… “socio”.Max sembrò piuttosto compiaciuto. Alzò legger-

mente il grosso muso e avanzò con passo più sciol-to. – Un socio – ripeté tra sé. – In fondo, bisogna ri-conoscerlo, non saresti arrivato fin qui senza il mioaiuto. Chi è stato a mostrarti il sentiero attraverso ilbosco di Geltane? Ed è stata mia anche l’idea difermarci a dormire nel boschetto di pini, la scorsanotte.

– Credimi, ti sono molto riconoscente – lo rassi-curò Sebastian. L’ultima cosa che desiderava inquel momento era un bufante che si rifiutava diproseguire il cammino.

Avanzarono in silenzio, tranne per lo stridere del-le vecchie bardature di cuoio, lo scricchiolio delleruote e il tintinnio dei sonagli del cappello. Seba-stian se ne stava seduto a cassetta, chiedendosi (enon per la prima volta) se stesse facendo la cosagiusta.

Suo padre,Alexander, era stato un giullare molto

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famoso. In qualità di buffone di corte del re Cletusil Magnifico, era stato in grado di assicurare permolti anni a sua moglie e a suo figlio una vita relati-vamente agiata.Ma re Cletus era già piuttosto anzia-no quando Alexander era entrato al suo servizio. Eil principe ereditario, Daniele il Tristo, non aveva unbriciolo del gusto per il comico e del senso del-l’umorismo del suo predecessore. Perciò, era appar-so subito evidente che la buona sorte di Alexandernon sarebbe durata in eterno.

Alexander aveva sempre nutrito il desiderio chesuo figlio seguisse le sue orme. Così, fin da piccolo,Sebastian aveva fatto del suo meglio per apprende-re le arti giullaresche. Però gli mancava qualcosa.Non aveva alcuna difficoltà a memorizzare battute,storielle e giochi di parole, ma non riusciva mai araccontarli in modo convincente. Sbagliava i tempi,oppure confondeva qualche piccolo dettaglio.Men-tre Alexander era sicuro di scatenare una risata ge-nerale, Sebastian riusciva a malapena a strapparequalche debole risolino; se Alexander ammaliava isuoi ascoltatori raccontando una storia, il pubblicodi Sebastian diventava presto impaziente e distratto.Era chiaro che Sebastian non possedeva il “dono”,come lo chiamava suo padre. Ma Alexander si rifiu-tava di accettare l’evidenza e si ostinava a ripetere

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che con la pratica Sebastian si sarebbe perfeziona-to e che era solo una questione di tempo.

Poi, alla morte di re Cletus,Alexander si era ritro-vato senza un protettore. I vari tentativi di ingraziar-si i nobiluomini della cerchia del sovrano erano fal-liti e così, senza più un’entrata fissa, Alexander erastato costretto a offrire i propri servizi per pochispiccioli, nelle taverne e nei teatrini di varietà loca-li. Ben presto, la sua famiglia si era ritrovata in seriedifficoltà economiche. Alexander aveva tentato ditutto per risollevarsi, ma inutilmente. Poi, una sera,in una taverna, uno straniero gli aveva raccontatodel potente re della città di Keladon, nel lontanoOccidente.

«Re Septimius è un uomo colto e raffinato» ave-va riferito ad Alexander. «Si dice che il suo palazzosia il più sfarzoso del mondo. Mangia in piatti d’oroe beve in calici d’argento tempestati di pietre pre-ziose.»

«Ha un giullare al suo servizio?» si era subito in-formato Alexander.

«Non che io sappia» aveva risposto lo straniero.Alexander si era aggrappato a quella notizia co-

me un uomo che sta per annegare si aggrappa a untronco galleggiante. Affrontare il viaggio lungo e fa-ticoso fino a Keladon per offrire i suoi servigi a re

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Septimius era divenuta un’ossessione. In vista dellapartenza, aveva rinnovato completamente il suo re-pertorio, che provava e riprovava tutte le sere, fino anotte inoltrata, per perfezionare ogni battuta, ognisfumatura, ogni espressione del suo viso tirato. Gliultimi mesi lo avevano profondamente provato. Eradenutrito ed esausto.

Una mattina, Sebastian e sua madre lo avevanotrovato accasciato sul pavimento, pallido e treman-te. Dopo averlo fatto sdraiare sul letto, Sebastian eracorso in città con Max per chiamare un medico,maera stato tutto inutile.Alexander era stato colpito dauna forte febbre ed era morto nel giro di una setti-mana.

Per Sebastian e sua madre la situazione era di-sperata.Avevano una casa e un po’ di terra, ma nonpotevano contare su nessuna entrata. L’unica possi-bilità che gli restava era chiedere l’elemosina perstrada.A meno che…

Quando Sebastian ne aveva accennato a suamadre, lei si era mostrata poco convinta. Era soloun ragazzo e non avrebbe mai potuto affrontare unviaggio lungo e rischioso come quello fino a Kela-don. Sebastian aveva obiettato che ci sarebbe statoMax con lui e, comunque, a ben vedere, non aveva-no altra scelta.

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«Al massimo,che cosa mi può succedere?» avevadetto a sua madre. «Se non mi ritengono abbastan-za bravo, mi rimanderanno indietro e tornerò subi-to a casa.»

A quelle parole, sua madre aveva annuito e si erasforzata di sorridere, ma nel profondo del suo cuo-re cominciava a chiedersi se quello non fosse l’ini-zio della fine.

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