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8° Workshop Temaco TELERILEVAMENTO PER L'OSSERVAZIONE DELLA TERRA Dall’uso correo delle risorse naturali alla prevenzione dei rischi - AURUM - La Fabbrica delle Idee Pescara, 5-6 giugno 2014 A cura di Elena Candigliota e Francesco Immordino ENEA - UTSISM Unità Tecnica di Ingegneria Sismica - Bologna

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8° Workshop Tema�co

TELERILEVAMENTO PER L'OSSERVAZIONE

DELLA TERRADall’uso corre�o delle risorse naturali

alla prevenzione dei rischi

-AURUM - La Fabbrica delle Idee

Pescara, 5-6 giugno 2014

A cura di Elena Candigliota e Francesco ImmordinoENEA - UTSISM Unità Tecnica di Ingegneria Sismica - Bologna

Con il patrocinio di:

Sponsor:

Con il sostegno all’inizia�va della

Provincia di Isernia

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8° Workshop Tematico

TELERILEVAMENTO PER L'OSSERVAZIONE

DELLA TERRADall’uso corretto delle risorse naturali

alla prevenzione dei rischi

AURUM - La Fabbrica delle Idee Pescara, 5-6 giugno 2014

A cura di Elena Candigliota e Francesco ImmordinoENEA - UTSISM Unità Tecnica di Ingegneria Sismica - Bologna

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Immagine di copertina: Immagine Planetek Italia, ©European Space Imaging/DigitalGlobe in visualizzazione HSV

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INDICE

Il Fiume Pescara…questo sconosciuto! 5Enrico Miccadei

Strategie e metodi di orientamento a confronto per immagini con acquisizione “strip” 7Valerio Baiocchi, Keti Lelo, Noemi Travaglini

Thermal analysis of satellite images in a post-seismic scenario to evaluate urban changes 9after an earthquakeValerio Baiocchi, Maria Vittoria Milone, Martina Mormile

Sperimentazione di un sistema di rilevamento ALS ultraleggero 10Marco Balsi, Salvatore Esposito, Paolo Fallavolita, Matteo Mura, Marco Marchetti, Gherardo Chirici

Impiego di immagini satellitari in aree glaciali e recentemente deglacializzate: 12casi di studio nelle Alpi PiemontesiStefania Bertotto, Luigi Perotti, Marta Chiarle, Marco Giardino

GIS ed Earth Observation per la stima della vulnerabilità del tessuto urbano alle isole di calore 14 F. Borfecchia, E. Caiaffa, M. Pollino, L. De Cecco, S. Martini, L. La Porta, S. Ombuen, L. Barbieri, F. Benelli, F. Camerata, V. Pellegrini, A. Filpa

I nuovi dati LiDAR della Regione Piemonte: limiti e potenzialità per applicazioni in campo forestale 17Enrico Borgogno Mondino, Vanina Fissore, Renzo Motta

Analogie tra i Cicloni Mediterranei legati al cambiamento climatico e i Vortici Polari di Venere 20A. Cannito, L. Marinangeli

Progetto di ricerca: La rapida disintegrazione delle lingue glaciali nell'Antartide Orientale 24 ed implicazioni sulle variazioni micro-climaticheA. Cannito, L. Pompilio, L. Marinangeli

Processi eolici e morfologia delle dune nei deserti del Gobi BadainJarain con l’analisi dei dati Landsat 27Marco Cardinale, Arturo Cannito, Lucia Marinangeli

Approccio object-oriented applicato all’urbanistica per la classificazione dei tessuti urbani 29Matteo Corvi, Elena Candigliota, Francesco Immordino, Valentina Orioli

Rilievo e documentazione di un centro storico tramite tecniche di telerivamento 31Donatella Dominici, Maria Alicandro, Michail Elaiopoulos,Vincenzo Massimi, Elisa Rosciano

Analisi di correlazione tra NDVI da Landsat e dinamiche di movimento spaziale di una popolazione 32di stambecco alpino (Capra ibex) Marco Dubbini, Maria A. Parraga, Enrico Stuaro, Maurizio Ramanzin, Francesco Pirotti

Potenzialità di COSMO - SkyMed® per il monitoraggio di colture agricole 34Rocchina Guarini, Federica Segalini, Giovanni Mastronardi, Claudia Notarnicola, Francesco Vuolo, Luigi Dini

Classificazione object-oriented di categorie di uso/copertura del suolo sulla base di dati ALS 36G. Lopez, M. Mura, G. Chirici, M. Marchetti

Valutazione della pericolosità d’incendio da dati ottici MODIS mediante il Perpendicular 38Moisture IndexCarmine Maffei, Fabio Maselli, Massimo Menenti

Il telerilevamento per l'osservazione dei pianeti terrestri 40Lucia Marinangeli, Gian Gabriele Ori, Monica Pondrelli, Loredana Pompilio, Antonio Baliva, Goro Komatsu

Il contributo del SAR ad alta risoluzione nella sorveglianza del territorio e nella prevenzione dei rischi 42Simonetta Paloscia, Emanuele Santi, Simone Pettinato

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Analisi geomorfologica integrata per la valutazione della pericolosità per frana da crollo in aree 44di forra: le Gole di San Venanzio (Fiume Aterno, Abruzzo)Rosamaria Di Michele, Tommaso Piacentini

Analisi delle risorse forestali da dati telerilevati tramite piattaforma WebGIS 46Francesco Pirotti, Niccolò Marchi, AntonioVettore, Emanuele Lingua

Telerilevamento satellitare e sistemi integrati per il monitoraggio e la prevenzione dei reati ambientali 48 Valentina Urbano, Claudio La Mantia, Mauro Casaburi

Esposizione ad inquinamento atmosferico da attività estrattiva offshore nel medio Adriatico 50Loredana Pompilio, Arturo Cannito, Lucia Marinangeli

La carta di Asperità nazionale per il monitoraggio dell’agro-ambiente e la protezione del suolo 52Livio Rossi, Sandrina Paolini

Attività di Telerilevamento aereo per l’identificazione e la mappatura di criticità ambientali 57nella regione CampaniaCarlo Terranova, Domenico Sportiello, Rosario Meo, Paolo Cafaro, Gianluca D’Agostino, Giuliana Coletti, Diego Lucarini

Il contributo del Telerilevamento nell’ambito del progetto multidisciplinare “Ebla Chora” 59Gabriele Bitelli, Valentina A. Girelli, Emanuele Mandanici, Simone Mantellini, Nicolò Marchetti

Classificazione object-oriented di immagini da UAV per l’individuazione dei danni da sisma 61su edifici storiciElena Candigliota, Francesco Immordino, Valentina Coppola

Geospatial Intelligence per la prevenzione dei rischi sul territorio: considerazioni tecnologiche 63Andrea Fiduccia

Approccio multiscala per la caratterizzazione delle aree urbane ad alta criticità 65Elena Candigliota, Francesco Immordino, Matteo Corvi

Telerilevamento e pianificazione territoriale per lo studio di un bacino della Sardegna meridionale 68a rischio idrogeologicoMaria Teresa Melis, Antonio Funedda, Elisabetta Danila Patta, Francesco Dessì

Aggiornamenti cartografici patrimoniali mediante l'uso di immagini satellitari ad alta 71ed altissima risoluzioneValerio Baiocchi, Francesca Giannone, Oreste Colombo, Pier Luigi Mattera,Piero Proietti, Stefania Salsedo, Giovanna Tedei

Una metodologia integrata per l'analisi della pericolosità idrogeologica: 73il caso di Collelongo (AQ, Abruzzo)Silvio Cavallucci, Enrico Miccadei, Tommaso Piacentini, Eustachio Pietromartire, Marco Sciarra

Fotogeologia e cartografia geomorfologica per lo studio dell’evoluzione dei versanti in roccia 75in aree polari: l’area di Ny Ålesund (Svalbard Islands, Norway)Enrico Miccadei, Tommaso Piacentini, Ruggero Casacchia, Roberto Sparapani

Analisi della suscettività da frana nell'Isola di Mauritius (Oceano Indiano) 77Enrico Miccadei, Vincenzo Marsala, Tommaso Piacentini, Marco Sciarra

Le piane alluvionali dell’area abruzzese: caratteristiche, valutazione pericolosità geomorfologica, 79gestione del rischioEnrico Miccadei, Tommaso Piacentini, Ileana Schipani

Cartografia geomorfologica multiscalare e multitemporale nell’area abruzzese, finalizzata all’analisi 81dell’evoluzione del paesaggio e del dissesto idrogeologico, al geoturismo e alla geomedicinaTommaso Piacentini, Tullio Urbano, Marco Sciarra, Vania Mancinelli

La mappatura delle coperture in cemento-amianto in Piemonte - 83metodo sperimentale con tecniche integrateIsabella Tinetti, Enrico Bonansea, Gabriele Nicolò, Luca Mallen

Earth Observation satellites for Spatial Dynamic 86 Pierre Boubée

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Il Fiume Pescara…questo sconosciuto!

Enrico Miccadei

Dipartimento di Ingegneria e Geologia, Università "G. D'Annunzio" di Chieti-Pescara, Via dei Vestini 31, 66100, Chieti Scalo (CH), Italia.

Autore di riferimento: [email protected] Parole chiave:!Fiume Pescara, storia geomorfologia fluviale, pianificazione territoriale Riassunto Il Fiume Pescara, con il suo tributario principale, Fiume Aterno, è il principale corso d’acqua della Regione Abruzzo. Si sviluppa dall’area di Montereale attraverso l’area aquilana fino a Sulmona e Popoli, dove prende il nome di Pescara a partire dalle omonime sorgenti. Con una lunghezza circa 145 km e un bacino idrografico di circa 3180 km2, è il maggiore fiume per estensione di bacino del versante adriatico dell’Italia peninsulare. Il fiume riveste un importanza fondamentale nell’area abruzzese grazie alla sua posizione geografica, perché dal cuore della regione al mare attraversa tutti i centri abitati più importanti e funge da rilevante via di comunicazione sin dal Medioevo. Infatti, risalente a quest’epoca, 1200, ritroviamo nell’ “Opuscolo sulla navigazione della Pescara” di Liberatori, la seguente citazione: “nel mille e dugento navigavasi per tutta la Pescara dalla sua foce nello Adriatico in sino a Popoli”. Gli studi scientifici sulla valle del Fiume Pescara fiume si sono, quindi, sviluppati per decenni e in alcuni casi per secoli. Dal punto di vista geologico la valle suscita interessi già dal XV secolo a causa della presenza in alcune zone di Oleum Petronicum (giacimenti di bitume e asfalto), utilizzato come materia da ardere e per le sue doti terapeutiche. Dall’opera di Biondo Flavio, l’Italia Illustrata del 1453, si legge “Cantalupum deinde oppidulum ab aterno recedens, monti haeret, sub quo fons Olei Petronici perennis scatet: quod quidem Oleum Theotonici, Unguarique diligentius quam Italici et colligunt et asportant...”. Le prime descrizioni del reticolo idrografico del Fiume Pescara si trovano nei testi di Lucio Fauno: “... In Pescara molto fuva un altro fiume chiamato Alba, et in Alba vanno de piccoli torrenti, che nascono nel monte Maiella, tra li quali è Manoppello... Vi è Popoli, nobilissima patria e popolosa, dove presso vengono i fiumi, che fanno Pescara, altri da l’Aquila o da Montereale, altri da Sulmone...”. Il primo lavoro geologico viene realizzato da Bernardino Lotti, in collaborazione con l’ingegner Fiorentin, nel 1926: “Geologia e tettonica nella valle del Pescara”, su commissione della Direzione generale dei combustibili, incaricata degli studi geologici per la ricerca del petrolio. Questo studio analizza la “serie stratigrafica dei terreni” della Valle del Pescara ed elabora un quadro comprensivo delle formazioni geologiche indicando tra le proprietà fisiche la permeabilità delle rocce presenti, concludendo che “i terreni di preferenza mineralizzati dagli idrocarburi, sono i calcari zoogenici del Miocene medio e quella parte del terreno gessifero del Miocene superiore costituita da calcari e arenarie che immediatamente li ricoprono”. Lotti evidenzia anche la tettonica della valle del Pescara, mettendo in evidenza due faglie principali, responsabili del distacco tra il Morrone e la Maiella. Intorno agli anni ’30 l’area, nel quadro della fascia pedemontana abruzzese, è oggetto di numerosi studi sulle caratteristiche geologiche e geomorfologiche e sui depositi alluvionali; comincia progressivamente a delinearsi una differenziazione degli ambiti di studio. In quegli anni, infatti, il Servizio Geologico d’Italia pubblicava la prima edizione del Foglio 141 “Chieti” e del Foglio 147 “Lanciano” della Carta geologica d’Italia in scala 1:100.000 (Sacco, 1930a,b). Nel 1930, Paolo Principi pubblica: «Osservazioni geologiche e morfologiche sulla Valle del Pescara» in cui prende in considerazione tutte le formazioni geologiche dei due versanti della valle. La prima parte del lavoro consiste nella descrizione litologico-stratigrafica delle formazioni incontrate, rifacendosi ai lavori di Cassetti, Sacco, De Gasperi e Lotti. In più, a differenza di questi ultimi, Principi analizza anche i depositi continentali quaternari, come i travertini di Tocco da Casauria ed i depositi “ciottoloso-conglomeratici” diffusi nel versante sinistro della valle del Pescara i quali sono stati attribuiti erroneamente da altri autori al Pliocene. Analizza, anche dal punto di vista geomorfologico, i “pianalti” tra la valle della Nora e del Cigno, concludendo che questi sono evidentemente dei lembi di una stessa superficie smembrata dall’azione erosiva di corsi d’acqua scendenti dalle pendici montane sovrastanti. La parte conclusiva del lavoro riguarda l’individuazione dei terrazzi del Fiume Pescara. Le prime ricerche sui depositi continentali quaternari, si hanno nel 1931 quando Guido Bonarelli analizza i depositi quaternari nella Valle del Nora, già trattati in modo descrittivo da Principi, e tenta una classificazione cronologica dei depositi terrazzati presenti. Egli infatti determina l’età della “Copertura quaternaria (non pliocenica come da altri indicato) terrazzata, della regione compresa tra Civitaquana e

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Badessa” come conseguenza di eventi glaciali e post glaciali. Questo autore, seguendo il modello eustatico di Davis (1902), attribuiva la deposizione dei sedimenti alluvionali terrazzati alle fasi interglaciali (alti livelli eustatici) e la loro incisione alle fasi glaciali (bassi livelli eustatici). Castiglioni (tra il 1930 e il 1935) pubblica diverse note in cui illustra le caratteristiche delle colline plioceniche, la distribuzione dei depositi alluvionali quaternari, l’asimmetria delle valli e l’evoluzione del reticolo idrografico. In tempi successivi Demangeot, nel 1965 nel lavoro «Geomorphologie des Abruzzes adriatiques», riferisce i tre terrazzi allineati lungo il Fiume Pescara, su base morfoclimatica, alle glaciazioni del Mindel del Riss e del Wurm, e li correla con quelli del Fiume Tronto. L’autore segnala anche la presenza di un deposito pre-Mindeliano presso Civitaquana. All’interno della catena, attribuiva al Wurm i depositi sull’altopiano di Navelli e all’interno della valle del Tirino, i quali si sarebbero formati dopo che l’erosione post-mindeliana aveva cancellato gran parte dei depositi villafranchiani. Crescenti (1972, 1980) studia sia le caratteristiche geologiche del sottosuolo dell’area del Pescara che alcuni aspetti della dinamica fluviali, discutendo la anomala presenza di terrazzi alluvionali prevalentemente in sinistra idrografica. In quegli anni il Servizio Geologico d’Italia realizza la cartografia geologica in scala 1:100.000 del Fiume Pescara nel Foglio 141 “Pescara” e nel Foglio 147 “Lanciano”, in cui sono riportati depositi alluvionali recenti e terrazzati della valle. In anni più recenti, con il Progetto CARG, il Servizio Geologico d’Italia-ISPRA ha rinnovato la cartografia geologica ufficiale in una scala di maggiore dettaglio (1:50.000) con i fogli 360 “Torre de’ Passeri”, 361 “Chieti”, 351 “Pescara”, pubblicati tra il 2006 e il 2012. In questa cartografia sono riportati i depositi alluvionali che interessano la valle del Fiume Pescara, in relazione ai processi fluviali che li hanno generati. Parallelamente allo studio della valle del Pescara, anche studio dell’area costiera circostante la foce ha rivestito fin dagli inizi del secolo scorso un’importanza rilevante in relazione sia alla dinamica dei litorali che ai fenomeni franosi costieri. Lo studio delle aree dunali ha documentato l’evoluzione dal medioevo ad oggi. Fino alla prima metà del ‘900 le dune erano un elemento caratterizzante della costa pescarese; nella seconda metà del ‘900 le attività antropiche e l’urbanizzazione hanno determinato una progressiva riduzione e rimozione delle dune stesse condizionando tutto il sistema costiero (Miccadei et alii, 2011). Gli studi sulla geomorfologia fluviale del Fiume Pescara e dei versanti collinari e costieri, sulle dinamiche alluvionali, dei terrazzi fluviali e della costa, anche in relazione agli effetti di eventi meteorici intensi sono continuati quindi per decenni, anche nell’ambito di progetti finalizzati del CNR o dell’ENEA, di progetti nazionali del Servizio Geologico d’Italia (Progetto IFFI) e di progetti regionali (PAI, PSDA). Purtroppo di tali studi non si tiene mai conto nella pianificazione territoriale, si studia la mattonella fluviale locale e a breve termine, ma non più i bacini idrografici nel loro insieme e nella loro dinamica a lungo termine (Miccadei & Piacentini, 2013). Si grida sempre “al lupo al lupo” ad ogni dissesto idrogeologico, scordando secoli di studi geologici sulla valle del Pescara e relegando il fiume ad uno sconosciuto. Bibliografia APAT (2006) - Carta Geologica d’Italia alla scala 1:50000. Foglio 360 “Torre de’ Passeri”. Bonarelli G. (1931) - Il Quaternario della Val di Nora. Boll. Soc. Geol. It., 50: 113-116, Roma. Buccolini M., D’Alessandro L., Miccadei E., Piacentini T. & Sciarra N. (2012) – Cenni di geomorfologia e stabilità dei versanti. In: Note illustrative della Carta Geologica d’Italia (scala 1:50.000), Foglio 361 "Chieti". Servizio Geologico d’Italia, ISPRA. 22-33 pp. Castiglioni B. (1933) - Valli sovralluvionate e deviazioni fluviali in Abruzzo e Piceno. Bollettino della Regia Società Geografica Italiana - S 6a, 9-10: 642-660. Castiglioni B. (1935) - Ricerche morfologiche nei terreni Pliocenici dell’Italia centrale. Pubblicazioni dell’Istituto di Geografia della R. Università di Roma, serie A, 4, Roma. Crescenti U (1972) – Sulla deviazione dei fiumi marchigiani. Geol. Appl. Idrogeol., 7, 45-55, Bari. Crescenti U., D’Amato C., Balduzzi A., Tonna M. (1980) - Il Plio-Pleistocene del sottosuolo abruzzese-molisano tra Ascoli Piceno e Pescara. Geol. Romana 19, 63-84, 22 figg., Roma. Demangeot J. (1965) - Géomorphologie des Abruzzes Adriatiques. Centre Recherche et Documentation Cartographique, Memoires et Documents, CNRS, pp. 403, Paris. ISPRA (2012) - Carta Geologica d’Italia alla scala 1:50000. Foglio 351 “Pescara”. 361 “Chieti”. Lotti B. (1926) - Geologia della Valle del Pescara.. Mem. Carta Geol. d’It., 20: 169-181, Roma. Miccadei E., Mascioli F., Piacentini T., Ricci F. (2011) - Geomorphological features of coastal dunes along the central Adriatic coast (Abruzzo, Italy). J. of Coastal Research, 27 (6), 1122-1136. Miccadei E., Piacentini T. (2013) - The Role of Knowledge in the prevention of natural hazards and related risks. Italian Journal of Planning Practice, 3 (1), 46-68, Roma. Principi P. (1930) - Osservazioni geologiche e morfologiche sulla valle del Pescara (Abruzzi). L’Universo, 51 (5): 413-434. Sacco F. (1930a) - Note illustrative della Carta Geologica d’Italia alla scala 1:100.000. Foglio 141 «Chieti». R. Uff. Geol., Roma (1928). Sacco F. (1930b) - Note illustrative della Carta Geologica d’Italia alla scala 1:100.000. Fogli di Vasto e Lanciano. Servizio Geologico d’Italia, Roma. Servizio Geologico d’Italia (1963) - Carta Geologica d’Italia 1:100.000. Foglio 141 “Pescara”. Servizio Geologico d’Italia (1970) - Carta Geologica d’Italia 1:100.000. Foglio 147 “Lanciano”.

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Strategie e metodi di orientamento a confronto per immagini con acquisizione “strip”

Valerio Baiocchi1, Keti Lelo2, Noemi Travaglini

1 ”Sapienza” Università di Roma, DICEA, Via Eudossiana 18, 00184 Roma

2 Università “Roma3”, CROMA, Via Ostiense, 139 00154 Roma Autore di riferimento: [email protected] Parole chiave:!WorldView2, strip, Roma, ortorettificazione, modello rigoroso, RPC Da una collaborazione tra il CROMA dell’Università “Roma3” ed il DICEA dell’ Università “Sapienza” è scaturito l’interesse per la realizzazione di una copertura satellitare multi spettrale e pancromatica ad altissima risoluzione della area metropolitana di Roma in particolare ricoprendo gli interi comuni di Roma e Fiumicino. La complessità di una simile operazione risiede principalmente nella mole di dati connessa all’estensione del Comune di Roma che con 1 287,36 km! è considerato uno dei comuni più grandi (secondo alcuni il più grande) dell’Unione Europea. Per tale estensione si è deciso di utilizzare le immagini WorldView-2 in modalità “strip” che permette di coprire lunghe “strisce di terreno lungo la direzione dell’orbita, cioè quindi circa N-S. Di seguito vengono riportati, per ragioni di spazio, solo alcuni risultati ottenuti con le immagini WorldView-2 che si ritengono più significativi, la descrizione ed alcuni risultati integrali della sperimentazioni potranno essere riportati su una specifica pubblicazione scientifica per questioni di spazio.

Da precedenti sperimentazioni (Baiocchi et al., 2014) si evince come sia possibile raggiungere accuratezze dell’ordine della risoluzione dell’immagine (0.46 m. in pancromatico, in questo caso) utilizzando modelli fotogrammetricamente rigorosi e numerosi punti di controllo a terra. Data l’estensione del territorio di competenza delle due amministrazioni comunali si è voluta concentrare l’indagine sull’uso delle immagini sopracitate e di seguito verranno riportati con particolare evidenza i risultati ottenibili con le immagini WorldView-2 che sembrano le più promettenti per il raggiungimento di accuratezze compatibili con i valori guida corrispondenti all’aggiornamento cartografico a scala 1:2000 che è quello caratteristico delle cartografie comunali a livello nazionale. Le immagini utilizzate per la sperimentazione nello specifico sono di tipo Standard con una estensione nella direzione N-S pari all’intera area di competenza dell’Amministrazione tanto da ricoprire con sole quattro immagini, che si affiancano nella direzione Est-Ovest, l’intero territorio. Per questo tipo d’immagini la documentazione tecnica che accompagna alcuni software commerciali testati (es: Geomatica 2013 della Pci), consigliano di utilizzare i modelli di ortorettificazione RPC, ma per completezza si è comunque voluto testare anche l’utilizzo del modello fotogrammetricamente rigoroso che la letteratura scientifica considera in generale il più accurato (Toutin, 2004). Effettivamente le sperimentazioni effettuate dimostrano che il modello rigoroso applicato a questo tipo d’immagini non sembra permettere il raggiungimento di accuratezze compatibili con le applicazioni in studio sia in termini di precisione del modello (ovvero quanto il modello è coerente con se stesso e quindi quanto è ripetibile; Fig. 1), sia in termini di accuratezza estraibile dall’immagine (cioè quanto le posizioni degli oggetti rappresentati sull’immagine finale orto rettificata siano vicini alle vere posizioni a terra; Fig.2) parametro, quest’ultimo, sicuramente più indicativo per l’applicazione in studio. Usualmente la precisione si apprezza sui residui dei GCPs mentre l’accuratezza si stima sui residui dei Check Points (CPs) punti a coordinate note come i GCPs che però non vengono usati per la stima del modello e quindi per ortorettificare, ma solo per verificare il risultato dell’ortorettificazione stessa.

Figure 1-2 - Andamento dei residui sui GCPs (Fig.1) e sui CPs (Fig.2) all’aumento dei GCPs utilizzati con modello fotogrammetricamente rigoroso.

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Nel corso della sperimentazione sono state verificate diverse configurazioni di numero di GCPs e per ognuna sono stati verificati i valori medi dei residui (scostamenti) che nelle figure vengono graficati in funzione del numero di GCPs utilizzati. Dall’analisi della figura 1 si può stabilire che il modello raggiunge una stabilizzazione intorno ai 10-12 GCPs e lo stesso può desumersi dall’andamento dei residui dei CPs (Fig. 2) ove osserviamo inoltre che l’accuratezza ottenibile è dell’ordine dei 70 cm. Sulla scorta di quanto suggerito dalla documentazione tecnica e dalla letteratura più aggiornata (Jacobsen, 2011), si è voluta verificare la possibilità di ortorettificare l’immagine con il modello RPC, accreditato di un’accuratezza leggermente minore ma che necessità di molti meno punti di controllo. Effettivamente si osserva una stabilizzazione dopo soli 8 GCPs per quanto riguarda i residui sui GCPs e dopo soli 4 GCPs per quanto riguarda i residui sui CPs (Figg. 3-4); dalla figura 6 si può inoltre notare come l’accuratezza ottenibile è intorno ai 50 cm. , anche superiore a quella ottenibile con il modello rigoroso. Data l’onerosità degli spostamenti per il rilievo GCPs con ricevitori GPS/GNSS, si è voluto verificare se potessero essere sufficienti alcuni punti acquisiti nella parte centrale dell’immagine e non uniformemente distribuiti su tutta la sua estensione pur se di un numero decisamente contenuto di punti, si è deciso di sperimentare se l’utilizzo di un numero maggiore di GCPs collimati però sulla cartografia e quindi con minor precisione, potesse fornire risultati analoghi.

Figure 3-4 Andamento dei residui sui GCPs (Fig.3) e sui CPs (Fig. 4) all’aumento dei GCPs utilizzati con modello RPC.

Dai risultati di queste prove, che qui non possiamo riportare, sono stati osservati ancora una volta gli andamenti dei residui da cartografia sui CPs nelle zone Nord e Sud di una delle immagini al variare dei GCPs da GPS acquisiti solo nella zona centrale. Si è potuto facilmente riscontrare che le accuratezze ottenibili non sono compatibili con le richieste metriche necessarie all’aggiornamento di una cartografia scala 1:2000 e quindi tale soluzione deve essere scartata.

Conclusioni e possibili sviluppi Dai primi test si osserva che i modelli RPC possono vantaggiosamente orientare le immagini di tipo strip fino a raggiungere accuratezze compatibili con la cartografia a grande scala per le esigenze delle amministrazioni comunali. Ulteriori sperimentazioni sono state eseguite e sono in corso per individuare le migliori strategie di scelta del numero e della disposizione dei Punti di controllo a terra (GCPs) per immagini di queste estensioni Bibliografia Baiocchi V., Brigante R., Dominici D., Milone M. V., Mormile M. V., Radicioni F. (2014)- Automatic three dimensional features extraction: The case study of L'Aquila for collapses identification after April, 06 2009 earthquake; European Journal of remote Sensing, in press Jacobsen K. (2013)- DEM Generation from High Resolution Satellite Imagery, PFG 2013 / 5, pp 483–493 Toutin, Th. (2009)- Fine spatial resolution optical sensors, Chapter 8 In SAGE Handbook of remote sensing, Eds: T.A. Warner, M.D. Nellis and G.M. Foody, SAGE, London, U.K., Chapter 8, pp. 108-122.

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Thermal analysis of satellite images in a post-seismic scenario to evaluate urban changes after an earthquake

Valerio Baiocchi, Maria Vittoria Milone, Martina Mormile

DICEA, Sapienza University of Rome, Italy Autore di riferimento: [email protected] Parole chiave:!Landsat, L’Aquila, Thermal correction, Urban heating, Open source, earthquake Abstract This study presents an attempt to use Landsat satellite images to detect the changes of urban city centre after the earthquake that affected L'Aquila city (Abruzzo region), on April 2009. Archival satellite images, acquired before and after the earthquake of 6th April from the United States Geological Survey (USGS) were used to this aim. Atmospheric correction implemented in two packages one commercial and the other open source, (ATCOR2 model-Atmospheric Correction and Haze Reduction) was performed on these images to derive from them the Land Surface Temperature (LST) of the study area. It's important to underline that the used images were 5 band Landsat images and that the LST was calculated on the 'thermal band'. In addition to traditional change detection techniques the study and analysis of thermal behavior could represent a possible alternative in characterizing areas affected by seismic event. The methodologies consists in the evaluation of LST of interesting area before and after the earthquake to evaluate how it changes as a consequence of the depopulation of the historic center of the city. For this research study, in fact, we started from the assumption that probably before the earthquake the temperature was higher than after because of the presence of inhabitants (an so home heating) in the city centre; after the main seismic event the collapsed of a lot of buildings and the consequent depopulation of historic area caused the lowering of the temperature. The study wants to demonstrate that the use of Landsat archive images could provide useful information to understand the urban changes induced by catastrophic events. Bibliografia Congedo L. (2014)!Estimation of Land Surface Temperature with Landsat Thermal Infrared Band: a Tutorial Using the Semi-Automatic Classification Plugin for QGIS http://fromgistors.blogspot.it/2014/01/estimation-of-land-surface-temperature.html Congedo L. (2014)!Estimation of Land Surface Temperature with Landsat Thermal Infrared imagery, https://www.youtube.com/watch?v=ST-tclrTMzc

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Sperimentazione di un sistema di rilevamento ALS ultraleggero

Marco Balsi1, Salvatore Esposito1, Paolo Fallavolita1, Matteo Mura2, Marco Marchetti2, Gherardo Chirici2

1 Dipartimento di Ingegneria dell’Informazione, Elettronica e Telecomunicazioni, Università La Sapienza, Via Eudossiana, 18, 00184 - Roma, Italia;

Oben s.r.l., Sassari, http://www.oben.it 2 Dipartimento di Bioscienze e Territorio, Università degli Studi del Molise,

Contrada Fonte Lappone, snc, 86090 – Pesche (IS), Italia

Autore di riferimento: Matteo Mura [email protected] Parole chiave:!Scansione laser aerea, veicoli a pilotaggio remoto, UAV, ALS, LiDAR Introduzione L’utilità apportata dai dati derivanti da scansione laser aerea (Airborne Laser Scanning – ALS) nell’inventariazione e nel monitoraggio delle risorse forestali è ormai consolidata (Corona et al., 2012, Lim et al., 2003, Montaghi et al., 2013, Wulder et al., 2008). Tuttavia, l’utilizzo di tale dato è spesso limitato dagli alti costi di acquisizione, nei quali il noleggio dell’aeromobile e del suo equipaggio incide in maniera rilevante. I recenti progressi ottenuti nella tecnologia del controllo remoto e autonomo, hanno portato al sempre più frequente utilizzo di veicoli aerei a pilotaggio remoto (Unmanned Aerial Vehicles - UAVs) come piattaforme di telerilevamento equipaggiate con sensori attivi o passivi, soprattutto nel caso di rilievo su piccole aree. Questi sistemi consentono di volare ad una quota minore e con una velocità di crociera ridotta rispetto alle aeromobili con equipaggio, restituendo quindi una maggiore densità di punti (echi/m2), aspetto questo di notevole rilevanza in applicazioni forestali (Jaakkola et al., 2010). Tuttavia la dimensione e il peso di molti sensori ALS è proibitiva per molti dei piccoli veicoli UAV che potrebbero essere impiegati senza necessità di lunghe pratiche burocratiche autorizzative. In questo lavoro si espongono i risultati preliminari derivanti da un’acquisizione ALS con un sensore ultraleggero appositamente sviluppato per sistemi UAV, sperimentati in un’area boscata in regione Molise. Materiali e metodi L’acquisizione è avvenuta nell’ottobre 2013 in un plot permanente di 1-km2 (100 x 100 m) in regione Molise, situato nella Riserva Naturale di Collemeluccio-Montedimezzo, Vastogirardi (IS) (Fig. 1). All’interno del plot è stato effettuato il censimento e la geolocalizzazione tramite GPS di tutti gli alberi con diametro a 1.3 m > 3 cm, per ognuno dei quali sono stati misurati i principali parametri dendrometrici. Il sensore utilizzato ha dimensioni di 15x15x15 cm e peso di 2 kg, ed è in grado di registrare fino a 3 echi di ritorno per impulso.

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Fig. 1 - Localizzazione dell’area di studio.

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La densità media di echi di ritorno nelle strisciate di acquisizione è risultata essere di circa 50 punti/m2 e, nonostante la densità del fogliame e l’altezza degli alberi, la densità di punti a terra è stata di circa 1/m2, sufficiente ad ottenere un DTM di buona qualità. Successivamente sono stati derivati il modello digitale del terreno (DTM), il modello digitale della superficie (DSM) e l’altezza della copertura arborea (CHM). Al fine della valutazione qualitativa del dato ALS sono stati posti a confronto i) il DTM derivante da ALS e quello ottenuto per interpolazione dalle curve di livello della locale carta tecnica regionale (CTR) e, ii) l’altezza media della vegetazione all’interno del plot derivante da CHM e dai rilievi a terra. Risultati e discussioni Nel confronto tra i due DTM quello derivante da ALS mostra una sottostima mediamente di 10 m rispetto a quello da CTR (Fig. 2). Tale differenza probabilmente è stata causata sia da un limite nella precisione della geolocalizzazione delle strisciate sia dall’accuratezza nella quota della mappa CTR, che essendo ottenuta con tecniche fotogrammetriche riflette piuttosto il DSM delle chiome degli alberi che il DTM. L’altezza media all’interno del plot di 1 ha è stata stimata con un errore relativo del 5%, 29,02 m da CHM contro 27,55 m secondo i rilievi a terra.

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Fig. 3 - Confronto tra DTM da ALS (ELEV_DTM) e quello da CTR (ELEV_CTR). In verde la retta di regressione (R2=0,95), in rosso quella 1:1.

Conclusioni L’esperienza maturata ha permesso di ottimizzare la tecnica di acquisizione e pre-processamento dei dati ALS in aree con morfologia complessa, il sensore sperimentato ha dimostrato le sue potenzialità nell’utilizzo in campo forestale, stimando con accuratezza l’altezza media della vegetazione, parametro principale per lo studio dei soprassuoli forestali tramite ALS. Ulteriori sperimentazioni attualmente in corso hanno lo scopo di valutare l’accuratezza dei dati acquisiti in condizioni fenologiche invernali. Bibliografia Corona, P., Cartisano, R., Salvati, R., Chirici, G., Floris, A., di Martino, P., Torresan, C. (2012). Airborne laser scanning to support forest resource management under alpine, temperate and Mediterranean environments in Italy. Italian Journal of Remote Sensing / Rivista Italiana di Telerilevamento, 45(1), 27–37, 2012

Jaakkola, A., Hyyppä, J., Kukko, A., Yu, X., Kaartinen, H., Lehtomäki, M., & Lin, Y. (2010). A low-cost multi-sensoral mobile mapping system and its feasibility for tree measurements. Isprs Journal of Photogrammetry and Remote Sensing, Vol 65(6), 514–522. Lim, K., Treitz, P., Wulder, M., St-Ongé, B., & Flood, M. (2003). LiDAR remote sensing of forest structure. Progress in Physical Geography, 27(1), 88–106, 2003

Montaghi, A., Corona, P., Dalponte, M., Gianelle, D., Chirici, G., & Olsson, H. (2013). Airborne laser scanning of forest resources: An overview of research in Italy as a commentary case study. International Journal of Applied Earth Observation and Geoinformation,Vol. 23, Pages 288–300, 2013

Wulder, M. A., Bater, C. W., Coops, N. C., Hilker, T., & White, J. C. (2008). The role of LiDAR in sustainable forest management. Forestry Chronicle, Vol 84(6), 807–826, 2008.

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Impiego di immagini satellitari in aree glaciali e recentemente deglacializzate:

casi di studio nelle Alpi Piemontesi

Stefania Bertotto1, Luigi Perotti1, Marta Chiarle2, Marco Giardino1

1 Università di Torino, Dipartimento di Scienze della terra, GeoSITLab - Via Valperga Caluso 35, Torino 2 CNR-IRPI Torino, Strada delle Cacce 73, Torino

Luigi Perotti: [email protected] Parole chiave:!Ghiacciai, Quickbird, ortorettifica, satellitari, PCI, Altissima risoluzione Introduzione Le aree di alta montagna stanno modificandosi repentinamente a causa dei cambiamenti climatici attualmente in corso, ormai riconosciuti in bibliografia (IPCC 2013). I ghiacciai rispondono in modo quasi imemdiato a tali variazioni e con essi le zone circostanti, che hanno subito una recente deglaciazione, a partire della Piccola Età Glaciale (1850) ai giorni nostri. In tali aree si sono verificati in passato fenomeni di instabilità particolarmente spettacolari, specialmente nelle Alpi occidentali (Chiarle & Mortara, 2007. L'utilizzo di immagini satellitari è particolarmente adatto allo studio e al monitoraggio nel tempo di zone glaciali e recentemente deglacializzate (Paul et al., 2004). Lo scopo di questo lavoro è dunque fornire una prima ricostruzione di tali aree, attraverso l'impiego di immagini ad altissima risoluzione, pansharpened e multispettrale a 8 bande, che vengono ortorettificate (Boccardo et al, 2004a) e cui si provano ad associare degli indici. Nel tempo sarà possibile effettuare un confronto e un'integrazioni con nuovi dati acquisiti da altri sensori. Area di studio L'area di studio è situata nel Piemonte Nord-Occidentale, in provincia di Torino, al confine con la Valle d'Aosta e la Francia, nella alte valli di Lanzo, Orco e Soana. I ghiacciai studiati sono situati ai piedi delle cime dei gruppi Montuosi delle Levanne e del Gran Paradiso (CNR-CGI, 1961). Metodologia

Scelta delle immagini Sono state acquistate delle immagini di archivio del 2010, selezionandole tra le riprese effettuate nel periodo della tarda estate perché senza neve e con poche nuvole.

Scelta dei punti di appoggio Sono stati acquisiti alcuni punti GPS sul terreno che vengono integrati con i dati del DEM ricavato da Rilievo Lidar effettuato nel 2010 dalla Regione Piemonte.

Processo di ortorettifica Tramite il software PCI è stata effettuata l'ortorettifica delle immagini (Baiocchi et al, 2004), riscontrando delle criticità dovute alla forte pendenza (Boccardo et al, 2004 b) e alla difficoltà di individuare dei punti fissi in aree poco antropizzate (Pulighe, 2009).

Individuazione degli indici Tramite il software ENVI si è provveduto a mappare gli indici radiometrici e realizzare una carta tematica per la classificazione del territorio. Risultati I risultati permetteranno un' analisi multitemporale della copertura glaciale mediante la creazione di ortofoto multispettrali. Verrà realizzata la classificazioni del territorio tramite immagini multispettrali da satellite ad altissima risoluzione e la mappatura degli indici radiometrici.

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Bibliografia Baiocchi V., Crespi M., De Vendictis L., Giannone F. (2004) - Ortorettificazione di immagini satellitari ad alta risoluzione per scopi cartografici: metodologie ed implementazione di un nuovo software. Bollettino della Società Italiana di Fotogrammetria e Topografia, SIFET, n.2/2004. Boccardo P., Borgogno Mondino E., Giulio Tonolo F., Lingua A. (2004a) - Orthorectification of high resolution satellite images. International archives of the photogrammetry, remote sensing and spatial information sciences, vol. XXXV part B1, pagine da 30 a 35, ISSN: 1682-1750. Boccardo P., Borgogno Mondino E, Gomarasca M, Perotti L (2004b)- Orthoprojection tests of hyperspectral data in steep slope zones, International archives of the photogrammetry, remote sensing and spatial information sciences, vol. XXXV, Part 7, Chiarle M., Mortara G. (2007) - Modificazioni nell’ambiente fisico d’alta montagna e rischi naturali in relazione ai cambiamenti climatici. In: Carli B., Cavarretta G., Colacino M., Fuzzi S. (eds.) "Clima e Cambiamenti Climatici. Le attività di ricerca del CNR", CNR, Roma, 757-760. Pagine Da 872 A 877, ISSN: 1682-1750 CNR-CGI (1961) - Catasto dei ghiacciai italian, Vol.2, Ghiacciai del Piemonte, pp. XIII-324; 316 tavole; 191 illustrazioni Paul, F., Kääb, A., Maisch, M., Kellenberger, T. W. and Haeberli, W. (2004): Rapid disintegration of Alpine glaciers observed with satellite data. Geophysical Research Letters, 31, L21402, doi:10.1029/2004GL020816 Pulighe G (2009). Ortorettifica di foto e aree storiche per lo studio delle dinamiche ambientali in regioni montane.GEOmedia, [S.l.], v. 13, n. 3, mar. 2009. ISSN 1128-8132.

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GIS ed Earth Observation per la stima della vulnerabilità del tessuto urbano alle isole di calore

F. Borfecchia1, E. Caiaffa2, M. Pollino1, L. De Cecco1, S. Martini1, L. La Porta1,

S. Ombuen3, L. Barbieri3, F. Benelli3, F. Camerata3, V. Pellegrini3, A. Filpa3

1 ENEA - UTMEA-TER (Laboratorio Analisi e Osservazioni sul Sistema Terra) 2 ENEA - UTMEA-CLIM (Laboratorio Modellistica Climatica e Impatti)

C.R. Casaccia, Via Anguillarese 301, 00123 Roma, tel. 0630486042, e-mail: [email protected]; 3 DipSU - Dipartimento di Studi Urbani - Università degli Studi Roma Tre,

Via della Madonna dei Monti, 40 Roma Autore di riferimento: Email: [email protected] Parole chiave: telerilevamentomultispettrale, object classification, GIS, UHI (Urban Heat Island), HW (Heat Waves), global and climate changes Abstract Si descrive una metodologia basata sulle tecniche di Earth Observation (EO) a medio-alta risoluzione eGIS, per la caratterizzazione estensiva morfo-tipologica degli insediamenti urbani, relativa agli aspetti climatici connessi principalmente alla temperatura (ondate di calore, Urban Heat Island, impermeabilizzazione dei suoli). L’obiettivo principale è quello di pervenire a una carta della vulnerabilità climatica del Comune di Roma. A questo scopo, si è iniziato con la classificazione di dettaglio, tramite fotointerpretazione, delle aree urbane sulla base di tre variabili fondamentali legate sia alla tipologia/densità edilizia sia alla presenza di vegetazione/superfici permeabili. Tali variabili sono state connesse al ciclo idrologico e alla risposta termica alle ondate di calore che,soprattutto in area mediterranea, caratterizzano aspetti rilevanti legati al climatechange. Sono state, quidi, definite tre variabili di riferimento quali: tipologia, compattezzae permeabilità con le quali è stato classificatoil tessuto urbano residenziale. Si è operato tramite metodologie di fotointerpretazione a scala di dettaglio (1:5000) su un’area di riferimento costituita da un transetto di circa 7x22 km, esteso dal centro alla periferia e comprendente gran parte delle classi d’interesse. Oltre alla cartografia sono stati utilizzati i dati di EOdei sensori satellitari Landsat ETM+ che riprendono da orbite polari la superficie terrestre in 7 bande spettrali (visibile RGB, NIR, 2 SWIR, TIR) con risoluzione di 30 m a terra. Tali dati risultano sufficientemente adatti alla caratterizzazione urbana per le finalità ipotizzate, avendo anche un canale termico (TIR) a 60 m di risoluzione. Si è eseguita una classificazione supervised, individuando le classi di riferimento su aree ben conosciute con cui “addestrare” una procedura integrata, basata su tecniche di data mining ed objectclassificationda impiegare poi su tutta l’area comunale. Alcuni interessanti risultati preliminari sono stati ottenuti su un’area campione in termini di accuratezza della mappatura semiautomatica delle classi individuate di vulnerabilità termica del tessuto urbano. Successivamente, è stato messo a punto un metodo di calibrazione implementato sulla base di una tipica distribuzione di temperatura UHI derivata dai dati MODIS, che ha permesso di ottenere un’espressione analitica dell'indice di vulnerabilità numerico (INV), inizialmente introdotto su base semi-empirica. Classificazione tramite fotointerpretazione e Object oriented Le aree urbane residenziali del transetto sono state raggruppate in 12 classi sulla base delle loro caratteristiche tipologiche, di compattezza e presenza di vegetazione/superfici permeabili, come sintetizzato dalla tabella 1 e riportato nella mappa tematica di figura 1.

La fotointerpretazione si è basata sull’individuazione preliminare di aree omogenee poligonali, definite principalmente dalla rete viaria. Per ciascuna di tali aree sono stati calcolati automaticamente una serie di indici radiometrici e tessiturali dai dati multispettrali Landsat ETM+, preventivamente corretti, con i quali si è proceduto a testare vari algoritmi di classificazione automatica con tecniche di objectclassification e data mining, con alcuni dei quali sono state raggiunte delle accuratezze significative maggiori del 60%. Dalle tre variabili sintetizzate in tabella 1 è stato stimato quindi un indice numerico di vulnerabilità INV, assegnando loro un diverso peso relativosulla base di riscontri preliminarmente derivati da conoscenze specifiche del tessuto urbano in studio e dalla letteratura. In particolare, si è assegnato peso di 45% alla permeabilità, 35% alla compattezza e 20% alla tipologia. Tali valori sono stati intesi come massimi raggiungibili dai singoli parametri, in modo da permettere di rappresentare tutta la variabilità presente a livello di ciascuna area mediante normalizzazione a 100 dei relativi valori, utilizzando un modello lineare di somma pesata, che è stato poi oggetto di calibrazione descritta nel paragrafo successivo.

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Tabella 1 - Classificazione manuale del tessuto urbano residenziale incluso nel transetto secondo tipologia e compattezza (indicate come “Morfotipo I liv.”) e in base alla permeabilità.

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!Figura 1 Distribuzione delle classi (morfotipi) individuate in tabella 1 lungo il transetto di test in sovrapposizione alla

mappatura dell’indice NDVI (restituito in tonalità di grigio)

Calibrazione dell’indice INV Per la calibrazione del modello di calcolo dell’indice INV, si è partiti da una situazione in cui verosimilmente i fenomeni connessi all’aumento di temperatura superficiale terrestre fossero maggiormente accentuati. In quest’ottica, le analisi delle serie storiche di dati meteo e satellitari indicano nelle estati del 2003 e del 2012 alcuni tra i periodi recenti maggiormente rappresentativi. In figura 2a sono riportate le mappe di temperatura superficiale ottenute dai rilievi MODIS del luglio 20003 con la mappa dell’INV in sovrapposizione. L’immagine a sinistra di figura 2a si riferisce alla situazione mattiniera, mentre l’altra è relativa alla condizione notturna (ore 21:15 locali). In mattinata i massimi di temperatura coincidono con i minimi di INV ed in questa situazione non si evidenzia la conformazione tipica delle UHI (Urban HeatIslands). Viceversa, l’altra immagine documenta visivamente la presenza delle UHI notturne su Roma, considerate di maggiore impatto nella situazione specifica (Fabrizi et al., 2010). Tenendo conto di ciò, nell’ottica di pervenire ad un’espressione e calibrazione dell’INV maggiormente basata sugli effetti fisici rilevati dalle UHI in termini di distribuzione di temperature, è stata considerata la mappa di temperature notturne del 12-7-2013 per implementare un modello regressivo lineare multivariato, utilizzando i valori delle tre tipologie di compattezza e permeabilità derivate dalla fotointerpreazione, unitamente all’altimetria locale. Quest’ultima, come è noto, costituisce il fattore predominante nello scambio radiativo locale e nella

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conseguente distribuzione della temperatura. In tal modo, assumendo la temperatura T come variabile dipendente, si ha:

T (alt,tip,comp,perm) = a·alt+b·tip+c·comp+d·perm+e (1)

dove: alt è l’altimetria (m); tip la tipologia (valori 1-4); compla compattezza (valori 1-4); permla permeabilità (valori 1-3); a, b, c, d, e sono i coefficienti (pesi relativi) da determinare.Per la determinazione dei coefficienti sono state stimate, per ciascuna delle 290 poligonali d’interesse del transetto, le altimetrie e le temperature medie, rispettivamente da una mappa delle altimetrie disponibile a 20 m di risoluzione e da quella delle temperature MODIS di figura2b, arrivando tramite metodo OLS (OrdinaryLeastSquares) ad un modello sufficientemente robusto con correlazione significativa (R2=0,606) e livello di significatività adeguato (P-value(F) < 10-10). Dai coefficienti stimati si evidenzia correttamente la dipendenza inversa dalla quota; inoltre, nella determinazione della distribuzione di temperatura a terra, l’importanza maggiore è rivestita dall’altimetria, seguita nell’ordine dalle tre variabili di compattezza, tipologia e permeabilità dell’urbanizzato, derivate da fotointerpretazione (comunque significative). Conclusioni E’ stata sviluppata una procedura di classificazione dei dati Landsat ETM+ basata su tecniche di data mining per una più efficace caratterizzazione del tessuto urbano, finalizzata alla valutazione della sua risposta termica ed a supporto dei metodi fotointerpretativi. La capacita di rilievo termico del sensore MODIS è stata,inoltre, utilizzata per la messa a punto di una metodologia di calibrazione e validazione dell’indice di vulnerabilità termica (INV), introdotto empiricamente nella fase di fotointerpretazione, sulla base della distribuzione effettiva di temperature relative ad una situazione di UHI notturne, tipiche dell’area romana. Va rilevato, infine, che questi risultati preliminari, sebbene interessanti, risentono di alcuni limini intrinseci alle metodologie fotointerpretative qui utilizzate: l’obiettivo degli sviluppi futuri sarà quello di rendere l’approccio maggiormente efficace, mediante una maggiore integrazione tra le metodologie utilizzate e, soprattutto, tramite l’individuazione preventiva delle poligonali da fotointerpretare, sulla base di una propedeutica segmentazione automatica basata su algoritmi consolidati (Baatz&. Schäpe, 1999) e non sulla base della rete viaria riportata in cartografia.

Figura 2a - Mappe di temperatura superficiale diurna (sinistra) e notturna (destra) stimate dai dati rilevati dal

sensore MODIS il 12-7-2003. In sovrapposizione mappa di INV su transetto.

Figura 2b - Risultati Modello OLS in termini di temperature medie previste vs misurate dal sensore

MODIS per le poligonali del transetto

Bibliografia Jungho Im , Zhenyu Lu, JinyoungRhee, Lindi J. Quackenbush. Impervious surface quantification using a synthesis of artificial immune networks and decision/regression trees from multi-sensor data. Remote Sensing of Environment 117 (2012), 102–113 Hanqiu Xu. Extraction of Urban Built-up Land Features from Landsat Imagery Using a Thematic oriented Index Combination Technique. Photogrammetric Engineering & Remote Sensing Vol. 73, No. 12, December 2007, pp. 1381–1391. R. Fabrizi, S. Bonafoni, R. Biondi (2010), Satellite and Ground-Based Sensors for the Urban Heat Island. Analysis in the City of Rome, Remote Sensing, 2:1400-1415. Baatz M. & A. Schäpe (1999), Object-Oriented and Multi-Scale Image Analysis in Semantic Networks. In: Proc. of the 2nd International Symposium on Operationalization of Remote Sensing August 16th – 20th 1999. Enschede. ITC.

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I nuovi dati LiDAR della Regione Piemonte: limiti e potenzialità per applicazioni in campo forestale

Enrico Borgogno Mondino1, Vanina Fissore1, Renzo Motta1

1 DISAFA, L.go Paolo braccini 2, 10095, Grugliasco (TO), Italia

Autore di riferimento: Enrico Borgogno Mondino Parole chiave: LiDAR, DSM, CHM, Treeline. Introduzione Le potenzialità applicative della tecnologia LiDAR (Light Detection and Ranging) si prestano a numerose applicazioni per il monitoraggio e lo studio delle risorse naturali. Tale tecnologia viene sempre più spesso utilizzata per qualificare la componente forestale al fine di razionalizzarne lo sfruttamento (biomassa), la gestione (anche in un contesto di protezione ambientale) e comprenderne il ruolo di indicatore nel contesto dei cambiamenti climatici. E’ dunque necessario analizzare rigorosamente le misure che da questi sistemi provengono e che sempre più frequentemente sono messe a disposizione dell’utenza da diversi soggetti istituzionali e non. Scopo del lavoro è la valutazione della qualità dei dati LiDAR che recentemente la Regione Piemonte ha messo gratuitamente a disposizione sotto forma di DSM e DTM matriciali acquisiti durante la campagna aerea del 2009-2011. Questo studio accoppia tecniche statistiche di tipo tradizionale con considerazioni di tipo geostatistico per la quantificazione dei principali fattori d’incertezza dei dati e l’esplorazione della loro eventuale dipendenza da fattori morfometrici del territorio. L’analisi ha riguardato 17 aree campione relative a 19 comuni della regione appartenenti a 3 ambiti territoriali diversi (Fig. 1): montano, collinare e di pianura,le cui caratteristiche ambientali sono riportate in tabella 1. Fig. 1 - Sezioni campione e ambiti di indagine. Tab.1 - Statistiche descrittive degli ambiti territoriali indagati.

Pianura Collina Montagna

Area (ha) 91100.12 134241.96 114446.86 Quota (m s.l.m.m.)

Min-Max 92 - 442 164 -1622 225 - 4508 Valor medio 246 m 416 1796

Pendenza (gradi) Min-Max 0 - 16 0 - 42.9 0 –71.6

Valor medio 0.97 5.9 21.6 Ogni ambito territoriale è costituito da un numero variabile di sezioni la cui estensione coincide con quella della sezione omologa costituente la Cartografia Tecnica Regionale (scala 1:10000). Materiali e Metodi I dati utilizzati sono costituiti dai DTM (Digital Terrain Model) e DSM (Digital Surface Model) matriciali ottenuti per filtratura e regolarizzazione dell’acquisizione lidar originale e dalle corrispondenti ortoimmagini digitali a colori reali e in falso colore. Le misure originarie sono state acquisite dal sensore LEICA LS50-II. La risoluzione geometrica nominale delle ortoimmagini è di +/!0.4m. Il DTM è di livello 4, la sua precisione altimetrica dichiarata è di +/!0.3m, mentre quella planimetrica di +/! 0.3 m (Regione Piemonte 2012). La risoluzione geometrica del

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DTM e del DSM forniti è pari a 5m. Lo studio condotto ha riguardato: a) l’analisi degli errori (valori negativi) del CHM (Canopy Height Model) ottenibile come differenza tra DSM e DTM (i risultati si riferiscono al 5% dei punti); b) l’analisi delle incoerenze interne di DTM/DSM in corrispondenza delle zone di sovrapposizione tra fogli (i risultati si riferiscono al 20% dei punti); c) la verifica della coerenza geometrica tra ortoimmagini e DSM, fattore importante soprattutto laddove si intenda posizionare le chiome degli alberi basandosi su fotointerpretazione di ortofoto (es. mappatura del limite superiore del bosco). Nei casi a) e b) si è anche proceduto a verificare l’esistenza di eventuali correlazioni tra errore e parametri morfologici del territorio (in particolare con la pendenza, ritenuta da letteratura maggiormente condizionante); a misurare e qualificare l’autocorrelazione spaziale tramite semivariogramma. Le elaborazioni sono state condotte in ambiente SAGA GIS e IDL. Risultati L’analisi ha evidenziato alcune incoerenze tra DTM e DSM con conseguente effetto sul CHM risultante. Esso infatti, nelle sezioni campione, presenta valori di altezza delle chiome (o degli oggetti) negativi oltre la soglia di 0.6 m (valore di precisione dichiarato nei metadati forniti dalla regione Piemonte) nelle seguenti percentuali rispetto ai 3 ambiti indagati: pianura= 0.34 %, collina = 1.28%, montagna = 12.24 %.

Fig.2a e 2b - Scatterogrammi relativi agli errori del CHM e alla pendenza dei versanti

per gli ambiti montano e collinare.

L’analisi di correlazione ha evidenziato un condizionamento dell’errore da parte della pendenza dei versanti. Le fig. 2a e 2b mostrano i relativi scatterogrammi con evidenziate le regressioni che descrivono l’andamento medio d’errore (in giallo) e l’andamento massimo (in rosso) per gli ambiti territoriali montano e collinare.

Fig.3 - (a) DTM su cui sono evidenziate le direzioni di decadimento dell’autocorrelazione spaziale dell’errore come suggerite dal variogramma a superficie (d) e per punti (c). Tale situazione dimostra come la morfologia del terreno

condizioni l’errore del CHM.

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Per l’ambito di pianura la correlazione è risultata assente. In figura 3 sono riportati la distribuzione di frequenza cumulata (b) per le quote e le pendenze di un ambito montano campione (territorio comunale di Carema) e i variogrammi (c, d) che dimostrano il forte condizionamento dato dai fattori morfologici del territorio (a) all’errore del CHM. L’analisi relativa alla verifica di coerenza tra i valori di quota relativi alla zona di sovrapposizione tra fogli adiacenti (ciascuno dei quali realizza un suo DTM/DSM) ha generato le statistiche d’errore di tabella 2.

Tab.2 - Statistiche d’errore relative alle zone di sovrapposizione tra fogli (0.6 m e 1.44 m sono le soglie di precisione dichiarati per DTM e DSM).

L’analisi ha in questo caso evidenziato l’assenza di correlazione con la morfologia del territorio. La coerenza planimetrica tra DSM e la corrispondente ortoimmagine è attualmente in fase di verifica attraverso procedimento fotointerpretativo. I primi risultati comunque suggeriscono uno spostamento tra chioma risultante da DSM e chioma osservata su ortoimmagine non sempre trascurabile nonostante la ridotta risoluzione del DSM (5 m) rispetto all’ortofoto (0.4 m). Inoltre tale spostamento sembra correlabile alla geometria delle condizioni della presa dell’immagine aerea e della morfologia del terreno. Conclusioni Il nuovo dataset costituito dal DTM/DSM e dalle corrispondenti ortofoto in vero e falso colore recentemente messo gratuitamente a disposizione dell’utenza da parte della Regione Piemonte a copertura dell’intero territorio piemontese, si configura, in potenza, come un valido supporto per le applicazioni ambientali soprattutto in campo forestale. In questo contesto il dato CHM, facilmente ottenibile come differenza tra DSM e DTM, può costituire un nuovo tipo di informazione per la caratterizzazione della componente forestale. Tale caratterizzazione ha valenza non trascurabile nell’ambito della gestione sostenibile delle biomasse, della quantificazione dei carichi di incendio, nella progettazione e manutenzione delle foreste di protezione e, non ultimo, nella mappatura di caratteristiche territoriali riconducibili allo studio dei cambiamenti climatici (es. l’identificazione del limite superiore del bosco, treeline). Tuttavia, una fonte informativa così importante non può prescindere dalla conoscenza dei limiti di precisione che la caratterizzano, soprattutto laddove tale incertezza si possa propagare lungo deduzioni di tipo geometrico (e. posizione della treeline) o inferenziale (es. curve allometriche, cubatura). Tale lavoro è un primo tentativo di caratterizzare tali limiti sia in termini quantitativi che di dipendenza spaziale, suggerendo in quale misura (quanto) e in quali condizioni operative (dove) tali limiti siano più stringenti, in modo che l’utilizzo del dato avvenga in modo cosciente e sotto condizioni di cautela determinabili sulla base dell’incertezza presunta. I risultati dell’analisi hanno evidenziato l’esistenza di anomalie relative al CHM (altezze negative) la cui entità, soprattutto in ambito montano, supera la precisione nominale del dato e risulta senza ogni ombra di dubbio correlata alla morfologia dell’area di interesse ed in particolare alla pendenza dei versanti. Anche le prove condotte nelle zone di sovrapposizione tra fogli adiacenti hanno evidenziato un decadimento della coerenza tra misure omologhe lette sui 2 fogli confinanti passando dall’ambito di pianura a quello di montagna. Tuttavia in questo caso la correlazione con elementi morfometrici specifici non è stata individuata. Alcune prove preliminari mostrano invece, nonostante la significativa differenza tra le rispettive risoluzioni geometriche, che non ci sia perfetta sovrapposizione tra ortofoto e DSM corrispondente. Ancora una volta questa appare più evidente in contesto montano; questa condizione sembra suggerire la mancata applicazione di un processo ortoproiettivo di precisione durante la formazione delle ortofoto. Ulteriori prove sono comunque richieste. Bibliografia Regione Piemonte (2012), Produzione di supporti topografici per la pianificazione a livello locale nella Regione Piemonte, Relazione MDE Blocco 03.

!

Sopra soglia (0.60 m) Sopra soglia (per aree a ridotta precisione, 1.44 m)

Pianura DTM 0.3% -

Collina DTM 1.8% -

Montagna DTM 17.5% 6.3%

Pianura DSM 1.7% -

Collina DSM 8.8% -

Montagna DSM 22.0% 11.0%

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Analogie tra i Cicloni Mediterranei legati al cambiamento climatico e i Vortici Polari di Venere

A. Cannito 1,2, L. Marinangeli 1,2

1 Univ. D’Annunzio, DISPUTer, via dei Vestini 31, 66013 Chieti, Italy

2 IRSPS, viale Pindaro 42, 65127 Pescara, Italy Autore di riferimento: [email protected] Parole chiave: Cambiamento climatico, Venere, telerilevamento Introduzione Il tema dei cambiamenti climatici costituisce uno dei principali argomenti di discussione che nelle ultime due decadi ha suscitatoun crescente interesse da partedella comunità scientifica internazionale. La natura complessa dell’argomento richiede un approccio multidisciplinare spaziando tra tutti i rami delle Geoscienze e comprendendo gli studi sugli analoghi planetari. I recenti risultati dell’Intergovernmental Panel on Climate Change (Aprile 2014) evidenziano come il cambiamento climatico stia modificando i regimi pluviometricia scala planetaria, regionale e locale. L’area Mediterranea, in particolare, sta sperimentando il fenomeno dello shifting delle configurazioni bariche, dove a quelle caratteristiche delle medie latitudini si sostituiscono quelle di aree più meridionali. Le tecnologie di Remote Sensing da satelliti ambientali permettono di monitorare con alta frequenza di campionamento l’evoluzione dei sistemi nuvolosi e di individuare le anomalie associate a fenomeni intensi che sempre più frequentemente interessano le nostre latitudini. Nel presente studio si fa riferimento ad un “Tropicallikecyclone”verificatosi nel Mediterraneo durante il mese di ottobre 2013 caratterizzato dalla presenza di una “S-shaped cloud strutture”, elemento tipico che si riscontra sia nei cicloni tropicali terrestri che nei vortici polari venusiani. L’attività di ricerca è stata condotta in atmosfera terrestre prevalentemente utilizzando le immagini del satellite geostazionario METEOSAT SG. In particolare, per l’analisi della “S-shape structure” sono state utilizzate le immagini dipost-elaborazione del Centro Nazionale di Meteorologia e Climatologia Aeronautica (CNMCA) nefoanalisi dinamica “Cb detection and stage evalutation” in grado di valutare lo sviluppo e l’evoluzione di strutture convettive complesse. Per i vortici Venusiani è stata utilizzata la strumentazione VIRTIS (Visible and Infrared Thermal Imaging Spectrometer) (Piccioni et al., 2007) a bordo della sonda Venus Express dell’ESA in orbita polare intorno a Venere. Le tecnologie di Telerilevamento hanno permesso quindi di studiare le atmosfere dei due pianeti, Venere e Terra, permettendo di valutare gli analoghi atmosferici. Caratteristiche dei vortici Sicuramente, fin dall’inizio dell’esplorazione dell’atmosfera di Venere, i vortici polari del pianeta gemello della terra hanno costituito un fondamentale elemento di paragone con strutture presenti nell’atmosfera terrestre. La sonda Pioneer Venus nel 1978 scoprì per prima quello presente al polo nord e successivamente quello già ipotizzato al polo sud fu individuato dalla sonda Venus Express nell’estate del 2006. Tali configurazioni sono state studiate per analogia a diversa scala spaziale e temporale paragonandoli prima con i vortici polari terrestri, in particolare con quello che si genera durante il periodo invernale sul continente Antartico, e successivamente, ad altre configurazioni. Dal punto di vista dinamico i vortici polari dei due pianeti presentano grandi analogie. Tuttavia, sistemi terrestri a scala spaziale e temporale minore presentano grande affinità con quelli presenti nell’atmosfera venusiana. In particolare, dipoli connessi da una “S-shaped cloud structures” di natura transiente sono talvolta presenti nei vortici di entrambi i pianeti. Analogie di questo tipo sono state osservate grazie alla strumentazione VIRTIS della sonda Venus Express con particolare dettaglio al polo sud di Venere e negli uragani terrestri [Piccioni et al., 2007] a latitudini tropicali grazie ai satelliti meteorologici a orbita bassa polare e geostazionari. Lo studio della dinamica degliuragani terrestriin relazione alla presenza della “S-shape” nella cosiddetta “coreregion” ha permesso di indagare a fondo la natura di queste strutture. Infatti, la presenza di una “S-shaped cloud strutture” è probabilmente l’elemento che più accomuna in vortici venusiani con quelli terrestri. Studi effettuati da Piccioni et al. (2007) hanno messo in evidenza come alla base del fenomeno vi sia una comune instabilità barotropica. Generalmente queste strutture si presentano a latitudini tropicali dove talvolta aree di bassa pressione mostrano una S-shaped pattern nel cuore dell’area ciclonica (Hurricane Howard, 1998). Recentemente, a causa del cambiamento climatico in atto nel Mediterraneo ed in altre aree del pianeta Terra, stiamo assistendo ad una migrazione verso nord di configurazioni bariche tipicamente tropicali. Questa condizione

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se pur drammatica costituisce un’opportunità di studio per morfologie complesse caratterizzate da instabilità barotropica. Infatti, l’area delle medie latitudini dispone di un sistema di osservazioni meteo che consente di monitorare senza soluzione di continuità fenomeni a diversa scala temporale e spaziale. L’area mediterranea, in particolare, grazie all’enorme contributo proveniente dal satellite geostazionario Meteosat SG2 integrato con gli altri sistemi di osservazione, costituisce una delle aree più studiate. Inoltre, le osservazioni satellitari possono essere integrate con tutta una serie di osservazioni al suolo ed in quota che consentono di validarle; queste ultime difficilmente realizzabili a basse latitudini ed in aree oceaniche dove per lo studio dei cicloni tropicali ci si deve affidare unicamente a tecnologie da remote sensing. In questo studio è stato esaminato lo sviluppo di un ciclone Mediterraneo verificatosi in data 08.10.2013 analizzando le analogie con i vortici polari di Venere e Cicloni Tropicali[Piccioni et al., 2007] in relazione alla comune “ barotropic instability ” e “ S-shaped patterns ” (Figura 1).

Fig. 1a - Tipica S-shaped patternosservata

al polo sud di Venere nell’Aprile 2006 nella banda IR a 5.05 !m mediante

strumentazione VIRTIS della sonda Venus Express [Piccioni et al., 2007].

Le caratteristiche luminose mostrano contrastanti valori di radianza che

risultano molto più elevati al centro della configurazione rispetto alla periferia.

Elevati valori di radianza sono associati ad alte temperature dovute molto

probabilmente a fenomeni di subsidenza nella bassa atmosfera venusiana.

Fig. 1b - Un'immagine da satellite meteorologico all’infrarosso

dell’uragano Howard [1998]. In evidenza unaS-shaped pattern presente

nell’occhio del cyclone tropicale e costituita da nubi basse e con valori di

temperatura del top più alti rispetto alla nuvolosità circostante. L’uragano Howard presenta le caratteristiche tipiche dei cicloni tropicali anulari, mostrando un occhio ben definito

circondato da un esteso ed alto muro di nubi di forma circolare. Nell’immagine in alto la S-shaped pattern è invertita

rispetto a quella presente nel vortice al polo sud di Venere.

Fig. 1c - Un'immagine di post elaborazione nella banda dell’ infrarosso

a10.8 !m del satellite Meteosat “NEFODINA” per l’individuazione e

valutazione dei Cumulonembi. L’immagine mostra una S-shaped pattern

nell’occhio del ciclone Mediterraneo costituita prevalentemente da nubi

medio-alte. L’area ciclonica presenta un movimento rotatorio antiorario, lo stesso

riscontrato nel vortice al polo sud di Venere e dell’uragano Howard.

La particolarità della struttura risiede nel fatto che non è associata ad un sistema frontale né ad avvezioni di vorticità positiva. L’area depressionaria trae quindi energia essenzialmente dalla superficie del mare che presenta nell’occhio del ciclone temperature superficiali comprese tra 18.0 °C Tirreno settentrionale e 18.8 °C Tirreno centrale come da modello SeaSurface Temperature (SST) del CNMCA. L’SST è un sistema che consente di ottenere la temperatura della superficie del mare mediante tecnologie da remore sensing basandosi sui canali 9 e 10 della banda dell’infrarosso da SEVIRI Radiometer del Meteosat SG. Il sistema viene aggiornato due volte al giorno in corrispondenza delle ore sinottiche principali delle 00:00 UTC e 12:00 UTC. Le temperature rilevate tramite SST risultanomediamente più alte di 1 °C rispetto alle medie climatologiche del periodo di riferimento 1971-2000. Quindi, la struttura per l’intensità dei fenomeni assume le caratteristiche di un Tropical Like Cyclones (TLC) con precipitazioni intense e sviluppo di “mesoscale convective system” alla periferia meridionale e sud orientale della configurazione ciclonica mostrata in Figura 2a. Tuttavia, il vortice ciclonico presenta alcune anomalie bariche rispetto alla intensità dei fenomeni osservati e degli effetti prodotti. In particolare i valori di pressione al suolo mostrati in Figura 2b di 1016 hPa nell’occhio del ciclone e di 1020 hPa alla periferia sono relativamente alti rispetto a quanto osservato in strutture analoghe per l’area mediterranea dove i valori di pressione al centro del vortice normalmente si attestano intorno ai 1000 hPa e con valori rapidamente crescenti verso la periferia del sistema. Il vortice si sviluppa in atmosfera barotropica con isoterme che viaggiano parallelamente alle isoipse (Figura 2c). Quest’ultimacaratteristica è mantenuta costantemente anche nei livelli troposferici superiori dove risulta evidente e ben delineata l’upper level low. L’analogia maggiore però con le morfologie dei cicloni tropicali è costituita

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dall’S- shapestructurepresente nel nucleo centrale. Questadi natura transiente è in rotazione antioraria in linea con il movimento rotatorio ciclonico del vortice. Per l’analisi della S-shapestructure sono state utilizzate le immagini del prodotto di post-processing del CNMCA “ nefoanalisi dinamica Cb detection and stage evalutation ” in grado di osservare lo sviluppo e l’evoluzione di strutture convettive complesse.

Fig. 2a - Meteosat SG IR 10.8 !m 12:00 UTC dell’ 8 Ottobre 2013.

L’immagine mostra il cyclone Mediterraneo nel momento della massima intensità. In evidenza la

formazione di fenomeni convettivi a meso-.scala prevalentemente al margine

sud orientale della configurazione a vortice.

Fig. 2b - Analisi al suolo delle 12:00 UTC del 8 Ottobre 2013.

La carta mostra il centro del vortice indicato con una “ L ” e il campo barico caratterizzato da un debole

gradiente dal quale prende origine il cyclone Mediterraneo. Il valore minimo

di pressione al centro della configurazione di bassa pressione

raggiunge i 1018 hPa; valore molto più alto rispetto a quelli che normalmente

si riscontrano nelle depressioni mediterranee.

Fig. 2c - Analisi in quota 500 hPa con associati campi del vento e

temperature alle 12:00 UTC dell’8 Ottobre 2013.

La configurazione ciclonica si sviluppa in atmosfera barotropica

dove le isoterme sono disposte parallelamente alle isoipse.

Dall’immagine risulta evidente come il vortice ciclonico sia circondato da

un campo di pressioni livellate.

Le immagini della sequenza in Figura 3 mostrano la genesi della S-shape structure costituita da nubi convettive nel cuore del vortice ciclonico. Il top della nuvolosità convettiva nel nucleo centrale misurata mediante post-processingNefodina da Meteosat SG raggiunge la quota di 9.080 m con una cloud top temperature stimata di -44.1 °C.

Fig. 3a - 08:00 UTC Fig. 3b - 08:30 UTC Fig. 3c - 09:00 UTC

Sequenza di immagini, NEFODINA del CNMCA da satellite geostazionario Meteosat SG, mostra lo stage iniziale della formazione di una S-shaped pattern. Il sistema presenta una velocità iniziale di rotazione " = 0.785rad h-1ed in seguito la velocità cala bruscamente durante la fase di maturità a 0.393 radh-1. Le misure

sono state effettuate tenendo conto di un errore medio di 0.17 rad h-1. Conclusioni Le atmosfere planetarie presentano grandi differenze nella dinamica e composizione ma talvolta con analogie in particolari configurazioni come quelle a vortice. Lo studio di configurazioni simili nelle atmosfere planetarie è di fondamentale importanza per numerosi aspetti. In primis, permette di comprendere le dinamiche della circolazione dell’atmosfera in pianeti simili alla Terra ed inoltre ci consente di ipotizzare proiezioni per l’atmosfera terrestre. Infatti, se consideriamo che molto probabilmente nel passato le atmosfere di Venere e Terra non erano molto dissimili e che la quantità totale di CO2 planetaria, tra i principali responsabili dell’effetto serra, è pressoché uguale per entrambi i pianeti anche se diversamente distribuita, possiamo ipotizzare nuovi scenari evolutivi per l’atmosfera terrestre. La presenza e la frequenza di occorrenza di Tropical-likecyclone nell’area Mediterranea sono quindi una drammatica evidenza del cambiamento climatico in atto.

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Bibliografia Sanjay S. Limaye, James P. Kossin, Christopher Rozoff, Giuseppe Piccioni, Dmitry V. Titov, and Wojciech J. Markiewicz (2009), Vortex circulation on Venus: Dynamical similarities with terrestrial hurricanes , Geophysical Research Letters Vol.36. G. Piccioni et al., (2007), South-polar features on Venus similar to those near the north pole, Nature Letters. NEFODINA: a toolforautomatic detection of severe convectivephenomena,Davide MelfiIAFMS, Centro Nazionale di Meteorologia e Climatologia Aeronautica, Rome, Italy MeteoAM.IT: Centro Nazionale di Meteorologia e Climatologia Aeronauticaweb site.

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Progetto di ricerca: La rapida disintegrazione delle lingue glaciali nell'Antartide Orientale ed implicazioni sulle variazioni micro-climatiche

A. Cannito1,2, L. Pompilio1,2, L. Marinangeli1,2

1 Università D’Annunzio, DISPUTer, via dei Vestini 31, 66013 Chieti, Italy, 2 IRSPS, viale Pindaro 42, 65127 Pescara, Italy

Autori di riferimento: ([email protected]), ([email protected]), ([email protected]) Parole chiave: Antartide, ClimateChange, Telerilevamento !

Introduzione Il dibattito sulla questione del recente riscaldamento o del raffreddamento dell'Antartide alimenta, da numerosi anni, la discussione all'interno della comunità scientifica, a causa delle notevoli implicazioni di natura politica, economica e sociale determinate dai cambiamenti climatici (Barker, 2013). Tuttavia, le argomentazioni a favore dell'una o dell'altra tesi non sono esenti da un consistente grado di incertezza. Secondo l’Intergovernmental Panel on ClimateChange vi sono aree dell’Antartide in cui si riscontrano tendenze di lungo periodo che evidenziano un progressivo riscaldamento. Tra le più colpite e studiate citiamo la Penisola Antartica, con lo spettacolare collasso del Larsen B IceShelf che ha rapidamente e drammaticamente ridotto la sua estensione già dal 1998 sconvolgendo gli equilibri glacio-marini di tutta l’area. Tuttavia, vi sono altre aree continentali e costiere che potrebbero presentare la stessa fenomenologia con conseguenti implicazioni a scala locale e globale. Infatti, l’alterazione nella distribuzione ed estensione dei ghiacci marini produce effetti a diversa scala spaziale e temporale, modificando gli equilibri oceano-atmosfera locali e regionali, con effetti sul clima a livello planetario. Attualmente vi sono aree che registrano una riduzione dei ghiacci marini e zone dove si assiste ad un incremento medio del 1% a scapito dei ghiacciai continentali. L'integrazione di serie storiche di dati satellitari e meteorologici acquisiti da stazioni fisse mostra, negli ultimi 50 anni, un progressivo e rapido riscaldamento dell'Antartide, soprattutto della sua porzione Occidentale, (Steig et al., 2009). I risultati di questi studi, condotti a scala regionale e continentale, rivelano importanti implicazioni a scala globale, nel contesto dei cambiamenti climatici (Solomon et al., 2007). D'altra parte, molto meno numerosi nel continente sono gli studi dicarattere locale e micro-climatico, che pure hanno importanti ricadute, in particolare sugli ecosistemi e sulle fenomenologie a scala regionale. Ciò in parte è imputabile alle ovvie difficoltà logistiche e in parte a quelle più strettamente tecnologiche che comunemente si presentano negli studi antartici. In particolare le tecniche di monitoraggiopiù o meno continuo delle variazioni macroscopiche indotte dal riscaldamento sulla calotta glaciale risultano ancora piuttosto poco praticabili, soprattutto in contesti regionali e locali. Questo studio pertanto tenta di affrontare la problematica delle variazioni nella distribuzione e nel bilancio di massa dei ghiacci antartici in una regione, la Baia di Terranova, ancora poco studiata sotto questi aspetti. Sulla Baia di Terranova, infatti, insistono numerose lingue glaciali con terminazioni nel mare di Ross, che non sono monitorate per quanto riguarda le loro variazioni stagionali, annuali e decennali. Esistono alcuni studi che risalgono al 2006 (Frezzotti et al.) e che non hanno visto continuazione. Le variazioni di estensione delle lingue glaciali all'interno della Baia di Terranova sembrano essere legate all'influenza della polynya posta poco più a sud. La polynya è uno specchio di mare libero e costituisce un delicato ecosistema compreso tra la banchisa polare e i ghiacciai Campbell, Nansen e Drygalski. La Polynya di Baia Terra Nova si forma prevalentemente per effetto dei venti catabatici provenienti dall’entroterra. Una variazione delle distribuzioni areali e degli equilibri tra ghiacci marini e lingue glaciali galleggianti (che potrebbero essersi intensificate nell'ultimo decennio a causa del riscaldamento globale) potrebbe avere conseguenze sull’intero ecosistema dell’area del Mare di Ross Orientale. Pertanto, il presente studio si propone di:

• monitorare le variazioni volumetriche del ghiacciaio Campbell (Baia di Terranova, fig. 1) negli ultimi decenni;

• evidenziare le relazioni tra queste variazioni e le caratteristiche della polynya; • verificare gli effetti micro-climatici che queste variazioni hanno a scala regionale all'interno della Baia di

Terranova.

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Fig.1 - Mappa del continente Antartico, realizzata dal’ USGS. Nel riquadro in rosso l’area oggetto di studio.!!Approccio allo studio L'approccio scientifico allo studio del Campbell si configura come un esempio di best practicenella integrazione di dati di varia tipologia e risoluzione, allo scopo di fornirel'accurata ricostruzione delle variazioni in volume del ghiacciaio negli ultimi decenni, con particolare attenzione alle variazioni stagionali, e alle conseguenti ripercussionisull'evoluzione climatico/meteorologica all'interno della Baia di Terranova. Dal punto di vista metodologico, lo studio investigherà due aspetti principali:

1. la ricostruzione delle variazioni spaziali del ghiacciaio Campbell negli ultimi due decenni, attraverso il monitoraggio effettuato da satelliti ad alta frequenza temporale risoluzione spaziale (Landsat, Modis e Cosmo SKYMed);

2. l'analisi dell'impatto della rapida disintegrazione del ghiacciaio Campbell sugli equilibri microclimatici all'interno della Baia di Terra Nova (BT) e più in generale nel Mare di Ross, attraverso lo studio delle serie di dati meterologici disponibili (stazioni dell’Osservatorio Meteo-Climatologico Antartico del Programma Nazionale ricerche in Antartide) e la loro correlazione con le osservazioni satellitari.

Un terzo aspetto che si vorrebbe valutare, compatibilmente con le risorse finanziarie, è la messa in opera e test in situ di tecnologie per il rilievo topografico e monitoraggio in continuo delle variazioni di massa del ghiacciaio nel tempo. Il Campbell ha un'estensione areale di circa 500 km2. Il DEM del continente antartico di riferimento è stato realizzato utilizzando l'intera copertura disponibile di dati ERS-1 e ICESat, con passo 1 km (Bamber et al., 2009). La risoluzione spaziale di questo strumento non è però sufficiente a condurre studi di dettaglio su singole lingue glaciali. Pertanto, si vorrebbe realizzare un rilievotopograficodella lingua glaciale attraverso scansione LIDAR da imbarcazione, e misure accurate con strumentazione tacheometrica e GPS da postazioni fisse, della parte frontale terminale della lingua glaciale e in contemporanea, da piattaforma aerea e satellitare, per la ricostruzione della topografia complessiva del ghiacciaio. Una strumentazione fotografica per riprese stereoscopiche in time-lapse che consentirebbe anche il monitoraggio in continuo delle variazioni volumetriche. Questo approccio permetterebbe una valutazione più rigorosa e puntuale delle variazioni volumetriche del ghiacciaio nel tempo, a partire dal presente, attraverso:

a) rendering digitale di dettaglio centimetrico della morfologia della lingua glaciale e delle sue variazioni; b) determinazione della posizione attuale della parte terminale della lingua glaciale e del volume; c) aggiornamento della cartografia esistente; d) rilievo fotografico in Infrarosso che permetterà lo studio e la mappatura delle facies nivali e dello stato

del ghiaccio. Poiché l'evoluzione del ghiacciaio Campbell influenza il contesto climatico/meteorologico della Baia di Terranova, il monitoraggio della dinamica glaciale nel corso degli anni, e la contestuale correlazione con le variazioni micro-climatiche nell'area, fornirà un notevole impulso alla comprensione delle dinamiche del clima e dei suoi effetti a scala locale nelle ultime decadi. Inoltre, l’approccio multidisciplinare allo studio consentirà di realizzare un modello concettuale applicabile a contesti simili (Penisola Antartica, Svalbard). In particolare, la possibilità di correlare i fenomeni di Rapida Disintegrazione Glaciale del Campbell con i dati meteorologici

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acquisiti dalle stazioni presenti nella BT e nella Penisola Antartica aumenterà la nostra comprensione dei fenomeni climatici a scala continentale. Particolare enfasi sarà posta nell’utilizzo di dati da remote sensing utilizzando le immagini di archivio Landsat che permetteranno di valutare l’evoluzione della lingua glaciale nell’arco temporale di oltre 40 anni.

Fig. 2 - L’immagine (fonte: Google Earth) mostra l’area di estensione del Ghiacciaio Campbell (riquadro in rosso). La lingua glaciale termina nel Mare di Ross nei pressi della Baia Terra Nova, Antartide Orientale. La fronte del Campbell si protende nella banchisa costituita prevalentemente da ghiaccio giovane.

In evidenza nella parte bassa dell’immagine in scuro il tratto di mare aperto circondato da ghiacci costituente la Polynya di Baia Terra Nova al largo del Mare di Ross.

Bibliografia Gareth Rees W,(2006) Remote Sensing of snow and ice, Cambridge University England; Mitrovica J. X., (2002)Ice Sheets, Sea Level and the Dynamic Earth, American Geophysical Union Washington,DC; Anderson J.B.,(1999) Antarctic Marine Geology, Cambridge University Press; Bentley C.R.,(1990) Glaciological Studies on the Ross Ice Shelf, Antarctica, 1973-1978, American Geophysical Union; Bamber, J.L., Gomez-Dans, J.L., Griggs, J.A. (2009) A new 1 km digital elevation model of theAntarctic derived from combined satellite radar and laser data – Part 1: Data and methods, TheCryosphere, 3, 101-111; Barker, G. (2013) Climate and people; science and story-telling, Holocene Climate Change Conference, 4-5 April 2013, London; Eiken, T., Sund M. (2012) Photogrammetric methods applied to Svalbard glaciers: accuracies and challenges, Polar Research, 31, 1-16; Harrison, W. D., Echelmeyer, K. A., Cosgrove, D. M., Raymond, C. F. (1992) The determination of glacier speed by time-lapse photography under unfavourable conditions, Journal of Glaciology,38(129), 257-265; Solomon, S., Qin, D., Manning M., Chen Z., Marquis, M., Averyt, K.B., Tignor, M., Miller, H.L. (eds.) Contribution of Working Group I to the Fourth Assessment Report of the Intergovernmental Panel on Climatic Change, 2007, Cambridge University Press, Cambridge. Steig, E.J., Schneider D.P., Rutherford S.D., Mann M.E., Comiso J.C., Shindell D.T. (2009) Warming of the Antarctic ice-sheet surface since the 1957 International Geophysical Year, Nature, 457, 459–462; Vaughan, D.G., Marshall, G.J., Connolley, W.M., Parkinson, C., Mulvaney, R., Hodgson, D.A., King, J.C., Pudsey, C.J., Turner, J. (2003) Recent rapid regional climate warming on the Antarctic Peninsula, Climatic Change, 60, 243-274; Whitehead, K., Moorman, B., Wainstein, P., Habib, A. (2010) Monitoring rapidly evolving landscapes features using ground-based time-lapse photography: A case study for a proglacial icing, The 2010 Canadian Geomatics Conference and Symposium of Commission, Volume XXXVIII, Part I, Conf. Proceedings. Baroni C. et al., (1992) Valutazione dei parametri dinamici del ghiacciaio Strandline (Baia Terra Nova, Antartide); Baroni C. et al., (2004)A new Holocene relative sea-level curve for Terra Nova Bay, Victoria Land, Antarctica, Quaternary Science;!

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Processi eolici e morfologia delle dune nei deserti del Gobi BadainJarain con l’analisi dei dati Landsat

Marco Cardinale1, Arturo Cannito1, Lucia Marinangeli1

1Laboratorio di Telerilevamento e Planetologia,

Dipartimento di Scienze Psicologiche, Umanistiche e del Territorio, Università degli Studi “G.D’Annunzio”, Chieti. Italy.

Autore di riferimento: Marco Cardinale Email: [email protected] Parole chiave: processi eolici, dune, barcane, deserti, analisi satellitare, regimi di vento. Introduzione I deserti del Gobi e del BadainJaran sono parti di un vasto erg della regione di Alashan, uno dei più grandi deserti della Cina [1]. Sono situati nella zona di confine tra il sud della Mongolia e il nord della Cina (latitudine 37° 06’N - 41°50’N; longitudine 99°10’E - 107°09’E) [2] (Fig.1) e al suo interno sono state identificate e classificate varie morfologie eoliche. Durante il periodo che va dalla fine dell’estate agli inizi della primavera, queste aree continentali presentano un clima desertico regolato dal vasto anticiclone siberiano. !

Fig.1 - Localizzazione dell'area tramite dati SRTM Nel corso dell’estate si verifica il periodo più alto di giorni con presenza di pioggia con un totale annuo che però raggiunge i soli 60 mm/m2; di conseguenza, l’area investigata risulta essere una delle più aride del pianeta. Queste zone aride per l’assenza di precipitazioni sufficienti a sviluppare una discreta copertura arborea risultano dominate essenzialmente dai venti. La circolazione atmosferica, negli strati troposferici più prossimi al suolo, grazie ai forti gradienti di pressione determina lo sviluppo di un’intensi flussi di vento che costituiscono il principale agente responsabile dell’evoluzione delle morfologie superficiali.Nell’area in esame sono state identificate e classificate morfologie eoliche (dune) dune semplici e complesse; sono state analizzate immagini multi temporali LandSat che hanno permesso di identificare zone in cui c’è stata la migrazione delle dune e si è cercato di mettere in relazione le dune con modelli matematici dell’atmosfera.!La nostra indagine morfologica (eseguita con dati satellitari LandSat 8) evidenzia come una parte importante della storia geomorfologica dei deserti del Gobi e del BadainJaran sia stata e continua ad essere dominata dall’azione del vento che ha portato alla formazione di diversi tipi di dune. Metodologie È stata creata una carta geomorfologica dei deserti del Gobi e del BadainJaranin cui vengono evidenziate le varie unità eoliche (Fig.2). A questo scopo le immagini satellitari LandSat8 disponibili per l’area di studio sono state processate usando il programma ENVI e integrate in un progetto di cartografia digitale (GIS).I DTMs (risoluzione 30m/pixel) da immagini ASTER[3], sono state selezionate, dal sito dell’Agenzia spaziale giapponese e processate. I dati meteo sono stati ottenuti dall’archivio del sito dell’ARL’s del NOOA (National Oceanic and Atmospheric Administration).

Fig" 2 - Carta geomorfologica delle morfologie eoliche

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Analisi delle morfologie eoliche dei dati satellitari Come in altre zone sulla superficie terrestre diversi tipi di morfologie eoliche sono state osservate nell’area di studio. Le dune che si sono accumulate nel Plateau dell’Alxa, formano un esteso sistema di trasporto eolico (~ 45000 km2) che si evolve sotto l’influenza di un regime di vento complesso controllato dalla topografia della zona. Le dune si sono accumulate in ergs e sono state classificate usando i criteri di McKee (1979) [1] in barcane, barcanoidi, dune a stella, lineari, e morfologie complesse. Gli streaks, i sandsheets e le morfologie a barcana mettono in comunicazione i diversi ergs mettendo in evidenza i vari sistemi di trasporto della sabbia. La migrazione delle dune a barcane è stata stimata tramite le immagini multi temporali LandSat8, nell’arco temporale di un anno è stato stimato uno spostamento di ~ 5m delle slip face delle barcane all’interno di valli ( ne sono stati stati presi in esame 2) che mettono in comunicazione i vari ergs. Le mega dune compound cosi come le dune si sono sviluppate con un regime di vento variabile; le dune a stella localizzate vicino la zona montuosa a nord dell’area di studio si sono formate secondo un regime di vento multi direzionale. L’area in cui sono state localizzate le mega dune indica che queste morfologie si sono formate da regimi di vento complessi; dall’ analisi dei DTMs, queste morfologie possono raggiungere un altezza di ~200m e nella zona di interduna sono stati localizzate piccole forme lacustri. Dall’analisi delle diverse immagini, si evince che queste mega dune siano fisse, cementate, l’altezza di queste morfologie può essere spiegata dai vari episodi di deposizione, erosione e migrazione dei sedimenti che hanno formato queste mega strutture. Analisi dei dati meteo In questo studio a causa della mancanza di stazioni meteorologiche e dati climatologici disponibili sull’area, sono stati utilizzati i dati da modello matematico ottenuti dall’archivio ARL's del NOOA. In particolare, il modello di analisi numerica utilizzato lavora a scala globale con runtime di 6 ore e consente il downscaling sull’area interessata. Sono state analizzate le configurazioni sinottiche principali allo scopo di definire i principali campi di pressione e dei venti predominanti per comprendere se questi sono concordi con le attuali morfologieeoliche. Tra i vari prodotti di elaborazione grafica e testuale è stata data particolare enfasi ai campi di pressione e cosiddetti “windflags”. Grazie a metodi di sovraimpressione dei campi è stato ottenuto un modello congiunto in grado di rappresentare contestualmente intensità e direzioni dei venti quali funzione dei campi barici presenti.

Fig.3 - Esempio di layout da modello atmosferico La Fig.3 rappresenta un esempio di elaborazione, la GDAS1 MAP usata per le analisi statistiche con una subgridmap di 10° centrata nel punto di coordinate 41°41.664' Lat Nord e 101°47.769' Long Est. In evidenza il forte gradiente di pressione specialmente nel settore sud orientale della carta con picco massimo di 1036 hPa. Discussioni L’identificazione di vari tipi di dune presenti nell’area di studio suggerisce che diversi episodi di erosione e deposizione eolica sono avvenuti nel deserto del Gobi e del BadainJaran: Le dune a barcana all’interno delle valli che mettono in comunicazione i vari ergs sono forme attive e rappresentano gli ultimi episodi di costruzione eolica mentre le mega dune, forme fisse e quasi cementate sono da attribuire a episodi più antichi. Attualmente è in atto uno studio dei dati mineralogici dell’area da immaginimulti spettrali per discriminare la mineralogia delle varie morfologie eoliche e da questo cercare di identificare la zona sorgente dei sedimenti che ha formato le dune del Gobi e del BadainJaran. Bibliografia [1] E. D.McKee. (1979) A Study of Global Sand Sea. [2] Yang, X. (2000) Chinese Science Bulletin 46, pp 6-11,. [3] Aster GDem Project Site. [4] NOOA on line archive site.Sharon E. [2] Nicholson, (2011) Dryland Climatology, Cambridge University Press, New York.

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Approccio object-oriented applicato all’urbanistica per la classificazione dei tessuti urbani

Matteo Corvi1, Elena Candigliota2, Francesco Immordino2, Valentina Orioli3

1 Università di Bologna – Alma Mater Studiorum, laureando in Architettura

2 ENEA, UTSISM Unità Tecnica di Ingegneria sismica, Via Martiri di Monte Sole 4, 40129 Bologna 3 Università di Bologna – Alma Mater Studiorum, Dipartimento di Architettura

Autore di riferimento: [email protected] Parole chiave:!classificazione object-oriented, urbanistica, forme insediative, tessuti urbani. Introduzione Il lavoro si propone di applicare le recenti tecnologie geomatiche di image processing all’analisi urbanistica, al fine di realizzare procedure automatizzate di classificazione su scala territoriale delle forme insediative. A tal fine sono state processate immagini fotogrammetriche RGB ad alta definizione mediante algoritmi di classificazione object-oriented che permettono di ottenere tematismi di elevato dettaglio in contesti urbani difficilmente classificabili con metodologie pixel oriented. Diversi autori hanno evidenziato le opportunità del metodo nel superare i problemi associati alla maggiore variabilità spettrale su immagini ad elevata risoluzione geometrica ed inserire le proprietà geometriche e spettrali degli oggetti nei processi di classificazione (Meinel et al. 2001). La procedura object-oriented utilizza una metodologia di classificazione per segmentazione multirisoluzione che permette di espandere le informazioni di base spettrali e tessiturali in livelli gerarchici di classificazione.

Figura 1 - Individuazione del centro storico tramite feature di prossimità.

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Analisi object-oriented applicata all’urbanistica Nell’ambito dell’analisi delle tipologie insediative, finalizzata al controllo delle trasformazioni urbane, emerge come elemento di criticità la scarsità di definizioni rigorose e quantitative che possano integrare l’attuale approccio prevalentemente descrittivo, e di conseguenza arbitrario, alla classificazione morfologica del territorio antropizzato. Una possibile soluzione all’attuale mancanza di un metodo di classificazione rigoroso può essere individuata nell’analisi object-oriented di immagini telerilevate, metodo che permette di effettuare valutazioni numeriche e statistiche, quindi oggettive, delle caratteristiche spettrali, geometriche e di prossimità degli oggetti al suolo. Approccio metodologico Lo studio si avvale come base di lavoro di ortofoto AGEA in combinazione con il database topografico della regione Emilia-Romagna relativamente alle informazioni vettoriali su fabbricati, maglia stradale e rete ferroviaria. Questi dati sono quindi processati in ambiente eCognition mediante algoritmi di segmentazione e classificazione al fine di ottenere una suddivisione dei sistemi insediativi nelle componenti morfologiche e funzionali principali (centri storici, insediamenti diffusi, distretti industriali, verde periurbano, ecc.). I risultati ottenuti sull’area pilota corrispondente alla fascia urbanizzata Forlì-Cesena saranno poi validati sulle altre aree fortemente infrastrutturate della regione Emilia-Romagna.

Figura 2 - Classificazione preliminare del tessuto urbano per impianto planimetrico dei fabbricati.

Bibliografia Chirici G., Corona P., Travaglini D. (2003), Sperimentazione di tecniche di classificazione object oriented di immagini QuickBird ai fini forestali. L’Italia forestale e montana, 4:231-250. Guo Q., Kelly M., Gong P., Liu D. (2007), “An object-based classification approach in mapping tree mortality using high spatial resolution imagery”, in GIScience & Remote Sensing, 444: 24-47 Dainelli N. (2011), L’osservazione della Terra. Telerilevamento – Manuale teorico-pratico per l’elaborazione delle immagini digitali, Dario Flaccovio Editore, Palermo. Gabellini P. (2010), Fare urbanistica. Esperienze, comunicazione, memoria. Carocci editore, Rome. pp. 193. Lanzani A., Alì A., Gambino D., Gambino D., Longo A., Moro A., Novak Christian., Zanfi F. (2013), Quando l’autostrada non basta. Infrastrutture, paesaggio e urbanistica nel territorio pedemontano lombardo. Quodlibet edizioni, Macerata. Pp. 255. Meinel G., Neubert M., Reder J. (2001), The potential use of very high resolution satellite data for urban areas–first experiences with Ikonos data, their classification and application in urban planning and environmental monitoring. Remote Sensing of urban areas/Fernerkundung in urbanen Räumen, Regensburg, Jürgens Carsten. Tzotsos A., Argialas D. (2006), MSEG: A generic region-based multi-scale image segmentation algorithm for remote sensing imagery. ASPRS Annual Conference, Reno, Nevada, 1-5 maggio.

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Rilievo e documentazione di un centro storico tramite tecniche di telerivamento

Donatella Dominici1, Maria Alicandro1, Michail Elaiopoulos1,

Vincenzo Massimi1, Elisa Rosciano1

1Università degli Studi dell’aquila - Dipartimento di Ingegneria Civile, Edile - Architettura ed Ambientale DICEAA, via Gronchi, 18, 67100 - L’Aquila, Italia - [email protected]

Parole chiave:!telerilevamento, UAV, fotogrammetria, laser scanner. Abstract A seguito di un evento calamitoso risulta fondamentale un'analisi accurata e immediata dell'area colpita dall'evento. In queste situazioni è spesso difficile operare direttamente sul campo e soprattutto in condizioni di sicurezza tramite strumenti di rilievo tradizionali. L'impiego di piattaforme UAV, integrate con diversi sensori, può rappresentare una valida soluzione per superare tali difficoltà. Si pensi ad esempio al rilievo di una torre alta 40 metri dopo un evento sismico; è importante valutarne lo stato di sicurezza e spesso con metodi tradizionali (Laser a scansione, fotogrammetria terrestre, stazione totale) la maggior parte dei dettagli possono risultare difficilmente rilevabili o addirittura completamente nascosti. In questo lavoro si presentano risultati ottenuti tramite rilievi integrati effettuati nel centro storico aquilano tramite tecniche di fotogrammetria di prossimità elaborate tramite l’utilizzo di vari software fotogrammetrici dedicati.

Bibliografia “Documenting monuments - State of the art geomatic techniques for an accurate and complete documentation of the built heritage” D.Dominici, E.Rosciano, M. Alicandro, M. Elaiopoulos, V. Massimi. 2013, Coordinates October 2013. Vol. IX, Issue 10, October 2013. ISSN 0973-2136. “Micro Uav for post seismic hazards surveying in old city center of L’Aquila” Donatella DOMINICI, Alessandro ZAVINO, Maria ALICANDRO, Michail ELAIOPOULOS, Valerio Baiocchi. 2012, Proceedings FIG 2012. Roma. ISBN 97887-90907-98-3. Karl Kraus (1994), Fotogrammetria 4th edition Traduzione italiana Prof. Sergio DEQUAL – Politecnico di Torino Cap 3. Pag. 147 – 153. UAV PHOTOGRAMMETRY FOR MAPPING AND 3D MODELING – CURRENT STATUS AND FUTURE PERSPECTIVES - F. Remondino, L. Barazzetti, F. Nex, M. Scaioni, D. Sarazzi. UAV-g 2011, Conference on Unmanned Aerial Vehicle in Geomatics, Zurich, Switzerland.

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Analisi di correlazione tra NDVI da Landsat e dinamiche di movimento spaziale di una popolazione di stambecco alpino (Capra ibex)

Marco Dubbini1, Maria A. Parraga1, Enrico Stuaro1, Maurizio Ramanzin1, Francesco Pirotti2

1 DAFNAE Department of Agronomy Food Natural Resources Animal and Environment,

Università degli Studi di Padova, viale dell’Università 16, 35020 Legnaro (PD) 2 CIRGEO Interdepartmental Research Center of Geomatics, Università degli Studi di Padova,

viale dell’Università 16, 35020 Legnaro (PD) Autore di riferimento: Email: [email protected] Parole chiave: NDVI; Landsat; Introduzione L’obiettivo del lavoro è di verificare se e come lo spostamento di un gruppo di femmine di stambecco (Capra ibex) sia correlato con l’NDVI (Normalized Difference Vegetation Index), un indicatore dell’attività fotosintetica delle piante. Si può ottenere da immagini satellitari avendo lo spettro del rosso e del vicino infrarosso. Il risultato può variare da -1 a 1 e generalmente valori prossimi ad 1 indicano un’alta attività foto sintetica (valori sotto lo zero non hanno valenza ecologica). L’NDVI è stato ampiamente usato per verificare la distribuzione e densità di specie animali, ma recentemente è stato anche preso in considerazione per studiare possibili correlazioni con il comportamento (spostamento) di tali specie. Il materiale di cui si avvale lo studio sono immagini satellitari prese dal sito EarthExplorer dell’agenzia governativa statunitense USGS. L’area di studio fa riferimento al gruppo montuoso della Marmolada ed il periodo di studio va da ottobre 2010 a settembre 2013, periodo in cui sono stati rilevati gli spostamenti degli stambecchi tramite radio collare. I problemi riscontrati in questa fase riguardano soprattutto la raccolta delle immagini satellitari, poiché il satellite L8 copre solo l’anno 2013 e L5 sembra non essere disponibile nel 2012 (il satellite L6 non è mai stato operativo e l’L7 ha problemi al sensore dal 2003). Altri problemi che ne limitano l’utilizzo sono la copertura nuvolosa e la mancata disponibilità di immagini per ogni mese.

Fig. 1 - Set di dati indicanti le posizioni degli animali riportate sull’immagine Landsat di riferimento

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Il metodo di lavoro è il seguente: (i) ritaglio della nostra area studio dalle immagini satellitari raccolte; (ii) correzione radiometrica utilizzando il metodo delle time-invariant features (Moran et al., 1992) per compensare le differenze di riflettanza dovuti da fattori atmosferici, topografici e legati al sensore; (iii) produzione delle mappe NDVI per tutte le immagini disponibili; (iv) analisi statistica per verificare l’effettiva correlazione tra i dati spaziali degli stambecchi i valori NDVI. Queste operazioni sono effettuate con l’utilizzo esclusivamente di pacchetti software Open Source (QGIS, SAGA). I risultati di questo genere di studi possono aprire delle interessanti possibilità per quanto riguarda la gestione della fauna, sarebbe infatti possibile ipotizzare un modello che preveda lo spostamento delle varie specie in base alla stima della disponibilità di cibo mediante un modello che utilizza le informazioni di NDVI o indici di vegetazione simili. Bibliografia Moran M. S., Jackson R. D., Slater P. N., Teillet P. M. ( 1992) - Evaluation of simplified procedures for retrieval of land surface reflectance factors from satellite sensor output Remote sensing of Environment, 41: 160-184.

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Potenzialità di COSMO - SkyMed® per il monitoraggio di colture agricole

Rocchina Guarini1, Federica Segalini1, Giovanni Mastronardi2, Claudia Notarnicola3, Francesco Vuolo4, Luigi Dini1

1 Agenzia Spaziale Italiana, C.daTerlecchia s.n.c., 75100 - Matera, Italia

2 Politecnico di Bari, Via Edoardo Orabona 4, 70126 - Bari, Italia 3 EURAC Research, Viale Druso 1, 39100 - Bolzano, Italia

4 University of Natural Resourses and Life Sciences, Peter-Jordan-StraBe 82, 1190 - Vienna, Austria

Autore di riferimento: Email: [email protected] Parole chiave: SAR (Radar ad aperture sintetica); banda X; COSMO-SkyMed (CSK); parametri della vegetazione; Indice di Area Fogliare (LAI). !

Negli ultimi anni la disponibilità di dati SAR (Radar ad aperture sintetica) in banda X (lunghezza d’onda 3.1 cm) è aumentatanotevolmente, in particolare in seguito al lancio di satelliti di nuova generazione (e.g. TerraSAR-X and COSMO-SkyMed®, or CSK®). Grazie alla capacità di questi sistemi di operare senza subire l’influenza del fattore atmosferico e dell’illuminazione solare, essi rappresentano buone opportunità per portare un contributo al monitoraggio dei parametri dellavegetazione [1] [2] [3] [4]. Lo scopo di questo studio è duplice: analizzare le potenzialità di COSMO-SkyMed®, in primo luogo, per identificare cambiamenti strutturali delle diverse colture su una superficie agricola e, dall'altro, per stimare l’Indice di Area Fogliare (LAI), che è uno dei parametri fondamentali che caratterizzano la crescita della vegetazione. Un’unica e fitta serie temporale di immagini COSMO-SkyMed® è stata acquisita sulla regione di Marchfeld, in Austria (lat/long 48°14’23”N; 16°37’24”E) da giugno a novembre 2013. Le scene sono state acquisite sia in configurazione ascendente che discendente, a diversi angoli di incidenza (20°,30° e 50°), e in due diverse modalità di acquisizioni:modalità StripMapPingPong doppia polarizzazione (pol. VV-VH, @~15m di risoluzione a terra), e modalità StripMapHimage singola polarizzazione (pol. HH, VV e VH, @~3m di risoluzione a terra) per un totale di settantadue scene. Un dataset di nove immagini ottiche (sei Deimos-1 e una Landsat-8) è stato inoltre acquisitoperlo stesso periodo delle acquisizioni CSK®. Sull’area di studio sono state derivate mappe LAI e NDVIche sono state utilizzate per classificare le specie coltivate nella zona e per individuare le relazionetra il backscattering (!0) in banda X e il LAI, e il backscattering (sigma naught, !0) in banda X e l’NDVI. Per l'analisi finale sono stati utilizzati anche dati di precipitazione giornaliera, registrati in due stazioni meteorologiche situate nei pressi del sito test e informazioni di verità a terra, forniti dagli agricoltori locali Dalle mappe multi-temporali di LAI e NDVI è stata ricavata una classificazione. Sono state classificate dieci colture differenti: carota, patata, erba medica, mais, soia, piselli, colture invernali, barbabietola da zucchero, cucurbitacee, colture estive. L'analisi è stata condotta sulle diverse specie presenti sull'area studiata e sui singoli campi della singola coltura. Dati giornalieri di precipitazioni sono stati acquisiti da una stazione meteorologica all'interno della zona interessata da questo studio. La piovosità varia tra 15 mm/giorno e pochi mm/giorni, e solo i dati acquisiti negli ultimi 10 giorni di agosto sono completamente privi di precipitazioni. Nel presente lavoro verrà mostrata l'analisi della firma temporale (!0) delle diverse colture su campi più grandi (cioè con pixel >30), insieme ad una analisi di correlazione tra backscattering e LAI, sia per i dati StripMapHimageche StripMapPingPong. A titolo di esempio si riporta di seguito l’analisi del comportamento del !0 calcolato per l’erba medica (Alpha alpha) in relazione alle variazioni di NDVI (Figura 1). Relativamente all’intero periodo di osservazione, considerando singolarmente i dati di !0 acquisiti in modalità StripMapHimage e StripMap PingPong edivisi per le singole polarizzazioni, HH, VV e VH, è stata osservata una scarsa correlazione con l’NDVI. Una buona relazione lineare tra il !0 e l’NDVI (R2 = 0.6989) può essere, invece, osservata quando tutti i dati di !0 delle singole polarizzazione si riportano in rapporto all’NDVI (Figura 1),escludendo dall’analisi i !0 relativi alle date per le quali sono stati registrati eventi significativi di precipitazioni.

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Figura 1 - Relazione tra sigma naught !0 (asse delle ordinate) e NDVI (asse delle ascisse) per l’erba medica. Il !0 è relativo a dati acquisiti da satelliti COSMO-SkyMed in modalità StripMapHimage e StripMap PingPong nel

periodo giugno-settembre 2013. Sono stati esclusi i giorni per i quali sono stati registrati eventi piovosi. Da un ‘analisi preliminare si può concludere che: • Solo sistemi satellitari, con un tempo di rivisitazione alto, sono potenzialmente in grado di individuare cambiamenti all’interno di un ciclo fenologico per singole colture; • Il backscattering dipende dalle dimensioni delle parti delle piante e dalla loro disposizione spaziale; • Come è stato trovato in studi precedenti a frequenze diverse dalla banda X,il !0 è correlatopositivamente con il LAI per le specie a foglia larga, mentre è correlato negativamente per specie con foglie strette [5] [6]; • i valori di !0 sono influenzati da episodi di forte pioggia e dalla quantità di precipitazioni che si verificano prima e durante le acquisizioni SAR. Il lavoro futuro consisterà nell’acquisire un dataset ancora più denso di immagini CSK® sulla stessa area, per l’intera stagione 2014. Sarà condotta un'analisi di diversi indici di vegetazione radar su base empirica, sfruttando le proprietà di dati angolari e polarimetrici del sistema. !

Ringraziamenti Questo lavoro viene svolto nell'ambito del progetto AGRICIDOT utilizzando dati CSK ®, © ASI (Agenzia Spaziale Italiana), consegnati nell'ambito di una licenza d'uso ASI. Bibliografia [1] Le Toan T., Laur H.,Mougin E. (1989) - Multitemporal and dual polarization observations of agricultural vegetation

covers by X-band SAR images, IEEE Transactions of Geoscience and Remote Sensing , 27: 709-718. [2] Jiao X., McNairn H., Shang J., Liu J. (2010)- The sensivity of multi-frequency (X,C and L-Band) Radar Backscatter

Signature to Bio-Physical variables (LAI) over Corn and Soyabean Fields, 100 Year IPRS, Vol. 38 part 7B. [3] Baghdadi N., Cresson R., Todoroff R.,Moinet S. (2010) - Multitemporal Observations of Sugarcane by TerraSAR-X”,

Sensors, 10: 8899-8919. [4] Fontanelli G., Paloscia S., Zribi M., Chahbi A. (2013)- Sensitivity analysis of X-band SAR to wheat and barley leaf area

index in the Merguellil Basin, Remote Sensing Letters, 5: 1107-1116. [5] Macelloni G., Paloscia S., Pampaloni P., Marliani F., Gai M. (2001) -The relationship Between the Backscattering

coefficient and the Biomass of Narrow and Broad Leaf Crops, IEEE Transactions of Geoscience and Remote Sensing, 39. [6] Fontanelli G., Paloscia S., Pampaloni P., Pettinato S., Santi E., Montomoli F., Brogioni M.,Macelloni G., (2013) -

HydroCosmo: The Monitoring of Hydrological Parameters on Agricoltural areas by Using Cosmo-SkyMed Images”, European Journal of Remote Sensing, 46: 875-889,.

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Classificazione object-oriented di categorie di uso/copertura del suolo sulla base di dati ALS

G. Lopez 1, M. Mura1, G. Chirici1, M. Marchetti1

1 Dipartimento di Bioscienze e Territorio, Università degli Studi del Molise, Contrada Fonte Lappone, snc, 86090 – Pesche (IS), Italia

Autore di riferimento: Matteo Mura: [email protected] Parole chiave: Segmentazione, Airborne Laser Scanning, LiDAR, Classificazione object-oriented, LULC Introduzione La capacità dei dati ALS (Airborne Laser Scanning) di rilevare in maniera diretta misure ipsometriche assolute e relative, si è rilevata particolarmente valida per la stima di variabili quantitative, quali ed esempio biomassa e provvigione in ecosistemi forestali (Nasset, 1997) o per volumi di movimento di suolo nella progettazione di strade (Coulter et al., 2002, Contreras et al., 2012). Alcune esperienze dimostrano inoltre come tale informazione possa essere utile anche da un punto di vista qualitativo, precisamente nella classificazione delle forme di uso/copertura del suolo, come in zone boscate (deKok et al, 1999), o nell’individuazione di strade ed edifici in ambienti antropizzati (Hofmann, 2001). Ciò nonostante queste applicazioni risultano relativamente meno esplorate e con ampi margini di miglioramento rispetto ai risultati fin qui ottenuti, soprattutto tramite l’integrazione dei dati ALS con immagini multispettrali. Il presente contributo ha lo scopo di illustrare una sperimentazione realizzata in un’area di studio nella Regione Molise volta alla messa a punto di un metodo di classificazione supervised delle categorie di uso/copertura del suolo. Il dataset usato è costituito da informazioni multispettrali ottiche (IRS – LISS-III) e da una serie di informazioni derivate da un’acquisizione ALS. Ai fini della classificazione sono state utilizzate tecniche di segmentazione e successiva classificazione object-oriented per sfruttare al massimo le informazioni contenute nel dataset. Il contributo illustra le fasi di pre-elaborazione, gli algoritmi di tipo parametrico e non-parametrico posti a confronto nella sperimentazione e i primi risultati ottenuti. Materiali e metodi L’area di studio è situata in Regione Molise e si estende per circa 36380 ha (Fig. 1), con circa 21437 ha rappresentati da cenosi forestali. Aree agricole, rurali e urbane si estendono per i restanti 14943 ha. Le informazioni multispettrali sono derivate dal sensore LISS-III a bordo del satellite IRS e sono costituite da quattro bande dal verde all’infrarosso vicino con una risoluzione geometrica di 20 m. Il dataset LiDAR è stato opportunamente pre-elaborato per l’eliminazione dei segnali di disturbo ed è stato utilizzato per generare una serie di strati informativi per ogni pixel dell’immagine IRS e contenenti una serie di metriche derivate dai valori ipsometrici relativi e assoluti. La base cartografica di riferimento, assunta come verità a terra, è la carta di uso e copertura del suolo della Regione Molise, derivante da foto-interpretazione e parzialmente modificata per il presente lavoro secondo gli strati delle metriche ALS. Tale carta è stata successivamente rasterizzatta e divisa in training set (70% pixel) per guidare la classificazione supervised e test set (30% pixel) per la valutazione dell’accuratezza tematica tramite Overall Accuracy (OA). Gli strati informativi derivanti dalle 4 bande IRS e i 36 derivanti dalle metriche ALS sono stati sottoposti a segmentazione e successiva classificazione object-oriented utilizzando gli algoritmi Fuzzy ARTMAP (Carpenter et al., 1992), Maximul Likelihood (MAXLIKE), k-Nearest Neighbor (k-NN) e Self Organizing Map (SOM) (Kohonen, 1990). Il procedimento è stato ripetuto per per i dataset singoli IRS e ALS, e sulla loro combinazione (IRS+ALS).

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Fig. 1 - Localizzazione dell’area di studio. Risultati Gli algoritmi di classificazione basati su SOM e Fuzzy ARTMAP hanno dato i risultati migliori quando applicati ai singoli dataset ALS e IRS ma soprattutto sulla combinazione ALS+IRS (OA=50%). Gli algoritmi basati su k-NN e MAXLIKE hanno restituito valori di OA inferiori e compresi tra 25%-30% nel caso dei dataset singoli e sulla loro integrazione. Conclusioni Dalla presente esperienza, seppur presentando risultati preliminari, possono essere tratte alcune importanti conclusioni. Gli algoritmi basati sulle reti neurali (SOM e Fuzzy ARTMAP) consentono di ottenere un’accuratezza maggiore rispetto agli altri modelli, cosi come la combinazione dei dati ALS e multispettrali rispetto ai singoli dataset. Il dato ALS presenta maggiori vantaggi rispetto a quello multispettrale, il quale migliora in maniera modesta la performance derivante dal solo dato laser. Bibliografia Carpenter, G. A., Grossberg, S., Markuzon, N., Reynolds, J. H., & Rosen, D. B. (1992) Fuzzy ARTMAP: a neural network architecture for incremental supervised learning of analog multi-dimensional maps. IEEE Transactions on Neural Networks, 3 (5), 698-713. Contreras M, Aracena P, Chung W. (2012) Improving Accuracy in Earthwork Volume Estimation for Proposed Forest Roads Using a High-Resolution Digital Elevation Model. Croatian Journal of Forest Engineering 33:125-142. Coulter ED, Chung W, Akay AE, Sessions J (2002) Forest road earthwork calculations for linear road segments using a high resolution digital terrain model generated from LIDAR data. In: Proceedings of the first international precision forestry symposium. University of Washington College of Forest Resources, Seattle, WA, USA, pp 125–129. deKok, R., Schneider, T. and Ammer, U. (1999) Object based classification, applications in the alpine forest environment, International Archives of Photogrammetry and Remote Sensing, Vol. 32, No. 7-4-3 W6, 3-4 June, 1999. Hofmann, P. (2001) Detecting buildings and roads from IKONOS data using additional elevation information, Proceedings of GIS – Zeitschrift für Geoinformationssysteme 6/2001, Hüthig GmbH & Co. KG, Heidelberg, pp. 28-33. Kohonen, T. (1990) The self-organizing map. Proceedings of the IEEE, 78 (9), 1464-1480 Nasset E., (1997) Estimating timber volume of forest stands using airborne laser scanner data, Remote Sensing of Environment, 61, pp. 246-253.

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Valutazione della pericolosità d’incendio da dati ottici MODIS mediante il Perpendicular Moisture Index

Carmine Maffei1,2, Fabio Maselli3, Massimo Menenti1

1 Delft University of Technology, Stevinweg 1, 2628CN - Delft, Paesi Bassi

2 MARSec SpA, Contrada Piano Cappelle - Area MUSA, 82100 - Benevento 3 Istituto di Biometeorologia (IBiMet-CNR), Via Madonna del Piano 10, 50019 - Sesto Fiorentino (FI)

Autore di riferimento: [email protected] Parole chiave:!MODIS; Live fuel moisture content (LFMC); Perpendicular Moisture Index; Pericolosità d’incendio; Velocità di propagazione delle fiamme. Introduzione Tra i parametri che influenzano la pericolosità d’incendio, il contenuto d’acqua della vegetazione è il più rilevante, poiché determina la probabilità di accensione e la velocità di propagazione delle fiamme. La comunità scientifica ha sviluppato diversi indici spettrali (Davidson et al., 2006) per la stima del contenuto d’acqua come equivalent water thickness (EWT), ossia come la massa d’acqua nei tessuti per unità di superficie fogliare. Tuttavia, i modelli di propagazione delle fiamme si basano su una diversa misura dell’umidità della vegetazione (Yebra et al., 2013), il live fuel moisture content (LFMC). L’LFMC è definito come il rapporto tra la massa d’acqua contenuta nelle foglie e la massa dei tessuti secchi, e gli indici spettrali sensibili all’EWT non sono altrettanto efficaci nello stimare l’LFMC (Caccamo et al., 2012). Per la stima dell’LFMC è stato recentemente proposto un nuovo indicatore spettrale, il perpendicular moisture index (PMI), basato sui dati MODIS, che ne sfrutta le caratteristiche spettrali per risolvere parte delle limitazioni di cui sono afflitti i tradizionali indici spettrali di umidità (Maffei e Menenti, 2014). Il PMI è una misura diretta dell’LFMC, ma la sua applicazione alla stima della pericolosità d’incendio richiede ulteriori approfondimenti. L’obiettivo di questa ricerca è di comprendere potenzialità e limiti del PMI nel predire la pericolosità d’incendio, ossia di valutare la sua capacità di fornire informazioni rilevanti sugli incendi che si possono verificare in una certa area. Materiali e metodi La ricerca è stata svolta in due regioni italiane: Campania (13595 km2) e Toscana (22994 km2). Per la validazione del PMI sono state utilizzate le schede di più di 7700 incendi registrati tra il 2000 e il 2008 in Campania, e le schede di più di 2300 incendi registrati tra il 2000 e il 2007 in Toscana. Le carte di PMI sono state prodotte a partire dalle immagini di riflettanza MODIS ottenute dal Land Processes Distributed Active Archive Center (LP DAAC) del United States Geological Survey (USGS), e precisamente dai compositi a 8 giorni basati su Terra-MODIS (prodotto MOD09A1, collezione 5). Le carte di PMI sono state mascherate sulle sole aree vegetate sulla base della classificazione CORINE. A ogni incendio è stato associato il valore PMI calcolato nel punto d’innesco nel periodo di composizione precedente a quello in cui si è verificato l’evento. Tale valore è stato poi confrontato con la velocità di propagazione delle fiamme. Questo parametro è stato calcolato dalla dimensione e dalla durata dell’incendio, nell’ipotesi semplificativa di un’area bruciata piana e circolare. Risultati Le carte di PMI mostrano un’evidente tendenza stagionale e una variabilità inter-annuale. La Figura 1 mostra l’esempio di tre carte del 208° giorno (composito dei giorni 201-208) degli anni 2002, 2003 e 2004.

Fig. 1 - Carte di PMI nell’area di studio della Toscana, calcolate da compositi a 8 giorni di riflettanza MODIS

nel 208° giorno degli anni 2002-2004.

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La variabilità spaziale del PMI differisce di anno in anno per il medesimo periodo di composizione. Simili risultati si osservano in ciascun periodo di composizione in entrambe le regioni. La figura 2 mostra tre carte successive di PMI nell’anno 2007. Il PMI mostra l’evoluzione del contenuto d’acqua nella vegetazione col progredire della stagione estiva, verso condizioni di minore LFMC. Simili risultati si osservano in ciascuna stagione secca in entrambe le regioni.

Fig. 2 - Carte di PMI nell’area di studio della Campania, calcolate da compositi a 8 giorni di riflettanza MODIS nelle date del 25 giugno, 3, e 11 luglio 2007.

La velocità di propagazione degli incendi è influenzata da fattori di diversa natura, quali topografia, tipo di vegetazione, densità, venti, azioni di contrasto, presenza di ostacoli. Per isolare l’effetto del contenuto d’acqua della vegetazione (così come stimato dal PMI) da quello degli altri fattori, i valori di PMI associati agli incendi sono stati suddivisi in intervalli delimitati dai percentili 0, 10, …, 100. All’interno di ciascun intervallo, il valore medio della velocità di propagazione è stato associato al valore mediano del PMI. La Figura 3 mostra una forte correlazione tra PMI e velocità di propagazione: a valori più alti di PMI corrispondono valori più bassi della velocità di propagazione delle fiamme, così come ci si aspetta in condizioni di maggiore contenuto d’acqua nella vegetazione.

Fig. 3 - Relazione tra velocità di propagazione media e PMI, calcolata da compositi a 8 giorni di dati MODIS

e dai dati contenuti nelle schede incendio. Ringraziamenti Siamo grati all’Ispettorato Generale del Corpo Forestale dello Stato e alla Regione Toscana per aver messo a disposizione le schede incendio utilizzate in questa ricerca. Bibliografia Caccamo G., Chisholm L. A., Bradstock R. A., Puotinen M. L., Pippen B. G. (2012) Monitoring live fuel moisture content of heathland, shrubland and sclerophyll forest in south-eastern Australia using MODIS data. International Journal of Wildland Fire 21: 257-269. DOI: 10.1071/wf11024. Davidson A., Wang S., Wilmshurst J. (2006) Remote sensing of grassland–shrubland vegetation water content in the shortwave domain. International Journal of Applied Earth Observation and Geoinformation 8: 225-236. DOI: 10.1016/j.jag.2005.10.002. Yebra, M., Dennison P. E., Chuvieco E., Riaño D., Zylstra P., Hunt E. R., Danson F. M., Qi Y., Jurdao S. (2013I) A global review of remote sensing of live fuel moisture content for fire danger assessment: Moving towards operational products. Remote Sensing of Environment 136: 455-68. DOI: 10.1016/j.rse.2013.05.029.

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Il telerilevamento per l'osservazione dei pianeti terrestri

Lucia Marinangeli1,2, Gian Gabriele Ori2,3, Monica Pondrelli2,3, Loredana Pompilio1,2, Antonio Baliva1,2, Goro Komatsu2,3

1 TeleLab-DiSPUTer, Universita' G. d'Annunzio, via Vestini 31, 66013 - Chieti, Italia 2 IRSPS, Universita' G. d'Annunzio, Viale Pindaro 42, 65127 - Pescara, Italia

3 INGEO- Universita' G. d'Annunzio, Viale Pindaro 42, 65127 - Pescara, Italia Autore di riferimento: [email protected] Parole chiave: telerilevamento, geologia planetaria, multispettrale, stereo, radar Introduzione L'esplorazione planetaria ha avuto un forte incremento e sviluppo tecnologico negli ultimi decenni. Basti pensare alle numerose missioni che hanno avuto come obiettivo la caratterizzazione geologica e climatica di Marte, potenziale sito di sviluppo della vita nel passato grazie alle numerose evidenze di presenza di acqua. Le tecniche e i principi interpretativi dei dati delle superfici planetarie sono le stesse utilizzate per l'osservazione della Terra. La possibilità di rilievi (visioni) di tipo globale delle superfici planetarie solo da remoto ha indirizzato e prodotto un grande sviluppo tecnologico sia nelle caratteristiche di sensori passivi che di quelli attivi. In quest'ultimo caso, sotto la leadership italiana, è stata prodotta strumentazione radar in grado di investigare il sottosuolo di Marte. Alcuni esempi di dati acquisiti da satellite nell'esplorazione planetarie vengono mostrati di seguito ed evidenziano le forti analogie tra il telerilevamento per l'osservazione della Terra e degli altri pianeti. Il gruppo di geologia planetaria dell'Università d'Annunzio (Ud'A), in quasi venti anni di attività attraverso la fondazione no-profit IRSPS, ha acquisito un importante know-how sia nell'elaborazione dei dati, sia nelle conoscenze geologico-evolutive dei pianeti di tipo terrestre ed ha avuto un ruolo molto importante nello sviluppo delle scienze planetarie in Italia e in Europa. Il gruppo è inoltre coinvolto nei team scientifici di numerose missioni planetarie dell'ESA e NASA. Una visione multispettrale e tridimensionale Iniziando da filtri abbinati a fotocamere si è passati all'utilizzo sui satelliti di sensori, con risoluzione sempre maggiore, di tipo multispettrale e recentemente iperspettrale. Grazie a questi dati è stato possibile evidenziare regioni a composizione diversa sulle superfici dei pianeti, informazione fondamentale per poter comprendere il livello di differenziazione crostale dei pianeti. Le Figure 1 e 2 mostrano due esempi di ricostruzione a falsi colori di una porzione della superficie di Mercurio e di Marte acquisite con strumentazioni a sviluppo tecnologico diverso, a distanza di circa 30 anni l'una dall'altra. L'assenza di vegetazione negli altri pianeti del sistema solare permette di poter avere delle visioni a scala globale delle variazioni composizionali. La camera HRSC a bordo della sonda ESA Mars Express ha permesso da una parte di avere immagini di media-alta risoluzione (25-50 m/pixel) di gran parte della superficie di Marte e di associarle a DEM di risoluzione mediamente compresa fra 50 e 100 m/pixel. Questi dati sono lo strumento più adatto alla realizzazione di carte geologiche alla scala regionale perchè permettono di identificare rapporti stratigrafici e geometrie dei corpi deposizionali (Figura 3) in modo non dissimile da questo avviene sulla Terra.

Fig. 1 - Mercurio: Fotomosaico a falsi colori della superificie

acquisita dalla sonda Mariner 10 negli anni '70. Il cratere Muraski, in basso a destra, ha un diametro di circa 120 km. Le zone a colore più rosso rappresentano minore concentrazione di ossidi di ferro e

titanio. (NASA/JPL/Northwestern University)

Fig. 2 - Marte: immagine a colori reali (sopra) e falsi

colori (sotto) di un campo di dune nei pressi di Nili Patera ottenuta con lo strumento iperspettrale CRISM nel 2007.

Le aree più rosse rappresentano una maggiore concentrazione di minerali femici. L'immagine è di circa

10 km di larghezza. (NASA/JPL/JHUAPL/USGS)

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Fig. 3 - Marte: Ricostruzione 3D del sistema deltizio di Eberswalde e carta geologica del cratere (Pondrelli et al., 2008). I pianeti svelati dal radar Venere e Titano sono due pianeti coperti da una densa atmosfera che non permette agli strumenti ottici di poter vedere la superficie. Le missioni russe Venera degli anni '70 furono le prime a mostrare le potenzialità della strumentazione radar per l'esplorazione planetaria, ma la missione Magellan svelò le unicità dell'intero pianeta (Figura 4). Titano, esotica luna di Saturno, ha mostrato la sua ricchezza di morfologie e dinamiche superficiali solo nell'ultimo decennio grazie allo strumento radar della missione Cassini (Figura 5).

Fig. 4 - Venere: Maat Mons, ricostruzione tridimensionale da

altimetria radar e immagine SAR di un imponente vulcano di circa 5000 metri. Dati della missione Magellan .

(NASA/JPL)

Fig. 5 - Titano: immagine radar SAR a falsi colori di Ligea

Mare, un mare esotico probabilmente costituito da idrocarburi (etano e metano) liquidi, missione Cassini-Huyghens nel 2007. (NASA/JPL-Caltech/ASI/Cornell)

L'Italia inoltre ha conquistato la leadership nello sviluppo di strumentazione "penetrating radar" da orbiter. MARSIS e SHARAD finanziati dall'ASI e che hanno permesso di visualizzare la crosta esterna di Marte (Figura 6) penetrando per diversi chilometri nel sottosuolo marziano. Questi dati hanno permesso di visualizzare il sottosuolo del pianeta e correlarlo con le sequenze di superficie, passo fondamentale per comprendere l'evoluzione geologica del pianeta.

Fig. 6 - Marte: Radargramma acquisito dallo strumento SHARAD (sviluppato con finanziamento ASI) del sottosuolo dei depositi ghiacciati stratificati del polo Sud (sinistra) e immagine nel visibile degli stessi depositi (destra), missione MRO della NASA.

Lo sviluppo tecnologico della strumentazione da satellite nell'esplorazione dei pianeti rappresenta un importante know-how che l'Italia ha acquisito negli ultimi decenni e può aprire nuove prospettive per l'osservazione della Terra. Bibliografia Pondrelli et al., 2008. Evolution and depositional environments of the Eberswalde fan delta, Mars. Icarus 197, 429-451.

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Il contributo del SAR ad alta risoluzione nella sorveglianza del territorio e nella prevenzione dei rischi

Simonetta Paloscia, Emanuele Santi, Simone Pettinato

CNR-IFAC, via Madonna del Piano, 10 - 50019 Firenze (Italia)

Autore di riferimento: Email: [email protected] Parole chiave:!Telerilevamento a microonde, coefficiente di backscattering, COSMO-SkyMed, umidità del terreno, biomassa vegetale, copertura nevosa Introduzione L’uso dei dati satellitari per un monitoraggio tempestivo della superficie terrestre è diventato uno strumento molto interessante e sempre più efficace per la protezione del territorio. La stima dei principali parametri del ciclo idrologico e del carbonio, quali l’umidità del terreno, la biomassa vegetale e l’estensione e lo spessore del manto nevoso può fornire informazioni importanti sui cambiamenti globali e la gestione delle risorse idriche da un lato e per la previsione dei rischi naturali quali esondazioni, valanghe, frane e incendi. I sensori ottici sono importanti in queste applicazioni sia per la loro alta risoluzione spaziale e il frequente tempo di rivisita che per la sensibilità alla presenza e allo stato della vegetazione e all’estensione del manto nevoso. Tuttavia le loro potenzialità sono limitate dallo scarso potere di penetrazione e dalla presenza di nubi. I sensori a microonde hanno il vantaggio di poter operare anche in condizioni di copertura nuvolosa e in assenza di illuminazione solare, con un notevole potere di penetrazione nelle superfici osservate. In particolare l’avvento dei radar ad apertura sintetica (SAR) ha comportato un notevole sviluppo delle metodologie di stima dei parametri del ciclo idrologico e di conseguenza delle potenzialità applicative di questi sensori. Molta ricerca è stata compiuta finora utilizzando la banda C (circa 6 cm di lunghezza d’onda), presente su alcuni dei più importanti satelliti con sensori SAR a bordo, come ERS1/2, prima, e poi su ENVISAT e RADARSAT. Questa banda spettrale si è rivelata adatta per la misura dell’umidità del terreno, anche se in presenza di vegetazione non troppo sviluppata, e anche per stime di biomassa agricolo-forestale. A causa dell’elevato potere di penetrazione invece questa frequenza non è idonea per osservazioni del manto nevoso che se asciutto risulta trasparente. Con la banda C è’ possibile identificare solamente aree di neve umida. Il recente lancio di sistemi SAR in banda X (come COSMO-SkyMed and TerraSAR-X) ha stimolato molta ricerca nell’interpretazione dei dati, anche per l’elevata risoluzione spaziale (fino a 1 m) e il frequente tempo di rivista, che erano invece punti deboli dei sistemi SAR della passata generazione (rispettivamente circa 30 m e 30-35 giorni). Un progetto rilevante, finanziato dall’Agenzia Spaziale Italiana (ASI) e dedicato all’indagine sulle potenzialità del SAR in banda X di Cosmo-SkyMed nel monitoraggio di umidità del terreno, biomassa agricola e copertura nevosa, è stato il progetto HydroCosmo. L’obiettivo era lo sviluppo e la validazione di algoritmi avanzati in grado di stimare i principali parametri del ciclo idrologico quali umidità del terreno, biomassa agricolo-forestale, copertura e spessore del manto nevoso dai dati in banda X di Cosmo-SkyMed. In questo articolo sono descritti i risultati principali ottenuti dall’analisi dei dati Cosmo raccolti su due aree agricole e una montana, in Italia. Su queste aree i dati di backscattering in banda X sono stati confrontati con i dati raccolti a terra quasi simultaneamente ai passaggi satellitari. E’ stata effettuata prima un’analisi di sensibilità dei dati di backscattering a questi parametri e poi un confronto con simulazioni di modello ottenute usando l'Advanced Integral Equation Model (AIEM, Fung, 1994) per quanto riguarda i suoli nudi e modelli di trasporto radiativo (Macelloni et al., 2001; Santi et al., 2012) per la simulazione della copertura vegetale. Per la neve, invece, è stato usato un modello basato sui mezzi densi (Dense Medium Radiative Transfer, DMRT). Risultati sperimentali e simulazioni modellistiche Umidità del terreno e biomassa agricola Gli esperimenti sono stati condotti su due aree agricole in Italia, una vicino ad Alessandria (bacino del fiume Scrivia) nel Nord Italia e un’altra vicino a Firenze (Sesto Fiorentino). Le immagini Cosmo sono state raccolte in date diverse nel 2010, 2011 e 2012, durante il ciclo vegetativo delle colture (grano, girasole, colza, mais, ecc.). Misure a terra accurate sono state effettuate durante i passaggi del satellite e hanno riguardato: rugosità e umidità

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del terreno (SMC%), quest’ ultima misurata con sonde TDR, biomassa fresca e secca, contenuto in acqua della vegetazione (PWC, kg/m2) e alcuni parametri geometrici della vegetazione (densità, altezza, diametro dei fusti, numero e dimensioni delle foglie, angoli di inserzione fogliari). Dall’analisi di sensibilità del coefficiente di backscattering (!o) in banda X, in polarizzazione HH e ad angoli di incidenza compresi fra 23-26° e 38°, alla SMC di terreni nudi, è stata ricavata la seguente regressione lineare:

• !°HH= 0.15SMC- 14.66 (R" = 0.5) Questo andamento di !°HH verso SMC è stato poi simulato con successo usando l’Advanced Integral Equation Model (AIEM, Fung, 1994). Questi risultati sono stati presentati in modo più approfondito in Fontanelli et al., 2013. Per quanto riguarda la vegetazione, in studi precedenti (Macelloni et al., 2001) era stato rilevato un diverso andamento di !o in banda C in funzione della biomassa (espressa sia come LAI che come PWC) a seconda del tipo di coltura osservato. In particolare, si era notato un andamento decrescente di !o all’aumentare della biomassa di piante caratterizzate da foglie strette e steli fitti e sottili (grano o medica) e crescente per quelle caratterizzate da foglie larghe e fusti grossi e radi (mais e girasole). Questi andamenti sono stati confermati anche dall’analisi dei dati Cosmo-SkyMed. La correlazione ottenuta fra !° in polarizzazione HH e PWC per diversi campi di grano osservati nelle due aree di Sesto e dello Scrivia è stata: !°HH=-1.58ln(PWC)- 10.63 (R2=0.6). Mentre l’andamento fra !°HH e PWC di una coltura di girasole è risultato il seguente: !°HH = 0.67PWC - 11.21 (R" = 0.76). Come si può notare i coefficienti di determinazione sono abbastanza elevati. Manto nevoso Anche se la banda X non è ancora la migliore per osservazioni sul manto nevoso a causa della notevole penetrazione, si è osservato un aumento di !° di 4-5 dB fra suolo nudo e suolo coperto da neve. L’analisi dei dati Cosmo è stata condotta su un’area di test sulle Dolomiti (Cordevole) in diverse stagioni invernali. La regressione ottenuta fra !° in polarizzazione VV e spessore del manto nevoso (SD) nell’inverno 2010-2011 è stata: !°VV = 0.091SD - 23.04 (R2=0.76). Conclusioni I risultati ottenuti con le immagini di Cosmo-SkyMed sono stati interessanti e in certi casi al di là delle aspettative. E’ stata accertata una buona sensibilità del coefficiente di backscattering sia all’umidità del terreno (anche se su suoli nudi relativamente lisci) che alla biomassa vegetale, anche se con andamenti diversi a seconda delle caratteristiche geometriche della vegetazione. Per quanto riguarda il manto nevoso, la sensibilità sperimentale all’aumento dello spessore è notevole, anche se solo a partire da una soglia di circa 50-60 cm. Anche se è sicuramente necessaria un’analisi più approfondita su serie più ampie di dati, i risultati ottenuti sono incoraggianti e confermano la capacità della banda X nel monitoraggio dei parametri del ciclo idrologico con una sensibilità accettabile per la maggior parte delle applicazioni. Ringraziamenti Questa ricerca è stata parzialmente finanziata da ASI nell’ambito del progetto HydroCosmo 1720. Bibliografia Fontanelli F., S. Paloscia, P. Pampaloni, S. Pettinato, E. Santi, F. Montomoli, M. Brogioni and G. Macelloni, (2013) “HydroCosmo: The Monitoring of Hydrological Parameters on Agricultural Areas by using Cosmo-SkyMed Images”, Eu. J. of Remote Sensing, 46, pp. 875 – 889 Fung, A. K. (1994). Microwave scattering and emission models and their applications. Norwood, MA: Artech House. Macelloni G., S. Paloscia, P. Pampaloni, F. Marliani, and M. Gai (2001) “The relationship between the backscattering coefficient and the biomass of narrow and broad leaf crops,” IEEE Trans. Geosci. Remote Sensing, vol. 39, n. 4, pp.873-884, 2001. Santi E., Fontanelli G., Montomoli F., Brogioni M., Macelloni G., Paloscia S., Pettinato S., Pampaloni P. (2012)” The retrieval and monitoring of vegetation parameters from COSMO-SkyMed images”, Proc. of the 2012 IEEE International Geoscience and Remote Sensing Symposium (IGARSS), pp. 7031 – 7034.

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Analisi geomorfologica integrata per la valutazione della pericolosità per frana da crollo in aree di forra: le Gole di San Venanzio

(Fiume Aterno, Abruzzo)

Rosamaria Di Michele, Tommaso Piacentini

Laboratorio di Geomorfologia strutturale e GIS, Dipartimento di Ingegneria e Geologia, Università "G. D'Annunzio" di Chieti-Pescara, Via dei Vestini 31, 66100 - Chieti Scalo (CH), Italy

Autore di riferimento: Email: [email protected] Parole chiave: Rock falls, Gole di San Venanzio, Appennino Abruzzese, pericolosità geomorfologica. Riassunto Nel nostro Paese il dissesto di natura idrogeologica è diffuso in modo capillare su vasta parte del territorio e nella Regione Abruzzo, i crolli in roccia si verificano in diversi contesti territoriali e morfostrutturali (area di catena, area di raccordo tra catena e settore pedemontano, settore pedemontano-collinare, costa alta; Miccadei et alii, 2013) coinvolgendo, dorsali monoclinaliche fagliate costituite da rocce marine Meso-Cenozoiche, pendii modellati dal carsismo, scarpate strutturali in litotipi arenacei marini del Neogene, scarpate strutturali impostate su conglomerati e brecce del Quaternario marino e continentale. In questo lavoro sono presentati i risultati di un analisi geomorfologica integrata per la valutazione della pericolosità per frana da crollo nel settore montano abruzzese ed in particolare in aree di forra. Lo studio ha preso spunto dalla considerazione che le rock falls hanno rappresentato il 67% dei movimenti di massa innescati dallo scuotimento sismico del terremoto aquilano del 2009 nella zona montana; mentre altri fenomeni da crollo si sono ripetuti negli eventi meteorici intensi che hanno interessato la zona pedemontana e la zona costiera. In particolare, questo lavoro, analizza le frane da crollo che interessano le Gole di San Venanzio (bassa Valle dell’Aterno tra L’Aquila e Sulmona, Appennino abruzzese, Figura 1), note per i frequenti problemi legati alla caduta massi (Piacentini et alii, 2013) che rendono costantemente vulnerabili i residenti e i turisti. Le Gole rientrano, infatti, parzialmente nel Parco Regionale Sirente-Velino, ed una sua parte è Riserva Naturale “Gole di San Venanzio” (SIC, cod. IT 7110096). Lo studio è iniziato dopo i numerosi crolli avvenuti con l’evento sismico aquilano del 6 Aprile 2009, che hanno interrotto per diversi mesi, l’arteria principale SS5, nota come “Tiburtina Valeria” (consolare romana costruita attorno al 300 a.C.). Nelle Gole di San Venanzio la vulnerabilità dell’ambiente costruito è anche rappresentata dalla linea ferrata che collega L’Aquila a Sulmona. Lo studio è stato condotto attraverso: analisi degli aspetti orografici e idrografici (su dati vettoriali e raster a scala 1:25.000-1:5.000 e su DEM con passo 5m), analisi storica dei fenomeni pregressi, analisi fotogeologica multitemporale (dal 1954 al 2007) e multiscalare (immagini in scala da 1:33.000 a 1:5.000), rilevamenti geologici e geomorfologici (in scala 1:5.000-1:10.000), analisi di dettaglio dello stato di fratturazione (in scala 1:1), analisi mediante laser scanner terrestre delle aree di distacco, modellazione numerica 3D per l’analisi del moto di propagazione dei blocchi su scarpate e versanti. Le analisi sono state eseguite facendo riferimento alle linee guida del Progetto CARG, del Gruppo Nazionale di Geografia Fisica e Geomorfologia e in base alla principale letteratura scientifica (Bianchi Fasani et alii, 2006; Piacentini & Soldati, 2008 e relativa bibliografia) ed ha visto la realizzazione di diverse carte geotematiche (carta geologica, carta geomorfologica, carta delle aree di distacco, carta delle aree di transito e di invasione a scala 1:5.000-1:25.000) che hanno permesso di mettere in evidenza gli elementi geomorfologici indizi di franosità pregressa e potenziale (aree di distacco e relativi depositi, punti di invasione e di arresto, massi in precario equilibrio, ecc., Figura 2) che hanno condotto alla definizione di diversi livelli di pericolosità per l’area delle Gole di San Venanzio e per i settori di viabilità stradale e ferroviaria. La preventiva identificazione di queste aree è di fondamentale supporto nelle scelte di pianificazione territoriale, per sviluppare le soluzioni più appropriate per garantire il miglioramento o l’adeguamento delle infrastrutture di trasporto, nonché nelle scelte progettuali delle opere di protezione e più in generale per la mitigazione del rischio (Miccadei & Piacentini, 2013).

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Fig. 1 - a) Domini fisiografici della Regione Abruzzo e ubicazione dell’area di indagine (riquadro in rosso);

b) Vista panoramica delle Gole di San Venanzio lungo la valle del Fiume Aterno da SE.

Fig. 2 - a) Scarpata in roccia interessata nicchie di distacco di crolli recenti; b) Nicchia di distacco di un cuneo roccioso; c) blocco plurimetrico di frana da crollo.

Ringraziamenti Gli autori ringraziano Berardino Musti del Comitato Pro Valle Subequana per le segnalazioni di caduta massi. Bibliografia Bianchi Fasani G., Chiessi V., Di Ludovico A., Esposito C. & Scarascia Mugnozza (2006) - Analisi della caduta blocchi nell’area di Pizzone (IS) in relazione all’assetto geologico-strutturale. Rend. Soc. Geol. It., 2: 49-61. Miccadei E., Piacentini T. (2013) - The Role of Knowledge in the prevention of natural hazards and related risks. Italian Journal of Planning Practice, 3 (1), 46-68, Roma. Miccadei E., Piacentini T., Sciarra N. & Di Michele R. (2013) - Seismically induced landslides in Abruzzo (Central Italy): morphostructural control. In C. MARGOTTINI et alii (eds.), Landslide Science and Practice, 5: 315-320. Springer-Verlag Berlin Heidelberg. Piacentini D. & Soldati M. (2008) - Application of empiric models for the analysis of rock-fall runout at regional scale in mountain areas: examples from the Dolomites and the northern Apennines (Italy). Geogr. Fis. Dinam. Quat., 31: 215-223. Piacentini T., Miccadei E., Di Michele R., Sciarra N. & Mataloni G. (2013) – Geomorphological analysis applied to rock fall in Italy: the case of the San Venanzio Georges (Aterno river, Abruzzo, Italy). In: "Italian Journal of Engineering Geology and Environment" - IJEGE (Publishing House Sapienza Università Editrice). In: Proceedings of the International Conference Vajont 1963-2013 (Padua-Italy, 8-10 October 2013) on IJEGE Book Series. pp. 467-479.

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Analisi delle risorse forestali da dati telerilevati tramite piattaforma WebGIS

Francesco Pirotti1,2, Niccolò Marchi2, AntonioVettore1, Emanuele Lingua2

1 CIRGEO Centro Interdipartimentale in Geomatica, Università degli Studi di Padova, viale dell’Università 16, 35020 Legnaro (PD)

2 Dipartimento TESAF, Università degli Studi di Padova, viale dell’Università 16, 35020 Legnaro (PD) Autore di riferimento: Email: [email protected] Parole chiave:!webgis; open data; lidar; DTM; foresta; Spatial Data Infrastructure Introduzione Lo sviluppo degli ultimi anni delle tecnologie di telerilevamento ottico, attive e passive, consente di ottenere, in tempi minori, risoluzioni maggiori nei vari domini (spaziale, spettrale, temporale). L’aumento della disponibilità di dati massivi ha reso necessarie, negli ultimi anni, soluzioni per l’analisi che tengano conto delle dimensioni e di varie caratteristiche dei dati stessi. E’ dunque fondamentale portare i dati a diversi livelli di pre-processing consentendo poi un accesso differenziato per profili, da parte di operatori con diverse specializzazioni per le fasi successive delle analisi del dato. Nel lavoro riportato è applicato un metodo per fare fronte ad un caso di studio con le caratteristiche sopra descritte. Nel progetto NEWFOR sono stati ottenuti dati da lidar e da camera multi-spettrale su un’area di bosco con abete rosso Picea abies (in parte rimboschimenti effettuati dopo la prima Guerra mondiale), abete bianco Abies alba Mill. e faggio Fagus sylvatica L. Un gruppo di lavoro nel progetto ha come obiettivo la creazione di un sistema per mettere a disposizione i dati da parte di operatori del settore (Lingua et al., 2013). Materiali e metodi Per fare quanto riportato in introduzione si è scelta la soluzione di inserire i dati in una SDI (Spatial Data Infrastructure) per consentire ai vari partner di aggiungere i propri dati telerilevati e di automatizzare le fasi di pre-processing e di organizzazione del dato. I portali webgis hanno un ruolo utile all’accessibilità al dato, che può essere, in-primis, per una interpretazione visiva (Piragnolo et al., 2014), ma anche, in un secondo momento, per un accesso al dato vero e proprio mediante selezione e copia del dato nello spazio-memoria della macchina dell’utente, oppure, in casi più sofisticati, ma già utilizzati con successo, mediante processamento direttamente nel server che ospita i dati utilizzando, su un sotto-insieme dei dati, dei protocolli di processamento ad-hoc (Pirotti et al. 2011) o standard (e.g. WPS – Web Processing Service).

!Fig. 1 - Organizzazione del SDI e applicativo per rilievo e organizzazione geodati.

Gli aspetti r\elativi ai dati telerilevati sono due, ovvero la parte di organizzazione del dato e la parte di applicazione delle analisi al dato stesso. La prima parte è fondamentale per consentire un certo automatismo senza perdere la qualità del dato.

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In questo progetto i dati ottenuti da un primo processamento dei dati telerilevati sono i seguenti: (i) orto-immagini RGBI a 15 cm di risoluzione media riprese con ULTRACam-Xp. (ii) DTM DSM e CHM (rispettivamente Digital Terrain / Digital Surface / Canopy Height – Model) con risoluzione del pixel quadrato di 1 m ottenuti da volo lidar (con digitalizzatore full-waveform). Fase di pre-processing Un SDI consiste in una struttura organizzativa dei dati che possono essere raster o vettoriali, ed inoltre, specialmente per progetti internazionali, essere in diversi sistemi di riferimento cartografico (CRS). Ogni partner ha a disposizione uno spazio per aggiungere i propri dati utilizzando una cartella accessibile dalla rete tramite i classici protocolli di trasferimento/accesso dati (FTP o SSH). Una volta che questi dati sono presenti nel server, un applicativo sviluppato ad-hoc nel progetto (Figura 1) verifica recursivamente tutte le cartelle per la presenza di file geo-spaziali. Dove trova questi file va a creare una tabella di corrispondenza per associare il file ed il suo CRS al portale webgis. Una volta conclusa questa fase, nel portale sono accessibili i file per attivare le fasi di analisi. Fase di analisi In questa fase iniziale del progetto le analisi consistono nell’estrazione di un sotto-insieme del dato in funzione di un’area impostata dall’utente in modo interattivo nel web, e l’utilizzo di un software di statistica (R-cran) per elaborare il dato. Nel nostro caso l’elaborazione consiste in un pacchetto di operazioni che utilizzano come input il DTM, il DSM, la polilinea disegnata dall’utente, la distanza buffer impostata dall’utente ed estraggono un file pdf con un grafico dei profili lungo la linea del terreno e delle chiome (campionati dal DTM e dal DSM), un grafico della distribuzione delle altezze dal CHM, una stima della biomassa applicando un modello allometrico. In Figura 2 delle schermate di esempio.

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Fig. 2 - schermate portale webgis dall’alto a sinistra in senso orario: (a) hillshade da DTM e linea (tratteggio rosso) inserita dall’utente; (b) profilo estratto lungo la linea; (c) istogrammi di distribuzione delle altezze della chioma; (d)

buffer della linea e CHM ritagliato a buffer.

Ringraziamenti Questo lavoro fa parte del WP8 del progetto europeo NEWFOR (NEW technologies for a better mountain FORest timber mobilization) del Alpine Space Programme (2-3-2 FR). Bibliografia Lingua E., Pellegrini M., Pirotti F., Grigolato S., Garbarino M., Motta R., Comini B., Wolynski A. (2013).!Il progetto NEWFOR - NEW technologies for a better mountain FORest timber mobilization. Atti 16a Conferenza Nazionale ASITA - Fiera di Vicenza 6-9 novembre 2012, pp. 851-857. Piragnolo M., Pirotti F., Guarnieri A., Vettore A., Salogni G. (2014). Geo-Spatial Support for Assessment of Anthropic Impact on Biodiversity. ISPRS International Journal of Geo-Information, 3(2): 599–618. doi:10.3390/ijgi3020599 Pirotti F., Guarnieri A., Vettore A. (2011) - Collaborative Web-GIS design: a case study for road risk analysis and monitoring. Transactions in GIS 15(2): 213-226. DOI:!10.1111/j.1467-9671.2011.01248.x

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Telerilevamento satellitare e sistemi integrati per il monitoraggio e la prevenzione dei reati ambientali

Valentina Urbano1, Claudio La Mantia1, Mauro Casaburi 1

1 Planetek Italia srl, via Massaua 12, 70132 Bari

Autore di riferimento: [email protected] Parole chiave:!telerilevamento, reati, ambiente, abusivismo, monitoraggio Premessa Abusivismo edilizio, spreco e distruzione di risorse naturali e altri abusi ambientali sono solo alcuni dei fenomeni, sottoposti all’attenzione delle autorità di governo locale, che determinano importanti conseguenze nei cambiamenti del territorio e minacce per la salute umana. Per tenere traccia delle modifiche progressive del territorio, individuare gli abusi ed arginare i rischi connessi con i reati ambientali, Planetek Italia ha progettato una serie di soluzioni che combinano dati geospaziali, strumenti e flussi di lavoro dedicati, al fine di offrire un servizio integrato di prevenzione della criminalità ambientale. L'uso integrato di immagini telerilevate da satellite, da aereo o droni, di sensori, telecamere e strumenti di reporting via web per i cittadini, fornisce agli operatori dell’Ente ed alle forze di sicurezza i vantaggi dell’intelligence geospaziale. Sistemi di informazione rapida dei fenomeni legati alle aree di interesse, uniti a strumenti per elaborare velocemente le informazioni e identificare le priorità, consentono azioni rapide ed interventi mirati ed efficaci. Lotta all’abusivismo edilizio: un progetto per il comune di Giugliano Il Comune di Giugliano, nell’ambito delle sue attività istituzionali, ha previsto la realizzazione di acquisizioni satellitari periodiche, in altissima risoluzione e con elevata frequenza temporale, al fine di contrastare fenomeni di abusivismo edilizio. Il progetto, della durata prevista di 3 anni ed attualmente in corso, consiste nella realizzazione di un sistema di presidio permanente del territorio del Comune di Giugliano, basato sul monitoraggio continuo e sistematico con immagini satellitari alla risoluzione di 50 cm, acquisite con frequenza trimestrale. L’obiettivo è stato la realizzazione di un nuovo strumento urbanistico, integrato agli attuali, per la lotta all’abusivismo ed il controllo dei cambiamenti del territorio. Attraverso l’estrazione di informazioni territoriali aggiornate da dati satellitari, è stata possibile la predisposizione ad hoc della banca dati cartografica, alimentata ogni tre mesi dalla produzione costante dei layer delle modificazioni avvenute. Grazie al supporto tecnico/operativo di Planetek Italia a servizio dei tecnici comunali, ai processi di individuazione, si integrano anche processi di verifica qualitativa sia dei dati di input che degli output dei processi elaborativi. I tematismi prodotti garantiscono quindi una conoscenza aggiornata dell’attività edilizia abusiva, nonché delle modifiche urbanistiche ed ambientali che intervengono sul territorio comunale. Le attività prevedono inoltre l’aggiornamento del SIT comunale, sia con i dati satellitari che con gli output vettoriali, con la finalità di integrare tutti i dati prodotti nelle attuali banche dati comunali. A completamento delle informazioni viene realizzato infine il processo di classificazione degli edifici in relazione alla gravità del presunto abuso.

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Sistema integrato di monitoraggio e prevenzione dei reati ambientali per il Comune di Canosa Il progetto prevede la realizzazione di servizi e la fornitura di strumentazione e dati per la strutturazione di un sistema tecnologico atto a supportare il Comune di Canosa e le sue Forze di Polizia nell’esercizio delle attività atte alla sicurezza e alla prevenzione e contrasto dei reati contro l’ambiente ed in particolare delle seguenti attività illecite:

- traffico e smaltimento di rifiuti speciali e sostanze pericolose - abusivismo edilizio - realizzazione di discariche abusive - danneggiamento del patrimonio ecologico, archeologico e naturalistico.

Il sistema comprende la centrale di controllo, il repository dei dati e la gestione a tecnologia avanzata delle fonti dati per poter raccogliere tutte le informazioni necessarie per la gestione degli interventi di prevenzione e controllo del territorio. Il progetto mira ad aumentare le capacità e le risorse degli Operatori comunali impegnati per un azione continuativa di presidio del territorio, la cui presenza ed azione attiva è il migliore deterrente possibile per contrastare i reati ambientali e mette a disposizione dei cittadini un’importante risorsa per la partecipazione attiva alle politiche di salvaguardia del territorio e di prevenzione dei reati ambientali. Attraverso l’uso di immagini satellitari, di sensori e telecamere e di strumenti di segnalazione web per i cittadini e grazie ad una piattaforma di geospatial intelligence sono state amplificate le capacità degli operatori nel conoscere, elaborare, individuare priorità, il tutto in tempi brevissimi, per consentire azioni rapide ed interventi efficaci. Il sistema progettato è unico e integrato e grazie allo sviluppo personalizzato di interfacce e moduli applicativi permette di avere un unico ambiente di gestione dei dati che elaborati costituiscono uno strumento decisionale per effettuare e gestire le opportune azioni di prevenzione sul territorio.

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Esposizione ad inquinamento atmosferico da attività estrattiva offshore nel medio Adriatico

Loredana Pompilio, Arturo Cannito, Lucia Marinangeli

Università D'Annunzio, Via Dei Vestini, 31, 66100 - Chieti, Italia

Autore di riferimento: Email: [email protected] Parole chiave: Telerilevamento, Inquinamento atmosferico, CALMET-CALPUFF Introduzione In base alla legislazione italiana, le attività industriali ad elevato impatto ambientale sono sottoposte a Valutazione di Impatto Ambientale. Gli studi di impatto sottoposti a valutazione generalmente utilizzano dati reali e/o stimati come input di modelli predittivi. I modelli matematici permettono di stimare gli effetti che la messa in funzione dei suddetti impianti avranno sulla qualità dell'aria, del suolo, delle acque e in ultima analisi sulla salute umana delle persone che vivono nei pressi dell'istallazione. Lo studio che qui presentiamo si avvale di modelli che simulano la distribuzione in atmosfera di inquinanti (gas e particolato) emessi durante le attività di estrazione di idrocarburi liquidi e gassosi e desolforazione, da parte di un impianto industriale che dovrebbe sorgere nell'offshore abruzzese, a circa 6 km dalla costa. La metodologia dell'indagine differisce da quella generalmente adottata per studi di questo tipo, in quanto si propone di dar conto degli eventi meteorologici più salienti che si verificano annualmente nel dominio di studio. Metodo di indagine I modelli numerici che ci permetteranno di realizzare valutazioni predittive sulla qualità dell'aria in regime di funzionamento della sorgente emissiva sono noti come CALMET [1] (modello meteorologico diagnostico) e CALPUFF [2] (modello di diffusione e deposizione di gas e particolato). I software che ne permettono l'applicazione sono liberamente distribuiti dall'Environmental Protection Agency statunitense. Generalmente, negli studi di impatto, il modello CALMET-CALPUFF riceve in input i risultati di modelli meteorologici prognostici alla mesoscala e media l'effetto sul plume di inquinanti nell'arco temporale annuale all'interno del dominio di interesse, soprattutto qualora le attività connesse con le emissioni di inquinanti si protraggano per più anni consecutivi [3]. Tuttavia, questo approccio alla modellizzazione presenta alcuni limiti:

• non tiene conto delle variazioni meteorologiche alla scala locale; • non tiene conto della stagionalità degli episodi; • è fortemente dipendente dall'annualità scelta.

Per ovviare a questi inconvenienti, abbiamo applicato una metodologia che dia conto degli eventi meteorologici più significativi che si verificano nel dominio di studio. A tale scopo, abbiamo utilizzato una serie temporale trentennale di osservazioni meteorologiche al suolo e determinato la frequenza e le caratteristiche di alcuni eventi-tipo. Ciascuna tipologia di evento è stata studiata all'interno delle configurazioni bariche dell'area Mediterranea e, con maggior dettaglio, nell'area Adriatica, utilizzando dati satellitari e modellizzazione COSMO ME. Le simulazioni di impatto sulla qualità dell'aria sono state eseguite per ciascuna di queste. La casistica selezionata segue criteri di aumento progressivo della criticità rispetto al trasporto, distribuzione e accumulo di inquinanti atmosferici. I dati che utilizzeremo sono:

• dati di superficie da stazioni al suolo di Pescara (ENAV-Aereoporto di Pescara) e Termoli (Osservatorio meteo dell'Aeronautica Militare);

• profili verticali ricavati in alcuni punti significativi dall'archivio dell'Air Resources Laboratory dell'Ufficio di Ricerca Oceanica e Atmosferica del NOAA;

• radiosondaggi nelle stazioni più vicine di Zara (Croazia) e Brindisi. Inquadramento meteo-climatico Le situazioni climatiche caratteristiche, che sintetizzano gli aspetti più peculiari del clima nell'area di studio e che sono particolarmente significative in relazione alla dispersione e all'accumulo degli inquinanti atmosferici all'interno del Planetary Boundary Layer (PBL, che rappresenta lo strato troposferico che interagisce con il suolo e l’ambiente) e la successiva deposizione nell'entroterra e sulla superficie marina interessati, che abbiamo selezionato, sono: • situazione 1: descrive il transito e l'evoluzione di una perturbazione atmosferica tipica del settore Adriatico

durante le stagioni autunno e inverno. Il contesto presenta l'atmosfera caratterizzata da moti convettivi che favoriscono il rimescolamento, accompagnati da precipitazioni che facilitano la rimozione degli inquinanti dagli strati bassi dell'atmosfera e la conseguente deposizione al suolo;

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• situazione 2: descrive un tipico contesto dominato dai regimi di brezza estivi, caratterizzato dall'alternanza della circolazione dei venti che favorisce il trasporto del pennacchio verso l'entroterra durante il giorno e verso il mare durante la notte;

• situazione 3: descrive un campo di alte pressioni caratterizzato da inversione termica nei bassi strati della troposfera, che, a causa della persistenza di un regime anticiclonico autunnale, evolve drammaticamente nella

• situazione 4: caratterizzata da una marcata subsidenza e accumulo di umidità nel BPL. La debole circolazione atmosferica, l’elevata umidità relativa percentuale, il campo di pressione livellato e l’inversione termica al suolo favoriscono la formazione della nebbia da irraggiamento. Il persistere delle condizioni di alta pressione può favorire il ristagno della condizione di nebbia per diversi giorni (fig. 1). !

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Alcune considerazioni La situazione descritta in fig. 1 costituisce un esempio classico di formazione di un mixing layer a contatto con il suolo che intrappola gli inquinanti emessi da qualsiasi sorgente si trovi al suo interno [4]. Questa caratteristica formazione dà luogo a fenomeni di fumigazione, cioè il pennacchio intrappolato all'interno del mixing layer si schiaccia verso il suolo e si allarga fino ad occupare l'intero spessore disponibile. Questa situazione è la più pericolosa per impatto perché favorisce il ristagno e l'accumulo di concentrazioni elevate di inquinanti nei bassi strati atmosferici e a contatto con il suolo. Utilizzando i dati superficiali e i profili ricavati dall'archivio ARL, non siamo riusciti a ricostruire il mixing layer, perché le misure dei profili verticali partono da una quota superiore al top del layer. Pertanto decidiamo di ricorrere ai dati dei radiosondaggi ottenuti nelle stazioni di Brindisi e Zara, che, benché poste ben al di fuori del dominio di studio, danno conferma del fenomeno che ha interessato un ampio settore dell'Adriatico in quei giorni. In conclusione, il ricorso a modelli predittivi in ambiti così delicati come quello atmosferico è indispensabile al fine di compiere valutazioni e previsioni di impatto, ma è suscettibile di errori e scarsa accuratezza nel momento in cui i dati disponibili sono poco numerosi e rappresentativi. Tuttavia, il monitoraggio satellitare ci dà opportunità di apprezzare i fenomeni che hanno importanti ripercussioni sulla qualità dell'aria.!!

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Fig. 1 - Mosaico delle immagini delle 05:00 TMC del Meteosat SG3 RGB FOG per 9 giorni consecutivi a partire dal 22.10.2013. Nelle giornate centrali risulta evidente il mare di nebbia che interessa tutto il settore Adriatico.

Bibliografia [1] Scrire J.S., Robe F.R., Fernau M.E., Yamartino R.J. (2000) – A user's guide for the CALMET Meteorological Model. Earth Tech Inc., Concord MA. pp. 332. [2] Scire J.S., Strimaitis D.G., Yamartino R.J. (2000) – A user's nguide for the CALPUFF dispersion model. Earth Tech Inc., Concord MA. pp. 521. [3] Levy J.I., Spengler J.D., Hlinka D., Sullivan D., Moon D. (2002) - Using CALPUFF to evaluate the impacts of power plant emissions in Illinois: model sensitivity and implications. Atmospheric Environment, 36: 1063-1075. [4] Oliver J.E. (2005) - Encyclopedia of World Climatology, Springer. pp. 854.!

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La carta di Asperità nazionale per il monitoraggio dell’agro-ambiente e la protezione del suolo

Livio Rossi, Sandrina Paolini

SIN spa, via A. Salandra 13 - 00187 Roma

Autore di riferimento: [email protected]

Parole chiave: dissesto ed erosione suolo, satellite altissima risoluzione, angoli di acquisizione, morfologia complessa, accuratezza cartografica, Modelli digitali di Superficie

Introduzione L’Italia è uno dei Paesi europei con più elevata predisposizione all’erosione e al dissesto, per le sue caratteristiche geologiche, morfologiche e di uso del suo territorio. Oltre alle frane, diffuse su quasi il 7% del territorio nazionale (prog. IFFI, ISPRA), circa il 30% delle superfici coltivate nazionali presentano una perdita di suolo spesso anche molto superiore a 10 tonnellate per ettaro l’anno, valore ai limiti della soglia di tollerabilità. L’Italia, pur avendo un elevato consumo di suolo produttivo dovuto all’espansione dei centri urbani, delle aree industriali e delle infrastrutture, conserva ancora una forte vocazione agro-forestale con più del 73% della superficie occupata da seminativi, boschi, vegetazione arbustiva o erbacea e colture permanenti (Corine Land Cover 2006). Per queste ragioni le attività agricole e forestali, attraverso pratiche di protezione e gestione sostenibile, possono e devono incidere significativamente sulla manutenzione dei territori rurali e sulla prevenzione dei fenomeni di dissesto idrogeologico, contrastando contestualmente l’abbandono delle zone “marginali” collino-montane. Il comparto agro-forestale (in particolare tramite Il Ministero delle Politiche agricole - Mipaaf e l’AGEA, Agenzia per le Erogazioni in Agricoltura), al fine di ricevere puntualmente e correttamente i sussidi annuali PAC EU che hanno lo scopo di indirizzare le coltivazioni ed incentivare le misure di protezione del suolo e del territorio, ha l’obbligo di effettuare numerosi controlli agro-ambientali con l’ausilio del telerilevamento, sia aereo che satellitare. Il successo di questa attività, necessaria al pagamento e alla distribuzione capillare di più di 6 miliardi di euro annui, è ovviamente dipendente dalla buona accuratezza geometrica e spettrale delle orto immagini in remoto che vengono generate sulle aree messe a controllo.

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Fig. 1 - Esempio di individuazione e monitoraggio nel tempo di fenomeni di dissesto in aree agricole.

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Per poter monitorare in modo corretto anche le aree a rischio erosione e dissesto l’AGEA (e la società SIN che la supporta) ha creato in passato la “Carta della vulnerabilità all’erosione e ai dissesti” sulle aree agricole sulla base dei requisiti GAEC (Good Agricultural Environmental Conditions) EU. Tale carta, inserita del sistema GIS del Sistema Informativo Agricolo Nazionale - SIAN, fornisce gli indici di vulnerabilità territoriale e quindi le zone prioritarie dove indirizzare il campione di controllo con il telerilevamento. Dal SIAN si possono inoltre estrarre tutte le superfici comunali con vulnerabilità alta, media e bassa rispetto alle possibilità di innesco di erosione e dissesti. Tale indice di vulnerabilità influisce e guida la scelta del campione di controllo nazionale ai fini del rispetto della sostenibilità agro-ambientale e la protezione del suolo. L’importanza dei dati satellitari e delle modalità di acquisizione I dati satellitari annuali ad altissima risoluzione (0,5m, 4 bande) acquisiti annualmente su circa 50-60 aree campionarie AGEA vengono distribuiti da DGJRC - Joint Research Centre all’Italia e a tutti gli Stati Membri che li richiedono. Negli ultimi anni, l’Italia ha però ricevuto immagini satellitari con angoli d’elevazione mediamente più bassi, rispetto allo zenit (v. fig 2) per dar modo ai data provider di far aumentare le possibilità di acquisizione nelle finestre temporali richieste. Questo ha creato notevoli difficoltà (rifacimenti, tempi più lunghi) nel processing, in particolare per le aree collinari – montane, che sono in genere preponderanti e dove sono localizzati i maggiori fenomeni di erosione e di dissesto.

Fig. 2 - Descrizione grafica dell’angolo di elevazione (EL) per le acquisizioni telerilevate satellitari.

E’ facile da comprendere che, al diminuire dell’angolo di elevazione diminuisce altresì l’accuratezza cartografica, a causa della differenza tra la ricostruzione virtuale 3D del DSM utilizzato dal SW di processing e il corrispondente posizionamento di ogni punto di verità morfologica, spesso molto complessa, sia per le pendenze che soprattutto per le variazioni di quota/pendenza per unità di superficie. In particolare, se le aree target (campi, boschi, pascoli) sono inclinate in modo parallelo od ortogonale alla direzione di acquisizione si possono ottenere risultati molto diversi, anche in un’area limitata e su versanti vicini ed adiacenti (vedi fig. 3).

Fig. 3 - Esempio di strisciate da immagini satellitari di una stessa area montuosa, acquisite con angoli EL bassi ed opposti, dopo la prima iterazione di processing. Si notino le distorsioni dei boschi, dei prati, delle strade e soprattutto delle superfici in frana e in erosione superficiale.

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La conoscenza a priori della complessità morfologica delle aree selezionate a controllo (pianura, collina-montagna) e loro densità di variazione clivo metrica è quindi un fattore di primaria importanza. Inoltre, negli ultimi anni la dislocazione dei campioni di controllo AGEA viene orientata sempre di più in aree collino-montane, dove le richieste di sussidio di sviluppo Rurale appaiono crescenti. Per poter quindi arrivare ad una rappresentazione ottimale della complessità morfologica a grande scala (rif. a 1:10.000) di tutto il territorio nazionale e quindi avere informazioni morfometriche oggettive sulle aree da verificare, si è proceduto a classificare l’Italia utilizzando un algoritmo già testato negli USA: “Asperity Index” o indice di Asperità- Riley et Alii - 1999. Il calcolo e la mappatura in dettaglio dell’eterogeneità morfologica- Asperità ha prodotto i seguenti risultati:

1. Una pre-analisi oggettiva e numerica delle superfici a campione per la verifica annuale AGEA (ca 25/26.000 kmq in totale distribuiti su 50-60 aree);

2. La richiesta a JRC di acquisizioni satellitari con angoli di elevazione più alti sulle aree campione riscontrate come complesse;

3. Il miglioramento e la facilitazione delle attività di processing dei dati (tempi di lavoro); 4. Il miglioramento dell’accuratezza fotogrammetrico-cartografica finale delle orto immagini prodotte

(accuratezze e precisioni); 5. Il miglioramento delle sovrapposizioni geometrico-tematiche tra tutti i dati esistenti, necessari alle obbligatorie

verifiche delle problematiche territoriali e delle misure di protezione del suolo applicate (aumento dell’automazione).

Generazione della carta di Asperità a livello comunale Dati utilizzati e prodotti generati: ! INPUT: Digital Surface Model - DSM SIN spa, 20m grid, +-4m Z per ogni regione; limiti comunali nazionali. ! Prodotti di elaborazione intermedia: Carta Asperità regionale a grande scala con valori in continuo; carta Asperità rigenerata per classi (3 per comodità) sul territorio nazionale, per regione e per comune. ! OUTPUT: shape di tutti i limiti comunali classificati per classi di Asperità; shape campione AGEA 2014 classificato per tipologia Asperità.

Fig. 4 - Esempio di indice di Asperità generato in appennino centrale; L’indice mostra i valori più alti con le tonalità del rosso e più bassi in azzurro; le linee blu rappresentano i limiti comunali. Si noti come l’indice di asperità non sia direttamente proporzionale alle zone altimetriche più elevate (RSME quote).

Metodologia e risultati L’Asperity index è stato calcolato automaticamente via GIS a partire dal DSM SIN (accuratezza +-4m asse Z) separato in 20 blocchi regionali, riportati nelle proiezioni cartografiche tradizionali SIAN. Tutto il territorio nazionale è stato quindi suddiviso, tramite algoritmi in gruppi di 3 x 3 pixel di 20 m ciascuno (9 pixel complessivi per 0,36 ha a gruppo). Per ogni pixel il sistema ha individuato la quota media, assegnando così ad ogni blocco 9 valori. L’algoritmo Asperity ha quindi calcolato per ogni blocco così creato il Root Mean Square Error (RMSE) o scarto quadratico medio dei

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singoli valori, per evidenziare la variabilità intrinseca delle quote per ogni unità di superficie di 0,36 ha. In totale, il sistema ha analizzato e calcolato più di 83 Milioni di unità di superficie nazionali, consentendo la classificazione di tutti gli 8.000 comuni italiani sulla base dei risultati ottenuti. Le fasi operative sono state:

1. Creazione del layer di Asperità a partire dal DSM SIN, utilizzando la funzione SW QGis Raster/Analisi geomorfologica/Indice di asperità.

2. Verifica degli indici intermedi e finali con riclassificazione dei valori di asperità in continuo generati in tre classi semplificate: alta, media e bassa.

3. Intersezione delle carte regionali operative di Asperità a tre classi con gli shape file dei comuni italiani. 4. Calcolo delle superfici risultanti per ogni comune, in relazione alle tre classi di Asperità già generate sul

territorio nazionale. 5. Classificazione di tutti i comuni in base alle superfici del punto precedente.

Il primo risultato immediato è stata la ri-definizione dei siti campione satellite AGEA 2014, in base alla suddetta classificazione, che ha consentito una nuova della richiesta ufficiale di acquisizioni satellitari a JRC con migliori angoli di elevazione (più alti), giustificando le casistiche delle richieste in modo finalmente oggettivo e georiferito. Gli “score” della reale complessità topografico -morfologica nazionale (dati e cartografie regionali) sono quindi stati inviati alla Commissione EU (JRC e DGagri) per giustificare tecnicamente le maggiori richieste di dati più accurati all’origine e di conseguenza più costosi in acquisizione.

Fig. 5 - Esempio di raggruppamento in tre classi (alta-media-bassa) dell’indice generato sul territorio, con sovrapposte le unità campionarie di controllo PAC AGEA; provincia Perugia, Ascoli e Fermo.

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Conclusioni e prossimi passi L’Asperity index e la carta derivata ha consentito la classificazione della complessità morfologica/asperità nazionale con dettaglio (Unità Minima di risoluzione) di 0,36 ha, più che adeguato alla scala di lavoro 1:10.000 utilizzata dal sistema SIAN e ovviamente alla caratterizzazione di tutti i comuni italiani. Sono stati individuati e classificati tutti i siti campione AGEA 2014 per cui era necessaria la richiesta di restrizione degli angoli di acquisizione, al fine di minimizzare i già descritti problemi di elaborazione e di lavorazione e quindi identificare e monitorare con l’accuratezza richiesta anche le aree in erosione e in dissesto sulle aree agricole. Tale lavoro assicurerà all’Italia forniture di dati satellitari sempre più efficaci anche in futuro. Infatti, il lavoro di classificazione “Asperity Index” (83 milioni di blocchi misurati) sul territorio nazionale si può considerare stabile e riutilizzabile da SIN AGEA anche per le prossime campagne PAC 2015-20. La maggiore accuratezza geometrica e tematica consentirà l’ottimale individuazione ed il monitoraggio multi temporale dei fenomeni di erosione e dissesto, oltre alla verifica delle misure apportate o meno dagli operatori agro-forestali (scoline temporanee e fisse, fossi e scolatoi, siepi, filari e muretti, rimboschimenti e rinfoltimenti, briglie locali ecc).

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La mappa di Asperità, inserita come layer stabile nel SIAN, aiuterà a caratterizzare in dettaglio il territorio nazionale anche per la valutazione delle LFA – Less Favourable Areas (aree marginali e bisognose di sostegno), dei Landscape indexes (indicatori di paesaggio), delle potenzialità agro-ambientali e vocazioni produttive (impianti/espianti vigneti, frutteti, ecc). L’Italia è stata la prima a realizzare e generare la Carta di Asperità in EU. I servizi della Commissione DGJRC e DGAgri, una volta presentato il lavoro, essendo potenzialmente replicabile anche per altri Stati Membri con medesimi assetti/problemi morfologici, hanno accettato ufficialmente i risultati ed espresso parere favorevole all’eventuale replica comunitaria.

Fig. 6 - Esempio di classificazione finale dei singoli territori comunali, secondo la metodologia descritta, al fine di identificare (a maggioranza territoriale) la complessità morfologica e di conseguenza gestire sia gli angoli di acquisizione satellitare che i dati ancillari necessari a generare l’alta accuratezza geometrica finalizzata all’indagine agro-ambientale e di protezione del suolo, richiesta da EU.

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Attività di Telerilevamento aereo per l’identificazione e la mappatura di criticità ambientali nella regione Campania

Carlo Terranova1, Domenico Sportiello2, Rosario Meo3, Paolo Cafaro4, Gianluca D’Agostino4,

Giuliana Coletti4, Diego Lucarini4

1 Regione Campania - Dir. Gen. Politiche Agricole e Forestali, CDN Is. A6 - 80143 Napoli - Italia, 2 Regione Campania - Dir. Gen. Ambiente ed Ecosistema, Via De Gasperi 28 - 80133Napoli - Italia,

3 Corpo delle Capitanerie di Porto – Guardia Costiera - Direzione Marittima della Campania, Piazzale Pisacane 1 - 80133 Napoli - Italia

4 Corpo delle Capitanerie di Porto - Guardia Costiera MARICOGECAP III° Rep. - Viale dell'Arte, 16 - 00144 Roma - Italia Autore di riferimento: Carlo Terranova [email protected] Parole chiave:!Telerilevamento aereo, Sensore DAEDALUS, Multispettrale, Infrarosso termico, anomalia termica, inquinamento ambientale, Terra dei Fuochi, ….. Abstract A seguito dell’approvazione da parte della Giunta Regionale della Delibera n. 416 del 27 settembre 2013 la Regione Campania (Assessorato Ambiente) ed il Comando Generale del Corpo delle Capitanerie di Porto – Guardia Costiera (Direzione Marittima della Campania), hanno sottoscritto nel novembre 2013 un Accordo di Collaborazione per attività di Telerilevamento aereo sul territorio marino, costiero, litoraneo e fluviale della Campania. Obiettivo dell’Accordo tra le parti è l’applicazione di tecniche di telerilevamento aereo per la mappatura ed il monitoraggio delle superfici marine e litorali, così come elementi fluviali e lacustri, comprendendo superfici territoriali ad elevata pressione antropica che possono presentare criticità ambientali derivate da illeciti quali inquinamenti e/o sversamenti, così come condizioni di utilizzo e sfruttamento delle risorse in grado di deteriorare l’ecosistema marino e fluviale della regione. In particolare le attività di telerilevamento aereo sono indirizzate su: a) ambiti marino costieri tramite individuazione e mappatura di anomalie termiche, di fenomeni di eutrofizzazione provenienti da: apporti fluviali, da reti di canali utilizzati per finalità irrigue, da depuratori ed eventuali ulteriori scarichi presenti. b) ambiti territoriali litoranei e costieri tramite individuazione e mappatura di anomalie termiche e spettrali nelle sabbie costituenti spiagge, ambiti dunali e retrodunali e sui terreni agricoli prossimi alla linea di costa. c) ambiti fluviali compresi aste principali di reti irrigue tramite individuazione e mappatura di anomalie termiche e/o di anomalie vegetazionali. Le attività di sorvolo vengono condotte con l’utilizzo di sensoristica per il Telerilevamento multispettrale e termico, a bordo di un vettore aereo ATR 42-MP del Corpo delle Capitanerie di Porto – Guardia Costiera, in grado di acquisire immagini digitali successivamente elaborate ed integrate nei sistemi informativi regionali. La mappatura tematica dei territori sorvolati viene principalmente realizzata mediante il sistema aviotrasportato DAEDALUS 1268 ATM (Airborne Thematic Mapper), che consiste in uno scanner ottico-meccanico con una risoluzione spettrale identica ai sensori Thematic Mapper a bordo dei satelliti NASA della classe LANDSAT, dal 5 al 7.

Figura 1 – Il bimotore ATR-42/500MP in dotazione al 3° Nucleo Aereo e schierato all’Aeroporto di Pescara-Fontanelle.

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Un aspetto peculiare di tale sensore aereo consiste nella possibilità di rilevare su 11 bande (dal visibile all’infrarosso lungo) informazioni sia sulle capacità riflessive delle superfici osservate sia su quelle emissive (infrarosso termico) con risoluzioni spaziali che possono essere considerate elevate (metriche) se comparate con le immagini nel canale termico disponibili dai satelliti civili attualmente orbitanti (decine di metri). Ulteriore sensoristica all’infrarosso termico, rappresentata da camere FLIR, viene utilizzata a bordo di un elicottero AW 139 per il sorvolo a bassissima quota su target di particolare complessità operativa come elementi fluviali in aree montane o specchi lacustri artificiali. La flessibilità della sensoristica avio ed elitrasportata consente di poter utilizzare tale tecnica in modalità multitemporale eseguendo sorvoli ripetitivi nel tempo sulla stessa area di interesse, senza rigidi calendari imposti dai sistemi orbitanti, e per quanto riguarda la ripresa termica, anche e soprattutto di notte. Le attività di Telerilevamento aereo realizzate dalla Guardia Costiera per la Regione Campania hanno finora realizzato numerose missioni di volo sul territorio regionale rilevando diffuse condizioni di criticità ambientale in acqua, nel suolo e nella vegetazione naturale. La nota situazione emergenziale della “Terra dei Fuochi” si è sovrapposta a tali attività di detection e mapping suggerendo l’inserimento nei piani di volo di target ad elevata criticità presenti sul territorio dei 57 Comuni aderenti al patto. Sono state pertanto realizzate attività conoscitive a supporto dell’emergenza “Terra dei Fuochi”, effettuando interventi di telerilevamento su territori in cui sono presenti evidenze o potenziali condizioni di criticità ambientale per abbandono, interramento o smaltimento di rifiuti, così come evidenziato dalle attività tecniche a supporto del DL 136 2013 successivamente convertito nella L. 6 del 2014. I sorvoli e le relative acquisizioni di immagini termiche e multispettrali hanno permesso di identificare particolari condizioni di anomalia termica presente su aree litorali, sistemi fluviali naturali e semi-artificiali, canalizzazioni per uso irriguo, aree agricole e zootecniche, aree ad elevata pressione antropica a cui generalmente corrispondono potenziali situazioni di illecito ambientale. Il risultato dei sorvoli aerei viene preprocessato all’origine dal III Reparto e successivamente analizzato congiuntamente tramite postprocessamento tematico e confronto con dati pregressi acquisiti negli ultimi anni dal Corpo delle Capitanerie di Porto su mandato delle Autorità Giudiziarie territoriali della Campania.

Figura 2 – Anomalie termiche su dreni e superfice lacustre (immissioni di acque fredde a destra e calde a sinistra).

Tramite le attività di telerilevamento notturno realizzate con l’impiego dell’ATR 42-MP sono state identificate anomalie termiche e spettrali che hanno previsto il successivo intervento a terra da parte dei tecnici della Regione Campania e dell’ARPA Campania con il fondamentale supporto dei Laboratori Ambientali Mobili (LAM) del MARICOGECAP di Roma e del 2° Nucleo Operatori Subacquei della Capitaneria di Porto di Napoli. Questo modello di intervento, basato sull’ottimizzazione delle risorse tecnologiche e delle competenze esistenti, e sulla stretta cooperazione e condivisione delle informazioni tra Enti pubblici coinvolti, rappresenta senza dubbio un’efficace pratica in grado di fornire capacità operative ed analitiche al servizio degli Enti di governo e controllo del territorio finalizzate al contrasto dei reati ambientali ed alla tutela della popolazione residente su aree con elevate condizioni di vulnerabilità all’inquinamento delle risorse naturali presenti. Bibliografia Gonnelli M. Spaccavento G., Sarti F. (2011)- Sensori per il telerilevamento: confronto sui principi di funzionamento, sui limiti degli apparati e sulle modalità di impiego -Atti 15a Conferenza Nazionale ASITA - Reggia di Colorno Terranova C., Onorati G., Paglia L. (2005) Il telerilevamento per l’analisi delle aree costiere - Seminario Naz. Zone Costiere e Zone Umide Lignano Sabbiadoro. Terranova C (1997) Le applicazioni tematiche del telerilevamento per la pubblica amministrazione locale Atti 1a Conferenza Nazionale ASITA, Parma

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Il contributo del Telerilevamento nell’ambito del progetto multidisciplinare “Ebla Chora”

Gabriele Bitelli1, Valentina A. Girelli1, Emanuele Mandanici1,

Simone Mantellini2, Nicolò Marchetti3

1 DICAM – Dipartimento di Ingegneria Civile, Chimica, Ambientale e dei Materiali, Università di Bologna, Italia

2 Università di Roma La Sapienza, Italia 3 DiSCi - Dipartimento di Storia Culture Civiltà, Università di Bologna, Italia

Autore di riferimento: Email: [email protected] Parole chiave: Ebla Chora, DSM, Pansharpening Abstract Il sito archeologico di Ebla, odierno Tell Mardikh, è situato in Siria ed è oggetto da molti anni di una importante missione archeologica diretta dal Prof. P. Matthiae. Nell’ambito del progetto di ricerca europeo “Ebla Chora. The early state and its chora. Towns, villages and landscape at Ebla in Syria during the 3rd Millennium BC. Royal archives, visual and material culture, remote sensing and artificial neural networks”, finanziato da ERC nel 7PQ, sono in corso di svolgimento numerose attività di ricerca che coinvolgono, oltre alle discipline di ambito archeologico, anche la geomatica, la geologia e le scienze agrarie. Il progetto si propone infatti di indagare, a scala regionale, il contesto territoriale in cui il sito è inserito, sperimentando approcci metodologici innovativi che consentano di delineare un quadro storico e geografico più definito. In questo contesto multidisciplinare, il telerilevamento satellitare svolge una funzione importante, potendo fornire una serie di informazioni metriche e tematiche essenziali a supporto dei differenti studi condotti dalle varie discipline. Attraverso l’impiego di immagini multispettrali Landsat sono state per esempio prodotte carte tematiche di uso del suolo sul territorio, mettendo in evidenza i principali cambiamenti occorsi negli ultimi decenni. L’elaborazione di immagini WorldView-2, attraverso tecniche di pan-sharpening, ha fornito ortofoto in falsi colori ad alta risoluzione dell’area di Ebla (Figura 1), la cui interpretazione sta fornendo elementi utili per lo studio di dettaglio del sito, che copre un’area di circa 56 ettari, e del suo intorno.

Figura 1 – Ortofoto in falso colore del sito archeologico di Ebla, ottenuta da una procedura di pan-sharpening con metodo Gram-Schmidt di immagini WorldView-2. In sovrapposizione, la cartografia di origine francese.

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Elemento fondamentale per le analisi condotte dalle varie discipline coinvolte è una soddisfacente descrizione della morfologia. Sono stati generati a questo proposito due modelli digitali del terreno, uno a livello regionale, l’altro di maggiore dettaglio sull’area circostante il sito archeologico di Ebla. Le elaborazioni sono state effettuate su una coppia di immagini Hexagon KH-9 acquisite nel 1975 e su una coppia di immagini Cartosat-1 del 2009. In assenza di dati di riferimento a terra di sufficiente qualità, e nell’impossibilità di potere effettuare campagne di misura in sito a causa della situazione contingente, uno degli elementi di base utilizzati nelle procedure di georeferenziazione è stata la cartografia francese in scala 1:50000 realizzata negli anni ’30 e ’40, opportunamente digitalizzata e inquadrata secondo opportune trasformazioni messe a punto secondo le specificità della cartografia siriana. Sono infine in corso di sperimentazione tecniche predittive per l’individuazione di potenziali nuovi siti nel territorio circostante l’antica Ebla. Queste analisi si avvalgono della comparazione di dati di cartografia storica, di modelli digitali del terreno e di immagini storiche declassificate della serie Corona. Ringraziamenti Si ringraziano il Prof. Paolo Matthiae ed i componenti del gruppo di ricerca del progetto Ebla Chora. Bibliografia Bitelli G., Mandanici E., Vittuari L. (2013) A land in its setting: Remote sensing satellite imagery for the characterization of the Eblaite Chora. In: Matthiae P., Marchetti N. (curators) Ebla and its Landscape: Early State Formation in the Ancient Near East, Left Coast Press, pp. 295-301.

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Classificazione object-oriented di immagini da UAV per l’individuazione dei danni da sisma su edifici storici

Elena Candigliota1, Francesco Immordino1, Valentina Coppola2

1 ENEA, UTSISM Unità Tecnica di Ingegneria sismica, Via Martiri di Monte Sole 4, 40129 Bologna

2 Dottore in Architettura, Bologna Autore di riferimento: [email protected] Parole chiave: classificazione object-oriented, UAV, danni da sisma Introduzione Il territorio di Bondeno, in provincia di Ferrara, è stato gravemente danneggiato dal terremoto dell’Emilia-Romagna del 2012, dal centro alla periferia sono stati dichiarati inagibili abitazioni, edifici industriali e gran parte del patrimonio architettonico (Candigliota et al., 2012). Una sperimentazione relativa all’acquisizione danni da sisma è stata condotta dall’ENEA in accordo con il Comune di Bondeno su alcuni edifici storici della zona. Le acquisizioni sono state eseguite mediante telerilevamento a bassa quota tramite velivoli radiocomandati allo scopo di verificare l’efficacia di tale strumentazione nell’individuazione dei danni in zone inaccessibili e in situazioni di emergenza (Candigliota & Immordino, 2013a,b). Successivamente le immagini acquisite sono state processate mediante software di elaborazione dati al fine di individuare tramite procedure automatiche eventuali danneggiamenti da sisma e situazioni di degrado. Si presentano in questa sede i risultati ottenuti sul processamento di alcune immagini relative a Rocca Possente di Stellata, patrimonio UNESCO. Rocca Possente di Stellata Rocca Possente, patrimonio UNESCO dal 1999, è situata nel piccolo borgo di Stellata a Bondeno, all’interno di un’area golenale sulla riva destra del fiume Po. Le immagini ad alta risoluzione estratte dai video acquisiti hanno consentito l’osservazione di particolari costruttivi, fenomeni di degrado e danneggiamento in zone inaccessibili quali la copertura e il solaio di calpestio al di sopra della volta lesionata del primo piano.

Figura 1 – Rocca Possente di Stellata, elicottero durante le acquisizioni video! Analisi delle murature danneggiate mediante image processing Le immagini acquisite sono state elaborate utilizzando una classificazione object-oriented (Definiens 2006) che ha permesso, attraverso un campionamento in sub-oggetti della scena estratta, la conoscenza dello stato di conservazione e di danneggiamento dell'edificio. Il lavoro è stato infatti finalizzato ad ottenere due tipologie di informazione: il degrado del materiale (mattoni mancanti, vuoti nella superficie muraria, materiale lesionato e non più nella forma originale, ecc.) e il quadro fessurativo dell'edificio in oggetto. Per lo studio delle lesioni diagonali da sisma, la segmentazione ha riguardato il profilo dei mattoni lungo la lesione diagonale nella parte in ombra proiettata dalla copertura. Il software distingue i distacchi verticali come oggetti più scuri, essendo la parte inferiore della spaccatura non più coesa con la muratura ma comunque appoggiata.

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Il criterio usato per classificare gli oggetti appartenenti alla lesione diagonale visibile in figura 2 ha richiesto l'uso di due classi:

- la prima individua gli oggetti con le proprietà che accomunano i segmenti della lesione, ossia area ridotta, bassa luminosità, compattezza, differenza media con i vicini oggetti, direzione principale di poco angolata rispetto alla verticale 0 (direzione prevalente del singolo oggetto non della relazione fra essi che altrimenti sarebbe vicina ai 45°)!"

- la seconda classe identifica la lesione diagonale vera e propria escludendo la quota della copertura (in cui diversi oggetti simili vengono trovati) con il criterio della vicinanza reciproca degli oggetti precedentemente classificati. Rientrano così nella seconda classificazione solo quegli oggetti già appartenenti alla prima classe che possiedono, in aggiunta ai valori di soglia sopra citati, il valore di distanza massima reciproca impostata."

- "

Figura 2 - Segmentazione dell’immagine acquisita e individuazione automatica della lesione diagonale

Dopo il processo di segmentazione, individuati gli oggetti corrispondenti alle lesioni, si è proceduto a classificarli secondo una prima classe di riferimento in relazione alle proprietà e alle soglie più significative: area ridotta, bassa luminosità, compattezza, differenza media con i vicini oggetti ecc. La stessa procedura è stata adottata per la classificazione delle altre immagini della rocca e per immagini relative ad altri edifici danneggiati dal sisma. In conclusione, la tecnica di classificazione adottata, gerarchica e di tipo speditivo, permette di evidenziare in modo preciso gli oggetti cercati (in questo caso lesioni) e potrebbe costituire una base di studio per ulteriori approfondimenti. L’acquisizione remota di immagini tramite UAV, associata a questa metodologia di processing, sembra costituire quindi un valido supporto per lo studio e la diagnostica su edifici storici. Bibliografia E. Candigliota, B. Carpani, F. Immordino, A. Poggianti, 2012. Damage to religious buildings due to the Pianura Padana Emiliana earthquake, EAI Energia Ambiente ed Innovazione, 4-5 parte II, 58-68. E. Candigliota, F. Immordino 2013a. Low Altitude Remote Sensing by UAV for monitoring and emergency management on historical heritage. ANIDIS Congress, Padova 30 June-4 July. E. Candigliota, F. Immordino 2013b. Historical Heritage Safeguard: Remote Sensing by drones for Knowledge and emergency, EAI Energia Ambiente ed Innovazione, 3-4, 78-85. Definiens Reference Book , 2006 P. Giaquinto, R. Ciardi, 2012. Droni in azione per la verifica degli immobili danneggiati dal sisma. WebTV ENEA Video, July.

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Geospatial Intelligence per la prevenzione dei rischi sul territorio: considerazioni tecnologiche

Andrea Fiduccia

Intergraph Italia LLC, via Sante Bargellini 4, 00157, Roma (I)

Autore di riferimento: Andrea Fiduccia Email: [email protected] Parole chiave:!GIS, Geospatial Intelligence, web services, OGC, data fusion Secondo la definizione della National Geospatial-Intelligence Agency (NGA) la Geospatial Intelligence o GEOINT è “la valorizzazione e l’analisi di informazione cartografica, geodetica e di immagini per descrivere, valutare e rappresentare visivamente oggetti e attività georeferenziate”. Tale definizione “ufficiale” è figlia della riorganizzazione dei servizi di sicurezza Nordamericani a seguito del Intelligence Reform and Terrorism Prevenction Act del 2004 La fusione di tutte le predette sorgenti di dati che consente di avere una rappresentazione ricca, accurata e affidabile degli oggetti e delle attività della realtà geografica: la Common Operational Picture (COP).!Perchè sia possibile implementare analisi di GEOINT – ambito ampiamente duale e, quindi, relativo anche alle problematiche multirischio territoriale e di protezione civile - è necessaria una piattaforma tecnologica con ben precise caratteristiche quali: • un ambiente di base che offra funzionalità per l’integrazione di datasets eterogenei per formato, schema

semantico e sistema di proiezione cartografico e funzionalità per analisi caratterizzate dal frequente aggiornamento dei “pesi” in modelli di overlay topologico;

• un ambiente di analisi spaziale raster; • un ambiente per le analisi di telerilevamento che consenta di applicare sia modelli analitici scientifici che

modelli operativi e basati su procedure con elevatissima automazione; • un ambiente di integrazione geospaziale ed exploitation per le nuove sorgenti di dati geospaziali real-time e

near-real-time (convergenza di sensori e streaming video da droni); • moduli di calcolo specifici spesso disponibili come applicativi o codice open source; • un sistema di data sharing basato sul paradigma delle Spatial Data Infrastructures cioè su web services

secondo gli standard Open Geospatial Consortium; • supporto al crowdsourcing di informzioni da parte di operatori sul campo e di semplici cittadini dotati di

smartphone. Questi requisiti sono pienamente soddisfattti dal Portfolio 2014 di HEXAGON Geospatial, la nuova divisione della Intergraph Corporation focalizzata all’eccellenza nelle tecnologie software a standard industriale per l’informazione geografica. La piattaforma GeoMedia 2014 prevede: 1. la scalabilità della piattaforma base rispetto alle funzioni “generiche”: • GeoMedia Essentials: un software GIS con tutte le funzionalità base di analisi dei dati (query dinamiche,

attributi funzionali) con IMAGINE Essentials integrato per le analisi base delle immagini; • GeoMedia Advantage è costituito da GeoMedia Essentials più GeoMedia GRID (supporto al modello raster

generalizzato) e specifiche funzionalità per la validazione dei dati;; • GeoMedia Professional è GeoMedia Advantage più tutte le funzionalità per la costruzione dei dati e per il

controllo di consistenza e qualità degli stessi precedentemente incluse nei verticali GeoMedia Parcel Manager, GeoMedia Public Works, GeoMedia Fusion, and GeoMedia Transaction Manager, GI Toolkit e Feature Topographer;

2. quattro applicativi verticali rispetto alla piattaforma base: • GeoMedia Transportation Manager per le analisi trasportistiche e il supporto alla segmentazione dinamica

avanzata; • GeoMedia Mapping Manager per la realizzazione di prodotti cartografici sia digitali che cartacei; • GeoMedia Database Manager per funzionalità avanzate di gestione dei modelli dati e dei dati in un

ambiente di produzione caratterizzato da un database centralizzato; • GeoMedia 3D per la visualizzazione, la “navigazione”, la gestione e l’analisi di dati GIS tridimensionali. ERDAS IMAGINE, rilasciato nelle tre versioni Essentials, Advantage e Professional, è il software di riferimento per le analisi dei dati satellitari e per la generazione di Modelli Digitali del Terreno. ERDAS IMAGINE nella versione attuale (rel. 14.1), oltre alle note funzionalità di image processing, supporta il formato dati GeoMedia

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warehouse e può operare una prima serie di analisi con i dati LIDAR consentendo di pubblicare i suoi workflow come webservice OGC WPS (tramite ERDAS APOLLO) in una Infrastruttura di Dati Territoriale. Mediante specifici applicativi verticali IMAGINE consente, tra l’altro, la gestione di dati radar mediante flussi analitici basati su wizard, la georeferenziazione rapida, le analisi di cambiamento e la vettorializzazione automatica. L’integrazione con GeoMedia è sempre più spinta: infatti è possibile dallo Spatial Modeler, il potente ambiente grafico di costruzione dei workflow di analisi, costruire processi “ibridi” che sfruttano non solo il motore di analisi raster di IMAGINE, ma anche tutte le funzionalità di processamento vettoriale di GeoMedia. Sempre in questa nuova versione sono estese le funzionalità di supporto al dato LIDAR sia in visualizzazione che in classificazione. Negli anni più recenti i droni, gli UAV di varie dimensioni, si sono affermati quali protagonisti della ricognizione in “aree calde” o di difficile accessibilità. Lo streaming dei dati video ripresi delle camere aviotrasportate degli UAV viene analizzato real-time e near-real time in un ambiente costituito – semplificando - da un videoregistratore digitale con un monitor di alte prestazioni. Poichè la camera aviotrasportata cambia spesso livello di zoom, il fotointerprete ha problemi nel contestualizzare l’immagine (effetto “tunnel vision”). La Motion Video Exploitation Solution è la risposta a questa problematica. I frame dello streming dello UAV contengono un metadato di telemetria con informazioni tali da consentirne la corretta georeferenziazione: MVE presenta un ambiente nel quale le immagini visualizzate in una finestra dedicata sono sincrone con un ambiente GIS nel quale le stesse immagini sono visualizzate georiferite e, quindi, fuse con tutto il contesto cartografico. Nella finestra di analisi delle immagini sono disponibili tools di enhancement real-time derivati dalle tecnologie per l’analisi forense. I singoli frame possono essere identificati (clipmarking), esportati e fusi creando vere e proprie foto aeree ad altissima risoluzione. Il framework di interoperabilità con i sensori è completato da EdgeFrontier. Si tratta di un ambiente innovativo per la gestione di flussi di dati provenienti da sensori di ogni tipo già applicato nel contesto di integrazione nella COP di informazioni provenienti da sensori geotecnici e di sicurezza fisica. La sfida successiva è integrare il sensore più diffuso sul territorio: l’uomo nella prospettiva del wikisensing. E, grazie alle tecnologie geospaziali open (sia a livello di sorgenti di dati che di web services per il data sharing) e Commercial-Off-The-Shelf coniugate con gli smartphone, un primo livello di wikisensing è già una realtà. Ad esempio, in Danimarca, Intergraph - a partire dalla piattaforma software Mobile Alert - ha realizzato il progetto Dej Tip - Give a Hint: i cittadini possono mediante gli smartphone inviare alle autorità competenti segnalazioni multimediali georiferite su OpenStreetMap relative al decoro urbano. Piattaforme software con funzionalità più “tecniche” sono disponibili per operatori delle squadre di manutenzione (Mobile MapWorks) e di sicurezza. Tutti questi sistemi sfruttano la famiglia delle soluzioni serventi Intergraph (ERDAS Apollo e GeoMedia WebMap) per poter disporre sia dei web services a standard OGC semplici e avanzati che delle applicazioni di visualizzazione dei dati nei browser anche in 3D (Geospatial Portal).

!

Intergraph ERDAS Imagine Professional 14.1

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Approccio multiscala per la caratterizzazione delle aree urbane ad alta criticità

Elena Candigliota1, Francesco Immordino1, Matteo Corvi2

1 ENEA, UTSISM Unità Tecnica di Ingegneria sismica, Via Martiri di Monte Sole 4, 40129 Bologna

2 Università Alma Mater Studiorum di Bologna, laureando in Architettura Autore di riferimento: [email protected] Parole chiave: Pléiades, beni culturali, fotointerpretazione, object-oriented Introduzione L'area di studio, nella pianura alluvionale del fiume Po in Emilia-Romagna, tra i comuni di Bondeno e Finale Emilia (figura 1), ha subìto gravi danni a seguito del terremoto nel maggio 2012. La zona è parte della bassa pianura caratterizzata da depositi sabbiosi, limosi e argillosi legati al lento deflusso delle acque fluviali verso la vicina foce. L’opera dell’uomo ha profondamente modificato i caratteri ambientali e paesistici della pianura alluvionale; l’agricoltura è stata l’attività predominante in queste aree con uno schema rigido di organizzazione territoriale.

Figura 1 - Area di studio: Bondeno (FE).

Le bonifiche e le irrigazioni hanno comportato un piano preventivo di riorganizzazione territoriale con una sistemazione geometrica a riquadri rettangolari limitati da argini, canali, limiti poderali e strade. In tempi più recenti, lo sviluppo industriale ha modificato profondamente i tratti della pianura, con l’espansione urbana e lo sviluppo di una fitta rete viaria. La pianura alluvionale padana è, inoltre, interessata da attività estrattive (figura 2) di grandi quantitativi di sabbie e ghiaie con effetti di degrado ambientale e paesaggistico. Le profonde modificazioni di tipo antropico hanno messo a rischio il territorio in studio soprattutto per fenomeni di esondazione fluviale che possono coinvolgere attività produttive, centri abitati e strutture di interesse storico-architettonico.

Figura 2 - Immagine Plèiades: pattern di intensa attività agricola e attività estrattive di sabbie e ghiaie in alveo.

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Scopo dello studio è l'identificazione di dati morfologici e antropici e la descrizione dell’interferenza fra uso del suolo e dinamiche geomorfologiche. A tal fine è stato adottato un approccio multiscala mediante l'uso di immagini ad alta e altissima risoluzione per una visione sinottica e di dettaglio della zona. In tale contesto e nell’ambito di un progetto di validazione, sono state analizzate immagini multispettrali Pléiades (figura 2), associate a dati Landsat MSS, ETM (figura 3) e fotogrammetria aerea per lo studio delle trasformazioni del territorio.

Figura 3 - Immagini multitemporali Landsat (1970 e 2000) dell’area di studio.

Il processo di foto-interpretazione è stato eseguito mediante "chiavi d’interpretazione" associando tono, struttura e forme in relazione alle differenti bande e in particolare alla banda spettrale dell'infrarosso (0,74-0,94 µm) che permette un accurato studio delle forme del territorio attraverso l'interpretazione di variazioni tonali. L’alta definizione ha permesso l’identificazione dettagliata di strutture antropiche in contesti ad alta criticità territoriale e la banda dell’infrarosso il riconoscimento di probabili strutture sepolte legate a presenze archeologiche (figura 4). Alcune criticità evidenziate nelle immagini Pléiades sono state verificate attraverso immagini riprese a bassa quota (figura 5).

Figura 4 - Strutture antropiche: Borgo di Stellata e Rocca Possente in contesti ad alta criticità

(area golenale). Immagine Plèiades - pansharp (ris: 0,50m).

Figura 5 - Rocca Possente di Stellata, Bondeno. Immagini acquisite a bassa quota da velivoli radiocomandati.

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Le aree antropizzate sono in fase di classificazione attraverso procedure pixel-oriented (supervised - massima verosimiglianza) e object-oriented mediante feature di prossimità e customizzate (figura 6) allo scopo di evidenziare le diverse tipologie e la distribuzione in relazione alle criticità territoriali.

Figura 6 - Classificazione pixel oriented e objet-oriented. Bibliografia Tzotsos A., Argialas D. (2006), MSEG: A generic region-based multi-scale image segmentation algorithm for remote sensing imagery. ASPRS Annual Conference, Reno, Nevada, 1-5 maggio. Definiens, (2006), Definiens professional 5.0 Reference Book, Monaco, Germania 122 pp.

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Telerilevamento e pianificazione territoriale per lo studio di un bacino della Sardegna meridionale a rischio idrogeologico

Maria Teresa Melis1, Antonio Funedda1, Elisabetta Danila Patta2, Francesco Dessì1

1 Dipartimento di Scienze chimiche e geologiche, Università di Cagliari

via Trentino, 51- 09127 Cagliari, Italia 2 Geologo libero professionista, Cagliari, Italia

Autore di riferimento: [email protected] Parole chiave:!Fotointerpretazione, geologia, geomorfologia,land cover, soil sealing, rischio idrogeologico

Introduzione Lo studio che si presenta fa parte di una attività di ricerca realizzata nell’ambito del progetto RESMAR “Resau pour l’environnement dans l’espace maritime”, finanziato nell’ambito del PO FESR 2007- 2013 Italia-Francia “Marittimo”, che ha coinvolto diciotto partner dei territori della Sardegna, della Corsica, della Liguria e le Province di Livorno e Massa Carrara, con l’obiettivo di creare una rete transfrontaliera di tutela dell’ambiente marittimo in senso ampio. In questo ambito si è sviluppata un’azione specifica dedicata all’analisi di un bacino idrico a rischio idrogeologico per comprendere le dinamiche di propensione naturale al dissesto e le interazioni con le azioni di gestione territoriale. Sono stati realizzati gli studi di natura geologica, geomorfologica, geopedologica, idrogeologica e di land cover/use per definire le caratteristiche fisiche del bacino e proporre una metodologia di indagine integrata delle diverse componenti geologiche in senso lato che possano guidare le scelte di pianificazione. Questi studi hanno prodotto una serie di cartografie tematiche e in questo studio si presentano le metodologie di analisi di dati telerilevati che hanno permesso di ricostruire il quadro evolutivo del territorio e l’interferenza dei cambiamenti di uso con le dinamiche geomorfologiche naturali. Il contesto territoriale è quello del piccolo bacino imbrifero costiero del Rio San Girolamo con un’estensione di 15 kmq circa, che raggiunge una quota massima di 734 metri sul mare. Si tratta di un bacino che presenta condizioni di rischio idrogeologico per esondazione del corso d’acqua principale a seguito di precipitazioni di forte entità. Il rischio è dovuto alla presenza di una forte pressione antropica che ha portato all’urbanizzazione anche di aree comprese all’interno dell’alveo naturale e pertanto periodicamente interessate da alluvionamento. La ciclicità di questi eventi è storica e riconoscibile nei depositi alluvionali più antichi. Il bacino si sviluppa all’interno del complesso intrusivo e filoniano tardo-paleozoico costituito per la massima parte di granodioriti a grana medio–grossa e leuco–mozograniti a biotite (Barca et al., 2009). Nel settore alto del bacino, in sinistra idrografica del Rio San Girolamo, affiora il basamento metamorfico costituito prevalentemente da rocce terrigene, metarenarie e metapeliti con debole grado metamorfico. L’assetto morfologico dei versanti è infine guidato da una serie di filoni idrotermali tardo-paleozoici che formano le creste morfologiche. Viste le finalità dello studio, che mira a comprendere le dinamiche recenti sui versanti e lungo il corso d’acqua per definire criteri da adottare per la redazione degli strumenti urbanistici, si è data particolare attenzione al rilevamento delle forme e dei depositi recenti e sono stati riconosciuti depositi pleistocenici e olocenici in forma di conoidi alluvionali, terrazzi fluviali, depositi di versante , depositi di frana sino ai sedimenti dei cordoni litorali e di spiaggia. Sviluppo metodologico Le elaborazioni dei dati per la redazione della cartografia di dettaglio si sono svolte in ambiente GIS acquisendo la serie storica di dati telerilevati disponibili sia in forma di ortofoto che di immagini da satellite. Inoltre si è acquisito il DTM NextMap con passo 5 m che ha costituito la base topografica di riferimento per l’elaborazione dei parametri morfometrici. Si tratta di un prodotto basato su un sistema di acquisizione di tipo interferometrico radar montato su aereo. Il rilevamento sul campo è stato integrato da un’accurata fotointerpretazione dei dati telerilevati disponibili (Tabella 1). In particolare sono state svolte tre serie di analisi:

! geologica per il riconoscimento delle litologie, degli elementi strutturali e dei rapporti stratigrafici; ! morfologica per la ricostruzione delle variazioni storiche dell’alveo del Rio san Girolamo ! interpretativa per la ricostruzione storica delle variazioni di copertura del suolo e l’elaborazione di un

indice di soil sealing.

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Tabella 1 - Data di acquisizione e scala di riferimento dei dati di base disponibili per la fotointerpretazione. I dati sono ortorettificati.

I risultati di queste analisi evidenziano le profonde modificazioni operate dall’uomo negli ultimi 50 imposte ad aree del territorio non idonee per l’edificazione. In particolare si rileva che le variazioni del tracciato dell’alveo del Rio san Girolamo e il riconoscimento di forme di paleo-alveo e di circolazione idrica sub-superficiale, estratti dalle fotografie aeree e dalle immagini da satellite disponibili evidenziano in modo molto chiaro l’area di competenza del corso d’acqua e le sua modalità di sviluppo recente e attuale (Figura 1). !!!! Fig. 1 - L’immagine a sinistra è un settore di una fotografia aerea acquisita nel 1968 in cui è ben visibile la presenza di una forma a meandro non più attivo in superficie ma presente come forma di circolazione sub-superficiale delle acque. La carta sulla destra è un estratto della cartografia geomorfologica sulla base topografica del 2009 in cui è ben visibile l’edificato attuale.

L’interferenza delle opere con il naturale scorrimento delle acque è rappresentata in Figura 2 dove l’interpretazione geomorfologica permette di riconoscere la dinamica d’alveo. Fig. 2 - Interferenza tra reticolo idrografico e infrastrutture: deviazione dell'andamento delle acque superficiali (frecce blu), che invece che procedere verso est sono convogliate nel Rio San Gerolamo in una posizione più a monte, inoltre la recinzione di protezione dell'agglomerato edilizio impedisce un ruscellamento diffuso che avrebbe permesso l'infiltrazione di una parte dell'acqua. Le frecce arancioni indicano linee di deflusso naturali, le frecce verdi meandri abbandonati, il punto rosso la posizione approssimativa della scuola materna.

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L’applicazione inoltre di un’analisi geomorfometrica specifica, finalizzata alla tutela paesaggistica dei corsi d’acqua e descritta nel dettaglio nel lavoro di Melis et al., del 2013 per l’individuazione su base morfologica dell’alveo naturale ha permesso di definire cartograficamente il suo limite, che risulta comprendere le aree urbanizzate e colpite dall’ultimo evento catastrofico del 2008 e attualmente ancora a rischio4!A conferma del forte impatto dell’uomo su questo territorio, lo studio delle variazioni della copertura del suolo dagli anni ’50 ad oggi evidenzia una progressiva impermeabilizzazione del suolo, elaborata come indice di soil sealing, che deve costituire uno strumento per la corretta pianificazione degli interventi futuri (Figura 3).

! !

Fig. 3 - Il grafico mostra come la componente artificiale associata alla classe 1 e quindi all’urbanizzazione abbia influito in modo particolare sulla diminuzione delle aree agricole, la cui superficie viene ridotta quasi della metà. Ringraziamenti Questo lavoro fa parte del Progetto RESMAR: Reseau pour l’environnement dans l’espace Maritime), Programma di cooperazione transfrontaliera Italia-Francia “Marittimo” 2007-2013, cofinanziato con il Fondo Europeo per lo Sviluppo Regionale. Bibliografia Barca S., Serri R., Rizzo R., Forci A., Calzia P. & Pertusati P.C. (2009) - Note Illustrative della Carta Geologica d’Italia. Foglio 565 Capoterra, alla scala 1:50.000. Servizio Geologico d’Italia, Regione Autonoma Sardegna, Roma. Melis M. T., Patta E. D., Dessì F., Funedda A., Manigas L. (2013). Geologia e Geomatica a supporto delle scelte di pianificazione: il riconoscimento degli argini naturali di un corso d'acqua. 17a Conferenza Nazionale ASITA, Riva del Garda, Italy, 5-7 Novembre, 2013. pp. 983-991. ISBN 978-88-903132-8-8.

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Aggiornamenti cartografici patrimoniali mediante l'uso di immagini satellitari ad alta ed altissima risoluzione

Valerio Baiocchi1, Francesca Giannone1, Oreste Colombo2, Pier Luigi Mattera2,

Piero Proietti2, Stefania Salsedo2, Giovanna Tedei2

1 Dicea, “Sapienza” Università di Roma, Via Eudossiana, 18 - 00184 Roma, Tel. +390644585068, Fax. +390644585515, email: [email protected]

2 Roma Capitale, DipartimentoPatrimonio e valorizzazione - ConservatoriadelPatrimonioImmobiliare Via Giovanni da Verrazzano, 7 - 00154 Roma

Autore di riferimento: Valerio Baiocchi. Email: [email protected] Parole chiave: Roma, restituzione, IKONOS, ErosB, Quickbird, WorldView-2

Riassunto Il progetto è stato realizzato allo scopo di verificare le risorse che dovranno essere messe in campo dall’Amministrazione Capitolina per la gestione interna dell’aggiornamento su cartografia digitale degli elementi costituenti lo strato patrimoniale. Per raggiungere questo scopo è necessario disporre di una base geometricamente corretta quale quella ottenibile mediante immagini satellitari ad alta risoluzione ortorettificate mediante modelli fotogrammetricamente rigorosi ottenendo accuratezze di ordine metrico affinché possano essere adottate, nel sit della Conservatoria, come livello conoscitivo di riferimento. Introduzione ed inquadramento del progetto La Conservatoria del patrimonio immobiliare è uno degli uffici del Comune di Roma di più antica costituzione; in pratica esiste dall’istituzione in epoca moderna del municipio capitolino, col “motu proprio” di Pio IX del 1847. Ha il compito di registrare ed archiviare la documentazione attestante l’acquisizione dei beni immobili al patrimonio comunale, attraverso modalità di verifica e classificazione certe e rigorose.

Al 31 dicembre 2013 si registrano 59.466 beni in proprietà suddivisi in 14 segmenti, dalle strade ai mercati, all’edilizia residenziale. Un insieme diversificato ed eterogeneo di cespiti distribuiti su un territorio di estensione eccezionale (129.000 ettari).

Allo scopo di archiviare i dati e le informazioni relative al patrimonio immobiliare, di ampliare l’attività di ricognizione, classificazione, verifica e rilievo consistenziale per mezzo di strumenti e supporti adeguati, la Conservatoria si è dotata di un sistema informatico che ha lo scopo di supportare l’ufficio nelle sue attività istituzionali. Esso risiede su dei server dedicati, ubicati presso gli uffici del Dipartimento Patrimonio. E' composto dalle seguenti applicazioni:

• VisualPic - applicazione per la visualizzazione degli atti (anche in formato digitalizzato) e dei beni; • AlfaPic - applicazione per l’inserimento e la gestione degli atti e dei beni; • SitiCloud - applicazione per il caricamento, visualizzazione e gestione dei dati catastali (mappe e

censuario); • MPic - applicazione cartografica con l’evidenza dei beni patrimoniali distribuiti sul territorio.

L’applicazione cartografica Mpic è costituita di 4 livelli informativi di base: ! Catasto ! Carta tecnica ! Grafo stradale

e di quattro livelli che rappresentano il patrimonio: ! Aree ! Fabbricati ! Strade ! Atti

I livelli relativi al patrimonio vengono aggiornati tramite una funzione di editing che fa una copia delle geometrie dal livello cartografico di base che meglio rappresenta il bene, replicandola su uno dei livelli patrimoniali. In

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questa fase si è evidenziata una importante criticità determinata dall’aggiornamento dei livelli informativi di base. Tanto la carta tecnica quanto il catasto, infatti, per motivazioni diverse, hanno tempi di aggiornamento molto lunghi e, nel caso della cartografia tecnica, costi difficili da sostenere. Con questa sperimentazione si è voluta verificare la accuratezza raggiungibile con la digitalizzazione da immagini da satellite, effettuata da personale dell’amministrazione, perché la loro esperienza nel riconoscere gli oggetti di interesse dell’ente non può essere garantita da tecnici esterni, sia pur esperti nelle tecniche di restituzione. La reale applicabilità di una simile procedura, infatti, non dipende solo dal rispetto delle accuratezze metriche richieste, ma anche dalla leggibilità degli elementi di interesse sulle immagini stesse (Galetto, 2008). Lo scopo era quindi quello di verificare se è realmente praticabile l’aggiornamento di tutti gli elementi cartografici mancanti nella carta tecnica e nel catasto indispensabili per la rappresentazione in cartografia del patrimonio.

In base alle considerazioni precedentemente esposte si è proceduto alla valutazione comparativa di una serie di immagini ad alta ed altissima risoluzione scelte tra quelle disponibili nell’attuale panorama tecnologico . In particolare sono state utilizzate immagini ad alta risoluzione dei seguenti tipi:

- IKONOS Risoluzione a terra 0.8 m. - ErosB Risoluzione a terra 0.7 m. - Quickbird Risoluzione a terra 0.61 m. -WorldView-2 Risoluzione a terra 0.46 m.

Il personale dell’Amministrazione coinvolto nella sperimentazione, ha eseguito una serie di test di vettorializzazione in ambiente CAD sulle varie immagini orto rettificate per valutare la leggibilità e l’accuratezza geometrica dei risultati ottenibili.

La sperimentazione è stata effettuata sulle immagini a disposizione su di un’area test di circa 10 kmq nel centro storico di Roma.

Sono stati individuati 50 punti con caratteristiche tali da ricoprire tutte le tipologie di bene che costituiscono il patrimonio immobiliare e provveduto alla digitalizzazione del loro perimetro sulla base dell’immagine satellitare.

Elemento di notevole difficoltà è stata l’individuazione di una metodologia che permettesse con semplicità di ridurre in pianta la dislocazione degli elementi in rilievo quali le sommità degli edifici dovuta all’ “off nadir” del satellite all’atto della presa. E’ inoltre stata sviluppata la definizione di regole che rendessero omogenee per tipologia gli elementi indicativi nella restituzione del “cassone edilizio”. Conclusioni e prospettive di sviluppo Da queste sperimentazioni è emerso che è quasi sempre possibile vettorializzare i dettagli di interesse della Conservatoria dalle immagini satellitari ad alta risoluzione e le accuratezze ottenibili con le immagini WorldView-2 sono totalmente compatibili con i requisiti di accuratezza metrica dell’aggiornamento della carta tecnica al 2.000 attualmente in uso. L’esposizione completa dei risultati viene qui omessa per ragioni di spazio ma sarà oggetto di una successiva comunicazione estesa. I risultati ottenuti permettono di assicurare che le immagini satellitari ad alta risoluzione possono validamente essere utilizzate dall’Amministrazione quale base geometricamente corretta per gli scopi della Conservatoria e degli altri servizi dell’Amministrazione. Tale base geometrica può essere resa compatibile con quella del Catasto permettendo interrogazioni ed estrazioni di informazioni georiferite, sinora di onerosa realizzazione. Tutti i risultati ottenuti possono essere implementati in un GIS di tipo web consultabile dai dipendenti dell’Amministrazione per scopi interni o dalla cittadinanza per altre interrogazioni. In entrambi i casi si possono sviluppare degli specifici applicativi su ambiente mobile che permetterebbero di interrogare il GIS così ottenuto in tempo reale da qualunque posizione. Ringraziamenti Si ringrazia “E-Geos” per la disponibilità dell’immagine WorldView-2. Si ringrazia “IptSat” per la disponibilità dell’imagine EROS-B Bibliografia Galetto R. (2008) –La produzione della cartografia numerica con metodo fotogrammetrico, Dispense di Fotogrammetria per il Corso in Ingegneria Edile-Architettura, http://geomatica.unipv.it/galetto/dispense/Cap_VI_produzione_cn.pdf, Chapter 6, pp. 1-9 Jacobsen K. (2013)- DEM Generation from High Resolution Satellite Imagery, PFG 2013 / 5, pp 483–493 Toutin, Th. (2009)- Fine spatial resolution optical sensors, Chapter 8 In SAGE Handbook of remote sensing, Eds: T.A. Warner, M.D. Nellis and G.M. Foody, SAGE, London, U.K., Chapter 8, pp. 108-122.

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Una metodologia integrata per l'analisi della pericolosità idrogeologica: il caso di Collelongo (AQ, Abruzzo)

Silvio Cavallucci1, Enrico Miccadei2, Tommaso Piacentini2,

Eustachio Pietromartire3, Marco Sciarra2

1 Technosoil S.r.l., Via Fonte Vecchia 4. 65010 Spoltore (PE), Italia 2 Laboratorio di Geomorfologia strutturale e GIS, Dipartimento di Ingegneria e Geologia,

Università "G. D'Annunzio" di Chieti-Pescara, Via dei Vestini 31, 66100 - Chieti Scalo (CH), Italia 3 Tecnosoil Engineering s.r.l., Via Fonte Vecchia 4. 65010 Spoltore (PE), Italia

Autore di riferimento: Email: [email protected] Parole chiave:!Indagini geomorfologiche, indagini geognostiche, GIS, pericolosità geomorfologica, Abruzzo. Riassunto Il presente lavoro illustra i risultati delle indagini geologiche, geomorfologiche e geognostiche, eseguite nell’area del Comune di Collelongo (AQ), finalizzate alla valutazione della pericolosità idrogeologica del territorio comunale. L’ambito territoriale dello studio nel settore montano dell’Appennino centrale, ai margini della conca intermontana del Fucino. L’area rientra, infatti, nel bacino idrografico della Piana del Fucino (di pertinenza del Fiume Liri-Garigliano), in corrispondenza del settore mediano del sottobacino della Vallelonga ed in particolare sul versante sudoccidentale (Figura 1). L’area comprende i bacini torrentizi di Valle del Casale e Valle dei Cerri che, nel tratto pedemontano, comprendono l’area del centro abitato di Collelongo (Figura 2).

!Figura 1 - Orografia della Vallelonga: a) Carta delle fasce altimetriche;

b) Carta dell’acclività; il riquadro rosso indica l’area di studio.

!Figura 2 - Foto panoramica della piana della Vallelonga (vista da ENE verso WSW),

in primo piano si nota il centro abitato di Collelongo.

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L'area è contraddistinta da rilievi calcarei, allungati in direzione NW-SE, separati da incisioni vallive impostate su litotipi flyschiodi e interessate da depositi continentali quaternari (Miccadei et alii, 2010). Dal punto di vista geomorfologico, i principali processi attivi dell’area sono legati all'azione della gravità e delle acque correnti superficiali. L’obiettivo dello studio, condotto a una scala di dettaglio (1:5.000), è stato l’approfondimento delle conoscenze finalizzato all’analisi e alla valutazione della pericolosità geomorfologica e del relativo rischio. Lo studio si è sviluppato in fasi successive, ma parzialmente sovrapposte e correlate nel tempo. Tutti i risultati delle attività di indagine sono stati digitalizzati ed elaborati in ambiente GIS portando alla realizzazione di diverse cartografie geotematiche relative a orografia e idrografia, geolitologia, idrogeologica, geomorfologia, indagini geognostiche, spessore delle coperture (Fell et alii, 2008; Miccadei et alii, 2012, 2013; Miccadei & Piacentini, 2013). La fase preliminare ha portato all’inquadramento dell’ambito territoriale oggetto dello studio nel contesto della Vallelonga dal punto di vista geografico, geologico, geomorfologico e della sismicità. È stato, quindi, analizzato l’ambito di dettaglio dell’area oggetto dello studio dal punto di vista morfometrico, idrografico e meteoclimatico. La fase di analisi e rilevamento geologico e geomorfologico ha portato, in primo luogo, alla definizione delle caratteristiche litologiche e geologico strutturali dell’area di studio in base a un rilevamento geologico e geomorfologico in scala 1:5.000. Il rilevamento si è incentrato particolarmente sulla caratterizzazione dei depositi continentali del Quaternario ed è stato eseguito facendo riferimento alle linee guida del Servizio Geologico d’Italia e. Lo studio geologico ha portato, inoltre, alla definizione delle caratteristiche idrogeologiche dell’area. Sono, quindi, state definite le caratteristiche geomorfologiche dell’area, con particolare riferimento alle aree storicamente inondate e ai dissesti segnalati e alle forme e processi morfogenetici che interessano l’area di studio. Lo studio geomorfologico si è basato su un rilevamento in scala 1:5.000, integrato con un’analisi fotogeologica multiscalare e multitemporale (1954-2007), coadiuvati da una ricerca documentale delle aree inondate e dei dissesti segnalati. Anche in questo caso, il rilevamento è stato eseguito facendo riferimento alle linee guida del Servizio Geologico d’Italia e del Gruppo Nazionale di Geografia Fisica e Geomorfologia, e alla cartografia geomorfologica dell’Autorità di Bacino dei fiumi Liri-Garigliano e Volturno. La campagna di indagini geognostiche ha costituito uno strumento essenziale e complementare allo studio geologico e geomorfologico, volto a definire le caratteristiche geometriche, stratigrafiche e fisico-meccaniche di dettaglio dei depositi superficiali e di copertura. La programmazione delle indagini si è basata, quindi, sul quadro delle indagini pregresse raccolte nella fase preliminare del lavoro, sui risultati del rilevamento geologico e geomorfologico. Le indagini geognostiche hanno riguardato sia le potenziali aree di innesco, di propagazione e/o dei movimenti franosi, sia le aree di deposito. Complessivamente sono state eseguite un totale di n. 275 indagini geognostiche tra cui in particolare: fiorettature, pozzetti esplorativi manuali con prelievo campioni rimaneggiati, prove penetrometriche DL 30 e DL 10, sondaggi a carotaggio continuo, trincee esplorative meccaniche. Le conclusioni dello studio si basano sul confronto, la sovrapposizione e la correlazione in ambito GIS dei risultati delle analisi geologiche e geomorfologiche e delle indagini geognostiche realizzate, e hanno portato alla definizione e la cartografia di dettaglio degli spessori dei depositi di copertura recenti, olocenici e attuali, che coprono il substrato carbonatico e detritico. I depositi di copertura, infatti, rivestono un importanza principale nell’ambito delle indagini volte alla definizione della pericolosità geomorfologica. Tali depositi sono, infatti, in stretta relazione con i processi geomorfologici in atto sulla superficie e costituiscono l’interfaccia diretta con qualsiasi tipo di azione o di intervento che si realizza sulla superficie stessa. I risultati saranno di base per l’individuazione di azioni strutturali e non strutturali di mitigazione del rischio idrogeologico e di fondamentale supporto alla pianificazione territoriale. Bibliografia Fell R., Corominas J., Bonnard C., Cascini L., Leroi E., Savage W..Z. (2008) - Guidelines for landslide susceptibility, hazard and risk zoning for land-use planning. Enginnering Geology 102: 99-111. Miccadei E., Piacentini T. (2013) - The Role of Knowledge in the prevention of natural hazards and related risks. Italian Journal of Planning Practice, 3 (1), 46-68, Roma. Miccadei E., D’Alessandro L., Parotto M., Piacentini T., Praturlon A. (2012) – Note illustrative alla Carta Geologica d’Italia (scala 1:50.000), Foglio 378 "Scanno". Servizio Geologico d’Italia, ISPRA Miccadei E., Piacentini T., Daverio F., Di Michele R. (2012) - Geomorphological instability triggered by heavy rainfall: examples in the Abruzzi Region (Central Italy). In: Environmental and Applied Geomorphology, Miccadei E., Piacentini T. Editors. pp. 45-62. INTECH, Rijeka, Croatia. ISBN 9789535103615 Miccadei E., Marsala V., Piacentini T., Rocca M., Sciarra M. (2013) Landslide susceptibility map of the Mauritius Island. Abstract of the 8th IAG International Conference on Geomorphology. Paris. pp. 681.

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Fotogeologia e cartografia geomorfologica per lo studio dell’evoluzione dei versanti in roccia in aree polari:

l’area di Ny Ålesund (Svalbard Islands, Norway)

Enrico Miccadei1, Tommaso Piacentini1, Ruggero Casacchia2, Roberto Sparapani2

1 Laboratorio di Geomorfologia strutturale e GIS, Dipartimento di Ingegneria e Geologia, Università "G. D'Annunzio" di Chieti-Pescara, Via dei Vestini 31, 66100, Chieti Scalo (CH), Italia.

2 CNR Dipartimento di Scienze del Sistema Terra e Tecnologie per l’Ambiente (Roma) Piazzale Aldo Moro 7, 00185, Roma, Italia

Autore di riferimento: Email: [email protected] Parole chiave:!Cartografia geomorfologica, fotogeologia, versanti in roccia, aree polari, Svalbard, Norway. Riassunto L’analisi fotogeologica e la cartografia geomorfologica rivestono un ruolo fondamentale per l’analisi delle pericolosità geomorfologiche. Questo risulta particolarmente evidente negli ambienti ad elevata sensibilità climatica e ambientale, soggetti a cambiamenti del paesaggio molto rapidi e accentuati. In questo lavoro si presentano i risultati preliminari di uno studio geomorfologico in corso in aree polari caratterizzate da ambenti glaciali in rapida transizione ad ambienti perigliaciali. Lo studio è in corso nell’area di Ny Ålesund (Svalbard Islands, Norway, Figura 1) ed è mirato all’analisi della pericolosità da frana nei versanti in roccia in aree soggette a recente deglaciazione. Tale fenomeno sta, infatti, interessando le isole Svalbard negli ultimi decenni (Lehmann and Forman, 1992; Gjermundsen et al., 2013; Hormes et al., 2013) e provoca cambiamenti molto rapidi ed effetti geomorfologici molto marcati, con lo sviluppo di diversi tipi di forme glaciali e periglaciali ma anche un intenso sviluppo di frane da crollo e debris flows nei versanti in roccia.

Figura 1 - Ubicazione delle isole Svalbard (a), dell’area di Ny Ålesund (b) e dell’area di studio (c)

(cortesia del Norwegian Polar Institute). L’area di Ny Ålesund è caratterizzata da un paesaggio montano, con quote massime che raggiungono gli 800-1000 m s.l.m. e con ripidi versanti e scarpate; il paesaggio è non vegetato, solo parzialmente coperto da ghiacciai, nelle parti alte delle valli e localmente fino al mare. Dal punto di vista geologico l’area ed i versanti in roccia sono

a b

c

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caratterizzati da diverse tipologie di rocce, prevalentemente ignee (intrusive ed effusive, talora metamorfiche e meno frequentemente di tipo sedimentario. Tale paesaggio, oltre che da forme glaciali e periglaciali, è diffusamente caratterizzato da falde e coni di detrito, frane da crollo e debris-flows che interessano i versanti in roccia e le scarpate; conoidi alluvionali e piane alluvionali sono presenti invece le aree dallo sbocco delle valli glaciali fino al mare. Tali forme e i relativi depositi costituiscono la complessa e articolata copertura di depositi superficiali che ricoprono le litologie del substrato. L’analisi geomorfologica è basata sull’integrazione di un analisi fotogeologica multitemporale e di rilevamenti geomorfologici di terreno; ulteriori indagini saranno effettuate mediante analisi morfometriche di dettaglio, analisi geomeccaniche sui versanti interessati da frane da crollo e mediante datazione dei depositi di versante e di frana connessi con l’evoluzione dei versanti. In questo lavoro è presentata una carta geomorfologica preliminare, risultato della prima fase di indagine, in cui sono distinte forme di versante dovute alla gravità (frane da crollo, falde e coni di detrito, Figura 2, 3), forme fluviali e legate alle acque correnti superficiali (conoidi alluvionali, piane alluvionali e alvei intrecciati, scarpate di erosione fluviale, ecc.; Figura 2), forme glaciali e periglaciali (circhi glaciali, soglie, cordoni morenici, drumlins, laghi glaciali, suoli poligonali, ecc.; Figura 2, 3), forme marine (falesia, spiagge, ecc) e forme antropiche (cave, terrapieni, ecc.). L’analisi è focalizzata sulla comprensione dei fattori che inducono l’evoluzione dei versanti in roccia e lo sviluppo di falde e coni di detrito, di frane da crollo e in ambienti glaciali e periglaciali, polari o montani a recente deglaciazione (tra cui ad esempio orografia, litologia, fratturazione delle rocce, assetto morfostrutturale, contesto meteoclimatico, ecc). In conclusione il lavoro è rivolto alla definizione della pericolosità da frana su versanti in roccia in aree polari ad alta sensibilità climatica e ambientale.

Figura 2 - Panoramica dell’area di Ny Ålesund. Sullo sfondo i ghiacciai di Vestre Broggerbreen e Austre Broggerbreen e le relative valli glaciali; nella parte bassa delle valli la morfologia ondulata è legata a diverse tipologie di morene; sui

versanti principali si osservano ampie falde e coni di detrito (a destra e a sinistra della foto); in primo piano un’ampia piana alluvionale caratterizzata da un ampio alveo intrecciato (Bayelva) che proviene dallo sbocco delle valli glaciali.

Figura 3 - Versante in roccia interessato da frane da crollo e falde e coni di detrito; tali sono in appoggio e ricoprono

parzialmente depositi morenici legati a cordoni di morene laterali ormai abbandonate. Ringraziamenti Lavoro svolto con Fondi Ateneo Miccadei (ex-60%) dell'Università di Chieti-Pescara e con Fondi Science Svalbard Forum Strategic Grants Fall 2013. Bibliografia Gjermundsen E.F., Briner J.P., Akçar N., Salvigsen O., Kubik P., Gantert N., Hormes A. (2013) - Late Weichselian local ice dome configuration and chronology in Northwestern Svalbard: early thinning, late retreat. Quaternary Science Reviews, 72, 112-127. Hormes A., Gjermundsen E.F., Rasmussen T.L. (2013) - From mountain top to the deep sea - deglaciation in 4D of the northwestern Barents Sea. Quaternary Science Reviews, 75, 78-99. Lehmann S.J., Forman S.L. (1992) - Late Weichselian Glacier Retreat in Kongsfjorden, West Spitsbergen, Svalbard. Quaternary Research, 37, 139-154. Miccadei E., Piacentini T. (2013) - The Role of Knowledge in the prevention of natural hazards and related risks. Italian Journal of Planning Practice, 3 (1), 46-68, Roma.

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Analisi della suscettività da frana nell'Isola di Mauritius (Oceano Indiano)

Enrico Miccadei1, Vincenzo Marsala2, Tommaso Piacentini1, Marco Sciarra1

1 Laboratorio di Geomorfologia strutturale e GIS, Dipartimento di Ingegneria e Geologia, Università "G. D'Annunzio" di Chieti-Pescara, Via dei Vestini 31, 66100, Chieti Scalo (CH), Italy.

2 SGI Studio Galli Ingegneria SpA, Via Provvidenza 13, 35030, Rubano (PD), Italia. Autore di riferimento: Email: [email protected] Parole chiave:!suscettività da frana, GIS, telerilevamento, rilevamento geomorfologico di terreno, Mauritius. Riassunto L'analisi della suscettività da frana dell'isola Mauritius è il risultato del progetto "Development of an Inundation, Flooding and Landslide National Risk Profile for the Republic of Mauritius", svolto in collaborazione con il Ministero dell'Ambiente e dello Sviluppo Sostenibile che ha fornito i dati per questa ricerca. L'isola Mauritius è un isola vulcanica situata nella parte occidentale dell'Oceano Indiano, a circa 900 km a est del Madagascar (Figura 1). L'attuale aspetto fisiografico dell'isola rispecchia un'evoluzione geologica complessa, risultato di tre principali cicli di attività vulcanica da 10 a 0,2 milioni di anni (Giorgi et alii, 1999; Hantke et alii, 1998; Saddul, 1995).

Figura 1 - Isole Mauritius: a) Immagine di National Geografic Word Map (National Geographic et alii, 2011), il riquadro rosso indica l’area di studio; b) Carta fisiografica dell'isola.

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La cartografia dei fattori predisponenti i movimenti gravitativi è stata realizzata combinando dati fisiografici, geologici geomorfologici e di uso del suolo. Per le principali zone montane e collinari dell'isola è stata condotta un'analisi fotogeologica. Le aree a pericolosità da frana individuate sono state confermate attraverso un rilevamento geomorfologico di dettaglio. La valutazione della suscettività di frana e della pericolosità che ne deriva si è basata su un approccio multidisciplinare, integrando sia metodi euristici che statistici. Le principali fasi di lavoro sono state: 1) definizione e cartografia, in ambiente GIS, dei fattori geologici e geomorfologici, direttamente o indirettamente legati all'instabilità pendenza (quota, pendenza, esposizione del versante, profilo di curvatura, pattern idrografico, vegetazione, litologia, pedologia, uso del suolo, precipitazioni), su base di dati bibliografici e fotogeologici; 2) cartografia delle frane esistenti e dei depositi superficiali mediante analisi fotogeologica e rilevamento di terreno; 3) elaborazione spaziale in ambiente GIS della suscettività da frana basata sulle relazioni statistiche tra fattori e processi di instabilità, calibrata attraverso il rilevamento di terreno (Miccadei et alii, 2013; Marsala et alii, 2014). La metodologia adottata ha definito tre carte di suscettività in funzione della tipologia del movimento franoso (crolli, scorrimenti rotazionali, colate rapide). La sovrapposizione di queste mappe ha prodotto la carta di pericolosità (quattro classi principali) da frana dell'isola Mauritius (Figura 2).

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Figura 2 - Carta della pericolosità delle isole Mauritius

Ringraziamenti Il lavoro è stato svolto con contributo liberale di Studio Galli spa all'Università G.D’annunzio Chieti-Pescara. Gli autori ringraziano il Ministero dell'Ambiente e dello Sviluppo Sostenibile delle Isole Mauritius per la fornitura di dati cartografici e delle ortofoto utilizzate nello studio. Bibliografia Giorgi L., Borchiellini S., Delucchi L. (1999) - Notes on the geologic map of Mauritius at 1:50,000: Hydrogeologic schema. Geolab-Burgeap, Mauritius [in French]. pp. 56. Hantke R, Scheidegger A. E. (1998) Morphotectonics of the Mascarene Islands. Annali di Geofisica 41(2): 165-181. Marsala V., Miccadei E., Piacentini T., Sciarra M. (2014) Analysis of landslide susceptibility in tropical environment: the case of Mauritius Island. EGU General Assembly. Vienna. Miccadei E., Piacentini T. (2013) - The Role of Knowledge in the prevention of natural hazards and related risks. Italian Journal of Planning Practice, 3 (1), 46-68, Roma.Miccadei E., Marsala V., Piacentini T., Rocca M., Sciarra M. (2013) Landslide susceptibility map of the Mauritius Island. Abstract of the 8th IAG International Conference on Geomorphology. Paris. pp. 681. Saddul, P. (1995) Mauritius – A geomorphological analysis. The Mahatma Ghandi Institute Press, Mauritius. pp.354.

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Le piane alluvionali dell’area abruzzese: caratteristiche, valutazione pericolosità geomorfologica, gestione del rischio

Enrico Miccadei1, Tommaso Piacentini1, Ileana Schipani2

1Laboratorio di Geomorfologia strutturale e GIS, Dipartimento di Ingegneria e Geologia,

Università "G. D'Annunzio" di Chieti-Pescara, Via dei Vestini 31, 66100 - Chieti Scalo (CH), Italia 2 CIRF Centro Italiano per la Riqualificazione Fluviale, Viale Garibaldi, 44A, 30173 - Mestre (VE), Italia

Autore di riferimento: Email: [email protected] Parole chiave:!Piane alluvionali, pericolosità geomorfologica e idrologica, rischio, Abruzzo. Riassunto I fattori che controllano la dinamica delle piane alluvionali sono differenti: il contesto geologico generale (subsidenza, sollevamento), le condizioni meteoclimatiche (entità ed intensità delle precipitazioni), le caratteristiche geomorfologiche (morfologia, pendenza e ampiezza del canale fluviale e della piana alluvionale, frequenza di esondazione, tipo e tasso di sedimentazione) e le caratteristiche ecologiche. Tali ambienti contengono risorse naturali di facile accesso; sono d’altro canto sede di diversi rischi geoambientali, che si manifestano con intensità e rapidità; sono infatti sensibili alle modificazioni causate sia da fattori naturali che da fattori antropici. I cambiamenti possono verificarsi in tempi centennali o decennali, rapidi dal punto di vista geologico, e condurre ad una perdita estensiva di aree interessate da attività agricole e industriali, per la degradazione delle risorse e l’incremento della pericolosità geomorfologica e idrologica e dei relativi rischi. La riduzione di tali rischi è così divenuto anche in Abruzzo, in particolare nelle aree di fondovalle, un tema cruciale che chiama in causa la pianificazione e la gestione dei corsi d’acqua e delle pianure alluvionali. L’approccio tipicamente utilizzato per contrastare i fenomeni descritti, spesso caratterizzato da massicci interventi strutturali (difese spondali, argini, briglie ecc.) appare, infatti, non più in grado di rispondere alle sfide della complessità dei territori odierni, diventando esso stesso causa di effetti controproducenti . Riconosciuti questi punti di debolezza, la Direttiva 2007/60/CE “Alluvioni” ha introdotto un cambio di paradigma rispetto all’approccio tradizionale, basato sulla gestione del rischio, richiedendo l’implementazione di strategie che mirano ad aumentare la resilienza del territorio assecondando le dinamiche geomorfologiche e i servizi ecosistemici dei corsi d’acqua e chiedendo esplicitamente di mettere in atto tutte le sinergie possibili con gli obiettivi di qualità ecologica dei fiumi dettati dalla Direttiva 2000/60/CE “Acque”. In quest’ottica, i requisiti introdotti dalle Direttive europee – raggiungimento di un buon stato ecologico entro il 2015 (Dir.200/60/CE) e mappatura della pericolosità e del rischio e individuazione di misure idonee alla riduzione del rischio (Dir. 2007/60/CE) – sollevano una vera sfida: gli interventi di rinaturazione e di riqualificazione dei corsi d’acqua, tra cui il recupero di spazio di esondazione e mobilità fluviale, anche con la rimozione di opere idrauliche quando necessario, possono offrire molte valide soluzioni per raggiungere il buono stato ecologico per affrontare con successo la gestione del rischio idraulico e geomorfologico. La questione chiave consiste cioè nel dimostrare che corsi d’acqua più naturali e un uso compatibile delle piane alluvionali sono utili e socialmente desiderabili non solo per ragioni puramente ambientali ma anche perché essi sono la sola risposta economicamente e finanziariamente sostenibile nei confronti del problema del rischio (ECRR, 2008). In questo quadro sono in corso diversi studi sulle piane alluvionali abruzzesi basati sull’integrazione di metodologie di telerilevamento, analisi e cartografia geologica e geomorfologica, analisi ecologica e biogeomorfologica. Questi sono finalizzati alla comprensione delle dinamiche delle piane alluvionali nel quadro delle normative europee e alla definizione delle conoscenze necessarie alla valutazione di pericolosità e rischi (Miccadei & Piacentini, 2013). Le piane alluvionali abruzzesi si sviluppano con decorso generale SW-NE lungo i corsi d’acqua dell’area pedemontano-collinare e l’area costiera. Sono strette e incassate nelle aree di catena e pedemontane e ampie fino a diversi chilometri nell’area collinare e costiera dove si uniscono alle piane costiere (Capelli et alii, 1997; D’Alessandro et alii, 2003; Miccadei et alii, 2012a,b,2013;). Dal punto di vista geomorfologico, le piane alluvionali presentano ampie piane di esondazione e alvei fluviali di diversa tipologia, che hanno subito in tempi recenti (dalla metà del 1900) una progressiva variazione da intrecciati a wandering a meandriformi legata agli interventi antropici lungo i corsi d’acqua e nelle piane stesse.

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Esondazioni, ventagli di rotta, erosioni di sponda, solchi di erosione e frane di colamento sui versanti determinano ad ogni evento importanti modificazioni negli alvei e nella piana e determinano condizioni di pericolosità e di relativo rischio per le aree abitate, le aree industriali, le strutture e le infrastrutture presenti nelle aree di piana alluvionale. In tali contesti, gli approcci esistenti alla valutazione del rischio di alluvione generalmente non supportano con adeguata considerazione le opzioni di riqualificazione fluviale nel novero delle possibili decisioni e la relativa valutazione integrata delle loro conseguenze, ad eccezione di alcuni casi (progetto NofDP; Hübner et al, 2008). L’argomento è stato, in tempi recenti, affrontato da diversi autori anche in progetti in ambito internazionale (Frans et alii, 2004; http://www.ecrr.org/sdfproject/sdfproject.htm; Meyer e Messner, 2005); più recentemente, anche in Italia è stata proposta una metodologia organica e di ampia prospettiva per affrontare problemi decisionali connessi al rischio da alluvioni e a quello geomorfologico (Nardini e Pavan, 2012a e b). È evidente come in questo campo sia ancora necessario basarsi su diversi assunti e semplificazioni e permanga un’elevata incertezza; tuttavia, la comprensione delle piane alluvionali e dei sistemi ambientali da cui esse dipendono e, ancor di più, la loro gestione nei diversi contesti territoriali, inducono a sviluppare e implementare ulteriormente l’idea che corsi d’acqua in condizioni più naturali, insieme ad un uso più compatibile del suolo e ad una loro corretta gestione, possano offrire promettenti opportunità per contrastare il rischio alluvionale e geomorfologico. Ciò è particolarmente vero per le piane alluvionali abruzzesi, ubicate in ambito mediterraneo (in cui si rende necessario considerare insieme al problema delle inondazioni, anche il rischio geomorfologico associato, rappresentato da processi erosivi e fenomeni gravitativi) e in un territorio regionale caratterizzato da ampi contesti semirurali, dove sono disponibili estese porzioni vallive non urbanizzate o scarsamente urbanizzate. Bibliografia Capelli G., Miccadei E., Raffi R. (1997) - Fluvial dynamics in the Castel di Sangro plain: morphological changes and human impact from 1875 to 1992. Catena s.30: 295-309. D'Alessandro L., Miccadei E., Piacentini T. (2003) - Morphostructural elements of central–eastern Abruzzi: contributions to the study of the role of tectonics on the morphogenesis of the Apennine chain. Quaternary International, 101-102: 115-124 ECRR (2008)- IVth ECRR International Conference on River Restoration 2008. Gumiero B., Rinaldi M. and B. Fokkens Eds. CIRF Centro Italiano Riqualificazione Fluviale. Frans K., van Buuren M., van Rooij S. (2004) - Flood-risk management strategies for uncertain future: living with Rhine river floods in the Netherlands. Ambio 33(3): 141-147. Hübner C., Winterscheid A., Ostrowski M.W., Horchler P., Rosenzweig S., Hüsing V., Fuchs E., Belger G., Haase M., Hens T., Kuch D., Lippert K., Thül M. (2008) - Flood control planning and evaluation with an information and decision support system. Proc. 4th Int. Symposium on Flood Defense. Toronto Ontario, Canada (May, 6–8, 2008). Meyer V., Messner F. (2005) - National flood damage evaluation methods. A review of applied methods in England, the Netherlands, the Czech Republic and Germany. UFZ-Discussion Paper, Dep. of Economics. Leipzig-Halle (Germany). Available at http://www.floodsite.net/html/partner_area/project_docs/DP_Meyer_Messner_national_flood_damage_evaluation_methods24112005.pdf Miccadei E., Piacentini T. (2013) - The Role of Knowledge in the prevention of natural hazards and related risks. Italian Journal of Planning Practice, 3 (1), 46-68, Roma. Miccadei E., Piacentini T., Dal Pozzo A., La Corte M., Sciarra M. (2013) - Morphotectonic map of the Aventino-Lower Sangro valley (Abruzzo, Italy), scale 1:50,000. Journal of Maps, 9 (3): 390-409. Miccadei E., Piacentini T., Daverio F., Di Michele R. (2012b) - Geomorphological insta-bility triggered by heavy rainfall: examples in the Abruzzi Region (central Italy). In: Envi-ronmental and Applied Geomorphology, Miccadei E., Piacentini T. Eds., 45-62. INTECH. Miccadei E., Piacentini T., Gerbasi F., Daverio F. (2012a) - Morphotectonic map of the Osento River basin (Abruzzo, Italy). Journal of Maps, 8(1): 62-73. Nardini A. & Pavan S., 2012b. River restoration: not only for the sake of nature but also for saving money while addressing flood risk. A decision-making framework applied to Chiese River (Po Basin, Italy). Journal of Flood Risk Management 5, 111-133. Nardini A., Pavan S. (2012a) - What river morphology after restoration? The methodology VALURI, Int. J. River Basin Management, 10(1): 29-47.

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Cartografia geomorfologica multiscalare e multitemporale nell’area abruzzese, finalizzata all’analisi dell’evoluzione del paesaggio

e del dissesto idrogeologico, al geoturismo e alla geomedicina

Tommaso Piacentini, Tullio Urbano, Marco Sciarra, Vania Mancinelli

Laboratorio di Geomorfologia strutturale e GIS, Dipartimento di Ingegneria e Geologia, Università "G. D'Annunzio" di Chieti-Pescara, Via dei Vestini 31, 66100 - Chieti Scalo (CH), Italy.

Autore di riferimento: [email protected] Parole chiave:!cartografia geomorfologica, GIS, fotogeologia, Abruzzo. Riassunto La cartografia geomorfologica è uno strumento di base per lo studio e la comprensione del paesaggio. La rappresentazione a differenti scale degli elementi caratterizzanti il paesaggio può essere finalizzata a più scopi: dalla ricerca di base alla gestione del territorio, alla geomedicina e al geoturismo (Miccadei & Piacentini, 2013). Il presente lavoro è un contributo di dati ed esempi per migliorare la cartografia geomorfologica e geotematica. In particolare vengono illustrate carte morfotettoniche, carte dell'instabilità dei versanti, carte geoturistiche e carte geomediche, a scale differenti e variabili da 1:10.000 a 1:50.000, realizzate nei principali settori morfostrutturali della Regione Abruzzo.

Figura 1 - Carta dei domini fisiografici dell'Abruzzo; i riquadri colorati indicano l'ubicazione delle aree di studio.

La realizzazione di carte morfotettoniche nell'area di catena e pedemontana dell'Abruzzo meridionale è basata su analisi geomorfologiche a scala di bacino idrografico, implementate in ambiente GIS, e fornisce un contributo alla definizione delle principali fasi evolutive del paesaggio post-orogenico dell'area pedemontana appenninica. Entro i limiti della stessa zona (Valle del Fiume Aventino e Media Valle del F. Sangro), viene presentata una carta geoturistica rielaborata a partire da carte geomorfologiche, in cui le rocce affioranti vengono distinte in base alla loro espressione superficiale in paesaggi geologici distinti.

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Le carte dell'instabilità dei versanti presentate in questo lavoro sono state realizzate attraverso analisi fotogeologiche e rilevamenti geomorfologici di terreno ad elevato dettaglio. In particolare, nel lavoro vengono evidenziati fenomeni di instabilità geomorfologica innescati da piogge intense che, negli ultimi 3 anni, hanno interessato l'area costiera dell'Abruzzo settentrionale. Gli elaborati prodotti rappresentano degli strumenti di base per l'analisi del rischio alluvionale e da instabilità dei versanti, e per la stima dei volumi di sedimenti erosi in occorrenza di questi. Questo tipo di analisi risulta particolarmente importante nello studio di piccoli bacini idrografici in aree costiere, dove i fenomeni di erosione e le pericolosità annesse vengono spesso sottovalutati. In fine, le carte geomediche sono state recentemente sviluppate in molti paesi e incorporano differenti caratteristiche del territorio: litologia del substrato, depositi superficiali, pedologia e geochimica. In questo lavoro viene illustrata la prima carta geomedica realizzata nella Regione Abruzzo e in particolare nella Medio-Bassa Valle del F. Pescara. Ringraziamenti Lavoro svolto con Fondi Ateneo Piacentini (ex-60%) dell'Università di Chieti-Pescara. Gli autori ringraziano il Ministero dell'Ambiente della Tutela del Territorio e del Mare e la Struttura Speciale di Supporto Sistema Informativo Regionale della Regione Abruzzo (http://www.regione.abruzzo.it/xcartografia/) per la fornitura dei dati cartografici e delle foto aeree utilizzate nello studio. Bibliografia Miccadei E., Piacentini T. (2013) - The Role of Knowledge in the prevention of natural hazards and related risks. Italian Journal of Planning Practice, 3 (1), 46-68, Roma. Miccadei E., Orrù P., Piacentini T., Mascioli F., Puliga G. (2012) - Geomorphological map of Tremiti Islands Archipelago (Puglia, Southern Adriatic Sea, Italy), scale 1:15,000. Journal of Maps, Vol. 8, No. 1, 74 –87. DOI:10.1080/17445647.2012.668765 Miccadei E., Piacentini T., Gerbasi F., Daverio F. (2012) - Morphotectonic map of the Osento River basin (Abruzzo, Italy), scale 1:30,000. Journal of Maps, Vol. 8, No. 1, 62 –73. DOI:10.1080/17445647.2012.668764. Miccadei E., Piacentini T., Dal Pozzo A., La Corte M., Sciarra M. (2013) - Morphotectonic map of the Aventino-Lower Sangro valley (Abruzzo, Italy), scale 1:50,000. Journal of Maps, 9 (3), 390-409. DOI:10.1080/17445647.2013.799050 Santo A., Ascione A., Di Crescenzo G., Miccadei E., Piacentini T., Valente E. (2014) - Tectonic-geomorphological map of the middle Aterno River valley (Abruzzo, Central Italy). Journal of Maps, 10 (3), 365–378.

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La mappatura delle coperture in cemento-amianto in Piemonte - metodo sperimentale con tecniche integrate

Isabella Tinetti1, Enrico Bonansea1, Gabriele Nicolò1, Luca Mallen1

1Arpa Piemonte, Via Pio VII, 9 10135 - Torino, Italia

Autore di riferimento: [email protected] Parole chiave:!amianto, coperture, telerilevamento, object oriented, modellistica, LAS Premessa Per quanto l’Arpa svolga quotidianamente attività ispettive connesse alla presenza di amianto in rifiuti, coperture e siti dismessi civili e industriali, la Regione Piemonte non disponeva di un censimento delle coperture su scala regionale. Ottemperando alle richieste ministeriali e per avere un quadro conoscitivo esteso ed omogeneo, è stata quindi avviata nel corso del 2012 una mappatura regionale della presenza di amianto: sia naturale sia di tipo antropico nelle coperture degli edifici. La Struttura Sistema Informativo Ambientale, di Arpa Piemonte,! che cura da diversi anni lo sviluppo di metodologie GIS e di telerilevamento in ambito agenziale, ha quindi avviato il progetto di mappatura delle coperture attraverso l’impiego di tecniche di indagine spaziale. Trattandosi di un’applicazione di remote sensing molto specifica, sulla quale non esistevano in Arpa esperienze pregresse, il lavoro di studio e valutazione delle possibili metodologie di indagine è partito da un’analisi delle esperienze maturate in ambito nazionale da parte di altri Enti pubblici e di ricerca. Ne è emerso che i progetti già realizzati o avviati in altri contesti regionali sono stati caratterizzati dall’impiego di tecnologie e rilievi specifici (es. MIVIS) con costi di investimento significativi e tempi di realizzazione medio - lunghi. I vincoli di natura temporale, economica ed organizzativa hanno imposto ad Arpa, fin da subito, la necessità di individuare una metodologia di indagine speditiva, applicabile su area vasta e basata esclusivamente sull’utilizzo di dati già esistenti. Non avendo potuto disporre di risorse aggiuntive per la programmazione di specifici rilievi, multi o iperspettrali, o per l’acquisto di altri dati e servizi aggiuntivi, il processo si è basato, quindi, esclusivamente sulla ripresa aerofotogrammetrica realizzata dalla Regione Piemonte nel 2009-2010. Metodologia Date le premesse si è reso necessario delineare un percorso di indagine basato su tecniche di analisi da telerilevamento e GIS ed applicabile in tempi brevi, attraverso i dati e le dotazioni strumentali disponibili, con l’obiettivo di individuare oggetti territoriali che rispondessero quanto più possibile a caratteristiche specifiche e che fossero coerenti e confrontabili con i dati geografici e statistici della Regione Piemonte. Il metodo impostato consiste nell’estrarre dalle ortofoto (RGB e CIR con risoluzione spaziale di 0.4m) un livello di “possibile presenza di cemento amianto” secondo la risposta spettrale degli oggetti territoriali ed in una successiva elaborazione in ambiente GIS per la definizione puntuale degli edificati implicati. Sono state sperimentate varie tecniche prima di arrivare a definire una procedura consolidata, applicabile a tutte le ortofoto regionali, secondo una sequenza che prevede: enhancement dell’immagine, segmentazione, classificazione object oriented, modellistica e collaudo. Nella fase sperimentale i risultati ottenuti sono stati oggetto di una valutazione qualitativa attraverso controlli a campione con tecniche di fotointerpretazione tradizionale oppure individuati da scheda di censimento. Ciò ha consentito di tarare ed affinare il modello di classificazione reiterando più volte l’intero ciclo di analisi. Le immagini vengono preparate ed enfatizzate con ERDAS Imagine, quindi segmentate e classificate con tecniche object-oriented tramite eCognition. Si è scelto di effettuare la segmentazione sulle immagini decorrelate ((più ricche di contrasto e di dettaglio) e di classificare a partire dall’immagine originale. In particolare, dall’indagine spettrale a partire da campioni certi è stata estratta una tabella riportante, per ogni oggetto classificato, i valori caratterizzanti le feature ritenute idonee alla ricerca dell’MCA. Questi valori, dopo attenta verifica sull’immagine, sono stati utilizzati nella ricerca della classe di legenda “possibile cemento amianto”:

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Il risultato della classificazione viene succesivamente elaborato in ambiente ArcGis tramite incrocio con il data base geografico regionale e confronto con i dati LAS al fine di eliminare i falsi positivi dati dal “ground” e trasformare i poligoni in oggetti puntuali da fornire al collaudatore per la schedatura. Sempre in ambiente ESRI sono stati realizzati alcuni strumenti GIS finalizzati alle fasi di verifica e collaudo delle risultanze tramite funzionalità di web editing; queste sono fruibili sia in ambiente desktop sia su dispositivi “mobile” per le fasi di sopralluogo in campo:

Considerazioni Dal punto di vista qualitativo, il confronto a campione tra coperture classificate e coperture rilevate con fotointerpretazione tradizionale ha evidenziato nel complesso, un buon livello di corrispondenza. Oltre ad eventuali errori dovuti a situazioni di ombra o sovraesposizione occorre precisare che la metodologia individuata non può identificare bassi fabbricati nascosti da vegetazione, l’amianto presente in coperture già incapsulate oppure in manufatti di piccole dimensioni quali piccole tettoie o ricoveri per attrezzi o elementi non aggiornati sulla BDTRE (elementi che invece possono essere comunque rilevati dalla classificazione automatica effettuata con eCognition) e vengono “persi” dall’elaborazione GIS. Dopo una prima fase sperimentale intrapresa nel corso del 2012, il progetto è entrato nella fase operativa nel 2013 concentrandosi sulle aree più densamente abitate o afferenti a distretti industriali rilevanti. Sono stati indagati oltre 600 comuni per 10.000 kmq di superficie corrispondenti al 75% della popolazione regionale. L’attività è tuttora in corso per il rimanente territorio regionale.

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Estensione attuale della mappatura in corso.

Bibliografia generale Manuali - eCognition Developer 8.7.2, User Guide e Reference Book Manuale – ERDAS/IMAGINE2013/help/html/FieldGuide/Contents_Field_Guide AA.VV – Articoli vari estratti da Atti, pubblicazioni e documentazione Internet Tinetti I. (2013) - La mappatura delle coperture in cemento-amianto in Piemonte – nota illustrativa sulla metodologia sperimentale con tecniche integrate. eCognition Day 2013

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Earth Observation satellites for Spatial Dynamic

Pierre Boubée

Airbus Defence ans Space, Geo-Intelligence, Spot Image, 5 rue des Satellites, 31030 Toulouse, France

Corresponding author: [email protected] Keywords: Spot, Pléiades, CNES, Earth observation satellite

Today satellite images are common and everybody is more or less familiar with. Those satellite images are today widely accessible thanks to satellite operators and satellite owners.

Out of them, Airbus Defence and Space, Geo-Intelligence (formerly Spot Image) is operating a unique series of Very High Resolution satellites and High Resolution satellites in both domains, optical and radar.

Optical satellites: Pléiades 1A and 1B, SPOT 1 to 5 and SPOT 6 & 7.

Radar satellites: Terrasar-X and Tandem-X

All those satellites are operated as a genuine constellation thus offering to Users more advantages.

In addition, Airbus Defence and Space is offering Ad Hoc services e.g. images available a few moments after acquisition for crisis managements, operations, … Airbus Defence and Space is also offering related services, off the shelves 3D and 2D Data Bases, software solutions, off the shelves Foundation Layers, Precision Farming, …

More details at http://www.astrium-geo.com/fr/

Acknowledgments CNES, Airbus Defence and Space.

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Edito dall’ENEA

Servizio ComunicazioneLungotevere G. A. Thaon di Revel, 76 - 00196 Roma

www.enea.it

Impaginazione:Mauro Ciamarra

Stampa:Laboratorio Tecnografico (ENEA - C.R. Frascati)

Maggio 2014

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8° Workshop Tema�co

TELERILEVAMENTO PER L'OSSERVAZIONE

DELLA TERRADall’uso corre�o delle risorse naturali

alla prevenzione dei rischi

-AURUM - La Fabbrica delle Idee

Pescara, 5-6 giugno 2014

A cura di Elena Candigliota e Francesco ImmordinoENEA - UTSISM Unità Tecnica di Ingegneria Sismica - Bologna

Con il patrocinio di:

Sponsor:

Con il sostegno all’inizia�va della

Provincia di Isernia