5. perché ho lasciato gli studi? esperienze, opinioni e ... · tutt’ora mi rimangio tutto quello...

41
190 5. Perché ho lasciato gli studi? Esperienze, opinioni e suggerimenti dei giovani bresciani * 1. Piano metodologico e obiettivi dei focus group L’ultima parte dell’indagine si è focalizzata sulle opinioni e i vissuti degli ex-studenti in provincia di Brescia. Sebbene il piano metodologico previsto dalla Azione Bandiera 1 propendesse per una rilevazione individuale mediante intervista telefonica, per coerenza con gli obiettivi della ricerca e con le precedenti fasi, nonché per ovviare al possibile rifiuto da parte degli ex studenti alla comunicazione telefonica, si è deciso di utilizzare la medesima metodologia di inchiesta, ovvero l’intervista focalizzata in gruppo (focus group). Mediante reclutamento “a valanga” si sono formati 5 gruppi di giovani ex studenti, che hanno abbandonato la scuola secondaria di II grado o l’università prima di concludere il ciclo previsto, maschi e femmine, italiani e stranieri, di età compresa fra i 18 e i 32 anni. Si è voluto inoltre approfondire il tema in diverse aree della Provincia, in riferimento a distinzioni che sono state espresse nelle fasi precedenti (cfr. cap. 3, § 2.3), che vedono le Valli bresciane più esposte al fenomeno dell’abbandono rispetto al capoluogo, alla Bassa bresciana e alla Franciacorta. Ad essi è stata somministrata una traccia semistrutturata (cfr. All. 3) suddivisa in sette sezioni o aree di contenuto, ciascuna delle quali è stata indagata mediante domande stimolo e visualizzazione di frasi e tabelle/grafici. In relazione agli obiettivi specifici di questa fase di indagine, le sezioni della traccia sono: - perché avete abbandonato gli studi (motivazioni e genesi della decisione, supporti o pareri contrari di insegnanti e genitori); conseguenze positive o negative della scelta di lasciare gli studi; - giudizio sull’esperienza scolastica/universitaria vissuta (incluso percezione dell’aiuto/orientamento ricevuto); - l’incontro con il mercato del lavoro bresciano (vissuti e prospettive); - (eventuale) rientro formativo (scuole serali, corsi privati, cambio università, conclusione università); - opinioni positive e negative sull’Azione Bandiera n.1; * Di Maddalena Colombo e Enrico M. Tacchi. Il capitolo è frutto di comuni riflessioni; vanno comunque attribuiti a M. Colombo i parr. 1, 2, e a E.M. Tacchi i parr. 3,4,5.

Upload: truongque

Post on 24-Feb-2019

215 views

Category:

Documents


0 download

TRANSCRIPT

190

5. Perché ho lasciato gli studi? Esperienze, opinioni e suggerimenti dei giovani bresciani* 1. Piano metodologico e obiettivi dei focus group

L’ultima parte dell’indagine si è focalizzata sulle opinioni e i vissuti degli

ex-studenti in provincia di Brescia. Sebbene il piano metodologico previsto dalla Azione Bandiera 1 propendesse per una rilevazione individuale mediante intervista telefonica, per coerenza con gli obiettivi della ricerca e con le precedenti fasi, nonché per ovviare al possibile rifiuto da parte degli ex studenti alla comunicazione telefonica, si è deciso di utilizzare la medesima metodologia di inchiesta, ovvero l’intervista focalizzata in gruppo (focus group).

Mediante reclutamento “a valanga” si sono formati 5 gruppi di giovani ex studenti, che hanno abbandonato la scuola secondaria di II grado o l’università prima di concludere il ciclo previsto, maschi e femmine, italiani e stranieri, di età compresa fra i 18 e i 32 anni. Si è voluto inoltre approfondire il tema in diverse aree della Provincia, in riferimento a distinzioni che sono state espresse nelle fasi precedenti (cfr. cap. 3, § 2.3), che vedono le Valli bresciane più esposte al fenomeno dell’abbandono rispetto al capoluogo, alla Bassa bresciana e alla Franciacorta.

Ad essi è stata somministrata una traccia semistrutturata (cfr. All. 3) suddivisa in sette sezioni o aree di contenuto, ciascuna delle quali è stata indagata mediante domande stimolo e visualizzazione di frasi e tabelle/grafici. In relazione agli obiettivi specifici di questa fase di indagine, le sezioni della traccia sono:

- perché avete abbandonato gli studi (motivazioni e genesi della decisione, supporti o pareri contrari di insegnanti e genitori);

conseguenze positive o negative della scelta di lasciare gli studi; - giudizio sull’esperienza scolastica/universitaria vissuta (incluso

percezione dell’aiuto/orientamento ricevuto); - l’incontro con il mercato del lavoro bresciano (vissuti e prospettive); - (eventuale) rientro formativo (scuole serali, corsi privati, cambio

università, conclusione università); - opinioni positive e negative sull’Azione Bandiera n.1;

* Di Maddalena Colombo e Enrico M. Tacchi. Il capitolo è frutto di comuni riflessioni; vanno comunque attribuiti a M. Colombo i parr. 1, 2, e a E.M. Tacchi i parr. 3,4,5.

191

- suggerimenti per la campagna informativa. Obiettivo generale dei focus group con gli ex studenti è stata la

registrazione delle cause, dei vissuti personali (il prima e il dopo) intorno alla scelta di lasciare gli studi e delle conseguenze sulle scelte successive (lavoro, disoccupazione, rientro formativo). Contemporaneamente si volevano approfondire opinioni e atteggiamenti della popolazione giovanile locale intesa quale destinatario delle azioni di contrasto all’abbandono e di comunicazione preventiva.

Gli incontri (focus group), della durata media di 1h 45 min ciascuno, si sono svolti presso istituzioni formative e agenzie del territorio, che hanno gentilmente messo a disposizione la sede, quali:

Brescia : Università Cattolica del Sacro Cuore – via Trieste (24/9/07) Valle Sabbia : Sala consiliare del Comune - Prevalle (17/10/07) Valle Camonica: Oratorio della Parrocchia di S. Salvatore – Breno

(26/10/07) Bassa bresciana: Oratorio della Parrocchia di SS. Pietro e Paolo–Leno

(23/10/07) Garda Valtenesi – Cfp di Polpenazze del Garda (29/10/2007) Il campione degli intervistati è composto da 35 giovani (24 maschi e 11

femmine) (Tab. 1); i gruppi hanno avuto numerosità variabile da 6 a 10 componenti; i giovani stranieri sono 2.

192

Tab. 1 - Riepilogo degli intervistati nei 5 focus group Gruppo/Codice Genere Età Comune di

residenza Attuale lavoro/attività

Brescia (misti) 01M21Brescia M 21 Leno Disoccupato 02M21Brescia M 21 Flero ex operaio,ora studente 03M29Brescia M 29 Pognago Geometra 04F20Brescia F 20 Prevalle Disoccupata 05F22Brescia F 22 Prevalle Disoccupata 06M22Brescia M 22 Nave Operaio Garda Valtenesi 07M22Valtenesi M 22 Polpenazze commercio alim. 08M20Valtenesi M 20 Polpenazze Operaio 09F30Valtenesi F 29 Manerba Impiegata 10F29Valtenesi F 29 Polpenazze docente cfp 11F32Valtenesi F 30 Roè Volciano Operaia 12F29Valtenesi F 32 Gavardo Casalinga 13M29Valtenesi M 29 Polpenazze operaio edile Valle Camonica 14M22Valcamonica M 22 Malegno Elettricista 15M23Valcamonica M 23 Malegno Geometra 16M20Valcamonica M 20 Cedegolo Geometra 17F19Valcamonica F 19 Breno Segretaria 18M21Valcamonica M 21 Breno Elettricista 19M24Valcamonica M 24 Breno Carrozziere 20M21Valcamonica M 21 Breno Operaio Bassa Bresciana 21M29Bassa M 29 Leno Marmista 22M29Bassa M 29 Roncadelle Disoccupato 23M27Bassa M 27 Leno Magazziniere 24M25Bassa M 25 Leno Idraulico 25M29Bassa M 29 Leno Impiegato Valsabbia 26M25Valsabbia M 25 Calvagese la RivieraMagazziniere 27F25Valsabbia F 25 Prevalle Impiegata 28M25Valsabbia M 25 Prevalle Operaio 29M31Valsabbia M 31 Mazzano Operaio 30F19Valsabbia F 22 Prevalle Geometra 31M26Valsabbia M 26 Nuvolento Operaio 32F24Valsabbia F 24 Nuvolera Commessa 33M20Valsabbia M 20 Prevalle Ex operaio, ora studente34F22Valsabbia F 22 Villanuova Clisi Commessa 35M24Valsabbia M 24 Prevalle Artigiano

193

2. Motivazioni, processi decisionali e conseguenze della scelta di lasciare gli studi 2.1 Per scelta o per necessità?L’abbandono della scuola superiore

La maggioranza degli intervistati che ha lasciato la scuola secondaria

superiore (la metà del nostro campione) dichiara di averlo fatto per scelta e non per necessità. Il vissuto di questi giovani, ripescato attraverso brevi resoconti, è di avere voluto abbandonare, spesso contro il parere dei genitori, per due ordini di ragioni: 1) il profitto scolastico scadente, dettato dalla poca voglia di studiare, 2) il desiderio di avere soldi per sé come indicatore di maturità, indipendenza economica, libertà. Insieme al ricordo di questa “spinta motivazionale” però si associa l’ammissione di uno sbaglio , causato dall’età precoce o dall’immaturità della scelta.

Non c’è stato un richiamo di mancanza di denaro, però non ero portato nello studio (21M29Bassa) Io ho lasciato la scuola per scelta al 100% perché comunque io ho fatto le medie, fin ite le medie ho provato un anno di superiori e avevo tutt’altre cose per la testa e… la scuola in quel momento la vedevo come un obbligo, anche se comunque erano superiori e così basta, ho smesso, e pensando di fare una cosa da furbi sono andato subito al lavoro. Tutt’ora mi rimangio tutto quello che ho fatto, ho cercato di recuperare con le serali, ho finito da poco, e comunque è già un rimpiangere il fatto di aver abbandonato (24M25Bassa). Quando hai quattordici anni non hai molta voglia di studiare, preferivo, almeno io, comprarmi il motorino, divertirmi, uscire con i miei amici. Sicuramente se dovessi tornare indietro non lo rifarei più. (27M25Valsabbia) Ho visto subito che lavorando guadagnavo e potevo fare cose che le mie amiche non facevano come permettermi le scarpe o cose che magari gli altri avrebbero avuto dopo qualche anno. (…) Uno che finisce le medie non è in grado di capire che cosa vuole. Io, ad esempio, l’ho scoperto adesso che cosa avrei dovuto fare della mia vita, però ormai è troppo tardi. (11F32Valtenesi) Voglia di studiare datami dalle medie ce n’era poca: “vado a fare l’alberghiera, che in pochi anni si prendono tanti soldi”, abbagliato da questo miraggio dei soldi. Poi mi sono reso conto che prima di arrivare a fare tanti soldi bisogna che ti spacchi la schiena (01M21Brescia).

Tra le cause scatenanti la decisione di lasciare il corso di studi c’è in qualche caso il fatto di avere scelto la scuola non adatta a sé, alle proprie

194

capacità o inclinazioni, cosa che richiama di nuovo l’immaturità dei 14-15 anni. La scelta errata del corso di studi riguarda sia chi va bene a scuola sia chi ha un basso profitto.

Io poi sicuramente ho smesso perché ho scelto una scuola che non era quello che volevo (11F32Valtenesi). Anch’io ho sbagliato scuola. Sono uscita dalle medie con i professori che dicevano che ero brava, che potevo dare di più. E allora ho scartato tante scuole e deciso di andare al liceo. Io adesso dico che però mi sarebbe piaciuto fare l’alberghiera e invece mi sono orientata prima al liceo e poi ho fatto 2 anni di lingue in Cattolica e poi, dopo avere iniziato a lavorare studiando, ho lasciato perdere (12F29Valtenesi)

Tra le cause dell’abbandono in età adolescenziale emergono dalle testimonianze anche delle dinamiche famigliari specifiche, come il desiderio di contrastare i genitori, di dimostrare autonomia rispetto al consiglio di fratelli o sorelle, ecc. Si avverte in modo chiaro, in alcuni, la mancanza di motivazioni intrinseche verso lo studio, per cui studiare diventa un ripiego o un obbligo nei confronti dei genitori. In riferimento al ruolo orientativo dei genitori si evidenzia anche, in qualche caso, la “mancanza di stimoli” o di aiuti concreti nel momento della scelta, quasi a rimarcare la necessità per un adolescente di trovare sulla propria strada adulti significativi con un preciso ruolo di contenimento degli impulsi infantili (attraverso freni, pareri contrari, indirizzi precisi), che non sempre i genitori riescono a svolgere.

Io probabilmente avrei avuto bisogno di qualcuno vicino, anche perché scegliere da soli a quella età è azzardato (29M31Valsabbia). La mia scelta a non proseguire dopo la terza media è stata data probabilmente da mancanza di stimoli, infatti nessuno ha mai cercato di convincermi. Volevo a tutti i costi avere una mia indipendenza economica.(…) per me a quattordici anni non poter avere queste cose era un po’ pesante e quindi ho preferito andare a lavorare. Avrei voluto chi m’incitasse, ripensandoci adesso, a studiare, ma io non ho avuto questa persona; qualcuno che mi dicesse “dai provaci”. (31M26Valsabbia) Avrei avuto bisogno di un input, di una spinta in più per andare avanti a studiare (09F30ValtenesI) È stata tutta una cosa, una scelta frettolosa, i miei genitori mi hanno dato dei consigli però alla fine mi sono messo pure contro di loro e ho detto “basta, ci do un taglio e finisco qua” (24M25Bassa) Il fattore per cui ho smesso di studiare è che stavo sui libri per far contenti i miei genitori. Studiavo perché almeno al sabato non mi stufavano (35M29Valtenesi).

195

Nel ricordare le cause scatenanti la decisione di lasciare la scuola, alcuni (soprattutto studenti con basso profitto) mettono l’accento su un vissuto scolastico negativo, vuoi per il carattere poco adattivo del giovane, vuoi per un rapporto poco costruttivo con i professori o a causa di professori poco motivanti e coinvolgenti. Coloro che sottolineano le difficoltà di rendimento scolastico, attribuiscono il malessere anche a un certo ambiente da caserma sperimentato in istituti professionali e tecnici periferici, che alimentava la sensazione di non essere nelle grazie dei professori (anche per una sorta di marchio negativo attribuito ai “montagnini” o “contadini”) e quindi di non farcela. Al vissuto quotidiano negativo si associano anche incidenti o eventi critici particolari.

In generale, a me non piaceva ascoltare la gente, non mi piaceva stare seduto…non mi piaceva: spirito libero! (06M22Brescia).

Ci sono parecchi professori che comunque col loro modo di fare, di porsi agli alunni, ti invogliano, ti rendono la lezione più piacevole, ci sono certi che invece magari non ti guardano neanche in faccia, prendono il loro libro, ti spiegano pari passo quello che dice il libro e quando suona la campanella chi si è visto, si è visto. (24M25Bassa) Il ricordo che ho delle superiori è forse della poca umanità dell’ambiente. Quello che arrivava dal piccolo paesino non era molto considerato dai professori. (09F30Valtenesi) (Int. 7) Negli Istituti Industriali manca un po’ di umanità nel senso che se uno è bravo viene un po’ coccolato dai professori e dagli industriali che cercano di portarseli nelle ditte. Se uno invece è meno bravo viene un po’ emarginato (Int.1): ma in fondo è così anche nel mondo del lavoro! E poi c’è il nonnismo. Conduttrice: in che senso? (Int. 7) Il nonnismo dei professori! L’esperienza che posso raccontare è che avevo un professore che a turno prendeva uno della classe a caso e lo mandava fuori. Un giorno gli ho chiesto il perché visto che non avevo fatto niente e lui mi ha detto che quando sarei andato in fabbrica se il mio superiore mi avesse detto di fare una cosa anche sbagliata io l’avrei fatta lo stesso. Sotto questo aspetto l’ITIS mi ha insegnato qualcosa. (13M29Valtenesi) Ho una lamentela per quanto riguarda l’incapacità – diciamo - psicologico, pedagogico, sociologico, interpersonale degli insegnanti, dalle elementari alle superiori. (03M29Brescia)

Tra le cause dell’abbandono, anche se indirette, a detta degli intervistati vi

è la mentalità corrente, sottolineata specialmente da chi risiede nelle valli bresciane, che antepone il lavoro allo studio in termini di valore ossia di investimento redditizio per un giovane. I modi in cui viene espressa questa “scala di prior ità” sono molteplici:

196

- l’idea che studiare sia una perdita di tempo (specialmente quando non garantisce un posto di lavoro), mentre lavorare è “produttivo”;

- l’idea che si diventa adulti solo quando si lavora e si guadagna, quindi chi fa lo studente ha meno considerazione sociale di chi lavora e “fa una famiglia”;

- l’idea che non possono essere tutti dottori, ingegneri, professionisti, ecc., occorre che ci sia qualcuno che svolge mestieri applicativi e non solo intellettuali;

- l’idea che la scuola non insegna quello che occorre nel mondo del lavoro, ma anzi si impara meglio fuori dalla scuola.

La scelta di lasciare gli studi, quindi, interviene nella biografia del giovane bresciano, nel momento in cui più forte è la spinta ad assecondare tale mentalità, non volendo assumersi gli eventuali costi di una posizione controcorrente.

Secondo me è un discorso di mentalità di questa zona in particolare. Si cresce con l’idea che si deve andare a lavorare, si deve produrre e cose di questo genere. Nelle zone industriali è così. (12F29Valtenesi)

Sono dell’idea che il numero alto di bocciati sul Garda, in Val Trompia e in Val Sabbia sia legato al fatto che queste tre zone sono le più produttive d’Italia. E’ una zona d’industrie. E poi la mentalità del lavoro qua c’è. Secondo la mia idea, per fortuna che c’è. Perché se tutti andassero avanti all’università forse non è che sarebbe il massimo. Alla fine nell’essere operaio e lavorare non c’è niente di male. (13M29Valtenesi) Noi se non volevamo restare ragazzi “contadini” dovevamo lavorare e guadagnare. (31M26Valsabbia) Io non ho studiato, ma anche se avessi finito la mia scuola non sarei riuscito a trovare il posto che cercavo. (…) Ma quanto tempo devi spendere sui libri? La vita è una sola e ti ritrovi studiando a venticinque – trenta anni che non hai ancora un futuro definito. Mio papà a quella età aveva già due figli, capite? Cioè si era già creato una famiglia, invece studiando scala tutto più tardi. (32M24Valsabbia) Non è una cosa che bisogna portare tutti all’università, perché io come tutti noi qua (che lavoriamo), secondo me, siamo per la società molto più produttivi, ma penso anche tanti altri ragazzi che stanno facendo l’università in questo momento, sarebbero molto più produttivi per la società, andando a fare qualcos’altro che a stare lì per 5 anni a prendere un pezzo di carta per poi non sapere com’è il mondo. (19M24Valcamonica)

La”forza” persuasiva di tale mentalità può essere verificata anche attraverso il potere di convincimento che alcuni riconoscono di avere subito da parte del gruppo di pari (amici), il cui esempio può aver condotto ad una

197

scelta imitativa, lasciare lo studio e cominciare a lavorare per dimostrare di non essere privi di iniziativa. E’ tutta una questione di esempi, trovi la gente che hai davanti e dici “mah” con le cose che hai appreso, per quel che puoi sapere a 14-15 anni dici “ostrega, qua mi sa che sto buttando via del tempo” io la vedevo così, mi sembrava di gettare via del tempo, e allora mi sono detto “vado al lavoro e poi si vedrà”. (24M25Bassa)

Cinque casi su trentacinque intervistati hanno invece dichiarato di aver lasciato gli studi per necessità, legate alla provenienza da famiglie numerose e con pochi supporti nello studio. Una intervistata ha lasciato per questioni di salute.

Io ho dei fratelli più giovani e vedo la differenza di comportamento che i miei genitori hanno verso di loro perché quando io andavo a scuola loro lavorano tutti i due, i miei genitori, e quindi mi assistevano di meno (21M29Bassa). Noi siamo in 6 fratelli, orfani di padre, io ho 27 anni, sono 12 anni quasi che sono mantenuto, e studiavamo tutti e… diciamo che è stata un po’ una scelta necessaria perché comunque non potevo farmi mantenere così, essendo il terzo dovevo anche… avevo i fratelli più piccoli che studiavano a loro volta e per non sentirmi a carico (23M27Bassa).

Le due intervistate straniere, residenti in Val Sabbia, hanno abbandonato

gli studi per obbligo della famiglia, che ha ritenuto inopportuna la scelta di proseguire dopo la 2° superiore per vari motivi: la lontananza dell’istituto dal paese, il conseguente tragitto in pullman e la frequentazione di compagni di sesso maschile, sono tutti elementi che portano a un divieto famigliare (sostenuto anche da motivi religiosi): Non vogliono! Non vogliono perché bisogna andare sul pullman; poi ci sono tanti ragazzi…la scuola è troppo lontana…le scuole sono maschili e femminili e per la nostra religione è un po’ difficile stare in mezzo ai ragazzi, non possiamo farci vedere dai ragazzi…Conduttrice: e questo succede a tante della vostra origine? Sì, quasi al 90%, non posso dire alle musulmane, ma alle pakistane sì (05F22Brescia).

2.2 L’abbandono dell’università La stessa domanda è stata posta a coloro che hanno lasciato gli studi

universitari, i quali hanno riferito con buona consapevolezza di avere fatto una scelta sofferta , anche per gli investimenti personali e familiari già intrapresi a quell’età, che danno una sensazione di maggiore fallimento. L’abbandono dell’università in genere arriva dopo un periodo più o meno lungo (1-2 anni) di “tentativi ed errori”, e un bilancio costi/benefici che ciascuno formula

198

soggettivamente. La propensione ad abbandonare è giustificata soprattutto con la valutazione che la facoltà scelta “non faceva per me”, vuoi perché espressione di un ripiego, vuoi perché il giovane si è scontrato con difficoltà nello studio emerse già prima ma non ben focalizzate. Mentre per chi ha deciso di lasciare in età adolescenziale vale una spinta di carattere emotivo, oltre che un calcolo razionale (per quanto parziale data l’immaturità), per chi ha lasciato gli studi accademici si tratta di una valutazione di tipo prevalentemente razionale.

Io dopo aver finito il liceo mi sono fermata una anno per riflettere. Questo non tanto perché non sapevo quale era la facoltà che volevo fare, infatti io volevo fare Psicologia, (…). Ho visto nel frattempo che in Università Cattolica, c’era “Scienze dell’Educazione” e ho deciso di iscrivermi. In realtà questo è stato un ripiego. (34F22Valsabbia). Già alla terza superiore avevo in mente di lasciare gli studi, in quanto mi ero accorto che la scuola che avevo intrapreso mi piaceva fino a un certo punto, avrei preferito fare altre cose. (…)Terminate le superiori, mi sono deciso a iscrivermi a Scienze Politiche a Padova. (…) Probabilmente se avessi fatto Giurisprudenza non avrei lasciato. Io però ho fatto l’alberghiera, non è che…latino: ho fatto un corso in terza media, per cui…Avrei fatto volentieri medicina, ma mi mancavano le basi…. (01M21Brescia). Una somma di tante motivazioni che probabilmente… cioè non è una scelta che ho maturato da un giorno all’altro, ma è una scelta che comunque.. una serie di domande che mi ponevo e che poi, man mano, sono arrivate le risposte che mi hanno fare la mia scelta completa, cioè non è stata una scelta emotiva (22M29Bassa).

I fattori scatenanti sono molteplici, molti dei quali rispecchiano le difficoltà già nominate da chi ha abbandonato nella scuola superiore, mentre altri sono peculiari di questa fase di vita.

Innanzitutto non è più tanto determinante la “poca voglia di studiare”, superata almeno in linea teorica dalla scelta di immatricolarsi. Inoltre è più determinante il costo effettivo dello studio (libri, iscrizione universitaria, viaggi e/o alloggio per fuori sede) e quindi la paura di pesare economicamente sulla famiglia, anche quando sono i genitori stessi a sacrificarsi e a incitare il figlio a proseguire, se non si portano a casa risultati immediati e tangibili.

Abbastanza determinante è anche la difficoltà del corso di studi scelto; ciò significa in pratica non avere le idee chiare sul percorso complessivo, non saper sfruttare supporti della Facoltà per organizzarsi lo studio, non saper tenere i tempi, o tenere alta la media, ecc. Io ho fatto Economia e Commercio per circa 7-8 mesi, mia mamma comunque mi ha dato la possibilità di farla, io non l’ho sfruttata perché non ero pronto io, nel senso

199

che non era come alle superiori che comunque avevi sempre i professori che ti guardavano, ti stavano dietro, ti dicevano di studiare, qui sei indipendente e ti auto-gestisci con gli studi, con i tempi e se non sei capace, almeno il primo anno, diciamo che non combini niente (23M27Bassa).

Come già evidenziato sopra, conta inoltre l’adesione a quella mentalità locale che vede lo studio come scelta alternativa al lavoro, privilegiando in termini simbolici ed economici il guadagno e la carriera sul campo rispetto all’acquisizione del “pezzo di carta”. Chi la pensa così arriva in breve tempo a dubitare del beneficio diretto dello studio, soprattutto se incontra qualche difficoltà all’inizio del percorso. Si aggiunge a questa propensione “lavoristica”, per alcuni, anche l’offerta concreta di un posto di lavoro, che il giovane a questo punto è ben lieto di accettare.

Infatti, anche fra gli universitari c’è chi vive il disagio di essere dipendente dalla famiglia e quindi avere le mani legate sul tipo di vita da compiere in autonomia, anche in rapporto all’esempio di amici che invece lavorando si permettono uno stile di consumo superiore. Il contesto in cui sei, se magari hai tutti amici che già lavorano da un po’ di tempo e tu che fai l’università vedi che loro si possono permettere certe cose che, alla fine possono sembrare banali, però in realtà ti creano un disagio (21M29Bassa).

Interviene infine una variabile di disturbo che non si è registrata tra chi ha

abbandonato più precocemente: la critica verso l’ambiente universitario, giudicato deludente rispetto alle attese oppure poco in sintonia con la propria personalità e i propri bisogni. Il distacco dall’ambiente, come risulta da un paio di testimonianze, può provocare anche forme di disagio che il giovane cerca di superare con la decisione di lascia re gli studi.

Ho interrotto un altro percorso, che era quello del conservatorio (…) Lì era proprio l’ambiente che non mi piaceva. (34F32Valtenesi). L’ambiente non mi piaceva , mi ricordo 10 anni fa di un portinaio che mi guardava con uno sguardo assassino perché già allora portavo i capelli lunghi. Per cui dovevo decidere tra me e lui, allora ho usato anche questo come capro espiatorio per lasciare…Conduttrice: quindi, diciamo: l’ambiente della Cattolica ti ha frenato? Sì…cioè…, in ordine decrescente di importanza: i libri, l’ambiente della Cattolica, e anche un po’ di pigrizia. A quel tempo non ero abbastanza forte per mettermi a leggere tutta una serie di libri che poi dalle prime lezioni ho visto che non si addicevano ai miei gusti (02M29Brescia). Ho iniziato l’accademia di belle arti che ho mollato intorno al terzo anno. Ho lasciato perdere perché non ritenevo più …che l’accademia potesse offrirmi un qualcosa di reale dal punto di vista degli sbocchi lavorativi, mi era sembrato tutto troppo fumoso

200

(..) Poi mi sono accorto che con certe materie, che comunque sono fondamentali, non riuscivo a marciare, i risultati si sono visti e allora ho detto “a questo punto forse è meglio lasciare” quindi un po’… non dico per necessità ma per forzatura, per i miei limiti (25M29Bassa). Avevo un paio di esami indietro, però mi sono stancato e ho smesso. La vita universitaria per me era troppo stressante (…) So che bisogna fare un po’ di sacrificio, però per me…forse si fa anche molto più sacrificio al lavoro, però è diverso il sacrificio che faccio sul lavoro, dove mi applico anche di più. Ero arrivato ad un certo punto che mi sentivo star male al pensiero di andare in università. (…) Avevo gli amici anche giù là, ma io mi sentivo fuori posto. (14M22Valcamonica) Io ho abbandonato per scelta dopo un anno: l’ho fatto per provare, proprio perché penso che a 19-20 anni nessuno sappia quale sia il suo futuro, quindi per non avere rimorsi di dire un domani “non ho avuto la possibilità, non l’ho fatto, non ho provato”, ho provato ma non era il mio mondo e quindi ho abbandonato subito. (15M23Valcamonica) Per quanto riguarda l’università, sono ambienti che…andare dentro e fare ore e ore di appunti, star lì…ho fatto in tre mesi quattro quaderni pieni di appunti tra analisi e algebra e alla fine facevo per riguardare i quaderni e “cosa ho scritto”? No, arrivavi la sera che eri distrutto e poi non vedevi l’ora di tornare nei week end in Valle ed era quasi una pena tornare la domenica sera, quando si facevano le valigie per tornare giù a Brescia (19M24Valcamonica).

Le testimonianze riportano dunque un mix di ragioni – legate a un vissuto negativo sia dell’ambiente universitario sia dello studio - che hanno condotto il soggetto, in autonomia rispetto ai vincoli esterni, a prendere la decisione di abbandonare: talvolta la scelta erronea della Facoltà o corso di studi si sovrappone al disagio psicologico di non produrre risultati secondo le attese e alla percezione di perdere tempo per “stare sui libri”. Talaltra agiscono da fattori di spinta le difficoltà materiali o l’offerta concreta di un lavoro, di fronte a cui il soggetto rivede le proprie motivazioni e stabilisce un nuovo “ordine di priorità” tra studio e lavoro. Sembra esserci infatti, in quasi tutti gli intervistati, un crescente desiderio di misurarsi con il mondo del lavoro il quale, proprio perché offre possibilità di impiego anche (talvolta soprattutto) a chi ha qualifiche inferiori, esercita un fortissimo richiamo.

2.3 Studiare e lavorare Alcuni intervistati si sono misurati con il “richiamo” dell’occupazione

prima di decidere se interrompere definitivamente lo studio, e hanno intrapreso rapporti di lavoro tra un ciclo e l’altro di studio, o prima di

201

riprendere il corso (i pochi casi di rientro formativo) oppure sono rimasti iscritti ad un corso senza di fatto riprendere lo studio. Fra coloro che hanno provato a combinare studio e lavoro prevale chi ha sperimentato la difficoltà, prima, e di conseguenza l’impossibilità, di conciliare le due attività, decidendo infine di abbandonare lo studio.

Mi sono detto “provo un’attività” e infatti ho provato, proprio perché mi è capitata l’occasione, non l’ho cercata io, sono stato cercato, e da lì ho… man mano ho detto “no, proseguo l’università mentre lavoro” poi mi sono concentrato sul lavoro e l’università è rimasta dov’era, basta. (21M29Bassa) Ho pensato di lavorare un anno per vedere se riuscivo a mettere da parte dei soldi. In realtà non sono riuscita a risparmiare molto. (…) I miei genitori non potevano sostenere le tasse universitarie e quindi io ho continuato a lavorare. (..) Studiare e lavorare si è rivelato per me troppo pesante. (…). Per prima cosa, quello che guadagnavo, lo spendevo per lo studio, quindi non ne traevo nemmeno un vantaggio economico. Secondo quando tornavo dal lavoro non potevo non pensare a niente perché dovevo studiare. Questo è stato un totale fallimento. (34F22Valsabbia)

2.4 Ritornare a studiare Mentre la gran parte degli intervistati, soprattutto dopo pochi anni dalla

scelta di abbandonare, non ritiene possibile un rientro a scuola o all’università, tre di essi hanno messo in discussione la scelta di abbandonare gli studi (a loro dire precoce e poco avveduta) e hanno deciso di riprendere, avvalendosi di scuole serali per effettuare recuperi di anni e per riabituarsi alla pratica e alla vita di studio. Uno di essi ha deciso di iscriversi all’università dopo un periodo di lavoro, prima in ufficio poi in fabbrica.

Io ho interrotto gli studi subito dopo le medie, per due anni, facendo quello che qua a Brescia si dice “magüt” – il manovale -. Dopo mi sono accorto dell’errore e ho deciso di tornare a scuola per poter fare qualcosa di meglio. Attualmente sto frequentando una scuola serale. Conduttrice: al rientro a scuola, sei riuscito a trovare quello che ti serviva? La scuola mi ha dato gli strumenti, non certo la passione per lo studio. La passione per lo studio che ho è perché ho degli interessi, ma non perché degli insegnanti siano stati particolarmente abili a passarmi la passione per lo studio. (02M21Brescia) I miei genitori, anche se al momento mi hanno detto “guarda che poi non si torna più indietro”, mi hanno dato il modo di fare delle serali private (…) Ho iniziato a lavorare, ho preso un lavoretto umile, e nel frattempo ho detto “devo recuperare gli anni persi” e mi sono messo a studiare e mi arrangiavo la sera. Conduttrice: come è stato riprendere, facile, difficile? E’ stata dura, ho avuto la fortuna che comunque la

202

mia ragazza mi ha appoggiato non poco e… ho ripreso le serali sempre per geometra, mia sorella aveva finito da poco e comunque potevo contare anche su di lei (24M25Bassa). Ho fatto sei mesi in un ufficio dove facevo l’impiegato nel settore in cui mi ero diplomato, dopo questo periodo scadeva il contratto e non me la sentivo di rinnovarlo perché era riaffiorata in me l’idea che forse volevo ricominciare a studiare. Così i quattro mesi successivi ho lavorato in fabbrica come operaio. Adesso ho ripreso gli studi. Conduttrice: Cosa ti ha spinto a ritornare a studiare? Non so, penso un fatto di soddisfazione personale, o meglio dopo aver lavorato, ho rafforzato l’idea che io ero veramente interessato a proseguire gli studi. (32M20Valsabbia)

Gli intervistati che hanno vissuto il “rientro formativo” hanno dichiarato di aver potuto contare su un cospicuo aiuto (in termini di sostegno morale ma anche di aiuto concreto nello studio) da parte di genitori e famigliari. L’esperienza del recupero degli anni di studio, pur a seguito di forti motivazioni personali e famigliari, è comunque associata a fatica e sacrificio, anche per la perdita del guadagno a cui si era in parte già stati abituati.

2.5 Vantaggi e svantaggi dell’abbandono A tutti gli intervistati, indipendentemente dal percorso seguito e dall’età in

cui è avvenuta l’interruzione, è stato chiesto di identificare cosa hanno perso e cosa hanno guadagnato dalla scelta di abbandonare gli studi, in termini di conseguenze vantaggiose o svantaggiose negli anni successivi.

Si è già accennato nel § 2.1 all’atteggiamento, piuttosto diffuso tra chi ha abbandonato la scuola superiore, di rimorso per la scelta fatta in età precoce e senza saper valutare bene tali conseguenze. Gli effetti negativi segnalati da chi si è pentito di aver abbandonato sono:

- un senso di inferiorità che si vive in rapporto a chi, sul lavoro e tra

gli amici, è diplomato o laureato, cioè sfoggia la propria cultura anche in termini di interessi “colti”;

Pentito no, però a me piacerebbe avere, cioè, comunque, andando all’università, culturalmente accresci, (…) un po’ che mi manca è quello. Vedi tanta altra gente che invece magari è più preparata e più colta. (20M21Valcamonica)

- la percezione o il vissuto concreto di avere meno possibilità di carriera e di doversi necessariamente adattare a lavori modesti che, con il passare degli anni, possono diventare pesanti, noiosi e poco soddisfacenti.

203

Sicuramente ho perso in cultura. Inoltre il lavoro che faccio si adattava meglio per quando avevo quindici – diciotto anni, ma adesso che ne ho venticinque è diverso. Il mondo è cambiato e molti dei miei coetanei mi hanno superato. (28M25Valsabbia)

- Vi è inoltre il rimorso di non avere fatto qualcosa “di importante per

sé”, qualcosa che lascia il segno per tutta la vita e che si può “trasmettere ai figli”;

- per alcuni emerge il senso di una sconfitta personale e il rammarico di “non averci neanche provato”.

A nessuno piace perdere, a me non piace perdere e l’ho vista un po’ come una sconfitta personale (2M29Bassa).

- Alcuni esprimono rammarico per avere deluso i famigliari che non solo avevano investito sulla scelta dello studio ma anche si aspettavano il titolo di studio come “ritorno economico” ed anche simbolico, come segnale che attesta la mobilità sociale (qualora i genitori non sono diplomati/laureati) oppure la conservazione dello status (es. figli di insegnanti e professionisti).

L’atteggiamento di rimorso è meno diffuso – ma pur sempre presente – tra

coloro che hanno lasciato dopo il diploma o dopo l’immatricolazione, anche perché hanno potuto godere di una oggettiva “riuscita” occupazionale, facilitata dalla spendibilità ancora frequente dei diplomi tecnici e professionali (questi sono i titoli acquisiti dalla grande maggioranza dei nostri intervistati che si sono diplomati) nell’area bresciana.

Anche tra chi ha lasciato la scuola superiore vi sono comunque alcuni casi di intervistati che giudicano ottimale la propria scelta, anche a distanza di tempo. Io penso di non aver perso niente, sono contento della mia scelta e se tornassi indietro la rifarei, anzi no forse non farei nemmeno i due anni di scuola che ho fatto. (26M25Valsabbia) A me, sinceramente, il pezzo di carta per il momento mi ha fatto piacere non prenderlo, perché ho vissuto la mia vita, ho fatto le mie esperienze e sono contento. (06M22Brescia).

Tra gli ex-universitari e tra chi non ha proseguito dopo il diploma prevale senz’altro la valutazione positiva dell’abbandono, in quanto scelta strategica che ha permesso di entrare nel mondo del lavoro e, ne llo stesso tempo, di “farsene una ragione”. Infatti, una ragione forte che induce chi non ha la laurea a valutare positivamente gli effetti dell’abbandono è l’aver constatato che il mercato del lavoro offre di fatto possibilità ai diplomati, pertanto non si

204

giustifica un surplus di investimento formativo. Inoltre la soddisfazione che deriva dall’impiego stabile (specialmente se coincide con gli studi secondari intrapresi) sembra ripagare del tutto la sensazione di mancanza o di inferiorità culturale segnalata sopra. Quando andavo alle superiori i professori per le materie tecniche erano quasi tutti ingegneri e architetti e dicevano “tu geometra col tuo titolo non potrai fare tanto, potrai fare solo di qui e di lì”: ti volevano quasi indurre ad andare a fare l’università. Dovessi tornare indietro adesso, potrei dirgli tranquillamente invece che non è vero, si sbagliavano di grosso. Questa non gliel’ho mai perdonata, ci penso ogni tanto. (15M23Valcamonica) Io sono abbastanza “neutra”: sono felice di aver fatto la scuola, mi manca un po’ di cultura in più che mi darebbe l’università, però tutto sommato va bene così. Il vantaggio è che faccio un lavoro che mi piace. Infatti il mio sogno sarebbe stato quello di aprire uno studio in proprio, ma per questo ci vorrebbe una specializzazione universitaria. La fortuna ha voluto che nell’uffic io dove lavoro adesso ho la mia indipendenza e gestisco io l’ufficio, capite che sono piuttosto vicina a ciò che sognavo di fare. (27F25Valsabbia)

Per il momento sono contenta della scelta che ho fatto. Mi ritengo, innanzi tutto fortunata perché ho trovato il lavoro che volevo fare. Tra due anni inoltre potrò fare l’esame di praticantato per diventare libera professionista e quindi per il momento solo vantaggi. Se penso agli svantaggi forse penso alla cultura che viene meno. Però ritengo che comunque tramite i giornali e i mass- media si può mantenere una buona cultura. Anzi lavorando entri di più sul campo del tuo settore rispetto a un laureato a cui manca la parte pratica. Non so se mi spiego un laureato ha meno competenze pratiche di una persona che magari già da cinque anni lavora in un determinato settore. (30F19Valsabbia)

Per chi è riuscito, alla soglia dei 30 anni, a realizzare un progetto

lavorativo che ha maturato in adolescenza (avere una professione, un buon impiego, un lavoro autonomo, ecc.), il pensiero dello studio mancato – se pur procura ancora quel senso di manchevolezza e di inferior ità – viene messo da parte perché prevale il senso della rivincita e del riscatto sociale.

Non tutti i diplomi sono insufficienti o sono – diciamo così – aleatori per quanto riguarda il mondo del lavoro. Nel senso che un liceale….ha una cultura che vale di più…però in questa società qua…Io ho una cultura di altro tipo, più sul tecnico. Però è un po’ uno spirito di rivincita dato che faccio le stesse cose, anzi di più, che fa un ingegnere (03M29Brescia).

Non tutti coloro che hanno abbandonato l’università, però, possono contare attualmente su una posizione occupazionale stabile, segno che vi è un certo

205

rischio di precarietà lavorativa anche in una zona economicamente dinamica come quella bresciana: i soggetti maggiormente colpiti da questa precarietà sono, nel nostro campione, coloro che si dichiarano maggiormente “confusi” o “dubbiosi”; giovani a metà del guado, che hanno ricevuto messaggi contraddittori dalla famiglia e dalla società e hanno vissuto gli anni di studio come dilatazione del tempo delle scelte e, in certi casi, anche come fase di parcheggio. Per costoro né la scelta dello studio (non sapendo misurarsi tra difficoltà e interessi personali) né l’abbandono appaiono opzioni soddisfacenti, come del resto non si rivela soddisfacente la realtà lavorativa ancora incerta e poco qualificata. Ho avuto solo svantaggi, per il momento, ad avere abbandonato gli studi… Ho detto “non voglio più…”, ho deciso che era meglio che lasciassi, però fino ad adesso non ho avuto niente… Mi sono trovato … rimanevo a casa senza fare niente. Più meno facevo la stessa vita però con mia mamma che mi diceva “vai a lavorare”… (…) Avevo deciso, appunto, di lasciare l’università per cercare lavoro, cosa che mi sono reso conto adesso che è anche difficile da trovare, nonostante io abbia un diploma, è difficile da trovare… ho mandato tantissimi curriculum e non ho ricevuto nessuna risposta (01M21Brescia). Il vantaggio di aver lasciato l’università per andare a lavorare, sicuramente è stato il tornare a casa e non aver più “il pensiero dello studio”, cioè finite le mie ore di lavoro, non devo mangiare velocemente per mettermi subito a studiare… Attualmente, io sono ancora iscritta, per tener validi i tre esami che in un anno ho dato. In realtà non frequento né sostengo esami perché sono molto dubbiosa su cosa fare… Credo inoltre che il fatto di non essermi ritirata abbia anche un’altra causa cioè in questo tempo in cui io non sto studiando, sento che manca qualcosa. A me studiare piace. (34F22Valsabbia) Aspetti negativi sono quelli, della poca stabilità nel lavoro … se poi andiamo a vedere invece il ritorno economico, là vediamo che si arranca un po’, perché si tratta di mettere da parte e poi sopravvivere nel momento in cui non c’è niente (…) e comunque continuo a lavorare saltuariamente a bisogno, e quindi sono contrattini di prestazione occasionale, effettivamente non c’è nessuna sicurezza (25M29Bassa).

In ultima analisi emerge come opinione largamente condivisa che l’istruzione mancata rappresenta una chance in meno. Questa carenza non è avvertita solo a livello personale ma trova riscontro anche nel riconoscimento diffuso della validità del cosiddetto “pezzo di carta”, ossia della credenziale educativa, che di fatto risulta spendibile in vari settori occupazionali (specialmente industria e servizi alle imprese). Anche se il mercato del lavoro locale, a detta di molti, funziona ancora attraverso conoscenze personali e famigliari, nonché “raccomandazioni”; tuttavia sono diversi a riferire che il pezzo di carta aiuta il giovane – se non ha opportunità di questo tipo – a

206

evitare sia la mancanza di lavoro sia una paga troppo bassa. Anche chi non si pente di avere abbandonato gli studi, affida alla scuola e al titolo di studio un valore significativo come garanzia di pari opportunità e come esperienza che non dovrebbe mancare a nessun ragazzo. Oltre alla soddisfazione personale lo studio lo si fa anche per avere un qualcosa dopo, cioè, uno ha studiato anche per avere un certo tipo di lavoro, per avere un certo tipo di retribuzione, parliamoci chiaro, perché alla fine uno non va a lavorare per la gloria ma va a lavorare per la retribuzione, per cui, se vede certi sbocchi è andato avanti a studiare perché, pensando a un laureato, mi trovo un lavoro da 2.500/3 mila euro al mese, contro i mille che prende l’operaio. (22M29Bassa)

In definitiva il titolo di studio viene visto come una condizione necessaria

anche se non più sufficiente per i motivi legati alle dinamiche del mondo del lavoro (cfr. par. 4): 1) regolamentazioni di tipo particolaristico nel trovare lavoro o nel fare carriera (con un accento forte sulle imprese di tipo famigliare); 2) bisogno di farsi valere sul campo, perché nei settori produttivi contano l’esperienza, l’abilità e l’affidabilità più che il titolo di studio. 3. La scuola e l’impatto con il mercato del lavoro

In questo paragrafo ci soffermiamo sui rapporti tra istruzione formale e

attività lavorativa, ricostruendo, a partire dalla formazione ricevuta, l’impatto con il mondo del lavoro vissuto dai giovani che hanno abbandonato gli studi. Ricordiamo innanzitutto il nesso forte che si stabilisce, nella cultura diffusa della produttività, tra studio e lavoro, cultura che non sopporta momenti di riflessione nell’itinerario formativo: il giovane che non studia deve immediatamente trovarsi un lavoro, fin dall’adolescenza, per non essere considerato negativamente dagli altri e da sé stesso. La stabilità lavorativa inoltre costituisce per un giovane un traguardo importante, non solo sotto il profilo economico, ma anche e soprattutto per la costruzione di una propria identità adulta.

Coloro che hanno interrotto gli studi non hanno ritenuto – in linea generale – di affidare principalmente o unicamente all’istruzione scolastica questo aspetto di definizione della personalità. Peraltro, si sono osservate nei focus esperienze piuttosto ricche, dove il processo accennato di ricerca del proprio ruolo professionale prosegue evidentemente per tentativi ed errori:

Io facevo l’operaio, riparavo i camper; sono stato lì per un po’, ho studiato per entrare al conservatorio, dopo due anni ce l’ho fatta, ci sono rimasto 2 anni e mezzo. Ho avuto una proposta di mettermi in proprio, ho rischiato, l’ho provata e mi è andata

207

male. Infatti a giugno di quest’anno ho venduto il mio 50%. E adesso mi occupo di apparecchiature ospedaliere ed elettromedicali in genere… Io ho sentito un pezzo di discorso prima sulle raccomandazioni, allora: la raccomandazione funziona in un ambiente in cui uno può restare non facendo niente. Uno può avere anche le conoscenze, ma se arrivi lì ti tengono solo se sei capace. (06M22Brescia)

In un contesto così mutevole, si possono cogliere alcuni aspetti

emblematici di atteggiamenti diffusi, anche se talvolta contraddittori, riguardanti l’ingresso nel mondo del lavoro e le sue relazioni con l’istruzione formale. Si conferma, come già emerso nei precedenti paragrafi,, la consapevolezza da parte dei giovani che hanno conseguito il dip loma, della sua utilità per il lavoro:

Primo impatto col mondo del lavoro: se ho capito bene prima eri dipendente e poi sei passato ad autonomo. Partendo dal punto fermo della fortuna del diploma… io ho fatto 2 anni di pratica a 400 euro al mese incluse le spese di viaggio – però – voglio dire - allo sbaraglio lì ho imparato il geometra, poi mi sono messo in proprio, con una serie di difficoltà… Quindi io sono stato fortunato soltanto per il mio diploma... e anche poi bravo perché non ho mollato, perché non basta: potevo andare a prendere 2-3 volte tanto facendo fotocopie… Comunque… ti sei orientato per un inserimento nel mondo del lavoro da persona adulta, già formato, un po’ come dicevano loro: “senza il diploma, non puoi bussare alle porte giuste”…Senza diploma, a meno che uno non sia raccomandato… diciamo che rasentiamo l’impossibilità di avere un lavoro decente, anche solo nel ramo impiegatizio. O uno si va ad abbruttire in una catena di montaggio, e prende 800-1000 euro al mese, o sennò almeno un diploma ci vuole… (03M29Brescia)

Una considerazione positiva analoga nei confronti del diploma viene

manifestata anche da chi ha sperimentato la fatica fisica di certi lavori e spera in un certo miglioramento attraverso la ripresa degli studi:

… In che momento hai deciso: “basta, voglio riprendere a studiare”? Ho detto “mi fa troppo male la schiena per prendere solo 1200 euro al mese”! Dopo, certo, a quei tempi stavo anche meglio: più muscoloso, 10 chili in meno… però non mi interessa! Il gioco non valeva la candela. (02M21Brescia)

Il medesimo soggetto si spinge anche oltre e, dopo essersi cimentato

nell’attività lavorativa, pensa all’opportunità di proseguire gli studi anche dopo il diploma, immaginando qualche ulteriore vantaggio:

208

E adesso stai pensando di riprendere, finito il diploma, un lavoro che sia nell’edilizia, o basta? … Io, intanto, dico che dopo il diploma vorrei andare all’università e, se dovessi tornare nel campo dell’edilizia, come imprenditore edile non come semplice operaio… (02M21Brescia)

Per stimolare il dibattito sull’utilità del titolo di studio, nella cartellina

distribuita a tutti partecipanti ai focus è stato inserito un foglio dove era riportata la seguente battuta fatta da un imprenditore: “Il pezzo di carta serve, ma per metterlo nella cornice. Poi, alla fine, non sono i titoli, ma i meriti che vanno avanti, e i meriti bisogna dimostrarli”. Invitati a un commento, alcuni hanno espresso in merito il loro dissenso: Non sono molto d’accordo con questa idea…(01M21Brescia) Se era una battuta, capisco… (03M29Brescia)

Un po’ contraddittoriamente rispetto alla valutazione della propria esperienza personale, esprimono in astratto un parere positivo rispetto al titolo di studio persino alcuni soggetti che nella pratica sono ben lieti di non averlo conseguito:

Su questo discorso del pezzo di carta tu cosa ne pensi, serve? Sicuramente serve… se io avessi desiderato con tutto il cuore entrare nella tua mente e capire cosa c’è nella tua mente sarei andato avanti con la mia scuola; probabilmente mi sarebbe servito il diploma, probabilmente sarei andato all’università perché si sa che i diplomi dello pisco-pedagogico non servono a nulla... A me, sinceramente, il pezzo di carta per il momento mi ha fatto piacere non prenderlo, perché ho vissuto la mia vita, ho fatto le mie esperienze e sono contento. Conduttrice: e non ti piacerebbe prenderlo? No, sinceramente ci sono talmente tante cose da fare che sinceramente quella mi passa per la mente. (06M22Brescia)

In certi casi, la formazione universitaria sembra intesa come una “fuga in

avanti”, una possibilità per ottenere quello che non è stato possibile conseguire fino a quel momento, come nel caso di chi pensa a utilizzare una laurea, dato che non è riuscito a utilizzare il diploma:

Il mio diploma non sono mai riuscito a spenderlo... Io sono passato da almeno una trentina di agenzia di viaggi, ma non mi prendono. Non sono raccomandato, non sono una ragazza e quindi non mi prendono. Purtroppo è così, e fanno anche discriminazione dei sessi. E difatti da lì era anche nata l’idea di prendere la laurea. (01M21Brescia)

209

In altri contesti come la Valcamonica si registrano valutazioni molto più pessimistiche sull’utilità delle scuole superiori per l’inserimento lavorativo, un po’ per responsabilità di insegnanti poco preparati e un po’ per scarso impegno degli studenti:

È utile quello che avete imparato a scuola? L’avete applicato? Per quanto riguarda la scuola che ho fatto io, nel 90% dei casi il lavoro lo impari sul posto di lavoro. Io dico, per carità, la colpa è anche dei ragazzi che non si applicano al 100% a scuola, non studiano, però, c’è da dire che anche gli insegnanti che io ho incontrato nella mia carriera scolastica… non ti rendono interessante la materia. Già uno ha poca voglia di studiare, se il professore non te la rende interessante… (19M24Valcamonica)

Molte cose non le abbiamo mai neanche viste, non le abbiamo neanche mai potuto vedere. Certo, non è che sto scaricando le colpe sui professori, perché magari le colpe sono il 70% dello studente, però il 30% sono del professore che non invoglia comunque, perché ci sono in giro certi elementi che non so, chi ha fatto l’Itis… (15M23Valcamonica)

La scuola che ho fatto è stata una semipagliacciata, lo dico sinceramente… che avrò incontrato 20 professori: capaci ne avrò visti 2-3 al massimo. Alla fine non so com’è in città e non so se noi siamo abbandonati dal mondo, però qua è proprio penoso, assurdo proprio e un po’ di rimpianti ne ho comunque, perché se mi avessero fatto piacere qualcosa, cioè se io mi fossi interessato a qualcosa… (20M21Valcamonica)

Tra i fattori positivi dell’inserimento lavorativo viene citata in modo

ricorrente la soddisfazione di esigenze economiche, già presente tra le motivazioni originarie dell’abbandono degli studi. Tuttavia, all’entusiasmo iniziale può subentrare una certa insoddisfazione per un lavoro che nel medio termine si rivela poco interessante e noioso. L’impressione di monotonia ricorre nelle parole di ben quattro intervistati de lla Valsabbia:

La mia prima esperienza lavorativa è stata nel settore per cui ho studiato. All’inizio sembrava tutto bello, l’esperienza era positiva. Poi andando avanti ho capito che in realtà c’era molta monotonia. (26M25Valsabbia)

Anche per me l’inizio è stato bello, soprattutto a fine mese quando ricevevo lo stipendio. Io ho fatto un lavoro diverso da quello che ho studiato, ma me la sono cavata. Adesso posso dire che non è più così bello. Fare l’operaio è monotono e non ti da molte soddisfazioni. (28M25Valsabbia)

All’inizio è stata un’esperienza positiva, per lo stipendio, ma anche perché le cose nuove sono sempre stimolanti. Poi con il passar del tempo diventa monotono il lavoro. (29M31Valsabbia)

210

L’inizio è stato bello per lo stipendio a fine mese. Anch’io all’inizio ho lavorato in fabbrica ed è vero il lavoro è monotono, non cambia mai: fai sempre le solite otto ore, sono sempre i soliti soldi a fine mese e non impari nulla di nuovo. (35M24Valsabbia)

Chi si è trovato male nell’inserimento lavorativo tende ad attribuire

l’insoddisfazione a carenze nella scuola frequentata . Questo viene sottolineato in particolare dai giovani della Valsabbia.

La scuola di pratico non ti insegna quasi niente. C’è tanta teoria e poca pratica, quindi anche se il mio primo lavoro era attinente al mio percorso di studi mi sono trovato un po’ spiazzato. (33M20Valsabbia)

Per me l’inizio è stato tragico, fuori da ogni aspettativa, poi con il tempo impari ed ho iniziato a trovarmi bene. C’è stato uno sbalzo tra mondo della scuola e quello del lavoro. (27F25Valsabbia)

Analoghe critiche alla scarsa validità della formazione ricevuta attraverso

l’istruzione formale emergono anche dal gruppo di Breno:

Ho fatto una scuola che molti dicono che sia una scuola che ti prepara, ho fatto l’Itis, elettrotecnica, dicevano che almeno questa ti prepara, chissà allora quelle che dicono che non ti preparano niente cosa fai, perché io sono uscito da scuola e per fare l’elettricista, dopo 5 anni, avrei saputo come accendere una lampadina da una parte e dall’altra e basta. (14M22Valcamonica)

Quello che ha imparato è stato utile sul lavoro? Purtroppo no, perché comunque i lavori sono tanti, sono tanti settori, le scuole non è che son poche, però si limitano a darti un’infarinatura generale, quindi, da un lato sei quasi anche obbligato a fare l’università se ti vuoi specializzare su qualcosa, un istituto tecnico come quello che ho frequentato io, geometra, si è limitato a darti un’infarinatura, un modo di ragionare che è ampio, però non è che si riferisce ad un settore specifico, che poi, facendo un lavoro devi avere. (16M20Valcamonica)

Conduttrice: il pezzo di carta fa male? No, non è che fa male, però dipende da persona a persona, dipende dalla mentalità che hai tu, perché non è che perché ti sei laureato in economia e commercio sei il più grande economista del mondo, sei esattamente forse, come uno che è appena uscito dalle superiori e devi partire da zero. Potrai sapere tutta l’economia del mondo ma non ti serve a niente sul campo. (17F19Valcamonica)

Possiamo continuare a vedere posizioni molto scettiche riguardo all’utilità

del titolo di studio per l’inserimento lavorativo anche nel focus di Leno, che riguarda ragazzi residenti ne lla Bassa Bresciana, i quali sostengono che: a) lo

211

studio non mette i giovani a contatto con la realtà; b) i datori di lavoro preferiscono il giovane “acerbo” rispetto a chi è maturo scolasticamente; c) lo studio manca del necessario collegamento con la pratica lavorativa, cioè non forma le capacità richieste nel mondo del lavoro.

Un imprenditore ha detto “il pezzo di carta serve, ma per metterlo nella cornice”.. Sì, io sono d’accordo… io ero in contatto con alcune persone che a scuola erano bravissime, ma perché loro prendevano in mano il libro, leggevano quello che c’era scritto, lo imparavano a memo ria, andavano in classe, lo dicevano a memoria, primo della classe. Però non capivano quello che c’era scritto, il significato, non riuscivano magari a spiegare con altre parole, per cui loro sì, hanno raggiunto il loro scopo, il loro diploma… primi della classe, però fondamentalmente, probabilmente, trovandosi a contatto con altre realtà facevano un po’ più fatica. (21M29Bassa)

Vedo che sempre più datori danno fiducia al ragazzo che vuole imparare e preferiscono prenderti acerbo, che non sai fare niente, e dire “ok, ci vorrà più tempo, però una volta che te lo insegno me lo metti in pratica e lo fai con voglia” piuttosto che prendersi il ragazzo che sa tutto e comunque non sa fare niente. Questo lo sto notando negli ultimi mesi. (24M25Bassa)

Se tu sai solo la lezioncina che parte dalla A alla Z, se ti dicono di partire dalla L non lo sai fare, quindi, secondo me, non dico che sono d’accordo al 100% ma ci manca poco, cioè se ci fosse la laurea come intendo io, cioè parte teorica e parte pratica, non dico nella stessa maniera, ma che si avvicina, cioè che quello che ti viene spiegato dal punto di vista teorico viene messo in pratica, allora la laurea varrebbe davvero qualcosa di importante. Così secondo me no. (22M29Bassa)

Quest’ultimo partecipante al focus si spinge addirittura a dichiarare

esplic itamente l’impossibilità di una congruenza tra il titolo di studio e le mansioni che possono essere affidate a un neo-laureato:

Una persona che inizia a lavorare, ovviamente, non può avere pretese di essere

messo a fare un qualcosa per cui si è laureato. (22M29Bassa) In linea con una rappresentazione che vede lo scollamento tra studio e

lavoro, emerge una certa diffidenza nei confronti dei neo-laureati, che vengono descritti come soggetti che – nell’impatto con il lavoro – risultano pieni di pretese ingiustificate in relazione alle loro scarse capacità e competenze in iziali.

Ci sono stati casi, e parlo per esperienza personale, che magari agli inizi,

soprattutto del lavoro al laureato, ci sono certi laureati che se gli chiedi di fare le fotocopie… se devi preparare le buste per spedire la posta ti guardano come per dire “scusa, ho studiato 10 anni e tu mi fai fare la posta”, perché tu sei l’ultimo arrivato e

212

… non intendo dire che sei una persona che non vale niente, ma non sai fare niente e questo per quanto riguarda il mio ambito ma penso anche per uno che fa l’idraulico, per uno che fa il muratore, per uno che fa il marmista. (22M29Bassa)

Nel focus di Polpenazze, al contrario, alcuni ragazzi della Valtenesi hanno

messo in evidenza lo scarso potenziale incentivante di titoli di studio che non risultano poi sufficientemente remunerativi sotto il profilo economico – rispetto allo sforzo sostenuto – una volta che si entra nel mondo del lavoro:

Io conosco una ragazza che si sta laureando in pedagogia e alla fine anche se ha sempre preso 30 andrà a lavorare in una ASL e prenderà 1100 – 1200 Euro al mese. Quello che prende l’operaio in fabbrica tutto il giorno a montare un pezzo. Perché si può star qua a discutere ma a fine mese i soldi servono. (07M22Valtenesi) Sì, gli operai prendono come i laureati adesso. (09F30Valtenesi) Appunto! E’ quella la fregatura! Il mio percorso di studi è costato 60.000 Euro alla famiglia e ora cosa vado a prendere? Certo che un perito che ha una certa cultura, sa usare il computer, prende lo stesso stipendio di uno che fa il solito pezzo 7000 volte al giorno. Per cui, insomma, non c’è neanche la spinta ad accollarsi delle responsabilità. Non è pensabile che una persona che ha fatto 5 anni di università prenda uno stipendio come il mio. Uno non è neanche invogliato a farsi questi 5 anni. (08M20Valtenesi)

Tuttavia, accanto alle accennate considerazioni che sembrano deplorare

una certa svalutazione del titolo di studio, riaffiorano anche in tale contesto opinioni che ne ribadiscono la scarsa utilità ai fini lavorativi:

Secondo me assumono chi ha più esperienza. La scuola non prepara abbastanza per il lavoro, tutti i tipi di scuola … è difficile trovare lavoro sia per chi è diplomato sia per chi è laureato in quanto la scuola non prepara al lavoro. (10F29Valtenesi) Uno che va al liceo di fatto non ha un titolo utilizzabile nel mondo del lavoro. Chi va alle università si perde all’università, chi fa gli istituti tecnici prosegue quel lavoro lì. Ci sono ditte che fanno fatica a trovare gente che lavori soprattutto operai. Questo perché ci si vergogna a fare l’operaio e si preferisce andare da ditte che ti danno la macchina e ti fanno andare in giro vestito bene. La mentalità dovrebbe comunque essere che se si va a lavorare non c’è niente di male, qualunque lavoro sia. (07M22Valtenesi)

Infine, particolari difficoltà nell’inserimento lavorativo sono state messe in

evidenza da parte di due ragazze straniere residenti in Valsabbia.

Quale è stato il vostro impatto con il mondo del lavoro?

213

Non tanto male, però per i soldi un po’ male sì perché non mi hanno pagato bene. Sono andata a fare 3-4 lavori ma nessuno mi ha pagato bene. Cioè mi promettevano una paga che non davano… Adesso sono due anni che cerco lavoro, ma è sempre così: se chiami per telefono ti dicono va bene, ma quando poi ti vedono come persona, che sei straniero, ti dicono che non hanno più bisogno. (05F22Brescia) Conduttrice: e per te, com’è andata? Gli italiani sanno tutte le regole, se sbagli una cosa ti dicono “no, questo non va bene”, mentre noi non conosciamo tutte le regole, allora è difficile. (04F20Brescia)

4. L’adesione alle finalità dell’Azione bandiera n.1 L’innalzamento dei livelli di istruzione, uno degli interventi (Azione

bandiera 1) finalizzati allo sviluppo economico e sociale del territorio, non è risultato dalle interviste un programma noto ai partecipanti. È stato quindi compito dei conduttori dei focus group chiarire in sintesi il contesto di svolgimento delle interviste di gruppo e i motivi per cui sono stati interpellati. Ciò premesso, si è voluto accertare se gli intervistati fossero personalmente d’accordo con questi obiettivi istituzionali di innalzamento dei livelli di istruzione e di più forte e più prolungato investimento sulla formazione scolastica.

Il quadro che ne emerge è variegato, come mostrano in estrema sintesi queste due battute scambiate nel focus di Breno:

Siete d’accordo o non siete d’accordo che, comunque, bisogna preoccuparsi che le persone vadano di più a scuola? potete avere posizioni diverse… Io sì. (17F19Valcamonica) E con cosa vanno avanti le fabbriche? (20M21Valcamonica)

Vi è in sostanza, nelle opinioni dei giovani bresciani, una doppia

interpretazione del fenomeno “formazione” che assume significati contradditori se lo si guarda in astratto o in concreto : in astratto sarebbe una buona cosa incentivare la prosecuzione degli studi, ma in concreto occorre fare i conti con: a) le attitudini, la libertà e gli obiettivi individuali, e b) un mercato del lavoro che non richiede per tutti identici livelli di istruzione.

Lei è d’accordo sul lanciare una campagna per convincere ad andare a scuola? Sì e no; è giusto che tutti abbiano una certa cultura, abbiano cioè la possibilità di andare. Però, alla società serve di tutto e non è che possono essere tutti dottori … (16M20Valcamonica)

214

È giusto, ma sono le modalità che sono completamente sbagliate. Cioè: ci sono troppi laureati e troppi diplomati. Allora bisogna valorizzare e guidare, non obbligare e fare terrorismo psicologico come hanno fatto con me e con altre persone. (03M29Brescia) Da una parte sono d’accordo nel senso che penso che se ho l’ingegnere, l’architetto che mi progettano la super casa ma non ho uno che mi fa il cemento e che mi prende i mattoni e mi da’ il materiale giusto si può avere il progetto più bello del mondo però non è realizzabile. E’ anche vero, del resto, che non possiamo essere tutti operai. (12F29Valtenesi)

Io sono d’accordo e no, nel senso che ho conosciuto gente – che era in classe con me in prima superiore – che voglia di studiare assolutamente zero, ma per lo Stato italiano erano obbligati a venire a scuola, e compromettevano il lavoro di altre 20 persone, perché cominci a fare baccano, a distrarre le altre persone. Io sono d’accordo con l’obiettivo, ma a determinate condizioni. Perché la scuola non deve dare diplomi… deve aiutare il giovane a spiegare che cos’è questa società, come si fa a stare al mo ndo... Quindi la scuola non deve incentivare l’ignoranza. Quindi io sono d’accordo con l’obiettivo, ma a determinate condizioni, non come la scuola attuale oggi fa. (02M21Brescia)

Scuramente studiare è necessario, però qualcuno deve anche andare a lavorare perché se tutti studiamo e nessuno lavora… anche parlando economicamente, e così, ci deve essere un bilanciamento … se tutti studiano alla fine nessuno produce… 20-30 anni fa, erano di meno quelli che studiavano e di più quelli che non avevano la possibilità di studiare e lavoravano, e comunque siamo usciti dalla crisi, stiamo bene adesso e tutti hanno la possibilità di studiare, cosa che non c’era prima, più andiamo avanti, più vogliono studiare e avere meno responsabilità, è tutta anche una psicologia della società, il discorso è molto ampio, comunque, secondo me, l’innalzamento è utile, è utile studiare e imparare, però che non diventi una scusa per non andare a lavorare. (21M29Bassa)

Se uno proprio non è portato a stare sui libri, e preferisce andare a fare il muratore o a mungere le mucche, deve essere libero di farlo. Perché se lui si sente realizzato, tanto di cappello; non perché uno munge le mucche è inferiore a me che ho un diploma. (01M21Brescia)

All’interno di questa opinione generale, che come abbiamo visto è

ambivalente, emerge anche qualche opinione totalmente a favore dell’innalzamento dei livelli di istruzione, che considera un fenomeno ineluttabile: anche l’operaio si dovrà specializzare e, come in passato si è generalizzata la necessità di frequentare la scuola secondaria, così nel futuro si dovrà studiare ancora di più:

Insomma, un po’ di gente che studia ci vuole? Ma per forza di cose! Perché il sistema per stare in piedi bisogna fare così, per cui, ci sarà qualcuno che continuerà a studiare, magari tutti studieranno fino a 23-24 anni,

215

sarà così, più o meno, la maggior parte, e ci sarà anche chi continuerà anche dopo e ci sarà chi andrà a lavorare. Noi abbiamo smesso di studiare a 20 anni, penso che tra 3 anni il limite sarà… noi ormai saremo gli ultimi che saremo diplomati; va bé, c’è ancora un 10% che non sono neanche diplomati, però diventerà 10% diplomato e il resto penso che per lo meno la laurea breve, visto che adesso è paragonata al diploma di 20 anni fa. (14M22Valcamonica) Certo è importante avere un buon bacino di ingegneri però non tutti, serve avere una classe operaia e questa deve essere più specializzata. Avere un operaio di base che sia di un livello superiore. Alla fine serve chi monta e smonta il pezzo. (07M22Valtenesi)

Si può dire che il clima generale delle discussioni svolte ha riflesso un

buon grado di consenso verso l’obiettivo dell’innalzamento dei livelli di istruzione; tuttavia non si è riscontrato in nessun gruppo un consenso unanime. Vi sono sempre stati alcuni partecipanti, invece, che in numero variabile, hanno espresso una posizione di scetticismo o di dissenso riguardo all’”Azione Bandiera”. Secondo queste opinioni, incentivare l’innalzamento dei livelli di istruzione in primo luogo è inutile, perché ciascuno si regola liberamente come meglio crede; in secondo luogo può essere anche negativo, perché nel mercato del lavoro ci sono già troppi diplomati e laureati e si rischia così di creare false illusioni di impiego; inoltre, studiare può essere visto alla lunga come un modo per rimandare la scelta lavorativa e non produrre persone più mature bensì dei “mantenuti”.

Io penso che cercare di convincere le persone ad andare avanti con gli studi sia una cosa bella ma allo stesso tempo inutile, perché se uno ci crede le cose le fa; se uno non crede in quella istituzione, in quella tipologia di studi, le cose non le fa. (06M22Brescia)

Ognuno sa qual è la sua strada da prendere. (14M22Valcamonica)

Mandare a scuola tutti per cosa? Perché alla fine mia mamma mi dice che quelli che vogliono andare a lavorare non fanno niente, ma dico niente, quindi buttano via 1-2 anni e poi vanno a lavorare. (03M29Brescia)

Una delle poche cose che mi ricordo del liceo è che un pedagogista aveva detto “meglio uno spazzino felice che uno scienziato nevrotico”. Io crescendo credo che abbia ragione, come ad esempio qualcuno di loro dice che si trova bene andare a lavorare quindi è inutile andare ad incentivare, mentre magari altri sono più portati per lo studio. Va bene studiare, ma non obbligare, perché altrimenti avrai un diploma o una laurea ma resterà veramente appesa al muro. (34F22Valsabbia) La mia idea è che non bisogna impuntarsi troppo sull’idea dell’università. Io sarei più propenso a puntare di più su una scuola professionale. Non si può pensare di fare

216

diventare dottori tutti i ragazzi. Perché la forza lavoro richiesta è anche altra. (07M22Valtenesi)

Bisogna soppesare attitudini, paure… ci vuole anche una guida extrafamigliare… è molto complesso come discorso. Probabilmente la campagna che faranno sarà tanto fumo, come al solito, perché ci sono già troppi laureati, troppi diplomati, e anche troppi con la terza media per come la penso io… Perché quando arriviamo in V superiore dei Geometri e c’è qualcuno che “sono andato a Milano” con la “a” con l’acca… (03M29Brescia)

Per me va bene così, perché ci vuole gente che lavora e gente che studia. (35M24Valsabbia) Diciamo che se tutti studiano alla fine nessuno produce, nessuno lavora e questa crisi, non so, forse sto blaterando, però qualche anno fa, anche 20-30 anni fa, erano di meno quelli che studiavano e di più quelli che non avevano la possibilità di studiare e lavoravano, e comunque siamo usciti dalla crisi, stiamo bene adesso e tutti hanno la possibilità di studiare, cosa che non c’era prima, più andiamo avanti, più vogliono studiare e avere meno responsabilità, è tutta anche una psicologia della società, il discorso è molto ampio, comunque, secondo me, l’innalzamento è utile, è utile studiare e imp arare, però che non diventi una scusa per non andare a laurà [lavorare] è un altro discorso. (21M29Bassa)

Un altro aspetto che alcuni partecipanti ai focus hanno messo in evidenza è

lo scarso orientamento dei giovani tra scuola e lavoro. La scelta di proseguire gli studi o di interromperli molte volte viene presa quando ancora non si è sufficientemente maturi e quindi così si può sbagliare strada facilmente. Per alcuni, allora, occorrerebbe un orientamento più deciso, in grado anche di “forzare” i giovani a rimanere nella scuola. Queste posizioni favorevoli all’obbligo scolastico/formativo, dettate dalla consapevolezza della fragilità giovanile di fronte al futuro (cfr. anche § 2.1 di questo cap.), sono in netto contrasto con quelle sopra indicate, che invece si esprimono per l’assoluta necessità di preservare la libertà individuale rispetto alla scelta formativa Secondo me è troppo presto quella età della scelta; cioè, a me non ne fregava niente, io a 13 anni pensavo solamente agli spinelli e a quelle sciocchezze lì… io sono venuto a questo colloquio qui perché c’è gente che ci lavora, ma a me quel cavolo di colloquio a 13 anni non è servito a niente. Poi ho fatto quella scuola lì… non me ne pento, perché alla fine… Non è stato inutile… cioè: è stata inutile l’iscrizione in quel campo da parte mia, perché probabilmente a me della psicologia, della pedagogia, del latino non mi interessava niente; ma per me è stato utilissimo: un ambiente come la scuola non può essere che utile. (06M22Brescia)

217

Un ragazzo a 14 deve essere obbligato. Uno che comincia le superiori a 14 anni non sa niente, non sa scegliere. Deve essere guidato, ma anche obbligato se un ragazzo a 14 anni pensa solo agli spinelli e alla droga. (05F22Brescia)

Bisogna però capire se la scelta che tu fai a tredici anni è giusta. È giusto che le istituzioni si occupino di questo. (26M25Valsabbia)

Secondo me è troppo presto comunque, non puoi dire che chi fa il liceo poi non fa… alla fine a quell’età lì è troppo presto scegliere…Quindi spostare anche un po’ più avanti il momento nel quale scegliere? Sì, non dico a 20 anni, però neanche a 14 anni, è troppo presto per la scelta della scuola, perché poi è importante, la scuola ti porta via 5 anni. (20M21Valcamonica)

Altri partecipanti ai focus (in particolare a quello di Leno) hanno messo in

evidenza che un fattore molto rilevante per cui alcuni abbandonano precocemente la scuola è costituito dalla scarsa relazione tra quanto si studia astrattamente e quanto serve davvero nella pratica lavorativa. Anche qui si sottolinea che mancano percorsi efficaci di orientamento e di raccordo tra scuola e lavoro, per finalizzare di più le conoscenze apprese a scuola alle competenze richieste e alle varie figure professionali. Per questo, l’Azione bandiera n.1 deve rivolgersi, secondo alcuni, soprattutto ai professori e a chi organizza le esperienze di stage, tirocinio applicativo, orientamento professionale, dentro i vari corsi di studio.

Non so come sono i programmi delle superiori perché effettivamente è passato un po’ di tempo, o gli esami dell’università, però io mi ricorderò sempre letteratura inglese che erano dei tomi incredibili e continuavo a dire “ma se io non voglio andare a insegnare, che cavolo me ne frega di studiare una pacca così di roba… per che cosa” cioè, di finalizzare un po’ di più quelle che sono le specializzazioni. (22M29Bassa)

Secondo me bisogna, in certi tipi di scuole, inquadrarle di più dal punto di vista lavorativo, perché non è che in una settimana di stage all’anno che organizziamo, riesci a fare… si deve fare veramente, fin dal principio, stage che comunque ti danno la possibilità di entrare nella mentalità del lavoro. Bene o male io penso che chi faccia il liceo presume di andare avanti; chi invece sceglie un certo tipo di scuola, come l’istituto tecnico diciamo che ha aperto tutte e due le porte, però bisogna avvicinare un po’ di più il mondo del lavoro in queste scuole. (18M21Valcamonica) Se anche i fruitori di questo studio sono gli imprenditori, che loro si prodighino di più con le scuole per far sì che se uno vuole fare il ragioniere, magari negli ultimi 2 anni faccia 3 mesi di scuola e 3 mesi in azienda… vedo come si lavora e lo applico, proprio perché alla fine, come abbiamo detto tutti, il salto che c’è dalla scuola al lavoro c’è, assolutamente. Cioè, quando sono uscito dalla scuola e ti presenti a un posto di lavoro non sai fare assolutamente niente (22M29Bassa)

218

Secondo me si deve ridurre la distanza tra scuola e mondo del lavoro. Credo sia anche peggio se tutti quelli che escono dalla scuola non sappiano fare un lavoro. (13M29Valtenesi) La provincia di Brescia e la varie istituzioni vogliono convincere i bresciani a investire di più sulla formazione. Siete d’accordo su questa cosa? Mah, sì, alla fine sono d’accordo, perché, per carità, non tutti siamo uguali, c’è quello portato allo studio, c’è quello portato al lavoro, c’è quello portato a non far niente, non tutti siamo uguali, per cui, chi vuol studiare e chi ha le possibilità di studiare e chi ha le potenzialità di studiare è giusto che lo faccia perché non tutti siamo addetti al lavoro manuale, per cui è giusto che questo livello si alzi, però secondo me dovrebbero cercare di affiancare quello che è lo studio a qualcosa di anche più pratico … insomma, vanno un attimino guidati meglio anche i professori, indirizzati più ad avere un rapporto con l’alunno che non con il libro, però sicuramente il livello deve essere alzato, su questo sono d’accordo. (21M29Bassa)

Siccome non c’è in effetti una definizione più o meno precisa all’interno proprio del corso di studi, quelle che possono essere le prospettive di lavoro, e quindi non ci può indirizzare con più precisione verso un lavoro anziché un altro, per questo mi sono trovato a dover fare una scelta abbastanza drastica, insomma ad abbandonare… se l’accademia avesse organizzato gli stage oppure avesse collaborato con altri enti di enti di formazione, che ne so, tipo accademia di recitazione o quello che sia, o con un teatro, sarebbe stato tutto completamente diverso per me, no, avrei continuato gli studi, quindi avrei affiancato, oltre, diciamo, alla formazione pratica del lavoro anche quella teorica, avrei fatto uno sforzo, andrebbero ridefiniti un po’ gli indirizzi. (25M29Bassa)

Un’altra manchevolezza che altri partecipanti hanno rilevato a proposito

dei livelli di istruzione in Provincia di Brescia è l’assenza di severità nello studio e di equa valutazione sulla base dei meriti effettivi degli studenti, cosa che produce un abbassamento generale delle conoscenze giovanili e una ridicolizzazione di alcuni percorsi di studio, da cui si esce anche senza essersi impegnati e senza passione verso un dato settore o disciplina.

Vuol dire che non è il livello di istruzione che ci garantisce che le persone vadano a fare bene i lavori che poi servono? Sì, è che si boccia troppo poco. Il concetto è che poi ci sono quelli intelligenti che potrebbero rendere e non rendono e fanno il minimo, perché tanto se poi mi bocciano io faccio causa alla scuola perché tanto la scuola non vuole spendere e quindi alla fine mi promuovono… (03M29Brescia)

Sn’università di qualità sì, per un’università di quantità dove devono entrare tutti e devono uscire senza una preparazione… (15M23Valcamonica)

219

Questa campagna mi trova d’accordo però innalzare gli studi deve significare che se l’università dura cinque anni, al massimo devono essere sei, non che uno arriva a trenta anni e sta ancora studiando: se studi devi farlo con passione e impegno. (30F19Valsabbia) Bisogna incentivare le scuole superiori e dare una maggiore attenzione alle scuole superiori più che all’università; far sì che i ragazzi escano un po’ meno idioti di come escono adesso e io sono uno dei primi; adesso quelli che escono dalle superiori sono veramente degli elementi che bisogna prendere a calci nel culo dalla mattina alla sera! Cioè, non è per dire, ma a parte che non sanno una mazza, domandi qualcosa, niente; cultura generale, cultura, storia… oppure gli chiedi “che cosa hai fatto?” Istituto tecnico oppure elettronico e gli chiedi quelle robe lì e non sa una mazza, allora… per me bisogna puntare sulle superiori e dare un apprendimento più serio ai ragazzi che escono dalle superiori, allora lì forse si può decidere se uno può andare avanti o no. (19M24Valcamonica)

Su questa lunghezza d’onda sostanzialmente pessimistica, e caricando un

po’ le tinte, alcuni arrivano a segnalare che il titolo di studio in molti casi è di fatto svalutato e pertanto – in forma prevalentemente implicita – negano l’utilità di una campagna di incentivazione per l’innalzamento dei livelli di istruzione, come si può vedere da questo scambio di battute registrato nel focus di Brescia:

Se ho capito bene, lei dice: “diamo pure gli stessi diplomi, ma con dentro i contenuti”! sì, se partiamo dal presupposto di lasciare la società organizzata in questo modo - che non mi trova d’accordo – o diamo i pezzi di carta a gente che li sa usare, oppure è inutile, per fare a gara con gli altri paesi, noi abbiamo il 30% dei laureati, e sono degli imbecilli, o degli ignoranti. (03M29Brescia) ma cosa finiscono a fare quelli lì? (06M22Brescia) vanno a fare gli operai in fabbrica. Io ne conosco: gente laureata in ingegneria che finisce a lavorare in fonderia. (01M21Brescia) adesso, non voglio parlare male di quella categoria… ma ce ne sono troppi che hanno il pezzo di carta. (03M29Brescia)

Un ultimo fattore di perplessità verso la politica dell’ìinnalzamento dei

livelli di istruzione riguarda l’equilibrio demografico. Sia pure in termini un po’ frammentari, sembra che l’equilibrio del sistema pensionistico possa essere minacciato se la prosecuzione del percorso degli studi conduce un numero eccessivo di giovani a un ingresso ritardato nel mercato del lavoro:

Abbiamo il problema di come mantenere in pensione la gente. La vita media si è allungata, dunque, se fino a 20, 30, 40 anni fa si andava a scuola fino a 15 anni, si lavorava 40 anni, si andava in pensione e si viveva fino a 70 anni, adesso se si vive

220

fino a 80 anni, per forza di cose il sistema non sta in piedi … il sistema non può esserci il 20% della gente che lavora e il 70% della gente tra studenti e pensionati … la scuola costa, per cui la paga chi va a lavorare... la gente per cui si sforza e va in pensione più in là, ma se noi iniziamo a 20 anni poi a lavorare tutti, arriviamo a 60 anni e siamo già tutti in pensione e… (14M22Valcamonica)

Non tutti però condividono questi variegati atteggiamenti di perplessità riguardo all’innalzamento dei livelli di istruzione. Vi sono anzi diverse opinioni favorevoli, basate sulle seguenti idee: a) la perdurante serietà dell’esperienza formativa, indispensabile per crescere; b) il suo valore fondamentale, che la rende utile in ogni caso, indipendentemente dalla spendibilità lavorativa; c) l’utilità concreta del titolo di studio per accedere a migliori chance lavorative. Tu mi dici che danno via i diplomi e le lauree così tanto per darli… non è così: li danno perché c’è un motivo. Poi sta all’abilità della persona gestirsi nel mercato. (06M22Brescia)

io incentiverei lo studio da morire, ma manderei tutti all’università per quello (17F19Valcamonica) è anche vero che qui a Manerba siccome non riescono a trovare ingegneri italiani assumono ingegneri indiani. (08M20Valtenesi)

il pezzo di carta serve, ma è un punto di partenza che ti permette di accedere a determinati lavori, in cui magari senza diploma questi lavori non li potresti fare, ma è anche vero che è una questione di meriti tuoi andare avanti. (33M20Valsabbia)

Lo studiare solo certe materie non deve però essere eccessivo. So di certi ingegneri che vengono dall’America che sono i più bravi al mondo a progettare case ma poi se gli si chiede dov’è il Colosseo dicono che è a Reggio Calabria! Nel loro settore, quindi, possono essere i migliori ma di cultura generale ne hanno poca. Quindi uno deve avere una formazione specifica ma deve anche avere delle nozioni di base di geografia, storia. (07M22Valtenesi)

Perfino chi non sarebbe d’accordo con l’attribuzione di una grande

importanza al diploma, ammette che in molti casi questo titolo diventa un elemento indispensabile per trovare lavoro nel rispetto di criteri universalistici anziché clientelari.

Alla fine siamo tutti uguali, apparteniamo tutti a un’unica razza. Non deve diventare discriminante avere questo diploma, cosa che invece sta succedendo adesso. E lo dico perché lo sto sperimentando: non trovo lavoro io che ho un diploma, immagino loro che hanno la terza media. (01M21Brescia)

221

Per fare sì che il titolo di studio mantenga sempre un certo valore, anche sotto il profilo economico, allora sarebbe auspicabile che le istituzioni offrissero alle famiglie con figli in età scolare maggiori incentivi. Riportiamo a questo proposito un paio di battute dal forum di Prevalle:

Io sono favorevole, ci vuole però più pratica e poi ci vogliono più stimoli per far studiare i ragazzi. Non so, ci vorrebbero più borse studio. Ad esempio se passi un numero di esami ti danno duecento euro o un viaggio. Bisogna incentivare gli studi. (31M26Valsabbia)

Sono d’accordo anche io con la campagna delle istituzioni, ma si dovrebbero dare delle regolate ai costi, perché più si va avanti più è costoso studiare. Mia mamma per esempio ha due gemelle e deve pagare i libri, il pullman, il materiale e alla fine del mese non è sempre facile. (32F24Valsabbia)

Dal forum di Breno emergono invece alcuni pareri che sembrano piuttosto

ottimistici riguardo sia alle opportunità offerte a tutti per le prosecuzione degli studi sia all’orientamento di base favorevole delle famiglie di origine, per cui eventuali abbandoni degli studi sarebbero da attribuire solo a una scelta dei diretti interessati:

Comunque la possibilità la si dà a tutti di studiare, non mi sembra che si chiudano le porte. (20M21Valcamonica)

Non ci sono forse dei ragazzi che sono un po’ più obbligati a interrompere? Anche questo discorso della voglia e non voglia, da dove nasce? ci sono le borse di studio e tutte quelle cose lì per chi ha le capacità e non ha le possibilità, secondo me. Quindi è un po’ inutile convincere la gente ad andare a scuola, perché è un convincimento che già c’è? Se qualcuno sceglie di non andare… Tutti i genitori in questo mondo, tutti, tutti fanno di tutto per farlo andare, ma se il figlio non vuole, non vuole, punto. (19M24Valcamonica)

Si segnalano infine alcuni interventi che lasciano intravedere percorsi

formativi diversi da quelli scolastici, ritenuti però altrettanto validi ai fini della carriera lavorativa:

un po’ devi farti auto-formazione, un po’ devi sperare di avere accanto una persona che … sia disposta ad insegnarti bene… la formazione deve essere sicuramente un crescita, deve partire non solo dalla scuola ma deve coinvolgere un po’, secondo me, tutte le istituzioni che hanno a che fare con il lavoro, che hanno a che fare con la formazione personale… non è solo la responsabilità dell’università, non è solo la responsabilità di chi dà il lavoro, è un po’ tutto un insieme. (22M29Bassa)

222

Se finisci prima di studiare e vai a lavorare la tua esperienza negli anni ti arriva a portare a livelli di un laureato. Poi anche nel mondo del lavoro puoi fare molti corsi di aggiornamento. Insomma dipende dal settore, perché in alcuni è indubbia la necessità di studiare all’università. (27F25Valsabbia)

Per me in certi ambienti, come per esempio quelli tecnici, devi avere una laurea, non so penso ad un ingegnere. Poi se vuoi fare il politico, sembra che lo puoi fare anche se hai fatto solo l’asilo, se non sei laureato non importa. (29M31Valsabbia) 5. I suggerimenti per una comunicazione efficace

La parte finale della traccia dei focus group prevedeva una discussione

degli argomenti più efficaci proposti dei partecipanti al fine di pubblicizzare e incentivare gli obiettivi dell’Azione Bandiera. In pratica, si voleva completare la raccolta di opinioni con alcuni suggerimenti pratici per mettere in atto una valida campagna comunicativa rivolta con strumenti specifici ai diversi target interessati: in primo luogo i giovani, ma anche le loro famiglie, gli insegnanti, i datori di lavoro e gli enti pubblici.

Non si può nascondere che questo obiettivo si è rivelato problematico, soprattutto perché – come si è visto nelle pagine precedenti – buona parte dei partecipanti non era fermamente convinta della validità di un progetto tendente ad elevare i livelli di istruzione nella provincia di Brescia. In astratto e sul piano statistico questo obiettivo potrebbe anche andare bene, anzi risulta coerente con tendenze storiche quasi ineluttabili; ma in concreto – secondo molti partecipanti – si dovrebbe cautamente esplorare, distinguere, valutare e verif icare caso per caso, senza condizionare troppo i diretti interessati. Insomma, quando si è dubbiosi riguardo a una certa finalità non si è, di regola, né troppo convincenti nel sostenerla né troppo creativi nella ricerca di argomentazioni a supporto né orientati a sostenere un impegnativo confronto dialettico con eventuali posizioni antagonistiche.

In alcuni focus group, come quello di Leno, emerge un atteggiamento di sostanziale neutralità o distacco verso la campagna informativa:

Io non gli direi abbandona sì, o abbandona no, io gli direi più che altro di valutare la sua situazione e di vedere per quali motivi vorrebbe o non vorrebbe abbandonare e quindi prendere la sua decisione perché io non posso decidere quello che tu devi andare a fare perché non so neanche com’è il tuo stato di famiglia, non so neanche il tuo stato economico, per quale motivo, per cui è un po’ troppo generica come domanda (21M29Bassa) è una responsabilità personale questa. (22M29Bassa) tu non puoi conoscere quello che ha intenzione di fare… (21M29Bassa)

223

Una posizione del tutto analoga emerge anche nel focus di Prevalle, dalle parole di questa ragazza:

Io mi rifarei molto alla frase … “meglio uno spazzino felice che uno scienziato nevrotico”, cioè uno può studiare anche dieci anni, ma deve farlo con passione, altrimenti lavora se è questo che vuoi fare con passione, insomma: “scegli la strada che si addice di più a te e che ti rende felice”. (30F19Valsabbia)

Una variante piuttosto diffusa di questo atteggiamento di neutralità

consiste nel limitarsi a presentare ai ragazzi o alle ragazze incerti tra scuola e lavoro le diverse alternative possibili, invitandoli a raccogliere informazioni e a valutare i pro e i contro, ma senza prendere una posizione netta per una delle due soluzioni. In quasi tutti i focus della Provincia questo atteggiamento è emerso con evidenza:

Io direi di aspettare un attimo, di fermarsi a riflettere. Se ha bisogno di una pausa, di prendersi il suo tempo, ma di non lasciare andare le cose così. (05F22Brescia)

Secondo me uno deve essere libero di scegliere quello che vuole; a 17 anni c’è gente in grado di decidere. Quindi direi: “Se non ti piace studiare, va’ a lavorare, è inutile stare a disturbare altre persone che vogliono continuare gli studi, ecc. D’altra parte, però non ti aspettare un lavoro da 10.000 euro al mese; sì e no arriverai a 1500 a fare l’operaio in fabbrica e ti garantisco che è un lavoro brutto”. (01M21Brescia) Direi di informarsi sulle scuole, sui percorsi e poi ci sono delle attività di orientamento che in teoria dovrebbero partire dalle scuole medie che a volte funzionano. Anche il mio centro di formazione entra nelle scuole per aiutare a scegliere e anche per orientare le famiglie. (10F29Valtenesi) Una cosa è scegliere dopo essere stati informati bene un’altra solo per sentito dire. (13M29Valtenesi)

Sono d’accordo e bisognerebbe anche far presente meglio che cosa si può andare a fare con quel titolo di studio. Quindi dire nella pratica che cosa si potrà andare a fare. (11F32Valtenesi)

Io più che altro un consiglio “valuta bene tutto” e, più che quello che farei io, gli direi la mia personale esperienza, la mia situazione che ho vissuto e gli direi “guarda, analizza bene la tua situazione e cerca di trovare la soluzione migliore” perché come ho detto prima è giusto che l’istruzione si alzi perché non tutti siamo portati a fare la stessa cosa, è proprio la persona che deve capire “sono portato allo studio, sono portato al lavoro, sono portato a una cosa più tecnica, più pratica…” cioè, non puoi andare a dire a un ragazzo che cosa deve fare, probabilmente può dirlo un genitore al figlio.

224

Allora potresti anche dire “valuta in base a quello che desideri fare della tua vita”. Sì, ma sono troppe, tante cose, cioè, è una scelta personale, cioè, sono cose che deve valutare lui, cosa si sente portato di fare, qual è la sua situazione globale. (21M29Bassa)

Io sono d’accordo con la campagna informativa, ma non me la sento di obbligare un ragazzino a fare una scelta piuttosto che un'altra. (32F24Valsabbia)

Come si può notare, se la campagna comunicativa dovesse arrestarsi a questa fase, tutto l’impegno dovrebbe essere rivolto a informare senza obbligare. Ma non tutti la pensano così. Vi sono infatti interventi che prendono nettamente posizione a favore del proseguimento degli studi:

la scuola non deve essere vissuta come un peso, ma come una possibilità, proprio per capire il funzionamento del sistema mondo. Lo ripeto: la scuola deve fornire gli strumenti perché un popolo di pecoroni non serve a nessuno; non è giusto che siano solo poche le persone che pilotano. La scuola non deve essere vista come per fare soldi, deve essere vista per avere un’autonomia di pensiero, mentale, perché è risaputo che una persona ignorante è più facile da influenzare rispetto a una persona che sa. (02M21Brescia)

Vostro figlio vi dice “io non voglio andare più a scuola”… voi che dite? Sicuramente mio figlio fin che può studia. (24M25Bassa)

non lasciare la scuola a metà, pensaci, porta avanti il tuo impegno. (04F20Brescia)

non buttare via 5 anni di superiori e cerca di prendere quello… cioè, non fare il secchione e non uscire mai di casa ma di studiare per prendere il diploma e poi prendere un’altra strada. (17F19Valcamonica) gli direi di continuare, sicuramente. (10F29Valtenesi)

Però magari dentro di te pensi che gli converrebbe continuare a studiare per mille motivi, allora gli dici qualcosa… io gli ho dato il consiglio a mio fratello quest’estate che è stato bocciato di continuare perché per il lavoro comunque sei sempre in tempo per andare a lavorare e comunque, sicuramente, alla sua età (16-17 anni), è più bello andare alla scuola che sei a casa il pomeriggio, ti rilassi con i tuoi amici, studi, e così, che andare a lavorare, dove ti perdi tutta la giornata … Ecco, il consiglio è quello dopo sicuramente se non è portato sceglierà anche lui la sua strada. (23M27Bassa)

Che cosa direste a dei ragazzi come voi per convincerli a non abbandonare gli studi? gli farei degli esempi: “se studi puoi arrivare lì”, altrimenti lavori. (35M24Valsabbia)

Se solo c’è un attimo di appoggio economico da parte sua lui deve proseguire. (24M25Bassa)

225

Un modo indiretto per suggerire di non abbandonare gli studi consiste nel

sottolineare la fatica che comporta l’attività lavorativa (anche se in questo momento i vantaggi economici di chi possiede un titolo di studio non sembrano molto consistenti), sottolineando che il tempo dello studio è prezioso, va risparmiato nei primi anni della vita, mentre per lavorare c’è sempre tempo. In fondo è solo in questi ultimi anni che c’è questa situazione che chi studia guadagna quanto gli altri, ma non è detto ci sia ancora per il futuro. E per convincerlo cosa gli diresti? di venire a lavorare con me! (13M29Valtenesi)

che per fare anche solo l’operatore ecologico serve il diploma. (08M20Valtenesi)

dipende da chi ti trovi, se ti trovi dei datori come i miei ti passa la voglia. (24M25Bassa)

io vedo nel campo edile, i ragazzi non ne trovi più. (21M29Bassa)

stan calando, adesso non vogliono più faticare. (25M29Bassa)

perché è troppo duro, un po’ perché i vecchi muratori hanno delle maniere un po’… brusche. (21M29Bassa)

Un pentito cosa potrebbe dire? Io sicuramente gli metterei davanti la mia situazione e secondo me finché è giovane ad andare a fare l’operaio c’è sempre tempo. (24M25Bassa)

L’idea che nell’incertezza convenga continuare a studiare, perché per

andare a lavorare c’è sempre tempo, trova un curioso reciproco in uno scambio di battute osservato nel focus di Prevalle, dove c’è chi sostiene al contrario che è lo studio ad accompagnarti tutta la vita:

Potreste dirgli “se studi guadagnerai di più, avrai più cultura”? no, se dici così è il bello che non inizia, devi fare le cose per passione. Io direi “fai quello che vuoi e che ti piace”. Uno deve provare sulla propria pelle e poi a studiare sei sempre in tempo. (35M24Valsabbia) si, beh però è diverso, se studi a quaranta anni o a sedici. (28M25Valsabbia): ma figurati, per me a studiare sei sempre a tempo. (35M24Valsabbia) certo che sei sempre a tempo però se fai le cose al momento giusto è meglio. (28M25Valsabbia)

Una significativa tendenza a non suggerire argomentazioni favorevoli

all’innalzamento dei livelli di istruzione si ravvisa in una serie di interventi

226

nel focus di Leno, che riconfermano l’idea diffusa che una persona che lavora e si fa una cultura “da sé” esprime una certa superiorità “morale” rispetto a chi aspetta di avere un titolo di studio per essere qualcuno.

Per una persona che non vuole studiare perché non ce la fa, è meglio che faccia qualcos’altro. Avere un’esperienza … che può essere un qualsiasi mestiere, fa parte della formazione di una persona. Quella persona lì che impara a fare un mestiere, che sa una cosa che sa fare per tutta le vita, se vuole aggiungersi anche una cultura personale lo può fare tramite i giornali, tramite internet ecc… tramite, magari, avere conoscenze nella cerchia di persone che hanno una certa cultura e che sono disposte a trasmetterla, cioè, secondo me, da un punto di vista sociale una persona così non vale, tra virgolette, meno, di una persona che è laureata, anzi, magari sotto certi aspetti può valere di più, dal punto di vista umano, dal punto di vista personale, dal punto di vista delle responsabilità, quindi, cioè, a parte che le classificazioni, classificare all’interno di una società non è comunque corretto, però, da tante persone sono considerate meno rispetto a una persona che magari è laureata, ha fatto il master o ha fatto… a parte che oggi essere laureato non è che abbia poi così grande spicco, forse se uno ha fatto il master a New York o a Oxford, allora sì, viene visto come…

Dire ad un ragazzo “guarda che la gente ancora valuta in base a un pezzo di carta”? no, quello non lo direi mai… forse se hai imparato un mestiere hai più probabilità di trovare un lavoro rispetto a un laureato. (22M29Bassa)

anche perché non assumono più la gente a occhi chiusi, ti provano, vedi come sei, tu puoi anche essere un campione sui libri però se non riesci ti dicono “bello, vai, che io cambio”. (24M25Bassa)

sì, ma poi c’è anche un discorso di domanda-offerta, nel senso che oggi l’offerta di laureati è altissima, mentre invece l’offerta di chi sa fare un mestiere è molto, mo lto scarsa e di conseguenza, il mercato del lavoro, comunque, sta cambiando rapidamente, cosa che invece era al contrario, come 30 anni fa, dove erano molto di più le persone che lavoravano manualmente rispetto alle persone laureate che… quindi i laureati non avevano problema a trovare il lavoro, le persone che facevano un lavoro manuale sì, avevano problemi, il mercato del lavoro è sempre in continua evoluzione. Io se avessi un figlio tra 15 anni gli direi di impararsi un lavoro. (22M29Bassa)

anche perché in alcuni settori vedi proprio che mancano i ragazzi che sono, che prendono la strada del lavoro, di imparare un’attività, avere sacrificio nel lavoro, perché ci vuole anche quello, perché come in tutte le cose c’è la prassi. (21M29Bassa)

Un altro argomento a sfavore della campagna per l’innalzamento dei livelli

di formativi è quello della scarsa occupabilità locale dei diplomati/laureati. Alcuni partecipanti al focus group di Breno attribuiscono ai datori di lavoro –

227

che dovrebbero essere tra i destinatari dell’Azione bandiera – un atteggiamento non favorevole alla valorizzazione del titolo di studio nel momento dell’assunzione degli addetti, in quanto la credenziale educativa caratterizza l’offerta di lavoro (secondo il loro punto di vista) come più costosa e con meno garanzie di produttività.

Secondo voi, pensando ai vostri datori di lavoro, se voi foste laureati, sarebbero più contenti o no? Dipende da quanto rendi, perché se rendi quanto un diplomato, gli costi di più e non è contento, per niente. (18M21Valcamonica)

Esatto. (19M24Valcamonica)

Quindi interviene magari anche questo fattore …ma è anche un problema legato al fatto che il mondo imprenditoriale alla fine valuta di più i meriti sul campo che non altro? Se io fossi il datore di lavoro penso che prima di tutto guarderei la persona per quello che rende e che persona è; il titolo di studio ti dà già un’idea di che persona è, ovviamente, come tutte le cose le persone si conoscono parlandoci. (19M24Valcamonica)

infatti, se il diplomato mi rende 5 e mi costa 8 e il laureato mi rende 4 e mi costa 10…(20M21Valcamonica)

Una campagna di comunicazione che si proponga di elevare davvero i

livelli di istruzione non potrebbe ignorare, tra i propri destinatari, le famiglie di origine dei giovani che hanno adempiuto all’obbligo scolastico. Questo aspetto è stato preso in particolare considerazione da alcuni partecipanti al focus di Breno:

Ai genitori cosa direste? “basta col protezionismo”. (18M21Valcamonica)

“aprite il portafoglio”. (20M21Valcamonica)

“non fatevi illusioni sui ragazzi”. (17F19Valcamonica) “Non fatevi illusioni”? non pensate che dopo i primi giorni si veda la laurea del figlio o della figlia. (15M23Valcamonica)

Ma bisogna convincerli a credere di più nell’istruzione e non a credere di meno, cioè a investire nel modo giusto. “credi nei tuoi mezzi”. (20M21Valcamonica)

“lasciami libero di scegliere la mia strada”. (18M21Valcamonica)

228

In definitiva, per la complessa e ambivalente opinione che i nostri

intervistati esprimono, si può dire che stentano a prendere una posizione nettamente favorevole alla prosecuzione degli studi, anzi sono cauti se non scettici. È allora molto difficile immaginarli impegnati attivamente nell’Azione bandiera, tanto che deve essere la conduttrice del gruppo a spronarli, dicendo loro che “bisogna convincerli a credere di più nell’istruzione” e definendo questa scelta come “investire nel modo giusto”.

Sempre nel focus di Breno si registra un nutrita serie di interventi che hanno come destinatari i professori:

A chi rivolgerebbe un messaggio, volendo fare una campagna? è un problema di professori, o anche un problema dei ragazzi? per me è la preparazione dei professori, comunque un ragazzo, se non ha voglia di fare, se il professore lo coinvolge dopo un po’ la voglia gli viene. Quindi, secondo me, essenzialmente, sono i professori. (20M21Valcamonica)

Allora, “preparatevi di più”? Mi dia uno slogan… “Guadagnati la paga”. (20M21Valcamonica)

Ai professori universitari, che cosa direste? Si diceva prima: non l’università della quantità, ma l’università della qualità, no? di amare il loro lavoro. (17F19Valcamonica)

io ho trovato in università tanti professori – non è che ne ho visti cinquanta avendo fatto un anno e mezzo – però un buon 30% che ti invoglia ad abbandonare gli studi. Quando arrivo in classe il primo giorno e il professore che inizia la lezione ti dice “guarda a destra, guarda a sinistra: tra un anno solo uno di voi tre avrà passato questo esame”. Questo è quello che è successo nella prima lezione. (14M22Valcamonica)

La trasformi in uno slogan, tipo “professore, incoraggia di più” o cos’altro?

ovvio che non devi regalarla la laurea, però…(14M22Valcamonica)

“non fare il duro”, che poi magari duro non sei, perché dopo ti incontra fuori… (15M23Valcamonica)

dopo, per quanto riguarda le superiori, per quello che ho visto io… io ho fatto una scuola tecnica e devo dire che la maggior parte erano professori che non capivi neanche da che parte erano girati, però anche parlando personalmente dei professori, tutti gli ingegneri che c’erano, erano molto preparati. Il problema è che sulle scuole tecniche … tutti quei professori ce l’hanno come secondo lavoro o primo lavoro che si tengono come paga fissa, però quando il professore viene a scuola… il professore è una fonte di sapere, perché io ho visto professori veramente in gamba, ma quando

229

vengono a scuola e stanno al computer a fare i loro progetti, perché ovviamente fuori l’attività devono portarla avanti… (14M22Valcamonica) Quindi, cosa si potrebbe dire? “Professore, guarda che questo è il tuo mestiere”? “ama di più il tuo lavoro”. (17F19Valcamonica) è anche una missione, perché anche se ha le capacità e non trasmette ai ragazzi quello che sa… (14M22Valcamonica) Altri ipotetici messaggi? “segarli di più”. (19M24Valcamonica) Ai professori? Si rivolgerebbe ai professori? sì, bocciarli di più, quando se lo meritano. (19M24Valcamonica) Quindi, insegnare alla scuola a guardare ai meriti, che poi è una cosa che si ritrova anche nel mondo del lavoro? sì, perché se uno è sempre andato avanti a calci nel sedere, quando esce fuori dalla scuola, dopo è ancora peggio. (19M24Valcamonica)

In conclusione, l’analisi delle opinioni dei giovani che hanno interrotto gli

studi riguardo all’Azione bandiera n.1 e alle sue strategie, conferma quanto sia impegnativo tentare di elevare i livelli di istruzione in provincia di Brescia. In generale si ha l’impressione che si apprezzino coloro che si diplomano o si laureano, però questa valutazione è espressa solo a livello astratto e superficiale, al massimo sulla base di un quadro statistico; tuttavia essa non tocca necessariamente i singoli casi con cui si è a contatto diretto, quindi il livello più profondo degli atteggiamenti e dei valori personali.

In altri termini, sembrerebbe che ci si attenda una crescita dei livelli di istruzione come se si trattasse di un evento naturale e non di un fenomeno provocato socialmente : poiché i livelli di istruzione sono cresciuti in passato e crescono tuttora un po’ ovunque, allora cresceranno automaticamente anche in provincia di Brescia.

L’obiettivo generale, di assicurare a tutti i giovani una formazione scolastica o professionale fino ai 18 anni, e di sostenere sforzi formativi anche prolungati oltre il diploma, sembra quindi condiviso dalla maggioranza, ma solo astrattamente. Nel concreto vale come argomento a favore quello dell’automatismo storico o economico: come nel Novecento si è passati dall’obbligo fino alla licenza elementare a quello fino alla licenzia media, così è normale che oggi si resti in formazione fino a 16 anni e nel futuro fino a 18, magari per forza di legge, anche se non è del tutto chiaro il motivo concreto.

In questa cornice si spiegano molti dei luoghi comuni, diffusi e contraddittori, emerse nelle discussioni senza particolari differenze in base al territorio in cui si sono svolte:

230

- da un lato i salari sono quasi uguali per qualunque titolo di studio (quindi non si giustifica un investimento in formazione), dall’altro ormai ci vuole il diploma anche per farsi assumere come operaio;

- da un lato la scuola arricchisce, dall’altro non serve per il lavoro; - da un lato a scuola occorre più meritocrazia, dall’altro i professori

dovrebbero capire di più gli studenti, aiutarli nel percorso; - da un lato ci vorrebbe un’università più qualificata, dall’altro i

laureati dovrebbero ammettere di non saper fare nulla di pratico e quindi mettersi a lavorare cominciando da zero.

Una campagna comunicativa finalizzata a elevare i livelli di istruzione dovrebbe dunque fare i conti anzitutto con questi presupposti culturali o luoghi comuni contraddittori: se si vuole raggiungere qualche risultato, occorre intervenire sulla mentalità dei giovani e delle loro famiglie, a far luce sulla complessità del fenomeno, sui pro e sui contro riscontrabili dai diversi punti di vista.

La concretezza delle osservazioni raccolte porta tuttavia a credere che difficilmente si potranno convincere le persone a cambiare atteggiamento senza un riscontro concreto che le incoraggi. Sono interessati a questo processo gli imprenditori e le varie istituzioni, in particolare quelle scolastiche.

I datori di lavoro pubblici e privati potrebbero anzitutto richiedere il titolo di studio come assolutamente preferenziale per l’assunzione, o quanto meno potrebbero differenziare maggiormente le retribuzioni, rinunciando alla facile possibilità di approfittare del lavoro di persone troppo giovani e impreparate. Altrimenti, dovrebbe essere istituito un effettivo percorso formativo in alternanza col lavoro: al minorenne va garantita una tutela lavorativa rafforzata, non indebolita.

Le istituzioni potrebbero prevedere ulteriori sostegni economici (borse di studio, borse lavoro, riconoscimento di meriti…) ma soprattutto dovrebbero assicurare servizi efficienti (si pensi ai trasporti) che agevolino l’accesso agli studi nelle aree in cui l’offerta formativa è più dislocata.

Le scuole sono sollecitate a rafforzare le partnership con gli enti pubblici e privati presenti sul territorio, aggiungendo agli stage e ai tirocini già attivi opportune forme di tutorato, con lo scopo di evitare eventuali conflittualità tra esperienza formativa e esperienza di lavoro e di incentivare la scelta di proseguire gli studi attraverso promesse realistiche (ma anche motivanti) di opportunità lavorative concrete.