3. il contenuto dello stato patrimoniale...conto economico) è rappresentato nello stato...

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3. IL CONTENUTO DELLO STATO PATRIMONIALE 3.1. CARATTERISTICHE GENERALI Questo capitolo è dedicato all’analisi del contenuto dello Stato Patrimoniale nella struttura prevista dal legislatore all’art. 2424 del codice civile. Lo Stato Patrimoniale descrive la composizione del patrimonio aziendale, fornendo molti elementi utili ai fini della valutazione dell’equilibrio patrimoniale (sostenibilità del livello di indebitamento, adeguatezza delle fonti di capitale) e di quello finanziario (capacità di far fronte alle obbligazioni passive assunte dall’impresa). Nello Stato Patrimoniale sono indicate le attività, le passività e il Patrimonio Netto dell’impresa alla data di chiusura dell’esercizio (OIC 12, par.24). L’attuale struttura del documento riflette il contenuto previsto dalla IV Direttiva CEE, recepita in Italia con il Decreto Legislativo 127 del 1991 e successivamente sostituita dalla direttiva contabile 2013/34/UE. Le direttive europee prevedono la possibilità, per gli Stati membri, di scegliere tra la forma a sezioni divise e contrapposte e la forma scalare. Il legislatore italiano ha optato per lo schema a sezioni divise e contrapposte, ritenendo che questa impostazione offrisse alcuni vantaggi informativi, tra cui quello di consentire maggiore analiticità. Le due sezioni sono dedicate rispettivamente all’ «Attivo» (sezione sinistra) e al «Passivo» (sezione destra). Il Passivo è inteso come somma di elementi diversi: Patrimonio Netto, fondi rischi e oneri, debiti, ratei e risconti passivi. STATO PATRIMONIALE A) Crediti verso soci per versamenti ancora dovuti con separata indicazione della parte già richiamata A) Patrimonio Netto B) Immobilizzazione, con separata indicazione di quelle concessi in locazione finanziaria B) Fondi per rischi e oneri C) Attivo Circolante C) Trattamento di fine rapporto D) Ratei e Risconti attivi D) Debiti, con separata indicazione, per ciascuna voce, degli importi esigibili oltre l’esercizio successivo E) Ratei e risconti passivi TOTALE ATTIVO TOTALE PASSIVO Tabella 3.1 Struttura generale dello schema di Stato Patrimoniale ex art. 2424 c.c. Le voci dello Stato Patrimoniale sono contraddistinte, in base al grado di dettaglio, da lettere maiuscole (classi), numeri romani (sottoclassi) e lettere minuscole. Le rimanenze, ad esempio, rappresentano una sottoclasse dell’attivo circolante e sono a loro volta suddivise internamente in cinque voci:

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Page 1: 3. IL CONTENUTO DELLO STATO PATRIMONIALE...Conto Economico) è rappresentato nello Stato Patrimoniale tra le poste del Patrimonio Netto, in quanto variazione dello stesso prodotta

3. IL CONTENUTO DELLO STATO PATRIMONIALE

3.1. CARATTERISTICHE GENERALI

Questo capitolo è dedicato all’analisi del contenuto dello Stato Patrimoniale nella struttura prevista dal legislatore all’art. 2424 del codice civile. Lo Stato Patrimoniale descrive la composizione del patrimonio aziendale, fornendo molti elementi utili ai fini della valutazione dell’equilibrio patrimoniale (sostenibilità del livello di indebitamento, adeguatezza delle fonti di capitale) e di quello finanziario (capacità di far fronte alle obbligazioni passive assunte dall’impresa). Nello Stato Patrimoniale sono indicate le attività, le passività e il Patrimonio Netto dell’impresa alla data di chiusura dell’esercizio (OIC 12, par.24). L’attuale struttura del documento riflette il contenuto previsto dalla IV Direttiva CEE, recepita in Italia con il Decreto Legislativo 127 del 1991 e successivamente sostituita dalla direttiva contabile 2013/34/UE. Le direttive europee prevedono la possibilità, per gli Stati membri, di scegliere tra la forma a sezioni divise e contrapposte e la forma scalare. Il legislatore italiano ha optato per lo schema a sezioni divise e contrapposte, ritenendo che questa impostazione offrisse alcuni vantaggi informativi, tra cui quello di consentire maggiore analiticità. Le due sezioni sono dedicate rispettivamente all’ «Attivo» (sezione sinistra) e al «Passivo» (sezione destra). Il Passivo è inteso come somma di elementi diversi: Patrimonio Netto, fondi rischi e oneri, debiti, ratei e risconti passivi.

STATO PATRIMONIALE A) Crediti verso soci per versamenti ancora

dovuti con separata indicazione della parte già richiamata

A) Patrimonio Netto

B) Immobilizzazione, con separata indicazione di quelle concessi in locazione finanziaria B) Fondi per rischi e oneri

C) Attivo Circolante C) Trattamento di fine rapporto

D) Ratei e Risconti attivi D) Debiti, con separata indicazione, per

ciascuna voce, degli importi esigibili oltre l’esercizio successivo

E) Ratei e risconti passivi

TOTALE ATTIVO TOTALE PASSIVO Tabella 3.1 Struttura generale dello schema di Stato Patrimoniale ex art. 2424 c.c.

Le voci dello Stato Patrimoniale sono contraddistinte, in base al grado di dettaglio, da lettere maiuscole (classi), numeri romani (sottoclassi) e lettere minuscole. Le rimanenze, ad esempio, rappresentano una sottoclasse dell’attivo circolante e sono a loro volta suddivise internamente in cinque voci:

Page 2: 3. IL CONTENUTO DELLO STATO PATRIMONIALE...Conto Economico) è rappresentato nello Stato Patrimoniale tra le poste del Patrimonio Netto, in quanto variazione dello stesso prodotta

C) ATTIVO CIRCOLANTE

I) RIMANENZE

1) Materie prime, sussidiarie e di consumo

2) Prodotti in corso di lavorazione e semilavorati

3) Lavori in corso di lavorazione

4) Prodotti finiti e merci

5) Acconti

Tabella 3.2 Classificazione delle rimanenze

Per ogni voce dello Stato Patrimoniale deve essere indicato anche l’importo relativo all’esercizio precedente: l’esposizione di dati comparati relativi a due esercizi consecutivi consente di individuare con facilità alcuni legami che sussistono con il Conto Economico, nonché di cogliere l’evoluzione dell’equilibrio finanziario e di quello patrimoniale. Ad esempio, la variazione nelle rimanenze risultante dal confronto tra i valori assunti da questa classe al termine dei due esercizi deve corrispondere alla sommatoria delle voci riferite alle variazioni delle rimanenze (righi A2 e B11) nel Conto Economico. Nell’esempio che segue, tratto dal bilancio per l’esercizio 2018 di Vinavil S.p.A., si può notare come le rimanenze di materie e, rispettivamente, di prodotti finiti e merci evidenziano nello Stato Patrimoniale a valori comparati una variazione pari alla somma dei righi A2 e B11 nel Conto Economico.

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IL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO DI AMMINISTRAZIONE(Giorgio Squinzi)

ATTIVO 31.12.2018 31.12.2017 differenza

B) ImmobilizzazioniI Immobilizzazioni immateriali

3) diritti di brevetto ind. e diritti di utilizz. opere ingegno 1.597,06 0,00 1.597,06

4) concessioni, licenze, marchi e diritti simili 223.616,00 256.736,50 (33.120,50)

225.213,06 256.736,50 (31.523,44)

II Immobilizzazioni materiali1) terreni e fabbricati 12.599.295,80 12.737.900,24 (138.604,44)2) impianti e macchinario 13.852.161,23 16.867.904,14 (3.015.742,91)3) attrezzature industriali e commerciali 105.938,31 165.635,49 (59.697,18)4) altri beni 182.237,57 180.276,67 1.960,90 5) immobilizzazioni in corso e acconti 1.862.076,01 1.201.172,56 660.903,45

28.601.708,92 31.152.889,10 (2.551.180,18)

III Immobilizzazioni finanziarie1) partecipazioni b) imprese collegate 18.050.651,96 18.050.651,96 0,00 d) altre imprese 195.994,87 195.994,87 0,00

18.246.646,83 18.246.646,83 0,00

Totale immobilizzazioni 47.073.568,81 49.656.272,43 (2.582.703,62)

C) Attivo circolanteI Rimanenze

1) materie prime, sussidiarie e di consumo 17.426.582,47 19.839.679,73 (2.413.097,26)4) prodotti finiti e merci 9.199.701,07 9.671.842,67 (472.141,60)

26.626.283,54 29.511.522,40 (2.885.238,86)

II Crediti1) verso clienti 25.621.622,84 27.912.929,09 (2.291.306,25)3) verso imprese collegate a breve 725.628,62 504.066,93 221.561,69 4) verso controllante a breve 9.590.831,59 7.159.234,28 2.431.597,31 5) verso imprese sottoposte al controllo di controllanti 11.224.929,76 10.000.773,14 1.224.156,62 5) bis crediti tributari a) esigibili entro l'esercizio successivo 1.717.934,47 1.746.180,64 (28.246,17) b) esigibili oltre l'esercizio successivo 31.633,33 21.666,67 9.966,66 5) ter imposte anticipate 332.173,00 325.535,00 6.638,00 5) quater verso altri 190.774,93 485.841,48 (295.066,55)

49.435.528,54 48.156.227,23 1.279.301,31

IV Disponibilità liquide1) depositi bancari e postali 0,00 43.707,33 (43.707,33)3) denaro e valori in cassa 9.299,46 5.932,15 3.367,31

9.299,46 49.639,48 (40.340,02)

Totale attivo circolante 76.071.111,54 77.717.389,11 (1.646.277,57)

D) Ratei e risconti 236.205,70 203.510,52 32.695,18

TOTALE ATTIVO 123.380.886,05 127.577.172,06 (4.196.286,01)

STATO PATRIMONIALE - Esercizio dal 1.1.2018 al 31.12.2018

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IL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO DI AMMINISTRAZIONE(Giorgio Squinzi)

ATTIVO 31.12.2018 31.12.2017 differenza

B) ImmobilizzazioniI Immobilizzazioni immateriali

3) diritti di brevetto ind. e diritti di utilizz. opere ingegno 1.597,06 0,00 1.597,06

4) concessioni, licenze, marchi e diritti simili 223.616,00 256.736,50 (33.120,50)

225.213,06 256.736,50 (31.523,44)

II Immobilizzazioni materiali1) terreni e fabbricati 12.599.295,80 12.737.900,24 (138.604,44)2) impianti e macchinario 13.852.161,23 16.867.904,14 (3.015.742,91)3) attrezzature industriali e commerciali 105.938,31 165.635,49 (59.697,18)4) altri beni 182.237,57 180.276,67 1.960,90 5) immobilizzazioni in corso e acconti 1.862.076,01 1.201.172,56 660.903,45

28.601.708,92 31.152.889,10 (2.551.180,18)

III Immobilizzazioni finanziarie1) partecipazioni b) imprese collegate 18.050.651,96 18.050.651,96 0,00 d) altre imprese 195.994,87 195.994,87 0,00

18.246.646,83 18.246.646,83 0,00

Totale immobilizzazioni 47.073.568,81 49.656.272,43 (2.582.703,62)

C) Attivo circolanteI Rimanenze

1) materie prime, sussidiarie e di consumo 17.426.582,47 19.839.679,73 (2.413.097,26)4) prodotti finiti e merci 9.199.701,07 9.671.842,67 (472.141,60)

26.626.283,54 29.511.522,40 (2.885.238,86)

II Crediti1) verso clienti 25.621.622,84 27.912.929,09 (2.291.306,25)3) verso imprese collegate a breve 725.628,62 504.066,93 221.561,69 4) verso controllante a breve 9.590.831,59 7.159.234,28 2.431.597,31 5) verso imprese sottoposte al controllo di controllanti 11.224.929,76 10.000.773,14 1.224.156,62 5) bis crediti tributari a) esigibili entro l'esercizio successivo 1.717.934,47 1.746.180,64 (28.246,17) b) esigibili oltre l'esercizio successivo 31.633,33 21.666,67 9.966,66 5) ter imposte anticipate 332.173,00 325.535,00 6.638,00 5) quater verso altri 190.774,93 485.841,48 (295.066,55)

49.435.528,54 48.156.227,23 1.279.301,31

IV Disponibilità liquide1) depositi bancari e postali 0,00 43.707,33 (43.707,33)3) denaro e valori in cassa 9.299,46 5.932,15 3.367,31

9.299,46 49.639,48 (40.340,02)

Totale attivo circolante 76.071.111,54 77.717.389,11 (1.646.277,57)

D) Ratei e risconti 236.205,70 203.510,52 32.695,18

TOTALE ATTIVO 123.380.886,05 127.577.172,06 (4.196.286,01)

STATO PATRIMONIALE - Esercizio dal 1.1.2018 al 31.12.2018

Page 3: 3. IL CONTENUTO DELLO STATO PATRIMONIALE...Conto Economico) è rappresentato nello Stato Patrimoniale tra le poste del Patrimonio Netto, in quanto variazione dello stesso prodotta

Figura 1 L’analisi delle variazioni nelle rimanenze: estratto dal bilancio di Vinavil SpA

Riconoscere i punti di raccordo che, per l’adozione della partita doppia, sussistono tra Stato Patrimoniale e Conto Economico è molto utile per giungere ad una lettura congiunta dei due prospetti, che sono distinti ma non separati e forniscono informazioni su aspetti della gestione complementari ma al tempo stesso fra loro collegati. In questo capitolo vengono illustrate le singole voci dello Stato Patrimoniale, ma sarebbe limitativo leggerne il significato prescindendo completamente dalla rappresentazione complessiva che il bilancio deve fornire della situazione aziendale. Le interconnessioni tra i due prospetti sono molteplici: il risultato dell’esercizio (indicato a saldo del Conto Economico) è rappresentato nello Stato Patrimoniale tra le poste del Patrimonio Netto, in quanto variazione dello stesso prodotta dalla gestione; anche l’accantonamento a fondi rischi e oneri, iscritto nel Conto Economico, al netto di eventuali utilizzi intervenuti nel corso dell’esercizio, corrisponde alla variazione dei fondi nel Passivo dello Stato Patrimoniale. Al di là delle corrispondenze che si possono individuare nei valori presentati nei due prospetti, risulta comunque fondamentale riconoscere i nessi esistenti tra le poste: si pensi, ad esempio, ai crediti verso clienti (nell’Attivo) che sono da collegare ai ricavi di vendita, oppure agli interessi passivi che possono essere utilmente analizzati alla luce del valore dei debiti di finanziamento. Questo consentirà, come si vedrà nel capitolo sull’analisi delle performance aziendali attraverso il bilancio, di costruire opportuni indici. I prospetti del bilancio vengono presentati, dunque, a dati comparati con riferimento agli ultimi due esercizi: qualora i valori dei due anni presi in considerazione non risultassero tra loro comparabili (ad esempio perché sono state adottati criteri di stima differenti), sarebbe necessario adattare i valori dell’esercizio precedente in modo tale da rendere possibile il confronto con quelli dell’anno cui il bilancio è riferito (art.2423-ter quinto comma c.c.). La non comparabilità e l’adattamento, o l’impossibilità dello stesso, devono essere segnalati e commentati nella Nota Integrativa.

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IL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO DI AMMINISTRAZIONE(Giorgio Squinzi)

31.12.2018 31.12.2017 differenza

A) Valore della produzione1) ricavi delle vendite e delle prestazioni 181.192.967,42 171.062.131,49 10.130.835,93 2) variazioni delle rimanenze di prodotti finiti (472.141,60) 2.202.164,62 (2.674.306,22)5) altri ricavi e proventi 996.334,68 752.130,67 244.204,01

181.717.160,50 174.016.426,78 7.700.733,72 B) Costi della produzione

6) per materie prime, sussidiarie, di consumo e di merci (122.385.064,42) (114.348.740,26) (8.036.324,16)

7) per servizi (27.876.153,72) (26.388.262,83) (1.487.890,89)8) per godimento di beni di terzi (917.218,57) (856.135,99) (61.082,58)9) per il personale

a) salari e stipendi (17.581.871,73) (16.939.732,04) (642.139,69)b) oneri sociali (6.216.058,50) (5.985.440,13) (230.618,37)c) trattamento di fine rapporto (1.135.635,17) (1.088.399,26) (47.235,91)d) trattamento di quiescenza e simili (205.343,35) (179.920,72) (25.422,63)e) altri costi (80.230,24) (83.237,91) 3.007,67

(25.219.138,99) (24.276.730,06) (942.408,93)10) ammortamenti e svalutazioni

a) amm.to immobilizzazioni immateriali (34.718,44) (21.744,68) (12.973,76)b) amm.to immobilizzazioni materiali (4.928.059,13) (5.583.849,55) 655.790,42

(4.962.777,57) (5.605.594,23) 642.816,66

11) variazioni delle rimanenze di materiali (2.413.097,26) 7.185.095,06 (9.598.192,32)14) oneri diversi di gestione (862.445,77) (806.238,65) (56.207,12)

(184.635.896,30) (165.096.606,96) (19.539.289,34)

Differenza tra valore e costi della produzione (2.918.735,80) 8.919.819,82 (11.838.555,62)

C) Proventi e oneri finanziari15) d) proventi da partecipazioni in imprese collegate 212.202,03 440.541,16 (228.339,13)

16) altri proventi finanziarid) proventi finanziari da società controllante 33.547,69 0,00 0,00 diversi 0,00 7.628,48 (7.628,48)

33.547,69 7.628,48 25.919,21

17) interessi e altri oneri finanziaria) interessi passivi a società controllante (22.679,17) (2.808,52) (19.870,65)d) altri oneri finanziari (44.594,60) (50.252,74) 5.658,14

(67.273,77) (53.061,26) (14.212,51)

17) bis utili e perdite su cambi (506.261,84) 481.504,40 (987.766,24)

Totale (15 + 16 - 17) (327.785,89) 876.612,78 (1.204.398,67)

D) Rettifiche di valore di attività finanziarie 0,00 0,00 0,00

RISULTATO PRIMA DELLE IMPOSTE (3.246.521,69) 9.796.432,60 (13.042.954,29)

20) a) imposte correnti sul reddito dell’esercizio 0,00 (2.452.269,00) 2.452.269,00 20) b) imposte relative a esercizi precedenti 8.667,00 (53.570,10) 62.237,10 20) c) imposte differite e anticipate 3.704,00 (259.451,00) 263.155,00 20) d) proventi da adesione al regime di consolidato

fiscale 792.390,00 0,00 792.390,00 804.761,00 (2.765.290,10) 3.570.051,10

UTILE (PERDITA) DELL’ESERCIZIO (2.441.760,69) 7.031.142,50 (9.472.903,19)

CONTO ECONOMICO - Esercizio dal 1.1.2018 al 31.12.2018

Page 4: 3. IL CONTENUTO DELLO STATO PATRIMONIALE...Conto Economico) è rappresentato nello Stato Patrimoniale tra le poste del Patrimonio Netto, in quanto variazione dello stesso prodotta

Nel seguito ci si concentrerà sullo Stato Patrimoniale redatto in forma ordinaria; con il decreto legislativo 139/20151 sono state introdotte strutture di bilancio diversificate in base alla dimensione delle società, misurata con riferimento al totale attivo, ai ricavi di vendita e al numero medio di dipendenti occupati nell’esercizio. Le piccole imprese possono redigere il bilancio in forma abbreviata; si tratta, in particolare, delle imprese che per due esercizi consecutivi (o nel primo esercizio) non superano due dei limiti indicati nell’art. 2435-bis c.c.: € 4,4 milioni di totale attivo, € 8,8 milioni di ricavi di vendita, 50 unità di dipendenti occupati in media nell’esercizio. Nel bilancio in forma abbreviata lo stato patrimoniale comprende solo le voci contrassegnate nell'articolo 2424 con lettere maiuscole e con numeri romani; i crediti verso soci e i ratei e risconti attivi possono essere compresi nella classe dei crediti dell’attivo circolante; i ratei e risconti passivi, analogamente, possono essere inseriti tra i debiti. Le c.d. microimprese2 possono redigere il bilancio in forma “super-semplificata”, redatto secondo lo schema dell’art. 2435-bis del c.c., ma senza il rendiconto finanziario, la nota integrativa e la relazione sulla gestione. Nello Stato Patrimoniale in forma ordinaria (ex art. 2424 c.c.) i valori degli elementi dell’attivo vengono esposti già al netto delle poste rettificative ad essi riferite. Il valore delle immobilizzazioni viene esposto, dunque, al netto dei fondi ammortamento e svalutazione, che rappresentano rispettivamente la rettifica di valore complessivamente registrata nel corso della vita dei beni a causa del loro utilizzo e la rettifica di valore per cause di altro tipo quale, ad esempio, l’obsolescenza tecnica3. Analogamente, gli elementi dell’attivo circolante (rimanenze, crediti...) sono rappresentati al netto dei rispettivi fondi svalutazione che, in ottemperanza al postulato della prudenza, vengono utilizzati per rilevare eventuali minusvalenze: quando il presunto valore di realizzo del credito - o della rimanenza - scende al di sotto del valore nominale (per il credito) o del costo (per la rimanenza), è infatti necessario procedere alla svalutazione dell’elemento patrimoniale. Di queste poste rettificative, in ogni caso, viene data evidenza nella Nota Integrativa. Di seguito si riporta un estratto dalla Nota Integrativa di Vinavil S.p.A. (esercizio 2018), riferito al valore dei crediti e del relativo fondo svalutazione:

1 Il decreto in oggetto ha recepito la direttiva 2013/34/UE che ha sostituito le direttive 78/660/CEE e 83/349/CEE.

2 Sono definite microimprese, ai fini della redazione del bilancio in questa forma, quelle imprese che, per due esercizi consecutivi, non superano almeno due dei seguenti limiti: totale attivo 175.000 €, ricavi netti 350.000 €, numero medio di dipendenti nell’esercizio 5. In assenza della nota integrativa e della relazione sulla gestione, per rendere comunque trasparente il bilancio, alle microimprese è richiesto di corredare lo Stato Patrimoniale con alcune informazioni originariamente previste in nota integrativa: l’importo complessivo e la natura degli impegni, delle garanzie e delle potenziali passività, nonché quello degli impegni verso società controllate, collegate e controllanti; l’ammontare dei compensi e delle anticipazioni corrisposte ad amministratori e sindaci. Dalla relazione sulla gestione invece è necessario integrare in calce allo stato patrimoniale il numero e il valore nominale delle azioni proprie e delle azioni possedute in società controllanti sia direttamente che tramite società fiduciaria o interposta persona, indicando la parte di capitale corrispondente e le movimentazioni in acquisto e vendita delle stesse.

3 Le piccole-medie imprese, se redigono il bilancio in forma abbreviata, devono esporre il valore dei fondi ammortamento nell’attivo dello stato patrimoniale, in detrazione al valore lordo delle attività cui sono riferiti. Ciò, in ragione del fatto che non è richiesta, nella nota integrativa, la tabella esplicativa dell’evoluzione dei valori delle immobilizzazioni e dei rispettivi fondi ammortamento, come avviene invece nel bilancio redatto in forma ordinaria.

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Il valore dei crediti è opportunamente rettificato attraverso l’appostazione di un fondo svalutazione per tenere conto del loro presumibile valore di realizzo.

Figura 2 Estratto dal bilancio di Vinavil SpA: il dettaglio sulla valutazione dei crediti nella Nota Integrativa

Dalle informazioni riportate nella Nota Integrativa emerge che il valore dei crediti verso clienti scaturisce da un processo di stima, per tener conto del rischio connesso all’insolvenza dei debitori. Il fondo svalutazione – che assume valore negativo, essendo una posta rettificativa dei crediti – non è stato adeguato rispetto al 2017: ciò significa che, nel corso del 2018, non si sono verificate situazioni tali da richiedere un’ulteriore rettifica del valore dei crediti. Peraltro, il valore nominale di questi ultimi è minore al termine del 2018, dunque la rettifica di valore applicata a tale data è proporzionalmente maggiore rispetto a quella del 2017.

3.2. L’ATTIVO L’attivo (art. 2424 c.c.) è suddiviso in 4 classi:

A. CREDITI VERSO SOCI PER VERSAMENTI ANCORA DOVUTI, CON SEPARATA

INDICAZIONE DELLA PARTE GIÀ RICHIAMATA B. IMMOBILIZZAZIONI C. ATTIVO CIRCOLANTE D. RATEI E RISCONTI ATTIVI

Per indicare le classi B) e C) il legislatore usa i termini Immobilizzazioni e Attivo circolante. Ciò potrebbe far supporre che l’attivo sia classificato richiamando il criterio finanziario, secondo il quale le attività sono classificate in base al periodo di tempo necessario per trasformarne il valore in liquidità: le immobilizzazioni sono, infatti, i beni destinati a trasformarsi in moneta in un periodo più esteso di 12 mesi o, comunque, in un arco temporale che si estende oltre il normale ciclo di acquisto/produzione/vendita dell’impresa. In realtà, il criterio di classificazione delle poste non è ben definito: la classificazione degli elementi dell’attivo è effettuata principalmente sulla base del criterio della destinazione secondo il quale, ai sensi di quanto disposto dall’articolo 2424-bis c.1 c.c. «gli elementi patrimoniali destinati ad essere utilizzati durevolmente devono essere iscritti tra le immobilizzazioni». Le immobilizzazioni comprendono perciò tutti gli elementi patrimoniali destinati (dagli amministratori) ad essere utilizzati durevolmente: anche quelli il cui ciclo finanziario si sta per chiudere e che torneranno in forma liquida entro l’anno. Ciò spiega ad esempio la presenza, tra le immobilizzazioni, di crediti esigibili entro l’esercizio successivo. Per quanto riguarda i crediti, lo schema chiede che vengano fornite indicazioni sulla durata degli stessi, ovvero il tempo presumibilmente necessario per poterli trasformare in liquidità. Nello schema, infatti, viene richiesto di indicare separatamente, nell’ambito delle rispettive voci: i) i crediti iscritti tra le

54

I crediti verso clienti, esigibili entro l’esercizio successivo, si riferiscono essenzialmente a normali operazioni di vendita e risultano così composti:

31.12.2018 31.12.2017 differenza

Crediti v/clienti 26.905 29.197 (2.292)

Fondo svalutazione crediti (1.284) (1.284) 0

Totale 25.621 27.913 (2.292)

Nel bilancio esistono crediti verso clienti in valuta estera per un valore pari a C 1.840 migliaia; le principali valute sono rappresentate da USD e GBP.

Le informazioni richieste, ai sensi dell’ex art. 2427 punto 6 del Codice Civile, sono riportate nell’allegato 6 che costituisce parte integrante della presente Nota Integrativa. Si precisa che non esistono crediti di durata residua superiore all’anno e che i dati, nell’allegato, sono esposti al lordo del relativo fondo di svalutazione.

Il fondo rischi su crediti risulta adeguato sulla base di un criterio di valutazione prudenziale derivante da rischi di dubbio realizzo dei crediti commerciali; il fondo non ha avuto nessuna variazione rispetto all’esercizio precedente.

Crediti verso imprese collegateAmmontano a C 726 migliaia (C 504 migliaia al 31 dicembre 2017) e si riferiscono prevalentemente ai dividendi deliberati dalla Vinavil Egypt for Chemicals, che non risultano ancora incassati al 31 dicembre, di cui:

• C 441 migliaia riguardano i dividendi deliberati nel 2017;

• C 212 migliaia riguardano i dividendi deliberati nel 2018.

Crediti verso controllanteI crediti verso la controllante Mapei S.p.A., tutti esigibili entro l’esercizio successivo, ammontano a C 9.591 migliaia (C 7.159 migliaia al 31 dicembre 2017), di cui:

• C 6.866 migliaia si riferiscono alle transazioni di natura commerciale concluse con la controllante, che sono regolate a normali condizioni di mercato;

• C 1.074 migliaia relativi al saldo positivo del conto corrente di corrispondenza utilizzato per le transazioni in valuta estera-USD (“cash-pooling”);

• C 1.167 migliaia di natura fiscale; di cui: a) C 792 migliaia si riferiscono all’ammontare del credito relativo alla perdita

fiscale dell’esercizio trasferita alla società Controllante per effetto dell’adesione al consolidato fiscale (la contropartita economica è registrata nella voce “Proventi da adesione al regime di consolidato fiscale”).

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immobilizzazioni finanziarie, i cui importi sono esigibili entro l’esercizio successivo e ii) i crediti iscritti nell’attivo circolante, i cui importi sono esigibili oltre l’esercizio successivo. Per quanto concerne i primi, si tratta di crediti di finanziamento (prestiti attivi) che sono destinati a trasformarsi in liquidità nel lungo termine: in caso contrario, vanno indicati separatamente. Viceversa, i crediti esposti nell’attivo circolante sono crediti di funzionamento, dunque tendenzialmente di breve periodo: solo gli importi eventualmente esigibili nel lungo periodo vanno segnalati come tali separatamente. L’applicazione del criterio generale della destinazione assegnata al bene è particolarmente evidente nel caso delle attività finanziarie: partecipazioni e titoli. Queste voci appaiono sia tra le immobilizzazioni che nell’attivo circolante. La posizione di ciascun titolo o partecipazione dipende dalla scelta operata dagli amministratori in merito alla destinazione dello stesso: le partecipazioni e i titoli destinati ad essere ceduti nell’esercizio successivo vengono iscritti nell’attivo circolante, mentre quelli destinati a permanere nel patrimonio aziendale per un periodo più lungo vengono classificati tra le immobilizzazioni. Laddove la distinzione tra valori di lungo e valori di breve termine assume valenza informativa, il legislatore impone comunque di fornire il dettaglio: ciò avviene, ad esempio, per tutte le categorie di debiti. La stessa logica viene seguita per i crediti verso i soci e i ratei e risconti. Viene infatti richiesta la separata indicazione della parte di crediti verso i soci già richiamata, essendo relativa ad una prospettiva di breve periodo e la separata indicazione del disaggio su prestiti (risconto attivo) relativo all’intera durata del prestito, solitamente pluriennale.

3.2.1. CREDITI VERSO SOCI PER VERSAMENTI ANCORA DOVUTI Si tratta di crediti che sorgono in occasione degli aumenti di capitale a pagamento, o all’atto della costituzione della società. Gli aumenti di capitale hanno la funzione di rafforzare l’impresa sotto il profilo patrimoniale e possono essere di due tipi:

gratuiti: in tal caso il capitale sociale (che rappresenta il valore nominale complessivo delle azioni emesse o delle quote sottoscritte dai soci) viene aumentato incorporandovi una o più riserve disponibili del Patrimonio Netto. Il valore totale del Netto non cambia: avviene solo una riclassificazione di poste al suo interno, con il passaggio appunto da riserva a capitale sociale;

a pagamento: in tal caso, i soci sottoscrivono nuove quote di capitale, obbligandosi così a versare il valore pattuito nell’atto di aumento. Se alla sottoscrizione non segue l’immediato versamento dell’intero valore, sorge per l’azienda il credito verso i soci indicato nell’attivo dello Stato Patrimoniale alla lettera A.

In base all’art. 2342 c.c., all’atto della sottoscrizione i soci devono provvedere al versamento del 25% del capitale sottoscritto4; la parte rimanente può essere richiamata dalla società in qualsiasi momento, per cui viene considerata generalmente esigibile nel breve termine. La classe “Crediti verso soci per versamenti ancora dovuti” accoglie, perciò, il credito che l’azienda vanta nei confronti dei soci per la parte di capitale sottoscritto e non ancora versato, anche se già richiamato dagli amministratori.

4 Nel caso di società unipersonali vige l’obbligo del versamento del 100% del capitale. Per le S.p.A., l’art.2481-bis c.c. prevede il versamento del 25% del valore nominale delle azioni sottoscritte più l’intero sovraprezzo, se previsto.

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Il legislatore colloca questo credito come prima voce nell’attivo per contrapporla idealmente al capitale sociale, che rappresenta la prima posta del passivo: sottraendo i crediti verso soci al capitale sociale si ottiene l’ammontare di capitale effettivamente versato alla data del bilancio. L’art. 2250 c.c. prevede che negli atti e nella corrispondenza relativa alle società per azioni, in accomandita per azioni e a responsabilità limitata il capitale sia indicato secondo la somma effettivamente versata.

3.2.2. LE IMMOBILIZZAZIONI La classe B dell’attivo è dedicata alle Immobilizzazioni, che vengono suddivise in tre sottoclassi:

I – IMMOBILIZZAZIONI IMMATERIALI II – IMMOBILIZZAZIONI MATERIALI III – IMMOBILIZZAZIONI FINANZIARIE

3.2.2.1. IMMOBILIZZAZIONI IMMATERIALI Le immobilizzazioni immateriali sono caratterizzate dall’intangibilità. La possibilità di iscriverne il valore a bilancio dipende da alcune circostanze che richiedono comunque un giudizio da parte degli amministratori:

§ l’impresa deve aver sostenuto dei costi allo scopo specifico di poter disporre di questi beni; § è possibile ritenere, ragionevolmente, che i costi sostenuti consentiranno di produrre benefici

economici futuri differiti nel tempo.

In effetti, nei principî contabili italiani le immobilizzazioni immateriali vengono definite come “costi che non esauriscono la loro utilità in un solo periodo ma manifestano i benefici economici lungo un arco temporale di più esercizi” (OIC 24). La soggettività del giudizio sull’utilità futura e l’aleatorietà del valore attribuibile a queste poste suggeriscono, comunque, di adottare particolare prudenza: occorre evitare che la capitalizzazione (cioè la decisione di non imputare all’esercizio un costo, attribuendo ad esso natura di investimento e conseguentemente iscriverlo nell’Attivo dello Stato Patrimoniale) rappresenti solo la suddivisione, in più esercizi, di costi che si sarebbero invece dovuti imputare interamente all’esercizio sin dal loro sostenimento. La capitalizzazione di costi potrebbe essere utilizzata per occultare perdite o, comunque, per dimostrare una redditività maggiore di quella reale; l’esempio che segue intende rappresentare questa situazione.

Un’impresa ha sostenuto costi pari a 200 per lo sviluppo di un prototipo. I costi di sviluppo si riferiscono alle risorse consumate nello svolgimento di questa attività: costi del personale, costi per materiali e servizi, ammortamenti… Occorre definire se i costi sostenuti siano da imputare all’esercizio, ovvero se siano da trattare come investimenti. Il trattamento contabile cambia, in base all’alternativa adottata: se si ha ragione di ritenere che le attività di sviluppo poste in essere nell’esercizio consentiranno all’impresa di realizzare benefici economici futuri che, al netto dei costi di produzione e distribuzione dei beni frutto dell’attività di sviluppo, consentiranno di recuperare l’importo dei costi sostenuti, questi andranno capitalizzati (considerati come investimento). In caso contrario, andranno iscritti tra i costi dell’esercizio.

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a) I costi di sviluppo vengono imputati interamente all’esercizio: il reddito del primo esercizio viene quindi calcolato con maggiore prudenza, a beneficio dei redditi degli esercizi futuri.

b) Il costo viene «capitalizzato», cioè considerato alla stregua di un’attività da ammortizzare in 5 esercizi successivi

Si noti che il reddito complessivamente conseguito nel quinquennio non cambia (1.300). Il secondo metodo di rilevazione, però, porta a rappresentare nel bilancio un maggior reddito nel primo esercizio e, perciò, un Patrimonio Netto più elevato: in questo senso, è meno prudenziale. La scelta tra le due alternative dipende, dunque, dalle aspettative degli amministratori sulla capacità dell’attività di sviluppo di produrre benefici economici futuri: questa decisione dipende dalle previsioni sulla possibilità di ottenere, tramite l’attività di sviluppo, un prodotto che abbia un mercato e che possa essere venduto a prezzi remunerativi per l’azienda.

Le immobilizzazioni immateriali previste nel bilancio d’esercizio sono:

1) costi di impianto e di ampliamento: tale posta accoglie gli oneri sostenuti in fase di costituzione della società (esempio: le spese notarili o l’imposta di registro) o di potenziamento della sua capacità operativa (ad es.: oneri relativi all’aumento di capitale sociale o ad operazioni di fusione), nonché oneri sostenuti per lo sviluppo dell’attività aziendale (ad es.: ricerche di mercato). Si tratta di oneri ad utilità futura, in quanto consentono lo svolgimento dell’attività negli anni successivi. In questa classe è prevista anche la possibilità di iscrivere i costi di formazione del personale. La regola generale vuole che questi siano costi di periodo; tuttavia, essi possono essere capitalizzati quando risultano assimilabili ai costi di start-up e siano sostenuti in relazione ad un’attività di avviamento di una nuova società o di una nuova attività, o in relazione ad un processo di riconversione o ristrutturazione industriale o commerciale.

2) costi di sviluppo: anche l’iscrizione di valori in questa voce richiede una speciale prudenza, che si concretizza nella necessità di accertare l’attitudine di tali costi a produrre un’utilità futura concreta e misurabile. I costi di ricerca, relativi alle fasi precedenti allo sviluppo del prodotto, fino a qualche anno fa suscettibili di capitalizzazione, vengono ormai imputati all’esercizio. La capitalizzazione viene fatta solo laddove siano soddisfatte numerose condizioni previste dal

anno 1 2 3 4 5

RICAVI 1.000 1.000 1.000 1.000 1.000

R&D (RICERCA SVIL.) (200) 0 0 0 0

ALTRI COSTI (700) (700) (700) (700) (700)

UTILE 100 300 300 300 300

anno 1 2 3 4 5

RICAVI 1.000 1.000 1.000 1.000 1.000

AMMORT. COSTI DI RIC.SVIL. (40) (40) (40) (40) (40)

ALTRI COSTI (700) (700) (700) (700) (700)

UTILE 260 260 260 260 260

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codice civile e dai principi contabili7. Come si è già avuto modo di specificare nell’esempio, i costi di sviluppo capitalizzabili sono riferiti alle risorse consumate nello svolgimento di tale attività: si tratta dei costi direttamente imputabili al processo di sviluppo (cioè sostenuti esclusivamente in ragione dello stesso), nonché di quelli indiretti che possano esservi allocati con sufficiente certezza. Sono esclusi, in ogni caso, i costi generali e amministrativi.

3) diritti di brevetto industriale e diritti di utilizzazione delle opere dell’ingegno: la voce accoglie i costi (capitalizzati) sostenuti per l’acquisizione o la produzione di brevetti e quelli per i diritti in licenza d’uso di brevetti. Vengono inoltre iscritti in questa voce i costi relativi all’acquisto a titolo di proprietà o di licenza d'uso del software applicativo e quelli sostenuti per la produzione ad uso interno di software applicativo.

4) concessioni, licenze, marchi e diritti simili: questi elementi patrimoniali appaiono all’attivo se acquistati da terzi. Sono dunque esposti in questa voce: a) i canoni riferiti alle concessioni di beni o servizi ottenute dalla Pubblica Amministrazione, b) i compensi pagati per ottenere licenze di sfruttamento di diritti altrui; c) i compensi pagati per l’utilizzo degli altrui segni distintivi; d) i costi sostenuti per le licenze d’uso del software protetto altrui. I marchi prodotti internamente, per il principio di prudenza, non vengono iscritti tra le attività: il marchio Armani, ad esempio, pur avendo certamente un valore rilevante, non appare nel patrimonio della società. Questo può sembrare un limite del modello contabile, in quanto una parte consistente del patrimonio aziendale non viene rappresentata: al tempo stesso, però, questo modo di procedere consente di evitare sovrastime del capitale - legate a valutazioni arbitrariamente elevate dei marchi autoprodotti - che finirebbero col danneggiare l’impresa stessa. Il principio contabile OIC 24 afferma che “è capitalizzabile tra le immobilizzazioni immateriali sia il marchio prodotto internamente sia il marchio acquistato a titolo oneroso da terzi. I costi relativi al marchio prodotto internamente possono ricondursi essenzialmente ai costi diretti interni ed esterni, sostenuti per la produzione del segno distintivo secondo i criteri illustrati relativamente ai costi di sviluppo.” È evidente che i costi per la produzione del segno distintivo non rappresentano il valore del marchio, se non in minima parte. Le licenze e le concessioni sono quelle ottenute da terzi: quelle concesse a terzi non appaiono nel patrimonio, ma danno semplicemente origine alle royalties iscritte tra i ricavi (voce A5 del Conto economico) quali componenti positive correlate al diritto d’uso concesso a terzi soggetti. Gli stessi marchi e brevetti di proprietà della società possono dare origine a questi proventi.

7 L’attività di ricerca e sviluppo viene convenzionalmente suddivisa in:

- Ricerca di base: si riferisce allo sviluppo di nuove teorie e alla loro verifica empirica, senza particolare attenzione verso applicazioni di carattere produttivo;

- Ricerca applicata: in questa fase i risultati della ricerca di base trovano applicazione in particolari settori produttivi. Ad esempio, la luce di sincrotrone ha trovato applicazioni sullo studio dei materiali, o per le nanotecnologie.

- Sviluppo: si tratta della fase relativa allo sviluppo vero e proprio del prodotto.

La capacità di ottenere benefici economici futuri dipende dalla possibilità di giungere ad un prodotto, che abbia un mercato e che possa essere venduto a prezzi remunerativi. Bastino queste brevi considerazioni per comprendere la particolare prudenza richiesta dai principi contabili nazionali e internazionali al fine di considerare i costi in oggetto alla stregua di investimenti.

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5) avviamento: il termine corrisponde a quella qualità aziendale che consente all’impresa di godere di un vantaggio, che si traduce in un’aspettativa di sovra-redditi futuri. Il valore economico di un’impresa (cioè il valore attribuibile in un’operazione di cessione, o fusione…) dipende anzitutto dalla sua capacità di generare valore, nel tempo, attraverso i redditi prodotti: quanto più elevata è la capacità di generare redditi, tanto maggiore risulta essere il valore economico dell’impresa. Quest’ultimo può risultare superiore, anche per importi molto significativi, rispetto a quello attribuibile al Patrimonio Netto dell’azienda sulla base dei valori correnti delle sue attività e passività: questo plusvalore rappresenta l’avviamento. Esso può dipendere da molteplici condizioni (si pensi alla posizione di un hotel, o alla reputazione di un’azienda sul mercato, o al know how sviluppato). L’avviamento è, quindi, un plusvalore legato alle caratteristiche qualitative interne: esso può essere iscritto solo se acquistato da terzi a titolo oneroso, mentre quello prodotto internamente non trova tuttavia collocazione nel bilancio.

6) Immobilizzazioni in corso e acconti: accoglie il valore delle immobilizzazioni immateriali frutto di lavorazioni interne ma non ancora completate, ovvero quelle per cui sono stati versati acconti. È il caso, ad esempio, di un’azienda che sta producendo un software per uso interno, ma questo non è ancora completato a fine esercizio. Analogamente, se il software viene prodotto da terzi e sono stati pagati degli acconti per il suo sviluppo, il relativo importo verrà indicato in questa voce del bilancio;

7) Altre: è una voce residuale che accoglie immobilizzazioni immateriali non comprese nelle precedenti. Trovano qui collocazione, ad esempio, le manutenzioni straordinarie su beni di terzi, i costi per lo sviluppo interno di software non tutelato, costi per il riposizionamento di linee di produzione...

Il costo delle immobilizzazioni immateriali con vita utile limitata nel tempo deve essere sistematicamente ammortizzato, in relazione con la loro residua possibilità di utilizzazione; fanno eccezione a questa regola i costi di impianto e di ampliamento, che in Italia devono essere ammortizzati entro un periodo non superiore a cinque anni. Le immobilizzazioni in corso, non essendo ancora completate, non sono soggette al processo di ammortamento. La quota di ammortamento imputata a ciascun esercizio si riferisce alla ripartizione del costo sostenuto sull’intera durata di utilizzazione: oltre all’utilizzo di piani di ammortamento a quote costanti (il metodo più diffuso), è ammesso anche l'utilizzo di piani a quote decrescenti, oppure parametrati ad altre variabili quantitative5. L'ammortamento decorre dal momento in cui l'immobilizzazione è disponibile e pronta per l'uso. Il valore residuo dei beni immateriali, cioè il valore ipoteticamente ottenibile dalla cessione degli stessi al termine della vita utile, si presume pari a zero a meno che non vi sia un impegno da parte di terzi ad acquistare il bene immateriale alla fine della sua vita utile o sia dimostrabile l’esistenza di un mercato del bene dal quale trarre un valore oggettivo.

3.2.2.2. IMMOBILIZZAZIONI MATERIALI

Le immobilizzazioni materiali sono beni tangibili di uso durevole costituenti parte dell’organizzazione permanente delle società, la cui utilità economica si estende oltre i limiti di un esercizio. Il riferirsi a fattori e condizioni durature non è una caratteristica intrinseca ai beni come tali, bensì alla loro

5 Non è invece ammesso l’utilizzo di metodi di ammortamento a quote crescenti, in quanto tale metodo tende a porsi in contrasto con il principio della prudenza. Non è altresì ammesso l’utilizzo di metodi dove le quote di ammortamento sono commisurate ai ricavi o ai risultati d'esercizio della società o di un suo ramo o divisione. (OIC 24)

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destinazione. Esse sono normalmente impiegate come strumenti di produzione del reddito della gestione caratteristica e non sono, quindi, destinate alla vendita, né alla trasformazione per l’ottenimento dei prodotti della società. (OIC 24)

Questa classe non comporta difficoltà interpretative circa i beni da iscrivere. In essa trovano collocazione: 1) Terreni e fabbricati; 2) Impianti e macchinari; 3) Attrezzature industriali e commerciali; 4) Altri beni6; 5) Immobilizzazioni in corso e acconti: devono essere qui iscritte le immobilizzazioni realizzate in proprio (finché non sono terminate) e gli acconti versati ai fornitori di tali beni (finché gli stessi non siano definitivamente acquisiti). Il valore di questi beni viene esposto al netto dei relativi «fondi ammortamento» e di eventuali «fondi svalutazione». Il fondo ammortamento esprime la riduzione di valore complessivamente subita dai beni a causa dell’utilizzo degli stessi fino alla data di bilancio: la contropartita contabile del fondo è rappresentata dalla quota di ammortamento dell’esercizio, ovvero il costo che riflette la riduzione di valore del bene stimata nell’anno per l’utilizzo dello stesso. La stima dell’ammortamento richiede anzitutto una stima della vita utile del bene, cioè l’arco temporale lungo il quale è ragionevole ritenere che il bene produrrà utilità per l’azienda: il costo di acquisto (o quello di produzione) del bene, al netto dell’eventuale valore residuo stimato al termine della sua vita utile, viene dunque diviso per il numero di anni previsti di vita utile, al fine di ottenere la quota di ammortamento dell’anno. I «fondi ammortamento» rappresentano dunque poste rettificative del valore originario delle attività qui considerate, il cui valore deriva dalle quote annuali di ammortamento, cumulate negli anni. L’incidenza del fondo sul valore originario del bene rappresenta pertanto il “grado di utilizzo” di quest’ultimo. Un bene all’inizio della propria vita utile sarà caratterizzato da un fondo ammortamento piuttosto basso, al contrario di un bene ormai prossimo al termine della vita utile. Contrariamente alle altre immobilizzazioni materiali, i terreni non subiscono il processo di ammortamento, in quanto la loro vita utile non è limitata nel tempo. Neppure le immobilizzazioni in corso vengono ammortizzate, non essendo ancora pronte ad essere impiegate nel processo produttivo.

Quando l’immobilizzazione materiale è una unità economico-tecnica, cioè un insieme di beni tra loro coordinati in una logica tecnico-produttiva (ad esempio, una linea di produzione o uno stabilimento), il suo costo di acquisto o di produzione si riferisce all’intera unità nel suo complesso; in tali casi occorre determinare i valori dei singoli cespiti che la compongono per: (a) distinguere i cespiti soggetti ad ammortamento da quelli che non lo sono e (b) individuare la diversa durata della loro vita utile.

Mentre l’ammortamento rappresenta la riduzione di valore dei beni durevoli conseguente all’utilizzo degli stessi, la svalutazione è un costo che adegua il valore contabile di tali beni al loro valore recuperabile a seguito di una perdita durevole di valore. Anche i fondi svalutazione, come i fondi ammortamento, rappresentano poste rettificative del valore dei cespiti: questi fondi, tuttavia, dipendono da fatti indipendenti dal processo di utilizzo del bene. Un fenomeno che può causare la svalutazione di un bene durevole, ad esempio, è l’obsolescenza tecnica: il bene, pur funzionante, utilizza tecnologia ormai

6 Tra gli “altri beni” il principio OIC 16 individua ad esempio: mobili, macchine d’ufficio, automezzi, imballaggi riutilizzabili e i beni in concessione da devolvere gratuitamente all’ente concedente al termine della durata della concessione

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superata, circostanza che comporta una riduzione dei benefici economici che esso sarà in grado di produrre.

3.2.2.3. IMMOBILIZZAZIONI FINANZIARIE Questa sottoclasse è suddivisa in 4 voci, a loro volta ulteriormente dettagliate:

1) partecipazioni in: a) imprese controllate; b) imprese collegate; c) imprese controllanti; d) imprese sottoposte al controllo delle controllanti; d-bis) altre imprese;

2) crediti: a) verso imprese controllate; b) verso imprese collegate; c) verso

controllanti; d) verso imprese sottoposte al controllo delle controllanti; d-bis) verso altri;

3) altri titoli; 4) strumenti finanziari derivati attivi.

1) Partecipazioni: vanno qui iscritte le quote di capitale di altre imprese detenute a scopo di investimento durevole. L’investimento in partecipazioni può consentire ad un’impresa di esercitare la propria influenza sulla gestione della partecipata: in caso di partecipazioni di controllo si parla di “influenza dominante”, mentre per le imprese collegate la partecipazione consente di esercitare un’influenza “notevole” (art. 2359 c.c.). Il controllo sussiste quando si dispone della maggioranza dei voti in assemblea ordinaria (controllo di diritto) ovvero quando, pur non disponendo della maggioranza assoluta del capitale, la partecipante può esercitare l’influenza dominante sulla partecipata in virtù della quota in essa posseduta - di maggioranza relativa, ma tale da risultare decisiva (c.d. controllo di fatto)– o in virtù di particolari vincoli contrattuali con essa (controllo negoziale). Le partecipazioni vengono iscritte al valore di costo, al netto di eventuali svalutazioni per perdite durevoli di valore, o a quello di “patrimonio netto”. I due criteri di stima menzionati hanno conseguenze molto diverse: mentre la stima al costo fornisce un valore tendenzialmente costante nel tempo, suscettibile solo di eventuali svalutazioni e successivi ripristini del valore originario, il metodo del patrimonio netto consente di aumentare il valore della partecipazione portandolo a livelli superiori al costo d’acquisto in ragione dei buoni risultati ottenuti dall’azienda partecipata. La stima secondo il metodo del patrimonio netto consente, infatti, di tenere conto dell’andamento della partecipata: se questa realizza utili, la partecipazione incrementa di valore; in caso contrario, il valore della partecipazione viene ridotto. Le variazioni di valore della partecipazione rappresentano, per la partecipante, componenti positive e negative di reddito.

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Figura 3 Effetti dell’applicazione del criterio di stima al costo e possibili effetti derivanti dall’applicazione del criterio di stima al patrimonio netto

2) Crediti: vengono iscritti in questa classe i crediti di finanziamento (prestiti attivi). La quota in scadenza entro l’esercizio successivo va indicata separatamente. Anche questa categoria si articola in sotto-voci, allo scopo di evidenziare separatamente i prestiti concessi ad imprese appartenenti allo stesso gruppo (imprese controllate, collegate, controllanti e imprese sottoposte al controllo della controllante). 3) Altri titoli: la voce accoglie titoli (detenuti a scopo di investimento durevole) diversi dalle partecipazioni, cioè titoli che attribuiscono al possessore il diritto a ricevere un flusso determinato o determinabile di liquidità senza attribuire il diritto di partecipazione diretta o indiretta alla gestione della società che li ha emessi. In tale ambito rientrano i titoli emessi da Stati sovrani, le obbligazioni emesse da enti pubblici, da società finanziarie e da altre società, nonché i titoli a questi assimilabili. I titoli, dal 2016, vengono stimati utilizzando il cosiddetto criterio del costo ammortizzato, secondo il quale occorre considerare il tasso di interesse effettivo riferito al titolo stesso e distribuirne gli effetti lungo la vita dell’investimento. Il tasso di interesse effettivo è il tasso che attualizza esattamente i pagamenti o gli incassi futuri stimati lungo la vita attesa dello strumento finanziario, rendendoli pari al valore contabile netto dell’attività o passività finanziaria. Ad esempio, un’obbligazione quinquennale che garantisce il 5% di interesse nominale, con valore di rimborso a scadenza (valore nominale) pari a 1.000, emessa “sotto la pari” (cioè ad un valore di emissione inferiore al valore nominale) a 950, offre all’acquirente un interesse effettivo superiore a quello nominale (pari a 6,19% a fronte del 5% nominale), in virtù della differenza tra il costo sostenuto per acquistare il titolo (950) e il valore nominale (differenza che in questo caso, essendo favorevole all’acquirente, prende il nome di premio di negoziazione; quando, invece, il valore di emissione supera il valore nominale, si parla di scarto di negoziazione). Il tasso effettivo di rendimento, nell’esempio, è quello che rende i flussi di cassa futuri pari al costo sostenuto all’atto dell’acquisto.

tempo

…………… Metodo del “Patrimonio Netto”

Metodo del “Costo”

Svalutazione per perdita di valore con successivo ripristino

del valore originario

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t flussi di liquidità € valore attuale dei flussi futuri al tempo t0 per i=6,193%

0 Costo acquisto del titolo -950 1 Interessi incassati 50 47,08 2 Interessi incassati 50 44,34 3 Interessi incassati 50 41,75 4 interessi incassati 50 39,32 5 rimborso + interessi incassati 1.050 777,51

TOTALE 950,00 Tabella 3.3 Esempio di stima del valore attuale dei flussi futuri (con tasso effettivo di rendimento).

Il procedimento per determinare, successivamente alla rilevazione iniziale, il valore dei titoli valutati al costo ammortizzato da iscrivere in bilancio è il seguente:

- si determina l’ammontare degli interessi calcolati con il criterio del tasso di interesse effettivo sul valore contabile del titolo all’inizio dell’esercizio, o alla più recente data di rilevazione iniziale;

- si aggiunge l’ammontare degli interessi così ottenuto al precedente valore contabile del titolo; - si sottraggono le somme incassate nel periodo per interessi e capitale; - si sottraggono le eventuali perdite durevoli di valore sui titoli.

Il valore che si ottiene è pari al valore attuale dei flussi finanziari futuri attesi scontati al tasso di interesse effettivo. Riprendendo l’esempio, la tabella che segue illustra il valore dell’obbligazione acquistata al costo di 950, al termine di ciascun esercizio (per semplicità si ipotizza che l’acquisto sia stato fatto all’1/1):

Anno Valore

1/1 Interesse

(effettivo)* Interesse

(nominale) Valore 31/12

1 950,00 58,84 50,00 958,84 2 958,84 59,38 50,00 968,22 3 968,22 59,96 50,00 978,18 4 978,18 60,58 50,00 988,76 5 988,76 61,24 50,00 1.000,00

*Valore: 6,193%

Tabella 3.4 Esempio di applicazione del criterio del costo ammortizzato

Il criterio del costo ammortizzato può non essere applicato se gli effetti rispetto alla rilevazione al costo d’acquisto sono irrilevanti. Tale irrilevanza si presume se: - i titoli sono destinati ad essere detenuti durevolmente ma i costi di transazione, i premi/scarti di

sottoscrizione o negoziazione e ogni altra differenza tra valore iniziale e valore a scadenza sono di scarso rilievo; o

- i titoli di debito sono detenuti presumibilmente in portafoglio per un periodo inferiore ai 12 mesi; Il criterio del costo ammortizzato può non essere applicato, inoltre, dalle imprese che redigono il bilancio in forma abbreviata (articolo 2435-bis cod. civ.) o dalle micro-imprese (articolo 2435-ter cod. civ.) che predispongono il bilancio c.d. “super-semplificato”. Se ci si avvale di questa facoltà, i titoli vengono iscritti al costo di acquisto (o costo di sottoscrizione), rappresentato dal prezzo pagato, comprensivo dei

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costi accessori (costi di intermediazione bancaria e finanziaria, spese di consulenza di diretta imputazione, ovvero commissioni, spese e imposte di bollo).

4) Strumenti finanziari derivati attivi: il principio contabile OIC 32 definisce i derivati come strumenti finanziari o altri contratti che possiedono le seguenti tre caratteristiche:

a. il loro valore varia come conseguenza della variazione di un determinato tasso di interesse, prezzo di strumenti finanziari, prezzo di merci, tasso di cambio, indice di prezzo o di tasso, rating di credito o indice di credito o altra variabile, a condizione che, nel caso di una variabile non finanziaria, tale variabile non sia specifica di una delle controparti contrattuali (a volte chiamato il sottostante);

b. non richiedono un investimento netto iniziale o richiede un investimento netto iniziale che sia minore di quanto sarebbe richiesto per altri tipi di contratti da cui ci si aspetterebbe una risposta simile a variazioni di fattori di mercato;

c. sono regolati a data futura. La tabella che segue7 fornisce una sintetica descrizione dei principali strumenti finanziari derivati.

Strumento finanziario derivato

Possibili variabili sottostanti Breve descrizione della funzione dello strumento

Interest Rate Swap (RIS) Tassi d’interesse

L’interest Rate Swap è un contratto attraverso il quale due parti si scambiano, in date stabilite e per un periodo di tempo prefissato, flussi di segno opposto determinati applicando ad uno stesso capitale nozionale due tassi d’interesse.

Currency Swap (Scambio di valute

estere) Tassi di cambio

Il Currency Swap è uno strumento finanziario derivato attraverso il quale due parti si accordano per cambiarsi pagamenti calcolati sulla base di tassi di cambio di valute differenti, applicati ad un capitale nozionale per un determinato periodo di tempo.

Swap Prezzi materie prime Azioni

Lo Swap è un contratto con il quale due parti si impegnano a scambiarsi futuri pagamenti, calcolati applicando al medesimo capitale (detto nozionale) due diversi parametri riferiti a due diverse variabili di mercato. Tale contratto definisce le date in cui verranno effettuati i pagamenti reciproci e le modalità secondo le quali dovranno essere calcolate le rispettive somme.

Opzioni di acquisto (Call)

Tassi di interesse Tassi di cambio

Prezzi materie prime Azioni, Merci

Le opzioni di acquisto (call) sono contratti finanziari che attribuiscono al compratore il diritto di acquistare un’attività sottostante a (oppure entro) una certa data ad un prezzo prefissato

Opzioni di vendita (Put)

Tassi di interesse Tassi di cambio

Prezzi materie prime Azioni, Merci

Le opzioni di vendita (put) sono contratti finanziari che attribuiscono al compratore il diritto di vendere un’attività sottostante a (oppure entro) una certa data ad un prezzo prefissato.

Forward o future

Tassi di interesse Tassi di cambio

Prezzi materie prime Azioni, Merci

Contratto a termine (standardizzato nel caso dei future) con cui due parti si accordano a scambiare in una data futura una certa attività a un prezzo fissato al momento della conclusione del contratto

7 Fonte: OIC 32

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Tabella 3.5 Sintesi degli strumenti finanziari derivati più comuni

Sono classificabili tra le immobilizzazioni gli strumenti finanziari derivati con fair value positivo alla data di bilancio. In particolare, può trattarsi di:

a) strumenti finanziari derivati di copertura dei flussi finanziari o del fair value di attività immobilizzate. Il fair value è definito come «il corrispettivo al quale un'attività può essere scambiata, o una passività estinta, tra parti consapevoli e disponibili, in una transazione tra terzi indipendenti» e, per i beni dotati di un mercato, corrisponde al valore di mercato;

b) strumenti finanziari derivati di copertura dei flussi finanziari e del fair value di passività classificate oltre l’esercizio successivo.

Gli strumenti finanziari derivati possono essere acquistati per coprire rischi, oppure a scopo speculativo. Le operazioni di copertura intendono evitare oscillazioni di flussi finanziari futuri (attribuibili ad attività, passività iscritte in bilancio, ad impegni irrevocabili oppure operazioni programmate altamente probabili) oppure evitare variazioni del fair value di altri elementi patrimoniali: variazioni che, in assenza di copertura, influenzerebbero il risultato d’esercizio. Si pensi, ad esempio, ad un’azienda che si copre da oscillazioni di prezzo di una merce che ha a magazzino, acquistando la possibilità di venderne una certa quantità ad una determinata data e ad un determinato prezzo (opzione put) per coprire il rischio che il valore delle merci sul mercato si riduca. La contabilizzazione di operazioni di copertura è ammessa per i seguenti rischi:

i. rischio di tasso d’ interesse; ii. rischio di cambio, ad esempio il rischio di cambio su un acquisto futuro altamente probabile in

valuta estera; iii. rischio di prezzo, connesso al valore di una merce in magazzino o di un titolo azionario detenuto

dalla società; iv. rischio di credito (ad esclusione del rischio di credito proprio della società)

La copertura di fair value implica che le variazioni del valore dell’elemento di copertura (lo strumento finanziario derivato) rilevato nello Stato Patrimoniale siano pari, ma di segno opposto, alle variazioni di fair value dell’elemento coperto intervenute successivamente all’avvio della copertura contabile. In un’operazione di copertura dei flussi finanziari, invece, l’obiettivo è stabilizzare i flussi finanziari attesi di un elemento coperto quale, ad esempio, l’interesse variabile pagato periodicamente su un debito finanziario. Ma anche un’impresa che si è impegnata ad acquistare o vendere una determinata quantità di beni (oppure ha in programma un’operazione altamente probabile dalla quale scaturirà per esempio un acquisto o una vendita di beni) può avere interesse a proteggersi da oscillazioni del prezzo di quei beni: se l’impegno è di vendita, il rischio per l’impresa è che il prezzo sul mercato cali, mentre se è stato sottoscritto un impegno di acquisto, il rischio è che il prezzo della merce aumenti. Nel modello contabile della copertura dei flussi finanziari, ad ogni chiusura di bilancio, la società rileva nello Stato Patrimoniale lo strumento di copertura al fair value e in contropartita alimenta la voce A) VII “Riserva per operazioni di copertura dei flussi finanziari attesi”. Tale riserva di patrimonio netto non può accogliere le componenti inefficaci della copertura, ossia variazioni di fair value dello strumento finanziario derivato alle quali non corrisponde una variazione di segno contrario dei flussi finanziari attesi dell’elemento coperto. Gli strumenti finanziari derivati possono essere standardizzati e quotati in mercati regolamentati ovvero definiti su “misura” in relazione alle specifiche esigenze degli operatori e trattati da istituzioni finanziarie nell’ambito di circuiti specializzati (cosiddetti prodotti over the counter). Appartengono alla prima categoria i contratti futures e le opzioni (call e put) quando esse sono negoziate sui mercati regolamentati.

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I contratti a termine forward, le opzioni non quotate, nonché gli swap ed i derivati creditizi, viceversa, appartengono alla categoria degli strumenti over the counter.

3.3. ATTIVO CIRCOLANTE La classe dell’attivo circolante accoglie le attività destinate ad uscire del patrimonio aziendale in breve tempo (entro l’esercizio successivo o, comunque, entro la durata del ciclo produttivo). Si distingue al suo interno in quattro sottoclassi, ordinate per grado crescente di liquidità (dalle materie prime, che verranno trasformate per essere poi cedute, fino al denaro in cassa, che rappresenta il massimo grado di liquidità finanziaria):

I. Rimanenze

II. Crediti III. Attività finanziarie che non costituiscono immobilizzazioni IV. Disponibilità liquide

Tabella 3.6 Sottoclassi dell’attivo circolante

3.3.1. RIMANENZE Si tratta di beni destinati ad essere trasformati (materie, semilavorati), o direttamente alienati sotto forma di prodotti (prodotti finiti, merci, lavori su ordinazione). 1) materie prime, sussidiarie e di consumo: si iscrivono qui le diverse tipologie di materie, cioè beni

acquistati da terzi per essere impiegati nel processo produttivo. Le materie prime vengono incorporate nel prodotto attraverso il processo di trasformazione. Le materie sussidiarie non vengono incorporate nel prodotto finito, ma rappresentano un elemento necessario alla loro vendita (ad esempio: imballaggi). Le materie di consumo vengono impiegate per necessità diverse nel processo produttivo (ad esempio, i lubrificanti per le macchine).

2) prodotti in corso di lavorazione e semilavorati: il legislatore distingue due categorie, sebbene in dottrina qualsiasi bene che necessita di ulteriori lavorazioni per essere completato venga definito come semilavorato. La differenza tra prodotti in corso di lavorazione e semilavorati è riconducibile al fatto che i semilavorati sono dotati di un proprio codice articolo, dunque rappresentano beni dotati di una propria identità autonoma: in alcuni casi possono essere commercializzati indipendentemente dal prodotto finito (ad esempio come parti di ricambio). I prodotti in corso di lavorazione non possiedono un codice articolo: rappresentano, piuttosto, materiale in attesa di subire una trasformazione o un assemblaggio. I semilavorati possono essere ubicati in magazzino, mentre i prodotti in corso di lavorazione si trovano solitamente nei magazzini di reparto, oppure a bordo macchina o presso il banco di assemblaggio.

3) lavori in corso su ordinazione (LCO): si tratta, anche in tal caso, di beni il cui processo produttivo non è ancora completato. La voce accoglie, infatti, il valore delle produzioni su commessa9 a fine esercizio: contratti ad esecuzione continuata che si svolgono a cavallo fra due o più esercizi e che

9 Si riferisce ai contratti della durata pluriennale relativi alla realizzazione di un’opera o di un complesso di opere o la fornitura di beni o servizi, non di serie, ma che formano un unico progetto, eseguiti su ordinazione da parte del cliente. Quindi, gli appalti, costruzioni di dighe, delle navi, ma anche un contratto di commessa di lunga durata relativo ai prodotti: si pensi, ad esempio, all’Esercito Italiano che commissiona ad un’azienda la fornitura di un certo numero di tute mimetiche, la cui consegna avverrà con regolarità lungo un arco temporale pluriennale.

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abbiano come oggetto beni o servizi prodotti su specifica ordinazione del cliente. Nel conto economico appare, al rigo A 3, la variazione di valore che tali beni hanno subito nell’esercizio (si veda il commento nel capitolo 4). Le navi da crociera prodotte da Fincantieri sono un tipico esempio di lavori in corso su ordinazione. Pur essendo beni di notevole valore e durata, per l’impresa produttrice essi rappresentano a tutti gli effetti dei semilavorati, quindi capitale circolante. Questi beni vengono mantenuti distinti dai normali semilavorati sia per le particolarità connesse al processo di valutazione (essendo praticamente già venduti è possibile valutarli al prezzo di vendita, tenuto conto dello stato di completamento/avanzamento del lavoro da svolgere8) sia perché è diverso il significato della loro presenza nel patrimonio: mentre in un’impresa che lavora “per il magazzino” (cioè: non su commessa) un ammontare elevato e crescente di semilavorati potrebbe essere interpretato come sintomo di stagnazione nel processo di produzione/vendita, in un’impresa che opera su commessa la presenza di molti lavori in corso su ordinazione testimonia un buon stato di salute, grazie al portafoglio di commesse acquisite.

4) Prodotti finiti e merci: sono i beni destinati ad essere venduti. Si distinguono per essere prodotti dall’impresa (i primi), o acquistati da terzi (le seconde). Le merci hanno la duplice natura di input e output di produzione: nello Stato Patrimoniale vengono assimilati ai prodotti finiti (come output) mentre nel Conto Economico la loro variazione viene iscritta tra i costi, insieme a quella delle rimanenze di materia (come input).

5) Acconti: devono essere contabilizzate in questa voce le somme versate anticipatamente ai fornitori per l’acquisto dei beni indicati nelle precedenti voci 1) 2) 3), quando i beni forniti non sono ancora diventati di proprietà dell’impresa acquirente. Si tratta, quindi, di crediti in natura per beni da ricevere. Il legislatore ha scelto di assimilare gli acconti alle rimanenze cui sono riferiti, anziché considerarne il valore tra i crediti. Si noti che un acconto sorge in contropartita all’uscita di liquidità: non sorge alcun costo di acquisto, né viene movimentato alcun conto di variazione nelle rimanenze.

3.3.2. CREDITI Questa sottoclasse accoglie i crediti di funzionamento (cioè quelli che hanno origine dalle normali operazioni di gestione e non sono connessi, invece, a necessità di finanziamento della gestione; spesso vengono chiamati anche crediti operativi), di regola a breve scadenza. Anche in questo caso, come per i crediti iscritti fra le immobilizzazioni, la diversa durata del credito può rendere necessaria la scomposizione in ulteriori sotto-voci, per evidenziare la parte dei crediti esigibili oltre i successivi 12 mesi. I crediti vengono esposti al netto di eventuali fondi svalutazione: pertanto, se a fronte di crediti verso clienti per 1.000 si considera un fondo svalutazione pari a 30 perché in base all’esperienza passata il 3% dei crediti non viene incassato, il valore netto esposto nello Stato Patrimoniale ammonterà a 970. La classe dei crediti è suddivisa in 8 voci: 1) verso clienti: sono quelli comunemente indicati come «crediti di fornitura» o «crediti commerciali».

È importante tenere separata questa classe dagli altri crediti, proprio perché nell’analisi di bilancio potremo utilizzarla per stimare la dilazione media concessa ai clienti; non va dimenticato, tuttavia, che

8 Ciò è possibile solo grazie alla certezza del compenso (regolata dal contratto) che consente di superare nella valutazione delle rimanenze il principio del costo, iscrivendo anche una percentuale dell’utile. L’articolo 2426 c.c. stabilisce che i lavori in corso su ordinazione vengono valutati al costo o, in alternativa, al valore di realizzo (exit value) cioè al prezzo di vendita; i principi contabili indicano proprio il valore di realizzo come criterio da preferire.

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alcuni crediti commerciali possono figurare anche nelle voci successive, riferite alle società del gruppo.

2) verso imprese controllate 3) verso imprese collegate 4) verso controllanti: 5) verso imprese sottoposte al controllo delle controllanti La distinzione fra imprese controllate, collegate o controllanti è illustrata nell’art. 2359 c.c. Si tratta,

comunque, di imprese che fanno parte del gruppo dell’azienda il cui bilancio si sta esaminando. Queste sottoclassi contengono, normalmente, crediti commerciali verso tali società.

5 bis) crediti tributari: si tratta di crediti verso l’erario, ad esempio per IVA da recuperare; 5 ter) imposte anticipate: sorgono in presenza di differenze temporanee tra il reddito imponibile (stimato

sulla base delle norme fiscali) e il risultato civilistico (per il quale si utilizzano i principi contabili). In particolare, le imposte anticipate sorgono per la presenza di differenze temporanee positive tra il reddito imponibile e quello civilistico: ad esempio, a fronte di un costo di competenza dell’esercizio che risulta fiscalmente deducibile fiscalmente in più esercizi, il reddito imponibile supera quello civilistico e le imposte da versare risultano superiori a quelle di competenza dell’esercizio, calcolate sul risultato ante imposte rilevato nel conto economico. Le imposte anticipate fungono da posta che riequilibra l’impatto delle imposte dirette a conto economico in seguito all’applicazione della norma tributaria.

La contabilizzazione in questa voce deriva dal fatto che l’imposta anticipata pur non essendo un vero credito verso l’erario potrà essere recuperata negli esercizi successivi, per mezzo della deduzione dell’onere che ha originato tale credito. Tuttavia, il recupero dell’imposta sarà possibile solo se il risultato rilevante ai fini fiscali dell’esercizio in cui l’onere diventa deducibile sarà positivo e tale da consentire la deducibilità dell’onere. L’iscrizione dell’imposta anticipata tra i crediti richiede perciò particolare cautela: può avvenire, infatti, solo in presenza di una previsione di redditi positivi e sufficientemente capienti, nell’anno in cui l’onere diventa deducibile.

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Figura 4 La relazione tra reddito imponibile e reddito civilistico e la genesi delle imposte anticipate e differite

5 quater) verso altri: vengono qui iscritti, fra l’altro, i crediti verso lo Stato o altri Enti Pubblici per rimborsi di imposte, per anticipazioni, cessioni di crediti verso factor pro soluto per gli ammontari ancora non riscossi e, in ogni caso, tutte le poste non allocabili nelle altre voci sopra indicate.

3.3.3. ATTIVITÀ FINANZIARIE CHE NON COSTITUISCONO IMMOBILIZZAZIONI E DISPONIBILITÀ LIQUIDE

L’attivo circolante si chiude con le poste più liquide: le attività finanziarie non immobilizzate, detenute a scopo di investimento speculativo, e le liquidità vere e proprie. La prima sottoclasse si articola a sua volta in sette voci, che sostanzialmente ripetono la classificazione delle immobilizzazioni finanziarie:

• partecipazioni (azioni e quote), distinte a seconda che si riferiscano ad imprese controllate, collegate, controllanti, imprese sottoposte al controllo delle controllanti e altre;

• strumenti finanziari derivati attivi; • altri titoli.

Per i titoli dell’attivo circolante è possibile adottare, quale criterio di stima, il criterio del minor valore tra il costo di acquisto e il presunto valore di realizzo: il criterio del costo ammortizzato, previsto per la

Risultato d’esercizio Reddito imponibile confronto

Non si originano differenze temporanee

Differenze

Valori uguali Valori diversi

Differenze permanenti (non si riassorbono negli

esercizi successivi): non sorgono imposte differite o anticipate

Redd. Impon. > Redd. civil. Differenze temporanee

deducibili

Redd. Impon. < Redd.civil. Differenze temporanee

imponibili

Imposte anticipate Imposte differite

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stima dei titoli immobilizzati, avrebbe poco significato per i titoli di cui è prevista la trasformazione in liquidità nel breve termine.

3.4. RATEI E RISCONTI ATTIVI Questa classe, l’ultima della sezione dell’attivo, include due voci che sorgono - a fine esercizio - per l’applicazione del principio di competenza economica. Pur avendo questo elemento in comune, si tratta di conti che rappresentano elementi patrimoniali molto diversi tra loro. I ratei attivi sono crediti in moneta relativi a servizi venduti a cavallo tra due esercizi, e corrispondono alla quota maturata nell’esercizio chiuso. I ratei sorgono - in caso di pagamento posticipato del servizio erogato - a fine esercizio per integrare i valori contabili tenendo conto del credito maturato. L’argomento verrà ripreso nel capitolo successivo, che tratta il contenuto del Conto economico, per approfondire il concetto di competenza economica. Basti dire, in questo contesto, che un servizio la cui erogazione è proporzionale allo scorrere del tempo e si estende a cavallo tra due esercizi, dà origine ad un credito che – a fine anno – è maturato ma non risulta ancora esigibile; si pensi, ad esempio, ad un fitto attivo regolato ogni sei mesi con pagamento posticipato al 31/3 e al 30/9, che al 31/12 fa sorgere in capo al locatore un credito non esigibile per la parte di servizio erogato dal 1/10 fino al termine dell’esercizio. I risconti attivi sono, invece, crediti in natura per prestazioni di servizi da ricevere: si tratta di prestazioni la cui erogazione avviene a cavallo tra due esercizi, pagate anticipatamente, di cui si deve ancora in parte beneficiare a fine anno. I risconti attivi sorgono come poste rettificative a fine anno, per ottenere il costo di competenza del periodo riferito ai servizi consumati. [servizio pagato – risconto attivo finale = costo di competenza dell’esercizio chiuso]. Un esempio tipico di risconto attivo è rappresentato dal credito per servizi assicurativi da consumare su polizze di durata annuale: ad esempio, per una polizza annuale stipulata al 1/10 del valore di 600 €, il risconto attivo al 31/12 ammonta a 450 € (600/12 x 9 mesi).

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1. Si effettua una prestazione di servizi per il semestre novembre-aprile (valore: € 6.000 per ipotesi); il pagamento è posticipato. A fine anno è necessario rilevare il credito per la parte della prestazione erogata nei primi due mesi (valore: € 2.000): si tratta di un credito in moneta, definito “rateo attivo”. I ratei vengono stimati in funzione del tempo trascorso tra l’inizio della prestazione e il termine dell’esercizio: rappresentano veri e propri crediti verso clienti, che tuttavia non risultano esigibili alla data cui è riferito il bilancio in quanto la prestazione non è conclusa. In contropartita al credito sorge il ricavo di competenza per la parte di prestazione già erogata.

Figura 5 Rappresentazione grafica del rateo attivo

A fine aprile, quando l’erogazione della prestazione è stata completata, verrà emessa la fattura: sorgerà quindi il credito verso clienti (€ 6.000) in contropartita al ricavo maturato nel nuovo esercizio (€ 4.000) nonché alla riduzione dei ratei attivi (-€2.000). 2. Si paga anticipatamente un premio assicurativo annuale (per ipotesi: € 1.200). In contropartita all’uscita di liquidità sorge un costo d’acquisto, relativo all’intero periodo temporale cui il premio è riferito (supponiamo 1.04.X0-1.04.X1). Al 31.12 (data della redazione di bilancio), non essendo ancora completato l’anno della copertura assicurativa, l’azienda vanta un credito in natura (risconto attivo: per 3 mesi, € 300)) relativo al servizio che le deve essere ancora prestato (nell’esercizio X1) e che è stato già pagato. Il risconto attivo ha la funzione di rettificare il costo d’acquisto, relativo all’intero periodo di durata della locazione, per portarlo così al «costo consumo» (premio assicurativo di competenza: € 900) riferito solo al servizio assicurativo di cui si è già beneficiato.

Figura 6 Rappresentazione grafica del risconto passivo

Allo scadere del premio assicurativo (31 marzo) il risconto attivo si estinguerà contabilmente a fronte dell’imputazione del costo per la parte di servizio assicurativo consumata nel secondo esercizio.

30/04 Emissione

fattura

Rateo Attivo

01/11 Inizio prestazione

31/12

31/III

Risconto Attivo

01/IV Pagamento prestazione

31/12

Costo d’acquisto

del servizio

Valore della prestazione utilizzata nell’esercizio (costo

di competenza)

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3.5. PASSIVO E PATRIMONIO NETTO Il legislatore, all’art. 2424, denomina «passivo» l’intera sezione dei finanziamenti, più propriamente definibile «passivo e patrimonio netto», per l’evidente differenza tra le due fonti di finanziamento. La seconda sezione dello Stato Patrimoniale è suddivisa in 5 classi principali, evidenziate da lettere maiuscole:

A) Patrimonio netto B) Fondi per rischi e oneri C) Trattamento di fine rapporto di lavoro subordinato D) Debiti E) Ratei e risconti

Tabella 3.7 Classi della sezione del Passivo nello Stato Patrimoniale

Per ciascuna voce dei debiti vanno indicate separatamente le quote con scadenza rispettivamente entro e oltre l’esercizio successivo. Il criterio finanziario (che darebbe immediata evidenza alla durata delle fonti di finanziamento) per la classificazione dei valori assume qui un ruolo tutto sommato marginale, a favore di un criterio che richiama la natura delle fonti stesse. La prima distinzione fondamentale è quella consueta, tra capitale proprio (patrimonio netto) e capitale di terzi (debiti). Le classi B, C, D, ed E hanno in effetti natura di debito, pur avendo caratteristiche diverse:

- i fondi rischi e oneri (classe B) rappresentano debiti incerti nell’esistenza (i fondi rischi) o nell’ammontare (i fondi oneri futuri).

- la classe C accoglie il trattamento di fine rapporto lavoro subordinato, riconosciuto come debito vero e proprio, seppure indeterminato nella data di scadenza;

- i debiti certi sono elencati nella classe D; - i ratei e risconti passivi, alla classe E), sono rispettivamente debiti in moneta e debiti in natura

per servizi a cavallo di due esercizi. Si tratta di una voce speculare a quella della classe D nell’attivo.

3.5.1. PATRIMONIO NETTO Il patrimonio netto (o capitale netto) corrisponde alla differenza fra le attività e i debiti; come si è avuto modo di dire sin dal capitolo 1, le fonti di patrimonio netto possono essere i soci (attraverso i conferimenti di capitale) e la gestione (attraverso il reddito). All’interno del patrimonio netto, tuttavia, la distinzione tra conferimenti e utili accantonati9 non è immediatamente riconoscibile: la distinzione fondamentale tra capitale conferito e capitale accumulato attraverso la gestione non appare esplicitamente nello Stato Patrimoniale. Il Patrimonio Netto viene distinto, al suo interno, in dieci voci:

A. PATRIMONIO NETTO

I - Capitale

9 Poiché il patrimonio netto rappresenta una fonte di finanziamento dell’attivo, il processo di accumulazione di utili nelle riserve di patrimonio netto rappresenta un vero e proprio fenomeno di autofinanziamento.

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II - Riserva da soprapprezzo delle azioni

III - Riserve di rivalutazione

IV - Riserva legale

V - Riserve statutarie

VI - Altre riserve, distintamente indicate

VII - Riserva per operazioni di copertura dei flussi finanziari attesi.

VIII - Utili (perdite) portati a nuovo.

IX - Utile (perdita) dell'esercizio.

X - Riserva negativa per azioni proprie in portafoglio.

Tabella 3.8 Componenti del Patrimonio Netto nella struttura civilistica

I) Capitale: rappresenta il totale del valore nominale delle azioni o quote complessivamente emesse. Si può risalire al valore del capitale effettivamente versato sottraendo allo stesso i crediti verso soci iscritti nella classe A) dell’attivo. Nelle classi successive del Patrimonio Netto appaiono le riserve; occorre distinguere tra «riserve di capitale» (o fondi di capitale) che hanno natura di capitale conferito dai soci e «riserve di utili» che, al contrario, hanno natura di autofinanziamento (la fonte di finanziamento, cioè, è il reddito prodotto dalla gestione aziendale). Tra le riserve di capitale, quella che si riscontra più di frequente è certamente il sovraprezzo, che viene versato dai soci in occasione di aumenti di capitale. II) Riserva da sovrapprezzo delle azioni: accoglie il maggior valore versato dai soci, rispetto al valore nominale delle azioni (o quote) se previsto in sede di costituzione della società, di aumento di capitale o, ancora, di conversione delle obbligazioni. Il valore nominale non riflette in alcun modo il valore di mercato di un’azione o il suo fair value: all’atto dell’emissione del titolo, perciò, viene spesso richiesto agli investitori di versare un sovrapprezzo. Si tratta, dunque, di una riserva di capitale conferito, non di una riserva di utili. Il sovrapprezzo serve anche a ristorare quei soci che non partecipano alla sottoscrizione del nuovo capitale, in ragione della diminuzione della loro partecipazione: le nuove quote di capitale danno infatti diritto ai soci che le sottoscrivono anche sulle riserve formatesi prima dell’aumento di capitale.

L’aumento di capitale deliberato da una società può avvenire mediante l’emissione di nuovi titoli o mediante l’incremento del valore dei titoli già esistenti. Può trattarsi di un aumento di capitale gratuito, di un aumento di capitale a pagamento, oppure di un aumento di capitale misto (una combinazione tra le prime due fattispecie). In caso di aumento di capitale gratuito ogni socio riceve gratuitamente nuove azioni o quote in ragione del rapporto di assegnazione stabilito dalla società emittente: non si verifica alcuna alterazione dei rapporti tra soci di minoranza e soci di maggioranza: ciascuno mantiene inalterata la propria porzione di capitale, e quindi lo stesso peso all’interno della compagine sociale. Non si verifica alcun conferimento di nuovo capitale, quindi il valore del Patrimonio Netto non cambia nel suo complesso: si verifica, piuttosto, uno travaso di valore dalle riserve verso il capitale sociale: questa operazione contabile prende il nome di “incorporazione delle riserve nel capitale”. I motivi che possono spingere una società a lanciare un aumento di capitale gratuito sono sostanzialmente due: si può ottenere una riduzione del valore contabile delle azioni (inteso come rapporto tra Patrimonio Netto e numero delle azioni emesse: si riduce perché il Patrimonio Netto rimane costante, mentre aumenta il numero delle azioni) ma, soprattutto, si rafforza il capitale sociale che rappresenta la quota meno disponibile (per la distribuzione ai soci) del Patrimonio Netto. L’operazione di aumento di capitale gratuito, dunque, soddisfa

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in una certa misura l’esigenza di rafforzare il capitale destinato all’investimento rispetto a quello propriamente remunerativo (a favore dei soci), trasformando quest’ultimo nel primo. La trasformazione delle riserve in capitale spesso è vista dai soggetti che erogano credito alla società (enti creditizi e finanziari, fornitori etc.) come una disponibilità dei soci a mantenere investita in azienda la ricchezza prodotta, senza prevederne la distribuzione che comporterebbe una fuoriuscita di disponibilità finanziarie.

L’aumento di capitale a pagamento può essere attuato con diritto di opzione o senza diritto di opzione agli azionisti. Nel primo caso, più frequente, l’operazione prevede che la società emetta nuove azioni da offrire in opzione agli azionisti. Per quanto riguarda il prezzo delle azioni di nuova emissione, si parla di emissione di azioni “alla pari” nel caso in cui queste vengono emesse al valore nominale, oppure di emissione di azioni con sovrapprezzo qualora queste sono emesse ad un valore più alto rispetto al valore nominale. Pertanto, si ha un aumento di capitale con sovrapprezzo nel caso in cui le azioni di nuova emissione siano offerte in opzione ai soci ad un prezzo maggiore rispetto al loro valore nominale. In tal caso, dunque, si verifica oltre ad un aumento del capitale sociale, anche un aumento della cosiddetta riserva per sovrapprezzo azioni.

III) Riserve da rivalutazione: sorgono per la rivalutazione di beni nell’attivo dello Stato Patrimoniale. Si è detto che il postulato della prudenza amministrativa implica che non si tenga conto di eventuali componenti positive di reddito non realizzate: in virtù di tale principio, le rivalutazioni non sono generalmente ammesse dai principi contabili. Tuttavia, la stima a valori storici potrebbe comportare una perdita di significatività del bilancio: a lungo andare, il valore dei beni (si pensi, ad esempio, agli immobili) potrebbe risultare inadeguato a fornire un’informazione veritiera, se non altro a causa dell’inflazione. Tale inconveniente viene superato utilizzando apposite leggi, che autorizzano (alle volte con obbligo di dare rilevanza alla rivalutazione anche a fini fiscali con pagamento di una imposta sostitutiva) l’adeguamento del valore dei cespiti al valore corrente inteso quale valore di mercato. L’applicazione di tali norme è all’origine delle riserve da rivalutazione, che sorgono in contropartita all’incremento di valore dell’attività rivalutata. Questa voce può accogliere inoltre la riserva (non distribuibile), costituita ai sensi dell’art. 2426 c.c. n.4, ove vengono iscritte le rivalutazioni delle partecipazioni valutate col metodo del patrimonio netto10: in questo caso, la riserva sorge in fase di destinazione del reddito. IV) Riserva legale: viene costituita per esplicita previsione civilistica (art. 2430 c.c.) con l’accantonamento annuale del 5% degli utili netti, fino al raggiungimento del valore del quinto del capitale sociale. L’accantonamento di utili a riserva ha la funzione di proteggere il capitale sociale dall’erosione che potrebbe subire in caso di risultati economici negativi: chiedendo all’impresa di

10 “Le immobilizzazioni consistenti in partecipazioni in imprese controllate o collegate possono essere valutate, con riferimento ad una o più tra dette imprese, anziché secondo il criterio indicato al numero 1), per un importo pari alla corrispondente frazione del patrimonio netto risultante dall'ultimo bilancio delle imprese medesime, detratti i dividendi ed operate le rettifiche richieste dai principi di redazione del bilancio consolidato nonché quelle necessarie per il rispetto dei principi indicati negli articoli 2423 e 2423-bis. Quando la partecipazione è iscritta per la prima volta in base al metodo del patrimonio netto, il costo di acquisto superiore al valore corrispondente del patrimonio netto riferito alla data di acquisizione o risultante dall'ultimo bilancio dell'impresa controllata o collegata può essere iscritto nell'attivo, purché ne siano indicate le ragioni nella nota integrativa. La differenza, per la parte attribuibile a beni ammortizzabili o all'avviamento, deve essere ammortizzata. Negli esercizi successivi le plusvalenze, derivanti dall'applicazione del metodo del patrimonio netto, rispetto al valore indicato nel bilancio dell'esercizio precedente sono iscritte in una riserva non distribuibile”.

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accantonare parte degli utili prodotti, si potranno infatti fronteggiare eventuali perdite con l’autofinanziamento (utili accantonati). La riserva è perciò indisponibile (non può essere distribuita). Con riguardo alla riserva legale delle nuove s.r.l. a capitale minimo è stata introdotta una disciplina speciale (art. 2463, co. 5, c.c.) che, a differenza della disciplina generale ex art. 2430 c.c., prevede che l’accantonamento debba essere almeno pari a un quinto degli utili netti annuali, fino al raggiungimento dell’ammontare di diecimila euro. V) Riserve statutarie: sono previste dallo statuto della società e possono avere anche destinazione specifica (essere cioè dedicate ad uno scopo preciso). In tal caso la loro destinazione può mutare solo deliberando la modifica dello statuto, salvo essere utilizzate per la copertura di perdite. VI) Altre riserve: trovano qui collocazione riserve molto diverse tra loro, che possono avere natura di autofinanziamento o di capitale apportato. Eventuali riserve sorte in seguito all’assegnazione di contributi in c/capitale rappresentano, ad esempio, quote di capitale apportato, ancorché non dai soci11. Eventuali altre riserve facoltative potranno essere costituite dall’assemblea con destinazione di parte o dell’intero utile, per finalità generiche o specifiche. Le stesse potranno essere destinate ad un diverso utilizzo in relazione ad una specifica delibera dell’assemblea. La più frequente riserva di questo tipo è la riserva per conguaglio dividendi, che viene costituita accantonando gli utili negli anni in cui essi siano sufficientemente capienti, per essere poi utilizzata come fonte per la distribuzione di dividendi negli anni in cui gli utili non siano sufficienti. VII) Riserva per operazioni di copertura dei flussi finanziari attesi: le operazioni cui si fa riferimento hanno lo scopo di salvaguardare l’impresa dal rischio di eccessive oscillazioni nei flussi finanziari prodotti da operazioni di finanziamento o di investimento (ad esempio, l’impegno all’acquisto di materie prime nei prossimi 12 mesi). Nel modello contabile della copertura dei flussi finanziari, ad ogni chiusura di bilancio, la società rileva nello Stato Patrimoniale lo strumento finanziario derivato di copertura, stimandone il fair value, e alimenta questa riserva in contropartita. Le componenti inefficaci della copertura contabile, ossia variazioni di fair value dello strumento finanziario derivato alle quali non corrisponde una variazione di segno contrario dei flussi finanziari attesi dell’elemento coperto, non possono essere iscritte in questa riserva, ma vanno rilevate nella sezione D) del Conto Economico. VIII) Utili (perdite) portati a nuovo: si tratta di utili che, sebbene non siano stati accantonati ad una specifica riserva, contribuiscono di fatto ad aumentare il valore di autofinanziamento (cioè il patrimonio netto, inteso come fonte di finanziamento, autoprodotto attraverso la gestione) liberamente disponibile. Insieme ad altre riserve facoltative sarà la prima posta del netto ad essere utilizzata a copertura delle perdite. IX) Utile (perdita) dell’esercizio: corrisponde al risultato dell’esercizio iscritto a saldo del conto economico. X) Riserva negativa per azioni proprie in portafoglio: questa riserva sorge in relazione ad operazioni di acquisto di azioni proprie da parte della società, le quali hanno l’effetto di ridurre il Patrimonio Netto in quanto comportano il rimborso del capitale e, eventualmente, anche la corresponsione di utili, ai soci. Così come l’emissione di azioni a pagamento comporta un incremento del Patrimonio Netto, il riacquisto delle stesse ne comporta la diminuzione: in altri termini, l’acquisto di azioni proprie da parte di una

11 La prassi contabile di imputare direttamente al patrimonio netto i contributi in c/Capitale oggi non è più ammessa, ma è ancora possibile trovare nel Patrimonio Netto di alcune società riserve costituite – in passato – seguendo questo trattamento contabile. Oggi, a seguito dell’emanazione del Principio contabile n° 16 sulle immobilizzazioni materiali, i contributi in c/capitale vengono fatti transitare per il conto economico, tra i ricavi (rigo A5): viene imputata all’esercizio una quota del contributo, che si contrappone alla quota annuale di ammortamento dei beni acquisiti con il contributo stesso. Alternativamente, il contributo può essere iscritto a diretta diminuzione del valore di acquisto dei beni per cui è stato concesso. L’argomento viene ripreso nel capitolo 4.

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società non viene interpretato come un’operazione di investimento (nel qual caso le azioni verrebbero iscritte nell’attivo), bensì come un’operazione di de-finanziamento. L’azienda acquista le azioni per poi riproporle, in un momento successivo, ad un nuovo socio (un nuovo “finanziatore”) che offre condizioni di finanziamento più favorevoli (cioè un prezzo dell’azione più elevato): se, ad esempio, una società acquista 100.000 azioni proprie al costo unitario di 10 € e le rivende successivamente a 11,5 € la differenza non rappresenta l’utile su un investimento, bensì il capitale aggiuntivo conferito dal nuovo finanziatore, disposto ad offrire condizioni migliori del precedente. Trattando le poste del Patrimonio Netto è necessario considerare le modalità di copertura delle eventuali perdite, anche alla luce della disciplina civilistica. Va chiarito, anzitutto, che non è possibile far fronte alle perdite alimentando un fondo rischi generico da utilizzare nei periodi in cui si dovessero realizzare performance negative: l’accantonamento a fondi rischi è uno strumento contabile per prevedere rischi specifici, riferiti cioè a eventi negativi prevedibili e non remoti, connessi a specifici fatti di gestione. Il rischio generico connesso all’attività d’impresa, cioè il rischio di perdere il capitale investito, non può essere oggetto di appositi accantonamenti a fondi: le perdite possono essere coperte esclusivamente con utili precedentemente realizzati e non distribuiti, o con capitale conferito dai soci. Il codice civile non disciplina organicamente il tema della disponibilità delle riserve e delle altre poste del patrimonio netto per la copertura delle perdite: nozione, questa, da non confondere, peraltro, con quella della distribuibilità delle riserve ai soci. In termini generali, la disponibilità delle riserve attiene alla possibilità di utilizzare le stesse per procedere ad aumenti gratuiti di capitale, alla copertura di perdite, al rimborso di capitale in caso di recesso di uno o più soci o, ancora, alla distribuzione di utili ai soci. Tra le riserve disponibili, dunque, alcune risultano distribuibili e altre no: la riserva legale, ad esempio, è disponibile per la copertura di perdite - dopo che siano state già utilizzate le altre riserve - ma non risulta distribuibile. La riserva da sovrapprezzo non può essere distribuita fino a che la riserva legale non abbia raggiunto il quinto del capitale sociale (art. 2431 c.c.). Certamente, le riserve non disponibili risultano anche non distribuibili. Non esistono particolari disposizioni che impediscano la possibilità di coprire le perdite con le riserve: anche la riserva da rivalutazione, sebbene formata con plusvalori non realizzati, è utilizzabile a tale scopo con l’unico limite che, in caso di utilizzo della stessa, non è possibile procedere alla distribuzione di utili fino a quando la riserva non sia stata reintegrata o ridotta in misura corrispondente con deliberazione dell’assemblea straordinaria12. Non vi è alcun dubbio che la riserva legale - pur essendo indisponibile per aumenti gratuiti di capitale secondo autorevole dottrina - risulta disponibile per la copertura delle perdite, sia nelle SpA che nelle Srl: in effetti, questa riserva ha anzitutto la funzione di proteggere il capitale sociale dalle perdite. È generalmente accettato il principio secondo cui, prima di intaccare la riserva legale, devono essere erose, nell’ordine, le riserve facoltative e gli utili riportati a nuovo (ivi inclusi quelli in corso di formazione nell’esercizio risultanti da un bilancio di verifica appositamente predisposto) e quelle statutarie. A seconda dell’importo delle perdite accumulate, i soci dovranno porre in essere azioni differenti, consistenti nella copertura delle stesse o – nelle situazioni particolarmente difficili – nel conferimento di nuovi capitali da parte dei soci per ripristinare il patrimonio ormai deteriorato dall’andamento negativo della gestione. Anche dopo aver utilizzato per la copertura delle perdite tutti gli utili precedentemente accumulati (c.d. retained earnings), potrebbero residuare delle perdite: queste vanno confrontate col capitale sottoscritto dai soci per valutare le azioni necessarie. In particolare, è necessario verificare se le perdite residue siano inferiori o, viceversa, superino il terzo del capitale sociale. Nel primo caso la legge

12 Art. 13 comma 2 legge 342/2000.

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non prevede alcun adempimento particolare in capo agli amministratori; ai sensi dell’art. 2433 c.c. (per le SpA; analoga previsione normativa all’art. 2478-bis comma 5 per le Srl) la società non potrà tuttavia distribuire utili finchè il capitale non sia stato reintegrato o ridotto in misura corrispondente. Quando le perdite residue superano il terzo del capitale sociale la situazione patrimoniale risulta più critica: occorre anzitutto verificare se la perdita produce una riduzione del capitale sociale al di sotto del minimo legale (50.000 € per le SpA, 10.000 € per le Srl). Quando questa condizione non è verificata, l’art. 2446 (2482-bis per le Srl) prevede che gli amministratori convochino l’assemblea dei soci per valutare gli opportuni provvedimenti. Questi ultimi dipenderanno dall’analisi della situazione patrimoniale, dalla relazione degli amministratori nonché dalle osservazioni espresse dal collegio sindacale: se, ragionevolmente, la perdita potrà essere riassorbita grazie a condizioni di gestione più favorevoli, l’assemblea potrà deliberare di portarne a nuovo il valore (mantenendola espressa all’interno del Patrimonio Netto). Se, invece, non sono prevedibili condizioni tali da consentire il riassorbimento delle perdite con utili futuri, l’assemblea può decidere di coprirne il valore con conferimenti da parte dei soci (o con la rinuncia ai crediti da essi vantati verso la società) o, in alternativa, può deliberare la riduzione del capitale sociale. In ogni caso, se entro l’esercizio successivo la perdita non risulta diminuita a meno di un terzo del capitale, l’assemblea ordinaria in sede di approvazione del bilancio deve ridurre il capitale in proporzione delle perdite accertate. La situazione richiede misure ancor più decise quando le perdite residue comportino la riduzione del capitale sociale al di sotto del minimo legale: in tal caso, l’art. 2447 richiede (per le SpA) che gli amministratori convochino senza indugio l’assemblea per deliberare la riduzione del capitale e il contemporaneo aumento dello stesso ad una cifra non inferiore al minino o, in alternativa, la trasformazione della società ad una forma giuridica per la quale sia richiesto un capitale minimo inferiore. La convocazione dell’assemblea dei soci deve avvenire anche in corso d’anno, «senza indugio», qualora gli amministratori riscontrino che le perdite in corso di realizzazione, sommate a quelle pregresse, siano tali da portare il capitale sociale al di sotto del minimo legale.

3.5.2. I FONDI RISCHI E ONERI Le passività aziendali possono essere distinte in relazione al grado di certezza dell’esistenza dell’obbligazione: si individuano così le passività certe e le passività potenziali. Le passività potenziali corrispondono ai fondi rischi13: pur non corrispondendo a debiti certi, devono essere rilevate per

13 Sono esempi di «Fondi rischi»:

1) Fondo imposte (classe B)2 del passivo): deriva da contenziosi tributari (non va perciò confuso con il debito per imposte [D) 11] che è un debito per imposte certe da versare). Nello stato patrimoniale civilistico, il fondo imposte assimila anche le imposte differite, che rappresentano il debito per imposte da versare, per le quali l’azienda ha potuto beneficiare di un differimento temporale (ciò accade quando sia possibile anticipare fiscalmente costi futuri o, viceversa, rinviare ricavi di competenza).

2) Fondo liti in corso (classe B) 3 del passivo): caso tipico in relazione al quale viene istituito questo fondo è quello del cliente che cita in giudizio la società dopo aver subito il danno causatogli dal prodotto. Il fondo rappresenta il debito potenziale per il danno da pagare al cliente in caso di esito negativo della causa per l’azienda.

3) Fondo rischi su crediti, o fondo svalutazione crediti: è un vero e proprio fondo rischi, ma non ha natura di debito, poiché rappresenta piuttosto una rettifica del valore dei crediti nell’attivo. Il legislatore lo colloca infatti in detrazione a tali attività (i crediti appaiono in bilancio per il valore netto) e chiede che l’importo venga specificato nella nota integrativa.

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ottemperare al postulato della prudenza amministrativa. Un contenzioso con un cliente, ad esempio, dà origine ad una passività potenziale che si tradurrà in un’uscita finanziaria solo qualora la causa dovesse avere esito negativo per l’azienda. Le passività certe sono invece rappresentate da: 1) Fondi per oneri14: sono caratterizzati dall’indeterminatezza dell’ammontare o/e della data di scadenza. Spesso vengono definiti anche «fondi spese future». 2) Debiti: rappresentano le passività certe nell’esistenza, caratterizzate inoltre da un valore nominale certo. Vengono iscritti nella voce D) nello Stato Patrimoniale.

L’articolo 2424bis dispone che gli accantonamenti ai fondi per rischi e oneri siano destinati a coprire le perdite o i debiti di natura determinata, di esistenza certa (fondi oneri futuri) o probabile (fondi rischi) dei quali non si conosce, durante l’esercizio, l’ammontare e/o la data di scadenza. Si intuisce, dunque, che per i fondi rischi di cui si tratta ora:

14 Rappresentano «Fondi per oneri»:

1) Fondo trattamento di fine rapporto: il legislatore lo colloca in una classe a sé stante (C). È un debito certo, ma di incerta scadenza. L’ammontare è noto e determinato perché il fondo rappresenta l’intero importo delle liquidazioni che l’azienda dovrebbe pagare se tutti i dipendenti si licenziassero alla data di bilancio. Il trattamento di fine rapporto rappresenta la prestazione cui il lavoratore subordinato ha diritto in ogni caso di cessazione del rapporto di lavoro, ai sensi dell’articolo 2120 c.c. Il relativo accantonamento è iscritto nel Conto Economico alla voce B9 c) “trattamento di fine rapporto”.

Le quote di TFR maturande a partire dal 1° gennaio 2007 devono, a scelta del dipendente, essere destinate a forme di previdenza complementare; ovvero essere mantenute in azienda, la quale provvederà a trasferire le quote di TFR al Fondo di Tesoreria, gestito dall’INPS.

2) Fondo quiescenza e obblighi simili: rappresentano accantonamenti per i trattamenti previdenziali integrativi, diversi dal trattamento di fine rapporto, nonché per le indennità una tantum spettanti ai lavoratori dipendenti, autonomi e collaboratori, in forza di legge o di contratto, al momento di cessazione del relativo rapporto. Si tratta, quindi, di fondi a copertura di oneri di natura determinata ed esistenza certa, il cui importo da riconoscere alla cessazione del rapporto è funzione della durata del rapporto stesso e delle altre condizioni di maturazione previste dalle contrattazioni sottostanti. Tali fondi sono indeterminati nell'ammontare, in quanto possono essere subordinati al verificarsi di varie condizioni di maturazione (età, anzianità di servizio, ecc.) e potrebbero richiedere anche il ricorso a calcoli matematico-attuariali. Tuttavia, per determinati trattamenti di quiescenza, tali fondi sono stimabili alla data di bilancio con ragionevole attendibilità. Trovano collocazione in questa voce, ad esempio: i fondi di indennità per cessazione di rapporti di collaborazione coordinata e continuativa; i fondi di indennità per cessazione di rapporti di agenzia, rappresentanza, ecc.; i fondi di indennità suppletiva di clientela; i fondi per premi di fedeltà riconosciuti ai dipendenti.

3) Fondo per manutenzioni cicliche pluriennali (classe B)3 del passivo): viene iscritto in bilancio per riflettere i costi di competenza relativi alle manutenzioni che comportano un costo particolarmente elevato, che vengono effettuate ciclicamente (ogni n anni) e che non comportano effetti migliorativi al cespite in questione. Si tratta di una spesa certa nell’esistenza ma incerta nell’importo.

4) Fondo concorsi e premi (classe B)3 del passivo): si riferiscono ai concorsi commerciali volti a fidelizzare la clientela, i cui effetti si manifesteranno sul piano finanziario negli esercizi successivi. Anche in tal caso l’esistenza è certa, mentre il valore dei premi da distribuire dipende dalla numerosità delle richieste pervenute (si pensi alle «raccolte punti»).

5) Fondo garanzia prodotti (classe B)3 del passivo): a volte vengono considerati come fondi rischi (in tal caso l’obbligazione è incerta nell’esistenza), ma spesso è prevedibile statisticamente una certa incidenza di interventi di manutenzione sui prodotti venduti nell’anno, per cui la garanzia verrà sicuramente prestata. La necessità di imputare il costo nel periodo in cui sono avvenute le vendite è logicamente connessa al rispetto del principio di competenza economica.

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• la natura deve essere determinata: deve trattarsi di rischi specifici, legati a eventi avvenuti. Il rischio d’impresa, ad esempio, non è un rischio specifico ma un rischio generico connesso alla possibilità di perdere il capitale a seguito dell’andamento negativo della gestione: conseguentemente, non è possibile accendere un fondo rischi per fronteggiare possibili perdite future. Queste andranno coperte utilizzando le riserve del patrimonio netto.

• La probabilità che l’evento negativo connesso al rischio si verifichi non deve essere remota. Gli eventi incerti che possono produrre costi sono graduati dai principi contabili come: 1) probabili, 2) possibili, 3) remoti. I Fondi rischi sono generati, per esplicita disposizione normativa, esclusivamente dagli eventi probabili. La possibilità di stimare adeguatamente il debito potenziale viene meno di fronte ad eventi possibili o remoti. Si osservi che, qualora si stimi probabile il verificarsi dell’evento dannoso, l’iscrizione del fondo rischi diventa obbligatoria per il principio della prudenza.

NATURA ESISTENZA AMMONTARE DATA DI

MANIFESTAZIONE

FONDI RISCHI specifica probabile incerto ma determinabile

ignota

FONDI SPESE FUTURE specifica certa

certo o determinabile nota o ignota

DEBITI specifica certa determinato nota TFR specifica certa determinato ignota

Tabella 3.9 Sintesi delle caratteristiche degli elementi passivi del patrimonio

3.5.3. I DEBITI

Per quanto concerne i debiti iscritti nella classe D) del passivo, è sufficiente osservare quanto segue: rappresentano passività certe che produrranno uscite di cassa future, con l’eccezione degli acconti da clienti che rappresentano debiti in natura per prodotti da consegnare o prestazioni da erogare. Come si è già avuto modo di dire, il legislatore richiede che per ciascun debito sia evidenziata separatamente la parte dello stesso con scadenza a medio-lungo termine. 1) obbligazioni: tale posta rappresenta il valore dei prestiti obbligazionari emessi dall’impresa (da non confondere con i titoli obbligazionari collocati nell’attivo) stimati al costo ammortizzato. Tendenzialmente si tratta di un debito a lungo termine, con una quota a breve scadenza.

2) obbligazioni convertibili: sono obbligazioni convertibili in azioni (in alternativa al rimborso) e rappresentano debiti a lungo termine, con una quota a breve.

3) debiti verso soci per finanziamenti: la voce D3 contiene l’importo di tutti i finanziamenti concessi dai soci alla società sotto qualsiasi forma, per i quali la società ha un obbligo di restituzione. I finanziamenti possono essere fruttiferi o infruttiferi a seconda dell’accordo tra i soci e la società e possono anche non essere direttamente proporzionali rispetto alle quote di partecipazione al capitale sociale. L’elemento discriminante per considerare il debito un finanziamento e non un contributo va individuato esclusivamente nel diritto dei soci previsto contrattualmente alla restituzione delle somme versate seppure tale obbligo di restituzione possa, in alcuni casi, assumere la forma del debito postergato rispetto al diritto di altri soggetti di venire pagati/rimborsati. Di tale aspetto la Nota integrativa deve fare

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menzione. I soci possono esprimere il proprio consenso alla rinuncia totale o parziale ai loro crediti per finanziamento trasformandoli in conferimenti destinati alle poste del Patrimonio netto (riserve o aumento/ricostituzione del capitale).

4) debiti verso banche: in tale voce sono iscritti i debiti verso le banche indifferentemente dalla forma che gli stessi assumano. Sono qui ricompresi pertanto gli scoperti di conto corrente, le anticipazioni a scadenza fissa, gli anticipi su fatture o le ricevute bancarie e tutti i finanziamenti a diverso titolo. La Nota integrativa darà poi le opportune indicazioni per le quote di debito a medio-lungo termine scadenti oltre l’anno e i 5 anni oltre che le eventuali garanzie reali poste a tutela della estinzione di tali debiti.

5) debiti verso altri finanziatori: in questa voce sono iscritti i debiti finanziari contratti con finanziatori diversi da obbligazionisti, soci, banche, imprese controllate, collegate, controllanti e imprese soggette a comune controllo. A titolo esemplificativo, sono ricompresi in questa voce: i prestiti da terzi (non banche e non soci) fruttiferi ed infruttiferi; i prestiti da società finanziarie (ad esempio società di factoring solitamente per le cessioni pro-solvendo); le polizze di credito commerciale (commercial papers).

6) acconti: rappresenta i debiti per anticipi ricevuti dai clienti per forniture di beni e servizi non ancora effettuate. Includono anche i debiti per acconti, con o senza funzione di caparra, su operazioni di cessione di immobilizzazioni. Rappresentano, quindi, debiti in natura: non incidono pertanto sull’equilibrio finanziario dell’azienda.

7) debiti verso fornitori: accoglie i debiti originati da acquisizioni di beni o servizi. I debiti verso i fornitori rappresentati da imprese controllate, collegate, controllanti o sottoposte al controllo delle controllanti sono iscritti rispettivamente nelle voci D9, D10, D11 e D11-bis.

8) debiti rappresentati da titoli di credito: perlopiù si tratta di debiti di fornitura (cambiali commerciali). Nella nota integrativa, spesso, viene indicata l’origine di questo debito.

9) debiti verso imprese controllate 10) debiti verso imprese collegate; 11) debiti verso controllanti 11-bis) debiti verso imprese sottoposte al controllo delle controllanti Per la definizione di imprese controllate, collegate, controllanti o sottoposte al controllo delle controllanti si rinvia al disposto normativo dell’art. 2359 c.c., già richiamato in precedenza. La voce D11-bis accoglie i debiti verso imprese soggette a comune controllo (cd. imprese sorelle), diverse dalle imprese controllate, collegate o controllanti. Il legislatore dimostra di riservare particolare attenzione ai debiti (e, nell’attivo, ai crediti) verso imprese collegate, controllate, controllanti o controllate dalla medesima controllante, tanto da richiederne l’esposizione in voci di bilancio distinte dagli altri debiti (crediti) commerciali o finanziari: ciò è anzitutto riconducibile al fatto che quanto più intensi sono i rapporti con queste imprese, tanto più l’equilibrio finanziario dell’impresa risulta condizionato dalle condizioni finanziarie delle aziende ad essa connesse. 12) debiti tributari: rappresenta il debito verso l’erario al netto degli acconti già versati. La voce accoglie pertanto, a differenza dei fondi che abbiamo visto in precedenza, le passività per imposte certe e determinate. Trattasi dei debiti per imposte correnti dell’esercizio in corso e degli esercizi precedenti (dirette ed indirette) dovute in base a dichiarazioni dei redditi, per accertamenti definitivi o contenziosi chiusi, per ritenute operate come sostituto d’imposta e non versate alla data di bilancio, nonché i tributi di qualsiasi tipo.

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13) debiti verso istituti di previdenza e di sicurezza sociale: si tratta tendenzialmente debiti a breve termine. Sono debiti verso istituti di previdenza e di sicurezza sociale derivanti da obblighi contributivi, previdenziali o assicurativi. Nascono per obblighi derivanti da: i) norme di legge; ii) contratto collettivo di lavoro; iii) accordi integrativi locali o aziendali. Sono inclusi in questa voce anche gli importi dei contributi previdenziali e assistenziali trattenuti a carico dei dipendenti, che sono versati dall’impresa in qualità di soggetto che si assume l’obbligo di effettuare il versamento. 14) altri debiti: per cogliere la natura di questi debiti è necessario comunque consultare la nota integrativa. A titolo esemplificativo, nella voce sono ricompresi i debiti nei confronti:

- degli amministratori e dei sindaci per emolumenti; - dei soci per dividendi deliberati ma non ancora distribuiti, per restituzioni di capitale sociale e per

distribuzioni di altre riserve deliberate ma non ancora eseguite; - di obbligazionisti per obbligazioni estratte in base al piano di rimborso; - dei dipendenti per retribuzioni di lavoro subordinato maturate ma non ancora corrisposte incluse le

mensilità aggiuntive maturate e i debiti per ferie, permessi e altri istituti contrattuali o legali maturati e non goduti.

3.6. RATEI E RISCONTI PASSIVI Sono voci speculari a quelle già esaminate nell’attivo, per le quali pertanto possono essere richiamati gli stessi esempi salvo considerare che ci si trova nella situazione opposta: i ratei passivi sorgono in relazione al consumo di servizi (quelli attivi in relazione all’erogazione), i risconti passivi fanno riferimento a servizi ancora da erogare al cliente (quelli attivi a servizi ancora da utilizzare). I ratei passivi rappresentano debiti in moneta per servizi consumati a cavallo di due esercizi: essendo il pagamento posticipato, a fine anno è necessario rilevare il debito per la quota di competenza maturata nel primo esercizio. Si rinvia al commento della corrispondente classe dell’attivo, nonché al capitolo successivo sul conto economico. I risconti passivi rappresentano debiti in natura per servizi da erogare, il cui corrispettivo è già stato incassato. Anche in tal caso si tratta di servizi erogati a cavallo tra due esercizi, il cui valore è proporzionale allo scorrere del tempo.

3.7. GLI STRUMENTI DI FINANZIAMENTO: ELEMENTI INTRODUTTIVI

3.7.1. IL FABBISOGNO FINANZIARIO

L’analisi dei contenuti dello Stato Patrimoniale non ha consentito, ancora, di esaminare le forme tecniche di finanziamento che vengono rappresentate contabilmente come “debiti verso banche”. Nella parte finale del capitolo si vuole quindi fornire una descrizione, seppur sintetica, delle principali forme di finanziamento bancario. L’obiettivo fondamentale è, in questa sede, far comprendere come la scelta delle fonti di finanziamento debba essere attentamente ponderata alla luce di vari fattori: la valutazione delle alternative presenti sul mercato del credito sarà certamente influenzata dal costo delle diverse forme di

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finanziamento, ma al tempo stesso non si potrà prescindere dall’analisi della composizione del fabbisogno da soddisfare. Il fabbisogno di risorse finanziarie (c.d. «fabbisogno finanziario») di un’impresa, può derivare dalla necessità di investire in beni durevoli, ovvero nel capitale circolante (rimanenze, crediti) generato, perlopiù, dallo svolgersi del ciclo economico attraverso le operazioni di acquisto/produzione/vendita. Il fabbisogno finanziario prodotto dagli investimenti in capitale fisso (immobilizzazioni) riguarda beni che, per loro natura, vengono utilizzati più volte nel processo produttivo e sono destinati a permanere nel patrimonio aziendale per più esercizi. Sul piano della convenienza economica, è necessario che il rendimento dell’investimento lungo l’intera vita utile risulti almeno pari al costo medio del capitale raccolto, rappresentato sia dal costo dei finanziamenti esterni che dal ritorno atteso dai soci - considerato il grado di rischio - sul capitale conferito. Sul piano, invece, dell’equilibrio finanziario, è necessario determinare una combinazione equilibrata tra utilizzo di capitale proprio ed indebitamento, al fine di evitare tensioni finanziarie: il capitale ottenuto tramite debito porta con sé non solo un appesantimento della posizione finanziaria netta15, ma anche un’incidenza importante sui costi che confluiscono nel Conto Economico e sull’assorbimento di cassa, a causa del pagamento degli oneri finanziari e della restituzione del debito. Il fabbisogno finanziario correlato alla gestione del ciclo economico di acquisto/produzione/vendita è rappresentato, invece, dalle necessità finanziarie che derivano dal gap temporale che intercorre tra il periodo necessario a trasformare in liquidità le rimanenze e i crediti, e la dilazione concessa dai fornitori sui pagamenti per i fattori produttivi impiegati. Questa problematica richiede un’attenta programmazione delle risorse finanziarie: in particolare, sarà necessario programmare - anche ai fini di un’ottimizzazione dei flussi finanziari - il mantenimento dell’equilibrio tra entrate e uscite di liquidità, tenendo ben presente le condizioni in cui si trova ad operare l’impresa con riferimento ai tempi di incasso dei crediti verso clienti, quelli di pagamento dei fornitori, nonché la velocità di rotazione delle rimanenze nel magazzino. Nella scelta della fonte di finanziamento, sarà poi importante tenere in considerazione il costo dello stesso: necessariamente, questo dipende anche dal grado di rischio che caratterizza l’impresa. L’intermediario finanziario che concede il credito richiederà tassi di interesse maggiori se il rischio è elevato: le imprese più mature impostano perciò un dialogo col sistema creditizio, volto a comprendere le modalità di attribuzione di un rating (o, più correttamente, di uno score) nei loro confronti, per comprendere il legame tra la valutazione del livello di rischio attribuito all’impresa e il costo del finanziamento. In termini generali, dunque, è necessario che l’impresa selezioni le proprie fonti di finanziamento attraverso una programmazione che consideri la composizione del capitale investito. Un primo filtro per la scelta delle fonti di finanziamento dovrebbe individuarsi, dunque, nell’analisi della composizione dell’attivo, tenendo conto del principio di correlazione tra fonti e impieghi: in una politica di finanziamento prudenziale, gli investimenti destinati a permanere a lungo nel patrimonio aziendale dovrebbero essere finanziati con fonti a lungo termine, in particolar modo con patrimonio netto e debiti a lungo termine. Gli impieghi di capitale circolante invece, possono essere finanziati con indebitamento a breve, sia di finanziamento che di funzionamento. Tra gli impieghi a lungo termine rientrano, come si è già potuto considerare, le immobilizzazioni (materiali, immateriali e finanziarie) e i crediti di funzionamento esigibili oltre i 12 mesi, mentre il capitale circolante è composto da rimanenze di magazzino, liquidità e crediti verso clienti.

15 La Posizione Finanziaria Netta complessiva è determinabile, come si vedrà nel capitolo destinato all’analisi di bilancio, come somma dell’indebitamento finanziario al netto delle disponibilità liquide, delle attività finanziarie a breve e dei crediti di finanziamento.

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Con riferimento al capitale conferito dai soci, il legislatore ha fissato precisi limiti: il valore minimo nelle Società a Responsabilità Limitata è fissato in € 10.000 (eccezion fatta per le SrL semplificate, in cui li valore, puramente simbolico, è pari a €1), mentre nelle Società per Azioni (e per quelle in accomandita per azioni) ammonta a 50.000 €. È del tutto evidente che capitali di questa entità non sono sufficienti per avviare attività che necessitano, normalmente, di mezzi cospicui: anche un’azienda che eroga servizi, pur non utilizzando impianti di produzione, deve dotarsi di computer, uffici, mobilio e altre risorse durevoli. In assenza di conferimenti aggiuntivi da parte dei soci, l’impresa deve ricorrere perciò all’indebitamento finanziario per reperire il capitale necessario alla gestione. L’accesso al credito, peraltro, è normalmente soggetto alla concessione di garanzie personali, da parte dei soci, a favore degli intermediari finanziari. Nella quasi totalità dei casi, un’impresa necessita di ingenti finanziamenti ancor prima che il suo ciclo produttivo sia avviato: spesso, infatti, è necessario finanziare anche la fase di costituzione della società (le spese notarili e di registrazione iniziali) e quella di avvio dell’attività (per l’acquisto di brevetti, lo sviluppo iniziale dei prototipi da industrializzare ecc..). Sarà necessario, poi, raccogliere capitale per l’acquisto dei macchinari, degli immobili, delle materie prime, senza dimenticare le uscite finanziarie connesse ai costi per eventuali consulenze esterne e per il personale. Molte uscite di liquidità avvengono, perciò, già prima che il ciclo produttivo giunga alla sua naturale conclusione attraverso la vendita dei prodotti o servizi. In assenza di entrate adeguate dalla gestione operativa, l’impresa dovrà reperire le risorse finanziarie necessarie tramite conferimenti o ricorrendo al debito. Il rapporto tra Patrimonio Netto e debiti rappresenta un parametro fondamentale per l’impresa, perché presenta una correlazione inversa col rischio di default: in altri termini, maggiore è il quoziente maggiore è il rapporto tra questi elementi, minore risulta essere il rischio di default dell’impresa. L’inizio della vita aziendale non è però l’unico momento in cui potrebbe verificarsi una crescita molto rapida del fabbisogno finanziario. In particolare, è possibile distinguere gli investimenti in capitale fisso in base all’esigenza che essi soddisfano, individuando quindi investimenti di:

- sostituzione: per sostituire impianti, cespiti o macchinari usurati; - ammodernamento: quando il tasso di obsolescenza tecnica rende inefficienti o non più sufficienti

i precedenti investimenti; - ampliamento: che possono o potenziare l’impresa aumentandone il livello di produzione o

diversificando l’offerta di prodotto aprendo spazio a nuove linee produttive (potenziamento o ampliamento di gamma);

- strategici: in grado di offrire un vantaggio competitivo all’impresa (investimenti che possono caratterizzare l’attività dell’impresa, rendendola difficilmente imitabile da parte dei concorrenti).

Ogni impresa presenta un differente rapporto di composizione tra capitale fisso e circolante, in relazione al proprio settore di riferimento, al prodotto, ai mercati in cui opera, all’impiego di impianti automatizzati piuttosto che di risorse umane. Il fabbisogno finanziario generato dal capitale circolante è legato a risorse che tendono a trasformarsi in liquidità entro l’esercizio, consentendo in tal modo un rapido rimborso dei finanziamenti. Nelle situazioni migliori, il finanziamento del circolante avviene senza ricorrere all’indebitamento finanziario: questo è possibile quando le entrate connesse ai ricavi sono di per sé sufficienti a far fronte alle uscite di liquidità necessarie per remunerare i fattori produttivi e reperire le risorse materiali e immateriali necessarie alla gestione. Quando, per le condizioni in cui si svolge il ciclo finanziario, non risulta possibile garantire l’equilibrio tra entrate ed uscite monetarie, l’impresa deve ricorrere a fonti di finanziamento esterne. Prima che la materia prima venga trasformata in prodotto finito e che questo si tramuti in liquidità attraverso il processo di vendita, si renderà necessario far fronte al fabbisogno di liquidità per pagare i fattori produttivi (materia prima, personale, consumi vari etc.). Spesso, quindi, le aziende devono accedere a fonti di finanziamento esterne, per sopperire al fabbisogno di liquidità connesso al ciclo economico (acquisto/produzione/vendita) e agli investimenti in beni durevoli.

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Spesso non è sufficiente che vengano poste in essere attente azioni di programmazione finanziaria al fine di ottimizzare il flusso di liquidità generato dalla gestione operativa: non è raro, ad esempio, che alcuni crediti non vengano onorati alla scadenza, vanificando il budget finanziario. Si tratta di accadimenti che possono condurre l’impresa verso una crisi di liquidità, minacciandone l’esistenza nei casi più gravi pur in presenza di un momentaneo equilibrio economico. Negli ultimi anni, la crisi dei mercati ha portato spesso al default di aziende redditizie e con molti ordini da evadere, a fronte di una crescita del costo del credito correlato a indebitamenti pregressi che appesantivano la struttura finanziaria.

3.7.2. LE FONTI DI FINANZIAMENTO Nello Stato Patrimoniale la sezione dell’attivo può essere interpretata come “impieghi di capitale”, mentre la sezione del Passivo come “fonti di capitale”. Come si è visto, gli impieghi di capitale possono essere classificati utilizzando prospettive diverse: (a) attivo immobilizzato vs. attivo corrente (o disponibile), in relazione alla capacità degli elementi patrimoniali di trasformarsi convenientemente in moneta oltre o entro 12 mesi; (b) capitali fissi e capitali circolanti, in relazione alla possibilità di utilizzare gli elementi patrimoniali più volte o, invece, una volta sola nel processo produttivo e (c) attività finanziarie e non finanziarie (rappresentate, cioè, da beni materiali o immateriali). Anche per i finanziamenti è possibile utilizzare diverse modalità di classificazione. In particolare, si distingue tra16:

a) capitale proprio e capitale di terzi: questa distinzione mira a individuare l’origine della provvista di capitale che trova impiego nell’impresa. Il capitale proprio – corrispondente al Patrimonio Netto - è rappresentato dal capitale investito da quei soggetti che, in misura diversa, rischiano di subire le perdite che la gestione potrebbe produrre (perciò detto anche “capitale di rischio”). Nel capitale proprio confluisce il flusso di ricchezza generato (o distrutto) dalla gestione, cioè il reddito: i redditi accantonati (cioè non distribuiti), essendo generati dall’impresa stessa, vengono spesso denominati “autofinanziamento” o “finanziamento interno”. Il capitale di terzi finanzia, a vario titolo, l’attivo aziendale e deve essere rimborsato: include i debiti di funzionamento e quelli di finanziamento;

b) fonti di capitale finanziarie e non finanziarie: la distinzione riporta, in questo caso, alla natura del capitale di finanziamento. Il capitale proprio è potere d’acquisto generico, che assume di volta in volta forme diverse negli elementi dell’attivo in cui è impiegato; i debiti possono essere, invece, debiti in denaro (verso fornitori, verso enti di previdenza, verso banche, ratei passivi…) o in natura (acconti, risconti passivi);

c) fonti di capitale a breve o a medio/lungo termine, in relazione alla durata del finanziamento: inferiore o superiore a 12 mesi.

Nelle Società per Azioni, la raccolta di risorse finanziarie attraverso l’emissione di nuove azioni rappresenta un’ottima alternativa al ricorso al debito, soprattutto se il mercato azionario è particolarmente sviluppato e quindi si è in presenza di un mercato efficiente che consente di avere strumenti e informazioni utili a convogliare capitali alle imprese. Benché il capitale proprio non sia soggetto al vincolo di restituzione e apparentemente non comporti alcun costo in quanto non prevede il pagamento di interessi, è implicito nell’intenzione degli azionisti investire il proprio capitale nell’impresa col fine di ricavarne un

16 Cfr. M.Fanni, L.Cossar “Il metodo contabile”, Carocci ed. 2015 pag. 54 ss.

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vantaggio economico, rappresentato nel breve periodo dal dividendo e nel medio-lungo termine dall’aumento di valore delle quote di capitale possedute. Inoltre, è ragionevole attendersi che i portatori di capitale proprio abbiano aspettative di remunerazione del capitale investito superiori a quelle dei portatori di capitale di credito (terzi finanziatori: intermediari finanziari, obbligazionisti…), considerato il maggior rischio cui sono soggetti. Nell’ambito del capitale di terzi è già stata introdotta, sin dal primo capitolo, la distinzione tra debiti di funzionamento (che sorgono in virtù dei rapporti instaurati con terzi nello svolgersi della gestione) e debiti di finanziamento (finalizzati, cioè, a reperire il capitale necessario per finanziare le attività aziendali). Il ricorso al finanziamento tramite soggetti abilitati all’esercizio del credito (banche e intermediari creditizi) o tramite l’emissione di titoli di debito (obbligazioni) comporta dei costi, che rappresentano la remunerazione per il servizio ottenuto. Va considerato, inoltre, che i finanziatori si assumono il rischio di vedersi restituita solo una parte del finanziamento erogato – o persino di perdere il capitale concesso in prestito - a causa dell’insolvenza del soggetto finanziato: pur essendo spesso mitigato attraverso specifiche garanzie collaterali richieste ai beneficiari del servizio, questo rischio influenza il costo del finanziamento. Considerata, perciò, la necessità di contenere gli oneri finanziari, è agevole comprendere l’importanza, per l’impresa, di una buona programmazione finanziaria che consenta di controllare il fabbisogno di finanziamento. Attraverso gli strumenti della corporate finance è possibile programmare gli investimenti, valutarne il rendimento e il livello di rischio, selezionare le fonti di finanziamento che meglio rispondono alle esigenze dell’impresa e individuare le modalità di restituzione del capitale attraverso una dettagliata analisi dei flussi di cassa. Una rigorosa programmazione finanziaria rappresenta il principale strumento di prevenzione contro eventuali dissesti finanziari: predisporre un piano previsionale economico (ricavi e costi) prima e finanziario poi (entrate e uscite), che tenga conto dei finanziamenti in essere unitamente alle ipotesi di finanziamenti futuri, del costo degli stessi e della capacità dell’impresa di far fronte agli impegni assunti, consentirà al management aziendale di adottare scelte virtuose per l’impresa. Un’impresa deve quindi ricorrere al finanziamento esterno solo dopo un’attenta analisi, facendolo rientrare in un progetto ben strutturato, programmato per obiettivi e per fasi. Lo studio del cash flow generato e generabile nonché l’analisi del rendimento degli investimenti (ad esempio attraverso il metodo del Valore Attuale Netto), sono operazioni decisive in tutti i contesti: sviluppo di nuovi business, ampliamento di quelli esistenti, operazioni di ristrutturazione del debito o di finanza straordinaria (acquisizioni e cessioni di aziende, fusioni etc.). Sulla base delle considerazioni fatte, si può affermare che la scelta delle modalità di finanziamento non può prescindere da cinque elementi fondamentali:

1. un’adeguata programmazione finanziaria della gestione; 2. un’analisi della tipologia di fabbisogno finanziario da soddisfare: a breve o a lungo termine; 3. la valutazione del costo del finanziamento, comprensivo non solo degli interessi, ma anche di

eventuali oneri accessori (spese di istruttoria, di gestione, etc.); 4. una previsione dei flussi correlati al finanziamento: la tempistica dei rimborsi deve essere

compatibile con la capacità dell’impresa di generare la liquidità necessaria; 5. un’attenta considerazione dell’impatto fiscale del finanziamento: gli oneri connessi ai

finanziamenti sono deducibili in massima parte (salve alcune limitazioni di cui si dirà nel capitolo dedicato al reddito di impresa) ai fini della determinazione del reddito imponibile.

Di seguito, si propone una breve trattazione delle diverse fonti di finanziamento disponibili tramite ricorso al debito, ponendo l’enfasi soprattutto sui diversi servizi offerti direttamente dal sistema bancario.

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3.7.2.1. I SERVIZI DI CREDITO BANCARIO PER IL FINANZIAMENTO DEL CAPITALE CIRCOLANTE I contratti di finanziamento del capitale circolante sono contraddistinti dal fatto di rappresentare, per l’impresa, debiti di breve durata: la loro funzione, infatti, è quella di far fronte ad una temporanea esigenza di liquidità, consentendo così all’impresa di superare eventuali situazioni d’emergenza. Tali forme di finanziamento nascono, quindi, per chiudersi in tempi brevi: se ciò non dovesse avvenire, sarebbe un segnale di tensione finanziaria. I finanziamenti in oggetto sono solitamente concessi senza richiesta di garanzie reali17 e in virtù di ciò comportano, a carico del sistema creditizio, la necessaria rilevazione di un maggior rischio di insolvenza. Per tale motivo, in linea di massima, sono forme di finanziamento più onerose rispetto ad analoghi finanziamenti a medio/lungo termine o comunque garantiti. In termini di ottimale rapporto fonti/impieghi, non è corretto utilizzare fonti di finanziamento a breve per sostenere investimenti durevoli: considerato il lasso temporale più lungo per trasformare questi beni in liquidità, rispetto a quello richiesto per il rimborso dei finanziamenti esigibili entro l’anno, inevitabilmente l’impresa giungerebbe ad una situazione di squilibrio finanziario. Né, del resto, sarebbe possibile per l’impresa - nella prospettiva della continuità aziendale – cedere i beni oggetto dell’investimento per poter riacquisire le risorse finanziarie necessarie al rimborso del finanziamento contratto: aziende nelle quali si assista a dismissioni non ordinarie di mezzi di produzione, che non siano cioè legate ad un normale ciclo di sostituzione, dimostrano di non godere di un buon equilibrio finanziario. È possibile identificare due macro-classi di finanziamenti dedicati a finanziare fabbisogni temporanei di liquidità: strumenti direttamente riferibili a specifiche necessità e strumenti a carattere generale. Nel primo gruppo vanno annoverati gli strumenti di finanziamento destinati a supportare il ciclo di produzione/vendita dell’impresa, avendo l’obiettivo di monetizzare e rendere immediatamente disponibili all’impresa i crediti di funzionamento: anticipo su fatture, sconto degli effetti, factoring. Questi strumenti consentono di ridurre il gap che si origina in forza della negoziazione tra le parti, per cui il cliente cerca di ottenere dall’impresa condizioni di pagamento quanto più possibile favorevoli, spostando il pagamento nel tempo. Il debito che sorge tra banca e impresa si estingue nel momento in cui il cliente debitore dell’impresa adempie all’obbligazione monetaria sottostante, che ricordiamo avere alla base un rapporto commerciale. L’impresa effettua la vendita e per essa emette obbligatoriamente una fattura che, normalmente, prevede una dilazione di pagamento tra i 30 e i 60/90 giorni (secondo le condizioni negoziate per il suo pagamento con il cliente); la banca supporta, in cambio di un interesse, tale esposizione finanziaria, anticipando di fatto la liquidità correlata al credito sino alla sua naturale scadenza. In queste operazioni esiste una data di rimborso a cui fare riferimento. Rispetto agli affidamenti o alle altre linee di credito non direttamente correlabili a specifici elementi attivi (crediti, rimanenze), questi finanziamenti hanno un costo inferiore, in virtù del minor premio per il rischio richiesto dalla banca. Questi strumenti, chiamati in alcuni casi

17 Le garanzie reali sono quelle più comunemente richieste dagli istituti di credito, perché gravano su beni immobili (ipoteca) o mobili (pegno), sui quali il creditore acquisisce il duplice diritto di procedere ad esecuzione forzata sul bene e di soddisfarsi sul prezzo ricavato dalla vendita dello stesso, con prelazione rispetto ad altri creditori. Le garanzie personali, invece, gravano su un soggetto terzo: quando il debitore principale risulta inadempiente, il terzo risponde della sua obbligazione col proprio patrimonio. Nella fidejussione, il fidejussore presta la propria garanzia per l’adempimento di un’obbligazione altrui, essendo di fatto obbligato personalmente nei confronti del creditore. L’avallo, altra garanzia personale, è ormai piuttosto rara: quando il debito è rappresentato da una cambiale, il terzo garante la sottoscrive “per avvallo”. Quando una banca presta garanzia a favore di un cliente si parla di “credito di firma”.

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anche autoliquidanti, sono condizionati nella loro capacità di estinzione, che risulta subordinata al pagamento da parte dei debitori dell’impresa, legandosi quindi al rapporto esistente tra clienti e impresa. Alle volte possono anche assumere la forma di anticipi, a fronte di contratti concessi, per una percentuale del corrispettivo contrattualizzato. Il caso più tipico è quello che riguarda lo sviluppo di commesse a lungo termine, per le quali le imprese necessitano di un impegno finanziario iniziale superiore, in quanto i primi incassi si manifesteranno solo al completamento di una certa parte dell’opera. L’anticipo erogato dalla banca sarà riassorbito a mano a mano che, a fronte dell’emissione di fatture in corrispondenza ai previsti stati di avanzamento del lavoro in corso, l’impresa incasserà il corrispettivo dal cliente. Qualora l’impresa fornisca garanzie ulteriori (garanzie reali o garanzie personali da parte dei soci), oltre all’esistenza del credito, si riduce notevolmente il rischio per la banca di un possibile insoluto consentendo di contenere al massimo i costi dell’operazione. Gli strumenti più comunemente utilizzati dalle imprese per finanziare operazioni specifiche sono certamente l’anticipo salvo buon fine su ricevute bancarie e l’anticipo fatture. Simile all’anticipo fatture in termini di monetizzazione del credito, ma su basi normative profondamente diverse, è il factoring. Anche l’utilizzo dello scoperto di conto corrente risulta molto frequente, ma andrebbe utilizzato solo in via residuale. L’anticipo salvo buon fine rappresenta un accordo secondo cui l’istituto di credito concede il finanziamento a fronte di un credito vantato dall’impresa verso un proprio cliente: l’estinzione del debito verso l’istituto finanziatore avviene nel momento in cui vengono recuperati i crediti anticipati (solitamente mediante la girata di un titolo). Questa forma di finanziamento presuppone l’esistenza presso la banca di una linea di credito utilizzabile nella forma di sconto di ricevute bancarie, chiamato castelletto salvo buon fine. Negli ultimi anni la ricevuta bancaria è stata rimpiazzata da un supporto elettronico chiamato Ri.BA. L’impresa emette per ciascuna fattura una ricevuta (in formato elettronico) completa dei dati necessari all’identificazione dei soggetti coinvolti: nominativo dell’impresa, nominativo del debitore, consistenza dell’importo e riferimento della fattura. Per il calcolo dell’onere finanziario si tiene conto del tempo che separa l’emissione della ricevuta bancaria, corrispondente con l’erogazione della liquidità da parte della banca, e il momento del successivo pagamento da parte del cliente che va a chiudere l’esposizione. Ci sono sostanzialmente due modalità in cui può operare tale finanziamento: • viene utilizzato un conto specifico denominato “anticipo su ricevute bancarie” che, parallelamente al

conto corrente ordinario, funge da contenitore nel quale veicolare le risorse finanziarie. La banca addebita l’importo degli effetti alla data di emissione dell’anticipo e tale somma rientra immediatamente nelle disponibilità liquide per l’impresa;

• una seconda modalità è l’accredito diretto in conto corrente, per quelle imprese che solitamente usano un numero di effetti limitato. L’onere finanziario è relativamente più alto, quindi è uno strumento che diventa convenientemente accessibile solo da imprese che presentano un saldo di conto corrente negativo per intervalli di tempo molto brevi. In questo caso viene anticipato totalmente l’importo nominale del foglio degli effetti presentato.

È opportuno fare alcune precisazioni sull’utilizzo dell’anticipo salvo buon fine. Anzitutto, questo strumento non si presta per finanziare impieghi immobilizzati: pur risultando l’onere finanziario sensibilmente inferiore rispetto ad altri strumenti di credito, questa forma di finanziamento è necessariamente legata alle dinamiche del processo di produzione, vendita e incasso. Viceversa, l’anticipo salvo buon fine risulta particolarmente adatto alle imprese che hanno numerosi crediti di fornitura di importo non molto elevato, in quanto può rendere più efficiente la gestione del capitale circolante: di fatto, l’anticipo rappresenta un servizio di incasso, perché nel momento in cui viene emesso l’effetto, la banca inoltra gli avvisi ai clienti dell’impresa, creando una sorta di scadenziario e stimolo al mantenimento delle scadenze di pagamento contrattate e previste.

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L’anticipo su fatture è chiamato anche operazione di sconto, ed è disciplinato dall’articolo 1858 c.c.: l’impresa emette una fattura di vendita al proprio cliente che, in base alle condizioni contrattuali, non onora subito il proprio debito. Tecnicamente l’impresa trasmette la fattura alla banca, che si impegna a versare l’importo salvo buon fine, sempre ovviamente all’interno di un plafond di credito preventivamente concesso. Solitamente le banche non anticipano l’intero importo del credito: è uso comune che l’anticipo sia nell’ordine del 75/80% del valore della fattura. È un servizio che comporta un costo superiore rispetto allo strumento dell’anticipo salvo buon fine. Ciò che è trattenuto dalla banca come garanzia viene restituito alla naturale scadenza, quando cioè il cliente paga la fattura per l’intero importo addebitato. È uno strumento largamente utilizzato dalle imprese che lavorano con un numero limitato di clienti e con importi unitari di fattura piuttosto elevati. Il factoring è esercitato da istituti di credito o anche da società finanziarie specializzate e autorizzate all’esercizio di tale attività sotto il controllo di Banca d’Italia. Il factor (o, più semplicemente, la banca che offre un servizio di questo tipo) si impegna a riscuotere i crediti commerciali dell’azienda oltre che a finanziarne una parte a fronte della cessione degli stessi; la sua attività non si ferma solitamente ad una mera prestazione di servizi di gestione ed incasso del credito per la quale richiede una commissione, ma prevede anche un finanziamento che può assumere diverse forme contrattuali. Nella sostanza si tratta di una vera e propria cessione di crediti: questa rappresenta la principale differenza rispetto agli altri strumenti sin qui descritti. Mentre nelle operazioni di finanziamento correlate all’esistenza di crediti supportati da documenti quali le fatture il credito resta formalmente di proprietà dell’impresa, nel factoring è prevista una vera e propria cessione del credito. In forza di tale cessione la società di factoring ha titolo per richiedere al cessionario il pagamento del credito. Il finanziamento del factor a fronte della cessione del credito in genere arriva ad una percentuale che si aggira al 70% del valore del credito. L’operazione di factoring può aver luogo sia pro solvendo che pro soluto: nel primo caso il rischio di incasso grava sull’impresa che ha ceduto il credito, mentre nella forma pro soluto è la società di factoring a assumersi il rischio. In questo secondo caso la forma di finanziamento è, perciò, molto più onerosa: gli oneri sono legati alle commissioni di factoring, agli interessi sugli importi anticipati, alle spese di istruttoria e all’imposta di registro applicata in misura proporzionale rispetto al valore del credito. Da ultimo, tra le forme di finanziamento del circolante occorre citare le anticipazioni in conto corrente: in questo caso la banca, fatte le opportune analisi di meritorietà creditizia dell’impresa finanziata, concede la possibilità di utilizzare un certo ammontare di denaro a valere su un apposito conto corrente, a fronte di un’apposita garanzia. La somma di denaro è utilizzabile ripetutamente dal cliente nel tempo. L’impresa ha la facoltà di ripristinare questa somma con diversi versamenti, a copertura del debito che matura interessi. Tale strumento è dotato di una scadenza naturale, dove l’impresa dovrà restituire la somma per la quale risulta ancora debitrice. Sotto il profilo strutturale, il contratto di anticipazione bancaria è simile al contratto di apertura di credito dal quale si differenzia per la presenza di un ulteriore elemento costitutivo: la garanzia reale mobiliare, cioè il pegno, che costituisce elemento essenziale del contratto dal momento della conclusione e per tutta la durata dello stesso. Il calcolo degli interessi avviene in via posticipata, tenendo ovviamente conto del periodo di tempo di esposizione in ragione dell’utilizzo. Rispetto alle altre forme di finanziamento indicate il costo è sicuramente superiore, in ragione del maggior rischio cui l’Istituto si sottopone. Altre forme di finanziamento a breve termine, rivolte però a supportare la gestione in termini più generali, sono:

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1) l’apertura di credito ordinaria in conto corrente denominata anche overdraft facility. La banca, previa una fase istruttoria in cui valuta la possibilità di affidamento dell’impresa cliente, mette a disposizione una determinata somma di denaro che la stessa può utilizzare per le proprie esigenze. Il fido di cassa rappresenta l’importo massimo per il quale il conto corrente può andare a debito. Anche questo strumento, ovviamente, comporta il pagamento di oneri finanziari e spese. Tra le forme di finanziamento esaminate finora, questa è quella più elastica e adatta alla gestione di fabbisogni di liquidità temporanei improvvisi ed è uno strumento di particolare rilevanza per le imprese che presentano dei flussi finanziari altalenanti. Sicuramente non è uno strumento di cui abusare, e un suo utilizzo costante e in misura sempre massimale è indice di una costante difficoltà di gestione della liquidità da parte dell’impresa. Qualora la banca intuisca un incremento di rischiosità per il credito concesso è possibile che richieda un rientro con un preavviso molto breve, cosa che comporterebbe un’ulteriore difficoltà per l’impresa che si troverebbe in breve tempo a far fronte a tale esigenza. La recente introduzione del Codice della Crisi e dell’Insolvenza influirà particolarmente sulla scelta degli strumenti di finanziamento da parte delle imprese, in quanto sarà obbligatorio dotarsi di modelli per la prevenzione della crisi aventi l’obiettivo di far emergere tempestivamente e preventivamente eventuali situazioni di dissesto economico-finanziario.

2) l’apertura di credito ipotecaria in conto corrente: in questo caso il finanziamento sotto forma di apertura di credito in conto corrente è assistito da ipoteca su beni immobili di proprietà del cliente. L’importo del finanziamento è, usualmente, sensibilmente inferiore al valore cauzionale degli immobili a garanzia per i quali la banca commissiona una perizia di valutazione. La somma finanziata può essere restituita in un'unica soluzione o attraverso diversi versamenti successivi con uno scadenziamento degli oneri finanziari e delle spese addebitate. Il contratto di solito ha durata inferiore ai due anni, ma può essere anche a tempo indeterminato. Tale strumento è soggetto al rischio di tasso, qualora venga applicato un tasso variabile. In ogni caso, è prassi stabilire un tasso minimo (c.d. floor) ed un tasso massimo (c.d. cap) anche attraverso l’utilizzo di appositi strumenti finanziari di copertura.

3) la polizza di credito commerciale: è uno strumento largamente utilizzato nel mercato finanziario. Simile all’accettazione bancaria, un’impresa riceve un finanziamento previo il rilascio di un documento inquadrabile civilisticamente come una ricognizione di debito, in cui l’impresa si riconosce debitrice di una certa somma, superiore a quella ricevuta. I soggetti che intervengono nell’emissione di una polizza commerciale sono: l’impresa richiedente credito, la banca, nonché uno o più investitori. L’impresa richiedente credito emette un documento nel quale riconosce l’esistenza di un debito caratterizzato da alcuni elementi quali la scadenza, il tasso di interesse e il nome della banca presso la quale dovrà essere effettuato il pagamento. La banca, dal suo lato, rilascia una fidejussione attraverso cui garantisce il buon fine del credito a favore del creditore originale o di chiunque sia entrato in possesso della polizza di credito commerciale (le polizze infatti possono essere oggetto di negoziazione). In questo caso, pertanto, la banca diviene garante dell’esistenza di un credito. L’operazione è piuttosto breve: la sua durata può andare da uno a tre mesi.

4) Il c.d. denaro caldo: si parla di denaro caldo nel caso in cui la banca conceda all’impresa un affidamento di brevissima durata (solitamente inferiore ai 30 giorni). Successivamente all’affidamento l’impresa può richiedere l’erogazione del finanziamento che sarà accreditato sul conto corrente. Alla scadenza l’impresa rimborserà il prestito unitamente agli interessi maturati. È un finanziamento non collegato ad operazioni di smobilizzo crediti e quindi per la banca si determina un rischio assimilabile a quello presente nelle operazioni di scoperto di conto corrente. Solitamente viene utilizzato per far fronte a improvvise necessità di risorse finanziarie e risulta piuttosto costoso.

3.7.2.2. IL FINANZIAMENTO DEL CAPITALE FISSO

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Le imprese, oltre alla finanza utile a sostenere il ciclo del circolante, necessitano di fonti di finanziamento a medio-lungo termine per sostenere gli investimenti a carattere duraturo, in particolare quelli relativi a fattori produttivi ad utilità ripetuta. Si tratta di coprire un fabbisogno finanziario differente rispetto a quello generato dal capitale circolante, se non altro per l’entità che, solitamente, risulta molto superiore: si pensi all’investimento in macchinari, impianti, immobili e fabbricati, ma anche in brevetti, opere d’ingegno, licenze. L’acquisizione delle risorse finanziarie necessarie comporta costi elevati, ragione per cui è opportuna una programmazione che vada oltre il breve periodo. Gli investimenti sono necessari nelle fasi iniziali della vita dell’impresa, ma successivamente il fabbisogno di liquidità legato a investimenti durevoli si ripresenta quando è necessario incrementare o sostituire gli investimenti iniziali. L’acquisizione di capitali fissi comporta, sul piano finanziario, un’uscita immediata di liquidità pari al costo dei beni. Un’uscita di entità molto elevata potrebbe risultare non sostenibile a causa dell’insufficiente dotazione di liquidità, potrebbe essere pericolosa per l’equilibrio finanziario dell’impresa o, ancora, non opportuna sul piano strategico: può risultare utile, quindi, ricorrere a strumenti di finanziamento di lungo periodo a supporto di tali operazioni. L’indebitamento di lungo periodo necessita sempre di un’attenta valutazione degli impatti sulle future necessità di cassa e sull’effettiva capacità dell’impresa di restituire il debito, tenendo in considerazione anche l’obbligo di onorare i costi correlati all’operazione. Verranno di seguito introdotti sinteticamente gli strumenti di finanziamento a lungo termine maggiormente diffusi: 1) nel mutuo un prenditore di fondi fa richiesta di finanziamento, impegnandosi a sua volta a restituire

l’importo dello stesso attraverso pagamenti periodici (rate). Ogni rata comprende due componenti, una destinata al pagamento degli interessi (rilevata come onere finanziario nel Conto Economico) ed una legata al rimborso di capitale (a riduzione del debito, nello Stato Patrimoniale). Il pagamento delle rate avviene secondo un piano prestabilito, chiamato piano d’ammortamento: questo può essere a rata decrescente (la quota capitale rimane costante e la quota interessi decresce essendo calcolata sul debito residuo), o a rata costante (ammortamento c.d. «francese») dove la rata complessiva rimane immutata per l’intero periodo del piano di ammortamento, come somma di una quota capitale crescente e di una quota interessi che si riduce via via con la diminuzione del debito residuo. Il tasso può essere fisso, indipendente dalle condizioni di mercato, oppure variabile, ovvero legato ai classici indici di mercato (EURIBOR, LIBOR etc.) ai quali si aggiunge uno spread a favore della banca, definito in fase contrattuale. Questa forma di finanziamento può essere di due tipologie principali: chirografario o garantito. Il mutuo chirografario è privo di garanzia reale e prevede solo un accordo scritto tra mutuante e mutuatario, in cui la garanzia prevista è costituita unicamente dalle firme personali. Solitamente viene erogato per periodi piuttosto brevi. Il tasso di interesse risulta maggiore rispetto al mutuo garantito, in virtù del maggior rischio di credito assunto dalla banca. Nel mutuo garantito il contratto prevede una forma di garanzia: questa può essere reale - come nel mutuo ipotecario, in cui la garanzia viene costituita su un bene, normalmente un immobile - o personale, come nel mutuo fidejussorio, in cui il debitore, con l’apposizione della propria firma a garanzia del finanziamento, diviene garante dello stesso col suo patrimonio personale. Tra le diverse tipologie quello più usato è il mutuo ipotecario, spesso legato all’acquisto di un bene immobile strumentale o alla sua ristrutturazione. Il costo del mutuo non comprende solo la componente degli interessi, ma anche le spese di istruttoria della pratica, eventuali spese notarili, spese di valutazione della garanzia, imposte varie. La dimensione del prestito è legata alla capacità di rimborso dell’impresa e quindi, in definitiva, dal suo cash flow operativo;

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2) i finanziamenti in pool sono finanziamenti di lungo periodo in cui un gruppo di banche mette a disposizione una linea di credito per l’impresa. Si tratta di una forma di finanziamento cui si ricorre, in genere, per sostenere investimenti di importi piuttosto elevati, in cui una singola banca non accetta di sostenere tutta l’esposizione in proprio e preferisce ripartire il rischio con altri istituti. L’azienda, grazie a queste forme di finanziamento, non deve rinunciare ai suoi progetti di investimento e ha la possibilità di procedere con maggiore rapidità rispetto a interloquire in maniera separata con più soggetti. Un finanziamento in pool è caratterizzato, dunque, dalla presenza di più soggetti: l’arranger è la banca capofila, che si occupa dell’organizzazione dell’operazione e della costituzione del gruppo degli istituti di credito che andranno a formare il pool. Le banche partecipanti sono gli istituti di credito che erogano una parte del finanziamento all’impresa debitrice; infine, l’agent bank è la banca incaricata dell’effettiva gestione amministrativa del prestito.

3) Il leasing finanziario: si tratta di un contratto in cui una società di leasing concede ad un soggetto l’utilizzo di un bene per un certo periodo di tempo dietro il pagamento di canoni periodici. Al termine del contratto vi è la possibilità per l’impresa di acquistare il bene pagando un prezzo di riscatto, che perlopiù risulta conveniente. I canoni di leasing, cioè i pagamenti periodici, includono una componente a rimborso del valore del finanziamento insito nel contratto, unitamente ad una componente corrispondente all’onere finanziario connesso all’operazione. Rispetto alle altre forme di finanziamento, il leasing non richiede particolari garanzie. Per certi versi il leasing pare simile ad un noleggio a lungo termine, ma a differenza di quest’ultimo viene segnalato in Centrale Rischi e appesantisce la posizione finanziaria netta dell’impresa.

Oltre a quelle indicate, esistono poi numerose altre tipologie di finanziamenti a medio – lungo termine nella prassi creditizia. Si è già parlato, ad esempio, dei prestiti obbligazionari: titoli di debito che sono emessi dalle società in diverse forme (convertibili o meno in capitale azionario) e che danno il diritto a chi li sottoscrive di ottenere un rendimento sotto forma di interesse e di lucrare (qualora possano essere cedute) su un eventuale differenza di valore incrementale tra valore di sottoscrizione/acquisto e valore di cessione. Una particolare fonte di finanziamento a lungo termine è rappresentata dalla c.d. mezzanine finance. Si tratta di una tipologia intermedia tra il capitale proprio e quello di terzi, in quanto risulta subordinata rispetto agli altri prestiti ma privilegiata rispetto alle azioni ordinarie. In questo senso, essendo subordinato nel rimborso, questo finanziamento viene indicato come junior debt a fronte dei senior debt rappresentati dagli altri debiti finanziari. Il debito subordinato è in genere coperto da una garanzia reale (collateral) sulle attività dell’azienda, che però è residuale rispetto al debito senior con la conseguenza che in caso di inadempienza dell'impresa verrà rimborsato prima il valore nominale del senior debt e in via residuale, dal ricavato della liquidazione, i subordinated debts. È uno strumento piuttosto costoso: considerato il grado di rischio per i suoi sottoscrittori, risulta più costoso del debito ma meno oneroso del capitale proprio (considerato il tasso di ritorno atteso dai soci sul capitale investito). I Basket Bond e i Mini Bond rappresentano strumenti di finanziamento di recente introduzione. I primi consentono il finanziamento di gruppi di imprese (da cui il termine basket) di dimensioni contenute ma caratterizzate da progetti di sviluppo molto solidi: il finanziamento avviene attraverso l’emissione di bond (titoli obbligazionari) da parte delle aziende ammesse al finanziamento, verso un soggetto (Special Purpose Vehicle) che a sua volta li acquista finanziandosi attraverso l’emissione di titoli collocati sul mercato e, in genere, sottoscritti da grandi investitori. Si tratta, dunque, di un’operazione di cartolarizzazione. I mini-bond – termine, questo, non giuridico ma di uso comune – sono titoli di debito emessi da piccole e medie imprese, sottoscritti da investitori professionali e qualificati. Nel 2012, il Decreto Sviluppo aveva eliminato il vincolo che ancora sussisteva per le società non quotate, di emissione di prestiti obbligazionari, il cui valore non poteva eccedere il doppio della somma del capitale sociale e

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delle riserve disponibili risultanti dall’ultimo bilancio: questo intervento normativo ha, di fatto, favorito il collocamento di obbligazioni sul mercato da parte delle piccole-medie imprese, ampliando in tal modo la gamma di fonti di finanziamento a medio-lungo termine. Il panorama degli strumenti a disposizione delle imprese è vasto e in continua evoluzione; si consideri, poi, che le singole forme di finanziamento devono essere tra loro opportunamente coordinate. La scelta in merito al corretto mix è, indubbiamente, complessa e necessita di una solida pianificazione. Non è possibile, ma di fatto nemmeno il sistema creditizio lo consente, richiedere e utilizzare strumenti di debito senza comprenderne appieno la destinazione e la capacità di restituzione da parte dell’impresa. Compito dell’imprenditore e del responsabile della funzione finanza (CFO) è muoversi all’interno di un piano che cerchi costantemente di monitorare e supportare i picchi di fabbisogno finanziario, coordinando i finanziamenti dedicati, non dedicati, a ciclo breve e medio-lungo, unitamente alle scadenze di incasso e pagamento di clienti e fornitori.