2.4 idrocarburi da liquefazione diretta di combustibili solidi · 2.4.1 introduzione il carbone è...

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2.4.1 Introduzione Il carbone è sempre stato impiegato, in maniera pre- valente, per la generazione di potenza e in campo me- tallurgico. In più occasioni, però, si è presa in consi- derazione anche la possibilità di usarlo per la prepara- zione di idrocarburi liquidi da utilizzare nel trasporto veicolare. La produzione di idrocarburi liquidi dal carbone (syn- crude) può essere effettuata seguendo due diverse filie- re tecnologiche: la liquefazione indiretta, ossia la gassi- ficazione in gas di sintesi e successiva sintesi Fischer- Tropsch e la liquefazione diretta, ossia la trasformazione del carbone in idrocarburi liquidi in un unico passaggio mediante un processo di hydrocracking. Queste tecnologie furono entrambe sviluppate in Ger- mania prima della Seconda Guerra Mondiale per far fron- te all’embargo petrolifero cui, allora, quel paese fu sot- toposto e per produrre carburanti liquidi, utilizzando materie prime largamente disponibili sul suo territorio. A partire dal secondo dopoguerra, però, la grande dispo- nibilità di greggio le ha rese largamente inutili, eccetto che per il Sudafrica (processi Sasol I e II), a causa dell’iso- lamento di quel paese dalla comunità internazionale, pro- vocato dalla sua politica di apartheid (ormai superata). A partire dal 1967, anno del primo shock petrolifero, quelle tecnologie furono di nuovo prese in considera- zione e per almeno 20 anni venne realizzato un intenso lavoro di R&S (ricerca e sviluppo) per individuare nuove soluzioni di processo in grado di rendere la produzione di syncrude da carbone competitiva con il petrolio. Nel caso della liquefazione diretta, per esempio, si ottenne- ro importanti risultati che consentirono di migliorarne sensibilmente le prestazioni, giungendo a rendere fatti- bili processi in grado di produrre fino a 5 bbl di olio per 1 t di carbone trattato. Sebbene venissero sviluppati diversi processi anche a livello di impianto dimostrativo, la caduta del prezzo del greggio a partire dal 1985 impedì, ancora una volta, l’affermazione di questa tecnologia a livello commer- ciale, provocando inoltre un taglio di spesa per gran parte delle attività di ricerca nel settore. Agli inizi del 2000, l’attenzione si è riaccesa grazie alla realizzazione di alcu- ni nuovi impianti industriali per la liquefazione del car- bone in Asia (e in particolare in Cina), cioè in aree eco- nomicamente emergenti che dispongono di ingenti riser- ve di questa materia prima. Infatti, l’ulteriore affinamento della tecnologia e il conseguente abbassamento dei costi di produzione, insieme a considerazioni di carattere stra- tegico, renderebbero attraenti iniziative industriali in que- sto settore, almeno a livello locale. Ruolo del carbone nello scenario energetico internazionale Il carbone è la fonte fossile più abbondante del nostro pianeta. Le riserve provate sono stimate intorno a 10 12 t e rappresentano i 2/3 del totale dei combustibili fossili esistenti. Ai consumi attuali, questa fonte potrebbe dura- re per oltre 200 anni. La produzione mondiale di carbo- ne (circa 5,410 9 t/a nel 2003) copre 1/4 del fabbisogno energetico mondiale (10,6 Gtep/a nel 2003); inoltre, con- trariamente all’olio e al gas naturale, le riserve di car- bone sono ben distribuite a livello geografico e quasi la metà di esse sono localizzate in paesi dell’area OCSE (Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Eco- nomico). In particolare, il 26,2% delle riserve provate sono situate nell’America Settentrionale; il 12,4% in Europa; il 23,5% nei paesi dell’ex URSS e ben il 29,7% nell’area Asia-Pacifico, ovvero in paesi come la Cina e l’India dove è concentrata una popolazione in forte svi- luppo (fig. 1). Questi fattori hanno contribuito a mantenere suffi- cientemente stabile nel tempo il prezzo di mercato di questo combustibile, anche in situazioni di forte tensio- ne internazionale, come gli shock petroliferi o, più recen- temente, la Guerra del Golfo e quella in Iraq (fig. 2). Il 113 VOLUME III / NUOVI SVILUPPI: ENERGIA, TRASPORTI, SOSTENIBILITÀ 2.4 Idrocarburi da liquefazione diretta di combustibili solidi

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2.4.1 Introduzione

Il carbone è sempre stato impiegato, in maniera pre-valente, per la generazione di potenza e in campo me-tallurgico. In più occasioni, però, si è presa in consi-derazione anche la possibilità di usarlo per la prepara-zione di idrocarburi liquidi da utilizzare nel trasportoveicolare.

La produzione di idrocarburi liquidi dal carbone (syn-crude) può essere effettuata seguendo due diverse filie-re tecnologiche: la liquefazione indiretta, ossia la gassi-ficazione in gas di sintesi e successiva sintesi Fischer-Tropsch e la liquefazione diretta, ossia la trasformazionedel carbone in idrocarburi liquidi in un unico passaggiomediante un processo di hydrocracking.

Queste tecnologie furono entrambe sviluppate in Ger-mania prima della Seconda Guerra Mondiale per far fron-te all’embargo petrolifero cui, allora, quel paese fu sot-toposto e per produrre carburanti liquidi, utilizzandomaterie prime largamente disponibili sul suo territorio.A partire dal secondo dopoguerra, però, la grande dispo-nibilità di greggio le ha rese largamente inutili, eccettoche per il Sudafrica (processi Sasol I e II), a causa dell’iso-lamento di quel paese dalla comunità internazionale, pro-vocato dalla sua politica di apartheid (ormai superata).A partire dal 1967, anno del primo shock petrolifero,quelle tecnologie furono di nuovo prese in considera-zione e per almeno 20 anni venne realizzato un intensolavoro di R&S (ricerca e sviluppo) per individuare nuovesoluzioni di processo in grado di rendere la produzionedi syncrude da carbone competitiva con il petrolio. Nelcaso della liquefazione diretta, per esempio, si ottenne-ro importanti risultati che consentirono di migliorarnesensibilmente le prestazioni, giungendo a rendere fatti-bili processi in grado di produrre fino a 5 bbl di olio per1 t di carbone trattato.

Sebbene venissero sviluppati diversi processi anchea livello di impianto dimostrativo, la caduta del prezzo

del greggio a partire dal 1985 impedì, ancora una volta,l’affermazione di questa tecnologia a livello commer-ciale, provocando inoltre un taglio di spesa per gran partedelle attività di ricerca nel settore. Agli inizi del 2000,l’attenzione si è riaccesa grazie alla realizzazione di alcu-ni nuovi impianti industriali per la liquefazione del car-bone in Asia (e in particolare in Cina), cioè in aree eco-nomicamente emergenti che dispongono di ingenti riser-ve di questa materia prima. Infatti, l’ulteriore affinamentodella tecnologia e il conseguente abbassamento dei costidi produzione, insieme a considerazioni di carattere stra-tegico, renderebbero attraenti iniziative industriali in que-sto settore, almeno a livello locale.

Ruolo del carbone nello scenario energeticointernazionale

Il carbone è la fonte fossile più abbondante del nostropianeta. Le riserve provate sono stimate intorno a 1012 te rappresentano i 2/3 del totale dei combustibili fossiliesistenti. Ai consumi attuali, questa fonte potrebbe dura-re per oltre 200 anni. La produzione mondiale di carbo-ne (circa 5,4109 t/a nel 2003) copre 1/4 del fabbisognoenergetico mondiale (10,6 Gtep/a nel 2003); inoltre, con-trariamente all’olio e al gas naturale, le riserve di car-bone sono ben distribuite a livello geografico e quasi lametà di esse sono localizzate in paesi dell’area OCSE(Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Eco-nomico). In particolare, il 26,2% delle riserve provatesono situate nell’America Settentrionale; il 12,4% inEuropa; il 23,5% nei paesi dell’ex URSS e ben il 29,7%nell’area Asia-Pacifico, ovvero in paesi come la Cina el’India dove è concentrata una popolazione in forte svi-luppo (fig. 1).

Questi fattori hanno contribuito a mantenere suffi-cientemente stabile nel tempo il prezzo di mercato diquesto combustibile, anche in situazioni di forte tensio-ne internazionale, come gli shock petroliferi o, più recen-temente, la Guerra del Golfo e quella in Iraq (fig. 2). Il

113VOLUME III / NUOVI SVILUPPI: ENERGIA, TRASPORTI, SOSTENIBILITÀ

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Idrocarburida liquefazione direttadi combustibili solidi

carbone, quindi, è la fonte energetica meno soggetta arischi dal punto di vista della vulnerabilità sugli approv-vigionamenti e la meno esposta alle perturbazioni di mer-cato, tanto che, negli scenari di lungo periodo disegnatidall’International Energy Agency (IEA, 2001), se ne pre-vede un prezzo pressoché costante in termini reali.

Per quanto riguarda i consumi, nell’arco dei prossi-mi 20 anni è prevista una crescita della domanda al ritmodell’1,4% all’anno come valore medio, con tassi di cre-scita più importanti per i paesi dell’area Asia-Pacifico.L’aumento del consumo di carbone è principalmentelegato alla possibilità di utilizzazione nella generazio-ne elettrica in paesi in via di sviluppo, in particolare inCina e in India, ma anche all’affermarsi di tecnologie –come la gassificazione con sequestrazione del biossidodi carbonio prodotto – in grado di migliorare l’accetta-bilità sociale del carbone nei confronti dell’inquina-mento locale e il suo potenziale impatto sui cambia-mento climatici.

Per quanto riguarda la liquefazione, ovvero la trasfor-mazione del carbone in miscele liquide di idrocarburi

per la produzione di carburanti, non è ancora chiaro senei prossimi decenni il mercato energetico mondiale potràbeneficiare dell’uso di queste tecnologie, anche se, alme-no a livello locale, sembra già che ci possano essere spaziper una sua affermazione.

Estrazione del carbone e tecnologie di pretrattamento

Il termine tecnico per denominare l’estrazione delcarbone è ‘coltivazione’. Essa può avvenire in superfi-cie (miniere a cielo aperto), oppure in profondità se ilgiacimento è posto oltre 70 m al di sotto della superfi-cie terrestre.

Nella coltivazione a cielo aperto si inizia con lo sban-camento del terreno e poi si procede con il recupero delcarbone, utilizzando sistemi meccanici che sono diver-si a seconda del tipo di miniera. La coltivazione a cieloaperto è veloce, relativamente economica in quanto limi-ta l’impiego di manodopera senza presentare rischi ecces-sivi e consente di estrarre fino al 95% del carbone pre-sente nel giacimento. Essa, per lo più, è in uso nei gia-cimenti di lignite – o comunque di carboni di basso rango(brown coal) – ed è quindi conveniente quando questisono molto estesi.

I giacimenti di carbone di rango superiore, invece,sono posti a grandi profondità (fino a oltre 1.000 m) evengono coltivati in sotterraneo, mediante l’escavazio-ne di pozzi fino al raggiungimento del filone minera-rio, che può avere uno spessore compreso tra qualchecm e diverse decine di m. Il filone, poi, viene messo inproduzione utilizzando tecniche più o meno sofistica-te, che vanno dal conventional mining, ovvero dall’in-tervento diretto dell’uomo all’interno della miniera,all’utilizzazione di tecniche meccaniche diverse tra cui,in particolare, le cosiddette room and pillar mining elongwall mining. Nel primo caso si adoperano macchi-ne speciali chiamate continuous miner, in grado di crea-re una serie di cavità all’interno della miniera stessa; la

114 ENCICLOPEDIA DEGLI IDROCARBURI

IDROCARBURI DA FONTI FOSSILI NON CONVENZIONALI E ALTERNATIVE

258 122

57

233292

22

fig. 1. Distribuzione delleriserve mondiali di carboneal 2002 in miliardi di t.

1977 1985 1990 1995 20001965

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3,0petroliogas liquefatto naturalecarbone

anno

fig. 2. Prezzi medi di mercato delle principali fonti fossili.

tecnica del longwall mining, invece, prevede la crea-zione di due gallerie parallele distanti fino a 200 m chevengono poi collegate con una terza galleria, all’inter-no della quale speciali macchine con pale rotanti sca-vano il carbone e creano un fronte che avanza progres-sivamente all’interno del filone. Con queste tecniche èpossibile recuperare oltre il 50% del carbone presentenel giacimento (Franklin, 1997).

Una volta estratto, il carbone può essere vendutotal quale, oppure può essere pretrattato per rimuoverela componente minerale, riducendo così anche il teno-re di contaminanti (per esempio, lo zolfo inorganico).Con il termine pretrattamento, o lavaggio del carbone(coal beneficiation; Mishra e Klimpel, 1987), si inten-dono le operazioni generalmente effettuate a bocca diminiera, al fine di predisporre il carbone all’uso fina-le – la lavorazione a coke, la combustione in centralitermico-elettriche, la conversione – per ridurre i costidi trasporto e di gestione delle future ceneri, oltre chedisporre di un substrato più facile da trattare negliimpianti a valle.

Le operazioni di coal beneficiation vanno dalla sem-plice macinazione per liberare in modo grossolano lacomponente organica da alcune sostanze inquinanti inor-ganiche (per lo più non combustibili), a trattamenti anchesofisticati e costosi in grado di ridurre in modo signifi-cativo la concentrazione della componente minerale. Ilgrado di rimozione della componente inorganica dipen-de dalle caratteristiche della sua distribuzione nella com-ponente organica combustibile, cosicché quanto mag-giore è il grado di dispersione, tanto più spinta dovràessere la macinazione e quindi meno economico l’inte-ro processo di lavaggio.

I componenti inorganici più frequenti sono le argil-le, i carbonati e le piriti, che hanno una densità signifi-cativamente più alta (anche doppia o tripla) della com-ponente organica. Di conseguenza, i processi di granlunga più diffusi per lavare il carbone sono di tipo gra-vimetrico, vale a dire processi che sfruttano proprio ledifferenze di densità. Il tenore di componenti inorga-nici presenti nel carbone grezzo di miniera può giun-gere fino al 40%; mediante lavaggi gravimetrici essopuò essere ridotto fino al 2-5%. I trattamenti gravime-trici possono essere realizzati utilizzando semplici tavo-le a scosse, ma anche fluidi a diversa densità (sospen-sioni di magnetite f inissima in acqua) in vasche didecantazione oppure nei più moderni idrocicloni. Quasisempre, nelle acque di processo, tali trattamenti dannoorigine a una componente di polveri fini di carbone,che poi deve essere recuperata selettivamente con meto-diche ad hoc, per es., la flottazione a schiuma ( frothflotation) mediante la quale le particelle di carbonevengono agglomerate selettivamente, utilizzando unaschiuma prodotta dall’aria insufflata in un bagno d’ac-qua, che contiene agenti chimici in grado di facilitare

il ricompattamento della componente organica, facili-tandone così la separazione.

Dal punto di vista dello sviluppo industriale, i pro-cessi gravimetrici sono di gran lunga i più adottati, anchese esistono altre tecnologie basate su trattamenti chi-mico-fisici che sfruttano le diverse proprietà superfi-ciali del carbone, rispetto alla componente minerale: peresempio, la flottazione a schiuma oppure l’agglomera-zione a olio.

Proprietà e caratteristiche chimiche del carboneIl carbone fossile è una roccia sedimentaria origina-

ta da sostanze organiche, accompagnate da sostanze mine-rali e acqua. La componente organica si presenta in nume-rose varietà distinte, in base al grado di carbonificazio-ne che ne determina la classificazione (o rango), secondoi parametri indicati dall’American Society for Testingand Materials (ASTM D388-99e1). Poiché il carbonecontiene umidità e ceneri (o, meglio, componente mine-rale), i dati ricavati dall’analisi, nonché le rese di con-versione dei processi di liquefazione diretta, devono spe-cificare a quale frazione del campione si riferiscono (basedi riferimento): ar (as received ), ovvero sul campionetal quale; dry, cioè rispetto alla frazione secca; daf o maf(dry-ash-free o mixture-ash-free) o più propriamentedmmf (dry-mineral-matter-free), ovvero rispetto alla solacomponente organica.

I carboni che hanno un potere calorifico superiore a14.000 Btu/lb (base dmmf ) vengono classificati in baseal contenuto di carbonio fisso, mentre al di sotto di que-sto valore la classificazione è in funzione del potere calo-rifico (tab. 1).

Normalmente, i carboni vengono caratterizzati uti-lizzando due protocolli di analisi – analisi prossima ( prox-imate analysis) e analisi elementare (ultimate analysis) –anch’essi standardizzati dall’ASTM; il primo definiscele proprietà di tipo applicativo, quali umidità, contenutodi volatili, carbonio fisso, ceneri (ASTM D3172-89),mentre il secondo definisce le caratteristiche chimiche,come la composizione elementare (ASTM D3176-89).

I carboni di basso rango – ligniti e carboni sub-bitu-minosi – hanno contenuti di umidità molto elevati e unastruttura organica ricca in ossigeno (fino al 20% in peso).I carboni bituminosi – che al loro interno vengono ulte-riormente suddivisi in altre tre classi in base al conte-nuto di componenti volatili – hanno un minor contenu-to di ossigeno (2-10%) e presentano rapporti H/C com-presi tra 0,6 e 0,8. Le antraciti devono essere consideratel’ultimo stadio del processo di carbonificazione, in quan-to hanno un ridotto contenuto di componenti volatili ela loro composizione elementare presenta un basso rap-porto H/C (�0,6) nonché un ridotto contenuto di ossi-geno (1-2%).

Dal punto di vista microscopico, la struttura organi-ca del carbone viene solitamente classificata in base alle

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IDROCARBURI DA LIQUEFAZIONE DIRETTA DI COMBUSTIBILI SOLIDI

caratteristiche ottiche (riflettanza della luce) e morfo-logiche delle diverse componenti definite macerali ominerali organici. Convenzionalmente, i macerali pos-sono essere raggruppati in tre diverse tipologie prima-rie denominate vitrinite, inertinite e liptinite (o exinite),che a loro volta possono essere suddivise in sottogrup-pi (Stach et al., 1982). I macerali hanno caratteristichechimiche differenti poiché derivano dalle diverse com-ponenti organiche di piante e di microrganismi che hannogenerato il carbone. I macerali appartenenti al gruppodelle vitriniti sono i più abbondanti e rappresentatividella struttura del carbone; essi derivano dalla compo-nente cellulosica e dalla lignina e rappresentano il 50-90% del totale della struttura maceralica del carbone. Imacerali di tipo inertinite (5-40% del totale) hanno lastessa origine biologica delle vitriniti, ma sono stati for-temente degradati (ossidati) nella prima fase del pro-cesso di carbonificazione e pertanto presentano un con-tenuto di idrogeno significativamente più basso rispet-to alle altre componenti. Infine, i macerali del gruppodelle liptiniti (5-15% del totale) sono i derivati dellecomponenti resinose e cerose delle piante. Dal punto divista chimico, le principali differenze riguardano per-tanto il rapporto H/C (che diminuisce dalla liptinite allavitrinite alla inertinite), mentre il contenuto di ossige-no è significativamente minore nel caso della liptinite.Queste differenze si riflettono in modo significativosulla reattività dei macerali nei riguardi del cracking ter-mico e dell’idrogenazione, ovvero delle principali rea-zioni coinvolte nel processo di liquefazione diretta. L’i-nertinite è la componente meno reattiva e spesso, nelle

reazioni di liquefazione, viene identificata come IOM(Insoluble Organic Matter).

La componente organica del carbone è intimamentemescolata con una componente minerale altrettanto com-plessa, costituita prevalentemente da argille (illite, mont-morillonite, caolinite, ecc.), carbonati (calcite, dolomi-te, ecc.) e solfuri di ferro (in particolare, pirite), ma anchesilicati, solfuri, fosfati e ossidi. Pertanto, oltre agli ele-menti che caratterizzano la componente organica (car-bonio, idrogeno, zolfo, azoto e ossigeno), gli altri ele-menti che vengono solitamente ricercati ed espressi comeossidi sono alluminio, calcio, sodio, potassio, ferro, tita-nio, magnesio, fosforo, zolfo (Al2O3, CaO, Na2O, K2O,Fe2O3, TiO2, MgO, P2O3 e SO3).

Le tabb. 2 e 3 riportano le caratteristiche di alcunicarboni di differente rango, tipicamente utilizzati in pro-cessi di liquefazione diretta. Come si può osservare, essivanno dalle ligniti ai bituminosi altovolatili. Tra questi,si ricorda che l’Illinois n. 6, ovvero il carbone più stu-diato per questo tipo di applicazione, negli Stati Uniti èconsiderato come la carica di riferimento per valutare leprestazioni dei diversi processi.

Chimica della liquefazione diretta La struttura organica del carbone viene solitamente

rappresentata come una macromolecola tridimensiona-le priva di unità monomeriche ripetitive e costituita, prin-cipalmente, da carbonio e idrogeno, oltre che da signi-ficative quantità di ossigeno, azoto e zolfo. Questa macro-struttura risulta insolubile nei comuni solventi, ma puòinglobare molecole idrocarburiche più piccole, estraibili

116 ENCICLOPEDIA DEGLI IDROCARBURI

IDROCARBURI DA FONTI FOSSILI NON CONVENZIONALI E ALTERNATIVE

tab. 1. Classificazione del carbone in base al rango secondo ASTM D388-99e1

RangoSiglaASTM

% Carboniofisso (dmmf)

% Volatili(dmmf)

Potere calorificosuperiore (dmmf),

Btu/lb

% Riflettanzadella vitrinite

(max)

Antracite an �92 �8 7

Semi-antracite sa 86-92 8-14 2,83

Bituminoso bassovolatile lvb 78-86 14-22 1,97

Bituminoso mediovolatile mvb 69-78 22-31 �14.000 1,58

Bituminoso altovolatile (A, B, C)

hvAbhvBbhvCb

�69 �31 11.500-14.000 1,03

Sub-bituminoso(A, B, C)

subAsubBsubC

8.300-11.500 0,63

Lignite(A, B)

ligAligB

6.300-8.300 0,42

Torba �6.300 0,20

con solventi polari come la chinolina o il tetraidrofura-no (fig. 3). Poiché nel carbone il rapporto H/C è signifi-cativamente più basso che nell’olio (0,7-0,9 e 1,4-2,0rispettivamente), la trasformazione del carbone in syn-crude può avvenire o per rimozione del carbonio o peraggiunta di idrogeno:

La prima soluzione, che è la più vecchia, prevede lapirolisi del carbone ad alta temperatura (T�600 °C) econsente la produzione di liquidi altamente aromatici (tar)e di coke, che può essere utilizzato nell’industria metal-lurgica. La resa in liquidi è in funzione delle caratteristi-

che della carica, ma in genere non supera valori intornoa 1,5 bbl/t di carbone; pertanto questa opzione non puòessere considerata seriamente se l’obiettivo è quello diprodurre il greggio sintetico. L’opzione classica per lique-fare il carbone in modo diretto rimane pertanto l’idroge-nazione. Questa reazione viene solitamente condotta adalta temperatura (T�400 °C) e ad alta pressione parzia-le di idrogeno, alimentando il carbone miscelato con unolio pesante, utilizzato come solvente di reazione. La chi-mica del processo di conversione del carbone in syncrudeo in distillati può essere descritta secondo un meccani-smo che prevede due stadi successivi:• coal-dissolution, ovvero trasformazione del carbone

in materiale organico solubile (coal liquids) per effet-to del rapido rilascio di componenti volatili dovutoall’aumento di temperatura e all’azione del solvente;

�H

�C

syncrude (H/C 1,5)carbone (H/C 0,8)

117VOLUME III / NUOVI SVILUPPI: ENERGIA, TRASPORTI, SOSTENIBILITÀ

IDROCARBURI DA LIQUEFAZIONE DIRETTA DI COMBUSTIBILI SOLIDI

tab. 2. Caratteristiche della composizione (analisi prossima) di carboni di rango diverso

Campione A Campione B Campione C Campione D Illinois n. 6

Classificazione ASTM ligA subA hvCb mvb hvCb

Analisi prossima (% As Received)

Umidità 34,8 14,9 9,8 1,9 4,7

Ceneri 5,6 7,6 6,0 11,9 11,0

Materie volatili 30,4 33,9 32,8 25,3 36,0

Carbonio fisso 29,2 43,6 51,4 60,9 48,3

Potere calorofico superiore (Btu/lb dmmf)

8.100 11.000 10.900 14.920 12.600

tab. 3. Caratteristiche chimiche (analisi elementare) di alcuni campioni di carboneutilizzati in processi di liquefazione diretta

Martin Lake(Texas)

Wyodak Pittsburgh Illinois n. 6

Classificazione ASTM ligA subB hvAb hvCb

Analisi elementare (% daf)

Carbonio 74,4 76,2 84,7 79,8

Idrogeno 5,0 6,2 5,8 5,4

Azoto 1,1 1,1 1,7 1,6

Zolfo totale 1,4 0,5 1,2 3,7

Ossigeno* 18,1 16,0 6,6 9,5

Composizione in macerali (% vol)

VitriniteLiptiniteInertinite

89,15,15,9

* Il contenuto di ossigeno è calcolato sottraendo a 100 la somma degli altri elementi.

• coal-liquid conversion e upgrading, vale a dire ulte-riore riduzione del peso molecolare fino alla produ-zione di distillati e miglioramento della qualità deiprodotti per effetto delle reazioni di idrogenazioneche comportano un aumento del rapporto H/C e diuna diminuzione del contenuto di eteroatomi.La prima fase del processo, pertanto, comporta la rot-

tura omolitica dei legami più deboli presenti nella strut-tura del carbone, dovuta all’aumento di temperatura(cracking) e la successiva stabilizzazione dei radicaliprodotti mediante idrogenazione (fig. 4).

Una efficace saturazione dei radicali è estremamen-te importante per evitare una loro ricombinazione (retro-polimerizzazione) a formare strutture altamente aroma-tiche e meno reattive della carica di partenza, che vannosotto il nome di char, con conseguente riduzione dellaresa in liquidi e aumento delle problematiche di separa-zione a valle dei prodotti.

Il trasferimento di idrogeno dalla fase gassosa aiprodotti di cracking può essere catalizzato da solfurimetallici dispersi nella carica. Un classico catalizzato-re è il solfuro di ferro, che spesso può essere presente

nel carbone stesso sotto forma di pirite, la quale, nellecondizioni di reazione tipiche dei processi di liquefa-zione, si trasforma in pirrotite, ovvero in solfuro di fer-ro non stechiometrico FeS1–x con una discreta attivitàcatalitica nei confronti dell’idrogenazione. Altri cata-lizzatori di idrogenazione – solitamente impiegati infase dispersa a basse concentrazioni (centinaia di ppm)– sono i classici solfuri dei metalli di transizione tra cuiil molibdeno, che può essere aggiunto utilizzando pre-cursori di varia natura solubili in acqua o in olio (v. par.2.4.5). La decomposizione in situ di tali precursori gene-ra una polvere finissima, costituita da lamelle nano-metriche di molibdenite (MoS2) a basso grado di aggre-gazione (nanocluster) e altamente dispersa all’internodella carica. Le caratteristiche morfologiche e l’assen-za di supporti porosi rendono la molibdenite partico-larmente adatta per operare efficacemente come cata-lizzatore di idrogenazione in sistemi particolarmentedifficili per la presenza di alte concentrazioni di vele-ni, come appunto il carbone. L’attività catalitica dellamolibdenite in ambiente idrogenante sembra dovutaalla formazione di ‘vacanze’ di zolfo sui profili dei

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IDROCARBURI DA FONTI FOSSILI NON CONVENZIONALI E ALTERNATIVE

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fig. 3. Strutturaorganica del carbonesecondo Shinn (Shinn, 1984).

nanocluster per effetto dell’interazione dell’idrogenocon MoS2 e formazione di gruppi �SH che evolvonoa H2S (Byskov et al., 2000). Tali ‘vacanze’ sono stateeffettivamente osservate mediante indagine STM (Scan-ning Tunnelling Microscopy) su cluster triangolari dimolibdenite (Derouane, 2000; fig. 5).

Oltre all’idrogeno molecolare utilizzato in presen-za di opportuni catalizzatori generalmente mescolatinella sospensione (slurry) olio/carbone, una modalitàparticolarmente efficace per trasferire l’idrogeno è quel-la dei solventi donatori di idrogeno (H-donor solvent):miscele di idrocarburi aromatici parzialmente idroge-nati contenenti strutture del tipo di quella della tetrali-na, che possono facilmente trasferire idrogeno al car-bone, trasformandosi nei corrispondenti idrocarburiaromatici (per esempio naphthalina; fig. 6). Questa moda-lità è particolarmente efficace nello stadio di dissolu-zione del carbone, anche perché, data la loro strutturafortemente aromatica, i donatori svolgono un’eccellente

azione solvente nei riguardi degli intermedi reattivi pro-dotti dal cracking.

La prima fase del processo di liquefazione, pertanto,genera gas (oltre agli idrocarburi C1-C4, anche gas nonidrocarburici come H2S, NH3 e H2O) e una complessamiscela di idrocarburi a peso molecolare e polarità decre-scente, generalmente identificati in base a criteri di solu-bilità in solventi organici: char e/o IOM, preasfalteni(solubili in tetraidrofurano o piridina), asfalteni (solubi-li in solventi aromatici quali il toluene), malteni (solubi-li in solventi paraffinici). Con il procedere della reazio-ne e in funzione delle condizioni operative impiegate(severità del processo), questi pseudocomponenti pro-ducono frammenti idrogenati sempre più piccoli, gene-rando una miscela di liquidi idrocarburici di diversa vola-tilità (distillati, gasoli pesanti e residui), oppure degra-dando a materiale organico refrattario (fig. 7). Nei processidi seconda generazione, questo stadio della reazione vienegeneralmente condotto a bassa severità per controllaremeglio la produzione di radicali e garantire un efficacetrasferimento di idrogeno dal solvente donatore o dallafase gassosa al frammento reattivo (hydrogen-uptake).

Dal punto di vista cinetico, la reazione di conversio-ne del carbone può essere descritta come il risultato diuna serie di reazioni parallele del primo ordine di diver-se velocità, dove quest’ultime rappresentano la rotturaomolitica di legami di forza diversa all’interno dellamatrice carbone (Gorin, 1981):

CT�C �n

�i�1

Cie�kit

dove CT rappresenta la percentuale massima (in peso) dicarbone convertibile, C è la conversione al tempo t e Ci

esprime la percentuale iniziale (in peso) di carbone mafsoggetto a un processo di decomposizione caratterizza-to da una costante di velocità ki. In modo del tutto ana-logo, può essere espressa la cinetica di trasferimento del-l’idrogeno. Utilizzando questa rappresentazione, un buonaccordo con i dati sperimentali può già essere ottenutodividendo il carbone in due classi di reattività. I valoridi energia di attivazione che risultano sono in funzionedel tipo di carbone utilizzato: per esempio, per il carbone

119VOLUME III / NUOVI SVILUPPI: ENERGIA, TRASPORTI, SOSTENIBILITÀ

IDROCARBURI DA LIQUEFAZIONE DIRETTA DI COMBUSTIBILI SOLIDI

SS

CH2.

CH3

H

∆84 kcal/mol

115 kcal/mol

.

S

S

H2

distillati liquidi del carbone

char

fig. 4. Rappresentazione semplificata del processo di liquefazione diretta del carbone.

fig. 5. Immagine al microscopio a scansione a effetto tunnel di un nanocluster di molibdenite espostoall’idrogeno a 673 K (Derouane, 2000).

bituminoso altovolatile Pittsburgh seam, l’energia di atti-vazione calcolata per le diverse reazioni è compresa tra30 e 45 kcal/mol.

Dopo essere stato liquefatto, il syncrude prodottoviene trasformato in naphtha e gasolio per il procederedelle reazioni di cracking e di idrogenazione, favoritedalla presenza di idrogeno molecolare e di opportunicatalizzatori, in grado di facilitare la rimozione dei prin-cipali veleni costituiti dallo zolfo mediante reazioni HDS(HydroDeSulphuration), dall’azoto mediante reazioniHDN (HydroDeNitrogenation) e dall’ossigeno median-te reazioni HDO (HydroDeOxigenation). Questa secon-da fase del processo può essere condotta in un reattoredifferente, spesso dopo la separazione della componen-te minerale dai prodotti di conversione mediante filtra-zione, centrifugazione oppure estrazione con solventi(solvent deashing). In questo modo i liquidi da carbonepossono essere sottoposti a processo su reattori a lettofisso oppure a letto espanso (ebullated bed), utilizzan-do tradizionali catalizzatori di hydrotreating a base diNiMo, CoMo, NiW, ecc., su allumina.

Per quanto è stato detto, appare chiaro che i proces-si di liquefazione diretta comportano un forte consumodi idrogeno che, pertanto, costituisce una delle princi-pali voci di costo dell’intero processo.

L’idrogeno per usi energetici, infatti, viene prodottoa partire da combustibili idrocarburici di varia natura(solidi, liquidi o gassosi) utilizzando opportune tecno-logie quali lo steam reforming, l’autothermal reforminge la gassificazione (detta anche ossidazione parziale, Par-tial Oxidation, POx), ovvero processi particolarmentesvantaggiosi dal punto di vista energetico (Chauvel eLefebvre, 1989). Nel caso della liquefazione diretta, lasoluzione di gran lunga più interessante sembra esserela gassificazione, che può essere alimentata direttamen-te con carbone oltre che con i residui organici che nonhanno reagito, recuperati dall’unità di liquefazione. Inquesto modo la produzione di syncrude è legata a un’u-nica fonte fossile primaria (fig. 8).

Utilizzando il meglio della tecnologia disponibile,per un carbone bituminoso è possibile stimare che perprodurre 1 bbl di syncrude si debbano processare circa250 kg di carbone (base daf ), di cui il 20-25% vieneimpiegato per la produzione di idrogeno per mezzo dellaPOx, con un rendimento complessivo di circa il 70-75%.

2.4.2 Tecnologia di liquefazione

Processo BergiusI primi tentativi riguardanti la liquefazione diret-

ta furono eseguiti in Germania a partire dal 1920 daFriedrich Bergius. Da allora, sono state proposte e svi-luppate numerose soluzioni intese a migliorare le pre-stazioni e la economicità della tecnologia, nel tentativodi rendere la liquefazione diretta del carbone un’opzio-ne realmente percorribile per produrre carburanti sinte-tici alternativi a quelli ottenuti dall’olio.

Il processo Bergius prevedeva l’idrogenazione diret-ta del carbone ad alta temperatura (430-480 °C) e altapressione (fino a 700 bar). Per facilitarla ed evitare pro-blemi di erosione dei materiali, il carbone veniva ali-mentato nel reattore sotto forma di sospensione in olio.La reazione era catalizzata da materiali a base ferrosaquali ossido di ferro o red mud (Bergius e Billiwiller,1919), un sottoprodotto dell’industria dell’alluminio abase di ossidi di ferro, di alluminio e di titanio.

Il primo impianto industriale basato su questa tec-nologia fu costruito dalla Farbenindustrie nel 1927 a

120 ENCICLOPEDIA DEGLI IDROCARBURI

IDROCARBURI DA FONTI FOSSILI NON CONVENZIONALI E ALTERNATIVE

S

1/2

1/2

CH3

CH3 S

fig. 6. Idroliquefazione delcarbone mediante solventidonatori di idrogeno.

distillati liquididel carbone

gas

mal

tene

asfa

lten

e

carb

one

prea

sfal

tene

IOM char

fig. 7. Rappresentazione grafica del processo di liquefazione diretta del carbone.

Leuna (Germania) e prevedeva due stadi successivi diidrogenazione. Il primo, denominato poi LPH (Liquid-Phase Hydrogenation), produceva un distillato medioche in seguito veniva ulteriormente idrogenato in fasevapore (secondo stadio) fino a ottenere benzina e gaso-lio diesel. Negli anni successivi furono costruiti diver-si altri impianti che consentirono alla Germania di pro-durre quote significative di carburante per sostenere losforzo bellico: basti pensare che, verso la fine dellaSeconda Guerra Mondiale, i 18 impianti di liquefazio-ne diretta e i 9 di liquefazione indiretta erano in gradodi produrre 4·106 t/a di benzina, ovvero il 90% del con-sumo nazionale.

Con la fine della guerra, i paesi alleati entrarono inpossesso delle informazioni riguardanti i processi diliquefazione del carbone e lo US Bureau of Mines finan-ziò la Bechtel Corporation allo scopo di realizzare unimpianto dimostrativo da 200 bbl/d alimentato da car-bone sub-bituminoso North Dakota. Subito dopo, la gran-de disponibilità di olio proveniente dal Medio Orientearrestò di fatto lo sviluppo dei processi di liquefazione,finché, come si è già detto, con la prima crisi petrolife-ra del 1967 si tornò a considerare la possibilità di pro-durre greggi sintetici da carbone. In quegli anni, infatti,vennero avviati numerosi programmi di R&S nel campodella liquefazione diretta e indiretta del carbone, che por-tarono alla definizione di diversi processi sviluppati neidecenni successivi.

Processi del secondo dopoguerraNel periodo compreso tra la metà degli anni Sessan-

ta e il 1985, venne avviata una serie di iniziative indu-striali miranti a sviluppare tecnologie di liquefazionediretta in grado di produrre syncrude a costi competiti-vi con l’olio, allo scopo di ridurre la dipendenza dei paesioccidentali dai paesi produttori di greggio. Gran partedi questo sforzo di R&S fu sostenuto dagli Stati Unitiattraverso l’intervento diretto di diverse compagnie

petrolifere (in particolare Exxon e Gulf Oil) e il finan-ziamento statale da parte del DOE (Department OfEnergy) con numerosi progetti affidati a strutture di ricer-ca pubbliche e private quali il Pittsburgh Energy andTechnology Centre, l’Oak Ridge National Laboratories,il SRI International (già Stanford Research Institute) emolti centri universitari.

Benché l’approccio chimico di base rimanesse inva-riato rispetto a quanto sviluppato da Bergius, l’ap-profondimento degli aspetti chimici e chimico-fisici delprocesso di idrogenazione del carbone consentì di defi-nire schemi di reazione e condizioni operative che per-mettevano di idrogenare il carbone in modo più razio-nale, cioè consentendo di: a) ridurre le condizioni diseverità del processo; b) facilitare il processo di trasfe-rimento di idrogeno dalla fase gassosa al carbone; c)migliorare le rese di conversione e la selettività in liqui-di piuttosto che in gas idrocarburici; d ) favorire l’elimi-nazione di veleni dal greggio sintetico attraverso l’usodi catalizzatori in grado di facilitare la rimozione di ete-roatomi. Numerosi processi furono proposti e sperimentatisu scala di laboratorio o su quella di piccolo impiantopilota e per tre di essi si arrivò alla realizzazione di unitàdi taglia preindustriale.

Processi SRC I e III processi SRC (Solvent Refined Coal) I e SRC II

furono sviluppati da Gulf Oil a partire dagli anni Ses-santa. Il primo processo aveva lo scopo di produrreun combustibile solido pulito, ossia una sorta di car-bone valorizzato tramite la rimozione delle compo-nenti minerali e a basso contenuto di zolfo. Tra il 1965e il 1974 furono realizzati due impianti dimostrativida 6 e 50 t/d rispettivamente a Wilsonville e Fort Lewis(Stati Uniti).

Il processo SRC I prevede il mescolamento del car-bone con un solvente aromatico in rapporti compresitra 1:2 e 1:3 e la sua dissoluzione per effetto di hydro-treating a bassa severità, condotto a circa 440 °C e 70bar per 30-60 minuti, ma in assenza di catalizzatori spe-cifici. Dopo l’hydrotreating, il prodotto liquido vienefiltrato e il solvente recuperato e riciclato mediantedistillazione.

Il processo SRC II, che è una evoluzione della tec-nologia SRC, fu sviluppato utilizzando l’impianto di FortLewis per massimizzare la produzione di distillati, checomunque rimane dell’ordine del 20-25% rispetto al car-bone alimentato. In questo caso, la sospensione carbo-ne-solvente di ricircolo viene idrogenata in condizionidi severità decisamente maggiori rispetto all’SRC I (460°C e pressione fino a 190 bar). Al contrario del proces-so EDS (Exxon Donor Solvent; v. oltre), in questo casoil solvente di ricircolo, costituito da una frazione pesan-te degli effluenti di liquefazione, non viene idrogenatoprima di essere riutilizzato.

121VOLUME III / NUOVI SVILUPPI: ENERGIA, TRASPORTI, SOSTENIBILITÀ

IDROCARBURI DA LIQUEFAZIONE DIRETTA DI COMBUSTIBILI SOLIDI

CLU HDTsyncrude

H2

CO2O2 ceneri

carboneceneri, IOM

H2S, NH3,...

estrazionecon solventi

POx WGSlavaggio

gas

fig. 8. Schema integrato del processo di liquefazione diretta del carbone e produzione di idrogeno. CLU, unità di liquefazione del carbone; HDT, hydrotreating dei liquidi da carbone; POx, gassificazione; WGS, sezione di Water Gas Shift.

Processo EDSNegli anni Settanta Exxon promosse un importante

programma di ricerca industriale per lo sviluppo di unanuova tecnologia di liquefazione diretta basata sull’uti-lizzazione di solventi donatori di idrogeno. Il program-ma fu parzialmente finanziato dal DOE e portò alla rea-lizzazione di un impianto dimostrativo da 250 t/d a Bay-town (Texas). L’impianto fu realizzato nel 1980 e rimaseoperativo per due anni, dimostrando così la fattibilità tec-nologica del processo: questo prevede l’idrogenazionedel carbone in un mezzo atto a trasferire idrogeno dallafase gassosa al carbone, senza l’uso di catalizzatori diidrogenazione (H-donor solvent).

Lo schema del processo prevede che il carbonevenga alimentato nel reattore sotto forma di sospen-sione, con un opportuno solvente aromatico parzial-mente idrogenato, ottenuto per idrogenazione cataliti-ca su un reattore a letto fisso di una frazione ad hocdel prodotto di conversione del carbone (fig. 9). L’i-drogenazione del solvente viene gestita in modo taleda favorire la produzione di strutture nafteno-aroma-tiche del tipo del tetraidronaphthalene (tetralina), chepoi fungono da donatori di idrogeno durante la lique-fazione. Il reattore di conversione del carbone operaalla temperatura di 420-460 °C e alla pressione di idro-geno di 100-140 bar, in funzione del tipo di carboneutilizzato. I prodotti di reazione vengono inviati poi aun’unità di frazionamento per il recupero dei distilla-ti e del solvente di riciclo, mentre il residuo di distil-lazione, contenente la parte organica che non ha rea-gito e la componente minerale, può essere inviato a unaunità di coking per recuperare una quota aggiuntivadi distillati e quindi alla gassificazione per produrrel’idrogeno necessario al processo.

La resa in distillati, ottenibile con la tecnologia EDS,dipende dal tipo di carbone adoperato per l’alimenta-zione, ma generalmente si colloca dal 35-38% per leligniti e carboni di basso rango, fino a oltre il 50% peralcuni carboni bituminosi particolarmente reattivi (quan-do non altrimenti specificato, tutte le rese di processosono su base daf ).

Processo H-CoalIl processo H-Coal è una variante del processo H-Oil

per la conversione di residui petroliferi e fu sviluppatoda Hydrocarbon Research (ora Hydrocarbon Technology)nei primi anni Ottanta. Il carbone, sospeso in un solventedi riciclo, viene idrogenato cataliticamente alla tempe-ratura di 425-450 °C e alla pressione di 200 bar in unreattore a letto espanso, utilizzando catalizzatori in pel-let a base di NiMo o CoMo su allumina, delle dimen-sioni di 0,8-1,5 mm. La tecnologia utilizzata consente ilcontinuo ripristino del catalizzatore avvelenato dagliinquinanti presenti nel carbone con catalizzatore fresco,in modo da mantenere costante nel tempo le prestazio-ni per quanto riguarda la conversione e l’upgrading. Iprodotti di conversione in uscita dall’impianto vengonopoi frazionati e quindi ulteriormente idrogenati con tec-nologie tradizionali a letto fisso; il residuo di distilla-zione può essere riciclato e utilizzato per la preparazio-ne iniziale della sospensione olio-carbone. Come per glialtri processi di liquefazione, anche in questo caso le resedipendono dal tipo di carica e per un carbone bitumino-so sono dell’ordine del 50%.

Per questo processo venne realizzato a Catlettsburgh(Kentucky) un impianto pilota della capacità di 200 t/d,rimasto in funzione fino al 1983. La tecnologia H-Coalvenne poi ripresa e ulteriormente sviluppata nel corso di

122 ENCICLOPEDIA DEGLI IDROCARBURI

IDROCARBURI DA FONTI FOSSILI NON CONVENZIONALI E ALTERNATIVE

mescolamentodella

sospensione

idrotrattamentoa letto fisso

separazione

gas naphtha

preriscaldamento

solvente di riciclocoke per

gassificazione

reattoretubolare

distillazionesotto vuoto

gasolio

flexicoker

carbone

idrogeno

idrogeno di riciclofig. 9. Schema del processo EDS(Harwell Laboratory,1999).

almeno dieci anni (fino al 1992) su un impianto più pic-colo realizzato a Wilsonville e finanziato direttamentedal DOE.

Processi TSL (Two-Stage Liquefaction)I processi descritti finora furono considerati un suc-

cesso dal punto di vista della fattibilità tecnica, ma nonerano ancora in grado di produrre syncrude a costi com-petitivi con l’olio. I problemi principali, a questo pro-posito, riguardavano le basse rese in distillati e l’alto con-sumo di idrogeno per effetto di una produzione eccessi-va di gas. Un contributo di fondamentale importanza peril superamento di questi problemi venne dagli studi riguar-danti i fondamenti del chimismo della liquefazione, con-dotti in diversi centri di ricerca statali e universitari sta-tunitensi, sotto la supervisione del DOE. Vennero chia-riti molti aspetti riguardanti la struttura molecolare delcarbone, nonché la sua reattività nelle diverse fasi delprocesso di trasformazione in liquidi e in distillati.

Nel 1976, Richard Neavel dimostrò che era possibi-le solubilizzare quasi completamente il carbone in con-dizioni relativamente blande e senza consumo di idroge-no (Neavel, 1976). Egli, infatti, provò che scaldando ilcarbone a 400 °C in presenza di opportuni solventi aro-matici polinucleari, già dopo pochi minuti si potevanoottenere rese in prodotti che erano solubili in solventipolari superiori al 90%. Inoltre, si cominciò a considera-re l’importanza del solvente non solo come donatore diidrogeno, ma anche come agente in grado di promuove-re la solubilizzazione del carbone e di favorire il trasfe-rimento di idrogeno dalla fase gassosa alla fase liquida.Solventi di questo tipo, perciò, dovevano essere costitui-ti da idrocarburi aromatici e idroaromatici, ma anche dacomposti contenenti eteroatomi, come l’ossigeno e l’a-zoto, in funzionalità di tipo fenolico e piridinico, prefe-ribilmente ad alto peso molecolare. Infatti, lo stesso grup-po di ricercatori Exxon che aveva seguito lo sviluppo delprocesso EDS – e che già aveva individuato metodi stan-dard per la valutazione delle proprietà dei solventi dona-tori (solvent quality index) – verificò che il riciclo deiresidui idrocarburici pesanti portava a un sostanziale incre-mento delle rese di conversione (Schlosberg, 1985).

Queste considerazioni permisero di definire un nuovoschema di processo a due stadi, nel quale la dissoluzio-ne del carbone e l’upgrading vengono separati, riducen-do gli svantaggi creati da un unico stadio ad alta seve-rità. Il primo stadio doveva essere ottimizzato per favo-rire la completa dissoluzione del carbone, minimizzandoil consumo di idrogeno. Questo risultato fu conseguitoriducendo le condizioni di severità, in particolare abbas-sando i tempi di residenza fino a qualche minuto (shortcontact time). Successivamente, il carbone solubilizza-to poteva essere liberato dalle sostanze minerali e invia-to al secondo stadio di idrogenazione catalitica ottimiz-zato per massimizzare la conversione e l’upgrading.

Uno dei primi impianti basati su questo nuovo sche-ma fu costruito da Lummus Crest agli inizi del 1980.L’impianto, da 0,2 t/d, era costituito da un primo reatto-re di dissoluzione termica operante a 430-450 °C, in pres-sione di idrogeno, seguito da una unità LC-Fining a lettoespanso per l’idrogenazione catalitica dei prodotti liqui-di. Questa configurazione di processo, definita con lasigla ITSL (Integrated Two-Stage Liquefaction), fu ripre-sa e studiata su scala diversa da numerose società (Amoco,Chevron, Hydrocarbon Research Inc., HRI e altre).

Gran parte del lavoro di sviluppo di questa tecnolo-gia venne svolta, per quasi un decennio, nell’impiantodi Wilsonville, della capacità di 6 t/d, realizzato nel 1972da Southern Company ma controllato dal punto di vistatecnico e finanziario, a partire dall’anno successivo, daElectric Power Research Institute (EPRI). Nel 1976, ilDOE diventò il maggior finanziatore del progetto. Nel1978, con il completamento di un nuovo reattore accop-piato a quello di hydrotreating, venne realizzato lo sche-ma integrato ITSL. Il reattore di trattamento termicoviene alimentato con uno slurry carbone-solvente di rici-clo e con idrogeno; pressione e temperatura di reazio-ne sono di 90-150 bar e 400-450 °C rispettivamente. Ilprodotto in uscita dal reattore (solido a temperaturaambiente) viene frazionato in gas, distillati e residuo, chea sua volta viene inviato a una unità di rimozione dellacomponente minerale (Kerr-McGee Critical SolventDeashing) e quindi al reattore di idrogenazione cataliti-ca (impianto a letto espanso), che opera alla tempera-tura di 390-400 °C in presenza di tradizionali cataliz-zatori supportati, impiegati per il trattamento di cari-che molto pesanti. Con questo tipo di configurazione,l’impianto di Wilsonville riuscì a diminuire sensibil-mente il consumo di idrogeno, dimezzando la produ-zione di gas e mantenendo le rese in prodotti distillabili(C5-350 °C) oltre il 60%.

Intorno al 1990, un ulteriore sviluppo del processoITSL venne realizzato con l’impiego di due reattori H-Oilin serie, prima dell’unità di deashing. Questa configu-razione (Close-Coupled ITSL) permetteva di accoppia-re gli stadi di trattamento termico e di quello cataliticosenza una riduzione intermedia della pressione (fig. 10).Essa, inoltre, risultò particolarmente interessante, poi-ché consentì di limitare ulteriormente l’effetto negativodelle reazioni di retropolimerizzazione migliorando lerese e le qualità dei prodotti.

Queste idee sono alla base delle diverse scelte di pro-cesso sviluppate negli anni Novanta da HTI (Hydrocar-bon Technologies Inc.), le quali prevedono l’utilizzazio-ne di due o più reattori slurry e/o a letto espanso e chepertanto vanno sotto il nome di CTSL (Catalytic Two-Stage Liquefaction) e CMSL (Catalytic Multi-StageLiquefaction; v. par. 2.4.3). Le rese in distillati ottenibi-li con queste ultime configurazioni possono raggiunge-re valori superiori al 70%, con un consumo di idrogeno

123VOLUME III / NUOVI SVILUPPI: ENERGIA, TRASPORTI, SOSTENIBILITÀ

IDROCARBURI DA LIQUEFAZIONE DIRETTA DI COMBUSTIBILI SOLIDI

del 6-7,5%. Di tutto l’idrogeno consumato, circa il 70%viene utilizzato per produrre liquidi, il 20% per rimuo-vere eteroatomi e solo il 10% per produrre idrocarburigassosi. Nella maggior parte dei processi a un solo sta-dio, sviluppati precedentemente, solo il 50% dell’idro-geno consumato finiva nei liquidi. L’attività di ricercacondotta a Wilsonville continuò fino al 1992 concen-trandosi sullo studio del coprocessing, ovvero dell’up-grading congiunto di carbone e residui petroliferi o greg-gi pesanti (v. oltre).

Altri processiAl di fuori degli Stati Uniti, l’attività di R&S nel

campo della liquefazione diretta fu sostenuta principal-mente dalla Germania, dal Giappone e dal Regno Unito.Nel periodo compreso tra gli anni Settanta e Ottanta, lasocietà tedesca Veba Oel sviluppò il processo denomi-nato Kohleoel, una rivisitazione della tecnologia Farben-Bergius. Nel 1982 fu realizzato un impianto dimostrati-vo da 200 t/d a Bottrop (Renania-Vestfalia), che fu poiutilizzato per lo sviluppo della tecnologia di conversio-ne spinta di residui e di greggi pesanti denominata VebaCombicracking.

Il processo prevede un unico stadio di liquefazioneoperante a 470 °C e oltre 300 bar di pressione di idro-geno, in cui il carbone viene convertito in distillati inpresenza di catalizzatori a base di ferro utilizzati senzarecupero (once-through mode; fig. 11). I prodotti dicracking in uscita dal reattore vengono separati a caldodalla componente minerale e dal residuo che non ha rea-gito e inviati direttamente in un reattore a letto fisso,dove vengono ulteriormente idrogenati per rimuovere lo

zolfo, l’azoto e l’ossigeno. Il residuo del primo stadioviene inviato a un frazionamento sotto vuoto per recu-perare gasolio pesante, parte del quale viene riciclato perpreparare lo slurry carbone-olio di alimentazione.

Il processo Kohleoel è in grado di convertire carbo-ni bituminosi con rese superiori all’80%, ma la seletti-vità a distillati difficilmente supera il 50%. L’alta seve-rità di processo, necessaria per convertire in un solo sta-dio il carbone in distillati, porta come conseguenza a unasignificativa produzione di gas idrocarburici (fino al20%), consumando quindi molto idrogeno.

Negli stessi anni, in Germania, Saarbergwerke svi-luppò un secondo processo di liquefazione chiamatoPyrosol. Contrariamente alla tecnologia Kohleoel, que-st’ultimo prevede uno stadio di dissoluzione del carbo-ne condotto a bassa severità e seguito da pirolisi dei resi-dui non distillabili, eseguita in presenza di idrogeno. Ilprocesso fu sviluppato fino alla scala di impianto dimo-strativo da 6 t/d.

Nel Regno Unito, nel periodo compreso tra il 1973e il 1995, la British Coal Corporation lavorò allo svi-luppo della tecnologia denominata LSE (Liquid SolventExtraction), arrivando a realizzare un impianto dimo-strativo da 2,5 t/d a Point of Ayr, nel Galles settentrio-nale.

Come per la tecnologia EDS, anche in questo caso ilprocesso è basato sull’idea di utilizzare un solvente dona-tore di idrogeno, per favorire lo step di dissoluzione delcarbone, operando in condizioni di bassa severità. Il car-bone viene miscelato con un olio pesante in rapporto 1:2e inviato all’unità denominata di digestion, dove vienefatto reagire in pressione di idrogeno (10-15 bar) alla

124 ENCICLOPEDIA DEGLI IDROCARBURI

IDROCARBURI DA FONTI FOSSILI NON CONVENZIONALI E ALTERNATIVE

mescolamentodella

sospensione

gas

distillatoleggero

preriscaldamento solvente di riciclo

idrogeno di riciclo

primoreattore

a lettoebullato

secondoreattorea lettoebullato

separazionedei solidi

gasolioda vuoto

residui

gasolio

carbone

idrogenofig. 10. Schema del processo Close-Coupled ITSL(Harwell Laboratory,1999).

temperatura di 420-450 °C e con un tempo di residenzadi circa 1 h. I prodotti di reazione vengono separati conun opportuno sistema filtrante, mantenuto operativomediante continui controlavaggi con parte dei prodottidi reazione. L’upgrading dei liquidi viene realizzato uti-lizzando i tradizionali reattori di idrogenazione a lettoespanso, dai quali viene prodotto il solvente donatore dausare nel primo reattore. Il processo è in grado di con-vertire carbone con rese in distillati – principalmentenaphtha e gasolio leggero – di circa il 60%.

Un’ultima tecnologia, giunta fino allo stadio diimpianto dimostrativo, venne sviluppata in Giappone dalgruppo industriale NEDO (New Energy & IndustrialTechnology Development Organization) che, nel 1985,realizzò a Morwell, in Australia, un impianto da 50 t/d.La tecnologia denominata BCL (Brown Coal Liquefac-tion) è specifica per carboni di basso rango, che posso-no contenere significative quantità di acqua, e prevedela liquefazione del carbone assistita da un olio pesantee da un catalizzatore a base di limonite, da utilizzareonce-through. Come per altri processi, anche in questocaso lo step di liquefazione (150 bar, 430-450 °C) è inte-grato con lo stadio di idrogenazione dei prodotti.

Tecnologie di coprocessingIl coprocessing prevede il contemporaneo upgrading

di carbone e residui petroliferi o greggi pesanti che ven-gono coalimentati al reattore di idrogenazione in un rap-porto variabile tra 1:1 e 1:2.

L’idea di processare insieme carbone e olio risaleagli anni Trenta, con i primi tentativi effettuati in Cana-da utilizzando il bitume estratto da sabbie bituminose(Athabasca tar sands) e carbone. In ogni caso, la mag-gior parte degli studi relativi allo sviluppo di tecnologie

di coprocessing inizia negli anni Settanta in collegamentocon l’attività sulla liquefazione diretta. Gli impianti diliquefazione prevedevano il ricircolo di una parte deiprodotti (distillati o residui di distillazione), da utilizza-re come veicolo e/o reattivo per il carbone da liquefare.L’utilizzazione di oli a basso costo, quali i residui di distil-lazione o i greggi pesanti da processare insieme al car-bone, comporta il vantaggio pratico di eliminare lo sta-dio di ricircolo del solvente, con conseguente semplifi-cazione del processo e riduzione dei costi di investimentospecifici per unità di prodotto. Dal punto di vista del raf-finatore, la sostituzione di parte dell’olio con carbone inimpianti di conversione dei residui può comportare van-taggi legati alla riduzione dei costi di upgrading per bari-le di prodotto.

Spesso, gli studi sul coprocessing hanno cercato diindividuare le condizioni per il manifestarsi di effettisinergici dovuti al trattamento combinato di carbone eolio, che potrebbero portare a un miglioramento di resee qualità dei prodotti rispetto al trattamento separatodelle due cariche. Secondo i ricercatori dello SRI Inter-national (McMillen et al., 1987), un possibile vantag-gio del coprocessing può essere dovuto al fatto che lacontemporanea presenza nella carica di composti accet-tori di idrogeno (come gli idrocarburi polinucleari aro-matici nel carbone, PNA) e di donatori di idrogeno (comei nafteni nell’olio) può portare alla produzione di radi-cali cicloesadienilici, che favoriscono le reazioni dicracking mediante reazioni di trasferimento di idroge-no radicalico (H-transfer reaction; fig. 12). Sembra, inol-tre, che il trattamento combinato di olio e di carbonedetermini vantaggi anche per quanto riguarda la qualitàdei prodotti. Per esempio, la presenza di carbone tendea favorire la precipitazione di metalli pesanti presenti

125VOLUME III / NUOVI SVILUPPI: ENERGIA, TRASPORTI, SOSTENIBILITÀ

IDROCARBURI DA LIQUEFAZIONE DIRETTA DI COMBUSTIBILI SOLIDI

idrogeno idrogeno di riciclo

separazione

hydr

otre

atin

g

catalizzatore

mescolamentodella

sospensione

reaz

ione

pri

mar

ia

sepa

rato

re is

tant

aneo

dist

illa

zion

eso

tto

vuot

o

dist

illa

zion

eat

mos

feri

ca

residuo da vuoto

gas

GPL

naphtha

gasoliosolvente di riciclo

carbone

fig. 11. Schema del processo Kohleoel(Harwell Laboratory,1999).

nell’olio, con conseguente diminuzione del contenuto dinichel e di vanadio nei prodotti di conversione. Di con-tro, le caratteristiche degli oli di origine petrolifera comesolventi nei riguardi del carbone sono decisamente peg-giori di quelle dei liquidi prodotti dal carbone stesso,poiché contengono significative quantità di idrocarburiparaffinici e naftenici.

Il coprocessing è stato lungamente studiato in diver-se società nordamericane (HRI, UOP, Lummus, Mobil,Chevron, Ohio Ontario, Canada Centre for Mineral andEnergy Technology – CANMET, Alberta Research Coun-cil) e giapponesi (Ministry of International Trade andIndustry – MITI, Osaka Gas, Mitsubishi Heavy Indus-tries), arrivando spesso alla fase di sperimentazione alivello di impianto su scala di laboratorio o pilota (daalcune t/d), ma quasi mai a livello di impianto dimo-strativo. Alcune delle principali esperienze sulle tecno-logie di coprocessing sono state condotte in Canada, chedispone di ingenti quantitativi di greggi pesanti e sabbiebituminose e che negli ultimi trenta anni ha maturato unaspecifica esperienza nel trattamento di tali cariche. Latecnologia CANMET di coprocessing, infatti, è unavariante di quella sviluppata fino al livello di impian-to da 5.000 bbl/d presso la raffineria di Montreal perl’hydrocracking di residui petroliferi e di greggi pesan-ti. Usando le stesse scelte di processo (reattore multifa-se a singolo stadio operante a 440-460 °C e fino a 150 bardi pressione) e lo stesso tipo di catalizzatore (solfato diferro) è stata valutata la possibilità di coalimentare conl’olio il 30-40% di carbone. La sperimentazione è statacondotta su un impianto di taglia ridotta, ottenendo buonilivelli di conversione del carbone in liquidi.

La soluzione adottata dall’ARC (Alberta ResearchCouncil) è invece specifica per carboni di basso rango ebitumi canadesi. Infatti, il processo prevede un primostadio di liquefazione del carbone miscelato con l’oliocondotto in atmosfera di ossido di carbonio per poter uti-lizzare l’acqua presente nel carbone come fonte di idro-geno attraverso la reazione WGSR (Water-Gas-ShiftReaction, reazione di spostamento del gas d’acqua). Lareazione avviene in un reattore in cui carica e atmosfe-ra reattiva vengono alimentate in controcorrente (CFR,Counter-Flow Reactor) con il gas alimentato dal bassoper desorbire i prodotti di reazione più leggeri. Le con-dizioni di reazione sono relativamente blande (tempera-tura inferiore a 400 °C e pressione sotto 100 bar) ma con-sentono di convertire il carbone in liquidi con rese supe-riori al 90%, rimuovendo gran parte dell’ossigeno presente

nella carica. Successivamente, il liquido viene sottopo-sto a upgrading in un secondo reattore multifase di idro-genazione, arrivando a ottenere rese in distillati prossi-me al 70%. Il primo stadio di questo processo è statosperimentato fino alla scala di 0,25 t/d.

2.4.3 Processi di nuovagenerazione

Seppur con ritmi e impegni decisamente meno sostenu-ti rispetto a quelli profusi negli anni Settanta-Ottanta,l’attività di ricerca nel campo dei processi di liquefa-zione diretta è proseguita anche nell’ultimo decennio del20° secolo, con un’attenzione particolare ad applicazio-ni specifiche in paesi dell’area Asia-Pacifico e in parti-colare in Cina, Giappone e Australia. Questi paesi, infat-ti, dispongono di ingenti riserve di carbone (e non diolio) e pertanto, in previsione di un forte sviluppo eco-nomico, considerano strategicamente importante inve-stire su questa tecnologia. Nel corso degli ultimi anni,infatti, sono state avviate diverse iniziative industrialiche dovrebbero portare alla realizzazione dei primi veriimpianti di produzione di syncrude da carbone del secon-do dopoguerra.

Progetto HTI-ShenhuaLa principale iniziativa industriale, che dovrebbe con-

cretizzarsi nel corso del 2010, riguarda il progetto HTI(Hydrocarbon Technologies Inc.) e Shenhua Group Cor-poration. Negli anni Novanta, Hydrocarbon Technologies(uno spin-off di Hydrocarbon Research, ora controllatada Headwaters) ha lavorato allo sviluppo di numerosetecnologie per l’upgrading di residui petroliferi, greggipesanti, liquefazione diretta del carbone, coprocessing,basati sull’impiego di catalizzatori dispersi ottenuti daprecursori di diversa natura a base di ferro e/o molibde-no. Il portafoglio di processi e di catalizzatori propostoda HTI è molto ampio:• HTI GelCat, catalizzatore disperso a base di ossido

di ferro, utilizzato sotto forma di gel in concentra-zione fino a 5.000 ppm ed eventualmente contenen-te come promotori il Molyvan (un composto oleoso-lubile a base di molibdeno, aggiunto fino a ottene-re nel catalizzatore 100-200 ppm di molibdeno) oaltri metalli di transizione, quali il cobalto, il nichel,il palladio e il platino. L’applicazione di elezionesembra essere quella del coprocessing olio-carbone.

126 ENCICLOPEDIA DEGLI IDROCARBURI

IDROCARBURI DA FONTI FOSSILI NON CONVENZIONALI E ALTERNATIVE

H H H

� � �

H

. . carbonecarbone

carbone.

fig. 12. Rottura deilegami mediante H-transfer reaction(McMillen et al., 1987).

L’utilità dell’impiego della forma gel del catalizza-tore è dovuta al fatto che all’ingresso del reattore, pereffetto dell’alta temperatura, si ha ‘l’esplosione’cau-sata dalla rapida evaporazione dell’acqua. In questomodo si ottengono particelle molto fini a elevatissi-ma area superficiale, cosicché è possibile una loroutilizzazione a bassa concentrazione (alcune migliaiadi ppm di ferro) riducendo i costi operativi, in quan-to tali catalizzatori non possono venire riciclati diret-tamente e si perdono con il residuo non convertito ele ceneri;

• HTI (HC)3, tecnologia per l’upgrading di greggi pe-santi, che utilizza un catalizzatore disperso a base dimolibdeno originariamente sviluppato dall’ARC;

• HTI Resid-Cat, hydrocracking di cariche pesanti divaria natura in distillati ultradesolforati;

• HTI Co-Pro e HTI Co-ProPlus, upgrading di carichecombinate carbone-residui derivati da (HC)3;

• HTI Coal, liquefazione diretta del carbone basata sullaCTSL, ovvero sulla distinzione fra lo stadio di con-versione in liquidi (liquefazione della componente or-ganica) e quello di conversione in distillati e upgrad-ing. Il processo, infatti, prevede uno stadio di idro-genazione della carica precedentemente impregnatacon un catalizzatore disperso a base di ferro (GelCat)e miscelata con parte degli oli pesanti prodotti dalprocesso stesso, a una temperatura compresa tra 400e 420 °C e a 170 bar di pressione di idrogeno. Le bassetemperature consentono di mantenere un’alta con-centrazione di strutture nafteno-aromatiche nel siste-ma di reazione per meglio controllare i processi diretropolimerizzazione. Il liquido prodotto, quindi, puòessere inviato a una seconda unità di idroconversio-ne, condotta a temperatura più alta per massimizza-re la conversione a distillati che vengono recuperatie ulteriormente trattati attraverso una serie di opera-zioni di flash, distillazione sotto vuoto, estrazionefinale del residuo con toluene, idrotrattamenti. Permeglio controllare il processo di dissoluzione inizia-le del carbone, si può operare con un sistema a piùstadi condotti a diversa severità. Le rese di conver-sione rivendicate dal processo sono molto alte (�90%)con una selettività verso i distillati intorno al 75%.Questa tecnologia è stata sviluppata fino a livello di

impianto pilota da 50 kg/d; recentemente Headwaters haannunciato la formalizzazione di un accordo con la com-pagnia carbonifera cinese Shenhua Group (la cui pro-duzione annua è di 60 milioni di t) per la realizzazionedi un impianto di conversione diretta di carbone in distil-lati idrocarburici. L’impianto sarà realizzato su licenzadell’HTI per lo stadio di liquefazione, mentre l’upgra-ding dei liquidi sarà realizzato utilizzando tecnologiaAxens. Il complesso industriale dovrebbe essere realiz-zato entro il 2008 a sud di Baotou, nella Mongolia Inter-na (Cina), e avrà una capacità produttiva di 50.000 bpsd

(barrels per stream day) di distillati (prevalentementebenzina e gasolio) ottenuti processando circa 12.800 t/ddi carbone sub-bituminoso Shenhua su sei linee produt-tive. Il livello di conversione del carbone in liquidi è statostimato intorno al 91-93% con una resa in distillati del63-68%, dei quali naphtha e distillati medi rappresente-ranno circa il 20 e il 50% rispettivamente. Il consumodi idrogeno è dell’ordine del 6,5%. La benzina e il gaso-lio prodotti dovrebbero avere caratteristiche qualitativemolto buone, almeno per quanto riguarda il tenore dizolfo (15 e 140 ppm rispettivamente), mentre le carat-teristiche del syncrude sono riassunte nella tab. 4 (Comol-li et al., 1999). Le società coinvolte nel progetto non for-niscono informazioni sugli aspetti economici dell’ini-ziativa affermando, comunque, che l’ampia disponibilitàdelle riserve di carbone e i bassi costi di produzione larenderebbero vantaggiosa a prezzi del greggio superio-ri a 30 $/bbl.

Processo NEDOL Una seconda iniziativa annunciata nel 2001 riguar-

da un impianto che dovrebbe realizzarsi a Sumatra (Indo-nesia) entro il 2011, frutto di una collaborazione tra lacompagnia statale indonesiana BPPT (Badan Pengkajiandan Penerapan Teknologi) e il gruppo giapponese NEDO(New Energy and Industrial Technology DevelopmentOrganization). La tecnologia di riferimento per la sezio-ne di liquefazione è il processo NEDOL, sviluppato inGiappone a partire dai primi anni Ottanta e messo a puntonel corso di anni di sperimentazione all’interno di unprogramma congiunto con il Ministero dell’industriacinese, poi tradotto fino a livello di impianto pilota da 7t/d, tuttora funzionante (Wasaka et al., 2003).

Il processo prevede quattro macrosezioni: a) prepa-razione della carica di carbone, ovvero essiccamento,riduzione in polvere estremamente fine, miscelamento

127VOLUME III / NUOVI SVILUPPI: ENERGIA, TRASPORTI, SOSTENIBILITÀ

IDROCARBURI DA LIQUEFAZIONE DIRETTA DI COMBUSTIBILI SOLIDI

tab. 4. Composizione elementare del carboneShenhua e del syncrude

prodotto con tecnologia HTI (Comolli et al., 1999)

Carbone Syncrude

Analisi elementare (% daf)

Carbonio 75,9 87,0

Idrogeno 4,2 12,7

Zolfo 0,42 0,10

Azoto 0,98 0,14

Ossigeno 12,3 0,06*

Ceneri 6,2 –

Gradi API 29,7

* Il contenuto è calcolato sottraendo a 100 la somma degli altri elementi.

con il solvente e con il catalizzatore (pirite naturale osintetica); b) liquefazione condotta in tre reattori slurryin serie, a 450-465 °C e 180-190 bar, con tempi di resi-denza della fase liquida di 1,5-3 h; c) distillazione (atmo-sferica e sottovuoto) con separazione delle frazioni (gas,naphtha, gasolio, residuo e solvente); d) recupero e idro-genazione di parte del gasolio, utilizzato come solventedi liquefazione del carbone, con riciclo dello stesso allasezione di preparazione della carica.

Le peculiarità di tale processo, pertanto, riguardanol’uso combinato di solventi donatori e catalizzatori a baseferrosa di basso costo e la sostituzione dello stadio dideashing (stadio critico di tutti i processi di liquefazio-ne diretta) con la distillazione sotto vuoto da cui vienerigettato, insieme alle ceneri, il residuo organico che nonha reagito, che alimenta una unità di gassificazione perla produzione di idrogeno. Le rese di liquefazione sonodell’ordine del 65% con una selettività verso la naphthae il gasolio dell’85%.

2.4.4 Caratteristiche dei liquidi da carbone

Le rese di conversione e le caratteristiche chimiche e chi-mico-fisiche dei liquidi da carbone sono fortementeinfluenzate dal tipo di carica utilizzato nonché dal tipodi processo adottato (Sullivan, 1981). Nel corso deglianni, l’evoluzione tecnologica ha consentito di incre-mentare le prestazioni dei processi aumentando i livellidi conversione e la selettività verso i distillati, ma soprat-tutto ha consentito di migliorare la qualità dei prodottidi conversione. I dati riassunti nelle tabb. 5 e 6 forni-scono un quadro abbastanza chiaro del percorso effet-tuato passando dai processi di prima generazione alletecnologie a due stadi catalitici integrati.

In generale, comunque, rispetto ai greggi di originepetrolifera, i syncrude prodotti per liquefazione direttadel carbone presentano curve di distillazione significa-tivamente diverse, soprattutto per quanto riguarda il con-tenuto di frazioni altobollenti e di residui. Solitamente,nei processi di liquefazione, tali frazioni vengono usate

per preparare la miscela di alimentazione carbone/olioe, quindi, tendono ad alleggerirsi nei successivi passag-gi nel reattore di liquefazione. I diversi tagli si caratte-rizzano per il fatto di essere altamente aromatici e con-tenere significative concentrazioni di composti eteroa-romatici solforati (0,1-2,5% in peso), azotati (0,2-2% inpeso) e ossigenati (1,5-7% in peso). Lo zolfo è presen-te prevalentemente come zolfo aromatico (tiofeni e deri-vati policondensati del tiofene), mentre l’azoto si trovain strutture di tipo amminico, piridinico e come deriva-ti condensati del pirrolo (indoli, carbazoli, ecc.). L’ossi-geno, pressoché assente nei prodotti di origine petroli-fera, è per lo più presente sotto forma di fenoli e di de-rivati del furano. La presenza di eteroatomi si rilevaattraverso la curva del syncrude con una tendenza a con-centrarsi sulle frazioni più altobollenti, quali gasoli davuoto e residui, soprattutto per azoto e zolfo.

Un’altra caratteristica che differenzia – questa voltain positivo – i liquidi da carbone dai derivati del greggioè l’assenza di metalli (come il nichel e il vanadio) incomposti olio-solubili di tipo porfirinico. La componenteidrocarburica satura è caratterizzata dal contenere, in pre-valenza, isoparaffine e nafteni, mentre la concentrazio-ne di n-paraffine è significativamente più bassa che nel-l’olio. Per quanto riguarda gli aromatici, prevalgono lestrutture policondensate con sostituenti alchilici, dotatedi una catena di lunghezza medio-bassa.

Queste caratteristiche nella composizione rendono iliquidi da carbone non adatti per essere direttamente uti-lizzati come carburanti, anche perché, oltre a non rispet-tare le caratteristiche merceologiche di benzina, jet fuele gasolio, sono potenzialmente tossici e cancerogeni.

Upgrading dei liquidi da carbone e loro utilizzazione in raffineria

Comunque prodotti, i liquidi da carbone sono misce-le idrocarburiche altamente aromatiche e per questa ragio-ne i diversi tagli devono essere sottoposti a trattamentiidrogenanti (hydrotreating e hydrocracking), che di soli-to sono effettuati su impianti a letto fisso, utilizzando itradizionali catalizzatori sviluppati per l’industria delpetrolio, ossia quelli a base di CoMo, NiMo e NiW su

128 ENCICLOPEDIA DEGLI IDROCARBURI

IDROCARBURI DA FONTI FOSSILI NON CONVENZIONALI E ALTERNATIVE

tab. 5. Rese di conversione (% in peso base daf) per processi di liquefazione diretta di carbone Illinois n. 6(Burke et al., 2001)

SRC II EDS H-Coal ITSL CMSL

Gas non idrocarburici(H2S, NH3, H2O) 12,9 17,4 11,3 15,2 15,2

HC gas (C1-C3) 14,5 16,0 12,8 5,4 11,4

Distillati (naphtha + gasolio) 47,3 47,2 50,5 65,8 72,3

Consumo idrogeno (% in peso) 5 5,9 6 6 7,5

supporti del tipo dell’allumina. Le condizioni di pro-cesso sono funzione del taglio di distillazione da tratta-re (temperatura compresa tra 300 e 500 °C, velocità spa-ziali comprese tra 0,5 e 5 h�1 e pressione fino a 190 bar);generalmente, a parità di taglio di distillazione, esse sonopiù severe di quelle utilizzate per i prodotti petroliferi.La natura aromatica dei liquidi da carbone, infatti, impo-ne di operare ad alta pressione per limitare la deposi-zione di coke sui catalizzatori. Di conseguenza, il con-sumo di idrogeno è più alto rispetto a quanto si registracon derivati di origine petrolifera, anche per la necessitàdi rimuovere le alte concentrazioni di zolfo, azoto e ossi-geno. La vita dei catalizzatori è fortemente condiziona-ta dalla tendenza delle cariche a formare coke e dallapresenza, più o meno abbondante, di particelle inorga-niche dovute alla componente minerale del carbone nonsempre facilmente eliminabile.

Tutti questi elementi comportano costi aggiuntivielevati, che però possono essere parzialmente ridottiintegrando opportunamente gli impianti di liquefazio-ne diretta con la raffineria. Anche se non esistono studisufficientemente articolati e aggiornati a questo pro-posito, è ragionevole pensare che si possano individuaresinergie in grado di ridurre i costi di produzione deicarburanti finiti, intervenendo opportunamente sulleunità dedicate al raggiungimento delle specifiche com-merciali e sulle modalità di blending. Per esempio, lanaphtha idrotrattata originata dai processi di liquefa-zione è una carica eccellente per le unità di reforming,in quanto contiene alte concentrazioni di idrocarburiciclici facilmente convertibili in idrocarburi aromaticiad alto contenuto di ottani. Questa naphtha, pertanto,

può produrre un componente per benzina di eccellen-te qualità, oltre che benzene, toluene e xileni per l’in-dustria petrolchimica.

La frazione cherosene, per poter essere trasformatain jet fuel, deve essere fortemente idrogenata, in mododa raggiungere i valori di punto di fumo previsti dallespecifiche attuali. In questo modo, si generano misceleidrocarburiche contenenti alte concentrazioni di naftenia due anelli (decaline), i quali hanno alti calori di com-bustione su base volumetrica, eccellente stabilità e puntodi gelo molto bassi: tutte caratteristiche che li rendonoparticolarmente adatti come componenti per jet fuel dialta qualità. Anche per quanto riguarda la frazione die-sel è necessario idrotrattare i distillati medi, ma in que-sto caso la bassa concentrazione di n-paraffine potreb-be rendere problematico il raggiungimento delle speci-fiche su densità e numero di cetano, a meno di interventispecifici sulla componente naftenica (apertura dell’a-nello). Da questo punto di vista, il gasolio da liquefa-zione diretta ricorda l’LCO (Light Cycle Oil) da crackingcatalitico, per il quale si stanno mettendo a punto oppor-tuni processi di upgrading.

Infine, i distillati pesanti e i residui possono essereconvenientemente lavorati nelle unità di conversioneinsieme ai prodotti di origine petrolifera, poiché ‘dilui-scono’ il carico di metalli pesanti proprio dei residuiderivati dall’olio; inoltre, la loro spiccata aromaticitàpotrebbe contribuire a migliorare la stabilità dei pro-dotti di conversione nei riguardi del fenomeno della pre-cipitazione di asfalteni, consentendo di aumentare laconversione in distillati a parità di stabilità dell’oliocombustibile prodotto.

129VOLUME III / NUOVI SVILUPPI: ENERGIA, TRASPORTI, SOSTENIBILITÀ

IDROCARBURI DA LIQUEFAZIONE DIRETTA DI COMBUSTIBILI SOLIDI

tab. 6. Qualità dei prodotti ottenuti da processi di liquefazione diretta di carbone Illinois n. 6(Burke et al., 2001)

SRC II EDS H-Coal ITSL CMSL

Naphtha

Resa (% in peso) 19,3 22,8 22,9 14,5 20,7

Gravità API 39 31 35 50 53

Zolfo (% in peso) 0,2 0,5 0,2 0,04 0,02

Azoto (% in peso) 0,4 0,2 0,3 0,02 0,002

Ossigeno (% in peso) 3,9 2,8 3,0 0,3 �0,1

Syncrude

Gravità API 27 22 38

Zolfo (% in peso) 0,2 0,1 0,1

Azoto (% in peso) 0,5 0,5 �50 ppm

Ossigeno (% in peso) 2,1 2,2 0,5

2.4.5 Ulteriori sviluppi della tecnologia

Uno dei principali obiettivi dell’attività di ricerca, nelcampo della liquefazione diretta, è quello di migliorarele conoscenze a livello di chimica del processo. Ciò con-sente di individuare soluzioni in grado di abbassare icosti di investimento, mediante una riduzione delle con-dizioni di severità (temperatura e pressione), e di conte-nere i costi operativi, che sono principalmente correlatial consumo di idrogeno e di catalizzatori. Altri interventiper migliorare l’economicità del processo riguardanoparticolari aspetti tecnologici quale, per esempio, la sepa-razione dei liquidi dalla componente minerale e dal mate-riale organico che non ha reagito.

Esistono poi numerosi tentativi per valutare le pos-sibilità offerte dai cosiddetti ‘approcci non convenzio-nali’, ovvero soluzioni che utilizzano una chimica diver-sa da quella dell’hydrocracking.

PretrattamentoSi è già detto che, in genere, i processi di liquefa-

zione diretta prevedono un riscaldamento rapido delcarbone a una temperatura solitamente compresa tra400 e 450 °C e che in queste condizioni si provoca unaproduzione istantanea di frammenti reattivi (radicaliliberi prodotti dal cracking termico), i quali, se nonimmediatamente saturati mediante reazioni d’idroge-nazione, tendono a ricombinarsi producendo char (v.ancora fig. 4).

Non sempre l’agente riducente presente nel sistemaè in grado di competere efficacemente con le reazioni diretropolimerizzazione; per questo motivo può essere van-taggioso controllare la produzione di radicali utilizzan-do rampe di temperatura crescenti o stadi di pretratta-mento a bassa temperatura (temperature-staged lique-faction). Numerosi studi hanno confermato che, operandocon rampe di temperatura crescenti da 200-350 fino a450 °C, è possibile incrementare le rese di conversionerispetto all’utilizzazione di condizioni isoterme ad altatemperatura (Derbyshire et al., 1986).

Nuovi sistemi cataliticiLe possibilità di sviluppo dei processi di liquefazio-

ne diretta sono strettamente collegate al miglioramentodei sistemi catalitici. I catalizzatori dei processi di lique-fazione devono garantire un aumento delle velocità direazione dei processi di trasferimento di idrogeno, limi-tando le reazioni di retropolimerizzazione per consenti-re il raggiungimento di un elevato livello di upgradinganche a bassa severità.

A questo proposito, se si distinguono le due fasi prin-cipali coinvolte nella liquefazione – dissoluzione del car-bone e upgrading – si può ragionevolmente pensare chei catalizzatori dispersi possano essere meglio impiegati

nel primo stadio, mentre quelli supportati trovano miglio-re applicazione nel secondo.

Per quanto riguarda i primi, benché siano stati con-dotti numerosi studi di base, l’esperienza a livello diprove su impianto è per lo più limitata agli ossidi e aisolfuri di metalli quali ferro, molibdeno e pochi altri. Pertutti, la caratteristica più importante riguarda la capacitàdi poter essere convenientemente dispersi sull’intera cari-ca. Una buona dispersione, infatti, consente di avere ilcatalizzatore disponibile a livello locale limitando la pro-duzione di char; inoltre viene limitato il consumo di cata-lizzatore che in questa fase del processo non può esserefacilmente recuperato, in quanto si mescola con la com-ponente minerale del carbone.

Con i catalizzatori di idrogenazione, un buon livellodi dispersione può essere ottenuto utilizzando precurso-ri solubili in acqua o in olio. È il caso dei solfuri di ferro,di molibdeno o di altri metalli di transizione, che ven-gono generati in situ per decomposizione e sulfidazioneda parte dello zolfo endogeno (o opportunamente aggiun-to) di precursori solubili in acqua, quali solfato ferrico,ammonio molibdato, ecc., o precursori solubili in olio,quali alcuni carbossilati organici come il molibden-naftenato o altri derivati metallorganici come il MolyvanA (N,N-dibutilditiocarbammato di oxotiomolibdeno).

Gli studi sull’efficacia di sistemi catalitici a base dimolibdeno in basse concentrazioni (centinaia di ppm)sono stati avviati da Clyde Aldridge e Roby Bearden,presso Exxon alla fine degli anni Settanta (Aldridge eBearden, 1978) e poi sono stati ripresi da molte altresocietà e istituti di ricerca sia per applicazioni nel campodella liquefazione diretta, sia per lo sviluppo di tecnolo-gie di upgrading di greggi pesanti (Montanari et al.,2003). Come già ricordato, la molibdenite microcristal-lina, che si genera in situ partendo da precursori solubi-li in olio, si presenta come una polvere finissima, costi-tuita da lamelle nanometriche di solfuro di molibdeno(MoS2), a basso grado di aggregazione e altamente disper-sa all’interno della carica. Le caratteristiche morfologi-che e l’assenza di supporti porosi rendono la molibde-nite particolarmente adatta per operare efficacementecome catalizzatore di idrogenazione in sistemi partico-larmente difficili, grazie alla presenza di alte concentra-zioni di veleni, quali le ceneri del carbone oppure i metal-li pesanti contenuti fino a concentrazioni di 700-800 ppmin alcuni greggi pesanti (per esempio, greggi extrape-santi venezuelani prodotti nel Bacino dell’Orinoco).

Nel tentativo di aumentare ulteriormente il rappor-to tra grado di dispersione e attività specifica – e quin-di di poter ridurre la concentrazione della fase attiva aparità di effetto catalitico – sono stati proposti e studia-ti numerosi altri sistemi capaci di produrre particellemicrometriche o submicrometriche di solfuri e nitruridi metalli di transizione, come, per esempio, l’utilizza-zione di particolari precursori contenenti eteroatomi o

130 ENCICLOPEDIA DEGLI IDROCARBURI

IDROCARBURI DA FONTI FOSSILI NON CONVENZIONALI E ALTERNATIVE

coppie bimetalliche, la laser-pirolisi, le tecniche al pla-sma, le microemulsioni, ecc. (Delbianco et al., 1995).Tutti questi tentativi, però, non sembrano in grado dimigliorare le prestazioni ottenibili con la molibdenitegenerata in situ, come descritto precedentemente.

Un altro aspetto critico dell’utilizzazione di cataliz-zatori dispersi riguarda il recupero di questi ultimi o,meglio, l’impossibilità del loro recupero a costi accetta-bili dal prodotto non convertito. Per questo motivo, valu-tazioni di tipo economico hanno spesso limitato la speri-mentazione a materiali di basso costo e in particolare alferro eventualmente promosso con piccole aggiunte dimolibdeno o di altri metalli, quali wolframio, rutenio, ecc.

I catalizzatori supportati sono per lo più proposti eutilizzati nella seconda fase del processo di produzionedi distillati, quella che trasforma il syncrude da carboneancora molto aromatico e ricco di eteroatomi in naphthae in gasolio a basso contenuto di zolfo, di azoto e di ossi-geno. In generale, i catalizzatori utilizzati sono quelliclassici per l’hydrotreating sviluppati per l’upgrading diprodotti di origine petrolifera, ma poiché i liquidi da car-bone hanno caratteristiche abbastanza diverse dagli ana-loghi tagli di distillazione o dai residui derivanti dal petro-lio, spesso le prestazioni di questi catalizzatori sono infe-riori in termini sia di prestazioni sia di vita.

Per preparare catalizzatori opportunamente mirati(tailored), si utilizzano supporti meno sensibili alla depo-sizione di coke (allumine stabilizzate, carboni attivi adalta area superficiale, ecc.) e fasi attive particolarmenteadatte per rimuovere i composti azotati quali, in parti-colare, la coppia Ni/W, Ru, ecc. (Derbyshire, 1988). L’as-senza di un vero interesse industriale non ha tuttavia favo-rito il lavoro di ottimizzazione di tali catalizzatori.

Tecnologie di separazione dei prodottiUno dei maggiori punti critici di tipo tecnologico ine-

rente ai processi di liquefazione è la separazione dei liqui-di prodotti nel primo stadio del processo dalla compo-nente minerale contenuta nel carbone di partenza. Tra lesoluzioni proposte, oltre alle classiche filtrazioni e cen-trifugazioni, l’estrazione con solvente sembrerebbe for-nire le migliori prestazioni. Una soluzione particolar-mente interessante è stata sviluppata da Kerr McGeesulla falsariga dei processi di deasfaltazione e va sottoil nome di solvent deashing. Essa prevede un’estrazio-ne multistadio dei prodotti di conversione del carbonecon solventi del tipo del toluene, che vengono utilizzatiin un rapporto 2:1 rispetto alla carica da trattare e a unatemperatura prossima a 200 °C. Questo sistema consen-te di separare facilmente la frazione insolubile (cene-ri più carbone che non ha reagito e IOM che può esse-re gassificato per produrre l’idrogeno necessario allareazione di liquefazione) dall’estratto, da cui poi si re-cupera il solvente mediante una opportuna variazio-ne di temperatura e pressione. Tale tecnologia sembra

abbastanza consolidata, anche se esistono ancora mar-gini di ottimizzazione nella scelta dei solventi e dellecondizioni di processo.

La soluzione intuitivamente più semplice per supe-rare il problema del deashing consiste nell’eliminazio-ne a monte della componente minerale, mediante pro-cessi di coal beneficiation. L’utilizzazione di carbonitrattati in questo modo potrebbe risultare estremamen-te vantaggiosa da un punto di vista operativo, anche perla possibilità di utilizzare in maniera appropriata, findal primo stadio, i più opportuni sistemi catalitici. Dicontro, i processi di beneficiation sono poco selettivi,nel senso che non sono in grado di rimuovere comple-tamente la componente minerale e comunque compor-tano costi aggiuntivi. Per questa ragione è necessarioesaminare attentamente, caso per caso, tutte le implica-zioni di un processo di pretrattamento a monte di quel-lo di liquefazione, valutando il rapporto costi/beneficidi tale operazione.

Nuovi sistemi di conversioneLa ricerca di nuove vie di conversione del carbone

ha proposto, negli anni, diverse soluzioni sicuramenteinteressanti dal punto di vista conoscitivo ma che, per ilmomento e per diverse ragioni, non possono essere con-siderate altrettanto valide dal punto di vista industriale(costo, complessità di processo, prestazioni, ecc.). Traqueste si ricordano l’uso di sistemi acquosi, i catalizza-tori acidi e la bioconversione.

Sistemi acquosiI primi studi riguardanti l’uso di acqua e monossido

di carbonio per liquefare carboni di basso rango furonocondotti da Franz Fischer intorno al 1920. Più recente-mente, questa soluzione è stata ripresa e largamente stu-diata in diversi centri di ricerca (Pittsburgh Energy Re-search Center, SRI International, Eni e altri) e viene gene-ralmente identificata con il nome di Costeam o CO-steamliquefaction (Ross, 1984).

Nel Costeam l’idrogeno viene prodotto in situ dallareazione di WGS opportunamente catalizzata da alcali,come il carbonato di sodio. Secondo diversi autori, inquesto caso la reazione di conversione del carbone inliquidi potrebbe, anziché seguire un meccanismo nonradicalico, essere promossa dallo ione formiato, ossiadall’intermedio della reazione di WGS. Inoltre, nellecondizioni di reazione utilizzate (T�400 °C e oltre 200bar di pressione) l’acqua si trova in condizioni prossimea quelle supercritiche e pertanto costituisce un eccellentemezzo di reazione, essendo in grado di solvatare i fram-menti organici derivanti dai processi di cracking.

Il Costeam sembra particolarmente adatto per lique-fare carboni di basso rango, solitamente contenenti gros-se quantità di acqua (fino al 60%). Le evidenze speri-mentali ottenute dimostrano che tale processo è in grado

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IDROCARBURI DA LIQUEFAZIONE DIRETTA DI COMBUSTIBILI SOLIDI

di garantire alte conversioni del carbone in liquidi e sem-bra particolarmente efficiente nel rimuovere gli eteroa-tomi, principalmente l’ossigeno. Altri potenziali van-taggi riguardano il non uso di solventi organici e l’uti-lizzazione diretta del syngas invece dell’idrogeno puro.Di contro, esso richiede condizioni di reazione estrema-mente severe, soprattutto per quanto riguarda la pres-sione (diretta conseguenza della quantità di acqua neces-saria) e pone problemi di separazione in fase di recupe-ro dei prodotti. Per questa ragione, di fatto lo sviluppodi questa linea di ricerca si è arrestato alla fine degli anniOttanta.

L’idea di operare la fase di dissoluzione del carboneutilizzando reattivi in grado di generare ioni idruro è stataperò rilanciata alla fine degli anni Novanta dalla CONSOLEnergy R&D che – in collaborazione con l’Universitàdel Kentucky e la sponsorizzazione del DOE – studia unprocesso basato sull’uso del formiato sodico, prodotto a340 °C da monossido di carbonio e idrato di sodio, oppu-re sull’uso del formiato di metile.

Catalizzatori acidiI catalizzatori acidi, quali i cloruri di zinco, di sta-

gno, ecc., hanno la capacità di promuovere il crackingin condizioni di sub-pirolisi (300-330 °C) mediante unmeccanismo di tipo ionico. Questi acidi di Lewis favo-riscono la rottura di legami del tipo etere con formazio-ne di ioni carbonio, che innescano poi i processi dicracking, dando luogo a idrocarburi leggeri (fig. 13). Lareazione viene condotta ad alta pressione di idrogeno(fino a 350 bar).

Questi catalizzatori furono originariamente studiatidalla Consolidation Coal Company intorno agli anni Ses-santa e si dimostrarono efficaci nel promuovere la con-versione del carbone, mostrando un’alta selettività versola produzione di distillati leggeri (Alpert e Wolk, 1981).Successivamente, la Conoco sviluppò un processo basa-to sull’uso di cloruro di zinco fuso, arrivando alla realiz-zazione di un impianto dimostrativo da 1 t/d, che peròrimase operativo per poco tempo in quanto si evidenzia-rono grossi problemi dovuti alla corrosione delle partimetalliche dell’impianto. Altre controindicazioni venne-ro dalla difficile recuperabilità di questi catalizzatori (partedei quali veniva consumata anche per la formazione di

ossidi e solfuri insolubili) e dal fatto che, non avendoproprietà idrogenanti, essi non riuscivano a controllarei processi di retropolimerizzazione, per cui la produzio-ne di distillati era accompagnata da quella di grosse quan-tità di char; infine, il livello di upgrading dei liquidi eramolto basso.

Anche questo approccio, comunque, continua a esse-re studiato a livello di base e sono state proposte diver-se ricerche che riguardano l’impiego di superacidi (inparticolare l’acido trifluorometansolfonico, detto ancheacido triflico) in condizioni di bassa severità, ovvero atemperature inferiori a 300 °C (Fraenkel et al., 1991).

BioconversioneLa struttura molecolare estremamente complessa del

carbone rende tale substrato difficilmente utilizzabileper i catalizzatori biologici. Ciò nonostante, nel temposi è registrato un aumento nella attività di ricerca suifenomeni di biosolubilizzazione del carbone, soprattut-to in seguito ai brillanti risultati riportati nei primi anniOttanta da René Fakoussa e successivamente da MartinCohen (Fakoussa, 1981; Cohen e Gabriele, 1982), i qualidimostrarono che particelle solide di carboni di bassorango, messe a contatto con microrganismi di tipo fun-gino (micorganismi), venivano convertite in gocciolinedi liquido. Il processo biologico, però, non è equivalen-te alla liquefazione diretta del carbone per via chimica,in quanto la riduzione di peso molecolare procede pereffetto di una degradazione ossidativa e pertanto il liqui-do prodotto mantiene un basso rapporto H/C e un altocontenuto di ossigeno e degli altri eteroatomi presentinella carica.

La bioconversione prevede la preparazione della col-tura di cellule, che viene messa a contatto con il sub-strato da trattare finemente macinato (meno di 1 mm,ma più spesso anche intorno a 100 mm) e disperso inacqua. Le condizioni in cui opera il bioreattore (tempe-ratura, pH, ecc.) sono strettamente legate al tipo di micror-ganismo utilizzato, ma generalmente sono decisamenteblande, se confrontate con quelle utilizzate per i proces-si di idroliquefazione (questo è il principale vantaggiopotenziale di questo approccio).

I tipi di carbone più facilmente aggredibili sono quel-li più ossidati, come le ligniti e i carboni sub-bituminosi,

132 ENCICLOPEDIA DEGLI IDROCARBURI

IDROCARBURI DA FONTI FOSSILI NON CONVENZIONALI E ALTERNATIVE

CH2

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ZnCl2

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fig. 13. Cracking della strutturamolecolare del carbonemediante catalizzatoriacidi.

mentre i microrganismi più attivi in queste trasforma-zioni sono anche quelli meglio caratterizzati per la bio-degradazione della lignina presente nelle piante, che èdotata di una struttura polimerica naturale complessa edifficilmente degradabile. Di seguito viene dato un elen-co, anche se non completo, dei micorganismi più stu-diati: Coriolus versicolor, Phenerochaete chrysospo-rium, Penicillium waksmanii, Streptomyces viridospo-rus, Pleorotus ostreatus, Pycnoporus cinnabarinus,Streptomyces setonii, Trametes versicolor.

Le cellule vive, poste a contatto con le particelle dicarbone, secernono nel mezzo di coltura (o nell’ambienteimmediatamente circostante) enzimi altamente ossida-tivi di vario tipo (perossidasi), che, con l’aiuto di cofat-tori non ancora perfettamente identificati, depolimeriz-zano in modo aspecifico le strutture complesse del car-bone. Lo sviluppo di processi su grande scala, cheincludano l’attività di cellule vive su carbone in batch,è ostacolato dall’attività stessa degli enzimi rilasciatidalle cellule, i quali uccidono le cellule stesse alle con-centrazioni utili per avere velocità di conversioni inte-ressanti. Del resto i tentativi di utilizzare sistemi cell-free, cioè enzimi più o meno purificati, hanno dimostratoche questi sistemi sono meno efficienti di quelli basatisulle cellule vive e comunque troppo costosi.

L’ottimizzazione e lo scale-up della reazione di solu-bilizzazione, quindi, presentano problemi tecnici nonfacilmente risolvibili, al punto che, al momento, l’uni-ca applicazione commerciale riportata è stata la pro-duzione di fertilizzanti a partire dalla lignite. A livellodi laboratorio, invece, è stato dimostrato che è possi-bile utilizzare i prodotti della biosolubilizzazione dicarbone per la produzione, per via biotecnologica, dipoliidrossialcanoati (bioplastica); inoltre viene studiatol’uso di biosurfattanti utilizzabili per facilitare il traspor-to di sospensioni stabili di carbone in acqua (Fakoussae Hofrichter, 1999).

2.4.6 Integrazione con tecnologiedi produzione dell’idrogeno

A parte i processi di bioconversione, che però al momen-to non sembrano offrire interessanti prospettive di svi-luppo, i processi di liquefazione diretta comportano forticonsumi di idrogeno, che costituiscono una delle prin-cipali voci di costo dell’intero processo. Si è già ricor-dato che l’idrogeno per usi energetici viene prodotto apartire da combustibili idrocarburici di varia natura eche, nel caso della liquefazione diretta, la soluzione digran lunga più interessante sembra essere la gassifica-zione. Quest’ultima è una reazione endotermica tra car-bone e vapore d’acqua, sostenuta dalla contemporaneaparziale combustione della carica utilizzando di norma,come comburente, ossigeno puro.

Le principali reazioni elementari che intervengononel processo (a condizioni standard) sono schematizza-te di seguito:• reazione di gas d’acqua

C + H2O�� CO + H2 �131 kJ/mol• reazioni di combustione

C + 1/2 O2�� CO �111 kJ/molCO + 1/2 O2�� CO2 �283 kJ/molH2+ 1/2 O2�� H2O �242 kJ/mol

• reazione di BoudouardC + CO2�� 2CO �172 kJ/mol

• reazione di metanazioneC + 2H2�� CH4 �75 kJ/molLa composizione dei gas in uscita dal reattore dipen-

de dalla natura della carica e dalle condizioni di eserci-zio. In generale, si tende a privilegiare la formazione digas di sintesi, ovvero di una miscela di idrogeno e monos-sido di carbonio, il quale può successivamente essere tra-sformato in idrogeno attraverso la reazione di WGS. Lamiscela di syngas, comunque, può anche essere diretta-mente trasformata in liquidi idrocarburici (cere) median-te la sintesi di Fischer-Tropsch (liquefazione indiretta;v. cap. 2.6) oppure valorizzata a combustibile per la gene-razione di potenza, per esempio mediante cicli combi-nati nella cosiddetta configurazione IGCC (IntegratedGasification Combined Cycle; v. vol. II, cap. 7.3).

Dal punto di vista del processo, la gassificazione delcarbone o di altri combustibili solidi (pet-coke, ecc.) puòessere condotta utilizzando diverse soluzioni tecnologi-che; tra queste, quelle di gran lunga più diffuse sono letecnologie ChevronTexaco, Shell e Lurgi (Higman e vander Burgt, 2003).

La tecnologia ChevronTexaco, recentemente acqui-sita da General Electric (GE-ChevronTexaco), utilizzaun singolo reattore alimentato dall’alto con una disper-sione di carbone in acqua (60-70% di carbone) e ossi-geno al 95%. Il reattore di gassificazione opera a circa1.200-1.500 °C e a una pressione di 20-50 bar a secon-da dell’utilizzazione del syngas (uso chimico o energe-tico). Nella configurazione con recupero termico (radiantcooler), i gas prodotti vengono raffreddati utilizzandoscambiatori di calore dai quali si recupera vapore ad altapressione, mentre le ceneri fuse vengono ‘tuffate’ in acquaproducendo scorie vetrificate di ceneri e particolato (slag).In alternativa, il processo GE-ChevronTexaco disponeanche della tecnologia denominata quench, mediante laquale il raffreddamento del gas si ottiene attraverso unrapido contatto diretto in acqua.

Nella tecnologia Shell, invece, il gassificatore è ali-mentato con carbone in polvere, che viene spinto nelreattore utilizzando gas in pressione (azoto o lo stessosyngas prodotto). All’interno del reattore, il carbone vienefatto reagire con ossigeno e vapore d’acqua in un inter-vallo di temperature solitamente compreso tra 1.500 e1.600 °C e a un intervallo di pressione compreso tra 27

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IDROCARBURI DA LIQUEFAZIONE DIRETTA DI COMBUSTIBILI SOLIDI

e 50 bar. In queste condizioni, si produce una miscelagassosa prevalentemente composta da syngas, che poiviene raffreddata tramite lo scambio termico che avvie-ne per irraggiamento e convezione e dal quale si produ-ce vapore ad alta pressione. Nelle condizioni di reazio-ne utilizzate, la componente minerale eventualmente ali-mentata con la carica fonde e cola lungo le pareti delreattore, da dove viene scaricata in acqua per il recupe-ro delle ceneri.

Infine, il processo Lurgi Dry Ash opera con un reat-tore a letto mobile alimentato in controcorrente: dall’al-to entra il carbone anidro, mentre la miscela di gas rea-genti (ossigeno e vapore d’acqua) viene introdotta dalbasso. Ciò comporta che la temperatura del reattoreaumenti dall’alto verso il basso (da 500-600 °C fino aoltre 1.000 °C) , per cui fra i prodotti di reazione si riscon-trano discrete quantità di prodotti organici condensati;perciò tale processo, benché ben consolidato, affidabilee meno oneroso quanto a consumo di ossigeno, non èparticolarmente idoneo alla produzione di idrogeno.

2.4.7 Economia del processo e prospettive di sviluppodella tecnologia

L’enorme sforzo profuso, a partire dal secondo dopo-guerra, in oltre 50 anni di R&S, ha permesso di miglio-rare in modo significativo le tecnologie di liquefazionediretta del carbone, consentendo così una progressivariduzione dei costi di produzione del syncrude. I dati delDOE indicano che, utilizzando le stesse basi di valuta-zione (carbone Illinois n. 6, impianti da 50.000 bbl/d dicapacità, stesse ipotesi economiche), gli odierni impian-ti di liquefazione diretta potrebbero essere in grado diprodurre greggi sintetici a un costo inferiore della metàdi quello ottenibile con gli impianti di prima generazio-ne di tipo EDS (Burke et al., 2001; fig. 14).

Il conseguimento di questo risultato può essere attri-buito, per la gran parte, agli studi sul chimismo della rea-zione, i quali hanno consentito di proporre schemi diprocesso più efficaci in grado di aumentare le rese glo-bali di conversione di oltre il 30% (cosa estremamenteimportante per tecnologie capital intensive quali quelledi cui stiamo parlando), oltre che di migliorare la selet-tività verso distillati piuttosto che verso gas idrocarbu-rici, con conseguente riduzione del consumo di idroge-no (altro elemento che incide in modo importante sullevoci di costo del processo). Inoltre, l’enorme mole dilavoro, condotta su numerosi impianti pilota e dimo-strativi, ha consentito di migliorare molti altri aspettidella tecnologia, riguardanti in particolare la separazio-ne solido-liquido dei prodotti, e di superare problemati-che specifiche di questo processo, quali l’erosione dellevalvole o la corrosione nelle colonne di distillazione perla presenza di alte concentrazioni di composti acidi.

Di fatto, però, la produzione di synfuel da carboneresta una tecnologia complessa e con altissimi costi diinvestimento specifici (superiori a 60.000 $/bpsd), soprat-tutto se si vogliono garantire standard ambientali ade-guati. Le iniziative industriali (v. par. 2.4.2) stanno peròa indicare che utilizzando le migliori tecnologie dispo-nibili è forse possibile, almeno a livello locale, investi-re su questi processi, che hanno il grande vantaggio disvincolare lo sviluppo economico di un paese dalle incer-tezze connesse con l’approvvigionamento dell’olio. Sepoi si considera che l’indicatore R/P (Reserves/Produc-tion) per il greggio convenzionale e il gas naturale ècomunemente stimato a 40 e 60 anni rispettivamente,possiamo ragionevolmente prevedere che il ricorso allefonti fossili alternative potrà avere un ruolo sempre piùimportante, anche in relazione all’evoluzione tecnologi-ca che ha consentito di ridurne in modo significativo icosti di trasformazione in syncrude. Tra queste fonti,oltre agli oli pesanti, i tar sands, ecc., è ragionevole pen-sare che anche il carbone, ovvero la fonte fossile piùabbondante con un R/P superiore a 200 anni, potrà con-tribuire a fornire al mercato energetico internazionalequote aggiuntive di idrocarburi liquidi mediante tecno-logie di liquefazione diretta oppure indiretta.

È importante ricordare che il primo dei due approc-ci offre vantaggi dal punto di vista ambientale, legati auna migliore efficienza energetica (70% contro 55% diquella indiretta), ovvero minori emissioni di CO2 perbarile di syncrude prodotto. Inoltre, i syncrude da car-bone possono essere trasportati utilizzando le infra-strutture esistenti, per lo più controllate dall’industriapetrolifera, semplificandone la commercializzazione.Infatti, piuttosto che essere raffinato sul sito produttivo,il greggio sintetico potrebbe essere direttamente inviatoin raffineria e lavorato in miscela con i greggi tradizio-nali senza compromettere l’affidabilità delle classicheunit operation di raffineria. Esiste inoltre una serie di

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IDROCARBURI DA FONTI FOSSILI NON CONVENZIONALI E ALTERNATIVE

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processi diprima generazione

H-coal ITSL CMSL

fig. 14. Competitività economica dei processi di liquefazione diretta del carbone (Burke et al., 2001).

potenziali sinergie tra gli impianti di liquefazione e laraffineria, legate alla produzione di idrogeno, alla gestio-ne dei sottoprodotti, ecc., che possono contribuire a ridur-re i costi di produzione di distillati da carbone.

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Alberto DelbiancoEniTecnologie

San Donato Milanese, Milano, Italia

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