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 La sociologia relazionale di Pierpaolo Donati Una breve introduzione “ meta-sociologica” di Paolo Iagulli 1. La recente pubblicazione, in seconda edizione aggiornata, di un volume dedicato alla, e ispirato dalla, “sociologia relazionale” di Pierpaolo Donati, Invito alla sociologia relazionale. Teoria e applicazioni 1  , offre l’occasione per una breve introduzione a quello che sembra costituire un autentico paradigma sociologico, più che una teoria: è infatti proprio sul profilo, per così dire, della configurabilità  paradigmatica della prospettiva sociologica di Donati che vorrei qui soffermarmi. 2. Non è questo il luogo per un’approfondita distinzione tra la nozione di “teoria” e quella di “paradigma”; mi limito a ricordare che per “paradigma” deve intendersi, almeno a partire da Kuhn 2 , una prospettiva teorica condivisa e riconosciuta dalla comunità di scienziati di una determinata disciplina, fondata sulle precedenti acquisizioni e operante attraverso un indirizzo della ricerca sia in termini di scelta dei temi rilevanti che di formulazioni di ipotesi che di approntamento delle tecniche di ricerca 3 . Il  paradigma, dunque, è qualcosa di ben più ampio e generale della teoria: “è una visione del mondo, una finestra mentale, una griglia di lettura che precede l’elaborazione teorica” 4 . Come la maggior parte delle scienze sociali, la sociologia, che è lo studio scientifico della società, costituisce una disciplina multiparadigmatica : sembra difficile rinvenire un unico paradigma condiviso, anche solo in talune fasi della sua storia, dagli appartenenti alla comunità dei sociologi; l’approccio allo studio scientifico della società è avvenuto da (e registra ancora) punti di vista talmente diversi tra loro da costituire non semplicemente teorie differenti sulla società, ma paradigmi distanti se non inconciliabili. La tradizionale distinzione sociologica tra il concetto di “ordine” e quello di “conflitto” fa ad esempio riferimento a due paradigmi radicalmente alternativi e generativi della dialettica tra “funzionalismo” e “teoria del conflitto” (tra i “classici”, Comte, Spencer, Durkheim, Parsons, da un lato, Marx, Weber, la Scuola di 1 A cura di Pierpaolo DONATI e Paolo TERENZI, FrancoAngeli, Milano 2005-06. 2 T.S. KUHN [1962], La struttura delle rivoluzioni scientifiche, Einaudi, Torino 1969. 3 Cfr. P. CORBETTA  , La ricerca sociale: metodologia e tecniche , vol. I, I paradigmi di riferimento, il Mulino, Bologna 2003, p.13. 4   Ibidem.

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La sociologia relazionale di Pierpaolo DonatiUna breve introduzione “ meta-sociologica”

di Paolo Iagulli 

1. La recente pubblicazione, in seconda edizione aggiornata, di un volume

dedicato alla, e ispirato dalla, “sociologia relazionale” di Pierpaolo Donati, Invito alla

sociologia relazionale. Teoria e applicazioni

1

 , offre l’occasione per una breveintroduzione a quello che sembra costituire un autentico paradigma sociologico, più

che una teoria: è infatti proprio sul profilo, per così dire, della configurabilità paradigmatica della prospettiva sociologica di Donati che vorrei qui soffermarmi.

2. Non è questo il luogo per un’approfondita distinzione tra la nozione di

“teoria” e quella di “paradigma”; mi limito a ricordare che per “paradigma” deve

intendersi, almeno a partire da Kuhn2, una prospettiva teorica condivisa e

riconosciuta dalla comunità di scienziati di una determinata disciplina, fondata sulle

precedenti acquisizioni e operante attraverso un indirizzo della ricerca sia in terminidi scelta dei temi rilevanti che di formulazioni di ipotesi che di approntamento delle

tecniche di ricerca3. Il  paradigma, dunque, è qualcosa di ben più ampio e generale

della teoria: “è una visione del mondo, una finestra mentale, una griglia di lettura che

precede l’elaborazione teorica”4.

Come la maggior parte delle scienze sociali, la sociologia, che è lo studio

scientifico della società, costituisce una disciplina multiparadigmatica: sembra

difficile rinvenire un unico paradigma condiviso, anche solo in talune fasi della sua

storia, dagli appartenenti alla comunità dei sociologi; l’approccio allo studio

scientifico della società è avvenuto da (e registra ancora) punti di vista talmentediversi tra loro da costituire non semplicemente teorie differenti sulla società, ma

paradigmi distanti se non inconciliabili.

La tradizionale distinzione sociologica tra il concetto di “ordine” e quello di

“conflitto” fa ad esempio riferimento a due paradigmi radicalmente alternativi e

generativi della dialettica tra “funzionalismo” e “teoria del conflitto” (tra i “classici”,

Comte, Spencer, Durkheim, Parsons, da un lato, Marx, Weber, la Scuola di

1 A cura di Pierpaolo DONATI e Paolo TERENZI, FrancoAngeli, Milano 2005-06.2 T.S. KUHN [1962], La struttura delle rivoluzioni scientifiche, Einaudi, Torino 1969.3 Cfr. P. CORBETTA , La ricerca sociale: metodologia e tecniche, vol. I, I paradigmi di riferimento, il Mulino, Bologna

2003, p.13.4  Ibidem.

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2

Francoforte, dall’altro). Il funzionalismo evidenzia l’interdipendenza e

l’interconnessione delle varie parti della società e la tendenza dei sistemi sociali ad

adempiere a determinati compiti necessari alla loro sopravvivenza attraverso quelle

strutture (sociali) che spetta appunto alla riflessione sociologica tematizzare e

spiegare: “paradigma dell’ordine”; la cd. teoria del conflitto ritiene invece chel’analisi sociologica debba indagare sui conflitti, le contraddizioni e le ingiustizie che

caratterizzerebbero costitutivamente e decisivamente ogni società: “paradigma del

conflitto”5.

3. Una distinzione altrettanto fondamentale nella storia del pensiero sociologico

è quella tra il “paradigma della struttura” (il cui ispiratore è Durkheim) e il

“paradigma dell’azione” (il cui ispiratore è Weber). Brevemente: chi si muove

all’interno del primo paradigma sostiene che la sociologia ha il compito di studiare la

struttura complessiva della società perché solo a partire da quest’ultima sarebbe

possibile spiegare non solo il funzionamento del sistema sociale globalmente

considerato, ma anche i comportamenti dei singoli individui, condizionati se non

proprio rigidamente determinati dalle strutture sociali, le quali costituirebbero quindi

le entità fondamentali della società (primazia della struttura). Chi condivide i

postulati del paradigma dell’azione afferma invece che oggetto fondamentale di

studio della sociologia sono le azioni individuali perché solo partendo da queste

ultime sembrerebbe possibile spiegare la società nel suo complesso e comprendere glistessi singoli individui (primazia dell’azione).

Rispetto a quella tra “ordine” e “conflitto”, la contrapposizione “struttura-azione” sembra decisamente più rilevante, almeno dal punto di vista teoretico. E

difatti v’è chi autorevolmente sostiene che le concezioni cui tale contrapposizione dà

vita, l’olismo e l’individualismo, costituiscono le due principali tradizioni del

pensiero sociologico6. Olismo e individualismo rappresentano le “due possibilità di

risposta alla domanda concernente la natura dei fenomeni sociali, cioè se essi abbianouna autonomia del tutto intrinseca (approccio oggettivistico) oppure se siano prodotti

dell’agire individuale (approccio soggettivistico)”7; secondo l’olismo sociologico i

fenomeni sociali hanno proprie autonome modalità di “funzionamento” e mutamento,

una loro propria natura e proprie specifiche leggi, mentre per l’individualismo ifenomeni sociali costituiscono gli effetti delle azioni, intenzionali e non, degli

individui.

Fuoriesce chiaramente dai limiti della presente breve nota l’approfondimento

di questa antinomia paradigmatica, che attraversa la storia e la riflessione sociologicagenerale

8.

5 Per una chiara introduzione alla storia e ai concetti del “funzionalismo” e della “teoria del conflitto”, cfr. R.A.

WALLACE, A. WOLF, La teoria sociologica contemporanea, il Mulino, Bologna 2000, pp. 27-169.6 Cfr. V. CESAREO, Sociologia. Teorie e problemi, Vita e pensiero, Milano 2004.7  Ibidem, p. 7.8 Cfr., oltre a V. CESAREO, op. cit., pp. 5-63, anche, introduttivamente ma acutamente, A. CAVALLI,  Incontro con la

sociologia, il Mulino, Bologna 2001, pp. 37-47.

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3.1. Mi limito a rilevare che le concezioni “olistiche” e “individualistiche”

pertengono a un livello di analisi filosofico o comunque meta-sociologico9; è

indubbio, cioè, che esse attengano a un livello fondativo, meta o pre-sociologico.

Concepire, da un lato, la società come una totalità con caratteristiche sue proprie

analoghe a quelle degli organismi viventi ovvero come del tutto derivata dalle azionidei singoli individui e, dall’altro, gli individui come vincolati dalle strutture ovvero

liberi di agire, significa muoversi su terreni riflessivi radicalmente diversi; ciò è

peraltro quanto definito dal concetto di “paradigma”, che designa appunto un livello

pre o meta-teorico.

3.2. E’ inoltre ai nostri fini opportuno ricordare come siano stati ben diversi tra

loro, ma assai autorevoli i tentativi da parte della sociologia moderna e

contemporanea (Parsons, Alexander, Bourdieau, Giddens, Archer, Habermas) di

attenuare o superare la contrapposizione tra i due paradigmi sociologici della struttura

e dell’azione e, quindi, tra il talora rigido determinismo strutturale proprio della

prospettiva olistica, da un lato, e il soggettivismo talvolta estremo della prospettiva

individualistica, dall’altro10

.

4. La “sociologia relazionale” di Pierpaolo Donati può essere ricondotta al

novero dei tentativi appena ricordati? Ed è possibile parlarne come di un nuovo

paradigma sociologico, affiancabile a quelli della struttura e dell’azione, e quindi diuna nuova concezione riflessiva della realtà sociale alternativa a quelle olistica e

individualistica?Non ho l’ambizione di un’analitica soluzione a tali interrogativi; si consideri,

peraltro, la modesta natura di nota in margine a un volume recentemente pubblicato

rivestita dalle presenti pagine. Mi limiterò a “interpretare” il pensiero dello stesso

Donati, a cercare, cioè, una risposta fondamentalmente all’interno delle sue stesse

riflessioni.

4.1.  Invito alla sociologia relazionale. Teoria e applicazioni è, peraltro,

un’opera collettanea in cui accanto a pur rilevanti contributi teorici figurano, in

maggior misura, prospettive applicative11. E’, in particolare, nei suoi precedenti

9 Cfr. al riguardo l’interessante lavoro di F. VILLA, Sociologia e metasociologia, Vita e pensiero, Milano 2000.10 Cfr., tra gli altri, ancora V. CESAREO, Sociologia. Teorie e problemi, cit., pp. 65-110 e, brevemente, F. CRESPI, P.

JEDLOWSKI, R. RAUTY, La sociologia. Contesti storici e modelli culturali, Laterza, Roma-Bari 2000, pp. 361-381.11 Il volume comprende i seguenti saggi: P. DONATI, Introduzione. Perché la sociologia relazionale?; P. TERENZI,

Sociologia relazionale e realismo critico; S. BELARDINELLI, All’inizio è la relazione. La dimensione antropologica 

della teoria relazionale; L. ALLODI, Sociologia relazionale e cultura; I. COLOZZI,  Approccio relazionale alla

sociologia della morale; P. TERENZI, Vita quotidiana e teoria relazionale; L. BOCCACIN, Le generazioni nell’ottica

della teoria relazionale; G. ROSSI,  Il concetto di rischio nella sociologia relazionale; G. GILI,  La credibilità come

relazione sociale; F. FERRUCCI,  Disabilità e politiche sociali: la prospettiva relazionale; F. FOLGHERAITER , I 

servizi sociali relazionali; G. SCIDA’, Teoria relazionale e azioni migratorie; S. STANZANI, Terzo settore e

differenziazione sociale: una teoria relazionale; P. DONATI, Fare sociologia nell’epoca della globalizzazione; il

volume è completato dall’elenco cronologico (1971-2005) delle principali pubblicazioni di Donati.

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4

 Introduzione alla sociologia relazionale12

, Teoria relazionale della società13

  e  La

società è relazione14

che l’autore elabora la sua rilevante proposta sociologica.

Anzitutto, Donati è ovviamente ben consapevole della centralità nella storia del

pensiero sociologico di un dualismo, quello tra azione e struttura, che nasce già a

livello filosofico con Cartesio, il quale “oppone fra loro l’uomo come soggetto el’uomo come oggetto” e che dal positivismo sociologico ortodosso o originario di

Comte e Durkheim “persiste tuttora nella separazione tra sociologie che pongono al

loro centro rispettivamente l’azione sociale oppure il sistema sociale, la soggettività

da un lato e la struttura sociale dall’altro”15

. La storia stessa della sociologia, che pure

ha registrato al suo interno approcci teorici anche molto diversi tra loro, può essere

“ridotta” alla dicotomia struttura-azione: positivismo, marxismo, sociologia

comprendente (Weber), sociologia formale (Simmel), struttural-funzionalismo,

interazionismo simbolico, ecc. sono riconducibili all’uno o all’altro dei due poli

fondamentali.

Peraltro -come ricordato- molti sono stati i tentativi di “gettare un ponte” (per

usare le parole di Donati) tra le due grandi tradizioni sociologiche, tra quelli, cioè,

che costituiscono i due fondamentali paradigmi della riflessione sociologica.

Tuttavia, se il tentativo secondo Donati più ambizioso e importante, quello di

Parsons, ha sostanzialmente fallito nel suo scopo (risultando, per così dire,

chiaramente sbilanciato dalla parte del sistema sociale), ne segue, afferma l’autore,

che è l’idea stessa di “gettare un ponte” o di “mettere assieme” i punti di vista

oggettivistici e soggettivistici a risultare un’impossibilità o comunque un erroreteoretico.

E infatti la sociologia relazionale di Donati intende superare la “grandedivisione” tra sociologie strutturali e sociologie dell’azione senza farsi “ponte” o

“mix” tra le une e le altre. Essa, evidenziandone limiti e parzialità, ma raccogliendone

anche, e rileggendone e rivalutandone i loro più fruttuosi portati teorici, non propone

semplicemente un nuovo approccio16

, bensì un nuovo punto di vista, una nuova

prospettiva “a partire non da una nuova teoria ma dalla stessa realtà sociale che èsupposta […] essa stessa compenetrata di azione e sistema”

17. La sociologia

relazionale di Donati è, in altri termini, “il tentativo di rileggere quanto la sociologia

ha detto e prodotto nella sua tradizione disciplinare secondo una nuova ottica,

interpretativa e esplicativa al contempo, che lega tra loro l’uomo come oggetto ecome soggetto, il sistema sociale e l’azione sociale, la struttura e la soggettività”

18.

La chiave di volta della “ricostruzione” evocata da Donati sta nel

ripensamento e nella ri-tematizzazione dell’oggetto della sociologia che viene

univocamente individuato nella relazione sociale quale “società intesa come campo

12FrancoAngeli, Milano: 1° edizione 1983; 2° edizione 1986, pubblicata in versione invariata in 6° edizione nel 2002.

13 FrancoAngeli, Milano 1991.14 In P. DONATI (a cura di), Lezioni di sociologia, Cedam, Padova 1998, pp. 1-54.15 P. DONATI, Introduzione alla sociologia relazionale, cit., p. 11.16 “ La sociologia relazionale non è una sociologia in più”, scrive DONATI (ibidem, p. 12).17  Ibidem, p. 15.18

  Ibidem, p. 12.

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5

di soggetti individuali e collettivi inter-relati”19

o, più analiticamente, quale “realtà

immateriale (che sta nello spazio-tempo) dell’inter-umano, ossia che sta fra i soggetti

agenti, e che -come tale- “costituisce” il loro orientarsi e agire reciproco per

distinzione da ciò che sta nei singoli attori -individuali o collettivi- considerati come

poli o termini della relazione. Questa “realtà fra”, fatta insieme di elementi“oggettivi” e “soggettivi”, è la sfera in cui vengono definite sia la distanza sia la

integrazione degli individui rispetto alla società: dipende da essa se, in che forma,

misura e qualità l’individuo può distaccarsi o coinvolgersi rispetto agli altri soggetti

più o meno prossimi, alle istituzioni e in generale rispetto alle dinamiche della vita

sociale”20

.

L’assoluta centralità e la peculiarità del concetto di relazione sociale nella

prospettiva di Donati sono evidenti. Molti sociologi anche classici parlano di

relazioni sociali, ma “quasi nessuno ha compiuto in sociologia l’operazione di partire

dalla relazione come presupposto primo per la spiegazione dei termini che collega e

dei processi che essa genera”21

. L’affermazione di Donati secondo cui “la società è

relazione”, non priva di dimensioni antropologiche22

, va quindi intesa in senso forte,

cioè come  presupposizione epistemologica generale: non solo la società non è un

sistema preordinato e/o sovrastante i singoli fenomeni e i soggetti individuali, né

l’esito di azioni individuali, bensì è appunto “relazione sociale”; ma soprattutto

quest’ultima non è una realtà accidentale, secondaria o derivata da altre entità

(individui o sistemi), bensì una realtà con una sua propria specificità e originarietà23

.

Il punto meriterebbe un ben più adeguato approfondimento24

. Ma certo è chese la relazione sociale (e non l’individuo o un pre-supposto sistema) costituisce la

cellula del tessuto sociale25, ne segue che la sociologia ha il precipuo compito ditematizzare le ragioni per le quali i soggetti sociali hanno tra loro determinate

relazioni e non altre e agiscono in un certo modo tra i molti possibili. La

comprensione della società, sostiene Donati, è ben diversa da quella degli individui

19  Ibidem.

20 P. DONATI, La società è relazione, cit., p. 6-7.21 P. DONATI,  Introduzione. Perché la sociologia relazionale?, in P. DONATI-P. TERENZI (a cura di),  Invito alla

sociologia relazionale. Teoria e applicazioni, cit. p. 10.22 Cfr, ad es., l’invito riflessivo di S. BELARDINELLI, All’inizio c’è la relazione. La dimensione antropologica della 

teoria relazionale, in P. DONATI-P. TERENZI (a cura di), Invito alla sociologia relazionale. Teoria e applicazioni,cit., p. 50 ss.23 Cfr. P. DONATI, Introduzione. Perché la sociologia relazionale?, cit., p. 9-10.24 Rinvio, in part., a P. DONATI,  La società è relazione, cit.: qui la sua “sociologia relazionale” e il concetto di

“relazione sociale” sono sinteticamente, ma assai efficacemente presentati; sul punto della originarietà della relazionesociale, sembra il caso di riportare le sue seguenti osservazioni: “due sono state, e ancor oggi sono le principali modalità

di trattare la relazione sociale: i) la relazione come proiezione, riflesso o prodotto dei singoli attori, generalmente gli

individui, e delle loro azioni […]; ii) la relazione come espressione ed effetto di strutture sociali, di status-ruoli, di una

totalità ovvero di un sistema sociale globale […]. Nel dibattito epistemologico, noto nella storia del pensiero come

 Methodenstreit , che ancor oggi mette capo alle due grandi correnti dell’individualismo metodologico e dell’olismo

metodologico, la relazione continua ad avere un ruolo derivato (anziché di presupposizione prima). Una scienzarelazionale, al contrario, si sviluppa nella misura in cui si assume che “all’inizio c’è la relazione” e sulla base di questo

presupposto si elabora una metodologia investigativa conseguente” (ibidem, p. 12).25 Cfr. ibidem, p. 6: Donati precisa, peraltro, che parlare della relazione sociale come della “cellula” del tessuto sociale

non significa affatto “reificarne” il concetto e la relativa realtà, ma solo utilizzare un‘analogia volta a “far comprendere

come la relazionalità sia ciò che caratterizza (in senso forte) il genere di realtà specifico del sociale rispetto ad altri

ordini di realtà” (ibidem).

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singolarmente e psicologicamente considerati o da quella di pretese “leggi

meccaniche” che li governino. I fenomeni sociali sono contingenti: potrebbero essere

sempre diversi da come sono in un determinato momento; peraltro, essi appaiono

legati a una libertà, com’è quella umana, non certo svincolata da forme e

condizionamenti strutturali preesistenti. Studiare la società significa quindi“comprenderla come relazione sociale fra soggetti che creano strutture e le

modificano nel tempo, in presenza di certi requisiti e sotto certe condizioni”26

. Con la

Archer27

, Donati afferma che i processi attraverso i quali emergono l’insieme di

relazioni nelle quali la società consiste possono essere distinti in tre fasi: “le forme

socioculturali strutturali preesistenti, le azioni dei soggetti-agenti che si muovono in

relazione fra loro condizionati da queste forme, e i risultati di tali inter-azioni, che

possono riattualizzare (morfostasi) oppure modificare (morfogenesi) le strutture

socioculturali di partenza”28

.

4.2. E’ possibile, a questo punto, tornare agli interrogativi precedentemente

sollevati. La proposta sociologica di Pierpaolo Donati è annoverabile tra i tentativi

volti a superare l’antinomia tra i fondamentali paradigmi sociologici dell’azione e

della struttura? La risposta sembra poter essere positiva. Peraltro, se gli altri tentativi

sono quelli -sopra ricordati- dei vari Parsons, Alexander, Bourdieau, Giddens, Archer

e Habermas, Donati non è certo in cattiva compagnia. Con la sostanziale e decisiva

precisazione -cui s’è già accennato- che egli non coniuga sociologie azioniste e

sociologie sistemico-strutturali gettando una sorta di “ponte” tra esse, cioè tentandouna loro conciliazione dall’esterno, ma adottando un atteggiamento di fondo, una

presupposizione generale di ordine metafisico capace di accogliere l’unità del reale edi rispettare il suo proprio oggetto senza manipolarlo, falsificarlo, ridurlo

29. Insomma,

è solo attraverso l’analisi, ispirata al realismo critico, dell’”unica realtà sociale”

esistente, in cui sono egualmente presenti l’azione individuale e il sistema (sociale),

che l’una e l’altro trovano legittima cittadinanza nella riflessione sociologica e che

quindi i due paradigmi alternativi dell’azione e della struttura sembrano potersiriconnettere. La distanza tra olismo e individualismo, tra oggettivismo e

soggettivismo può essere cioè colmata, con le parole di Donati, solo “attraverso un

principio che si rifaccia all’unità (o pienezza di realtà) dello stesso fenomeno sociale

reale che è sempre “totale” (oggettivo e soggettivo insieme) e che esiste, in modidifferenti, al contempo fuori e dentro il soggetto. Questa capacità di raccordare i due

poli della sociologia, in altri termini, rimanda a una scelta filosofica, a un

atteggiamento di fondo che non prende partito né per l’uno (la realtà esteriore) […]

né per l’altro (la soggettività) […] né  tantomeno per un artificiale ponte costruito tra-

 26

  Ibidem, p. 8.27 Cfr. M.S. ARCHER (1995), La morfogenesi della società, FrancoAngeli, Milano 1997, certamente uno dei contributi

più rilevanti alla teoria sociale contemporanea.28 P. DONATI, La società è relazione, cit., p.7.29 Cfr. P. TERENZI, Sociologia relazionale e realismo critico, in P. DONATI-P. TERENZI (a cura di),  Invito alla

sociologia relazionale. Teoria e applicazioni, cit., p. 39, il quale cita testualmente e puntualmente alcuni passaggi dello

stesso DONATI ( Introduzione alla sociologia relazionale, cit., pp. 25 e 58).

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7

di-essi […] ma per l’intima unità del reale che esiste da un lato in sé e dall’altro in

modo intelligibile nella soggettività umana”30

.

Sembra già chiaramente delineata, a questo punto, anche la risposta al secondo

interrogativo, consistente nel chiedersi se sia possibile parlare, a carico della

“sociologia relazionale” di Donati, di un nuovo paradigma sociologico, affiancabile aquelli della struttura e dell’azione, e quindi di una concezione della realtà sociale

alternativa a quelle olistica e individualistica. Risulta, infatti, del tutto evidente il

livello meta-sociologico fatto proprio da Donati, distinto non solo dall’olismo e

dall’individualismo, ma anche da quei tentativi di un loro avvicinamento viziati da

una qualche forma di sincretismo. Del resto, è lo stesso Donati, mi sembra, a

prospettare più o meno esplicitamente per la propria prospettiva sociologica, per così

dire, un rango  paradigmatico: “l’analisi delle relazioni sociali in senso proprio

implica un terzo punto di vista, né individualista (o azionista) né sistemico (o

olistico)”31

; il terzo punto di vista o paradigma è appunto quello relazionale, il cui

oggetto è, come ormai sappiamo, la “relazione sociale” in cui consiste la società.

Conclusivamente, e con le parole dell’autore: “la posizione della sociologia

relazionale non sta né dalla parte degli individualisti né dalla parte degli olisti. Essa

afferma che esiste un ordine di realtà, quella sociologica, che la filosofia, classica o

moderna che sia, non ha ancora compreso. La società non è né un corpo organico, né

una somma di individui. Essa è invece una configurazione relazionale che va al di là

della semplice somma di individui e non arriva mai ad essere un corpo organico. Il

che significa che non esaurisce mai le sue possibilità. In altri termini: il sociale non èsolo negli individui, e prima di essi, ma anche oltre di essi. E’ l’emergenza delle loro

relazioni”32.

30 P. DONATI, Introduzione alla sociologia relazionale, cit. p. 58.31 P. DONATI, La società è relazione, cit., p. 12.32

  Ibidem, pp. 10-11: i corsivi sono miei.

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