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La sociologia relazionale di Pierpaolo DonatiUna breve introduzione “ meta-sociologica”
di Paolo Iagulli
1. La recente pubblicazione, in seconda edizione aggiornata, di un volume
dedicato alla, e ispirato dalla, “sociologia relazionale” di Pierpaolo Donati, Invito alla
sociologia relazionale. Teoria e applicazioni
1
, offre l’occasione per una breveintroduzione a quello che sembra costituire un autentico paradigma sociologico, più
che una teoria: è infatti proprio sul profilo, per così dire, della configurabilità paradigmatica della prospettiva sociologica di Donati che vorrei qui soffermarmi.
2. Non è questo il luogo per un’approfondita distinzione tra la nozione di
“teoria” e quella di “paradigma”; mi limito a ricordare che per “paradigma” deve
intendersi, almeno a partire da Kuhn2, una prospettiva teorica condivisa e
riconosciuta dalla comunità di scienziati di una determinata disciplina, fondata sulle
precedenti acquisizioni e operante attraverso un indirizzo della ricerca sia in terminidi scelta dei temi rilevanti che di formulazioni di ipotesi che di approntamento delle
tecniche di ricerca3. Il paradigma, dunque, è qualcosa di ben più ampio e generale
della teoria: “è una visione del mondo, una finestra mentale, una griglia di lettura che
precede l’elaborazione teorica”4.
Come la maggior parte delle scienze sociali, la sociologia, che è lo studio
scientifico della società, costituisce una disciplina multiparadigmatica: sembra
difficile rinvenire un unico paradigma condiviso, anche solo in talune fasi della sua
storia, dagli appartenenti alla comunità dei sociologi; l’approccio allo studio
scientifico della società è avvenuto da (e registra ancora) punti di vista talmentediversi tra loro da costituire non semplicemente teorie differenti sulla società, ma
paradigmi distanti se non inconciliabili.
La tradizionale distinzione sociologica tra il concetto di “ordine” e quello di
“conflitto” fa ad esempio riferimento a due paradigmi radicalmente alternativi e
generativi della dialettica tra “funzionalismo” e “teoria del conflitto” (tra i “classici”,
Comte, Spencer, Durkheim, Parsons, da un lato, Marx, Weber, la Scuola di
1 A cura di Pierpaolo DONATI e Paolo TERENZI, FrancoAngeli, Milano 2005-06.2 T.S. KUHN [1962], La struttura delle rivoluzioni scientifiche, Einaudi, Torino 1969.3 Cfr. P. CORBETTA , La ricerca sociale: metodologia e tecniche, vol. I, I paradigmi di riferimento, il Mulino, Bologna
2003, p.13.4 Ibidem.
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Francoforte, dall’altro). Il funzionalismo evidenzia l’interdipendenza e
l’interconnessione delle varie parti della società e la tendenza dei sistemi sociali ad
adempiere a determinati compiti necessari alla loro sopravvivenza attraverso quelle
strutture (sociali) che spetta appunto alla riflessione sociologica tematizzare e
spiegare: “paradigma dell’ordine”; la cd. teoria del conflitto ritiene invece chel’analisi sociologica debba indagare sui conflitti, le contraddizioni e le ingiustizie che
caratterizzerebbero costitutivamente e decisivamente ogni società: “paradigma del
conflitto”5.
3. Una distinzione altrettanto fondamentale nella storia del pensiero sociologico
è quella tra il “paradigma della struttura” (il cui ispiratore è Durkheim) e il
“paradigma dell’azione” (il cui ispiratore è Weber). Brevemente: chi si muove
all’interno del primo paradigma sostiene che la sociologia ha il compito di studiare la
struttura complessiva della società perché solo a partire da quest’ultima sarebbe
possibile spiegare non solo il funzionamento del sistema sociale globalmente
considerato, ma anche i comportamenti dei singoli individui, condizionati se non
proprio rigidamente determinati dalle strutture sociali, le quali costituirebbero quindi
le entità fondamentali della società (primazia della struttura). Chi condivide i
postulati del paradigma dell’azione afferma invece che oggetto fondamentale di
studio della sociologia sono le azioni individuali perché solo partendo da queste
ultime sembrerebbe possibile spiegare la società nel suo complesso e comprendere glistessi singoli individui (primazia dell’azione).
Rispetto a quella tra “ordine” e “conflitto”, la contrapposizione “struttura-azione” sembra decisamente più rilevante, almeno dal punto di vista teoretico. E
difatti v’è chi autorevolmente sostiene che le concezioni cui tale contrapposizione dà
vita, l’olismo e l’individualismo, costituiscono le due principali tradizioni del
pensiero sociologico6. Olismo e individualismo rappresentano le “due possibilità di
risposta alla domanda concernente la natura dei fenomeni sociali, cioè se essi abbianouna autonomia del tutto intrinseca (approccio oggettivistico) oppure se siano prodotti
dell’agire individuale (approccio soggettivistico)”7; secondo l’olismo sociologico i
fenomeni sociali hanno proprie autonome modalità di “funzionamento” e mutamento,
una loro propria natura e proprie specifiche leggi, mentre per l’individualismo ifenomeni sociali costituiscono gli effetti delle azioni, intenzionali e non, degli
individui.
Fuoriesce chiaramente dai limiti della presente breve nota l’approfondimento
di questa antinomia paradigmatica, che attraversa la storia e la riflessione sociologicagenerale
8.
5 Per una chiara introduzione alla storia e ai concetti del “funzionalismo” e della “teoria del conflitto”, cfr. R.A.
WALLACE, A. WOLF, La teoria sociologica contemporanea, il Mulino, Bologna 2000, pp. 27-169.6 Cfr. V. CESAREO, Sociologia. Teorie e problemi, Vita e pensiero, Milano 2004.7 Ibidem, p. 7.8 Cfr., oltre a V. CESAREO, op. cit., pp. 5-63, anche, introduttivamente ma acutamente, A. CAVALLI, Incontro con la
sociologia, il Mulino, Bologna 2001, pp. 37-47.
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3.1. Mi limito a rilevare che le concezioni “olistiche” e “individualistiche”
pertengono a un livello di analisi filosofico o comunque meta-sociologico9; è
indubbio, cioè, che esse attengano a un livello fondativo, meta o pre-sociologico.
Concepire, da un lato, la società come una totalità con caratteristiche sue proprie
analoghe a quelle degli organismi viventi ovvero come del tutto derivata dalle azionidei singoli individui e, dall’altro, gli individui come vincolati dalle strutture ovvero
liberi di agire, significa muoversi su terreni riflessivi radicalmente diversi; ciò è
peraltro quanto definito dal concetto di “paradigma”, che designa appunto un livello
pre o meta-teorico.
3.2. E’ inoltre ai nostri fini opportuno ricordare come siano stati ben diversi tra
loro, ma assai autorevoli i tentativi da parte della sociologia moderna e
contemporanea (Parsons, Alexander, Bourdieau, Giddens, Archer, Habermas) di
attenuare o superare la contrapposizione tra i due paradigmi sociologici della struttura
e dell’azione e, quindi, tra il talora rigido determinismo strutturale proprio della
prospettiva olistica, da un lato, e il soggettivismo talvolta estremo della prospettiva
individualistica, dall’altro10
.
4. La “sociologia relazionale” di Pierpaolo Donati può essere ricondotta al
novero dei tentativi appena ricordati? Ed è possibile parlarne come di un nuovo
paradigma sociologico, affiancabile a quelli della struttura e dell’azione, e quindi diuna nuova concezione riflessiva della realtà sociale alternativa a quelle olistica e
individualistica?Non ho l’ambizione di un’analitica soluzione a tali interrogativi; si consideri,
peraltro, la modesta natura di nota in margine a un volume recentemente pubblicato
rivestita dalle presenti pagine. Mi limiterò a “interpretare” il pensiero dello stesso
Donati, a cercare, cioè, una risposta fondamentalmente all’interno delle sue stesse
riflessioni.
4.1. Invito alla sociologia relazionale. Teoria e applicazioni è, peraltro,
un’opera collettanea in cui accanto a pur rilevanti contributi teorici figurano, in
maggior misura, prospettive applicative11. E’, in particolare, nei suoi precedenti
9 Cfr. al riguardo l’interessante lavoro di F. VILLA, Sociologia e metasociologia, Vita e pensiero, Milano 2000.10 Cfr., tra gli altri, ancora V. CESAREO, Sociologia. Teorie e problemi, cit., pp. 65-110 e, brevemente, F. CRESPI, P.
JEDLOWSKI, R. RAUTY, La sociologia. Contesti storici e modelli culturali, Laterza, Roma-Bari 2000, pp. 361-381.11 Il volume comprende i seguenti saggi: P. DONATI, Introduzione. Perché la sociologia relazionale?; P. TERENZI,
Sociologia relazionale e realismo critico; S. BELARDINELLI, All’inizio è la relazione. La dimensione antropologica
della teoria relazionale; L. ALLODI, Sociologia relazionale e cultura; I. COLOZZI, Approccio relazionale alla
sociologia della morale; P. TERENZI, Vita quotidiana e teoria relazionale; L. BOCCACIN, Le generazioni nell’ottica
della teoria relazionale; G. ROSSI, Il concetto di rischio nella sociologia relazionale; G. GILI, La credibilità come
relazione sociale; F. FERRUCCI, Disabilità e politiche sociali: la prospettiva relazionale; F. FOLGHERAITER , I
servizi sociali relazionali; G. SCIDA’, Teoria relazionale e azioni migratorie; S. STANZANI, Terzo settore e
differenziazione sociale: una teoria relazionale; P. DONATI, Fare sociologia nell’epoca della globalizzazione; il
volume è completato dall’elenco cronologico (1971-2005) delle principali pubblicazioni di Donati.
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Introduzione alla sociologia relazionale12
, Teoria relazionale della società13
e La
società è relazione14
che l’autore elabora la sua rilevante proposta sociologica.
Anzitutto, Donati è ovviamente ben consapevole della centralità nella storia del
pensiero sociologico di un dualismo, quello tra azione e struttura, che nasce già a
livello filosofico con Cartesio, il quale “oppone fra loro l’uomo come soggetto el’uomo come oggetto” e che dal positivismo sociologico ortodosso o originario di
Comte e Durkheim “persiste tuttora nella separazione tra sociologie che pongono al
loro centro rispettivamente l’azione sociale oppure il sistema sociale, la soggettività
da un lato e la struttura sociale dall’altro”15
. La storia stessa della sociologia, che pure
ha registrato al suo interno approcci teorici anche molto diversi tra loro, può essere
“ridotta” alla dicotomia struttura-azione: positivismo, marxismo, sociologia
comprendente (Weber), sociologia formale (Simmel), struttural-funzionalismo,
interazionismo simbolico, ecc. sono riconducibili all’uno o all’altro dei due poli
fondamentali.
Peraltro -come ricordato- molti sono stati i tentativi di “gettare un ponte” (per
usare le parole di Donati) tra le due grandi tradizioni sociologiche, tra quelli, cioè,
che costituiscono i due fondamentali paradigmi della riflessione sociologica.
Tuttavia, se il tentativo secondo Donati più ambizioso e importante, quello di
Parsons, ha sostanzialmente fallito nel suo scopo (risultando, per così dire,
chiaramente sbilanciato dalla parte del sistema sociale), ne segue, afferma l’autore,
che è l’idea stessa di “gettare un ponte” o di “mettere assieme” i punti di vista
oggettivistici e soggettivistici a risultare un’impossibilità o comunque un erroreteoretico.
E infatti la sociologia relazionale di Donati intende superare la “grandedivisione” tra sociologie strutturali e sociologie dell’azione senza farsi “ponte” o
“mix” tra le une e le altre. Essa, evidenziandone limiti e parzialità, ma raccogliendone
anche, e rileggendone e rivalutandone i loro più fruttuosi portati teorici, non propone
semplicemente un nuovo approccio16
, bensì un nuovo punto di vista, una nuova
prospettiva “a partire non da una nuova teoria ma dalla stessa realtà sociale che èsupposta […] essa stessa compenetrata di azione e sistema”
17. La sociologia
relazionale di Donati è, in altri termini, “il tentativo di rileggere quanto la sociologia
ha detto e prodotto nella sua tradizione disciplinare secondo una nuova ottica,
interpretativa e esplicativa al contempo, che lega tra loro l’uomo come oggetto ecome soggetto, il sistema sociale e l’azione sociale, la struttura e la soggettività”
18.
La chiave di volta della “ricostruzione” evocata da Donati sta nel
ripensamento e nella ri-tematizzazione dell’oggetto della sociologia che viene
univocamente individuato nella relazione sociale quale “società intesa come campo
12FrancoAngeli, Milano: 1° edizione 1983; 2° edizione 1986, pubblicata in versione invariata in 6° edizione nel 2002.
13 FrancoAngeli, Milano 1991.14 In P. DONATI (a cura di), Lezioni di sociologia, Cedam, Padova 1998, pp. 1-54.15 P. DONATI, Introduzione alla sociologia relazionale, cit., p. 11.16 “ La sociologia relazionale non è una sociologia in più”, scrive DONATI (ibidem, p. 12).17 Ibidem, p. 15.18
Ibidem, p. 12.
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di soggetti individuali e collettivi inter-relati”19
o, più analiticamente, quale “realtà
immateriale (che sta nello spazio-tempo) dell’inter-umano, ossia che sta fra i soggetti
agenti, e che -come tale- “costituisce” il loro orientarsi e agire reciproco per
distinzione da ciò che sta nei singoli attori -individuali o collettivi- considerati come
poli o termini della relazione. Questa “realtà fra”, fatta insieme di elementi“oggettivi” e “soggettivi”, è la sfera in cui vengono definite sia la distanza sia la
integrazione degli individui rispetto alla società: dipende da essa se, in che forma,
misura e qualità l’individuo può distaccarsi o coinvolgersi rispetto agli altri soggetti
più o meno prossimi, alle istituzioni e in generale rispetto alle dinamiche della vita
sociale”20
.
L’assoluta centralità e la peculiarità del concetto di relazione sociale nella
prospettiva di Donati sono evidenti. Molti sociologi anche classici parlano di
relazioni sociali, ma “quasi nessuno ha compiuto in sociologia l’operazione di partire
dalla relazione come presupposto primo per la spiegazione dei termini che collega e
dei processi che essa genera”21
. L’affermazione di Donati secondo cui “la società è
relazione”, non priva di dimensioni antropologiche22
, va quindi intesa in senso forte,
cioè come presupposizione epistemologica generale: non solo la società non è un
sistema preordinato e/o sovrastante i singoli fenomeni e i soggetti individuali, né
l’esito di azioni individuali, bensì è appunto “relazione sociale”; ma soprattutto
quest’ultima non è una realtà accidentale, secondaria o derivata da altre entità
(individui o sistemi), bensì una realtà con una sua propria specificità e originarietà23
.
Il punto meriterebbe un ben più adeguato approfondimento24
. Ma certo è chese la relazione sociale (e non l’individuo o un pre-supposto sistema) costituisce la
cellula del tessuto sociale25, ne segue che la sociologia ha il precipuo compito ditematizzare le ragioni per le quali i soggetti sociali hanno tra loro determinate
relazioni e non altre e agiscono in un certo modo tra i molti possibili. La
comprensione della società, sostiene Donati, è ben diversa da quella degli individui
19 Ibidem.
20 P. DONATI, La società è relazione, cit., p. 6-7.21 P. DONATI, Introduzione. Perché la sociologia relazionale?, in P. DONATI-P. TERENZI (a cura di), Invito alla
sociologia relazionale. Teoria e applicazioni, cit. p. 10.22 Cfr, ad es., l’invito riflessivo di S. BELARDINELLI, All’inizio c’è la relazione. La dimensione antropologica della
teoria relazionale, in P. DONATI-P. TERENZI (a cura di), Invito alla sociologia relazionale. Teoria e applicazioni,cit., p. 50 ss.23 Cfr. P. DONATI, Introduzione. Perché la sociologia relazionale?, cit., p. 9-10.24 Rinvio, in part., a P. DONATI, La società è relazione, cit.: qui la sua “sociologia relazionale” e il concetto di
“relazione sociale” sono sinteticamente, ma assai efficacemente presentati; sul punto della originarietà della relazionesociale, sembra il caso di riportare le sue seguenti osservazioni: “due sono state, e ancor oggi sono le principali modalità
di trattare la relazione sociale: i) la relazione come proiezione, riflesso o prodotto dei singoli attori, generalmente gli
individui, e delle loro azioni […]; ii) la relazione come espressione ed effetto di strutture sociali, di status-ruoli, di una
totalità ovvero di un sistema sociale globale […]. Nel dibattito epistemologico, noto nella storia del pensiero come
Methodenstreit , che ancor oggi mette capo alle due grandi correnti dell’individualismo metodologico e dell’olismo
metodologico, la relazione continua ad avere un ruolo derivato (anziché di presupposizione prima). Una scienzarelazionale, al contrario, si sviluppa nella misura in cui si assume che “all’inizio c’è la relazione” e sulla base di questo
presupposto si elabora una metodologia investigativa conseguente” (ibidem, p. 12).25 Cfr. ibidem, p. 6: Donati precisa, peraltro, che parlare della relazione sociale come della “cellula” del tessuto sociale
non significa affatto “reificarne” il concetto e la relativa realtà, ma solo utilizzare un‘analogia volta a “far comprendere
come la relazionalità sia ciò che caratterizza (in senso forte) il genere di realtà specifico del sociale rispetto ad altri
ordini di realtà” (ibidem).
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singolarmente e psicologicamente considerati o da quella di pretese “leggi
meccaniche” che li governino. I fenomeni sociali sono contingenti: potrebbero essere
sempre diversi da come sono in un determinato momento; peraltro, essi appaiono
legati a una libertà, com’è quella umana, non certo svincolata da forme e
condizionamenti strutturali preesistenti. Studiare la società significa quindi“comprenderla come relazione sociale fra soggetti che creano strutture e le
modificano nel tempo, in presenza di certi requisiti e sotto certe condizioni”26
. Con la
Archer27
, Donati afferma che i processi attraverso i quali emergono l’insieme di
relazioni nelle quali la società consiste possono essere distinti in tre fasi: “le forme
socioculturali strutturali preesistenti, le azioni dei soggetti-agenti che si muovono in
relazione fra loro condizionati da queste forme, e i risultati di tali inter-azioni, che
possono riattualizzare (morfostasi) oppure modificare (morfogenesi) le strutture
socioculturali di partenza”28
.
4.2. E’ possibile, a questo punto, tornare agli interrogativi precedentemente
sollevati. La proposta sociologica di Pierpaolo Donati è annoverabile tra i tentativi
volti a superare l’antinomia tra i fondamentali paradigmi sociologici dell’azione e
della struttura? La risposta sembra poter essere positiva. Peraltro, se gli altri tentativi
sono quelli -sopra ricordati- dei vari Parsons, Alexander, Bourdieau, Giddens, Archer
e Habermas, Donati non è certo in cattiva compagnia. Con la sostanziale e decisiva
precisazione -cui s’è già accennato- che egli non coniuga sociologie azioniste e
sociologie sistemico-strutturali gettando una sorta di “ponte” tra esse, cioè tentandouna loro conciliazione dall’esterno, ma adottando un atteggiamento di fondo, una
presupposizione generale di ordine metafisico capace di accogliere l’unità del reale edi rispettare il suo proprio oggetto senza manipolarlo, falsificarlo, ridurlo
29. Insomma,
è solo attraverso l’analisi, ispirata al realismo critico, dell’”unica realtà sociale”
esistente, in cui sono egualmente presenti l’azione individuale e il sistema (sociale),
che l’una e l’altro trovano legittima cittadinanza nella riflessione sociologica e che
quindi i due paradigmi alternativi dell’azione e della struttura sembrano potersiriconnettere. La distanza tra olismo e individualismo, tra oggettivismo e
soggettivismo può essere cioè colmata, con le parole di Donati, solo “attraverso un
principio che si rifaccia all’unità (o pienezza di realtà) dello stesso fenomeno sociale
reale che è sempre “totale” (oggettivo e soggettivo insieme) e che esiste, in modidifferenti, al contempo fuori e dentro il soggetto. Questa capacità di raccordare i due
poli della sociologia, in altri termini, rimanda a una scelta filosofica, a un
atteggiamento di fondo che non prende partito né per l’uno (la realtà esteriore) […]
né per l’altro (la soggettività) […] né tantomeno per un artificiale ponte costruito tra-
26
Ibidem, p. 8.27 Cfr. M.S. ARCHER (1995), La morfogenesi della società, FrancoAngeli, Milano 1997, certamente uno dei contributi
più rilevanti alla teoria sociale contemporanea.28 P. DONATI, La società è relazione, cit., p.7.29 Cfr. P. TERENZI, Sociologia relazionale e realismo critico, in P. DONATI-P. TERENZI (a cura di), Invito alla
sociologia relazionale. Teoria e applicazioni, cit., p. 39, il quale cita testualmente e puntualmente alcuni passaggi dello
stesso DONATI ( Introduzione alla sociologia relazionale, cit., pp. 25 e 58).
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di-essi […] ma per l’intima unità del reale che esiste da un lato in sé e dall’altro in
modo intelligibile nella soggettività umana”30
.
Sembra già chiaramente delineata, a questo punto, anche la risposta al secondo
interrogativo, consistente nel chiedersi se sia possibile parlare, a carico della
“sociologia relazionale” di Donati, di un nuovo paradigma sociologico, affiancabile aquelli della struttura e dell’azione, e quindi di una concezione della realtà sociale
alternativa a quelle olistica e individualistica. Risulta, infatti, del tutto evidente il
livello meta-sociologico fatto proprio da Donati, distinto non solo dall’olismo e
dall’individualismo, ma anche da quei tentativi di un loro avvicinamento viziati da
una qualche forma di sincretismo. Del resto, è lo stesso Donati, mi sembra, a
prospettare più o meno esplicitamente per la propria prospettiva sociologica, per così
dire, un rango paradigmatico: “l’analisi delle relazioni sociali in senso proprio
implica un terzo punto di vista, né individualista (o azionista) né sistemico (o
olistico)”31
; il terzo punto di vista o paradigma è appunto quello relazionale, il cui
oggetto è, come ormai sappiamo, la “relazione sociale” in cui consiste la società.
Conclusivamente, e con le parole dell’autore: “la posizione della sociologia
relazionale non sta né dalla parte degli individualisti né dalla parte degli olisti. Essa
afferma che esiste un ordine di realtà, quella sociologica, che la filosofia, classica o
moderna che sia, non ha ancora compreso. La società non è né un corpo organico, né
una somma di individui. Essa è invece una configurazione relazionale che va al di là
della semplice somma di individui e non arriva mai ad essere un corpo organico. Il
che significa che non esaurisce mai le sue possibilità. In altri termini: il sociale non èsolo negli individui, e prima di essi, ma anche oltre di essi. E’ l’emergenza delle loro
relazioni”32.
30 P. DONATI, Introduzione alla sociologia relazionale, cit. p. 58.31 P. DONATI, La società è relazione, cit., p. 12.32
Ibidem, pp. 10-11: i corsivi sono miei.
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