20151018 larepubblica z n 31-r8 p0download.repubblica.it/pdf/domenica/2015/18102015.pdf · 2015....

14
DI REPUBBLICA DOMENICA 18 OTTOBRE 2015 NUMERO 553 decadence Roma La copertina. Il successo del realismo estremo Straparlando. Setsuko Ideta: “Io e Balthus” Mondovisioni. New Mexico, il sindaco e il poker Tra le rovine della capitale d’Italia ripensando a Goethe al Belli e al Cecato “S ALVE, DEA ROMA! Chinato a i ru- deri” s’infervorava Giosuè Carducci. E prima di lui Goe- the, ai piedi del colle da cui è infine ruzzolato l’ennesimo sindaco: “Perdona, l’eccelso/ monte del Campido- glio è un secondo Olimpo per te”. Beati i poeti e i viaggiatori, un po’ meno i roma- ni. Di recente si è venuto a sapere che il predeces- sore del povero Marino, l’ineffabile Alemanno, mentre il “Cecato” e quell’altro ex galeotto reden- to di Buzzi stavano a “munge” la vacca e a “ma- gnasse” Roma, ha trovato il tempo per far bonifi- care i suoi uffici capitolini da chi, da che cosa? Dai fantasmi. Ma sul serio. Per due notti, tra il dicem- bre 2011 e il gennaio 2012, il capo dei vigili urba- ni, pure lui adesso impicciato in storie poco edifi- canti, ha accompagnato a Palazzo Senatorio un gruppo di “Ghost hunters” con specialissimi rile- vatori nell’opera di accertamento e disinfestazio- ne spettrale. Beati dunque pure gli acchiappa-fantasmi, che sul loro sito hanno pubblicato le eviden- ze foto-ectoplasmi- che di quella singola- re caccia. Un po’ me- no beati gli utenti di “Roma capitale”, co- me inutilmente è stata ribattezzata la Città eter- na nel corso del suo più recente e accelerato deca- dimento. Roma infatti è Roma, senza bisogno di ulteriori orpelli, né di estremi compatimenti. “Annateve- ne via tutti, lassatece piagne da soli” si trovò scrit- to su un muro dopo l’occupazione tedesca e quel- la americana. E tuttavia di solito qui il pianto dura poco. Così c’è da pensare che i romani, i veri romani, sia quelli che lo sono “per speciale concessione di Nostro Signore Gesù Cristo”, come diceva Petroli- ni, sia quelli di elezione per così dire spirituale, an- che stavolta abbiano accolto con rassegnato scet- ticismo quanto avveniva dalle parti del Campido- glio. Tale stato d’animo si configura come la risul- tante, perfino razionale, di antica desolazione e sempiterno sghignazzo. Per condividerne l’essen- za si può ritornare con la memoria alla prima, trionfale e surreale pedalata in salita di Marino al- la volta del piazzale michelangiolesco, ma più an- cora alla tenera, inconsapevole e sorridente inge- nuità con cui l’eletto, felice come un bimbo, po- steggiò con tanto di lucchetto la sua rossa bici giu- sto nei pressi della scalinata sotto la quale si con- sumò lo spaventoso linciaggio di Cola di Rienzo, archetipo del potente che prima viene incensato dalla cittadinanza e poi finisce male, malissimo. >SEGUE NELLE PAGINE SUCCESSIVE FILIPPO CECCARELLI Cult I luoghi. Gerusalemme, la spianata di tutte le discordie L’officina. Le avventure di Igort nella fabbrica dei manga Spettacoli. Le star vanno pazze per Peaches Next. Pollice verso per Mr. Facebook L’incontro. Guillermo Del Toro: “Sì, li ho visti i fantasmi” GIOVANNI BATTISTA PIRANESI. “VEDUTA DELL’ARCO DI COSTANTINO E DELL’ANFITEATRO FLAVIO”, ROMA 1750 / FONDAZIONE MARCO BESSO Repubblica Nazionale 2015-10-18

Upload: others

Post on 14-Mar-2021

1 views

Category:

Documents


0 download

TRANSCRIPT

Page 1: 20151018 LAREPUBBLICA Z N 31-R8 P0download.repubblica.it/pdf/domenica/2015/18102015.pdf · 2015. 10. 18. · giuseppeg.belli da“sonetti romaneschi”.1832 carljustavjung da“ricordi,sogni,

DIREPUBBLICADOMENICA 18 OTTOBRE 2015NUMERO553

decadenceRoma

Lacopertina. IlsuccessodelrealismoestremoStraparlando.SetsukoIdeta:“IoeBalthus”Mondovisioni.NewMexico, ilsindacoeilpoker

Tralerovinedellacapitaled’ItaliaripensandoaGoethealBelliealCecato

“SALVE,DEA ROMA!Chinatoairu-deri” s’infervorava GiosuèCarducci. E prima di lui Goe-the, ai piedi del colle da cui èinfine ruzzolato l’ennesimo

sindaco: “Perdona, l’eccelso/ monte del Campido-glio è un secondo Olimpo per te”.

Beati i poeti e i viaggiatori, un po’ meno i roma-ni. Di recente si è venuto a sapere che il predeces-sore del povero Marino, l’ineffabile Alemanno,mentre il“Cecato” equell’altro ex galeotto reden-to di Buzzi stavano a “munge” la vacca e a “ma-gnasse” Roma, ha trovato il tempo per far bonifi-care i suoi uffici capitolini da chi, da che cosa? Daifantasmi. Ma sul serio. Per due notti, tra il dicem-bre 2011 e il gennaio 2012, il capo dei vigili urba-ni, pure lui adesso impicciato in storie poco edifi-canti, ha accompagnato a Palazzo Senatorio ungruppo di “Ghost hunters” con specialissimi rile-vatori nell’opera di accertamento e disinfestazio-ne spettrale.

Beati dunque pure gli acchiappa-fantasmi, chesul loro sito hannopubblicato le eviden-ze foto-ectoplasmi-che di quella singola-re caccia. Un po’ me-no beati gli utenti di“Roma capitale”, co-

me inutilmente è stata ribattezzata la Città eter-na nel corso del suo più recente e accelerato deca-dimento.

Roma infatti è Roma, senza bisogno di ulterioriorpelli, né di estremi compatimenti. “Annateve-neviatutti, lassatecepiagnedasoli”si trovòscrit-to su un muro dopo l’occupazione tedesca e quel-laamericana.Etuttaviadi solitoqui il piantodurapoco.

Così c’è da pensare che i romani, i veri romani,sia quelli che lo sono “per speciale concessione diNostro Signore Gesù Cristo”, come diceva Petroli-ni, siaquelli dielezionepercosìdire spirituale,an-che stavolta abbiano accolto con rassegnato scet-ticismo quanto avveniva dalle parti del Campido-glio. Tale stato d’animo si configura come la risul-tante, perfino razionale, di antica desolazione esempiternosghignazzo.Percondividerne l’essen-za si può ritornare con la memoria alla prima,trionfalee surreale pedalata in salitadi Marino al-la volta del piazzale michelangiolesco, ma più an-cora alla tenera, inconsapevole e sorridente inge-nuità con cui l’eletto, felice come un bimbo, po-steggiòcontantodi lucchetto lasuarossa bicigiu-sto nei pressi della scalinata sotto la quale si con-sumò lo spaventoso linciaggio di Cola di Rienzo,archetipo del potente che prima viene incensatodalla cittadinanza e poi finisce male, malissimo.

>SEGUENELLEPAGINESUCCESSIVE

F I L I P PO CECCAREL L I

Cult

I luoghi.Gerusalemme, laspianatadi tutte lediscordieL’officina.Leavventuredi IgortnellafabbricadeimangaSpettacoli.LestarvannopazzeperPeachesNext.PolliceversoperMr.FacebookL’incontro.GuillermoDelToro:“Sì, lihovisti i fantasmi”

GIOVANNIBATTISTAPIRANESI.“VEDUTADELL’ARCODICOSTANTINOEDELL’ANFITEATROFLAVIO”,ROMA1750/FONDAZIONEMARCOBESSO

Repubblica Nazionale 2015-10-18

Page 2: 20151018 LAREPUBBLICA Z N 31-R8 P0download.repubblica.it/pdf/domenica/2015/18102015.pdf · 2015. 10. 18. · giuseppeg.belli da“sonetti romaneschi”.1832 carljustavjung da“ricordi,sogni,

la RepubblicaDOMENICA 18 OTTOBRE 2015 32LADOMENICA

‘‘

‘‘

‘‘

Lacopertina.Romadecadence

‘‘

PERDONA,L’ECCELSOMONTEDELCAMPIDOGLOÈUNSECONDOOLIMPOPERTE

HOVIAGGIATOMOLTO,MASENTIVODINONESSEREALL’ALTEZZADELLAIMPRESSIONECHEROMAMIAVREBBEFATTO

COME PURE È IRRESISTIBILE riandare al soggiorno fantozziano delsindaco, della giunta e dei consiglieri di maggioranza che, fat-tisi volonterosi ostaggi di una società di team building in unhotel di Tivoli, per due giorni si esercitarono a “fare squadra”trastullandosi con elastici, palline, secchi d’acqua e canne —di bambù, si spera — all’insegna delvisioninge dell’high-per-forming, che basterebbero i nomi per diffidare. I risultati diquei giochi senza frontiere sono oggi sotto gli occhi di tutti.Per cui già dopo la scomunica pontificale andavano in scenabuffonesche duplicazioni tipiche del genius loci: la telefonatadel finto Renato Zero, “A’ Ignaziè, ricordate dee buche...” o lafuga in bici dell’imitatore-sosia di Marino che scambiato per

l’originalevenivacoperto d’insultie rincorso daun tipoarmato di forchetta. Piùche sempli-ci spettacoli, veri e propri rituali di degradazione — e anche in questo campo, per natura,vocazione e tradizione l’Urbe non teme concorrenza.

E però: pazienza, che ce voi fa’? Roma, ha osservato il prefetto Gabrielli, è pur sempreuna città che sta in piedi da più di duemila anni. Verissimo. La questione semmai è come; omeglio, secondo quali logiche, quali paradigmi, quali dispositivi e quali modalità di coman-do, sia temporale che spirituale.

Vedi l’aggravante del Giubileo. Della misericordia, per giunta, già santificata negli ulti-mi due o tre mesi dal record di campi rom fatti abbattere dall’amministrazione di sinistraper fare numero e per fare pulizia in vista dell’Anno Santo. In simultanea con la misera sa-gra degli scontrini e delle carte di credito si conferma quindi, ove mai ce ne fosse stato biso-

gno, la più consolidata vocazione dell’Urbe:“Ch’a sto paese già tutto er busilli— scolpi-sceGiuseppeGioachinoBelli—stainnervi-vea loscroccoefaorazzione”.

Sbafoepreghiere, fumidipietanzeed’in-censo, comunque “magnà e arimagnà ag-gratise”, c’è su questo una fantasmagoricaepopea che culmina nel motto “Ajo ojo eCampidojo”: il crollo dell’amministrazioneGiubilo sulle minestrine degli asili, i ban-chetti sbardelliani nelle pinacoteche, il pat-to della pajata a piazza Montecitorio con laPolverini che infila un rigatore sgocciolantenella bocca storta di Umberto Bossi, men-tre dalla folla sale il canto, “La società deiMagnaccioni”, inno ufficiale di Roma gras-sa,“Cepiaccionolipolli, l’abbacchie legalli-ne,/ perché so senza spine, nun so’ come erbaccalà”...

Approfittare del proprio status di potere,ma intanto mostrarsi il più possibile devoti.Programma mirabilmente realizzato daAlemanno, supremo defensor fidei e gran-dissimo espositore di presepi, che la matti-na, in processione lungo il Tevere poneva lacapitalenellemanidellaMadonnaFiumaro-

la; e la sera bissava l’ossequio mariano di-nanzi alla copia dell’antica statua fatta scol-pire e acquistata a beneficio di qualche ri-guardoso circolo canottieri, prima del cock-tail e in compagnia di Giordano Tredicine,oggi pure lui parecchio nei guai per Mafiacapitale.

Innessun’altracittàalmondolacontigui-tà con la sfera del sacro e la vicinanza allaSanta Sede creano tanti guai, malignità,equivoci, dileggi, cinismo, risate. Si è lettoche ilpovero Marino, venuto in possesso delnumero di Papa Francesco, lo tempestavadi telefonate a tutte le ore del giorno e dellanotte. Ma il suo predecessore di centrode-stra, in un’udienza, arrivò a invocare la be-nedizionediBenedettoXVI sugliattiammi-nistrativi del Comune — che francamente,considerate le sorpresine trovate poi inquelle carte dalla Procura della Repubblica,viene pure un po’ da chiedersi cosa sarebbeaccaduto senza benedizione.

Ha scritto l’altro giorno l’Osservatore ro-mano che al momento Roma “ha la certez-za solo delle proprie macerie”. Ma anchequi, sulle macerie, pur con tutto il rispetto

CH’ASTOPAESEGIÀTUTTOERBUSILLISTAINNERVIVEALOSCROCCOEFAORAZZIONE

QUELLOMICASTACOMENOICHEDOVEMOSTASULPEZZOPE’MAGNASSEUNPEZZODECACIOTTA

J.W. VONGOETHEDA “ELEGIE

ROMANE”. 1789

GIUSEPPEG.BELLIDA “SONETTI

ROMANESCHI”. 1832

CARLJUSTAVJUNGDA “RICORDI, SOGNI,RIFLESSIONI”. 1961

<SEGUEDALLACOPERTINA

F I L I P PO CECCAREL L I

MASSIMOCARMINATIDETTO “ERCECATO”.

INTERCETTAZIONE.2015

Repubblica Nazionale 2015-10-18

Page 3: 20151018 LAREPUBBLICA Z N 31-R8 P0download.repubblica.it/pdf/domenica/2015/18102015.pdf · 2015. 10. 18. · giuseppeg.belli da“sonetti romaneschi”.1832 carljustavjung da“ricordi,sogni,

la RepubblicaDOMENICA 18 OTTOBRE 2015 33

Peccatocapitale

©RIPRODUZIONERISERVATA

per il severo giudizio, bisogna intendersi.Venire al mondo nella Città eterna, oltreche uno scomodo privilegio, significa nasce-re letteralmente fra le rovine. Viverci inmezzo, passeggiarci a fianco, uscire di casae trovarsele regolarmente sotto il naso.

Scavi, schegge, frammenti, spezzoni,stratificazioni, pezzi di marmo dentro i mu-ri, ruderi, avanzi, spoglie, screpolature, ac-cumuli, vestigia, tracce di sventramenti.Da secoli i viandanti — oggi gli extracomu-nitari e qualche senza casa — vi trovano ri-paro, non ospitalità, come in un’incisione diPiranesi.

Le rovine sono anche splendide, non soloall’albaoaltramonto, incimacresconorigo-gliosi ciuffi d’erba, e in primavera anche fio-rellini dai colori prepotenti; alla base c’èquasi sempre posto per rovi, zeppi vari, get-ti, arbusti e perfino fusti di fichi selvatici; ametàèilregnodell’edera,di ulteriorirampi-canti,manonmancanogenerosicespugliet-ti dicapperi. Di fronte a questo paesaggio divitale, botanica devastazione viene sponta-neopensare che tutto è destinato a crollare,a consumarsi, a finire. Che tutto in fondo è

utile e al tempo stesso inutile. Non sarà ilmassimo dell’ottimismo, ma è pur sempreun pensiero, meno dannoso forse di tanti al-tri.

Neanche a sincronizzare le date, proprioin questi giorni di scirocco in cui rotolavadal colle capitolino la testa dell’ex sindaco,aPalazzoAltemps, autenticogioiellodiscul-ture, pace e bellezza circondato dal caos, siè aperta una mostra dal titolo: “La forza del-le rovine”, con tanto di logo con le lettere in-complete, smozzicate.

Qui tutto ruota attorno a un enorme tor-so di Polifemo e si imparano tante cose: chel’angelo della storia non passa mai invano;che la vita, con i suoi traumi e con ciò chequesti lasciano, è sempre ambivalente, in-completa e contraddittoria nel suo inesora-bilespezzettamento;che leavanguardiear-tistiche del Novecento adoravano i fram-menti; che proprio questi, oltre a ispirareuna voluttuosa malinconia, consigliano diconservare la memoria e di concentrarsi sul“nonpiù”e sul“ma ancora”. E pianopiano sicapisce che Roma trae segreta energia dal-le sue antiche pietre, dalle sue stesse glorio-

se e catastrofiche rovine.Insieme alle celebri statue ci sono qua-

dri, foto, filmati, anche musiche. Però poiRoma è sempre Roma — non “Roma capita-le” — e così davanti ai magnifici ritratti deiprimi grandi restauratori, il cavalier Cava-ceppi, lo scultore Pacetti, riaffiora l’irrive-rente, ma spassoso ricordo di Berlusconicheinnamoratosiancheluidellesculturero-mane, e fattosene traslocare diverse a Pa-lazzo Chigi, poco prima che partisse la sara-banda del bunga bunga si preoccupò e si pe-ritò di far ricostruire da zero il pisello di unMartechecampeggiavafuoridellasuastan-za, intervento realizzato con specialissimeresine e calamite al non modico prezzo disettantamila bombi.

“Tuttosiaggiusta”dicevad’altra parte lavecchia zia di Andreotti, Mariannina, cheaveva vissuto la breccia di Porta Pia convin-cendosiche Roma è più fortee soprattutto èpiù vecchia di qualsiasi civico rivolgimento.Ma questo spaventoso passato, che Freudmise a confronto con le incrostazioni, le fal-dee i trabocchetti dell’inconscio, le statrop-po stretto e insieme troppo largo. Secondo

Elias Canetti è proprio la risorgente e impe-rituraenormità della Cittàeterna cheimpe-disceall’Italiaditrovare sestessa.Jungd’al-tra parte se ne tenne ben lontano: “Ho viag-giato molto nella mia vita, ma sentivo dinon essere all’altezza dell’impressione cheRoma mi avrebbe fatto”.

In compenso da Brenno ad Alarico, daiBorgia ai lanzichenecchi, da Napoleone ai“buzzurri” piemontesi con le piume sul cap-pello, dai crudeli e pallidi nazisti agli alleatiche entrarono tirando sigarette, cioccolatoe scatolette di carne dai loro carriarmati,qui sono venuti tutti, senza trovarsi poi cosìa disagio.

Dice: la capitale è allo sbando, i ladroni e imafiosi seguitano a rubare, è caduto il sin-daco marziano, manca pochissimo al Giubi-leo.Ela rispostadeiveriromani,per quelpo-co o per quel tanto che vale, già sbuffa e vol-teggia per le vie in forme di stupefatta e for-se perfino sapiente incuriosità:Aho’, anve-di, eddaje, embé,vabbé,maddeché, limor-tè... Impropri sussulti,vocistrozzatecheval-gonoperomniasaeculasaeculorum.

DallabiciclettadelsindacodimissionarioallaparaboladiColadiRienzo,

dalleintercettazionidelCecatoallesentenzedelBelli.Cercandol’anima

diunacittàche,nelbeneenelmale,vuoleancorachiamarsieterna

LE IMMAGINI

QUISOTTO“ROMA” (1995)DELFOTOGRAFOOLIVOBARBIERICUIÈDEDICATALAPERSONALEINCORSOALMAXXIDIROMAFINOAL3GENNAIO.INCOPERTINA,GIANBATTISTAPIRANESI:ILCOLOSSEOEL’ARCODICOSTANTINO(1750),ACQUAFORTEESPOSTAALLAMOSTRA“LAFORZADELLEROVINE”FINOAL31GENNAIOAPALAZZOALTEMPS,ROMA

ROMA©OLIVOBARBIERI,1995

Repubblica Nazionale 2015-10-18

Page 4: 20151018 LAREPUBBLICA Z N 31-R8 P0download.repubblica.it/pdf/domenica/2015/18102015.pdf · 2015. 10. 18. · giuseppeg.belli da“sonetti romaneschi”.1832 carljustavjung da“ricordi,sogni,

la RepubblicaDOMENICA 18 OTTOBRE 2015 34LADOMENICA

Cupola della Roccia

Scuola coranica

Muro del pianto

Cupola della Catena

Quartiere

ebraico

Quartiere

musulmano

Stalle di Salomone

ILLUSTRAZIONE ARIEL ROLDÁN

Fontana El-Kas

Moschea Al-Aqsa

Scavi

Porta DorataMurata

LA SPIANATA

DELLE

MOSCHEE

LASCINTILLA

L’8SETTEMBRE,UNASETTIMANAPRIMADELCAPODANNOEBRAICO,ISRAELECHIUDEL’ACCESSOALLASPIANATADELLEMOSCHEEAIVOLONTARIMUSULMANICHESONOAGUARDIADELLAMOSCHEAALAQSA

©RIPRODUZIONERISERVATA

Laspianatadell’odio

SIDICECHELABELLEZZADEL LUOGO siatale dasconvolge-re le menti. E in effetti centinaia di persone vengonoricoverate ogni anno con quella che viene definita“Sindrome di Gerusalemme”, uno stato di delirio dafervore religioso, scatenato dalla vicinanza di sititroppo carichi di santità e storia. Sigmund Freud sa-peva quanto fossero pericolose quelle pietre. Scrissenegli anni Venti ad Einstein di non provare “alcunasimpatia per una religiosità aberrante che fa di unpezzo del muro di Erode una religione nazionale, eper amore della quale si offendono i sentimenti dellapopolazione locale”. E poi all’amico Arnold Zweig, di

ritorno da un viaggio in Palestina: “Ti sarà sembrata ben strana questa terra ditragica pazzia, che non ha mai prodotto altro che religioni, sacre frenesie e pre-suntuosi tentativi di imporre al mondo le proprie pie illusioni”. Amos Oz è anchepiù perentorio. Ha proposto: “Dovremmo rimuovere pietra per pietra e trasferir-le inScandinavia per cento anni, e nonriportarle finché tuttiabbiano imparato avivere insieme in Gerusalemme”. Ma non è detto che basti un secolo.

Il fascino della Spianata viene dal modo in cui nei millenni si sono sovrappostiinfinitistratidipietreepassioni, siè ricostruitosulle rovineepoidistrutto dinuo-vo, si sono accumulati storie e leggende di tutte e tre le religioni monoteiste. Maanchestrati sustratidi risentimentoedi odio.Dovrebbeessere unsito caro aDioeagli uomini. Potevaessere il luogo di un modello di convivenza trachi crede chequi fosse l’altare su cui Abramo stava per sacrificare Isacco, che qui sorgesse ilTempio di Salomone, qui pianse Gesù profetizzando che non sarebbe rimasto“pietra su pietra” e qui fu chiamato incielo Maometto. E invece è la pietra ditutte le discordie.

Non sono d’accordo nemmeno sulnome. “Monte del Tempio”, Har Ha-Báyit è come lo chiamano gli ebrei,Al-�aramal-Šar�f(“Nobile santua-rio”)imusulmani.Siritiene chela piat-taforma sorga sul luogo dove si trova-va tre millenni fa il Tempio distruttoda Nabucodonosor nel 586 a.C., e poifu ricostruito il Secondo Tempio al ri-tornodall’esilio babilonese,resosplen-dido da Erode e infine bruciato e rasoal suolo dalle legioni di Tito nel 70 d.C.Si sarebbe dovuto attendere la conqui-sta islamica da parte del Califfo Omarnel638perchési superasse ladissacra-zione del luogo. Fu il vincitore di unadelle prime guerre fratricide in senoall’islam, il Califfo di DamascoAbd-el-Malik, a far completa-re nel 691 la splendida Cu-pola della Roccia chedomina la Spianatacon la sua elegante mo-le dorata, e suo figlio Wa-lid a costruirvi pochianni dopo la Mo-schea di Al-aqsa.Ma guai a chi pen-si di scavare e stu-

diare gli immensi labirinti sottostanti:gli archeologi non sono graditi, si pre-stano al sospetto di voler sostenerequestao quella parte della leggenda. Ègià tanto che non rischino il linciaggioafurordi popolocomesuccesse agli ini-zi del Novecento all’avventuriero bri-tannico Montagu Parker. Era corsa vo-ce che, calandosi da un buco nel pavi-mento, avesse trovato e trafugatoniente meno che la corona di Salomo-ne, l’Arca dell’Alleanza e la spada diMaometto. Quella fu una delle pochevolte che la rivolta vide fianco a fiancoebrei e musulmani.

Cisonointerebibliotechesullepluri-secolarivicendedi follia,massacri, stu-pidità, ma anche di tolleranza e ma-gnanimità attorno a quelle pietre. Manon sono sicuro che abbiano appealtra i più giovani contendenti di oggi.

Sono passati quasi cinquant’annida quando nel giugno 1967, durantela guerra dei Sei giorni, i paracadutistidi Moshè Dayan e Isaak Rabin aveva-no raggiunto, dopo una schermagliaconle truppegiordane, la Spianatadel-

le Moschee. L’obiettivo era il Muro delpianto, il Kotel, ai piedi della parete astrapiombo sul lato meridionale dellaspianata. Ma non sapevano come arri-varci. Fu un vecchio arabo a indicarglila strada. Il rabbino Shlomo Goren,cappellano capo dell’esercito israelia-no, avrebbe voluto far saltare le mo-schee. I comandanti militari lo zittiro-no, dicendogli che era pazzo da legare.Dayan vide che avevano issato unabandieraisraeliana sullagrandeCupo-ladorata.Ordinòche venisse immedia-tamente tolta.

Altri non ebbero altrettanta delica-tezza. Nel settembre del 2000 ArielSharon, allora leader del Likud all’op-posizione, decise di fare una “passeg-giata” sulla Spianata, protetto da fa-langi di poliziotti. Sostenne che si trat-tava di un “messaggio di pace”. Scate-nò invece la cosiddetta Seconda intifa-da. Non ci furono solo le sassaiole: sa-rebbe seguito un decennio di sangui-nosi attentati suicidi. Da allora la cate-na di provocazioni e sospetti incrocia-ti, con le conseguenti esplosioni di vio-

lenza,nonsisarebbe maidavveroarre-stata. Non passa anno che non si rico-minci da capo. Non occorre nemmenoche le provocazioni siano intenzionali,succeda qualcosa di grave, volino sassio molotov, scorra sangue. Stavolta adaccenderelamicciadella“Terza intifa-da” sarebbe stata la voce, pare del tut-to infondata, che le autorità israelianesi apprestavano a consentire la pre-ghieranellemoscheeanche ainon isla-mici.

Il magnifico labirinto di pietre dellaSpianata poggia su una città forse piùdivisa di quanto lo sia mai stata. Non èpiù solo questione di separazione traGerusalemme ebraica ed araba, dellatradizionale divisione tra i quartieriebraico,musulmano, cristiano earme-no nella Città vecchia. Ci sono una cit-tà ebrea-sionista che si sta sfoltendo euna città ebrea-ultra ortodossa che staprevalendo, una città arabo-palestine-se e una città arabo-estremista. Che siguardano in cagnesco, anzi non siguardano nemmeno più quando si in-crociano per le strade. Sono mondi an-cora più schizofrenici di quelli del pas-sato.Laspaccaturaanzinonèpiùnem-meno tra le diverse fedi, è all’internodi ciascuna fede. È diventata una spac-catura tra generazioni: il guaio è che ipiù giovani sembrano avere perso lacognizione di quello per cui si batteva-

no i loro padri. La demogra-fiaèancorapiùspietata del-la storia. Non ha funzionato

che per un paio di giornila proibizione l’annoscorso dell’accesso alla

Spianata ai minori di cin-quant’anni. Non si vede co-

me possa durare a lungo lascelta di ostacolare ora ogni

accesso.Non ci sono nemmeno più

molte nuove idee di soluzione.L’internazionalizzazione di Geru-

salemme proposta dall’Onu nel1949 appare antidiluviana. Così comela proposta di Bill Clinton di una divi-sione verticale del Monte, con control-lo palestinese sulla spianata superioree israeliano sulla parte inferiore. Salo-mone se l’eracavata proponendo di ta-gliare in due con la spada il bambinoconteso dalle madri. Qui si rischia chepiuttosto l’ammazzino loro.

Iluoghi.Sacri

S I EGMUND G I NZBERG

LAREAZIONE

NOTTETRA IL12E IL 13SETTEMBRE:I PALESTINESI ERIGONOBARRICATEDAVANTIALLAMOSCHEAALAQSA,DIFENDENDOLACONSASSIEMOLOTOV. L’INTERVENTOARMATOISRAELIANOFAPIÙDICENTOFERITI

L’ATTENTATO

PRIMOOTTOBRE:DOPO ILDISCORSODINETANYAHUALL’ASSEMBLEADELL’ONUDUE ISRAELIANIVENGONOUCCISIAFUCILATENELNORDDELLACISGIORDANIAMENTREVIAGGIANOINAUTOCON I LOROQUATTROFIGLI

GLISCONTRI

ISRAELEREAGISCE,SICOMINCIANOACONTARE IPRIMIMORTITRACUIDUEEBREI EUNRAGAZZINOPALESTINESEDI TREDICIANNICOLPITO“PERERRORE”DAISOLDATI ISRAELIANIABETLEMME

LATERZA INTIFADA

LANUOVAONDATADIVIOLENZECHE INVESTE ISRAELEECISGIORDANIAVIENE IDENTIFICATACOMELA“TERZAINTIFADA”.QUESTAVOLTAPERÒPIÙCHE ISASSIMOLTIGIOVANIPALESTINESIUSANO ICOLTELLI

ÈsuquestacollinadiGerusalemmevecchiacheènatala“Terzaintifada”

Perchéèquichesisonoaccumulati leggendeeconflittidelletrereligioni

Repubblica Nazionale 2015-10-18

Page 5: 20151018 LAREPUBBLICA Z N 31-R8 P0download.repubblica.it/pdf/domenica/2015/18102015.pdf · 2015. 10. 18. · giuseppeg.belli da“sonetti romaneschi”.1832 carljustavjung da“ricordi,sogni,

100

0 A

.C.

750

50

02

50

25

0

A.

.1

C D

.C. 1

50

075

012

50

150

017

50

20

00

100

0

I cintamuraria

II cinta m

uraria

III cinta muraria

Completata nel 70 d.C.

Acq

uedo

tto

HARAMAL- SHARIF/MONTEDEL TEMPIO

CITTÀ V ECCHIA

0 km 2

48 m

52 m

HARAMAL- SHARIF

Cittadella

HARAMAL- SHARIF

Palazzi

0 m 500

F ontedel G ihon

Scalinata

N

48 m

960 a.C. circa | IL TEMPIO DI SALOMONERacconta la Bibbia che, su indicazione di Dio, verso il 1000 a.C. il re israelita Davide

l’ambizione del padre di erigere un tempio al Signore. Consacrato intorno al 960 a.C., fu distrutto nel 586 a.C., quando il reNabucodonosor mise a sacco Gerusalemme.

10 a.C. circa | IL TEMPIO DI ERODEErode il Grande, eletto da Roma re della Giudea, raddoppiò le dimensioni

al 10 a.C. era un ampliamento del Secondo Tempio eretto 500 anni prima,quando gli Ebrei ritornarono dall’esilio babilonese. Sul Monte del Tempio,Gesù impartì i suoi insegnamenti e discusse con i sacerdotinella settimana precedente la sua morte, intorno al 30.

691 d.C. | LA CUPOLA DELLA ROCCIA

della moschea di al-Aqsa. La Roccia era venerata come il luogoin cui Maometto ascese al cielo durante il mistico “viaggio notturno” dalla Mecca a Gerusalemme. Quando nel 638 i Musulmaniconquistarono la città strappandola ai sovrani bizantini, le vestigia del Secondo Tempio costituirono il punto di partenzaper la costruzione del complesso di Haram al-Sharif, il NobileSantuario, terzo luogo sacro dell’Islam.

OGGI | LA CITTÀ VECCHIA DI GERUSALEMMEDi tutte le questioni che dividono israelianie palestinesi, la più esplosiva è la sovranitàsul Monte Moriah. Quando nel 1967 Israelestrappò la Città Vecchia alla Giordania,

per pregare. Temendo la reazione musulmana,Israele restituì ben presto il controllo del restodel complesso a una fondazione islamicache sovrintende a Haram al-Sharifcome luogo di culto. In una cittàche Ebrei, Cristiani e Musulmaniconsiderano il teatro della battaglia

questo spazio condivisoè gestito con grande prudenza.

del Tempio, l’imponente Stoà reale,si estendeva lungo tutto il lato sud.Il Sinedrio, la corte suprema ebraica,aveva qui alcune delle sue aule.

Qui mostrata come sarebbe apparsanell’VIII secolo, Haram al-Sharif si sviluppò

islamica. Gerusalemme era sacra all’Islam già all’arrivo degli arabi, subito dopo la morte del Profeta: Maometto fu il primoche insegnò ai suoi seguaci a pregare rivolgendosi alla città in cui Davide, Salomone e i profet i ebraici avevano onorato Dio.

In origine la cupola di ferro e legno era rivestita da una patinadi ottone. Il bagliore di quella attuale è prodotto dal rivestimento in oro della struttura in alluminio introdotta negli anni Novanta.

elementi decorativi siano stati restaurati.Costruita sul substrato roccioso del MonteMoriah, è sopravvissuta ai terremoti che hanno distrutto la moschea di al-Aqsa e altre strutture della piattaforma ampliata.

Le arcate sotterranee che sostenevanola piattaforma del Secondo Tempio furono usate come scuderie dai crociatinel XII secolo, convinti che si trattassedelle Scuderie di Salomone.

Terminata nel 715 e spesso danneggiatadai terremoti, la moschea di al-Aqsa

“la più lontana”, dal verso del Corano che raccontadi come, nel “viaggio notturno”, Maomettofosse giunto alla “moschea più lontana”.

L’acqua piovana venivaconvogliata in circa30 cisterneposte sotto la piattaforma.

Gli artigiani della Cupoladella Roccia creano mosaicicon tasselli di vetro rivestiti d’oro per catturare la luce.

Non esistono prove archeologiche certe dell’esistenza del Tempiodi Salomone. Gli studiosi basano le ricostruzioni su racconti biblici

Moschea di al-Aqsa

VIA DOLOROSA

Porta Dorata (murata)

Chiesa di Santo Stefano

La Roccia

Porta delle Tribù

Porta della Misericordia

Cupola della Catena

CUPOLADELLA ROCCIA

Passaggisotterranei

Porta della Catena

Piscina dei Figli di Israele

Tetto a tre strati

Travi in legno

(Es-Sakhra)

La Roccia

Ambulatorio interno

Ambulatorio esterno

Arcata ottagonalePortico

Pannelli di marmo

Mosaici

Parapettodi mosaicodi vetroPorta del Profeta

Porta El-Walid

Palazzi omayyadi

Sezione trasversaledel Montedel Tempio

Muro Occidentale Muro Orientale

La Roccia

Tempio

Piscina di Israele

Passaggiosotterraneo

TEMPIODI ERODE

Porta nord

Porta est

Cortiledelle donne

Portadell’accensione

Portadell’acqua Locale degli oli

Portadei primogeniti

PortaShushan

AltarePortadi Kiponus

Arco e ponte di Wilson

Monte del Tempierodiano

Primo Montedel Tempio(Salomone)

Estensione asmonea (141 a.C.)

314 m

280 m

485

m

469

m

Muro Occidentale

Arcodi Robinson

Debir (sancta sanctorum)

Magazzini

Hekhal (sala principale) Ulam (portico)

La RocciaArca dell’Alleanza

Cherubino

Roccia del TEMPIO DI SALOMONE

Altare

Porta Nuova

Patriarcatogreco ortodosso

Torre di Davide(Migdal David) Chiesa del Santo

SepolcroCittadella(El Qal‘a)

Cattedraledi San Giacomo

Patriarcatoarmeno

ortodosso

Chiesa diSan Marco Torre d’Israele

MuroOccidentale

Moscheadi al-Aqsa

Porta di santo Stefano (Porta del leone)

Trono di Salomone

Chiesadi S. Anna

Arco dell’Ecce HomoMonastero della Flagellazione

(Qubbat al-Sakhra)Cupola della Roccia

Porta di ErodeMuseoRockefeller

Porta di Damasco

Area della Sinagoga Antica

Mercato centrale

Gerusalemme moderna

Solimano

Crociati

Musulmani

Erode

Dieci tribù perdute

Re Salomone

Re Davide

DAVIDE E SALOMONE1010-970 a.C. circa Regno di re Davide. 970-931 circa Regno di re Salomone,

LE DIECI TRIBÙ PERDUTE720-701 circa I Neoassiri conquistano il regno settentrionale e disperdono le sue tribù, dando vita alla leggenda delle Dieci tribù perdute di Israele

ESILIO BABILONESEE IMPERO PERSIANO586 Nabucodonosor distrugge il Tempiodi Salomone ed esiliagli ebrei a Babilonia.538 Ciro il Grande li liberae consente la costruzione del Secondo Tempio, consacrato nel 516 circa

PERIODO ELLENISTICO332 Alessandro Magnoingloba Gerusalemmenel suo impero. Alla sua morte (323), il generale Tolomeo I la annetteal suo Impero egiziano

RIVOLTA MACCABEA167–141 Gli ebreisi ribellano controi Seleucidi. Giuda Maccabeo riconsacrail Tempio nel 164 (un atto celebrato come Hanukkah)

IL REGNO EBRAICO INDIPENDENTE DI GIUDEA141-63 Governodegli Asmonei. Nel 63il generale romano Pompeo occupa la Giudea

L’IMPERO ROMANOED ERODE IL GRANDE40-4 Erode, elettoda Roma re della Giudea, nel 37 conquistaGerusalemme, ampliail Monte del Tempio e restaura il Secondo Tempio intorno al 10 a.C. Nascitadi Gesù di Nazareth

LA DIASPORA EBRAICA70 d.C.

un’insurrezione ebraica,i Romani distruggonoil Tempio e la città; molti ebrei vengono esiliati.135 L’imperatore Adriano reprime la seconda rivolta ebraica. Bandisce gli Ebrei dalla città e la ricostruisce ribattezzandolaAelia Capitolina

BISANZIO313 Costantino abbracciail cristianesimo.Gerusalemme diventa parte di Bisanzio (l’Impero romano d’Oriente) per 300 anni. 335 Viene consacrata la Chiesa del Santo Sepolcro, costruitasul luogo della

CONQUISTA MUSULMANA638

sottrae Gerusalemmeai sovrani bizantini; ebreie cristiani non sioppongono. 691 Consacrazione della Cupola della Roccia, seguita dalla moscheadi al-Aqsa nel 715

CROCIATI1099 I crociatisi impossessano della città uccidendo gran partedella popolazione.La Cupola della Rocciaè trasformata in chiesa;la moschea di al-Aqsa diventa la sededei Templari

SALADINO1187 Il generale curdo ristabilisce il dominio musulmano e consentea cristiani ed ebrei di vivere nella città.1229 Il governo è assegnato ai crociatiper 10 anni. Nei decennia seguire la città è contesa da dinastie islamiche rivali

MAMELUCCHI1260

gli invasori mongoli,i Mamelucchi, una dinastia islamica egiziana,restaurano la città

IMPERO OTTOMANO1516 La Palestinae Gerusalemme diventano parte dell’Imperoottomano, fondatoda una dinastia di turchi musulmani,per i successivi 400 anni

PALESTINA E ISRAELE1917 Gli ottomani cedono Gerusalemme alle truppe britanniche. 1947 Una risoluzione Onu proponela creazione di uno stato ebraico e uno stato arabo, con Gerusalemme neutrale sotto l’egida dell’ONU. 1948 Israele dichiaral’indipendenza; le forze arabe attaccano.L’armistizio del 1949 assegna Gerusalemme Ovest a Israele e la Città Vecchia alla Giordania. 1967 Israele conquistala Città Vecchia nella Guerra dei Sei giorni

Porta di Sion

Porta di Dung

EBREICRISTIANIMUSULMANIALTRI

CONQUISTATO

DISTRUTTO

TRANSIZIONE PACIFICA

CITTÀ DI DAVIDE

Chiesa del Santo Sepolcro (335 d.C.)

Chiesa del Santo Sepolcro

Odierna Città Vecchia

MonteMoriah

MONTE DEL TEMPIO

MONTE DEL TEMPIO

MONTE DEL TEMPIO

Palazzoreale

Palazzoreale

Tempio

Tempio

Tempio

Moscheadi al-Aqsa

Centro deiTemplari

Moschea di Al-Aqsa

TemplumDomini

Cupola della Roccia

Cupola della Roccia

Residenzadel Pascià

Cinta murariaArea abitata

SUPPLEMENTO A NATIONAL GEOGRAPHIC, DICEMBRE 2008 ILLUSTRAZIONI E DESIGN: FERNANDO G. BAPTISTA RICERCHE ILLUSTRAZIONI:PATRICIA HEALYTESTI: DON BELT E JANE VESSELS RICERCHE EDITORIALI: KATHYMAHER PRODUZIONE: MOLLIE BATESMAPPE CRONOLOGIA: JEROME COOKSONCONSULENTI: DAN BAHAT, EX CAPO ARCHEOLOGO DI GERUSALEMME; ERIC H. CLINE, GEORGE WASHINGTON UNIVERSITY; STEVEN FINE, UNIVERSITÀ DIYESHIVA; OLEG GRABAR, INSTITUTE FOR ADVANCED STUDY, PRINCETON UNIVERSITY; JODI MAGNESS, UNIVERSITY OF NORTH CAROLINA, CHAPEL HILL; JEROME MURPHY-O’CONNOR, ÉCOLE BIBLIQUE, GERUSALEMME; LEEN RITMEYER, RITMEYER ARCHAEOLOGICAL DESIGN FOTO: “SACRIFICIO DI ISACCO” DICARAVAGGIO, GALLERIA DEGLI UFFIZI, SCALA/ART RESOURCE, NEW YORKCOPYRIGHT © 2008 NATIONAL GEOGRAPHIC SOCIETY, WASHINGTON, D.C. STAMPA NOVEMBRE 2008

Repubblica Nazionale 2015-10-18

Page 6: 20151018 LAREPUBBLICA Z N 31-R8 P0download.repubblica.it/pdf/domenica/2015/18102015.pdf · 2015. 10. 18. · giuseppeg.belli da“sonetti romaneschi”.1832 carljustavjung da“ricordi,sogni,

la RepubblicaDOMENICA 18 OTTOBRE 2015 36LADOMENICA

Ilmioimperodeisegni

LUCA VALTORTA

Igort

UNA STORIA ZEN RACCONTA. «Avevoconvintome stessoequelli dellaKo-dansha, la più grande casa editricedi manga, che nella mia vita prece-dente ero stato giapponese. Mi ac-colserocon uninchino». Passanoglianni e succede che Igor Tuveri daCagliari, via Bologna, riceve a To-kyo moltissimi apprezzamenti perle sue storie a disegni. «Ero l’unicoitaliano a pubblicare con ritmi nip-ponici: per Comic Morning, un mi-

lione e mezzo di copie vendute, sfornavo otto pagine a colori ognisettimana». Fu allora che decisero di sottoporre “Igoruto-san” al“trattamento”. «Era il 1996. Appena arrivato in hotel il mio editor,Tsutsumi-san, venne a trovarmi e mi disse: “Per domani una sto-ria”. Il che significava inventare una trama, scrivere i dialoghi e di-segnare a matita sedici pagine. Ma rinunciare sarebbe stata unasconfitta. Il mattino seguente Tsutsumi-san ribussò alla mia portae mi disse: “Domani un’altra”. E così il giorno seguente, quello suc-cessivo e poi ancora: centosessanta pagine in due settimane conquattrogiornidipausa».Ogni storiazenche sirispettihaal suocen-tro un satori, un’illuminazione. In questa qual è? «Che ho scopertodi poter fare cose che non credevo possibili. E comunque gli editornon se la passavano tanto meglio. Alla Kodansha, accanto alla miascrivania, per terra c’erano sempre delle scatole di cartone: stona-vano in una redazione così operosa e precisa. Io chiedevo perché,ma nessuno mi rispondeva. Poi una sera, dopo una bevuta, si sciol-sero: “Non l’hai ancora capito? Lì dentro ci dormono gli editor”».

Una lunga storia quella di Igort, classe 1958, che oggi ritorna aguardare verso il Sol Levante con questiQuaderni giapponesi orain libreria. Una storia che comincia a Bologna, quando insieme aGiorgio Carpinteri, Daniele Brolli, Lorenzo Mattotti, Marcello Jori eJerryKramskynegli anni OttantacreaValvoline, che poi nell’83 sa-rebbe diventato un inserto all’interno diAlterAlter, filiazione diLi-nus. «Ma alcuni di noi in quegli stessi anni vennero chiamati a dise-gnare anche per il Frigidaire di Tamburini, Pazienza, Liberatore,Scozzari. Fu un grande periodo». Nel 2000 Igort fonda la Coconino,la casa editrice che ha portato il graphic novel in Italia. «Fu grazieall’incontro con un distributore molto illuminato, Carlo Barbieri,chemidiedecarta bianca».Unesordiochemettevainsieme legran-di tradizioni del fumetto: manga classico (Tezuka) e moderno (Ma-ruo), America (Mazzucchelli) e Francia (David B) furono i primicinque volumi pubblicati (insieme allo stesso Igort con il suo Sina-tra). Con la Coconino Igort pubblica, praticamente scoprendoli, an-che i più grandi tra i nuovi talenti italiani: «Gipi quando è venuto dame sembrava Nosferatu. Gli dissi: “Io ti cercavo”. Oggi insieme aFior sono gli unici due italiani che hanno vinto il Festival del fumet-to di Angoulême insieme a grandi come Pratt, Giardino e Manara.L’esperienza giapponese mi aveva insegnato anche questo: che gliartisti sono delle locomotive, ma devono avere i binari per poterviaggiare veloce».

Come autore Igort ama cambiare genere. È passato dalle ascen-denzemangae dalleavanguardiedadàefuturistediValvolinealre-portagediQuaderniucrainieQuadernirussi(duepugni nellosto-maco) che gli hanno fatto correre anche parecchi rischi personali:«Certochein alcunesituazionihoavutopaura,cometutti.Maquan-doti trovi inmezzo a unastoria èpiùforte dite: ladeviraccontare. Ecosì è stato». Ora arrivano iQuaderni giapponesi, di cui qui pubbli-chiamo alcune tavole,molto diverse tra loro. Un“viaggio nell’impe-ro dei segni”, come recita il sottotitolo, che copre un arco ampio del-lavita artistica di Igort, anzi: èun po’una summadi tutti i suoimon-di artistici. «Ci sono vari “Giapponi” sovrapposti in questo libro. Peresempio ci sono disegni come il soldato di schiena su foglio di cartaa righe che è del 1982, mentre le pagine in bianco e nero invece so-noleprovediGoodbyeBaobaberisalgono all’80.Equindisì,varisti-li si intreccianocon varimomentidellamiavita didisegnatore».An-che un modo per mettere fine all’esperienza giapponese? «Tutt’al-tro: ho fatto questo libro perché non si sapeva niente della macchi-na dei manga. Avendoci lavorato vent’anni ho pensato che era orache qualcuno la raccontasse. Ma a novembre tornerò in Giappone.Sono stato invitato a fare una mostra a Tokyo insieme a un artistache considero tra i più grandi: Jiro Taniguchi. Per me è un vero ono-re». E anche questa, come tutte le storie zen, ha il suo satori.

L’officina.Giapponese

Dopoi“Quaderni”dall’UcrainaedallaRussia,ilgrandedisegnatoreitalianoraccontailSolLevante“Ènellafabbricadeimangachehoimparatotutto”Eccoinanteprimaletavoledelsuolungoviaggio

©RIPRODUZIONERISERVATA

DOMANI

INREPTVNEWS

(ORE19.55,CANALE50

DELDIGITALEE139DISKY)

LUCAVALTORTARACCONTA

ILNUOVOGRAPHICNOVEL

DI IGORT

Repubblica Nazionale 2015-10-18

Page 7: 20151018 LAREPUBBLICA Z N 31-R8 P0download.repubblica.it/pdf/domenica/2015/18102015.pdf · 2015. 10. 18. · giuseppeg.belli da“sonetti romaneschi”.1832 carljustavjung da“ricordi,sogni,

la RepubblicaDOMENICA 18 OTTOBRE 2015 37

ILLIBRO

LE IMMAGINI SONOTRATTEDA “QUADERNIGIAPPONESI”DI IGORT

(COCONINO,184PAGINE, 19EURO)ORA INLIBRERIA.NELL’ALTRA

PAGINA:TAVOLA ISPIRATAA “L’IMPERODEI SENSI”DIOSHIMA.SOTTO,

DISEGNO INSTILE “UKIYO”.NELLAFASCIACENTRALE,DALL’ALTO:

LOTTATORIDI SUMO, LAMINICASA (14MQ)DI IGORT; FOTODI “HININ”,

GLI “INTOCCABILI”GIAPPONESI; “GOODBYEBAOBAB”PER “VALVOLINE”.

INQUESTAPAGINA INSENSOORARIO: “MENKO” (CARTE

CONEROIDIGUERRA),GIARDINIDELSANTUARIODINEZU; “YURI”,

UNODEIPERSONAGGI ; VARIE IMMAGINI REALIZZATE INPERIODIDIVERSI

Repubblica Nazionale 2015-10-18

Page 8: 20151018 LAREPUBBLICA Z N 31-R8 P0download.repubblica.it/pdf/domenica/2015/18102015.pdf · 2015. 10. 18. · giuseppeg.belli da“sonetti romaneschi”.1832 carljustavjung da“ricordi,sogni,

la RepubblicaDOMENICA 18 OTTOBRE 2015 38LADOMENICA

Spettacoli.Ribelli

GU I DO ANDRUETTO

©RIPRODUZIONERISERVATA

YokoOnoeMichaelStipe

maancheMalkovicheIggyPop

Chièlaperformerunderground

corteggiatadagliartistipiùcool?

“Sonosolounachevorrebbe

parlaredisessoconMadonna”

L’ODORE DEL GIORNO È IMPASTATO di fumo edalcool. «Abbiamo bevuto tutti parecchiochampagne — racconta da New YorkMerrill Nisker, in arte Peaches, ancora inhangover dopo la sua performance al Ca-pitale, sala da ballo di Manhattan, sullaBowery — ma la cosa più forte della sera-ta è stata quando ho cantatoBoysWannaBe Her». Non è servito allestire un palcoper la furiosa regina dell’electroclash,eroina di un nuovo femminismo post-por-no, post-punk e post-trans che da oltre

quindici anni sta spingendo ai limiti per abbattere — anche con la musica — iconfini digenere sessuale. Le èbastatosalire inpiedi su untavolo apparecchiatoper generare il caos con la sua vitalità selvaggia e un’aggressività rapace. Pea-ches usa il microfono come un oggetto contundente. È l’arma impropria e la pro-tesi fallica di cui si serve per rompere gli steccati di genere e le divisioni sociali.Originaria di Toronto ma trapiantata a Berlino e oggi di base a Los Angeles, puòessere considerata una Lady Gaga ante-litteram ma molto radicale e molto piùprovocatoria. A un festival ad Amburgo salì sul palco indossando un’armaturadi enormi seni di silicone con le teste delle Barbie al posto dei capezzoli. Non cer-to l’unica, né l’ultima, delle sue provocazioni.

La sua musica ha avuto su molte persone un effetto dirompente, dicono addi-rittura liberatorio.«Mi hanno detto che in alcune università i testi delle mie canzoni sono ogget-

to di discussione. È una cosa che mi rende orgogliosa di quello che faccio».Ha anche un sacco di fan importanti a quanto pare: Yoko Ono, John Malkovi-ch, Iggy Pop, Ellen Page, Michael Stripe...«Sì e la cosa bella è che persone come loro — penso ad esempio a Ellen Page —

adesso che sono famose possono aggiungere la loro voce alla mia».

Hasostenutoil gruppopunk delle russePussy Riot,a suotempo chiedendonea gran voce la liberazione. Quanto si sente simile a loro?«Ne apprezzo la tenacia, la volontà di ferro con cui portano avanti le loro idee

e rivendicazioni. Mi piacerebbe incontrarle presto per qualche progetto insie-me, cosa che in un certo senso è già avvenuta quando ho realizzato il video FreePussy Riot. Volevo esprimere tutta la rabbia per la loro detenzione e per la re-pressione che hanno subìto da parte del governo russo. Il video è diventato vira-le e ha contribuito a richiamare l’attenzione sul loro caso».

L’hannochiamataaddiritturadal Texasconservatoreperpartecipareall’Au-stin Pride. Come sta procedendo la sua battaglia contro i “ruoli di genere”?«Si sono fatti molti passi in avanti, ma credo che siamo ancora all’inizio. Il ve-

ro valore della libertà individuale è la possibilità di decidere per se stessi e di di-ventare la persona che vogliamo essere. Non ho mai creduto nella rigida separa-zionetraisessi equindinonè statodifficile per mesbarazzarmi diquestiprecon-cetti. Ma nel mondo sono ancora forti e vanno scardinati».

Chiincontrerebbepiùvolentieri traMadonnae LadyGagaperparlaredi que-sti temi?«Sicuramente Madonna, ha molta più esperienza alle spalle. Mi piacerebbe

molto entrare nel suo cervello per sapere che cosa pensa davvero. Ma, prima diqualsiasi altra cosa, ovviamente le chiederei di raccontarmi nel dettaglio tuttele storie di sesso osceno che ha vissuto».

Il suo nuovo album, “Rub”, trasmette un’aria di festa. È d’accordo?«Sì, è un po’ come se la lotta ormai fosse vinta. Diciamo che sono ottimista».

Intervistaallapost-punkpiùadoratadallestar

FOTODIDARIAMARCHIK

Repubblica Nazionale 2015-10-18

Page 9: 20151018 LAREPUBBLICA Z N 31-R8 P0download.repubblica.it/pdf/domenica/2015/18102015.pdf · 2015. 10. 18. · giuseppeg.belli da“sonetti romaneschi”.1832 carljustavjung da“ricordi,sogni,

la RepubblicaDOMENICA 18 OTTOBRE 2015 39

AVEVO SEDICI ANNIquando andai per la prima volta auno spettacolo di Peaches. Mi ero trasferita daHalifax, Nuova Scozia, dove era rarissimo chepassassero i musicisti importanti, a Toronto, edero eccitatissima dall’opportunità di vedere

un’artista che adoravo. Io e la mia migliore amica arrivammoall’Opera House con un anticipo enorme, come non avevo maifatto per nessun altro evento. Ci piazzammo in prima fila, colcorpo premuto contro il palco, ballammo, e sudammo damorire. Quella sera successe qualcosa di particolare e voglioraccontarvelo (non ho mai raccontato nemmeno a Peachesquesta storia).

A un certo punto, durante il concerto, Peaches mostròun’espressione molto preoccupata. Il viso le si contorse esembrava che stesse per perdere l’equilibrio: si chinò in avantimettendo le mani sulle ginocchia e cercando di riprendersi.

Oh no, pensai, Peaches sta male! E infatti cominciò ad avereconati: la musica era cessata improvvisamente e c’era questa

poveretta che stava per vomitare sul palco. Poi cominciò arimettere, ma era sangue quello che sputava sul pubblico. Edera finto. La musica riattaccò, tutti urlavano; io ero ricoperta disangue e avevo le mani per aria, e Peaches mi afferrò facendoscorrere la mano dal gomito al polso, spargendomi il liquidorosso su tutto il braccio. Quando la serata finì, io e la mia amicaeravamo superelettrizzate. Guardavamo il “sangue” sparso sulmio braccio. Lo show era ancora con noi, lei era ancora con noi,e io non volevo perderlo, e feci tutto il possibile per conservarequel marchio. Cominciai a farmi la doccia tenendo il bracciofuori dalla tendina. Non ricordo bene per quanto tempo, disicuro non tanto quanto avrei voluto, ma di sicuro almeno peruna settimana o due.

Peaches è stata senza dubbio una delle musiciste piùimportanti della mia vita. Per una sedicenne lesbica, lei offrivaqualcosa che non potevo trovare altrove. Una voce che diceva:fanculo alla vergogna, fanculo alla visione del sesso adominanza maschile, fanculo agli stereotipi di genere,abbraccia i tuoi desideri, sii padrona di te stessa. Peaches èradicalmente se stessa, come poche altre persone riescono aessere. Anche se è sfacciatamente sessuale, spavalda,aggressiva, instilla nella sua opera dei momenti divulnerabilità bellissimi. Come ci riesce? Forse è questo ilsegreto: il fatto di esistere nel mondo in un modo così vero esincero produce opere di un’integrità straordinaria.

(Traduzione di Fabio Galimberti)

PEACHES HA ESEGUITO la mia opera “Cut Piece” al MeltdownFestival di Londra, nel 2013. Se ne parlò tantissimo.Personalmente trovai interessante che tutta la suainterpretazione fosse sussurrata. È un’opera che esige diessere sussurrata.

Dietro le quinte mi disse, con estrema disinvoltura, che non avevanessun problema a denudarsi completamente. E alla fine, quando èsalita sul palco, ho capito cosa intendeva. Se ne stava seduta in silenzio, eil suo corpo esprimeva un intero universo. Trasmetteva sensibilità,vulnerabilità e forza, tutto con estrema dignità. Credo che nessunoriuscirà mai a mettere in scena quell’opera con così tanta eloquenza.

Con Peaches ho scoperto chi sono le nuove artiste della performance.Donne che non hanno paura di essere belle e di mostrarlo. Mentre pernoi, femministe del passato, era importante apparire come soldatesseper pensare di essere prese sul serio. Ma non solo. Allo stesso tempoqueste artiste non hanno paura nemmeno di mostrare la loro fragilità,né intelligenza. In poche parole, non hanno paura di esseresemplicemente se stesse.

Peaches ha espresso tutto questo stando seduta nuda su unpalcoscenico completamente spoglio. Un’intera sinfonia non avrebbepotuto eguagliare quello che lei ha fatto.

(Traduzione di Fabio Galimberti)

AVEVO SENTITO PARLAREdi questa Peaches e nonsapevo bene cosa aspettarmi, ma eroabbastanza sicuro che non stava parlando a me .Quanto mi sbagliavo.

Ho sentito la prima canzone e ho riso, e misono chiesto perché nessuno avesse fatto una cosa del genereprima. Era genio assoluto. Era tantissimo tempo che non misentivo così: mi sentivo come la prima volta che avevoascoltato i Sex Pistols, gli Stranglers, David Bowie, i PublicEnemy, Missy Elliott. C’era qualcosa di nuovo, ed era in quelpreciso momento. Nei tredici anni in cui ho seguito da vicinole scelte di carriera di Peaches queste sono le conclusioni a cuisono giunto.

È spavalda. È iconoclasta. Travalica le barriere di genere. Èaudace e offensiva. È isterica, brillante, armoniosa. Sì, èepifanica. Ovvio, èrivoluzionaria. È inquietante,sexy e assolutamente schiva.

È vulnerabile: oh sì. E questa,proprio questa, è la sua grandeforza come artista e comeperformer. Peaches è una chedefinisce la sua epoca, e parleràin nome di tutti noi se noi nonsaremo in grado di parlare pernoi stessi.

È abbastanza coraggiosa daessere completamente umana.Già solo questo è un attocoraggioso. Peaches lasciacondividere agli altri la suavulnerabilità, poi la trasforma inuna componenteimportantissima della sua forza.Dalla “Cut Piece” di Yoko a“Peaches Christ Superstar”, a“Peaches Does Herself” finoanche alla sua breve incursionenella disco music commerciale.

È fegato come non si vedevadai tempi di Patti Smith; è i DieAntwoord, è Kim Gordon, è gliNwa. Affronta tutto senzapaura, è la mia idea di eroe, dieroina, di progresso. Un’icona,che era stata imprigionata e cheora è pronta a entrare in azione.

(Traduzione di FabioGalimberti)

©RIPRODUZIONERISERVATA

©RIPRODUZIONERISERVATA

MichaelStipe.Nonsentivonientedi similedaquandoascoltai i Pistols

YokoOno.Nuda suunpalcoscenico spoglioin lei ho visto le artiste del futuro

©RIPRODUZIONERISERVATA

EllenPage.Quel concertoda ragazzinachemiha cambiato la vita

LE IMMAGINI

DALL’ALTO INSENSOORARIO:PEACHESCONLEPUSSYRIOT;UNADELLESUEPERFORMANCEINCUISPUTASANGUEFINTOSULPUBBLICO(COMERACCONTATOSOPRADAELLENPAGE); SULPALCOINSIEMEAYOKOONO.QUIAFIANCO ILSUOLIBRO“WHATELSE IS INTHETEACHESOFPEACHES” (AKASHICBOOKS,156PAGINE, 27, 95DOLLARI)DACUIQUESTEIMMAGINISONOTRATTE.ÈDAPOCOUSCITO ILSUONUOVOALBUM“RUB”CONOSPITIKIMGORDONEFEIST

Repubblica Nazionale 2015-10-18

Page 10: 20151018 LAREPUBBLICA Z N 31-R8 P0download.repubblica.it/pdf/domenica/2015/18102015.pdf · 2015. 10. 18. · giuseppeg.belli da“sonetti romaneschi”.1832 carljustavjung da“ricordi,sogni,

la RepubblicaDOMENICA 18 OTTOBRE 2015 40LADOMENICA

L’UOMOSIMBOLODIWIKILEAKS:“MIPIACE”PERCHÉPURSECONTROVERSOILSUOATTIVISMOHACAMBIATOLECOSE

VICEPRESIDENTEE“EVANGELISTA”DIGOOGLE:POLLICEVERSOPERCHÉFAPARTEDELLA“TECH-ÉLITE”CHEHAFALLITO

LOSCRITTORECRITICALOSTRAPOTEREHITECHMAPERLOVINKILTECNO-SCONFORTONONBASTA,SERVEUNAVISIONEALTERNATIVA

ILWHISTLEBLOWERDELLASORVEGLIANZADIMASSA:POLLICESUPERCHÉ ILDATAGATERAPPRESENTAUNASVOLTAPOLITICA

Maunaltrosocialèpossibile?

JulianAssange

FRANCESCA DE BENEDETT I

BOLOGNA

COMODI IN UN TECNO-INFERNO da cui faremmo meglio afuggire:cosìcivedeGeertLovink, il teorico olandesedel-le culture di rete che ha fatto scuola in tutto il mondocon saggi come Ossessioni collettive. Critica dei socialmedia(Egea 2012).Lovinkèunodei padridelmediatti-vismo; il suo Institute of Network Cultures è all’avan-guardia e attrae ad Amsterdam studiosi, attivisti, arti-sti. La California avrà anche il potere di internet, mal’Europa ha potere di critica, e Lovink non rinuncia a fa-re da Virgilio in quello che lui chiama «il Medioevo feli-ce» dei social network. Sfogliamo in anteprima insiemea lui le bozze del suo Social Media Abyss (in libreria a

maggio, in Italia per Egea). E con lui scendiamo giù, negli abissi infernali della sorve-glianza e dei monopoli. Per poi risalire, verso “un altro social possibile”.

Ossessionatidaldesideriodi esibire lenostre vitesui social:vitesottocontrollo,tra-sformate in profitto. Così ci descrisse tre anni fa. E oggi?«Ora il Dio internet è morto, l’ha ucciso Edward Snowden quando ci ha messi di

fronte alla realtà. Il mito della rete libera e decentrata si è frantumato, tutti hanno vi-sto che la rete è controllata e accentrata in mano a pochi. Ma il nostro “tecno-incon-scio” collettivo fa finta di nulla, il paradosso è che usiamo Facebook&co. ancor più os-sessivamente. Desideriamo svelare dati, pratichiamo la “self-sorveglianza”. Face-book si nutre della nostra libidine esibizionistica e voyeuristica. Prima o poi il deside-riofinirà, persino ilselfie moriràdinoia. Ma oggi viviamonel “capitalismodella piatta-forma”, che si basa sullo sfruttamento commerciale delle relazioni. Pochi giganti delweb hanno il potere di dar forma alle interazioni sociali dell’intero Occidente».

Mister Facebook punta all’Africa, fir-ma con Bono un manifesto per “connet-tere il mondo”.«Zuckerberg vuole “evangelizzare” l’A-

frica. Ma internet.org, il suo programmaper diffondere il web, fornirà a milioni dipersone un internet falsato: per accedereservirà il log in a Facebook. L’azienda so-vrintenderà a tutte le attività online e au-menteràilsuocontrollototalemainvisibi-le. L’economia del “mi piace” non è nullain confronto a questo “business dell’iden-tità”, anziancheun likeassume piùvalorese ci sono più dati su di noi. Dopo le rivela-zioni di Snowden, e oggi che anche i rifu-giati sono tracciabili via smartphone, do-vremmo interrogarci sui rischi. Chiederciquale sia il coinvolgimento dei governi edell’Nsa in queste strategie di diffusione

del web, di cui l’Onu parla da prima cheFacebook nascesse. Con l’internet dellecose io credo che ci sarà da diffidare an-che di un asciugacapelli».

Eppure lei invita a non abbandonarsial pessimismo. E al “pessimista” Jona-than Franzen dedica un capitolo delsuo nuovo libro.«Con la crisi finanziaria, le crepe nel si-

stema sono diventate evidenti. Di paripasso con il “momento Piketty”, anche ilrisentimento verso internet è diventatomainstream. Ma questo tecno-scontentopop, di cui Franzen è il simbolo, ha il viziodi non ragionare su un’alternativa. Per-ciò, diventa controproducente abbando-narci al nichilismo o al romanticismodell’offline».

Cosa fare quindi?«Prima, una critica vera. Poi, ricordar-

ci che il tecnico oggi è politico: non aspet-tiamo che la risposta venga dagli inge-gneri che hanno governato la rete finoraconsentendo tutto questo. Non aspettia-mo Godot. Cominciamo dalla “strategiaVaroufakis”».

Cioè? Qualcuno dirà che a Varoufakisnon è andata poi tanto bene.«Sì, al momento Yanis è politicamente

ko. Siamo amici da quando insegnavo inAustralia, l’ho visto da poco in vacanza, equando dico che alla rete serve una “ope-razione V” intendo dire che Varoufakis èstato in grado di portare le contraddizio-ni del potere a galla, ha avviato un con-fronto. Anche con il web, il primo passo èfar breccia nel muro di gomma della techélitecaliforniana.Questopoteresipreser-va ritraendosi».

Un esempio di “operazione V” applica-ta al web?«Il caso Uber: una resistenza visibile

contro l’arroganza di un business. Servi-rebbe anche con Google o Facebook. L’u-tente è uno di noi: non gli spetta compas-sione ma dignità».

Un altro web, un altro social, è quindipossibile? E come se lo immagina?«Non sarà certo un nuovo pulsante, un

“mi dispiace” o qualche altra opzione de-cisa dall’alto, a offrirci qualcosa di diver-

so da questa “realtà amministrata”, co-me la definirebbe Adorno (Zuckerbergdi recente ha ipotizzato un pulsante “midispiace” per poi lanciare i sei nuovi bot-toni emoji “Reactions”,ndr). L’alternati-va alla rete “accentrata” dei monopoli èuna rete decentrata che consenta di co-struire alleanze dal basso. Legami forti,invece che deboli. Una federazione di retiorganizzate,dotate dicrittografiadimas-sa per escludere la sorveglianza di massae le economie “vampire” di dati. Ned Ros-siter e io la chiamiamo “orgnet”».

In rete è più facile mobilitare il dissen-so, che farlo durare: è un’accusa fre-quente ai movimenti cresciuti con ilweb, come Occupy e primavere arabe.Lei che teorizzò i “media tattici”, laprotesta rapida per definizione, cosane pensa?«Cheèvero.Nel nuovolibrovadoincer-

ca di un network capace di produrre con-seguenze. Come trasformare le protestein impegno a lungo termine? Le orgnetssono un’ipotesi.

Noncediamoall’effimero,eneppureal-le nostalgie novecentesche. Chi sperache le energie delle masse vengano strut-turate con gerarchie e ordine (famiglia,fabbrica,Chiesa,partito,sindacato)igno-ra che oggi il sociale èdiffuso e frammen-tato. I social media hanno attecchito pro-prio per questo».

I“mipiace”oppurenodiLovink

VintCerf JonathanFranzen EdwardSnowden

GeertLovink.Laretedi tuttiè soltantounabellissimafavolaacuinessunoormaicredepiù

LABATTAGLIA

LIBERARSIDALLADIPENDENZADAFACEBOOK:ÈL’OBIETTIVODELLA“FACEBOOKLIBERATIONARMY”,ILMOVIMENTOCHESI ÈDATOAPPUNTAMENTOADAMSTERDAMIL23GIUGNOPERLAFESTADIADDIOAFACEBOOK,SU INIZIATIVADELL’INSTITUTEOFNETWORKCULTURESDIGEERTLOVINK

Next.iMilitant

Repubblica Nazionale 2015-10-18

Page 11: 20151018 LAREPUBBLICA Z N 31-R8 P0download.repubblica.it/pdf/domenica/2015/18102015.pdf · 2015. 10. 18. · giuseppeg.belli da“sonetti romaneschi”.1832 carljustavjung da“ricordi,sogni,

la RepubblicaDOMENICA 18 OTTOBRE 2015 41

L’ECONOMISTAEXBRACCIODESTRODI TSIPRAS:ORAÈKO,MAALMENOHAVOLUTO“RENDEREVISIBILILECONTRADDIZIONI”

ILRAGAZZOPRODIGIODI FACEBOOK:“NONMIPIACE”PERCHÉÈL’UOMO-MONOPOLIODEISOCIAL

‘‘

Non sarà un hashtag a cambiare ilmondo, neppure quando schizza tra itrendingtopicmondialicome#Thisisa-coup il 12 luglio, la notte dell’accordosulla Grecia?«Mentre i movimenti antiausterity

twittavano, funzionari perlopiù non elet-tigestivanola“crisidel debito”.Nella“po-st democrazia”, quando il potere sconfi-nadall’areademocratica,pocosicuradel-la pubblica opinione, di un hashtag o tito-lo di giornale. Il bersaglio degli attivistinon può più essere il simulacro chiamato“sfera pubblica”: ci distrae dal compren-dere chi è coinvolto e come contrastarlo.Basti pensare alle banche, alla loro infra-struttura globale».

Trasformare il modello di business èuna chiave per l’alternativa?«Il tema dei modelli di ricavo di inter-

net è cruciale, ne discuto nel mio libro. Ilcontante è destinato a finire, il denaro aessere ripensato. Se saranno solo le élitea governare il cambiamento, le cyberva-lute favoriranno solo l’uno per cento.Nell’epocadel“free”,qualegettito arrive-rà al 99 per cento e come?».

FarcipagaredaFacebook,come propo-neJaronLanier, perredistribuire ipro-fitti dei dati. O invece pagarlo noi, per“comprare” la nostra privacy comepropone Zeynep Tufekci. Che cosa nepensa?«Mi fa piacere che Lanier e Tufekci

mettano in discussione il dogma califor-nianodellagratuità.Finora abbiamoassi-stito a un sistema di sfruttamento piùche di condivisione, e servono nuovi mo-di di estrazione di valore. Ma nessuno deidue centra il punto: perché Facebooknontornerà all’età dell’innocenza, ai socialoggi non basta una semplice “riparazio-ne”».

R I CCARDO STAGL I ANÒ

YanisVaroufakis MarkZuckerberg

BISOGNA DIFFIDARE delle paroledolci. Soprattutto se stannoin bocca agli ideologi dellaSilicon Valley.“Condivisione” è una di

queste. Allude all’altruismo e a tutta unaserie di sentimenti alti. Ma poi finisce perrealizzare un mondo sempre più disegualein cui moltitudini condividono pensieri,foto e video e ristrettissime élite neestraggono valore, tenendolo tutto per sé. Èun caso lampante, per dirla coi linguisti, didistanza tra significante (quello che mio ètuo) e significato (quello che era vostrodiventa mio). Facebook è il campione diquesto modello. Ma anche YouTube,Instagram e gli altri social network sonocostruiti sull’incantesimo fondativo delweb 2.0 per cui noi lavoriamo, gratis, e loroguadagnano. La sharing economy è stataaddirittura intitolata a questo malinteso.Qualche mese fa, a San Francisco, nellaconferenza “Share” organizzata da alcuniimportanti protagonisti del settore,qualche esperto di marketing spiegava chele loro startup stavano rimettendo lafiducia (altra parola zuccherina) al centrodelle comunità. Sì, perché come prima

avveniva nei villaggi, solo se ti fidi (graziealle recensioni degli altri clienti) puoiprenotare un’auto su Uber o affittare unacasa su Airbnb. Insomma, non volevano farsoldi, ma rendere il mondo un postomigliore. Peccato però che poi viene difficilecapire esattamente in che modo TravisKalanick, il fondatore del servizio di taxiprivati, condividerebbe equamente con gliautisti che usano la sua app (dai qualipretende il 20 per cento su ogni corsa), ilsuo patrimonio di circa quattro miliardiaccumulato in meno di un lustro. Per nondire di Mark Zuckerberg.

È tutto tremendamente complicato. Inparticolare l’eventuale correttivo. Perchéun’idea seducente sarebbe convincere isocial network a spartire una parte deiproventi con chi di fatto li produce (noi).

Il mese scorso la società di rilevamentoemarketer ha quantificato in 12 dollari e 76il valore pubblicitario di un utente medio diFacebook, scommettendo che crescerà. Sefacessimo a metà sarebbero sei dollari erotti. All’anno. C’è da escogitare altresoluzioni. Stando alla larga dai terminimielosi, ma anche dai miraggi.

EDWARDSNOWDENCIHAMESSITUTTIDIFRONTEALLAREALTÀ.CREDOCHECONL’EVOLUZIONEDELL’INTERNETDELLECOSESARÒCOSTRETTOADIFFIDAREANCHEDELMIOASCIUGACAPELLI

“L’alternativaaimonopolistidelweb

chesfruttanoilnostrodesideriodirelazioni

nonpuòessereunaromanticavitaoffline”

Unodeipadridelmediattivismocianticipa

lasuaprossimabattaglia.Sichiama“orgnet”

©RIPRODUZIONERISERVATA

©RIPRODUZIONERISERVATA

Quelgrandemalintesodellasharingeconomy

Repubblica Nazionale 2015-10-18

Page 12: 20151018 LAREPUBBLICA Z N 31-R8 P0download.repubblica.it/pdf/domenica/2015/18102015.pdf · 2015. 10. 18. · giuseppeg.belli da“sonetti romaneschi”.1832 carljustavjung da“ricordi,sogni,

la RepubblicaDOMENICA 18 OTTOBRE 2015 42LADOMENICA

Tortellidi zuccaNOVECENTO(1976)Mezzosecolodi storiapopolare, raccontata(anche)attraversola tavola contadinae le sue tradizioni,maialeepasta frescainprimis.Insiemealla zucca,mostardaeamaretti

Lasagneal fornoPRANZODIFERRAGOSTO(2008)Il raccontodellagiornataconsumatainunappartamentoromano, tra vecchieragazze terribilie il figliodiunadi loro.Ilpranzodiritononprescindedabesciamella e ragù

Spaghettiai carciofiILPOSTINO(1994)Dall’incontroconNeruda(PhilipNoiret),ilpostinoMario(MassimoTroisi) imparal’artedellapoesiaanche in cucina:“Carciofi vestitidaguerrieri, agliocomeavorioprezioso...”

Bucatiniall’AmatricianaILDIVO(2008)ToniServilloneipannidiAndreotti,raccontato tra vitapubblicaeprivata.LamoglieLivianongli famancarelapasta chepiùama,abbondantementespolveratadipecorino

©RIPRODUZIONERISERVATA

MinestradipastaececiISOLITI IGNOTI(1958)MarcelloMastroiannis’impuntòperchénellascena finale ci fosseil suopiattopreferito—pastamista,olio, rosmarinoececi—alpostodei fagioli previstidallasceneggiatura

10

Ilcinemaèservito.Pastaececiosacherl’Italiaatavolasulgrandeschermo

L I C I A GRANEL LO

Sapori.Grandiabbuffate

piatti&titoli

«LEI NON FACCIA ILTUNNEL!». «Co-sa?». «Lei mi stascavando sotto emi toglie la pan-na! La castagnada sola sopra nonha senso. IlMont-Blanc non ècome un cannoloalla siciliana chec’è tutto dentro,

è come unozaino: lei se lo porta appresso per un mesee stasi-curo. IlMont-Blancsi reggesuunequilibriodelicato, nonèco-me la Sacher-Torte…». «Cosa?». «La Sacher-Torte…».«Cos’è?».«Cioè, leipraticamentenonhamaiassaggiato laSa-cher-Torte?! Va bè, continuiamo così, facciamoci del male!».

La celebrazione di Nanni Moretti — capace di battezzarecon il nome del dolce austriaco anche la sua casa di produzio-ne —ha fatto a suo tempo diBiancaunodei film-culto per go-losidiogniordinee grado.DallametàdeglianniOttantaa og-gi, le sceneggiature che utilizzano il mangiare e il bere comeelementi illuminanti — se non protagonisti tout court — so-no cresciute in modo incredibile. Titoli leggeri e trame pode-rose, interpretazioni drammatiche e finali allegri, avvolti edipanati intorno a tavole e cucine, ristoranti e bevute, fornel-li e gastronomie. Merito della sovraesposizione scritta e fil-mata di cui sempre più godono (o soffrono, dipende dai pun-ti di vista) vino&cibo, tandem in bilico perenne tra nutrizio-nee perdizione,sopravvivenza epiacere, poteree consolazio-ne, senza limiti di età, sesso, classe sociale, geografia.

A ogni film, il suo cibo e un cibo (o vino, birra, liquore) perogni film, o quasi, tanto che il rapporto tra cinema e cibo po-pola migliaia di pagine, tra ricette, descrizioni, segreti, die-tro le quinte e davanti alle macchine da ripresa.

Il connotato sociale del cibo è un fil rouge che lega film bel-lissimi e strazianti, daRomacittàapertadi Roberto Rosselli-ni a Lamerica di Gianni Amelio, dove si pena (e si muore)per mancanza di cibo. Ma si muore anche, scegliendolo, ditroppo cibo, come neL’abbuffatadi Marco Ferreri. E poi qua-le cibo? In primis, quello popolare, più o meno evoluto in die-ta mediterrana. Gli spaghetti nelle tasche di Totò inMiseriaenobiltàe quelli divorati da Alberto Sordi inUnamericanoaRoma, zuppe, brodi e paste con i legumi, dalle lenticchie diRocco e i suoi fratelli ai tortellini de La famiglia di Scola. Lacarne entra a pieno titolo nei menù cinematografici quandola società italiana si emancipa dall’emergenza fame. Si fe-steggia con la porchetta in C’eravamo tanto amati, mentreun piatto di fegato alla veneziana sublima la solitudine inPa-neetulipani, senzascordarel’anatraall’aranciachedàil tito-

lo all’omonimo film di Luciano Salce. A condividere la passio-ne di Nanni Moretti per i dolci — sul set e spesso anche nellavita — ci sono Roberto Benigni e Francesca Archibugi, Ozpe-tek e Tornatore, Salvatores e Muccino. Di volta in volta, lazuppa inglese è simbolo di tentazione demoniaca nelPiccolodiavolo, trasgressione annunciata nella millefoglie nuzialede L’ultimo bacio. E sono le torte, preparate con l’aiutodell’anziano pasticcere Simone (Massimo Girotti), a guarirel’anima di Giovanna Mezzogiorno neLafinestradi fronte.

Seduzione e redenzione in crescendo calorico, ma ancheestetico, a colpi di cake design e food stylist. Un cibo molto di-verso da quelli amati, e messi in pellicola, da Federico Fellini,che impazziva per le polpettine di bollito e non rinunciavamai a una schegginadi Parmigiano, suo inseparabile compa-gno di tavola.

GLISPAGHETTIDITOTÒ,IMACCHERONIDIALBERTONE,LAZUPPAINGLESEDIBENIGNI.OGNIFILM(SOPRATTUTTOSEITALIANO)HAILSUOCIBO,TRARICETTE,DESCRIZIONIESEGRETIRIVELATIDIETROLEQUINTEODAVANTIALLAMACCHINADAPRESACOMECIRACCONTAANCHEUNLIBRO,CHEPROPRIOOGGIVIENEPRESENTATOALLAFESTADELCINEMADIROMA

Repubblica Nazionale 2015-10-18

Page 13: 20151018 LAREPUBBLICA Z N 31-R8 P0download.repubblica.it/pdf/domenica/2015/18102015.pdf · 2015. 10. 18. · giuseppeg.belli da“sonetti romaneschi”.1832 carljustavjung da“ricordi,sogni,

la RepubblicaDOMENICA 18 OTTOBRE 2015 43

PolpettespeziateLEFATE IGNORANTI(2001)Unamorte improvvisa,unarivelazionestordente.Dietro la storiagay,MargheritaBuyscoprelapassionedelmaritoper lacucina, conquellepolpettespeziate checucinavaognidomenicacon fidanzatoeamici

Coniglioalla ligureLAGRANDEBELLEZZA(2013)L’Oscare il disincantodiunaRomasmarrita,come iprotagonistidellesuenotti.Tradiscorsi vacuiesilenzi assordanti,uncardinalesvelaisegreti della suaricettadel cuore

Salsiccecon fagioliPERUNPUGNODIDOLLARI(1964)Il campionedegli spaghettiwesternèambientatonellapolverosaSanMiguel, dove imperalacucina texmex: i pastidiClint EastwoodeGianmariaVolontèsonoquelli tipici deisaloon

Irisal cioccolatoLAMAFIAUCCIDESOLOD’ESTATE(2013)Arturo(Pif) crescenellaPalermodegli attentatimafiosi.Asegnarlo, l’incontrocon il commissarioBorisGiuliano,che lo introducealmisterogolosodeidolcetti ripieni e fritti

Crostatadi ricottaepistacchiILNOMEDELFIGLIO(2015)UnbambinodestinatoachiamarsiBenito,inuna famigliadi tradizioni ebraicheeprogressiste.A tavola,discussionieamarezze,maancheunamagnifica tortacon la frutta secca

NELL’ARCO ALIMENTARE delcinema italianotroviamo all’estremasinistra i morti di famepasoliniani: “Accattone,

dicono in giro che so’ tre giorni chenun magni”, e purtroppo la diceria èvera, Accattone combatte la suamarginalissima battaglia per averetutti i giorni qualcosa da mettersinello stomaco, e arriva persino acongegnare una truffa ai danni degliamici per non dividere con loro unpiatto di pasta. È l’Italia delle borgate,degli ultimi, degli esclusi persinodalla mensa a mezzogiorno, l’Italia diStracci, che ne “La ricotta” muore dabuon ladrone sulla croce di unevangelico set cinematografico dopoessersi ingozzato in fretta e furia.

All’estrema destra c’è invece “Lagrande abbuffata”: un suicidiosibarita a base di copula e di crapula,il coccolone finale perseguitovoracemente.

Come sempre accade, i due estremisi toccano, il cibo della fame e quellodell’abbondanza folle conduconocomunque alla tomba e all’oblio.

In mezzo a queste disperateingordigie, potremmo metterci “il redella mezza”, la trattoriola dovevanno a mangiare gli eroi di“C’eravamo tanto amati”. La mezzaporzione servita a tavola racconta unmondo ancora costretto alleristrettezze, ma già in grado dipagare un conto per un piattodimidiato di pasta, per una semicena.Frugalità e convivialità si incrocianosu quella tovaglia, è l’Italia nata dallaResistenza che vuole raccontarsianche in trattoria, che senteorgogliosamente di meritarsi unavita migliore, ma senza eccedere. Perchi ha sofferto la fame sui monti,anche mezza porzione in compagniava bene.

E poi c’è Albertone che accettagioiosamente la sfida deimaccheroni, che sogna la modernitàamericaneggiante ma non resiste alrichiamo nazionale del megapiatto dipasta: è una scena memorabile chetanti bar di Roma ancora espongonoin una fotografia incorniciata, è lagenialità del nostro cinema migliore,capace di sintetizzare mille discorsisociologici in quattro forchettate. Ilcibo nel cinema italiano è sempre larivelazione di uno stato d’animo,spesso è il ripiegamento sulla forzaprimaria dell’esistenza, cheaccantona le illusioni per dedicarsialle necessità. In fondo siamo fratellide “I soliti ignoti”: vorremmo la luna,ma ci sta bene anche una buona pastae ceci. E ancora oggi partiamo la seracon chissà quali obiettivi e ciconsoliamo con due tartine e uncalice di vino bianco, nel bar dei sognicaduti, anche se nessun regista èarrivato a raccontare questa belladisfatta.

©RIPRODUZIONERISERVATA

Ladestra,lasinistraelamezzaporzione

MARCO LODOL I

ILLIBRO

CHRISTIANDESICA

PRESENTAOGGIALLE17.30

ALLAFESTADELCINEMA

DIROMA ILLIBRO

DI LAURADELLICOLLI

“PANE,AMOREEFANTASIA.

ILGUSTODELCINEMA

ITALIANO” (RAI-ERI,

230PAGINE, 25EURO)

L’ARAGOSTA

SOPHIALOREN,

MERAVIGLIOSA

PESCIVENDOLASEDUTTRICE

IN “PANE,AMOREE...”

DIDINORISI, 1955.

TERZOCAPITOLO

DELLASERIE INAUGURATA

DA“PANEAMORE

EFANTASIA”

Repubblica Nazionale 2015-10-18

Page 14: 20151018 LAREPUBBLICA Z N 31-R8 P0download.repubblica.it/pdf/domenica/2015/18102015.pdf · 2015. 10. 18. · giuseppeg.belli da“sonetti romaneschi”.1832 carljustavjung da“ricordi,sogni,

la RepubblicaDOMENICA 18 OTTOBRE 2015 44LADOMENICA

LOS ANGELES

ILFACCIONEÈBONARIO, MALOSCINTILLÌOdegliocchidietro lamontatu-ra tonda rivela un tumultuoso mondo interiore. Guillermo Del To-ro,ultimo alfieredell’horror romantico,malgradola molebalza agi-le nel minuscolo camper metallico parcheggiato in un angolo degliUniversal Studios, Los Angeles. Apre il frigo colmo di bottiglie d’ac-

qua — naturale — ne apre una e mentre s’accomoda sul divano ci tornain mente una sua frase detta quando ancora era agli esordi: «So di avereun’aria da freak: appena entro in un negozio c’è sempre un vigilante chemi segue per vedere se rubo qualcosa». Non è cambiato molto da allora,solo che oggi all’autoironia ha aggiunto la consapevolezza del proprio ta-lento. Stephen King ha appena benedetto su Twitter il suo nuovo film,CrimsonPeak: «Meraviglioso e dannatamente terrificante». «È una dellemie creature preferite», gongola il regista messicano. Un fantasy gotico,orain arrivo anchenelle sale italiane, cheèun po’ il manifesto dellasuasumma poetica, catalogo degli elementi ricorrenti nel cinema di DelToro — luoghi oscuri, insetti, mostri, meccanismi a orologeria — esuggello di un matrimonio con la paura iniziato, come ci racconta,esattamente quarantanove anni fa.

«Il mio primo spavento me lo provocò mio fratello maggiore cheavevo due anni. Ero nel lettino e lui si affacciò d’improvviso, in-dossando gli occhi giganteschi del Mutante del telefilmOl-

tre i limiti. Per poco non sono morto. Gli psicologiparlano di un meccanismo che scatta nell’infanziaquando, per poterlo sopportare, ti identifichi con ciòche ti spaventa. E infatti io sono sempre stato attrattodai mostri, cominciando a collezionarne fin da quan-do ero piccolissimo».

Così, a otto anni il piccolo Guillermo girava i suoiprimi filmini horror e a ventuno anni produceva ilsuo primo lungometraggio, diventando un maestrodi trucco e effetti speciali con la sua società: Necro-pia. «Se oggi posso dire di non provare paura, alme-no non nel senso normale del termine, è forse pro-prio grazie alla grande quantità di paura sperimentatada bambino e da ragazzino». A spaventarlo non era solo

il fratello, ma anche la nonna: «In Crimson Peak la sorella del protagoni-sta indossa il cameo di mia nonna, lo stesso che ho usato in La spina deldiavoloe in altri miei film. Mia nonna compare sempre in qualche perso-naggio, stavolta è la terribile madre dei due fratelli che vediamo immor-talata nel ritratto. Era una donna ultracattolica e grazie a lei io vivevo co-stantementenelterroredi peccare,morire efinirequindi all’inferno». In-sieme andavano per cimiteri: «Visitavamo spesso la tomba del nonno, èuna cosa normale in Messico. Meno normale è che più volte la nonna ab-biatentato di esorcizzarmi per liberarmi dallamania dei mostri.Duranteuna discussione iniziò a tirarmi addosso l’acqua santa, pensava fossi pos-seduto. Io iniziai a ridere e lei a urlare: “È la risata del demonio!” gridava.L’ultimavolta chela vidi fu qualche mese prima che morisse. Le mostrai ibozzettidei mieimostri, simisea piangere: “Perchénonpuoi crearequal-cosa di bello?”. Non capiva che la mia ossessione era trovare la bellezzaall’interno di quei mostri».

Tra le fonti d’ispirazione di Del Toro non c’è però solo la famiglia. An-che il cinema italiano, da Mario Bava a Dario Argento a Matteo Garrone,ha contribuito non poco. «Il racconto dei racconti è un film bellissimo.Matteo ha colto l’incanto primordiale del racconto fiabesco come solo po-chi autori si sono rivelati in grado di fare. In ogni film riesce a creare unarealtàdel tuttodiversadalla voltaprecedenteesempre credibilerispettoalla storia che racconta».

Il suo primo amore fuFrankensteindi Boris Karloff: «Era pieno di fragi-lità, aveva un’aura da santo. La sua vulnerabilità gli valse subito la miasimpatia di bambino». A ogni personaggio, buono o cattivo, Del Toro re-gala qualcosa: «Un passato, un segno zodiacale cinese, una lista di cibi ecanzoni, segreti». E se sono tante le creature oscure in cui ha trovato sestesso, una sola gli corrisponde perfettamente: «Hellboy. Sono io. Hoadattato il fumetto di Mike Mignola alla mia personalità, anche la sua re-lazionecon LizShermansomigliaa quellacon miamoglie».Un grandero-mantico, e CrimsonPeakne è la gotica manifestazione tra paesaggi not-turniche sembrano usciti dalle tele di John Atkinson Grimshaw e CasparDavid Friedrich, o dalle pagine de Lo zio Silas di Joseph Sheridan Le Fa-nu: «Il romanzo gotico è legato alle favole e alla passione. Un film comeHocamminatoconunozombidiJacquesTourneur hala stessa strutturadi JaneEyre: una ragazza pura guidata in un viaggio oscuro da un genti-luomo scuro, entrambi viaggi d’iniziazione all’età adulta».

In Crimson Peak tocca a Mia Wasikowska essere trascinata da TomHiddleston nella magione del Picco Cremisi costruita su una montagnad’argilla, la casa dei fantasmi. «Io credo ai fantasmi, entità svincolate damoralitàe religione.Li hoancheincontrati quandosono andato acercarliin un albergo del Galles. In quella camera maledetta, mentre guardavo idvd diTheWire, ho rivissuto un omicidio: le urla terribili di una donna e isospiri di un uomo in preda al rimorso. Per il terrore sono rimasto svegliotutta la notte. Ma almeno così ho potuto finire di vedere tutta la serie».

Oltre che visionario, Del Toro è anche cineasta di maniacale precisio-

ne. Molti i progettiarenati — «è una sofferenza, perquesto lavorosem-pre a più film sperando di girarne uno ogni due anni: ho scrittoventitré sceneggiature, meno della metà sono arrivate al cine-ma» — altrettante le occasioni di frizione con le majors: comequandoadesempio negòil suoTheStrainall’emittenteche vole-va trasformarlo in commedia: «Nonostante il mio carattere nonho ancora capito come sono riuscito a fare tutti i film che alla fine

ho fatto». Questa volta, a sbloccare l’eterno montaggio della suaultima fatica, sono dovuti intervenire i suoi due sodali di sem-

pre, Alejandro Amenábar e Alfonso Cuarón: «Tra noi c’è fi-ducia totale, onestà al limite della crudeltà. Alejandro è

stato chirurgico: cambia questo, sposta quello. Alfon-so in un giorno ha tagliato dieci minuti». Il trio è un po’il simbolodell’ondamessicana cheha conquistatoHol-lywood. Proprio a partire dall’Oscar vinto da Del Toronel 2007 per Il labirinto del fauno. A quell’epoca il re-gista viveva in California già da una decina d’anni.

Era andato via dal Messico dopo il sequestro del pa-dre, poi liberato previo pagamento di un riscatto. È an-

coramolto legatoalsuopaesee staproducendo undocu-mentario che ne racconta la difficilissima fase attuale: «È

un grande paese che ha la sfortuna di avere pessimi gover-nanti. Difficile trovare una soluzione, perché chi governaè il business della droga inestricabilmente intrecciato al-le istituzioni». DelToro hagià saputofondere,esplendida-mente, horror e politica, sia con La spina del diavolo checon Il labirintodel fauno,entrambilegatiallaGuerracivi-le spagnola. Ma con il Messico... «No, non potrei, è un or-rore troppo grande anche per me. Noncredo sarei in gra-do di farci un film».

Aottoanni giravagià isuoi horror infamiglia. “Ilprimoa farmiqua-

simoriredipaurafumiofratellochequandoavevodueannis’affac-

ciò sul lettino indossando una maschera da mutante”. Anche la

nonna non scherzava: “Mi tirava addosso l’acqua santa, pensava

davveroche fossiposseduto dal demonio”. Malui aveva una solaos-

sessione:difendersi dallecreaturecattivecercandodiscovarviden-

tro la bellezza. Ora,a quasi dieci anni dall’Oscar vinto per “Il labirin-

to del fauno”, il regista messica-

no arriva nei cinema (anche ita-

liani) con un nuovo film. Ste-

phenKingl’havistoenonhaavu-

todubbi: “Meraviglioso.Edanna-

tamente terrificante”

CREDOAIFANTASMI,ENTITÀSVINCOLATEDAMORALITÀERELIGIONE.SONOANDATOACERCARLIINUNHOTELDELGALLES.EINQUELLACAMERAHORIVISSUTOUNOMICIDIO:HOSENTITOLEURLADELLADONNAEILRESPIRODELL’ASSASSINO

Guillermo

©RIPRODUZIONERISERVATA

GLIPSICOLOGIPARLANO

DIUNMECCANISMOCHESCATTA

NELL’INFANZIAQUANDO

TI IDENTIFICHICONCIÒCHETISPAVENTA

PERPOTERLOSOPPORTARE.IOHOINIZIATO

CONFRANKENSTEIN

ILMIOPAESÈÈGOVERNATODALBUSINESSDELLADROGAINUNINTRECCIOFORTISSIMOCONLEISTITUZIONI.ÈUNORRORETROPPOGRANDEANCHEPERME.NONCREDOCHEPOTRÒMAIFARCIUNFILM

AR I ANNA F I NOS

DelToro

‘‘

‘‘

‘‘

L’incontro.Mostri

Repubblica Nazionale 2015-10-18