15 il fantasma salvini a roma con l’editoriale /1 della ...il fantasma. della crescita. economia....

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WWW.DEMOCRATICA.COM n. 392 lunedì 15 aprile 2019 S alvini lancia l’assedio al Campidoglio e a Virginia Raggi. Si è accorto che le cose a Roma non vanno e con la consueta miscela di parole e di slogan cerca di aprirsi uno spazio nella Capitale. Salvini vuol far tornare la destra al governo di Roma, dopo che per cinque anni (dal 2008 al 2013) essa ha portato la città al collasso, generando debiti, aprendo le porte all’illegalità, creando in clima di insicurezza e di divisione tra le forze sociali. A Salvini ed ai cittadini romani vogliamo ricordare alcune cose. La Lega è sempre stata un nemico di Roma, ha sempre operato per indebolire la Capitale d’Italia e quindi per indebolire il Paese e far avanzare un progetto di contrapposizione territoriale tra Nord e Sud finalizzato a dividere la Nazione. Altro che sovranismo! C’è, infatti, sostanziale continuità tra la parola d’ordine della vecchia Lega Nord di Umberto Bossi (Roma Ladrona) ed il progetto di regionalismo differenziato sostenuto dalla Lega per Salvini premier (lo Spacca Italia) che dice di voler “lasciare al Nord la ricchezza del Nord” ma che finirebbe per indebolire anche il Nord e rovinare i ceti produttivi di quei territori chiudendoli in una piccola area regionale senza alcuna forza competitiva e politica nel mondo di oggi dominato dai grandi Stati continentali. Il fantasma della crescita Economia Slitta ancora il decreto per incentivi e rimborsi. Imprese e cittadini attendono il governo delle chiacchiere Salvini a Roma con la destra degli scandali L’EDITORIALE /1 Roberto Morassut “Ogni parola ha conseguenze. Ogni silenzio anche.” (Jean-Paul Sartre, 21 giugno 1905 - 15 aprile 1980) SEGUE A PAGINA 4 M artedì, mercoledì e giovedì la Commissione Affari Costituzionali dovrebbe discutere e deliberare sul testo che proviene dal Senato che riduce i deputati a 400 e i senatori a 200. Non abbiamo ovviamente una contrarietà di principio: la riduzione del numero era contemplata anche dalle nostre proposte storiche, dall’Ulivo del 1996 fino alla riforma bocciata dal referendum nel 2016. Né siamo preoccupati che si riformi troppo, ma piuttosto che si riformi poco e male. Non è detto che si estrae un tassello che ha senso in un contesto esso mantenga da solo il suo significato. Mi limito a segnalare tre questioni di fondo, al netto di altre, più tecniche che comunque vi sarebbero, come il peso eccessivo che vengono ad avere i delegati regionali per eleggere il capo dello Stato, dato che il loro numero a differenza di quello dei parlamentari, non si riduce. Riduzione parlamentari, i controsensi del governo L’EDITORIALE /2 Stefano Ceccanti SEGUE A PAGINA 6 CARLOS GARCÍA DE ANDOIN A PAGINA 7 PAGINA 6 Verso le elezioni, Spagna al bivio tra stabilità e populismo Il governo spegne Radio Radicale (e la libera informazione) MONDO EDITORIA PAGINA 2-3

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WWW.DEMOCRATICA.COM

n. 392lunedì

15 aprile2019

Salvini lancia l’assedio al Campidoglio e a Virginia Raggi.Si è accorto che le cose a Roma non vanno e con la consueta miscela di

parole e di slogan cerca di aprirsi uno spazio nella Capitale. Salvini vuol far tornare la destra al governo di Roma, dopo che per cinque anni (dal 2008 al 2013) essa ha portato la città al collasso, generando debiti, aprendo le porte all’illegalità, creando in clima di insicurezza e di divisione tra le forze sociali.A Salvini ed ai cittadini romani vogliamo ricordare alcune cose. La Lega è sempre stata un nemico di Roma, ha sempre operato per indebolire la Capitale d’Italia e quindi per indebolire il Paese e far avanzare un progetto di contrapposizione territoriale tra Nord e Sud finalizzato a dividere la Nazione.Altro che sovranismo!C’è, infatti, sostanziale continuità tra la parola d’ordine della vecchia Lega Nord di Umberto Bossi (Roma Ladrona) ed il progetto di regionalismo differenziato sostenuto dalla Lega per Salvini premier (lo Spacca Italia) che dice di voler “lasciare al Nord la ricchezza del Nord” ma che finirebbe per indebolire anche il Nord e rovinare i ceti produttivi di quei territori chiudendoli in una piccola area regionale senza alcuna forza competitiva e politica nel mondo di oggi dominato dai grandi Stati continentali.

Il fantasmadella crescita

Economia Slitta ancora il decreto per incentivi e rimborsi. Imprese e cittadini attendono il governo delle chiacchiere

“Salvini a Roma conla destra degli scandali

L’EDITORIALE /1

Roberto Morassut

“Ogni parola ha conseguenze. Ogni silenzio anche.” (Jean-Paul Sartre, 21 giugno 1905 - 15 aprile 1980)

SEGUE A PAGINA 4

Martedì, mercoledì e giovedì la Commissione Affari Costituzionali dovrebbe discutere e deliberare sul testo che proviene dal Senato

che riduce i deputati a 400 e i senatori a 200. Non abbiamo ovviamente una contrarietà di principio: la riduzione del numero era contemplata anche dalle nostre proposte storiche, dall’Ulivo del 1996 fino alla riforma bocciata dal referendum nel 2016. Né siamo preoccupati che si riformi troppo, ma piuttosto che si riformi poco e male. Non è detto che si estrae un tassello che ha senso in un contesto esso mantenga da solo il suo significato. Mi limito a segnalare tre questioni di fondo, al netto di altre, più tecniche che comunque vi sarebbero, come il peso eccessivo che vengono ad avere i delegati regionali per eleggere il capo dello Stato, dato che il loro numero a differenza di quello dei parlamentari, non si riduce.

“Riduzione parlamentari, i controsensi del governo

L’EDITORIALE /2

Stefano Ceccanti

SEGUE A PAGINA 6CARLOS GARCÍA DE ANDOIN A PAGINA 7PAGINA 6

Verso le elezioni, Spagna al bivio tra stabilità e populismo

Il governo spegne Radio Radicale (e la libera informazione)

MONDOEDITORIA

PAGINA 2-3

2 lunedì 15 aprile 2019

Attivare fondi e progetti per la ripresa

Economia

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Non si può essere soddisfatti di riconoscere che l’economia italiana è fortemente peggiorata nei passati mesi, come ammette lo stesso Documento di economia e finanza appena presentato. Sareb-be, però, ancora più preoccupante se, di fronte a questa triste ed evidente realtà, il governo volesse

continuare a “vivere sulle nuvole”, spargendo illusioni e promes-se insostenibili.

Palazzo Chigi ha messo nero su bianco che per il 2019 l’aumento del pil dovrebbe passare dall’1% allo 0,2% e che di conseguenza il deficit di bilancio dovrebbe crescere dal 2,04% al 2,4%. Sono stime ancora troppo benevoli che non tengono conto, purtroppo, degli effetti negativi a spirale che solitamente accompagnano la reces-sione economica.

Di ciò siamo fortemente preoccupati, anche perché il confronto politico è soprattutto di natura ideologica ed elettorale e, a volte, anche di rivalsa. Riequilibrare il bilancio dello Stato richiede deci-sioni chiare e tempi medi poiché si basa sulla ripresa degli investi-menti, della produzione, dell’innovazione e dell’occupazione nei settori dell’economia reale.

Perciò, mantenere a tutti i costi le promesse fatte durante le campagne elettorali potrebbe sembrare positivo ma, in verità, non fa parte delle leggi che regolano il sano andamento e lo sviluppo dell’economia, sia nella teoria che nella prassi. Vale per tante ini-ziative, a cominciare dalla flat tax che ha fatto capolino nel Def. Per ora è una semplice enunciazione.

Per serietà e credibilità, portare come esempio da seguire nel nostro paese il modello ungherese della flat tax, che sarebbe la ragione del buon andamento dell’economia di Budapest, è un er-rore.

Per chiarezza è opportuno ricordare, invece, che la recente ri-presa economica dell’Ungheria si basa su tre condizioni conver-genti: il contributo a fondo perduto di ben 3,5 miliardi di euro annui da parte dell’Unione europea, l’intensa partecipazione eco-nomica e industriale della Germania verso i paesi dell’Europa centrale e il basso costo della mano d’opera ungherese, con una qualifica tecnologica mediamente elevata, che ha attirato notevoli investimenti. Tutte condizioni che in Italia non ci sono.

Ovviamente, il documento del Def non contempla aumenti nella tassazione: sarebbe una clamorosa ammissione di totale fallimen-to. Per i prossimi mesi, però, il governo dovrà dimostrare come “bilanciare” l’aumento delle uscite con le minori entrate. Natural-mente, per il bene degli italiani ci si augura che lo sappiano fare. Ma è indubbio che dal prossimo gennaio possa scattare l’aumento delle aliquote Iva.

A nostro avviso la priorità dovrebbe essere la ripresa degli inve-stimenti pubblici in infrastrutture per l’effettiva apertura dei can-tieri, a partire dal Mezzogiorno dove la situazione economica e occupazionale è a dir poco disperata. Secondo varie stime, oltre ai fondi recuperabili dall’enorme evasione fiscale, ci sarebbero 140 miliardi di euro già stanziati nei bilanci degli anni passati per sva-riati progetti.

Attraverso un accordo già operativo con la Banca europea per gli investimenti essi potrebbero diventare subito spendibili. Il vero problema sono le lungaggini delle burocrazie statali, regio-nali e locali.

Secondo l’Associazione nazionale costruttori edili (ANCE) si trat-terebbe, tra l’altro, di 60 miliardi del Fondo investimenti e svilup-po infrastrutturale, di 27 miliardi del Fondo sviluppo e coesione, di 15 miliardi di Fondi strutturali europei, ecc.

Se si riuscisse a spendere in tempi ragionevolmente brevi i soldi in questione, sarebbe una leva per la ripresa economica. Si ricordi che l’Istat sostiene che ogni euro pubblico investito nelle infrastrutture possa generare una crescita di investimenti diretti e indiretti di 3-4 volte. è il Comitato interministeriale per la pro-grammazione economica (CIPE), presso Palazzo Chigi, responsabi-le della gestione delle risorse sopra menzionate, che non ha svolto un’effettiva azione incisiva nei confronti degli enti e delle ammi-nistrazioni beneficiari dei progetti.

Bisogna accelerare i processi decisionali, snellendo il codice de-gli appalti e affidando, contemporaneamente, alle autorità anti corruzione il compito di prevenire e colpire le infiltrazioni mala-vitose e le mazzette legate ai lavori pubblici.

La situazione, nella sua complessità e urgenza, non può ancora essere lasciata alle lentezze burocratiche. Serve, invece, una chia-ra e netta assunzione di responsabilità da parte del governo e del-le altre istituzioni. Il paese non può più aspettare.

*già sottosegretario all’Economia **economista

Mario Lettieri* Paolo Raimondi**

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3 lunedì 15 aprile 2019

Il 4 aprile, esattamente due settimane fa, il Consiglio dei ministri approvava “salvo intese” il decreto crescita, quel-lo per capirci che non solo dovrà con-tenere agevolazioni e incentivi forte-mente attesi dalle imprese, tra cui il

taglio dell’Ires, ma nel quale dovranno essere inclusi anche le norme per i rimborsi ai ri-sparmiatori truffati dalle banche, la cui en-tità nel frattempo è stata dimezzata nel Def.

Forse è nella formula “salvo intese” che va cercato l’inghippo per cui, a oggi, non solo il dl non è ancora stato pubblicato in Gazzet-ta Ufficiale, ma a quanto trapela slitterà con ogni probabilità a maggio, alla faccia dei re-quisiti di “necessità e urgenza” richiesti dal-la Costituzione per poter legiferare con lo strumento del decreto.

L’inciampo, manca a dirlo, pare sia nelle coperture, un ostacolo che qualche giorno fa il ministro Tria, per il quale il dl era “pronto al 98%”, ha evidentemente sottovalutato.

Una matassa di cui non si è ancora trovato il bandolo e che per ora continua a rimbalza-

re tra i ministeri interessati, quello dell’Eco-nomia, guidato appunto da Tria, e quello del Lavoro e dello Sviluppo economico, entram-bi diretti dal vicepremier Luigi Di Maio. Un balletto dietro al quale pare si nasconda vero e proprio scontro tra i dicasteri, con scambi di accuse e rimbalzi di responsabilità.

Del resto già all’atto dell’approvazione nel Cdm, dove il decreto era entrato con 38 arti-coli e ne era uscito con oltre 50, era apparso quanti e quanto fossero intricati i nodi da sciogliere.

A complicare il tavolo, ci si è messo in queste ore anche un vecchio vizio da Prima Repubblica, ossia quello di infilare nei prov-vedimenti, alla prima occasione, norme che poco o nulla hanno a che fare con gli inten-ti originari; un tentativo che nella fattispe-cie pare sia stato messo in atto dal ministro dell’Agricoltura Centinaio, che ha provato a inserire nel decreto una misura sul turi-smo non preventivamente concordata. Altro nodo, poi, quello del debito di Roma Capita-le, pure questo previsto nel dl crescita. Qui lo scontro è tra Salvini, che non vuole fare “regali milionari”, e M5S. Sullo sfondo, ben raccontano le cronache di questi giorni, la contesa prossima ventura per la guida di Roma, nella quale Salvini pare intenzionato a entrare con tutt’e due i piedi.

Ma al netto delle manine dell’ultimo mi-nuto, il nodo vero sembrano essere le co-perture, con buona pace delle imprese che attendono gli incentivi promessi, così come dei risparmiatori truffati, a cui i Cinque stel-le hanno venduto promesse evidentemente con troppa leggerezza.

Di Maio oggi da Dubai ha rassicurato: “Il lavoro che stiamo facendo è limare alcune norme che avevano bisogno di messa a pun-to”, come è nel suo stile rimanendo vago sui dettagli.

Parole che non rassicurano l’opposizio-ne, che con il vicepresidente della Camera, il dem Ettore Rosato, parla di un “governo di cialtroni che gioca con l’economia del Paese” per un decreto “ancora in alto mare, alla fac-cia delle imprese che aspettano agevolazioni fiscali e incentivi”, mentre per Antonio Mi-siani il decreto crescita “perso nella nebbia” è la “conferma di un governo prigioniero dell’ossessione propagandistica dei due vice-premier”.

Governo

Carla Attianese

Migranti e porti chiusi, Salvini ancora indagato

“La Procura distrettuale della Re-pubblica di Catania mi comuni-ca che ha trasferito al Tribuna-le per i reati ministeriali gli atti

del procedimento penale nei miei confronti per sequestro di persona”. Così il vicepre-mier e ministro dell’Interno, Matteo Salvini, a margine di una serie di incontri a Monza.

Il Tribunale dei ministri di Catania ha dunque avviato l’istruttoria su Salvini nell’ambito della nave Sea Watch 3 bloccata per giorni al largo di Siracusa. L’istruttoria è stata avviata dopo la richiesta di archivia-zione presentata dal Procuratore di Catania Carmelo Zuccaro ed ha come reato da inda-gare il ‘sequestro di persona’, proprio come

successo per il caso della nave Diciotti, per cui il ministro ha ‘preferito’ non farsi pro-cessare.

La nuova notifica sembra però rinsalda-re le convinzioni del vicepremier che non cambia idea sulle politiche di accoglienza: “Ai giudici che decideranno e ai colleghi ministri che vedo che in queste ore hanno qualche dubbio, dico che i porti italiani sono e rimangono chiusi”. Il messaggio è diretto al ministro Trenta e all’altro vicepremier Di Maio che oggi avevano espresso dubbi sulla linea così oltranzista del leader leghista (ov-viamente solo a parole).

Intanto la situazione in Libia sta preci-pitando. E le parole di Serraj lasciano pre-sagire l’inizio di una stagione molto duro dal punto di vista della gestione dei flussi: “800mila migranti pronti a partire”.

Democratica

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Dl crescita in alto mare. Incentivi e rimborsi a maggioDietro il nodo delle coperture lo scontro tra Di Maio e Tria. Rosato: “Governo di cialtroni che gioca con l’economia del Paese”

4 lunedì 15 aprile 2019

Salvini a Roma con la destra degli scandali

Nel 2009 l’Italia aveva un Governo di destra (Berlusco-ni- Bossi) e Roma aveva una Giunta di destra (Ale-manno).

Il governo aveva da poco deciso, nella legge di bi-lancio di allora, l’abolizione dell’ICI (per il momen-to senza rimborsi agli enti locali) che comportò un

mancato introito del Comune di Roma di 500 milioni di euro per gli investimenti.

In questa situazione era impossibile gestire la città ed allora fu costruita la mistificazione del debito pregresso per trovare un alibi ad una Giunta rivelatasi peraltro da subito inadeguata.

Si disse che Roma aveva un debito di 21 miliardi e fu deciso di costituire una struttura commissariale controllata dal Governo alla quale fu trasferito l’intero debito pregresso, finanziato con una manovra contabile e puramente matematica che ha determinato da allora il collasso dell’economia romana e il crollo dei servizi a causa di una pressione fiscale insostenibile.

Infatti, per reperire le risorse necessarie per sanare il debito pregresso, si decise di fissare in 300 milioni di euro all’anno l’ero-gazione da parte del MEF a favore della struttura commissariale (tasse degli italiani) e di fissare un aliquota aggiuntiva per l’Irpef ed altre tasse aeroportuali, a carico dei romani, per ulteriori 200 milioni di euro all’anno.

Tutto questo fino al 2048.Cinquecento milioni di euro all’anno solo per pagare

un debito mal calcolato, cancellando gli investimenti per opere e servizi fino alla metà del secolo; nessu-na città potrebbe sopravvivere a questo flagello senza esplodere.

Ed infatti Roma sta esplodendo.La massa debitoria fu calcolata in modo as-

surdo e rozzamente matematico, inserendovi anche i debiti legati ai mutui accesi per la rea-lizzazione delle opere pubbliche (infrastrutture, metropolitane) ed i cosiddetti debiti fuori bilan-cio provenienti da vecchi contenziosi urbanistici che tutti i Comuni hanno sempre avuto e sempre avranno.

La cifra dei 21 miliardi era gonfiata, lo dichiarò in se-guito anche la stessa Corte dei Conti e lo ammise a mezza boc-ca lo stesso Commissario governativo per primo nominato e del resto basta andare alle statistiche del 2009 per vedere che Roma, in quel momento, aveva un indebitamento pro-capite più basso delle altre maggiori città italiane oltre ad avere uno storico tra-sferimento di risorse nazionali più contenuto delle altre maggiori città italiane.

La reale entità della massa debitoria non superava in realtà i 10-11 miliardi, una cifra non dissimile, se calcolata per misura pro capite a quella media dei comuni italiani.

Questo accordo tra la Lega e la destra romana, che andò sotto il nome di “patto della pajata”, consistette quindi in uno scambio tra partiti sulle spalle dei cittadini romani.

La destra di Alemanno ottenne il non trascurabile regalo di pu-lire il bilancio di ogni peso del passato e di scaricare in una “bad–company” finanziata dai cittadini un debito pregresso mal calcola-to e, sul piano istituzionale, ottenne il “pennacchio” del cambio di denominazione del titolo del Comune di Roma che divenne “Roma Capitale” grazie ad una norma ad hoc inserita in Costituzione.

Questo “pennacchio” fu un po’ come la conquista dell’Etiopia e la proclamazione dell’Impero nella primavera del 1936 perché portò solo un inutile fregio e tanti problemi.

Infatti, aldilà del nome, Roma non ottenne alcun potere reale in più, alcuna opportunità in più, solo una nuova carta intestata.

La Lega, da parte sua, ottenne la ben più sostanziale cancella-zione della Legge per Roma capitale (396/90), che aveva consen-tito nei dieci anni precedenti di riconoscere alla Capitale, per le sue funzioni ed i suoi oneri straordinari, circa 100 milioni di euro all’anno di risorse aggiuntive finalizzate a ben precisi programmi di investimento, infrastrutturazione, e modernizzazione.

In quella stagione della destra al potere in Italia e a Roma, la Capitale perse quindi sostanziali poteri e risorse ed ottenne degli inutili orpelli.

Oggi tutti riconoscono che esiste un problema di poteri e risorse, proprio perché vi fu questa spoliazione.

L’obbiettivo della Lega (e anche di Berlusconi) era quello di in-debolire Roma, che tra il 1993 ed il 2008 era assai cresciuta nella competizione delle aree urbane in Europa e nel mondo, fino ad essere considerata un “modello”, per spostare il baricentro della vitalità economica e finanziaria su Milano; cosa perfettamente ri-uscita.

La crisi mondiale e la globalizzazione hanno fatto il resto inve-stendo Roma ormai spogliata delle pur limitate difese e attrezzatu-re che erano state costruite in 15 anni di governo riformista.

Non basta.Va ricordato che la Giunta Alemanno, lungi dal mettere a buon

frutto il ritrovato pareggio di bilancio, riuscì in 5 anni di governo del Campidoglio a produrre altri 4 miliardi di debito attraverso la ben nota politica clientelare nelle aziende pubbliche del trasporto e dei rifiuti, innalzando la spesa corrente per consulenze e spese di personale a livelli indicibili (per distribuire posti e incarichi), come hanno dimostrato inchieste e condanne passate in giudicato.

Questa è la storia della destra a Roma di questi anni, una storia che va ricordata per giustizia di verità ma soprattutto per evitare che si torni a questo disastro.

La Raggi oggi reagisce ma i Cinque Stelle, malati di propaganda, hanno sempre confuso le acque scaricando le colpe del passato in-distintamente su tutti e spesso e volentieri hanno riciclato pezzi di burocrazia di destra che erano stati pienamente protagonisti della stagione di Alemanno: Marra all’inizio ed ora Sammarco.

Salvini dice che per raccogliere i rifiuti non ci vuole un mago ma gli ricordiamo che AMA è stata massacrata

dalle assunzioni clientelari e dagli affari di ammini-stratori spregiudicati e ingordi, legati alla destra che

sono stati condannati in via definitiva e che hanno letteralmente distrutto una azienda che doveva essere modernizzata e trattata con equilibrio e rigore.

A Salvini facciamo notare che la destra leghi-sta romana di oggi, che egli vorrebbe riproporre in Campidoglio, è composta da esponenti politici

che allora erano con Alleanza nazionale ed il PDL, il partito guida del Campidoglio, corroso da fame-

liche correnti interne che hanno spolpato la città.A Salvini ricordiamo quanto sta scritto in lettere di

fuoco negli atti dell’inchiesta di “Mafia capitale” che dice chiaramente come le centrali criminali furono favorite in

quegli anni e che i vari Buzzi e Carminati se non erano mai riusciti a parlare con la Giunta di centrosinistra prima del 2008, avevano invece avuto continui contatti personali con i punti di vertice della Giunta di destra dopo il 2008.

Il Pd a Roma, coinvolto in alcuni casi nelle inchieste dopo il 2014, ha attraversato un duro periodo di autocritica e di autoriforma, mentre la destra non ha mai chiesto scusa alla città nè lo fa oggi Salvini che, invece, vuole riportare quei poteri, quei metodi, quelle tradizioni sul colle capitolino.

Non solo.Salvini protegge e tutela organizzazioni estremistiche e di de-

stra come CasaPound e Forza Nuova che producono disordine nei quartieri e che occupano illegalmente immobili pubblici che il Mi-nistro Salvini si ostina a non sgomberare.

Queste organizzazioni, che nel territorio marciano di conserva con la Lega, sono le stesse che hanno avuto ad Ostia il sostegno elettorale del clan Spada ed il ministro Salvini, quando parla di Ostia, dovrebbe parlare di questo più che di generiche chiacchiere sull’autonomia di quel municipio, vecchie di trenta anni e già boc-ciate due volte dai romani.

Questa dunque è la destra romana, quella di ieri e quella di oggi.La destra delle tasse più alte d’Italia, la destra della famelica oc-

cupazione del potere, la destra dell’illegalità, la destra del rapporto con organizzazioni criminali e con frange estremistiche e violente.

Una destra che la Raggi ed il Movimento Cinque Stelle non han-no saputo frenare ma che, alla fine, hanno di fatto rafforzato con la loro nullità politica e di governo.

Contro questa mistura si leverà la voce democratica dei romani, la parte migliore della città, che vuole una capitale moderna, giu-sta e aperta.

Una capitale europea, dei diritti e delle opportunità e non dell’o-dio, delle paure e delle ingiustizie.

Commenti

Roberto MorassutSegue dalla prima

La storia di quegli anni

va ricordata per evitare che si torni a quel

disastro

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5 lunedì 15 aprile 2019

Per i giovani un Erasmus del servizio civile

Per una singolare coincidenza, l’in-vito che Michele Serra – dalle co-lonne di Repubblica - ha rivolto al PD affinchè si affretti a deposi-tare, prima che lo faccia Salvini, una proposta di legge per rendere

obbligatorio il Servizio civile, è arrivato negli stessi giorni in cui la Camera dei deputati ap-provava la cosiddetta “mini-naja”, ovvero un periodo non retribuito della durata di sei mesi di formazione volontaria in ambito militare per giovani dai 18 ai 22 anni. Non condivido la fretta, né tanto meno la scelta di introdur-re nel nostro ordinamento l’obbligatorietà del Servizio civile. Capisco e condivido l’intento – già peraltro sottostante ad una proposta di due anni fa dell’ex ministro della Difesa Ro-berta Pinotti, ma la strada è sbagliata.

Suggerisco piuttosto tre diverse alternati-ve come modalità innovative per adempiere al sacro dovere – art.52 della Costituzione - di difendere la Patria. La Corte Costituzionale in-fatti, in più di una sentenza, ha ritenuto piena-mente coerente l’esercizio del dovere di servi-re la Patria anche attraverso il Servizio civile volontario. È da questo assunto che muovono le tre proposte. Innanzitutto mi sarei atteso che nel dibattito sulla “mini-naja”, venisse avanzata con forza la proposta di estendere tale facoltà anche al campo del Servizio civi-le. Sarebbe stato sufficiente richiamare una recente esperienza della Provincia autonoma di Trento, nella quale è possibile, per i giova-ni dai 16 ai 18 anni, partecipare durante l’e-

state ad un’esperienza strutturata di impegno civico e volontario. L’intento è chiaro: aiutare i giovani a sentirsi responsabili della propria comunità e in particolare dei soggetti più de-boli. Analogamente, si potrebbe introdurre nella scuola e nella formazione professionale una sorta di “alternanza scuola/servizio ci-vile” organicamente inserita e riconosciuta, attraverso appositi crediti formativi, nel cur-riculum di studi degli sudenti. Un investimen-to siffatto certamente potrebbe orientare un numero rilevante di giovani – specialmente quelli più sfavoriti – a scegliere dopo i 18 anni di accedere al Servizio civile universale.

La scuola e la formazione professionale potrebbero cosi diventare uno straordinario veicolo promozionale per far maturare nella coscienza delle giovani generazioni il dove-re di difendere la Patria non tanto come un obbligo imposto dalla legge, ma come una responsabilità verso il proprio Paese. Punta-re sulla promozione e sul convincimento è la strada maestra; infatti, secondo il Rapporto Giovani curato dal prof. Alessandro Rosina,

circa il 90% dei giovani non è favorevole a introdurre l’obbligatorietà. Dunque, anzichè arrovellarsi su un dibattito un po’ astratto e forse perfino controproducente, il PD dovreb-be chiedere con forza che le risorse per il Ser-vizio civile universale vengano nel 2020 per lo meno raddoppiate. Con il governo Gentiloni, la dotazione finanziaria consentiva a 58.000 giovani di fare servizio civile; ora siamo scesi, con le risorse a bilancio per il 2019, a meno di 32.000. E le domande invece sono arrivate a superare la quota di 120.000. Per cui , nel pros-simo anno, solo un giovane su quattro potrà cogliere questa opportunità di formazione e di servizio.

Infine, a poco più di un mese dalle elezio-ni per il Parlamento europeo - vorrei che tra i messaggi forti della campagna elettorale del PD e delle forze europeiste, vi fosse la realiz-zazione di un vero e proprio Servizio civile europeo.

È vero che il Presidente Juncker – racco-gliendo una proposta del ex premier Matteo Renzi del 2014 – ha avviato per il 2019 un Cor-po europeo di solidarietà come occasione per un numero limitato di giovani di impegnarsi in una attività di volontariato sociale; ma le risorse impegnate sono veramente esigue. Il sogno da realizzare è di consentire a tutti i gio-vani europei che lo desiderino di fare un’espe-rienza di servizio civile volontario in un paese UE diverso dal proprio: un Erasmus del Servi-zio civile. Se milioni di giovani europei – come accade oggi per gli studi superiori e univer-sitari – potessero avere questa opportunità, anche l’appartenenza ad una comune patria europea ne uscirebbe rafforzata.

Partito Democratico

Luigi Bobba CONDIVIDI SU

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Il dibattito sull’obbligatorietà rischia di essere astratto e perfino controproducente

La Roma del futuro dei giovani di AsSociataUna città diversa è possibile: basta immaginarla e rimboccarsi le maniche

Ieri domenica 14 aprile presso Le Formi-che lab abbiamo dato il via alla seconda edizione de L’asSociata di Roma.

Abbiamo chiamato con il nostro team di 25 universitari oltre 200 giovani under 25 provenienti dal mondo dell’associazionismo e dell’impegno civico per costruire proposte concrete per la nostra città da indirizzare a Comune di Roma e Regione Lazio. L’asSocia-ta è nata con il desiderio insieme a colleghi e amici di mettere a contatto i giovani impe-gnati in politica ed abbattere le barriere e i settarismi che spesso ci caratterizzano, por-tandoci solo a sbattere. Ieri c’erano 7 tavoli di lavoro, 7 questioni cruciali per la Città, dalla gestione dei rifiuti con il contributo dell’ex presidente di AMA Daniele Fortini alla riqua-lificazione ambientale con alcuni ragazzi di FridaysForFuture, e poi l’integrazione con il Presidente del Baobab o l’ampliamento di of-ferta culturale per educare alla cittadinanza consapevole ed abbattere crescenti disparità sociali.

Tra 3 settimane presenteremo le nostre proposte per Roma, invitando la Sindaca Vir-ginia Raggi, il Presidente della Regione Lazio

Nicola Zingaretti e tutti i politici che vogliono darci una mano nel chiedere riscatto.

A supportarci è stato con noi Francesco Montanari, attore di successo molto impegna-to nella Capitale, che ha apprezzato l’iniziati-va.

Il fatto che associazioni come Retake deb-bano sostituirsi all’AMA è raccapricciante. Ci sono nodi evidenti e banali che vanno risolti

insieme, le idee prima delle ideologie. Questo era il nostro intento, insieme ad Ali-

ce Bertola, Tommaso Sensi, Stefano Ferace e tante amiche e amici, di tutte le provenienze politiche. Combattere per la nostra città come se fosse una S.P.A, di cui tutti possediamo un’azione. Non possiamo tirarci indietro ad opportunità di dialogo anche con chi la pensa diversamente da noi. LEGGI SU DEMOCRATICA.COM

Giovanni Crisanti CONDIVIDI SU

6 lunedì 15 aprile 2019

Il governo spegne Radio Radicale (e la democrazia)

Lo ricordate Vito Crimi, quello che predicava dirette streaming per una qualsiasi cosa? La pas-sione per le dirette gli deve esse-re passata, se è vero che ora, da sottosegretario alla presidenza

del Consiglio con delega all’editoria - chiude le voci dell’informazione libera. Chiude Ra-dio Radicale, che da oltre quattro decenni racconta ciò che accade nelle nostre istitu-

zioni, e taglia il fondo per l’editoria.Una scelta “sciagurata”, la definisce Giu-

seppe Giulietti, presidente nazionale della Fnsi, “perché colpisce le voci delle differen-ze. Per capirci: colpisce Radio Radicale, Il Manifesto, l’Avvenire, tanti giornali dioce-sani. Sono tagli destinati a diventare bava-gli”.

Ma Crimi non fa una piega. Stamattina a Milano, nel convegno sull’informazione locale promosso dal Corecom lombardo, ha ribadito l’intenzione del governo Lega- 5Stelle: “non rinnovare la convenzione con Radio Radicale per un servizio che Radio

Radicale ha svolto da 25 anni senza alcun tipo di valutazione inteso come un affida-mento tramite gara”.

“Allora – gli ha subito risposto la parla-mentare del Pd Enza Bruno Bossio - perché non ha il coraggio di indire la gara, visto che ne ha la competenza?”.

La senatrice Valeria Fedeli, capogruppo Pd nella commissione Diritti umani, sot-tolinea come il governo si stia assumendo “la responsabilità politica di tagliare la de-mocrazia nel nostro Paese”, mentre la dem Francesca Puglisi, fondatrice di Towanda e candidata alle europee, osserva in un tweet che “Sono le voci libere che danno fastidio ai pentafascisti”.

Francesco Verducci, promotore con il gruppo Pd del Senato di una mozione per il rinnovo della convenzione con Radio Radi-cale, accusa Crimi “di non perdere occasio-ne per minacciare e intimidire le voci non allineate. Questo Governo è un pericolo per la libertà di informazione nel nostro Paese”.

Intervenendo alla Camera, il giornalista e deputato dem Filippo Sensi ha fatto rife-rimento al “crescendo di intimidazioni, di atti di bullismo istituzionale, di spocchia e arroganza nei confronti di Radio Radicale, e di aggressione e disprezzo per la libertà di stampa e la pluralità delle voci dell’infor-mazione, che non ha precedenti nella storia recente e, forse, più di un’affinità con gover-ni come quello di Orban o Erdogan. Sappia Radio Radicale, i lavoratori che rischiano il posto e le loro famiglie, che noi continuere-mo al loro fianco la loro battaglia di liber-tà”.

Politica

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L’annuncio del sottosegretario Crimi: stop alla convenzione. Insorge il Pd: “Libertà a rischio”

Riduzione parlamentari, i controsensi del governo

In primo luogo: ha senso toccare i nu-meri di chi è eletto senza toccare i nu-meri di chi elegge? Sette classi di età, da 18 a 25 anni, non votano al Senato. Un

problema non solo per loro, che così sono cittadini dimezzati, ma anche per la razio-nalità del sistema: è così altamente proba-bile che, anche con leggi elettorali identi-che, si producano maggioranze diverse. Ci si risponde: siamo d’accordo ma facciamolo dopo. Che senso ha? Le due questioni sono strettamente collegate.

In secondo luogo: a legge elettorale inva-riata i collegi uninominali finiscono per cre-scere di un terzo, superando anche il milio-ne di abitati e rendendo così del tutto labile il rapporto tra eletti o elettori, cosa che rap-presenta la loro giustificazione. Si produce così un deficit di rappresentanza. A questo punto, se si riduce il numero, tanto vale o eleggerli in gran parte in collegi uninomina-li oppure rinunciare del tutto a quello stru-

mento. Non ha senso mantenerlo svuotan-done la ragione.

In terzo luogo: ci rendiamo conto che ri-ducendo il Senato, eletto a 200 membri su base regionale, in realtà i sistemi si allon-tanano perché il Senato nelle regioni me-dio-piccole diventa molto meno proporzio-nale a differenza della Camera, con sogli di sbarramento regionali effettive superiori al 10? Risultati incoerenti diventano molto più probabili. Non converrebbe allora prende-re due decisioni entrambe logiche: o stabi-lire lo stesso numero di 315 per entrambe le Camere oppure, come in altre grandi de-mocrazie europee, mantenere la sola prima Camera col rapporto di fiducia e un numero elevato di rappresentanti e la seconda con ma effettivi rappresentanti del sistema delle autonomie? E questo tanto più nel momen-to in cui la vicenda dell’autonomia differen-ziata si rivela insolubile con accordi politici separati tra Governo nazionale giunte regio-nali. In subordine, non varrebbe almeno la pena, in un Senato ridotto, di inserire i Pre-sidenti di Regione in relazione alle decisioni in cui si possono produrre conflitti che altri-

menti scaricano alla Corte costituzionale?Dov’è però il punto in questa fase?Noi non pensiamo che la maggioranza

debba per forza riconoscere come valide queste obiezioni, in tutto o in parte, ma un Parlamento degno di questo nome esiste perché le tesi di chi è in minoranza possano comunque essere esposte e votate.

Al Senato così non è stato: con la scusa, in questo caso piuttosto risibile, delle rifor-me parziali, si è sostenuto che non fossero ammissibili per estraneità di materia emen-damenti sull’elettorato e sulle funzioni. Una tesi surreale: il numero dei parlamentari sarebbero una variabile indipendente ri-spetto a chi vota e al lavoro che debbono svolgere.

Se questa ingiustificabile forzatura do-vesse prodursi il nostro atteggiamento sarà fin da subito di contrarietà totale e ci appre-steremmo, dopo il voto dell’Saula, a un più che motivato ricorso alla Corte costituziona-le, anche sulla base della recente ordinanza della Corte medesima, a tutela delle prero-gative costituzionali dei parlamentari.

Stefano CeccantiSegue dalla prima

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7 lunedì 15 aprile 2019

Verso le elezioni, Spagna al bivio

Otto anni fa, il 15 marzo 2011, con le manifestazioni dei co-siddetti “indignati”, si è ac-campato in mezzo a noi. Ci sono alcuni che lo hanno sot-tovalutato. Tuttavia, la politica

spagnola continua nel ciclo aperto da quelle piazze che traboccavano di indignazione. Il “loro non ci rappresentano” ha mostrato il divario che si stava aprendo tra la società e la classe politica, approfondito dalle politi-che di austerità per affrontare la crisi finan-ziaria del 2008. Cosa è successo dopo?

In una prima fase ha colpito la sinistra, affondando i socialisti e dando le ali a Pode-mos. Da quella crisi il PSOE sta emergendo - sembra - dopo un aspro deserto con un forte programma di socialdemocrazia, ecofemmi-nismo e convivenza federale.

Il 15 marzo ha avuto anche la sua onda-ta espansiva in Catalogna. Allo slogan “loro non ci rappresentano” seguì il tracollo della politica istituzionale da parte del movimento indipendentista cittadino. Ancora il governo regionale non ha recuperato i minimi di nor-malità istituzionale. Il territorio che occupa-va l’onnipresente CiU, il partito dominante in Catalogna, continua nella zona sismica.

Un terzo impatto: la grave crisi della go-vernabilità. In tre anni e mezzo, tre elezioni generali, con governi di risicatissime mino-ranze o in prorogatio. L’italianizzazione del-la politica spagnola.

Nell’ultima fase è stata la svolta a destra. Dove c’era un robusto PP, modello di partito pigliatutti, dal centro liberale all’estrema de-stra, oggi c’è uno spazio contestato accanita-mente da tre parti. Minaccia esistenziale

I risultati del 28 aprile possono aggravare la crisi politica o, al contrario, gettare le basi per rilanciare una nuova legittimità del si-stema, anche per essere in grado di affronta-re le necessarie riforme con un dialogo suffi-ciente. Non è una cosa da poco. Se la politica democratica è per i cittadini una ricchezza di problemi e non una fonte di soluzioni, al-lora finiranno per fidarsi dell’altra politica, quella del lato oscuro. Quello che si estende

in tutto il mondo, attraverso l’Europa, e che già si fa strada in Spagna: il populismo auto-ritario. È fondamentale che un governo con stabilità e potere efficace trovi nelle urne una nuova legittimazione nel sistema politi-co e le sue possibilità di ricostruzione. Su tre fronti.

In primo luogo, sono necessarie politiche sociali più impegnative, più adeguate ai cam-biamenti sociali e più efficienti nella spesa pubblica. L’individuo e le famiglie devono verificare di non essere lasciati impotenti davanti agli avidi poteri della globalizzazio-ne neoliberale. Si tratta di offrire sistemi di protezione, guida e risorse per l’empower-ment per lo sviluppo del nostro progetto di vita personale, professionale e familiare, in un mondo globale in cambiamento, pieno di incertezze e minacce - tra cui il tecnologico e l’ecologico - molto competitivo e disugua-le, che condanna il vivere nella precarietà al massimo e sempre più nell’impoverimento. Insieme allo Stato, le amministrazioni più vi-cine ai cittadini, i sindacati, il terzo settore, i pensionati, il movimento cooperativo ... han-no un ruolo insostituibile.

Secondo: è necessaria una forma di rela-zione più aperta e partecipativa con la so-cietà. Si tratta di ripristinare la fiducia dei cittadini nei confronti dei partiti. Non do-vrebbero essere club privati esclusivi che beneficiano di beni collettivi, bensì strumen-ti di cittadinanza per il servizio del Bene co-

mune, ma anche le persone più preparate, le migliori, devono essere scelte per le respon-sabilità pubbliche, anche dal punto di vista dell’etica personale e pubblica. Che che non è esattamente lo stesso di preferire i perso-naggi televisivi nelle candidature. Una politi-ca per incontrare una società piena di talenti e dinamismi inespressi.

In terzo luogo, è decisivo ribaltare la logica che mette l’antagonismo, lo scontro, davanti al patto. Le sfide cruciali per il futuro della società, specialmente i giovani, richiedono il dialogo e quindi rinunce alle parti. Que-sto nell’educazione, rispetto a cambiamenti climatici, parità di genere, immigrazione o industria 4.0. Quando le sfide sono comuni, quando possono mettere insieme una sinfo-nia di realtà sociali- imprese ed educatori, movimenti sociali e ricercatori, attori laici e attori religiosi, autorità pubbliche e società civile - quando sono possibili accordi per il Paese e le controversie di breve periodo li frustrano, poi nella cittadinanza si diffonde il disgusto per un dibattito da pollaio che spre-ca energie vitali in battibecchi e pettegolezzi. Il lavoro serio e positivamente complice dei media è essenziale per questo cambiamento.

Infine, la Catalogna; occupa un posto a parte. La questione catalana ha messo in crisi lo Stato, polarizzando il dibattito sull’i-dentità con un enorme carico emotivo. Ha messo in discussione la politica democrati-ca, finora sterile per incanalare il conflitto. Qualsiasi nuova formula di convivenza avrà bisogno della riforma della Costituzione. Uno stato federale in un’Europa federale. Si tratta di fare pedagogia, di costruire maggio-ranze sociali, da una parte e dall’altra, nel perseguimento di un accordo che non sarà lontano da una riforma federale. Anche per noi, cittadini baschi.

Il ciclo politico che ha aperto il 15 marzo 2011 può portare a una migliore, ma anche peggiore, incertezza. In questo caso, molti finiranno per confidare nella soluzione dei problemi con la falsa illusione del populi-smo autoritario e della festa dell’identità. Il futuro del 15 marzo è nei nostri voti.

*Candidato alle elezioni del 28 aprile alla Camera dei deputati per il Psoe

- circoscrizione Biscaglia, Paese Basco

Europa

Carlos García de Andoin* CONDIVIDI SU

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Da una parte la continuità con la stabilità portata dal Psoe al governo, dall’altra la deriva populista

Finlandia, vittoria di misura dei socialisti

Vittoria di misura per i socialdemo-cratici guidati da Antti Rinne in Fin-landia, che con uno stretto margine hanno arginato l’ascesa del partito

populista e nazionalista Veri finlandesi di Jussi Halla-aho. I sociademocratici hanno conquistato 40 seggi in Parlamento, dopo una campagna incentrata sulla forte opposizione all’austerità imposta dal precedente governo di centrodestra del premier Juha Sipila. I Veri finlandesi hanno solo un seggio in meno, cioè 39, raddoppiando così la propria presenza in Parlamento dove sinora detenevano 17 seggi.

Il distacco è di soli 0,2 punti percentuali tra i due schieramenti, con i socialdemocratici primo partito al 17,7%. La formazione dell’ex sindacalista Rinne guiderà l’esecutivo per la

prima volta da 16 anni, sebbene da allora sia stata partner di coalizione.

Durante la campagna elettorale, la gran parte dei partiti aveva espresso forti riserve su possibili alleanze al governo con la forma-zione anti-immigrazione di Halla-aho. Rinne potrebbe anche scegliere di formare una co-alizione con i conservatori di Coalizione na-zionale, terzi con 38 seggi, nonostante negli ultimi anni ci siano stati forti scontri sulle politiche di austerità. I governi di Helsinki sono tipicamente formati da una coalizione composta da tre o quattro partiti, che costi-tuiscono la maggioranza minima di 101 seggi in Parlamento. “Grande sconfitto” alle urne è stato il partito di centro del premier uscente Sipila.

Stefano Cagelli CONDIVIDI SU

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8 lunedì 15 aprile 2019

In redazioneCarla Attianese, Patrizio Bagazzini,Giovanni Belfiori, Stefano Cagelli,Maddalena Carlino, Roberto Corvesi, Francesco Gerace, Stefano Minnucci, Agnese Rapicetta

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