12 mesi - brescia - ottobre 2012

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odici D MENSILE DI ATTUALITÀ • ECONOMIA • INCHIESTE • OPINIONI E CULTURA DA BRESCIA E DAL MONDO N. 10 ANNO IV // OTTOBRE 2012 1,20 Lavoro: i giovani sono fiduciosi IMMOBILI DI PRESTIGIO TROFEO MERCURY BSNEWS.IT QUI E LÀ ALCOA PELO E CONTROPELO È SUCCESSO L’ESTINZIONE DEI DINOSAURI MESI Pensieri di Christian Presciutti Fabio Rolfi Nadia Zanola Strade e quartieri Via Cremona Hinterland Travagliato Viaggio in Provincia Azzano Mella Bagnolo Mella Capriano del Colle Dello Manerbio Offlaga Poncarale Le eccellenze Made in Brescia

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Page 1: 12 Mesi - BRESCIA - Ottobre 2012

odiciD

MENSILE DI ATTUALITÀ • ECONOMIA • INCHIESTE • OPINIONI E CULTURA DA BRESCIA E DAL MONDO

N. 10 ANNO IV // OttOBRE 2012

€ 1,20

Lavoro: i giovani sono fiduciosiImmobIlI dI prestIgIo • trofeo mercury • bsNews.It • quI e là • alcoa • pelo e coNtropelo • è successo

l’estINzIoNe deI dINosaurI

mesi

Pensieri di

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Le eccellenze Made in Brescia

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12MESIottobre 2012

DODICI MESI // ottobre 2012

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L’aperitivoOpinioni

Fabio Rolfi: Chi non fa non fallaProdotto & mercato

Nadia Zanola: La maglieria che passioneStrategia d’impresa

Christian Presciutti: Orgoglio italiano,accento romano e cuore bresciano

LavoroPaola Vilardi: Sono tornata a vivere

Jurassik Park. C’era una volta l’industria…La questione Alcoa

Finanza e impresaUn marchio per Brescia

BachecaTu e il fisco

Inchiesta: I giovani non perdono la speranza di… lavorare

Strade e quartieri: Via CremonaHinterland: Travagliato

IN QUESTONUMero

Editore

Edizioni 12 SrlViale Duca degli Abruzzi, 163 - 25124 Brescia

Registrazione Tribunale di Brescia n. 52 del 24/11/2008

ImpaginazioneSale’s Solutions Srl

FotografieArchivio Sale’s Solutions, Umberto Favretto Agenzia Reporter, Rolando Giambelli Il Fotogramma, Patrick

Merighi Brescia in Vetrina, Cristina Minini

StampaTiber Spa - Brescia

PubblicitàSale’s Solutions Srl

Viale Duca degli Abruzzi, 163 - 25124 Bresciatel 030.3758435 - fax 030.3758444

[email protected]

MESI

DODICI MESIMensile di attualità, economia, inchieste,opinioni e cultura da Brescia e dal mondo.

Ottobre 2012Anno IV - Numero 10

Rivista mensile - € 1,20

Viale Duca degli Abruzzi, 163 - 25124 Bresciatel 030.3758435 - fax 030.3758444

[email protected]

Direttore ResponsabileGiorgio Costa

[email protected]

Coordinamento Donatella Carè

[email protected]

Hanno collaboratoStefano Anzuinelli, Davide Bacca, Luce Bellori, Esterino

Benatti, Elisabetta Bentivoglio, Elizabeth Bertoli, Alberto Bertolotti, Silvio Bettini, Michela Bono, Paoloemilio

Bonzio, Donatella Carè, Alessandra Cascio, Alessandro Cheula, Mario Conserva, Bruno Forza, Lorenzo Frizza,

Emanuela Gastaldi, Rolando Giambelli, Roberto Giulietti, Immanuel, Ferdinando Magnino, Alessia Marsigalia,

Sergio Masini, Enrico Mattinzoli, Fedele Morosi, Giorgio Olla, Antonio Panigalli, Irene Panighetti, Francesco

Rastrelli, Libero Rosellini, Massimo Rossi, Salvatore Scandurra, Rosanna Scardi, Giordana Talamona,

Donatella Tiraboschi, Alessandra Tonizzo, Andrea Tortelli, Camilla Zampolini.

Questo periodico è associato all’Unione Stampa Periodica Italiana

Viaggio in Provincia. Bassa BrescianaPoncarale, Bagnolo Mella, Manerbio, OfflagaDello, Capriano del Colle, Azzano MellaPolitica e societàPelo e contropeloBrainstormBSNews.it/Il sondaggio:Il nuovo Brescia? Bocciato dai tifosi Qui & làSport: Trofeo MercuryGentile FarmacistaSalute e benessereÈ successo

Soluzioni immobiliari di prestigio

InsertoLe eccellenze brescianealla prova della crisi

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12MESIottobre 2012

11L’APERITIVO

L’estinzione dei dinosauridi giorgio costa

L a sera, dopo aver visto pro-grammi come “L’Infedele”, “Ballarò”, “Piazzapulita”, “L’Ultimaparola”, non ri-

esco subito a prendere sonno. Ango-scia, rabbia e frustrazione, amalgamate da un’apprensione di fondo, prendono il posto dell’ottimismo che, normal-mente, mi pervade durante il giorno. Al termine di quelle trasmissioni più o meno urlate da cassandre, commenta-tori giacobini, politici sconclusionati ed esperti sconosciuti e spesso im-provvisati, con i poveri conduttori che si affannano a cercare di dare un senso a quelle babele di dichiarazioni, le due domande che mi assillano sono: come si è arrivati a questo punto? Cosa succe-derà nell’imminente futuro? La sensa-zione che stia per succedere qualcosa di epocale è violenta e con lo zapping sui tanti nuovi canali del digitale terrestre, cerco qualcosa che mi distragga e mi rilassi. Da qualche tempo mi fermo su D-MAX, un canale dove dei tizi svuota-no cantine cercando un vecchio flipper o un coltello di Pecos Bill da rivendere agli appassionati con lauti guadagni, o un ex-marine spiega come si usa e i van-taggi di una mitragliatrice da 5.000 col-pi al minuto o del nuovo Hummer con cannone a puntamento laser. Già, ho pensato: “Cavoli! Sabato vado subito a comprarmelo”. Trasmissioni che, o ti puliscono la mente o te la radono al suo-lo (quasi come “Veline”). Qualche gior-no fa, sempre sul mio amato D-MAX, mi imbatto in una trasmissione dove un ricercatore teorizzava la sua recente scoperta sul leggendario Tirannosaurus Rex, spiegando come la sua morfologia lo portasse ad essere un divoratore di

carogne e non un predatore di animali vivi. Molto interessante! Mentre mi co-ricavo pensando a questa appassionante rivelazione, pensai ai dinosauri. Quei giganteschi e potenti rettili dominaro-no Gaia per 160 milioni di anni. Erano i più forti. I mammiferi esistevano già ma erano specie inferiori, piccoli roditori che vivevano sotto terra e se metteva-no il naso fuori, diventano cibo per i carnivori migliaia di volte più grandi di loro. Poi nel Cretaceo, dopo centinaia di secoli di potere, un meteorite grande come l’isola d’Elba cadde nel golfo del Messico e con una potenza di migliaia di atomiche, sconvolse il mondo. Una nube di calore e polvere nel giro di po-chi minuti estinse Gigantosauri, Spino-sauri e Tirannosauri; tutti i dinosauri sparirono così per sempre dal nostro pianeta. Dopo qualche tempo, finito il calore e depositata la polvere i piccoli roditori uscirono dalle tane sotterranee che li avevano salvati e da allora i mam-miferi si evolvettero e conquistarono il mondo. Nell’appoggiare la testa sul cu-scino mi sono sentito come uno di quei topolini indifesi, smarriti ed impotenti, come i tanti cittadini, lavoratori, artigia-ni, piccoli imprenditori che temono di essere divorati dai dinosauri predatori di oggi: le multinazionali, le lobbies po-litiche, la grande finanza. Sorridendo, mi sono addormentato sereno, certo che il nuovo meteorite stava arrivando e che il mondo sarebbe ritornato presto di tutti i topolini..

In questo numero di Dodicimesi, l’artico-lo ”Jurassic park” di Alessandro Cheula, sicuramente da leggere, tratta senza me-tafore dell’Estinzione dei dinosauri.

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12MESIottobre 2012

13OPINIONI

di aNtoNio PaNigaLLi

Astuzia o furbizia?

P ensando agli ultimi fatti di cronaca, alla loro continua e incessante reiterazione, e provando a correlarli alla

devastante situazione del sistema Italia, non si può non riflettere sulla “ignorante furbizia” che la classe politica degli scan-dali regionali – come quello dei giovani delle università di Calabria (fino a sette 30 e lode in un giorno, neppure Albert Einsten…), solo per portare un esempio recente – continua a esercitare in un pa-ese ormai malato di mancanza di cultura di rinnovamento e di dimenticanza dei valori di base di una società civile.

Per poter intraprendere un nuovo cam-mino di prosperità, se non proprio di crescita (anche perché la crescita all’in-finito non può esistere), bisogna tenere ben presente che la prosperità economi-ca è “cambiamento”, sicuramente nella quantità e sempre di più nella qualità. È ormai troppo lungo il periodo nel quale la mala politica, il cattivo assistenziali-smo sindacale, l’eccessiva furbizia dei singoli, delle corporazioni e della socie-tà nel suo insieme hanno portato ad una costante decrescita della produttività e

quindi del benes-sere.

Bisogna cambiare! Il cambiamento è pervasivo (coin-volge tutti gli strati e gli aspetti della vita sociale) ed è influenzabile (me-glio se con astuzia politica che con furbizia) ma ineludibile, quindi o viene governato o viene subìto. È ora di tornare a rimboccarsi le mani-che, altrimenti risulterà impossibile im-maginare di invertire il trend negativo.

Il virus della bassa crescita ha cominciato a essere diffuso dalla metà degli anni Ses-santa (mentre il messaggio politico/socia-le è sempre stato quello della esaltazione del miracolo italiano) con scelte che hanno sempre più ingessato il paese in ogni spa-zio vitale e appesantito il fardello di norme, imposte, flessibilità, ecc..

Le riforme sono il mezzo per cambiare (anche il voto può essere una riforma), il contesto nel quale decidono e do-

vrebbero incidere i cittadini. In Italia il cantiere delle riforme è rimasto in realtà sempre aperto con annunci, norme ab-bozzate e mai applicate, misure lente, poco risolute, incompiute, incoerenti con il risultato sotto gli occhi di tutti: di-sorientamento e incertezza, da un lato, e scetticismo e diffidenza verso l’efficacia delle riforme, dall’altro.

Per dirla alla Milton Friedman: “Esiste un’enorme inerzia, una tirannia dello status quo, nelle istituzioni private e spe-cialmente pubbliche. Soltanto una crisi, effettiva o percepita, produce un cambia-mento reale. Quando quella crisi avvie-ne, il politicamente impossibile diventa politicamente inevitabile”.

Anni Ottanta Anni Novanta 2000-2007 2000-2010

PIL pro-capite 2,3 1,5 0,5 -0,4

Produttività oraria del lavoro 1,8 1,5 0,1 0,0

Il benessere rallenta con la produttività(Italia, contributi alla variazione del PIL pro-capite, espressi in valori % medi annui)

Fonte: elaborazioni CSC su dati ISTAT.

Ore lavorate/popolazione 0,5 0,1 0,4 -0,3

120

130

140

150

160

Germania

Italia

Svezia

Riforme: chi le fa (bene) riparte(PIL pro-capite, a prezzi costanti,1990=100)

90

100

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2009

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2012

Fonte: elaborazioni CSC su dati FMI. 2012 previsioni.

Dalla convergenza alla divergenza(PIL pro-capite, USA=100)

50

55

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65

70

Fonte: elaborazioni CSC su dati BEA, FMI, Maddison e ISTAT.

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UE-15 Italia

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12MESIottobre 201212MESI

ottobre 2012

1514 PENSIERI DI

S veglia alle sei. Mezz’ora di corsa e poi in ufficio, Palaz-zo Loggia o via Donegani, intorno alle 7.30. Da lì la

giornata del vicesindaco Fabio Rolfi è un susseguirsi ininterrotto di appuntamen-ti, telefonate e comunicati stampa fino alle 20. Spesso anche oltre. Con qual-che rara concessione alle passioni. È su questa attitudine bresciana al lavoro che il 35enne Rolfi ha costruito la sua forza politica. Proprio come il “cugino” vero-nese Flavio Tosi, che non nasconde di voler prendere a modello. Prima rappre-sentante degli studenti a Economia, poi presidente di circoscrizione in testa alla battaglia anti-Corsini, Rolfi ha svoltato con le elezioni del 2008, quando - con un migliaio di preferenze - ha conquista-to la poltrona di vicesindaco. Quindi, nel 2012, la decisione di diventare maronia-no, maronita, e di correre per la poltrona di segretario provinciale della Lega. Un passaggio – coraggioso, forse ardito –

che avrebbe potuto segnare la sua morte politica. E invece lo ha consacrato come leader del partito bresciano.Nuove espulsioni in arrivo o tutto si è risolto con le dimissioni di Monica Rizzi dal Pirellone? “L’esito dei congressi è stato netto. E oggi nel partito c’è più maturità: non servono altri provvedimenti. Quanto alla Rizzi fu lei a dire che se avesse vinto Maroni se ne sarebbe andata. Spero che per una volta sia coerente”.La vittoria dell’ex ministro ha sancito

un cambio di linea netto.“L’esigenza iniziale – ben rappresentata da Bossi – era rompere il muro di omertà nei confronti del movimento. Ma il pro-cesso di maturazione era inevitabile. E le vicende del Trota e di Belsito c’entrano solo incidentalmente. A guidare il cambia-mento sono stati il rinnovamento genera-zionale e l’ascesa di alcuni amministratori locali. I temi che poniamo ormai sono ampiamente condivisi al Nord: l’obiettivo è unire tutti quelli – anche i non leghisti – che credono nelle nostre battaglie”.Serve un cambio anche nella futura giunta comunale?

“Alcuni adeguamenti andranno fatti. E il sindaco dovrà saper scegliere gli as-sessori premiando non l’amicizia o le mere logiche di appartenenza partitica”.Le si potrebbe obiettare che i partiti sono uno strumento democratico...“Sì, ma devono avere regole democrati-che. Ogni testa deve valere un voto. E ser-vono i congressi. Grillo l’ha mai fatto un congresso aperto? Ha mai presentato un bilancio? Prima di puntare il dito contro qualcuno servirebbe un po’ di coerenza”.Laura Castelletti la vorreste in giunta?“Con lei non mancano i punti di contat-to amministrativo. Ma i corteggiamenti

non possono essere infiniti e non so se la pazienza di Adriano verrà premiata”.Parliamo di temi amministrativi. L’hanno definita il vicesindaco scerif-fo. Ma oggi di sicurezza si parla poco...“È venuto meno l’allarme sociale perché abbiamo cercato di dare risposte ai pro-blemi della gente, che con Corsini erano stati solo negati. Nella sicurezza abbia-mo investito molto e oggi i dati sui reati ci danno ragione”.Sulla prostituzione avete scelto il pu-gno duro. Funziona?“La legge Merlin deve lasciare il posto a una seria regolamentazione del fenome-no, in modo da toglierlo dalle strade e mo-nitorarlo anche dal punto di vista fiscale. So che il nostro non è il metodo corretto per affrontare il problema, ma è l’unico per tenerlo sotto controllo. Altrimenti avremmo per strada lo stesso numero di prostitute di Rezzato o Mazzano”. Paroli ha detto che se si presentasse da lui una coppia gay non celebrerebbe le nozze. Lei che farebbe?

“Farei ciò che dice la legge in quel mo-mento. Anche se ritengo che il matri-monio tra persone dello stesso sesso sia sbagliato: altro conto è il riconoscimen-to di alcuni diritti”.La campagna elettorale è aperta. E il Pd continua ad attaccarvi sull’opera-zione, fallita, che aveva portato Brixia Sviluppo ad acquistare un terreno a Guidizzolo per trasferirvi i sinti. Che ve ne fate di quel campo?“Centrotrenta cittadini bresciani vive-vano abusivamente in un campo nomadi comunale, sopra un gasdotto, e a questi Corsini aveva perfino concesso la resi-denza, cristallizzando un problema so-ciale e di ordine pubblico. Purtroppo la nostra soluzione non ha funzionato. Ma lavorando si sbaglia anche. Quel terreno, che è edificabile, oggi è nel patrimonio di Brescia Infrastrutture. E cercheremo di valorizzarlo, magari vendendolo”. Economia, welfare e ambiente sono temi nodali anche per Brescia. In che ordine di priorità li metterebbe?“In primis l’economia. A seguire welfa-re e ambiente”.Dunque che farebbe con l’Ilva di Ta-ranto?“Non la chiuderei, ma studierei un pia-no. Magari prendendo ad esempio il caso Alfa Acciai. Nel corso degli anni l’azienda ha fatto importanti investi-menti e creato un modello, tanto che oggi gli stessi comitati di San Polo non la identificano più come il problema.”Un inciso nel personale. Cosa fa nel (poco) tempo libero?“Se non sono con mia moglie Silvia, mi piace a giocare a calcetto e coltivare la passione per la caccia”.La caccia è una passione?“Certo, e una importante tradizione bresciana da tutelare”.Passioni più “culturali”?“Musica poca, soprattutto dialettale

come i Cinelli e Van Der Sfroos. Mi piac-ciono molto i film a carattere storico”.Ok. “Giochiamo”. La scorsa volta le era toccata la torre. Ora dica un pre-gio e un difetto di Paroli?“Pregio la lealtà, difetto la lentezza”.Emilio Del Bono.“Ha una certa instabilità che lo rende inadatto a fare il sindaco. Fatico a trova-re un pregio, forse la costanza”.Laura Castelletti.“Concreta. Ma anche un’eterna indecisa”.Paolo Corsini.“Gran lavoratore. Ma troppo narcisista”.Daniele Molgora.“È un po’ solitario, ma ha una grande pazienza costruttiva nel gestire la Pro-vincia in questo caos”.Pace fatta dunque?“Mai stata guerra, solo una differenza di vedute. Da segretario il mio compito è fare squadra, perché l’unità valoriz-za tutte le risorse del partito. Molgora incluso”.Un pregio e un difetto di Rolfi?“Non tocca a me dirlo”.Le tocca.“Ho fatto anch’io degli errori. Ma in buona fede: il mio compito è quello di servire la comunità”.

di aNdrea torteLLi

La Rizzi disse che, se avesse vinto Maroni, se ne sarebbe andata: spero che per una volta sia coerente

Guidizzolo? Purtroppo la nostra soluzione non ha funzionato. Ma lavorando si sbaglia.

Grillo l’ha mai fatto un congresso? Prima di puntare il dito contro qualcuno servirebbe un po’ di coerenza

L’Ilva di Taranto? Non la chiuderei, ma studierei un piano. Magari prendendo ad esempio quanto fatto da Alfa Acciai

ROLFI: CHI NON FA NON FALLA

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12MESIottobre 2012

17RUBRICA

di siLVio bettiNiPRODOTTO & MERCATO

I talia: liberalizzazione del gioco d’azzardo, una scommessa che non si ripaga, titola l’edizione americana di Reuters il 12 luglio

scorso, proseguendo, poi, col dire che persino nelle immediate vicinanze del Colosseo, così come avviene ad ogni an-golo di strada in Italia, è possibile gioca-re d’azzardo con una slot machine posta all’ingresso di una sala bingo, aperta dove poco prima c’era un cinema, oppure nel bar all’angolo, che tra l’altro vende ogni genere di biglietto di lotteria o di gratta e vinci, gli stessi che per altro si possono ac-quistare anche nel locale ufficio postale e il tutto entro il raggio di due isolati. In barba al momento di profonda crisi economica, in Italia, la promessa di un jackpot brilla a ogni angolo di strada, ma del resto, il no-stro, rappresenta il più grande mercato del gioco d’azzardo in Europa e uno dei più grandi al mondo. I numeri. Nel 2011, secondo l’Ammini-strazione Autonoma dei Monopoli di Sta-to, la raccolta del gioco d’azzardo in Italia è stata pari a quasi 80 miliardi di euro, circa il 5% del Pil nazionale. Il 56,3% del fattu-rato totale è stato raccolto da slot machine e video-lotterie, il 12,7% dai Gratta e vin-ci, l’8,5 dal Lotto, il 4,9 dalle scommesse sportive, il 3% dal Superenalotto, e il rima-nente da bingo e scommesse ippiche.Il fenomeno sembra essere in continuo aumento, si ipotizza per quest’anno un’ul-teriore crescita del 12% che dovrebbe portare la raccolta complessiva a circa 90 miliardi di euro. Crescita senz’altro aiutata da una pubblicità pervasiva, da un’offerta sempre più varia che copre l’intero arco della giornata e dalla facilità con cui vi si può accedere: è possibile giocare quasi in ogni luogo, dal supermercato al web.Se però il fatturato legato al gioco d’azzar-

do è passato dai 14,3 miliardi del 2000 ai 90 miliardi previsti per il 2012, i ricavi per lo Stato sono aumentati solo marginal-mente. La cifra incassata dall’erario per tasse sul gioco d’azzardo è ammontata ad oltre 8,5 miliardi di euro l’anno scorso, certo non poca cosa, ma tale crescita è, in proporzione, di gran lunga inferiore all’in-cremento di spesa: meno di 3 miliardi tra il 2001 e il 2011. La sproporzione tra crescita di giocate e gettito fiscale è senz’altro da ricondur-re all’applicazione di un’aliquota fiscale agevolata, che nel 2011 è stata inferiore all’11%, a dimostrazione di una precisa volontà politica di dare impulso a questo specifico settore economico.Le ragioni. Perché si sia voluto “spingere” il settore non è facile dirsi, quel che è cer-to è che la deregolamentazione del gioco d’azzardo ha avuto inizio nel 1992, quan-do a causa della pesantissima crisi econo-mica, che tra l’altro portò il governo Ama-to ad una svalutazione della lira del 25%, l’Italia aveva bisogno urgente di entrate fiscali. Inizialmente il trend non fu certo vorticoso, nel 1994 il fatturato dei tre ope-ratori principali, Lottomatica, Sisal e Snai, non superava i 6,5 miliardi di lire. Nel 2006 la legge Bersani-Visco ha permesso agli operatori stranieri di entrare nel mer-cato italiano facilitando, da quel momento, una crescita costante. L’impulso finale fu poi costituito dal cosiddetto “decreto di ferragosto” del 2011 quando il governo Berlusconi ha avviato la liberalizzazione dei giochi d’azzardo online. Se è vero che il gioco online rappresenta solo una parte del gioco d’azzardo nel suo insieme, è an-che vero che è comunque il settore che è cresciuto di più con un incremento di vo-lumi del 100% tra il 2011 e il 2012; solo nei primi sei mesi successivi alla liberaliz-

zazione sono stati fatturati più di 5 miliardi di euro.Una seconda motivazione importante a fa-vore della deregolamentazione è da ricon-durre alla lotta alla criminalità organizzata: si pensava, infatti, che liberare il gioco d’azzardo avrebbe consentito di “sposta-re” i giocatori dal gioco illegale a quello legale. Se l’intento era nobile il risultato è stato fallimentare perché, stando ai re-latori della commissione parlamentare an-timafia del 2011, ciò è avvenuto solo per un breve periodo iniziale: quando il gioco d’azzardo da illegale è diventato legale, le organizzazioni criminali non hanno fatto altro che “trasferire” le loro attività men-tre l’espansione dei volumi di gioco ha ali-mentato l’illegalità soprattutto nel campo del riciclaggio di denaro rendendo molto più semplice il passaggio di grandi somme via internet; tutto ciò a causa del perdurare di una legislazione arretrata e di un quadro normativo inadeguato ad affrontare un fe-nomeno in continua espansione.Quindi? Le conclusioni farebbero la gioia di monsieur De Lapalisse: abbiamo dato impulso al gioco d’azzardo per fare cassa fiscale, ma perché l’impulso fosse impor-tante ne abbiamo agevolato la tassazione neutralizzando così gran parte dei benefici derivanti dalla sua crescita. Cosa rimane di questo esempio di lungimiranza politica? Circa 700mila italiani dipendenti dal gio-co d’azzardo, numero che obbliga il mini-stro Riccardi ad affermare che “in una real-tà un po’ disperata in Italia, delle persone giocano nella speranza di un miracolo” e poi annunciare di voler regolamentare la pubblicità legata ai giochi, di voler inserire la ludopatia nei Livelli Essenziali di Assi-stenza con conseguente copertura a carico del sistema assistenza sanitaria statale... è sconfortante.

Oltre la crisi: il mercato dei sogni non conosce flessioni

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1918 PENSIERI DI

LA MAGLIERIA COME PASSIONE

A colloquio con Nadia Zanola

che recentemente ha partecipato, con successo,

a un progetto innovativo nel settore della moda.

U n corridoio pieno di fo-tografie a raccontare i sedici anni di storia dei “modelli” del suo modo

di fare maglieria; nell’ufficio fotografie dei figli, Davide e Mariaclara, della ni-pote Mariasole, dell’ultimo arrivato in famiglia Achille, del marito, ma anche delle collaboratrici e dei loro figli, e ogni giorno se ne aggiunge una nuova. Quello che non c’è, appeso alle pareti, è la passione di Nadia Zanola per il suo lavoro, per i suoi “fili”, e il suo unico “cruccio”: dare un futuro all’azienda.Per questo ha partecipato, con suc-

di Libero roseLLiNi cesso, congiuntamente al Politecnico di Milano come partner strategico, ad un progetto (Smart-K coordina-to da D-Namic) selezionato tra altri 300 dalla Regione Lombardia e dal Ministero della ricerca per il suo ap-proccio innovativo nel settore della maglieria.“Oggi la maglieria è sempre più in cri-si perché manca di personale specia-lizzato, mancano ‘maestre magliaie’ e soprattutto non ci sono giovani che ab-biano voglia di imparare. Da cinque anni abbiamo pubblicato un annuncio per as-sumere personale in grado di assolvere a mansioni fondamentali quali il rimaglio, il rammendo e la conoscenza approfon-dita delle macchine di maglieria”. Eppure continua a farlo. Perché?“È la passione che suggerisce tutte le mie scelte. Una passione che ho respi-rato nell’azienda della mia famiglia, che è cresciuta con le consulenze che nel tempo ho prestato ad importanti marchi italiani della maglieria e che è appro-data nella creazione della ‘d-exterior’. Ho presentato la mia prima linea al dettaglio con una collezione di soltanto 70 articoli. Oggi serviamo mille bou-

tique nel mondo e mille sono i modelli che presento in due collezioni l’anno. Esportiamo il 65 per cento della nostra produzione e le nostre collezioni si tro-vano negli showroom a Milano, Roma, Firenze, Torino, Padova, Parigi, Lon-dra, Dusseldorf, Hong Kong, Madrid, Lisbona e New York. È altrettanto vero, che ogni giorno questa passione è messa a dura prova dalle difficoltà che si devo-no affrontare”.E come le supera?“Stando sempre in azienda anche per dare l’esempio; puntando sulla qualità e sul vero made in Italy. Tutta la nostra produzione è realizzata in Italia con il contributo di laboratori che sono cre-sciuti con noi e che hanno condiviso il mio modo di intendere il lavoro. Fare bene maglieria è un lavoro complesso, serve molta tecnica e grazie ai miei vali-dissimi collaboratori abbiamo raggiunto

un’altissima professionalità”.Che ruolo ha la creatività nel suo la-voro?“Lascio poco spazio alle parole che non diventano realtà perché il mio lavoro consiste nel ‘maneggiare’ i filati, lavo-rarli e assemblarli. Per me la creatività significa capacità di realizzazione: la pri-ma senza la seconda vale poco. La maglia viene costruita sul corpo, da un filo, sen-za bisogno di disegni. Il talento consiste nel saper vestire una donna, esaltandone la figura. Anche le tendenze spesso sono fuorvianti, perché sovente in corso d’o-pera sono soggette a continue mutevoli

variabili; l’essenziale è che i nostri capi vengano indossati ‘per’ e ‘con’ piacere tanto è vero che il test più severo avviene quando li provo personalmente; se non soddisfano si deve ricominciare per ot-tenere il meglio”. A proposito di difetti, se ne riconosce qualcuno?“Credo di averne più d’uno, come tutti, ma quello che maggiormente mi si rim-provera è di essere troppo accentratrice, ma non credo sia del tutto vero. Forse tendo a cercare di ottenere il massimo sia da me stessa sia dai miei collaboratori e per questo, qualche volta, fatico a dele-

gare. Di certo il mercato seleziona solo il meglio e questo mio aspetto credo sia servito alla mia azienda”.Il suo obiettivo qual è?“Non ho mai avuto come obiettivo il mero tornaconto, ma ho sempre perse-guito risultati che mi consentissero di far crescere l’azienda, di offrire benes-sere ai miei collaboratori e soddisfazio-ne ai nostri clienti”.Come imprenditrice donna non ha mai avuto problemi, difficoltà nel suo settore?“No, ringraziando Dio, per il momento mai”.Cosa vede nel futuro della sua azienda?“Oggi siamo al limite della capacità pro-duttiva e se vogliamo, come vogliamo, mantenere questo standard qualitativo non credo sia possibile crescere oltre. Di certo tutto quello che ho ottenuto è anche merito delle persone che sono cresciute con me, di chi, giorno dopo giorno mi sta vicino. Un patrimonio professionale e umano straordinario che non vorrei andasse disperso”.Come donna come vive e ha vissuto questa esperienza lavorativa?“Ho sempre cercato di trovare un equi-librio tra il lavoro in azienda e il piacere di essere moglie, mamma e oggi nonna e credo di essere stata sempre molto pre-sente”.E le foto del suo ufficio sono lì a dimo-strarlo.

La creatività significa capacità di realizzazione: la prima senza la seconda vale poco.

Il talento consistenel saper vestire una donna, esaltandone la figura

Come donnaho sempre cercato di trovare un equilibrio tra il lavoro in azienda e il piacere di essere moglie, mamma e oggi nonna

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21RUBRICA

di Mario coNserVaSTRATEGIA D’IMPRESA

Riscopriamo la produttività

T ra i dibattiti sul futuro del nostro sistema industriale si discute anche sui criteri di valutazione della produttività

delle imprese e si torna a parlare del Clup, acronimo bruttino che identifica il costo del lavoro per unità di prodotto. Tanto per essere chiari, se in un medesimo con-testo aziendale un lavoratore costa più di un altro lavoratore ma produce molto di più, il suo costo del lavoro sarà più alto in assoluto, ma risulterà più basso per unità di prodotto, quindi con un Clup migliore.

Andando oltre, il ragionamento può es-sere esteso ad un’azienda, ad un sistema di aziende, ai sistemi industriali Paese, quindi ad un confronto tra questi per andare a valutare i diversi livelli di com-petitività. Ad esempio, se il Clup di un Paese aumenta di più di quelli di Paesi con questo in competizione, il Paese si troverà con una capacità concorrenziale dei propri prodotti diminuita al confron-to con quelli degli altri Paesi.

Bisogna dire che secondo diversi econo-misti i confronti di produttività fra siste-mi economici dei vari Paesi non sempre possono essere correttamente confron-tabili perché influenzati da eventuali diversità nella struttura delle quantità e dei prezzi relativi; però al di là delle sot-tigliezze accademiche, il Clup è ritenuto comunemente un indicatore molto utile, anche se non di rigore millimetrico, per paragonare gli andamenti tendenziali del

costo del lavoro per unità di prodotto.

Ritornando al nostro sistema Paese, va detto che le valutazioni tra dati omoge-nei dell’ultimo decennio dimostrano in effetti che il Clup italiano rispetto alla Germania è aumentato del 35%, indi-cando, come dati complementari, che la produttività per ora lavorata nel nostro paese è aumentata dell’1,4%, contro il 13,5% della Germania e un valore me-dio dell’Unione Europea dell’11,5%.

La produttività influenza evidentemente la competitività, che nel nostro caso si materializza nella capacità di esporta-zione da parte del nostro sistema econo-mico, collocato all’interno e dipendente dal grande mercato europeo.

Il declino è di tutta evidenza, a livello mondiale, e con il confronto impari della concorrenza dei paesi emergenti; l’Italia secondo i dati statistici della Commissio-ne Europea, ha perso nell’ultimo decen-nio quote di mercato nell’80% dei settori produttivi principali. Per risalire la china sono utili le analisi del Clup e degli ele-menti che lo compongono: è un dato ine-quivocabilmente rilevato dalle statistiche che da noi il costo del lavoro ha avuto negli ultimi anni aumenti solo marginali, mentre è il valore del prodotto che non quadra perché risulta mediamente po-vero sia in termini quantitativi, è troppo poco, che in termini qualitativi, perché non ha sostanziosi valori aggiunti.

Con questi elementi in mano, la que-stione è ora cercare di capire perché da noi la produttività non riesce a crescere a ritmi competitivi, e qui non mancano autorevoli e recenti analisi dettaglia-te sul problema italiano, dagli studi della Banca d’Italia sul gap innovativo del nostro sistema produttivo a quelli dell’Ocse sull’innovazione come stru-mento per rendere competitivo il no-stro Paese.

Come si vede spicca in entrambi i casi il ruolo chiave della conoscenza fatta di ricerca, innovazione, brevetti e know how, quella forma di investimento intan-gibile ma indispensabile per dare valide fondamenta a un reale aumento dell’e-conomia e dell’occupazione. È l’unica via da percorrere per produrre di più, meglio e con più persone, e questo chia-ramente significa abbandonare vecchi percorsi, cercare tecnologie e prodotti avanzati, esplorare mercati nuovi.

Tutto questo non basta, servono favo-revoli condizioni al contorno, dall’or-ganizzazione del lavoro alla struttura dell’impresa, dal contesto burocratico e normativo alla disponibilità di infra-strutture adeguate.

È un percorso difficile e lungo, però non ci sono altre scelte, è importante che si prenda coscienza della direzione da se-guire e del convincimento che l’alterna-tiva è diventare sempre più poveri.

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2322 PENSIERI DI

Il pallanuotista Christian Presciutti nel 2011 ha vinto i mondiali, nel 2012 l’argento olimpico.

Originario di Tivoli, vive a Brescia e gioca nell’An Pallanuoto Brescia.

ORGOGLIO ITALIANO, ACCENTO ROMANOE CuORE BREsCIANO

N ell’ultimo anno e mezzo Christian Presciutti è salito sul tetto del mon-do e ha sfiorato l’oro

olimpico. Nel mezzo del suo viaggio sportivo ha visto sfuggire all’ultimo atto uno scudetto ed ha alzato al cielo una coppa Italia. In testa i colori erano sem-pre più o meno gli stessi: bianco e blu, le tinte delle calottine della Nazionale e dell’Associazione Nuotatori Brescia. Quanto contano gli allenatori delle giovanili?“Molto. Mi hanno insegnato tanto, so-prattutto la filosofia del gruppo e quei va-lori che ti fanno andare avanti nella vita”.Dietro, però, ci vogliono sempre quelle colonne portanti chiamate ge-nitori.“Devo tutto alla mia famiglia. I miei genitori mi hanno sempre sostenuto e hanno fatto tanti sacrifici. Per portarmi all’allenamento dovevano sobbarcarsi ogni volta una quarantina di chilometri da Tivoli a Roma. Lo fanno ancora per i miei fratelli, che hanno 17 e 19 anni. Il più grande ha appena vinto l’Europeo giovanile”.Poi c’è l’altra famiglia.“Mia moglie e mia figlia. Quando ho in-

di brUNo forza contrato Micol sono diventato più matu-ro, e questo ha influito anche sulla mia carriera. Lei ha grandi meriti nei miei successi. Diventare padre è un ulteriore valore aggiunto. Il solo pensiero che mia figlia mi stia guardando mi dà stimoli im-mensi”.Nato a Venezia, vissuto a Roma, ma innamorato di Brescia.“Nel 2006 ero qui in prestito. Capii su-bito che sarei dovuto tornare. I brescia-ni mi vogliono bene e la città mi piace. Sento tanta gratitudine nei confronti di quello che faccio. Brescia è la mia secon-da casa”.Che difetti ha Brescia?“È una città che ama lo sport, ma ci inve-ste poco. Poi si parla troppo di calcio e troppo poco del resto. Gli imprenditori ci sono, ma investono da altre parti”.Sport a parte cosa non funziona in città?“Il centro di Brescia è bellissimo ma an-drebbe valorizzato. Penso soprattutto a via San Faustino, che dovrebbe essere il cuore della città, invece non è proprio accogliente e ben tenuta”.Gli impianti natatori, aggiungiamo noi, sono pochi e obsoleti.“Nelle altre nazioni europee è tutta un’altra storia. L’impianto di via Rodi è bello, ma vecchio. Le televisioni non

hanno spazi adeguati per le riprese. Assurdo. Speriamo che i lavori a Mom-piano vadano a buon fine. L’anno scorso abbiamo giocato la finale scudetto e non c’era posto per gli spettatori. È un di-scorso che riguarda chi fa agonismo ma anche la cittadinanza”. Cosa si pensa quando si ottiene un ar-gento olimpico?“Pensi a dov’eri dieci anni prima e ti viene la pelle d’oca, ma anche se ti senti sulla vetta del mondo non molli niente. Io penso già a Rio 2016 e a trasformare l’argento in oro”.Come si vive invece la notte di vigilia di una finale olimpica?“È un disastro. Non si dorme. È un sus-seguirsi di emozioni in cui pensi alla partita, al percorso fatto, all’avversario, alla possibilità di vincere. La cosa bella è che non la vivi da solo, ma con i tuoi compagni di squadra”.Cosa l’ha colpita di più del villaggio olimpico?

“È un piccolo mondo. Mi hanno colpito le sfide alla Playstation tra atleti di nazio-nalità diverse. Vedi paesi in guerra tra loro che si mettono a giocare e a ridere insieme”.È vero che gira una montagna di pre-servativi?“Leggende, anche se c’è da dire che quelli che puntano a vincere sono pochi. Per gli altri è una vacanza, ed è chiaro che le occasioni per fare conoscenze sono tantissime. Io tutti questi preser-vativi non li ho visti. Noi pensavamo ad allenarci”.Il podio della sua vita. Oro.

“Il percorso fatto con mia moglie, un tra-gitto ancora incompleto e stimolante”.Argento.“Il mio cammino sportivo. Da giovane non sono mai stato in Nazionale. L’ho sempre sognata. Ho reagito con deter-minazione per arrivarci e vincere”.Bronzo.“Gli insegnamenti dei miei genitori, le amicizie e la mia società, che mi fa sen-tire importante. Per i colori bresciani darei il 150 per cento”.Quanti sono i pallanuotisti che vivo-no di pallanuoto?“Non è facile. Bisogna arrivare ad alti livel-

li. In Nazionale siamo stipendiati dalla Fe-derazione, poi c’è il compenso del club. Se sai vivere da persona normale senza troppi fronzoli, comunque, puoi farcela”. Quindi c’è meritocrazia economica?“Sì, per chi gioca a pallanuoto la Nazio-nale è anche uno stimolo economico. È diverso dal calcio”. A proposito di calcio, che ne pensa della diffida del Rigamonti per cori razzisti?“Dispiace. Conosco i ragazzi bresciani e la città. Penso sia un gruppo di idealisti che sono rimasti indietro nel tempo. Il problema è che questi gesti vanno a di-scapito di tutta Brescia. Un’assurdità in una città zeppa di stranieri che dovrebbe insegnare agli altri l’integrazione”. Si interessa di politica?“Ho i miei ideali, ma è un mondo che non mi ispira fiducia, anche se alcuni politici dicono cose giuste. Sono trop-po legati ai soldi, ma credo che al loro posto in pochi rinuncerebbero a certi privilegi”. Presciutti premier. Qual è la prima cosa che farebbe?“Forse preferirei una carica locale, tipo assessore allo sport. Creerei delle acca-demie per le discipline sportive e prove-rei a diffondere un modello scolastico di tipo americano, che valorizzi lo sport e le passioni dei giovani. Poi bisognereb-be lavorare sulle tasse: sono troppe e troppo alte”.Il suo messaggio per i bambini che so-gnano di diventare come lei.“Devono credere nel loro sogno. Per arrivare ad alti livelli bisogna fare tanti sacrifici e non mollare mai. Se poi non si arriva ai vertici si è comunque diventati persone vere e di talento, magari in altri campi.”.

A Brescia si parla troppo di calcio e troppo poco del resto

Per i colori bresciani darei il 150 per cento

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25RUBRICA

di eMaNUeLa gastaLdiLAVORO

La globalizzazione richiama le nostre università

D istricarsi tra i vari ranking delle Università non è cosa semplice. Si tratta di valutazioni molto com-

plesse, spesso fatte focalizzandosi su al-cuni aspetti molto particolari o su medie di vari fattori che nascondono aspetti spe-cifici. Al punto che si genera confusione: secondo alcune classifiche un’università è buona, secondo altre è pessima. Come orientarsi?È stata appena pubblicata l’Academic Ranking of World Universities (Arwu), una tra le più accreditate classifiche a li-vello internazionale, elaborata dalla Jiao Tong University di Shanghai: tra le pri-me dieci università al mondo, ben otto sono americane e del vecchio continente sopravvivono soltanto Cambridge e Ox-ford. Le italiane? Venti atenei presenti nel ranking, nessuna nelle prime 100, solo la Normale di Pisa e La Sapienza di Roma nelle posizioni dalla 101 alla 150, il Politecnico di Milano e Bologna tra la 201 e la 300, le altre slittano verso il fon-do. Paiono fuori dai giochi persino atenei di consolidata reputazione e qualità, qua-li Parma, Perugia, la Cattolica di Milano (tutte tra la 401 e la 500), Siena e Pavia, queste ultime addirittura assenti. È pur vero che le venti presenti occupano tutte una posizione tra le prime 500, su 5.000 università inserite, e questo non è affatto un pessimo risultato. Siamo l’ottavo paese al mondo, insieme alla Francia, in Europa ci precedono solo Gran Bretagna e Germania. Anche la Cina ci precede, con 47, ma il Giappone ci segue. E, a onor del vero, va detto che nei parametri di misurazione della per-formance considerati per l’inserimento

nel ranking abbondano caratteristiche legate alle facoltà scientifiche e sono completamente escluse quelle legate agli insegnamenti umanistici e sociali, molto gettonati nel nostro Paese. Tra gli indica-tori utilizzati compaiono invece il nume-ro delle pubblicazioni dei docenti a livello internazionale, il numero di studenti stra-nieri iscritti, la capacità di attrarre fondi, anche stranieri, per il finanziamento di progetti di ricerca: è dunque il livello di globalizzazione raggiunto a comprende-re tutti i criteri del ranking. Ed è qui che sorge spontanea una considerazione: se le nostre università non sono le miglio-ri al mondo, perché sfornano così tanti “cervelli”? Esattamente loro, quelli che una volta laureati “fuggono”… Non fug-gono durante il periodo di studio, lo fan-no dopo, forti di una formazione ricevuta proprio sul suolo natìo. Forse dobbiamo superare il concetto di fuga. Forse i nostri cervelli non “fuggono”, semplicemente “vanno”, perché ormai sono inseriti in un quadro globale dal quale non vogliono restare esclusi. Forse lo sforzo non deve più essere volto a trattenerli, ma a pen-sare a cosa offrire agli studenti stranieri che ci scelgono. Sono infatti 4 i milioni di studenti che, ogni anno, in Europa, “mi-grano”. Il primo campo di applicazione è assicurare un contesto universitario in cui i nostri docenti possano progettare e condurre programmi specifici, progetti validi, che attirino risorse e permettano, a loro e agli atenei che rappresentano, una crescita continua, che li guidino at-traverso vitali collaborazioni e contami-nazioni con altri atenei, altri metodi di insegnamento, altre categorie mentali, altri percorsi.

Una seconda considerazione. Sarà sempre difficile orientare i nostri studenti finché i sistemi di valutazione non saranno ottima-li. La cronaca di questi giorni ci riporta la casualità con la quale le risposte ai test di ammissione a molte facoltà decideranno chi è dentro e chi è fuori. In altri Paesi l’i-doneità non viene stabilita a monte in base al caso, ma viene valutata attraverso rigo-rosi sistemi in maniera congrua durante il primo anno di frequenza. Il nostro sistema è troppo macchinoso, non esprime fiducia e investimento sul potenziale dei ragazzi, ma assume toni da lotteria. Inoltre, pone l’obbligo di iscrizione ai test, ma consente molti modi per aggirare il fallimento. Uno di essi prevede addirittura la possibilità (a Medicina, per esempio) di iscriversi, frequentare, sostenere gli esami pagan-do una tassa una tantum per ciascuno di essi, congelare l’esito positivo dell’esame e ritentare per tre volte l’ingresso ufficiale alla Facoltà attraverso i test: quando fi-nalmente si passa, gli esami già sostenuti vengono convalidati. Se al terzo anno il fallimento permane, ci si iscrive a Medici-na in Albania, dove si tengono corsi in ita-liano, si consegue la laurea e poi si chiede il passaggio, assolutamente legale. È un sistema che non premia chi merita, che confonde, che educa all’utilizzo dell’espe-diente, che rovescia sulle spalle dei singoli la responsabilità di farcela, solo con le pro-prie forze, fuori e a volte persino contro il sistema. Un sistema non in grado di guida-re e allenare i nostri ragazzi ad orientarsi verso l’obiettivo nei tempi e modi corretti, evitando trascinamenti, e a misurarsi con indicatori oggettivi. I nostri studenti, sep-pur bravi, rischiano di presentarsi “vec-chi” al mondo del lavoro.

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2726 TESTIMONIANzE

di aNdrea torteLLi

PAOLA VILARDI “SONO TORNATA A VIVERE”

Lo scorso 29 maggio l’assessore all’urbanistica di Brescia è

stata colpita da un aneurisma carotideo. una drammatica

esperienza tra la vita e la morte, raccontata dalla protagonista.

A ttorno a te ci sono uomi-ni in camice bianco che ti fanno domande. Che figuraccia! esclami. Fla-

shback. Sei su un palco, di fronte a de-cine di persone. Prendi la parola. Poi d’improvviso senti un gran mal di testa. E la tua bocca non riesce più ad articola-re i pensieri. Ti svegli dopo un numero imprecisato di minuti in ospedale. Sei viva. Ma hai vacillato sul confine tra la vita e la morte. Tra un’esistenza piena di successi e la disabilità. Come la pallina da tennis del monologo iniziale di Match Point di Woody Allen. Questa storia ca-pita ogni giorno a tanti, anche nel Bre-sciano. E non sempre poi i protagonisti hanno la fortuna di poterla raccontare. Il dono, invece, l’assessore all’Urbanistica di Brescia Paola Vilardi l’ha avuto. “Stranamente avevo del tempo libero e, in pausa pranzo, sono passata dal par-rucchiere”. Il 29 maggio di Paola Vilar-di inizia meglio di tanti altri giorni. Ma una scossa di terremoto, poco dopo, la porta a mandare al marito (e deputato

Pdl) Stefano Saglia un sms quasi profeti-co: “La nostra vita è in mano a Dio: esci di casa e non sai mai se tornerai”. Torna a casa, indossa il vestito preferito e va a Santa Giulia per intervenire a un conve-gno. Si siede e prende appunti. L’ultima parola sul foglio, conservato come una reliquia, è “Visuale”. Poi tocca a lei. Le 18 sono passate da poco. Paola Vi-lardi ringrazia, biascica qualche parola e perde conoscenza cadendo all’indie-tro. Scatta il panico. Più d’uno chiama il 118. Il microfo-no rimane acceso e dalla platea si sentono distinta-mente le angosce dei primi soccor-ritori.“Di quel momen-to – dice – ricor-do il mal di testa e la sensazione di stare nell’ovatta senza riuscire a parlare. Ricordo anche l’immagine di un cerchio colorato sul computer di uno dei relatori. Poi il buio”. E non c’erano (quasi) stati segni, prima. “Non facevo sport, fumavo molto e conducevo una vita frenetica – spiega –, ma, a parte un piccolo mal di testa nei giorni preceden-ti, sono sempre stata bene. Solo durante l’iter di approvazione del Pgt, a settem-bre, avevo avuto dei problemi alla vista. Ma avevo dato la colpa alla stanchezza o alla pressione”.Al Civile arriva in codice rosso. E la diagnosi è di quelle che fanno tremare i polsi: aneurisma carotideo. “Quando ho capito dov’ero, ho esclamato: che figuraccia! Vomitavo e avevo mal di te-sta. Ma ero lucida e serena: ho subito pensato a mia madre, mio fratello e a mio marito”. Poi Paola Vilardi guarda gli occhi bagnati di chi le sta intorno e capisce che la situazione è seria. “La sera ho dettato a un’amica le disposi-zioni testamentarie”, dice. La notte passa tranquilla, poi i medici decidono di operarla. E prima le spiegano tutto. Tutto. Anche che rischia di morire o restare handicappata. Lei chiede l’a-

nestesia totale e firma la liberatoria. È ancora serena. Prima di entrare in sala operatoria fa una battuta ai medici. Poi, al risveglio, vede le amiche e le sollecita a organizzare al più presto una partita di burraco. Ma lì inizia la fase più dura. “Mi hanno trasferita in terapia intensi-va: 48 ore completamente immobile, poi a letto, intubata, per quasi due setti-mane. Io, abituata a gestire la vita degli altri, mi sono trovata completamente nelle mani degli infermieri, che ringra-

zio per le amo-revoli cure, e di mio marito, che è stato straordi-nario”, racconta commuovendosi sull’ultimo ac-cenno.Poi Paola Vilardi cambia reparto e torna gradual-mente alla quoti-dianità: “la sen-

sazione fantastica del primo shampoo, il primo biscotto, i primi passi”. Legge i giornali. “Il primo articolo su quanto mi era accaduto l’ho letto su bsnews.it, scoprendo il commento di un amico di Roma che avevo conosciuto al mare a 15 anni. Poi ho cercato sui quotidiani locali gli articoli dei giorni preceden-ti”. Quindi arrivano le prime lacrime, liberatorie. “Dopo qualche giorno – racconta –, sono andata a messa nella cappella dell’ospedale: mi sono seduta e sono scoppiata in un pianto a dirotto. In quell’istante è arrivato Stefano, se non sono segni questi...”.Fuori dall’ospedale la prima azione “normale” di Paola Vilardi è andare dall’estetista. In pubblico ricompare, fugacemente, il 31 luglio. “Ma non ero pronta”, sottolinea. A lavorare ripren-de il 3 settembre. Dall’aneurisma sono passati tre mesi: un tempo record, visto che generalmente il recupero ne richie-de almeno sei. “La molla – spiega – è stata in parte quel senso del dovere che mi ha sempre impedito di concedermi tempo per me, ma anche il bisogno di tornare alla normalità e cercare di di-

menticare la paura”. Ma molto è cam-biato. “Ho smesso di fumare, mangio regolarmente, alle riunioni cerco di non fare troppo tardi e spesso vado a camminare accompagnata da un perso-nal trainer perché non mi sento ancora sicura”.Anche la percezione della realtà è ben diversa dal prima. “Mi stupisco se vedo un fiore in Maddalena – raccon-ta – e quando mio marito mi ha portata all’isola d’Elba per qualche giorno ho pensato: che bello, sono viva e posso rivedere un tramonto così”. Poi ci sono i sentimenti, la rivoluzione più grande. “Il sentimento nei confronti di Stefano – spiega – è diventato più forte. E si è centuplicata l’importanza dei rapporti umani nella mia vita. In quei giorni la rete delle amiche e degli amici più cari, oltre che dei familiari, è stata essen-ziale. Dalla morte di mio padre porto dentro la paura di non riuscire a dire tutto alle persone più care. Oggi questa paura è più forte. Ma sia chiaro: se devo arrabbiarmi lo faccio ancora”. E l’im-pegno politico, al momento, non è in discussione. “Già prima – spiega Paola Vilardi – avevo abbozzato un bilancio

della mia vita. Ora ci penso di più. La politica è un modo per dedicarmi agli altri, continuerò a farla finché sarò uti-le. Ma se mi proponessero di sostenere un progetto finalizzato alla prevenzio-ne e alla riabilitazione di chi ha vissuto un’esperienza come la mia, cambierei vita e direi subito di sì”.La pallina della vita ha toccato il nastro. È rimasta sospesa nell’aria per un nume-ro indefinibile di istanti. Poi è caduta. Dalla parte giusta del campo.

Ricordo l’immagine di un cerchio colorato sul computer di uno dei relatori.Poi il buio.

La tua bocca non riesce più ad articolare i pensieri.

Ho smesso di fumare, mangio regolarmente e spesso vado a camminare.

Ogni giorno drammi di salute colpiscono la vita di tante persone, che di colpo vedono sconvolta l’esistenza propria, della famiglia e di tutti quelli che sono loro vicini. Succede agli anziani, ad adulti sani - con o senza alcun preavviso - e spesso purtroppo anche a bambini. A Brescia, grazie a medici capaci, personale paramedico professionale, inservienti amorevoli e umani, aiutati da ap-parecchiature e tecniche d’avanguardia, questi casi hanno, sempre più di frequente, decorsi favorevoli. Nella nostra comunità dobbiamo considerarci dei privilegiati rispetto alla maggior parte degli abitanti del mondo e purtroppo anche del resto d’Italia. In queste righe cerchiamo di raccontare la recente esperienza di una nota concittadina, come messaggio di solidarietà e vicinanza verso tutti quelli hanno vissuto e stanno vivendo fatti tanto traumatici.

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29ECONOMIA

JuRAssIK PARKC’ERA uNA VOLTA L’INduSTRIA…siamo ancora un Paese manifatturiero? se il fordismo, l’ideologia dell’età industriale, è morto, non significa che debba morire l’industria. Ma i casi Fiat e Ilva di Taranto sono emblematici. Accanto a un sindacato ancora fordista, c’è uno stato da sempre nemico del mercato. Ciò perché in Italia stato e mercato sono figli di due culture diverse. Mentre il mercato è stato forgiato dalla cultura del Nord, lo stato è stato plasmato dalla cultura del sud.

di aLessaNdro cheULa

A d ogni giro di boa della nostra storia economica saltano fuori le pulsioni anti-industriali e agro-

silvo-pastorali della componente me-diterranea del Paese. Parafrasando il Mussolini dell’Eur (“Un popolo di santi,

di eroi, di poeti e di navigatori”) con la progressiva chiusura delle fabbriche, e la conseguente estinzione della manifat-tura, non ci resterà che aprire fast food, diventando un popolo di santi, eroi, po-eti e... ristoratori.

UN PoPoLo di ristoratori?Il che non sarebbe un male, solo se ci fosse una politica turistica all’altezza del nostro patrimonio artistico e paesaggi-stico. Perdiamo invece l’industria senza sostituirla con un turismo competitivo, che darebbe occupazione e sviluppo proprio a quella parte della Penisola che più ne ha bisogno, il Sud. L’industria è una gran bella cosa, ma non tutti i con-testi territoriali sono vocati ad ospitarla.

Non si tratta di rifiutare la manifattu-ra, ci mancherebbe. Ma l’industria, se vuole essere competitiva, va fatta nelle zone idonee dove esistono culture e strutture industriali atte ad accoglierla. Se realizzata invece in aree non adatte, lungi da fungere quale fattore di crescita può alla lunga diventare una forzatura ritorcendosi contro se stessa e ponen-dosi quale causa di ulteriori crisi o di sviluppo distorto. È vero che col senno di poi è comodo ragionare. Ma se a Ta-ranto mezzo secolo fa – invece di inse-guire tardivi sogni di sviluppo fordista e industrialista con i grandi kombinat siderurgici poiché la Programmazio-ne di Pasquale Saraceno individuava nell’industria “pesante” lo strumento s

Consumi ciclo combinato (Km/l): 16,1 (A 250 automatico, cerchi 18”) e 26,3 (A 180 CDI manuale, cerchi 16”). Emissioni CO2 (g/Km): 145 (A 250 automatico, cerchi 18”) e 98 (A 180 CDI manuale, cerchi 16”). La vettura raffi gurata è una PREMIUM.

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ECONOMIA30 31

principe di crescita ed emancipazione del Meridione – avessimo investito con saggezza e lungimiranza nel turismo e nel vasto indotto di terziario e servizi da esso trainato, sia pure senza tralasciare l’incentivazione di una piccola e media industria “leggera” più compatibile con il contesto locale, forse avremmo evitato quelle “cattedrali nel deserto” che pur-troppo non hanno risolto il problema della crescita diffusa e molecolare del Mezzogiorno. E forse oggi potremmo evitare di gettare via il bambino con l’acqua sporca, poiché la drammatica alternativa che si pone all’Ilva di Taranto è la più iniqua che si possa immaginare: o la salute o il lavoro. E poiché in tempi di crisi come quelli che stiamo attraver-sando il lavoro viene prima della salute, in quanto da condanna per molti come era una volta sta diventando sempre più un privilegio per pochi, la scelta è obbligata, come ha detto quella signora tarantina esponendo al balcone di casa la propria opinione: “Meglio morire di tumore che di fame”.

aLterNatiVa draMMaticaCerto se lo Stato trentacinque anni fa, prima di trasferire l’Ilva a Emilio Riva (come Piombino venne conferito gra-

tis, anzi con un bonus di 80 miliardi di lire, a Luigi Lucchini) avesse fatto il proprio dovere provvedendo alla bonifi-ca del sito, e se gli stessi Riva nei quin-dici anni della loro gestione avessero investito nella tutela ambientale come hanno fatto a Brescia aziende quali l’Alfa Acciai (Stabiumi-Lonati) o Fe-ralpi (Pasini), oggi la proprietà dell’Ilva non dovrebbe sborsare qualcosa come 500 milioni di euro per il risanamento dell’area a caldo. Fermo restando che sarebbe stato meglio, in Puglia come a Napoli e Bagnoli, investire nel turismo e nell’agroalimentare invece che nella sider-metallurgia, la scelta industrialista si poteva a che fare. Ma a patto di pre-vedere e approntare congrui program-mi per la tutela dell’ambiente, cosa che lo Stato prima e i privati poi avevano il dovere di fare. In ogni caso non possia-mo rinunciare a Taranto e all’industria siderurgica nazionale delocalizzando l’acciaio nel Terzo Mondo. Non possia-mo assecondare irresponsabili discorsi sulla deindustrializzazione del Paese in nome dell’ambiente e dell’ecologia, cose sacrosante ma che devono andare di pari passo con una crescita sosteni-bile e compatibile. Poiché rinunciare alla siderurgia vuol dire, puramente e

semplicemente, rinunciare alla sovrani-tà nazionale. Senza acciaio, infatti, non possiamo alimentare il militare, la can-tieristica, l’automobile, l’elettrodome-stico, ossia proprio quei settori maturi (ma competitivi) che hanno reso l’Italia un Paese moderno e libero dopo secoli di servaggio e sottosviluppo. Certo che la siderurgia inquina, non è un’industria “smart”, come certa pubblicistica me-lensa di Federacciai ammicca nelle sue campagne pubblicitarie con forzature subliminali. A parte il fatto che nessuno crede alla siderurgia “smart”, va detto invece con chiarezza che l’acciaio è una necessità per restare un paese sovrano, e quindi dobbiamo pagarne il prezzo. An-che se è un costo che dobbiamo rendere tutti, pubblico e privati, Stato e mercato, il meno pesante possibile. La fiat aMericaNaLa seconda grande incognita che pesa sul futuro manifatturiero dell’Italia è il destino della Fiat, la più grande indu-stria del Paese con i suoi 56 miliardi di euro di fatturato e un indotto esteso a molte province italiane, Brescia e Ber-gamo in primo luogo con una avanzata ed efficiente industria automotive. Cosa intende fare la Fiat? Perché non ha inve-stito in nuovi modelli come tutti gli altri concorrenti europei? Perché ha investito pressoché solo sul mercato americano? La risposta l’ha data Sergio Marchionne nell’intervista a la Repubblica: perché

la Fiat non crede nell’Europa essendo il suo mercato dell’auto più in crisi rispet-to ad altre aree continentali; perché con i profitti della Chrysler americana si può sostenere anche la Fiat italiana. Fatto sta che la Fiat ha rinunciato ai promessi 20 miliardi di euro di investimenti in Italia. Bene, il conto economico va rispettato, ci mancherebbe. Ma Torino ha munto lo Stato per decenni, non solo con fi-nanziamenti a fondo perduto ma anche, fin che ha potuto, con le agevolazioni e le rottamazioni. È vero che metà degli investimenti del Gruppo nel secondo Dopoguerra sono stati destinati al Sud, e questo conferma la vocazione nazionale della famiglia Agnelli per la quale l’uni-tà nazionale è sempre stato un must, un imperativo categorico ineludibile. Ma è altrettanto vero che la Fiat ancor oggi ha il dovere morale – un dovere cui del resto ha sempre ottemperato nella sua storia – di restituire all’Italia quello che ha ricevuto dallo Stato italiano. Non è un discorso astrattamente moralistico, un appello al volersi bene in nome dell’in-teresse nazionale. È chiaro che la Fiat deve tener conto dei costi-benefici, della dittatura del conto economico e del mer-cato, e che sul fronte opposto il sindaca-to deve cambiare registro (nonostante le dichiarazioni filo-sindacali di Romiti e Della Valle). Ma è altrettanto chiaro che Torino ha rinunciato al mercato eu-ropeo in nome di quello americano. A differenza dei tedeschi e francesi che nel

mercato europeo hanno creduto immet-tendovi numerosi nuovi modelli. Le auto di Marchionne invece, salvo le piccole cilindrate, sono pensate sempre più per il mercato e il gusto americano, perché è la che guarda la Fiat (sia Sudamerica che Nordamerica). Ma una cosa è chiara, analogamente a quanto abbiamo scritto per l’acciaio: senza l’automobile, come senza la siderurgia, perdiamo un’altra importante quota di sovranità nazionale. Ma, dice qualcuno, c’è chi ha rinunciato, come l’Inghilterra, senza perdere la so-vranità. Già, ma l’Inghilterra ha altri asset nazionali che noi non abbiamo – il merca-to globale della finanza, i servizi avanzati, il mercato mondiale delle materie prime – noi invece, come driver dell’economia, abbiamo soprattutto i settori maturi (si-derurgia e auto, oltre all’edilizia). Guai se questi comparti non dovessero essere più competitivi, o peggio ancora se venissero abbandonati o delocalizzati più di quan-to non lo siano ora. E guai se l’Italia ne fosse priva. Da un popolo di lavoratori e trasformatori diventeremmo un Paese di ristoratori. Il che, ripetiamo, sarebbe an-che un’alternativa. Solo che non abbiamo una politica in grado di renderla tale.

ProdUttiVitÀ e LaVoroE veniamo al terzo punto del nostro “di-scorso”. Forse il più grave e il più forie-ro di problemi presenti e futuri. Nelle classifiche della produttività dei Paesi industrializzati, siamo passati dai primi

posti al mondo di quaranta anni fa agli ultimi posti, a livello di Paesi africani e asiatici (non Cina, ovviamente). Abbia-mo perso dieci anni, a differenza della Germania che li ha guadagnati. Come è possibile? I dieci anni di crollo della competitività corrispondono ai dieci anni di avvento dell’euro. È colpa della moneta unica? Certamente no. È colpa della oggettiva debolezza del sistema Paese nel suo insieme, che penalizza l’avanguardia della media impresa com-petitiva (la multinazionali tascabili). Il fatto è che fino a dieci anni fa fondavamo la nostra competitività sistemica sulla “svalutazione competitiva”. Una furbata all’italiana ricorrendo alla quale, se da una parte davamo temporaneo ossigeno alle nostre esportazioni, dall’altra siamo diventati sempre più poveri al confronto delle altre valute (le svalutazioni infatti impoveriscono). La forza della nostra liretta era proprio la sua debolezza, essendo l’unità di misura monetaria più piccola di tutto il pianeta (le nostre lire di ieri corrispondono ai centesimi di oggi). La svalutazione di ieri, ossia l’impoverimento della nostra moneta rispetto al paniere europeo, è stata poi pagata in sede di fissazione dei rapporti di cambio con l’euro. Il fatto che la nuo-va moneta unica sia costata 1.986 lire invece delle 1.500 sperate, non è colpa di Prodi ma delle precedenti svalutazio-ni (se oggi dovessimo uscire dall’euro il suo valore non sarebbe più 1.986 lire ma non meno di 3.000 lire, una svalu-tazione secca dal 50%: è vero che l’euro ci è costato e ci costerà ancora, ma una sua eventuale rinuncia, a questo punto, ci costerebbe molto di più). Ora non è più così. Oggi la competitivi-tà non si gioca più sulle furbesche sva-lutazioni competitive ma sui prodotti, sull’efficienza industriale, sulle tecnolo-gie, sulle ingegnerie di processo (dove Brescia, come la omologa Bergamo, è leader grazie al suo mix tra maturità dei prodotti e modernità dei processi) e sulle innovazioni. C’è una pattuglia di aziende competitive (circa 4.000 unità) che reggono il mercato mondiale, ma le piccole aziende delle retrovie non ce s

Lo stabilimento della Fiat di Mirafiori

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33ECONOMIA

la fanno. C’è insomma una mancata o ridotta competitività del sistema Paese nel suo complesso che pesa come una zavorra su tutta l’economia. Il costo del lavoro, per fare un esempio, è tra i più

alti d’Europa quanto a costo lordo per l’impresa, tra i più bassi d’Europa come salario netto in busta, poiché abbiamo il cuneo fiscale più assurdo di tutta la Ue dovendo sopportare i costi di uno Stato sociale inefficiente e sprecone e il peso di una tassazione che grava per i tre quarti sull’impresa produttiva e sul lavoro dipendente, ossia una situazione da paese preindustriale o meglio agro-silvo-pastorale. A ciò si aggiungano le diseconomie del sistema esterne all’a-zienda come il costo del credito (le ban-che richiederebbero un capitolo a parte, ma il governo, come del resto tutti i go-verni, ha deciso di salvarle in ragione del loro pubblico interesse), della burocra-zia inefficiente quando non parassitaria, delle infrastrutture antieconomiche. Oltre, infine, a un costo della politica, da non confondersi con il costo della democrazia, sempre più scandaloso e vergognoso se paragonato all’impove-rimento che colpisce la popolazione. Come si può vedere, si tratta di una si-tuazione assimilabile a una Repubblica delle banane (senza le banane, che al-

meno risolvono in parte, come le patate, il problema della fame). Per non parlare del costo improprio, illegale e crimina-le, della corruzione, dell’illegalità e della criminalità più o meno organizzata.

se tUtti fLessibiLiNessUNo È PrecarioNel computo della produttività di un sistema economico entrano numerosi parametri, ma il primo è il lavoro e il secondo è il mercato del lavoro. Non solo nel senso del suo costo ma più an-cora in quello della sua organizzazione. E l’organizzazione del lavoro non è più quella rigida dell’età fordista, poiché le nuove tecnologie hanno profondamente mutato il modo di produrre e di lavora-re. Ma se il fordismo è finito, il sindacato italiano è ideologicamente ancora legato alla grande fabbrica fordista, alla classe operaia omogenea e alle ideologie to-talizzanti e onnicomprensive. Certo che per il sindacato perdere il controllo sulla organizzazione del lavoro significa perdere il potere, ma se si vuole salvare la competitività del sistema, aumentan-done la produttività, il sindacato deve cambiare radicalmente. Senza rinuncia-re alla propria fondamentale funzione di tutela e difesa del lavoro, ma accettando-ne le nuove compatibilità, vale a dire le nuove flessibilità. L’alternativa sarebbe

la fuoriuscita dal novero dei Paesi a eco-nomia di mercato, o meglio a economia sociale di mercato. In una parola, la fuo-riuscita dalla modernità. Il mercato del lavoro in Italia è dunque legato al problema della produttività. Anzi, ne è l’aspetto principale. Senza una riforma che coinvolga tutti i venti milioni di occupati, la struttura del mer-cato del lavoro sarà sempre divisa tra una maggioranza col posto fisso e una minoranza – destinata però nel volgere di un decennio a diventare maggioran-za – col posto precario. Per non parlare dei giovani esclusi a vita dal mondo del lavoro che, non potendo contribuire agli accantonamenti per la pensione, tra venti-trent’anni, senza il sussidio della famiglia, diventeranno altrettanti barboni (ma non i clochard folcloristici di oggi che si vedono nelle città e che si contano sulle dita di poche mani, bensì milioni di persone senza casa né pensio-ne né sussidi, poiché non vi saranno le risorse nemmeno per garantire il mini-mo vitale).Che fare, allora? Tutto il sistema econo-mico deve diventare flessibile. Se tutti siamo flessibili, nessuno è precario. Tutti gli attuali posti fissi devono diven-tare flessibili, sia pure con diverse gra-dualità e intensità a secondo del grado di necessità e specializzazione. Per dare una possibilità sia pure temporanea di lavoro non a tutti ma almeno a una parte significativa dei milioni di giovani che ne sono privi e che rischiano di restarlo a vita, occorre un redistribuzione siste-mica, di massa, del lavoro nel suo com-plesso. Occorre stabilire una flessibilità assoluta in entrata e in uscita, un’osmosi totale tra lavoro e non lavoro. Insomma, dobbiamo lasciarci alle spalle l’età fordi-sta e il sindacato degli occupati-assistiti-garantiti-protetti. Dobbiamo creare un mercato in cui è facile perdere il lavoro ma è ancora più facile trovarlo. Se la crisi continuerà, o se non si tornerà più alla crescita di un tempo dato il livello di saturazione dei mercati, dovremo a sud-dividere in modo più equo il lavoro e le risorse esistenti. In una parola, dovremo imparare a suddividere la miseria.

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La catena industriale dell’alluminio, fortemente sviluppata in Lombardia e in particolare nel comprensorio bresciano, è complessa e articolata. Il caso di Portovesme in sardegna, serio e doloroso per gli aspetti umani, è solo una piccola parte della storia.

LA quEsTIONE ALCOA E I VERI PROBLEMI dEL SETTORE

L e vicende della fabbrica di alluminio primario Alcoa di Portovesme e la disperazio-ne di un’intera Regione sui

rischi di chiusura trasmettono una forte preoccupazione per le ricadute di que-sta ennesima dismissione industriale, in un territorio già colpito da un alto tasso di disoccupazione, e insieme profonda solidarietà per tanta gente che si trova senza prospettive. Dal punto di vista sociale i problemi di un’eventuale chiusura della fabbrica sono senz’altro molto seri, il territorio non dispone di altre risorse, si tratta di una delle aree più povere d’Italia e sen-za questa fabbrica centinaia di famiglie sarebbero sul lastrico. Però non è pos-sibile nascondere la testa sotto la sabbia e negare l’evidenza dei fatti e cioè che il nostro paese non può permettersi il lus-so di cimentarsi in sfide impossibili da vincere: Il problema è quello dei costi, in Europa il prezzo dell’energia è più alto che in qualsiasi altra regione pro-duttrice nel mondo.

di Mario coNserVa

Interno di una fonderia di alluminio

s

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12MESIottobre 201212MESI

ottobre 2012

La produzione di alluminio prima-rio richiede energia, molti paesi come l’Italia non dispongono di risorse ener-getiche competitive, prendiamo quindi in considerazione l’idea di lasciare che queste produzioni vengano fatte laddo-ve le condizioni ci sono. Più di una tren-tina di anni fa, ai tempi della seconda crisi energetica mondiale, il Giappone, che allora era il secondo paese al mon-do dopo gli Stati Uniti per produzione e utilizzo di alluminio primario, non ci pensò su molto a cancellare da un gior-no all’altro tutti gli impianti di primario di cui disponeva il territorio e sviluppare contemporaneamente alleanze e accordi con produttori di primario allora low cost in Sud America, Australia e Medio Oriente per l’approvvigionamento del metallo per la propria industria della trasformazione e dell’impiego delle le-ghe leggere. Il Giappone è rimasto nel corso degli anni né più e né meno uno tra i paesi mondiali a maggior consumo pro capite di alluminio, i giapponesi sono stati e sono pionieri nello sviluppo di nuovi impieghi nell’auto, nell’edili-zia, nell’imballaggio, e tutto questo sen-za un kg di alluminio primario prodotto in loco. Questo per dire che chiudere in Italia una fabbrica di alluminio primario, tra l’altro una fabbrica degli anni ’60 da poco più di 130-140mila tonnellate di produzione quando i moderni impianti per essere economicamente sostenibili vengono progettati e realizzati per pro-duzioni da 5 a 10 volte superiori, non

ha la minima rilevanza strategica, anche perché quel quantitativo rappresenta meno del 15% della domanda italiana di alluminio primario.

Non c’è dubbio quindi che dal pun-to di vista industriale la soluzione del problema Portovesme non è semplice da affrontare, il nodo di oggi viene da molto lontano, da scelte un po’ avven-turose fatte negli anni ’60, anche se erano tempi molto diversi da quelli di oggi in particolare per quanto riguarda i costi dell’energia. Resta il fatto che per assicurare alla fabbrica di Portovesme delle condizioni di oggettiva compe-titività produttiva sono indispensabili fortissimi aiuti pubblici a fondo perduto (come nel passato, 300 milioni di euro l’anno di aiuti illegittimi, secondo le va-lutazioni della Commissione Europea, cifra della quale è richiesta appunto la restituzione), che possono non essere sufficienti, se Alcoa sceglie comunque la via della chiusura; inoltre sarebbero necessari investimenti importanti, ca-paci quanto meno di compensare i fatto-ri logistico-industriali negativi dell’im-pianto, non fosse altro appunto per l’età della fabbrica. È molto difficile, se non pura illusione, che questo sia possibile e realizzabile. Detto per inciso, l’Ita-lia come abbiamo visto è lontanissima dall’equilibrio tra produzione interna e domanda di alluminio primario da tan-tissimo tempo, ma anche l’Europa nel suo complesso non sta andando molto

meglio, con un rapporto tra fabbisogno di metallo e produzione ormai inferiori a un terzo e con la forte probabilità che le cose peggiorino nel breve. Però sia-mo seri, questa progressiva scomparsa di un tipo di produzione da paesi e con-tinenti per oggettivi motivi di competi-tività economica non è un dramma, fan-no sorridere i richiami alla strategicità della produzione di alluminio primario per un determinato paese o area geo-grafica quando poi tutti sappiamo che se c’è un mercato veramente globale è quello delle materie prime.

In Italia e in Europa l’industria dell’alluminio c’è eccome, anche se il primario sta scomparendo da anni, il problema vero non è quello inevitabile della chiusura degli impianti di primario che procede da anni a ritmo continuo in Germania, Olanda, Romania, Francia, Inghilterra e che ripetiamo non ha alcu-na rilevanza strategica né per l’industria né per i singoli paesi, perché è la stessa grande industria mondiale che sposta i propri baricentri produttivi dove c’è la convenienza e ci sono le condizioni (Alcoa in Arabia Saudita, Hydro in Qa-tar, Rio Tinto Alcan in Oman) e le loro produzioni come nel passato si river-seranno tranquillamente comunque su tutti i mercati globali. Il rischio reale per il sistema dell’alluminio italiano è altro-ve, è che la severa problematica di Alcoa metta in ombra la grave questione della sostenibilità della catena industriale del

metallo con le trasformazioni, le lavora-zioni e finiture intermedie e le applica-zioni finali, di quel mondo complesso fatto di piccole e medie aziende di tra-sformazione e di fabbricazione prodotti e componenti a valle che occupa con le lavorazioni dirette più di 10 volte il personale delle produzioni primarie e che crea un indotto di dimensioni com-plessive come addetti e fattu-rato per lo meno di due ordini di grandezza supe-riore. Senza voler fare dei paragoni antipatici, però dovendo rappresentare la realtà così com’è, il numero dei 500 addetti della fabbrica di Portovesme dovrebbe essere confrontato con gli oltre 10mila addetti di estrusioni, lami-nazioni, fonderie di alluminio in Italia e le decine di migliaia di aziende che producono macchine per le trasforma-zioni, stampi e forni per le fonderie, ma-trici per estrusione, impianti e sistemi di automazione, carpenteria, serramenti, lavorazioni meccaniche, componenti e prodotti per i trasporti, l’edilizia, l’elet-trotecnica, l’arredamento e il mobilio, ecc.. Ci sono da risolvere da noi i pro-blemi di una pianificazione industriale

del settore ad esempio nel caso dell’e-strusione per orientare le produzioni secondo i fabbisogni del manifatturiero, c’è fondamentalmente da risolvere l’an-noso problema del dazio UE sul me-

tallo, un fardello oneroso che i tra-sformatori e gli utilizzatori euro-pei dell’alluminio stanno subendo e sopportando da troppo tempo e che ha prodot-to sinora effetti anticompetit ivi disastrosi con un significativo mag-gior costo del me-tallo rispetto agli altri competitori

globali delle altre zone mondiali, quindi maggiori oneri finanziari e conseguente riduzione di capacità di servizi. È tempo che gli operatori si sveglino, i segnali del mercato sono molto chiari in proposito, con cali di vendite di pro-dotti e componenti in lega leggera da parte di aziende europee dell’area ad esempio dell’automotive, in contrasto ad un aumento della presenza di forni-tori extra UE. I nostri politici in Italia e in Europa a Bruxelles dovrebbero capi-re una volta per tutte che il vero settore critico dell’intero comparto industriale dell’alluminio in Europa è quello a valle

delle produzioni di grezzo, e su questo dovrebbero concentrare le attenzioni e predisporre misure di salvaguardia; conseguentemente dovrebbero tenere ben chiaro in mente il concetto che il da-zio UE del 6%, che tuttora grava sulle le-ghe di alluminio, comporta praticamen-te per tutti i prodotti a base di alluminio realizzati in Europa un aggravio anche superiore del 6% rispetto a tutti gli altri paesi competitori. Il mantenimento in Europa del dazio sull’alluminio prima-rio, quando oltre il 70% della domanda interna di questa materia prima deve essere importato e il prezzo di mercato pagato dagli utilizzatori europei ai pro-duttori extra UE è quanto meno del 6% superiore alla media del mercato globa-le, è con tutta evidenza un clamoroso fattore di non competitività per l’indu-stria a valle trasformatrice e manifat-turiera, e uno strumento insostenibile per favorire gli smelters UE che, come abbiamo visto nel caso Alcoa, non vedo-no l’ora di andare a produrre altrove. I politici debbono anche sapere che le compagnie multinazionali produttrici di primario in Europa, e che da anni stan-no investendo in impianti di primario a basso costo nelle aree a costi energetici competitivi, sono le stesse che control-lano le associazioni europee di settore che da anni strepitano per convincere la Commissione a mantenere il dazio sull’alluminio mentre tutte operano da paesi che hanno rimosso questo tipo di tariffa da anni.

Chiudere in Italia una fabbrica di alluminio primario non ha la minima rilevanza strategica

Un moderno impianto di alluminio primario Esterno di uno smelter (Hydro) Linea automatica incestamento profilati (Omav) Fonderia – Impianti produzione placche (Alcoa)

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12MESIottobre 2012

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C ontributi a fondo perduto fino a 15.000 euro e una procedura di prenota-zione semplice e collau-

data. Questi i punti di forza del bando “Voucher per ricerca e innovazione e contributi per processi di brevettazione 2012” promosso nell’ambito dell’Ac-cordo di Programma Competitività tra Sistema camerale lombardo e Regione Lombardia.Le Pmi lombarde potranno contare su oltre 6 milioni di euro per gli inter-venti che avvicinino le aziende ai temi dello sviluppo tecnologico e dell’inno-vazione, realizzando un sistema in cui i diversi soggetti – imprese, università, centri di ricerca, istituzioni – partecipi-no attivamente alla realizzazione di pro-cessi innovativi, intesi come strumenti indispensabili per la competitività delle imprese sul mercato. L’iniziativa prevede l’assegnazione di un buono nominativo e non trasferibile fina-

lizzato a sostenere 5 tipi di interventi: dalla consulenza in innovazione tecnologica e brevettazione, allo sviluppo di sistemi per la sicurezza informatica, dall’inserimento in azienda di temporary manager qualifica-ti al supporto per la partecipazione ai ban-di europei del VII Programma Quadro.Grazie ad un programma di incentivi interessante e non impegnativo, che consente di finanziare attività di sup-porto fondamentali per l’avvio di futuri investimenti strategici, il bando si con-figura senza dubbio come uno strumen-to valido per sostenere le aziende in un processo di rinnovamento difficile ma al contempo indispensabile in periodi di crisi.

Ma come funzionano i voucher?Una volta individuata la misura di inte-resse (che andrà a finanziare un’attività ancora da svolgersi) le imprese dovran-no prenotare il contributo attraverso una procedura on-line ed attendere il

termine della fase istruttoria (al massi-mo 30 gg) in cui viene verificata la cor-rettezza amministrativa della domanda.In caso di esito positivo si potrà dare inizio alle attività che dovranno tassa-tivamente terminare entro 180 giorni dal decreto di pubblicazione delle do-mande ammesse (240 giorni solo per il voucher C). Per le imprese che avranno rispettato queste tempistiche sarà pos-sibile accedere alla fase di rendiconta-zione, al termine della quale la Camera di Commercio competente provvederà ad erogare l’importo previsto dal vou-cher (entro al massimo 60 giorni). Per ogni impresa sarà possibile richie-dere un solo voucher per misura fino a un massimo di tre, cui potrà aggiungersi una sola richiesta di contributo nell’am-bito della misura E (processi di brevetta-zione). Particolarmente avvantaggiate le nuove imprese (costituite da non più di 12 mesi) per le quali sono previsti con-tributi più consistenti.La misura è aperta dall’11 settembre e chiuderà ufficialmente il 28 febbraio 2013, ma già nel corso del primo mese di attività in molte province i fondi sono andati esaurendosi. Le imprese del-la Provincia di Brescia godono di uno stanziamento complessivo di 493mila euro, secondo solo a quello di Milano, ma i risultati delle precedenti edizioni testimoniano un esaurimento quasi to-tale dei fondi entro i primi tre mesi di apertura. Meglio affrettarsi!

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12MESIottobre 201212MESI

ottobre 2012

41

uN MARCHIO PER BREsCIALa Provincia lancia un nuovo brand con

l’obiettivo di sostenere le aziende del territorio. E mette sul piatto mezzo milione di euro.

di aNdrea torteLLi

U n marchio della bre-scianità. E risorse – non un fiume di parole o vaghe dichiarazioni

di intenti – per promuoverlo. La Pro-vincia di Brescia ha messo sul piatto mezzo milione di euro con l’obiettivo dichiarato di dar vita alla più ambiziosa azione anti-crisi dell’era Molgora. “Un progetto epocale”, così l’ha definito il

presidente, presentato ufficialmente lo scorso 25 maggio, quando per la prima volta le reflex dei fotografi hanno potuto immortalare il logo registrato dal Brolet-to nel 2010: un volto ruggente di leone dai contorni azzurri, al centro del quale campeggia la scritta – in stampatello – “Made in Provincia di Brescia”.

Ma la straordinarietà dell’iniziativa non è certo nell’estetica, che richiama – pur rivisitandolo con originalità – il

simbolo del Comune di Brescia e di di-verse società sportive. Bensì nell’obiet-tivo di fondo: quello di dar vita a un mar-chio di identificazione territoriale, che aiuti le aziende più piccole a fare rete e permetta ai consumatori bresciani di scegliere i “prodotti” della Leonessa. I requisiti da rispettare per fare mostra del “bollino” sono molto precisi. Almeno il 60 per cento della produzione e delle maestranze deve risiedere nel territo-rio provinciale. Il richiedente, inoltre,

ECONOMIA40

deve essere in regola con il pagamento dei contributi sociali e previdenziali, dimostrando anche di aderire ai princìpi di qualità, sicurezza, tutela ambientale, risparmio energetico e innovazione. Infine le aziende interessate devono versare una quota di adesione triennale legata al volume d’affari nell’anno solare precedente alla presentazione della do-manda (si va da un minimo di 300 euro a un massimo di 5mila).

In cambio, gli aderenti all’iniziativa riceveranno un kit con il merchandi-sing e le regole di utilizzo di un simbolo che non è soltanto “una garanzia della qualità di un prodotto”, ma soprattutto un segno distintivo della sua provenien-za e dei valori espressi dalla rete di im-prese del territorio. Un’opportunità in più, insomma, per coloro che vogliono puntare sulla brescianità delle proprie produzioni o dei propri servizi. “In un momento tanto difficile per l’econo-mia”, ha spiegato l’assessore alle Atti-vità produttive Giorgio Bontempi du-rante la conferenza stampa, “il Broletto scende in campo con un investimento importante per valorizzare il territorio, dando un’opportunità in più alle pic-cole e medie aziende dell’artigianato, del commercio, dell’agricoltura e del turismo di far crescere i propri fatturati

e di partecipare a condizioni agevolate alle iniziative che verranno organizza-te per la promozione del marchio”. Sì, perché l’iniziativa è finalizzata in primo luogo a sostenere quella miriade di real-tà (110mila le aziende attive nella pro-vincia) che non dispongono di un brand riconoscibile, fornendo loro la possibi-lità di utilizzare un logo che richiama le tante eccellenze bresciane nei campi dell’enogastronomia, dell’artigianato, delle armi e del turismo. “Questo – ha sintetizzato Bontempi – non è un mar-chio di prodotto, ma di territorio: un territorio che vanta una forte cultura del lavoro e la cui economia è composta per il 98 per cento da piccole imprese”.

“L’abbiamo promesso in campagna elettorale – ha quindi aggiunto Molgo-ra – e, dopo due anni di lavoro, siamo ri-usciti a realizzarlo. Con questa iniziativa vogliamo tutelare il consumatore e, nel contempo, aiutare le tante imprese che hanno avuto il coraggio di non delocaliz-zare a diventare più forti. Una scelta co-raggiosa e innovativa, la nostra, perché, per sostenere il tessuto economico, non abbiamo scelto di puntare sulle ope-re pubbliche o sui contributi diretti”. “L’intento – ha concluso il presidente del Broletto – è che i bresciani diano la preferenza ai beni e ai servizi che vengo-

no offerti dalle aziende del loro territo-rio invece che a quelli esteri, prestando fiducia a chi opera quotidianamente per dare ricchezza, benessere e qualità alla provincia”.

Una fiducia che, almeno degli inten-ti dei promotori, sarà ben risposta. Anche i consumatori, infatti, avranno vantaggi concreti da questa operazio-ne. Controlli collaborativi e un comita-to di vigilanza garantiranno il rispetto delle regole, contrastando le eventuali contraffazioni e – come ha sottolineato l’assessore all’Agricoltura Gianfrance-sco Tomasoni – “fornendo maggiori certezze per quanto riguarda la sicurez-za alimentare e le qualità organolettiche dei prodotti”. In questo modo, inoltre, si potrà “promuovere l’internazionalizza-zione del comparto agricolo bresciano”, che è uno dei principali d’Italia e gioca un ruolo significativo nel definire il bilancio annuale del sistema Brescia. Ma non solo. L’assessore Silvia Razzi, infatti, ha già preso l’impegno di portare l’iniziativa del Broletto alla prossima edizione della Bit, la Borsa internazionale del turismo di Mi-lano. Perché il vero sogno del Broletto – come ha sottolineato Molgora, chieden-do “grande appoggio” alle associazioni di categoria – è quello di contribuire a “portare Brescia nel mondo”.

La richiesta di utilizzo del marchio può essere presentata da qualsiasi impresa (cinque i settori di riferimento: agricol-tura, industria, artigianato, commer-cio, servizi e turismo) in possesso dei requisiti citati. La procedura può esse-re conclusa online attraverso la sezio-ne dedicata del sito ufficiale del Brolet-to (www.provincia.brescia.it), dove è disponibile tutto il materiale informa-tivo. Per informazioni, dal lunedì al ve-nerdì, dalle 9 alle 12, ci si può rivolgere allo Sportello marchio (Area Sviluppo Economico, Settore Economia e Poli-tiche Negoziali al secondo piano di via Cefalonia 50), direttamente, telefo-nicamente (030.3749.342/308/278) o via mail ([email protected]).

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BACHECA 43

You Chef, una rete multicanale bresciana Cinque aziende lombarde – Risolì, Tenute La Montina, Consorzio Premax, Tradizioni Padane, GirziLine –, di cui quattro bresciane, hanno presentato a Monticelli Brusati You Chef, un progetto mul-

ticanale innovativo, costruito sulle esigenze di una cucina sana e consape-vole, sul benessere individuale e su una moda basata sulla creatività e sullo stile individuale. Le aziende hanno scelto di condividere obiettivi e canali di vendita, attraverso l’utilizzo del nuovo istituto giuridico rappresentato dal Contratto di Rete. Ogni azienda potrà accrescere la propria capacità innova-tiva, la propria gamma di prodotti e le proprie vendite, agendo sui canali di vendita in modo autonomo, ma condividendo ricerca, progettazione e comunicazione con gli altri partner di rete. Tutti potranno vendere tutto, così si realizzerà concretamente la multicanalità a favore del consumatore e del suo bisogno di qualità.Presidente della Rete You Chef è Andrea Montini, direttore generale di Ri-solì. Vice presidente è Giovanni Gianola, direttore generale del Consorzio Premax, composto da ben 40 aziende. You Chef si presenta con quattro linee in tre settori: nel settore cucina con i marchi di linea Prestige e Senza Glutine; nel settore bellezza con il marchio di linea Beautè; nel settore moda con il marchio di linea Art&Craft. Per le prossime ricorrenze natalizie saranno sul mercato 25 kit, composti da prodotti food e non food, selezio-nati all’interno della gamma prodotti dei cinque partner.

Eredi Gnutti Metalli acquisisce Dalmet Una nuova operazione per la bresciana S.A. Eredi Gnutti Metalli. Lo scorso 30 agosto è stata definita l’acquisizione di Dalmet, so-cietà di Novate Milanese (Mi), attiva dal 1948 nel mercato della

lavorazione e commercializzazione di laminati in rame, ottone e bronzo. La scelta di integrare verticalmente la struttura del Gruppo, grazie ad un cen-tro servizi altamente tecnologico e guidato dalle esigenze dei singoli clienti, risponde alla necessità dettata dal mercato di fornire prodotti sempre più personalizzati. L’acquisizione di Dalmet – che ha una capacità produttiva di 3mila tonnellate, rivolte principalmente a clienti nazionali – porterà ad otte-nere da subito sinergie tanto commerciali quanto industriali. L’operazione succede a quella della veneziana llnor, avvenuta nel settembre 2010, grazie alla quale il Gruppo Eredi Gnutti Metalli ha saputo non solo radicarsi nel mercato nazionale, ma soprattutto acquisire quote di mercato europee grazie anche alla controllata tedesca Ilnor Spaltcenter Gmbh di Stoc-carda, assumendo al tempo stesso un assetto completo e internazionale.

05/09

Bresciano: rallenta l’export (+0,9%), crolla l’import (-15,9%) I dati Istat a giugno 2012, elaborati dal Centro Studi di AIB e dif-fusi a livello provinciale, indicano un aumento solo dello 0,9%

rispetto al primo semestre del 2011 e una contrazione delle importazioni del 15,9%. La tendenza ancora positiva delle esportazioni è decisamente inferiore a quella rilevata sia in Lombardia (+4,9%) che in Italia (+4,2%), mentre l’andamento negativo delle importazioni è più marcato rispetto a quello nazionale (- 5,8%) e regionale (-10,2%).Le esportazioni si sono attestate a fine giugno a 6.916 milioni di euro e le importazioni a 3.716 milioni, con un saldo positivo di 3.200 milioni di euro.L’aumento delle esportazioni riguarda solo alcuni settori nei confronti

14/09

Il debutto di Gluten Free Expo 2012 La prima manifestazione interamente dedicata al mondo del senza glutine lancia la sua prima edizione. Si terrà dal 14 al 17 dicembre 2012, presso il polo fieristico Brixia

Expo di Brescia. L’area espositiva del Gluten Free Expo ospiterà le sempre più numerose aziende impegnate nella produzione e nella distribuzione di alimenti senza glutine, che coglieranno l’occasione per presentare importanti novità. La fiera non si limita a un’esposizione di prodotti, ma dedica ampio spazio anche ai contenuti, organizzando aree appositamente allestite che ospiteranno laboratori di cucina senza glutine gratuiti condotti dai migliori chef, Junior Lab dedicati ai più piccoli, degustazioni guidate e una sala con-ferenze da 300 posti che ospiterà diversi incontri sul tema del senza glutine condotti da esperti degli Spedali Civili di Brescia, Federfarma e AIC Italia.Partner della manifestazione saranno il Comune di Brescia, la Provincia di Brescia, il Sistema Sanitario Regione Lombardia, gli Spedali Civili di Bre-scia, l’Associazione Italiana Celiachia Lombardia Onlus, la Circoscrizione Sud ed il Brixia Expo.Il Gluten Free Expo si presenta come un’assoluta novità – a livello europeo infatti non esiste una fiera interamen-te dedicata alla celiachia – e si propo-ne come palcoscenico europeo per tut-te le aziende del settore non solo del “senza glutine”, ma anche operanti nel settore alimentare in generale.

17/09

dei quali la domanda estera ha avuti influssi diversi nei primi sei mesi di quest’anno. I comparti più dinamici sono: prodotti dell’agricoltura, silvicol-tura e pesca; prodotti delle attività di trattamento dei rifiuti; prodotti delle miniere e delle cave; metalli e prodotti in metallo. Per quanto riguarda la destinazione geografica, i mercati che hanno dato il maggior contributo alla tenuta delle esportazioni bresciane risultano l’Africa, gli Stati Uniti, l’India e il Brasile.

18/09

12MESIottobre 2012

netcloudc l o u d s e r v i c e s p r o v i d e r

la nuvola dell ’ IC T.oggi a Brescia.

w w w.cloudnet. it

Da sinistra Giovanni Gianola (Premax), Leonardo Scalvini (Tradizioni Padane), Maria Anna Mammana (GirziLine), Andrea

Montini (Risolì) e Michele Bozza (La Montina)

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12MESIottobre 2012

di ferdiNaNdo MagNiNoTU E IL FISCO

45RUBRICA

Nuove regole sulla crisi per provare a crescere

L a riforma della legge falli-mentare, in vigore dal 11 settembre, contiene novità positive, la cui riuscita è

però minacciata da aspetti negativi e rischiosi. La parte saliente del nuovo art. 33 del DL 83/2012 è rappresen-tata dalla dichiarata opzione di agevo-lare le imprese nell’uscita dalla crisi premiando soluzioni che mettano al centro la continuità aziendale. Ora, non è seriamente sostenibile che tutte le nuove disposizioni siano orientate ad assecondare un’impresa in crisi che voglia proseguire l’attività, ma la base è senza dubbio questa. Una precisa-zione s’impone sin da subito: il fatto che si sia voluto premere l’acceleratore sulla soluzione delle crisi incentivando il ricorso al concordato preventivo è un dato di fatto, non un giudizio di valore. Un primo e affrettato bilancio potrebbe chiudersi con un segno positivo, perché le novità favorevoli sono decisamente prevalenti su quelle negative; quelle negative, però, potrebbero innescare meccanismi perversi tali da inficiare il risultato complessivo. La stessa opzione che premia la continuità aziendale non è scevra da rischi, anche seri, visto che nella maggior parte dei casi questa con-tinuità è assicurata da apporti finanziari che, venendo a fruire (giustamente) del vantaggio della prededuzione, possono erodere ulteriormente le aspettative dei creditori pregressi. Soprattutto in un momento di gravissima crisi macroeco-nomica, le prospettive dichiarate nella proposta possono risultare velleitarie e tali da indurre i creditori, specie quelli meno attrezzati, a sentirsi più garanti-

ti dalla procedura fallimentare. Non a caso, il legislatore ha inciso sul modo di espressione del voto, proprio per rende-re i creditori apatici l’ago della bilancia, col metodo del silenzio-assenso.Giova segnalare il fatto che, purtrop-po, ancora una volta, si è privilegiata la tecnica del rattoppo (magari un buon rattoppo) rispetto alla tecnica dell’in-tervento strutturale. Il continuo ricorso alla decretazione d’urgenza non ha con-sentito una riforma strutturale.In sintesi, i tratti qualificanti dell’inter-vento normativo sono concentrati su tre poli, tra loro intrecciati: il concordato preventivo, gli accordi di ristrutturazio-ne e i finanziamenti.Gli accordi di ristrutturazione non subi-scono variazioni profonde, ma l’accre-sciuto ruolo del professionista attestatore (che deve, ora, espressamente attestare anche la veridicità dei dati aziendali), la previsione di un regime dei finanziamen-ti diverso e più articolato, la decisione di rendere un po’ meno rigido il pagamen-to dei creditori estranei (con una breve moratoria di centoventi giorni) e l’intro-duzione di un regime autorizzatorio sui pagamenti sembrano da un lato irrobusti-re l’istituto, ma al contempo vanno nella direzione di un’ingessatura. Un’ingessa-tura che rischia di porre gli accordi di ri-strutturazione in una posizione di mino-rità rispetto a un concordato preventivo, che si arricchisce notevolmente di nuovi istituti tutti volti, da un lato, a favorire la prosecuzione dell’attività e, dall’altro, a incentivare ulteriormente un approdo tempestivo nei tribunali e un approccio ancora più elastico nella proposta.Esaminandole in filiera, le novità del

concordato sono aperte dalla previsio-ne del confezionamento della domanda “in bianco” e cioè la riconosciuta le-gittimità all’accesso ad alcuni benefici del concordato (si pensi, in particolare, agli effetti inibitori su azioni esecutive e cautelari) prima ancora della fissazione del contenuto del piano e della propo-sta. Un’ipotesi che vorrebbe accostare l’esperienza italiana a quella nordameri-cana, specie perché condita dalla voluta immediata intromissione del giudice, a cui poteri autorizzatori di ampio respiro restituiscono un ruolo gestorio (sebbe-ne solo per assecondare il debitore).Degni di rilievo sono, però, anche alcuni corollari, volti a favorire una prosecuzio-ne dell’impresa: dal regime dei contratti pendenti (rimesso all’autonomia dell’im-prenditore), all’alleggerimento del peso delle ipoteche giudiziali (quelle iscritte nell’imminenza della crisi sono armi di-sinnescate), alle regole sulla sospensione delle rigidità del sistema codicistico sulla permanenza del capitale sociale nelle srl e nelle spa, alla nuova disciplina dei pa-gamenti dei creditori anteriori quando essenziali, per non dimenticare la prote-zione nel campo degli appalti pubblici. Poiché si discute di crisi dell’impresa in un contesto di auspicata crescita, ovvia era un’attenzione verso il finanziamento alle imprese in crisi, certo oggi meglio regolato sul piano sostanziale, ma in un variegato, e invero un poco dispersivo, triangolo di disciplina.Prima ancora di una disamina nel detta-glio che tanti faranno, credo sia opportu-no porre l’accento sulle possibili proble-matiche rivenienti dalla opportunità di presentare la “domanda in bianco”.

volvocars.IT

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47INCHIESTA

I GIOVANI NON PERdONO LA SPERANzA dI… LAVORARENuove figure professionali, ma anche un atteggiamento “del fare” positivo: nonostantela crisi e la scarsa fiducia nei loro confronti, i giovani non si abbattono, si adattano e si aprono a nuovi mercati.

di aLessia MarsigaLia

“C ome voglio che sia il mio futuro?”. Que-sto è il titolo del do-cumentario firmato

dal regista Maurizio Zaccaro, presentato all’ultimo Festival di Venezia. Il proget-to, nato da un’idea di Ermanno Olmi, offre uno spaccato significativo delle attese, delle speranze, delle delusioni e dei timori dei giovani di oggi, declinato in centinaia di testimonianze, realizzate in tre anni in giro per l’Italia. Il quadro che emerge racconta come – nonostante la crisi, la disoccupazione e le prospet-tive allarmanti sul futuro – i giovani abbiano uno sguardo positivo, pur non nascondendo un certo grado di sfiducia nelle istituzioni. Ed è questo atteggiamento, a bicchiere mezzo pieno, che si riscontra parlando con i laureati, laureandi e al primo im-piego delle nostre città, nonostante i dati oggettivi siano tutt’altro che carichi di speranza. Benché Brescia e Berga-mo abbiano un tasso di disoccupazione generale molto più bassa della media italiana, la disoccupazione giovanile continua a crescere e sta diventando sPer informazioni:

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ottobre 2012

4948 INCHIESTALavoro

un problema sempre più serio. Una per-centuale in crescita di giovani – tra cui vi sono anche profili che in tempi migliori non avrebbero avuto difficoltà a trovare un lavoro – è a rischio di disoccupazione prolungata o di inattività, con effetti che potrebbero divenire irreversibili. Secondo la documentazione Istat più re-cente, a luglio 2012, i tassi di disoccu-pazione giovanile nel nostro Paese han-no raggiunto livelli superiori al 35%. Ma se è vero che la recessione fa piazza puli-ta dei posti di lavoro, in tempi di crisi ci sono anche imprese che cercano perso-nale e nuovi settori lavorativi che richie-dono leve. Le aree di maggior interesse sono quelle legate ai settori meccanici, informatici e ingegneristici, anche per soddisfare il comparto imprenditoria-le di Brescia e Bergamo che da sempre è specializzato in queste industrie. Anche per le materie umanistiche c’è comunque una speranza, soprattutto nelle imprese legate al marketing e alla comunicazione: infatti anche le aziende più tradizionali decidono di aggiornarsi ai nuovi standard e richiedono queste figure. Altro ambito che non deluderà sarà quello legato alla cultura: nono-stante la crisi, le imprese legate ad essa hanno visto crescere il numero di oc-cupati del settore, dal 2007 al 2011, a un ritmo medio annuo dello 0,8%. E, in

Lombardia, ne sono la prova le province di Bergamo e Brescia che, in base all’in-dagine nazionale Excelsior realizzata da Unioncamere e Ministero del Lavoro, si classificano sul podio, rispettivamente al secondo e al terzo posto dopo la me-tropoli di Milano. Infine tengono bene i mercati del lusso e quelli legati al turi-smo. E proprio per rispondere a questa esigenza l’Università di Bergamo ha at-tivato da qualche anno il Corso di laurea magistrale in progettazione e gestione dei sistemi turistici, “che ha l’obiettivo di inquadrare il fenomeno turistico del-la rete territoriale” ci racconta Lorenzo Locatelli, tutor d’orientamento post laurea dell’Università. Uno sviluppo del comparto turistico è stato favorito indirettamente anche dall’aeroporto di Orio Al Serio, che ha evidenziato la ca-renza di figure professionali che adesso si stanno affermando sia nel comparto alberghiero, sia nelle agenzie di viaggio, ma soprattutto in tutti quegli ambiti di promozione e di social network legati a questo settore. Lo stesso atteggiamento positivo e la voglia di sfidare il domani sembrano infine qualità di tutti quei giovani che hanno deciso di mettersi in proprio, chi con la propria partita Iva da libero professionista, chi dando vita a start up, sperando che il successo sia la loro prova.

LA PAROLA AGLI sTuDENTI

Brescia

andrea, 27 anni, studente in Relazioni pubbliche e pubblicitàCredi che il tuo percorso di studi ti stia formando per il lavoro che vuoi fare? “Ogni percorso di studio forma in qualche modo la persona, anche se ritengo indi-spensabile che di fondo esista una naturale predisposizione dell’individuo. Nel mio caso, ritengo che l’accoppiata triennio (Laurea in relazioni pubbliche e pubblici-tà) e biennio specialistico (Marketing) mi abbia formato in modo positivo. Ovvia-mente, come spesso accade, la preparazio-ne ottenuta corrisponderà solo in parte alle

necessità espresse dal mondo lavorativo e credo servirà un grosso spirito d’adatta-mento e una rinnovata voglia di imparare”.Saresti disposto, pur di lavorare, ad accettare un lavoro che non apparten-ga all’ambito per cui hai studiato? “Al momento non credo che là fuori esista ‘il lavoro della mia vita’, perciò, perché no?, sarei disponibile anche a sperimentare lavori in ambiti differenti, purché mi permettano l’auto-sostenta-mento e la salute psico-fisica”. Quali sono i passi che farai per cerca-re lavoro? “Penso di puntare sulla redazione di un buon curriculum da inviare a una lista

selezionata di aziende/agenzie di comu-nicazione. Nel caso l’approccio classico non dovesse funzionare, inizierò a guar-darmi attorno, rivolgendomi ad agenzie specializzate nella ricerca di posti di la-voro, chiedendo consigli e aiuti a paren-ti, amici, varie liste di contatti. Non pen-so esista la formula magica per trovare il primo impiego, serve un giusto mix di decisione, costanza e fortuna”.

giulia, 27 anni, laureataHai già trovato lavoro? “Sì, sono impiegata”.L’impiego riguarda il tuo piano di studi?

“No, purtroppo”.Credi che i giovani siano troppo pro-tetti dalla famiglia per adattarsi a fare lavori diversi da quello per il quale hanno studiato? “Credo dipenda dal settore di studi scelto e dalle ambizioni personali. Talvolta adat-tarsi è il sinonimo brutto della rinuncia”.

Marta, 27 anni, laureata in Scienze della ComunicazioneCosa pensi di chi ritiene che i giovani siano troppo protetti dalla famiglia? “Che siamo costretti a farlo, visto i soldi che guadagniamo. Io mi sono adattata a fare molti lavori prima di trovarne uno a 300 euro al mese che rispondesse ai miei studi e che è comunque provvisorio”.Preferiresti un impiego fisso o spe-

rimentare più lavori fino a trovare quello dei tuoi sogni? “Al momento preferirei guadagnare di più con un contratto sicuro. Il lavoro dei miei sogni sta in un cassetto: mi piace-rebbe fare più esperienze, basta che non diventi la regola di sempre”.Credi che il governo stia adottando le giuste misure per aiutare l’inserimen-to dei giovani nel mondo del lavoro? “Io ho un contratto a tempo determinato, ma non mi dispiacerebbe iniziare un ap-prendistato serio, che so essere salvaguar-dato da questa riforma. In linea generale, però, credo che ci sia sempre troppa di-stanza tra le leggi e il mondo reale”.

fabio, 26 anni, IngegnereA distanza di un anno dalla laurea,

hai trovato lavoro? “Uno part-time. Nel mio ambito il lavoro c’è. Il problema è quanto viene retribui-to. Essere un neolaureato è sinonimo di incompetenza per la maggior parte dei datori di lavoro”.Credi che Brescia offra buone oppor-tunità nel tuo campo? “Penso proprio di sì. Credo che la stasi dipenda dall’andamento generale, ma sono fiducioso”.Cosa ti aspetti dal futuro? “Un contratto serio”.

Bergamo

giada, 27 anni, psicologaCome ti sei mossa per trovare lavoro? “Ho cominciato a lasciare il mio cv, sen-za ottenere alcun risultato. Oggi colla-boro con una cooperativa”.Sei soddisfatta? “Per ora sì, visto cosa succede in Italia, anche se lo stipendio è basso e soprattutto non c’è certezza di proseguire a lungo”.Saresti disposta ad andare all’estero? “Essendomi confrontata con realtà eu-ropee durante alcuni miei viaggi, con-sidero ogni giorno l’idea di partire, ma poi spero sempre che le cose cambino. So che l’Italia reagisce bene”.

Marco, 26 anni, laureato in GiurisprudenzaStai svolgendo un lavoro attinente a quello che hai studiato? “Sto facendo praticantato presso uno studio di avvocati. Non è stato difficile trovarlo. Ovviamente non è un impiego, ma un percorso formativo”.La Riforma Fornero ha vietato pre-stazioni gratuite per i laureati. Cosa pensi in proposito? “Io prendo un rimborso spese. Se si vogliono ridurre i rischi di svolgere ti-rocini gratuitamente, c’è il rischio che molti potrebbero non esistere più. E la formazione è fondamentale”.Cosa ti aspetti nell’immediato futuro? “Di passare il prima possibile l’esame di stato per l’abilitazione, sperando che lo studio dove sono ora abbia ancora biso-gno di me”. s

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francesco, 23 anni, web masterCredi che Bergamo offra delle buone opportunità di lavoro? “Nel mio campo si sono aperte diverse porte, nel senso che molte aziende lon-tano dal mondo del web hanno deciso di aggiornarsi e quindi il lavoro non mi manca. Unico problema al momento è la difficoltà di recuperare tutti i crediti”. Quali sono a tuo parere i settori che cresceranno?“Tutto il mondo digitale è in costante au-mento, basta solo tenersi aggiornati. Dan-do uno sguardo intorno credo che tutte le materie tecniche e scientifiche abbiano ottimi sbocchi. Lo stesso dicasi per chi per chi ha frequentato le università di lingue, specializzandosi in cinese e arabo”. Tu lavori in proprio: vorresti un lavo-ro fisso da dipendente? “Da un lato mi piace la mia indipenden-za: mi gestisco tempo e lavoro in base alle esigenze. Certo, avere una certezza economica non mi dispiacerebbe, e se ricevessi un’ottima offerta ci penserei”.

RifoRma del lavoRo: i punti salienti peR chi si immette nel mondo del lavoRoTesto diventato Legge 28 giugno 2012, n. 92.

contratto di apprendistato: pensato per i giovani tra i 15 e i 29 anni, si tratta di un contratto di tre anni (minimo 6 mesi), durante i quali l’azienda gode di diversi sgravi fiscali ed è obbligata a fare formazione, rilasciando un certificato alla fine del percorso. L’apprendistato si può concludere o con una risoluzione del rapporto o con un’assunzione a tempo indeter-minato.

contratti a termine: di base vi è l’idea di disincentivarli aumentando i costi a carico delle aziende. Inoltre dopo il superamento dei 36 mesi esso si trasforma in indeterminato.

stage: non sarà più permesso alle aziende fare stage gratuiti per i giovani che hanno già concluso la formazione universitaria. Chi ha concluso il suo ciclo formativo deve essere pagato per il lavoro che svolge.

Partite iVa: c’è l’obbligo di trasformare le consulenze in collaborazioni coordinate e continuative o in contratti a tempo indeterminato per le partite IVA che presentano almeno due delle seguenti caratteristiche: non superano i 18mila euro di reddito lordo annuo; hanno almeno 8 mesi di lavoro presso la stessa azienda; hanno un corrispettivo pagato superiore all’80% rispetto a quello di un dipendente o collaboratore e una posta-zione fissa in ufficio.

Professor Nicoli, la situa-zione di oggi è migliore o peggiore di come la disegnano i media?“Rispetto ai valori economici, le con-seguenze sociali non sono ancora così gravi, non essendo stata intaccata l’eco-nomia reale in termini sostanziali. Il gioco oggi è ancora finanziario e provoca un fermo della mobilità del denaro, perché mancando la fiducia tra soggetti economici non ci sono passaggi di denaro che consentono di far funzionare il sistema. In base al calo del Prodotto interno lordo la disoccupazione avrebbe dovuto essere ancora più alta”.

Sta dicendo che il peggio deve ancora arrivare?

“Fino ad oggi la situa-zione è stata suppor-

tata dall’’impresa famiglia’: i giovani disoccupati sono mantenuti dalla famiglia e lo stesso

vale per le piccole imprese, che si sono

ricapitalizzate solo gra-zie ad essa: per poter reg-

gere la crisi, si sono usati mezzi finanziari propri. La

crisi non ha ancora manifestato la sua parte distruttiva: se entro l’autunno la questione euro si risolverà ci può essere una ripartenza, in caso contrario la cadu-ta dell’euro significherebbe, per il nostro

Paese, la perdita del 25 per cento della propria ricchezza. Il problema più gran-de è però questa sfiducia generale, che sta facendo danni al di sopra di tutto”.In che senso? “C’è un lamento generale che fa impres-sione. Intanto i media che funzionano per parole d’ordine settimanali: prima lo spread, adesso l’equilibrio dei conti. Ogni sette giorni parte un allarme diffe-rente. E la colpa cade sempre e solo sul-lo Stato. Il punto è che non ci si fa la do-manda giusta, e cioè: a quali spese non produttive devo rinunciare per investire su quelle produttive? Nessuno ragiona così, perché la cultura individuale e con-sumista nella quale viviamo ha prodotto un atteggiamento conservatore sia negli operatori economici sia nelle aggrega-zioni sociali e nelle persone: il punto

IL SOCIOLOGO DEL LAVORO

IL PEGGIO DEVE ANCORA ARRIVARE?Intervista al Professor Dario Eugenio Nicoli, docente di Sociologia economica e del lavoro, all’Università Cattolica del Sacro Cuore di Brescia.

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Dario Eugenio Nicoli

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è preservare ciò che si ha”. Con quello che sta succedendo non è forse legittimo?“Se si pensa al domani no. C’è un in-torpidimento della capacità di reazione e manca una visione collettiva del bene futuro”.Hanno paura di perdere quello otte-nuto fino ad oggi?“Sì, senza rendersi conto che esistono valori ben più importanti della ricchezza che stanno tentando di salvaguardare. Perdere fiducia nel futuro, anche in ter-mini economici, è un fattore decisivo: è proprio nei momenti di crisi che i beni morali sono essenziali”. La finanza ha preso il posto dell’eco-nomia reale. Quanto ha inciso su que-sta crisi?“Molto, da una parte ci sono lavoratori che pagano, dall’altra ci sono lavoratori che speculano. Non è il capitalista col naso adunco nascosto nel suo ufficio che muove i capitali, ma i fondi pensio-ne americani e canadesi. Però la colpa non è loro, ma degli operatori bancari e parabancari che hanno creato dei titoli spazzatura e che non hanno dichiarato con trasparenza cosa era marcio e cosa buono. Il movimento finanziario indica il valore di un investimento, quindi non va demonizzato, ma occorre riconosce-re che gli stessi investitori hanno perso l’orizzonte del tempo. Tutti dicono salviamo l’euro, ma ognuno poi pensa per sé: c’è gente che sta guadagnando parecchio in questo momento di crisi”.Mi può fare un esempio?“Un’ora, questo dura il gioco specula-tivo economico. La Spagna chiede 100 miliardi di euro. Li ottiene. Ovviamente, il lunedì, il mercato finanziario si apre positivo. Lo speculatore agisce in modo da poter incamerare questo vantaggio, quando si sa che c’è una tendenza al ri-alzo. Investe alle 9 del mattino, alle 10 ha guadagnato il 2 per cento e se ne tira fuori. Questo intendo: comportamenti di sopravvivenza di brevissimo periodo che dominano su investimenti di medio termine”.Tornando alla questione disoccupa-zione, quanto incidono l’innalza-

mento dell’età pensionabile e il calo demografico?“A noi mancano 2 milioni e mezzo di giovani, tant’è vero che la classe più nu-merosa di persone va dai 57 ai 67 anni. Quando la popolazione invecchia e non ci sono nuovi nati le conseguenze sono pesantissime: in primis il carico sociale che vedrà, nel 2025, il rapporto pensio-nato-lavoratore di 2 a 1, con la tendenza a crescere. Per fortuna ci sono gli immi-grati giovani che lavorano e che versano contributi a vantaggio dei pensionati italiani. E questo alla faccia di chi pensa che portino via il lavoro: ciò che fanno viene rifiutato dagli italiani”. È vero che ci sono lavori che nessuno vuole fare?“C’è un’enorme sproporzione tra lavori ricercati e lavori offerti: mestieri come il saldatore, l’installatore di impianti fo-tovoltaici, ma anche il magazziniere, la

commessa, il venditore, l’artigiano non sono considerati di prestigio sociale. I pochi giovani che si immettono nel mer-cato preferiscono lavori prestigiosi, ma con minore possibilità occupazionale. I figli della società consumista hanno la concezione che il primo lavoro è predit-tivo del loro ruolo futuro nella società. Per cui non ne accettano uno qualunque e preferiscono rinunciare a delle oppor-tunità intermedie, perché sono convinti che, da queste, ne deriverebbe una col-locazione sociale definitiva di minore prestigio. Il mercato del lavoro però fun-ziona al contrario: il titolo di studio deve affrontare l’esame della realtà. Le fami-glie sono molto protettive, e sostengono i figli in questo, ma per fortuna tra Bre-scia e Bergamo non è ancora così…”. L’epiteto lazzarone da noi è un’offesa gravissima. “Brescia, Bergamo, Lecco, Cuneo: s

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Quali iniziative l’università di Bre-scia sta attuando per migliorare l’in-serimento dei giovani laureati nel mondo del lavoro? “Servizi di accoglienza e di erogazione delle informazioni, servizi di orienta-mento, di mediazione per l’incontro tra domanda e offerta, servizi di accompa-gnamento all’inserimento professionale. Inoltre gli stage curriculari, obbligatori e facoltativi, inseriti in molti dei corsi di laurea presenti nell’offerta formativa”. Nel bresciano quali sono i settori che maggiormente avanzano richiesta di nuove forze lavorative? “Il territorio bresciano è caratterizzato da una prevalenza di attività manifattu-riere oltre ad attività riconducibili al ter-ziario e al mondo finanziario. Le richie-ste da parte delle aziende sono in linea con questa struttura economica, benché privilegino soprattutto, così come acca-de a livello nazionale, le professioni in-

gegneristiche ed economiche”. In che percentuale gli stage vanno a buon fine? “Gli stage curriculari hanno come fina-lità il completamento del processo for-mativo. Gli stage extracurriculari (post laurea) mirano a favorire la conoscenza diretta del mondo del lavoro dei neolau-reati. Degli stage post-laurea avviati nel 2011, il 57% si è concluso con un’as-sunzione anche se, è opportuno rilevar-lo, questa non è la finalità perseguita”.Brescia sembra aver puntato molto anche sul comparto turistico. Si stan-no creando nuove professionalità in questo campo? C’è richiesta? “Il comparto turistico è sempre stato oggetto di particolare attenzione, anche se manca tuttora un approccio sistema-tico per la sua valorizzazione. Tuttavia, le imprese turistiche, mediamente di piccola dimensione, non presentano specificità gestionali tali da richiedere

competenze peculiari, per cui si ritiene che l’offerta formativa per il settore deb-ba concentrarsi più su corsi post-laurea che su corsi di laurea”. Ci sono nuovi settori d’impresa che si stanno affermando sul mercato? “Si sta piuttosto affermando un nuo-vo modo di fare impresa in linea con le caratteristiche del nuovo contesto eco-nomico e tecnologico generale: sono diventati cruciali le capacità di raziona-lizzazione, di risposta in tempi brevi, di lavoro in team, di soluzione di problemi non strutturati, di gestione della discon-tinuità. Di conseguenza i corsi di laurea si stanno adattando a questo scenario, che richiede non solo nuovi contenuti formativi ma anche un rinnovato ap-proccio alla diffusione degli stessi. Un ruolo certamente di primo piano rive-stiranno le imprese innovative, capaci di porsi sul mercato in modo nuovo anche operando in settori tradizionali”.

IL DIRIGENTE UNIVERSITARIO

FEDERICA GRANAResponsabile del servizio comunicazione dell’Università degli Studi di Brescia

dall’altRa paRte del mondo

Il Wall Street Journal ha evidenziato i 10 lavori che saranno più ricercati nei prossimi anni. La ricerca è basata sui dati statistici del ministero del Lavoro degli Stati Uniti. La lista, benché americana, rappresenta un’ot-tima riflessione anche per L’Italia e l’Europa sui cambiamenti nel mondo del lavoro e sulla richiesta sempre diversa dell’economia.

Promotori finanziari + 30%Igienisti dentali + 36%Ingegneri civili + 24%Ricercatori di marketing + 28%Analisti di sistemi informatici + 20%Medici chirurghi + 21%Sviluppatori di applicazioni per computer + 24%Analisti di gestione + 23%Commercialisti e revisori dei conti + 21%Infermieri +22%Blogger: di questi scrittori digitali ce ne sono più di 20 milioni al mondo e molti guadagnano fino a 200 dollari per un buon post. In Italia le cifre sono più basse, ma l’importanza di questa figura è indubbiamente in continua crescita.

IL DIRIGENTE UNIVERSITARIO

BARBARA CORTIUfficio orientamento, stage e placement dell’Università di BergamoCosa sta facendo l’università per mi-gliorare l’introduzione al lavoro? “Gli stage sono il passo fondamentale e non solo alla fine degli studi ma anche durante. Lo stesso vale per i tirocini”.Spesso stage è sinonimo di sfrutta-mento, cioè forze lavoro gratis da cambiare ogni anno. Prendete delle misure a riguardo? “Parliamo chiaramente alle aziende cercando di sottolineare come stage sia formazione e non un momento di lavoro a sé. Ci rassicura il fatto che nel 2011, a seguito degli stage, ci sia stato un tasso di assunzione del 41%. Inoltre stiamo lavorando affinché le aziende offrano rimborsi spese ai laureati”.Crede che la Riforma del lavoro appe-na approvata avrà un’influenza posi-tiva sui giovani? “Stiamo ancora attendendo il pronun-ciamento delle Regioni, ma già con la ri-forma dell’agosto 2011 ci sono stati dei passi in avanti visto che è stato limitato il periodo della durata dello stage a sei mesi, periodo sufficiente sia per formare una persona sia perché l’azienda possa comprendere se la figura è adeguata per ricoprire una determinata mansione”. Quali sono i settori che maggiormen-te avanzano richiesta?

quest’area è permeata da un ‘cattolice-simo lavorista’ che insegna il dovere, il sacrificio, l’impegno, e quindi l’etica del lavoro è molto forte. Queste zone hanno sempre avuto piena occupazione e, an-che oggi, i tassi di disoccupazione sono molto meno della media nazionale”.Quali sono i settori che avranno biso-gno di figure nel futuro?“Il settore socio assistenziale sanitario sarà un’area in continua crescita: meno i genitori hanno figli, meno la cura può essere gestita in ambito familiare. In am-bito produttivo, invece, saranno forti le aziende che realizzano macchine uten-

sili e impianti tecnologici. Ma anche i settori dell’energia alternativa, del rici-clo di materiale recuperato attraverso la gestione differenziata dei rifiuti, dell’in-novazione tecnologica, dell’ingegneriz-zazione dei processi…”.Esiste in Europa un modello al quale sarebbe opportuno ispirarsi?“Ritengo molto interessante quello da-nese. Il contratto di lavoro si fa in un semplice ufficio. In Danimarca il gio-vane studia e lavora. Vuole fare il com-positore? Bene, ma nel frattempo fa il cameriere, il commesso. Non bisogna drammatizzare la mobilità se ben tutela-

ta: lì esistono corsi di formazione, attivi-tà di sostegno ai disoccupati. E se questi ultimi rinunciano a due offerte di lavoro consecutive perdono l’assegno. Noi invece siamo legati a un welfare troppo protettivo, anche se non basta cambiare le leggi. Le leggi non creano l’atteggia-mento culturale. Il segreto è riprendere una parte della saggezza popolare e stac-carsi dalla famiglia chioccia. La tutela va garantita al lavoratore e non al posto di lavoro. Ci vuole dinamicità per stare al passo con l’attività economica, che è fluida e richiede un costante coinvolgi-mento”.

“Considerando il nostro territorio si-curamente sono più attivi i settori in-dustriali, ma funzionano bene anche gli ambiti dei servizi e del turismo”. Ci sono alcune professioni nuove, cresciute in questi anni?

“Ovviamente il settore informatico, ma anche nel marketing e nella comunica-zione ci sono ottime possibilità di stage. Le aziende, anche quelle più tradizionali, hanno aperto le porte a queste figure per accrescere la loro posizione sul mercato”.

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za VogLia di sci?

iL coMPreNsorio adaMeLLo ski ti sta orgaNizzaNdo UN iNVerNo coN i fiocchi

L’ inverno è sempre più vicino e ottobre è il mese giusto per iniziare a controllare l’attrez-zatura per lo sci: alla prima

abbondante nevicata infatti il ghiacciaio Presena potrebbe aprire e allora è bene farsi trovare pronti. La novità del comprensorio Adamello Ski per la stagione invernale 2012-2013 è il nuovissimo impianto di risalita della società Sinval, una seggiovia a 6 posti che sostituisce le sciovie Vittoria e Presanella, nella parte centrale del Passo Tonale. Si tratta di un impianto moder-no e funzionale, dotato di due stazioni

coperte, con una portata oraria di 2.400 persone. È la prima 6 posti del comprenso-rio Adamello Ski e riqualificherà l’ampia zona dedicata al campo scuola e ai tracciati di gara degli sci club. Inoltre la slittinovia Carezze viene sostituita da una sciovia che permetterà ai princi-pianti di prendere confidenza con la neve su un tracciato facile e sicuro. È previsto infine il posizionamento di un nuovo tapis roulant, a destra della nuova 6 posti, nei pressi del Fantaski; in questo modo viene ampliata l’offerta per chi si sta avvicinando allo sci ed è risaputo che il Tonale, per la sua conformazione e per il fatto di avere tutti tracciati in campo aperto, è particolarmente adatto per chi intende imparare a sciare. Le due scuole di sci Pontedilegno-Tonale e Tonale-Presena mettono oltre 100 maestri a disposizione di chi vuole avvicinarsi a questa sana ed affascinante disciplina sportiva. Altri importanti interventi sono in programma: andate a fare un giro sul ghiacciaio Pre-sena perché nel giro di un paio di anni cambierà profondamente. È infatti in progetto la sostituzione della seggiovia Presena Paradiso e delle due ancore con una moderna cabinovia che collegherà Passo Paradiso ai 3.000 mt di cima Presena: i lavori avreb-

bero dovuto prendere il via questa estate ma sono slittati alla prossima a causa delle lungaggini burocratiche. Insomma, Adamello Ski è una destina-zione sciistica in continua evoluzione che non tralascia nessuna esigenza: dai princi-pianti agli esperti sciatori, dagli snowbo-arder ai freerider, dai giovani alle famiglie con bambini. Tante saranno le proposte per vivere un inverno in allegria e le offer-te-vacanza per trascorrere qualche week end sulla neve sui 100 km di piste di Pon-tedilegno, Temù e il Passo Tonale. Tieni d’occhio il sito www.adamelloski.com: alcune proposte sono già online.

ListiNo Prezzi

GIoRNALIERo ADULto PRE StAGIoNE 31 €(dall’apertura degli impianti al 6/12 e dal 10 al 23/12)

StAGIoNALE ADULto

•valadaski 615 € (valido nel comprensorio Adamello Ski + 5 giornate all’Aprica)

•combi1 645 € (valido nel comprensorio Adamello Ski + una giornata di sci gratuito in una delle località sciistiche del comprensorio Skirama Dolomiti Adamello-Brenta: Madonna di Campiglio, Folgarida-Marilleva, Pejo, Pinzolo, Andalo-Fai della Paganella, Monte Bondone o Folgaria Lavarone)

SCoNto FAMIGLIA (valido solo per gli skipass stagionali) 2 adulti + minimo 2 bambini/junior, sconto del 50% sullo stagionale con il prezzo inferiore

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VIA CREMONA, BISOGNA TORNARE A uNIRE LE FORzENonostante i gravi episodi di cronaca che recentemente hanno colpito il quartiere, velando di tristezza lo sguardo degli abitanti, la popolazione sembra vivere bene, in una zona servita, dove non mancano punti di incontro. Resta sempre vivo il problema della viabilità.

di brUNo forza

V ia Cremona è scossa. In questo piccolo mondo racchiuso tra due rotaie i commercianti hanno poca

voglia di parlare. C’è chi è affaticato da una crisi che è dura a morire, ma anche deluso da una politica cittadina che non sarebbe a misura d’uomo. E allora dire la propria opinione non serve più. Tem-po perso. Tanto sono sempre quei pochi a decidere per tutti. La via, comunque, è viva fino al tramon-to, bella da passeggiare, ricca di negozi e servizi a due passi dal centro e impre-ziosita da uno degli oratori più attivi della città. I problemi, tuttavia, ci sono: viabilità, sicurezza e integrazione sono i più sentiti. Ma non è tutto. Negli occhi di chi vive qui c’è un velo di tristezza. Più profondo, più marcato. Le discus-sioni su economia, lavoro e viabilità – a

confronto – sono bazzecole. I recenti fatti di cronaca hanno lasciato il segno, perché quando un padre si getta dalla finestra insieme ai due figlioletti è una sconfitta per tutti, è un dolore collettivo. E qualcosa di simile accade quando un altro uomo venuto da lontano accoltella suo cognato dopo una lite in famiglia. La parrocchia ha perfino messo uno psico-logo a disposizione di alcuni residenti. L’ultima volta che eravamo passati da queste parti avevamo parlato con padre Antonio Oliveira Rocha. Era prossimo al ritorno in Brasile. Ci disse che la par-rocchia di Santa Maria della Vittoria era il cuore pulsante di via Cremona, e che le chiavi per aprire la porta del futuro si trovavano lì. Le sue parole sono illu-minanti alla luce di ciò che è accaduto: “L’oratorio permette di incontrarsi a persone che probabilmente non si sono mai rivolte la parola, ma serve una siner-gia tra istituzioni, scuola e oratorio per

favorire momenti di incontro, di crescita e di divertimento. Noi proponiamo tante iniziative, ma unendo le forze si potreb-be fare molto di più”. Una missione che, adesso più che mai, torna d’attualità. Fare comunità, trasformare una via in quartiere, legare a doppio filo le fami-glie e coinvolgere adolescenti e giovani senza dimenticare gli anziani. In un con-testo del genere la parola integrazione uscirebbe dal vocabolario. Non servi-rebbe più interrogarsi sulla convivenza tra italiani e stranieri, che in via Cremo-na come in tutta Brescia (a eccezione di poche realtà) procede a rilento. Questa è l’emergenza reale, quella di una società che qui, come altrove, perde pezzi di identità e fa tremare i più debo-li. Allora forse bisogna ripartire dalle persone, prima di pensare alle cose. Per piste ciclabili, parcheggi, vigili di quartiere e verde pubblico c’è sempre tempo.

CI RACCONTANOVia creMoNa

PasQUaLe Pitozzi (MaceLLeria Pitozzi)

Via Cremona è servita, non manca nulla e si vive bene

Com’è l’atmosfera in via Cremona?“Pesante. La crisi si ripercuote su tutti e noi non siamo un’eccezione”.Quali sono invece i problemi più sen-titi da chi vive qui?“Al primo posto metto la viabilità. I marciapiedi sono troppo grandi e le pi-

ste ciclabili assenti. Capita che i pedoni vengano investiti dalle biciclette. È pe-ricoloso. Eppure ci sarebbe lo spazio per garantire una circolazione serena a entrambi. Il doppio senso, invece, è po-sitivo sotto tutti i punti di vista”.Qual è il pregio di questa via?“Che è servita, non manca nulla e si vive bene, anche se mi piacerebbe vedere più presenza e più controllo da parte delle forze dell’ordine. Gli extracomunitari sono ben accetti se lavorano, ma ce ne sono alcuni che oziano tutto il giorno”.

daVide aLborghetti (L’arte di abitare)

Via Cremona non è via Milano o via San Faustino, ma nemmeno viale Venezia. È una via di mezzo.

Ci descriva via Cremona.“È una zona tranquilla, si vive bene anche se negli ultimi tempi sono accaduti episodi

di cronaca che definire bizzarri è poco”.Capitolo immigrazione e integrazione.“Non siamo via Milano o via San Fausti-no, ma nemmeno viale Venezia. Una via di mezzo. Diciamo che la popolazione della via è composta soprattutto da stra-nieri e anziani. Le famiglie con bambini sono poche”.

NicoLa (bar geLateria careLLa)

La professionalità e il rispetto sono fondamentali per far convivere culture diverse

La sua fotografia di via Cremona.“Con il recente restyling ha acquistato valore. Giusto così perché è la via prin-cipale che conduce al centro da sud. Quanto agli abitanti il quartiere soffre un problema comune a tutta la città: i geni-tori invecchiano e i figli si trasferiscono nell’hinterland o in altre zone della città”.C’è qualcosa che non va?“Ci sono zone della città più calde, ma ognuno di noi deve fare il suo. Perso-nalmente nel mio locale ho adottato una politica basata sulla professionalità e il rispetto. È fondamentale per non avere problemi e far convivere culture diverse”.Richieste al Comune?“Qui mancano i parcheggi e il cliente occasionale non c’è più. Per fortuna noi siamo attivi da oltre vent’anni e abbiamo un nome, per i nuovi è dura”.

Pasquale Pitozzi

Davide Alborghetti

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STRADE E QUARTIERIVia Cremona

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daNieLa – 46 anniUn voto alla qualità della vita in via Cremona.“Direi 7. Si possono fare acquisti a piedi e non manca nulla. È una zona vissuta e movimentata”.Cosa cancellerebbe e cosa aggiunge-rebbe?“Cancellerei qualche ausiliario del traf-fico troppo severo e aggiungerei qual-che parcheggio in più”.

Matteo – 30 anniCome vivono i giovani in via Cremona?

“Bene. Ci sono parecchi bar dove incon-trarsi e fare un aperitivo in compagnia. Anche l’oratorio è molto vissuto ed è una realtà ricca dal punto di vista sportivo”.Come procede l’integrazione con gli immigrati?“Si stanno integrando soprattutto quelli con i bambini. Altri tendono a stare tra loro e a isolarsi. Ci vorrà del tempo. I negozi stranieri, però, sono frequentati da tutti”.

aNNa – 60 anni Cosa non va in via Cremona?“Quello che non va al giorno d’oggi. C’è una crisi di valori forte e i giovani si stanno perdendo nel vuoto. Quando ero ragazza io le priorità erano altre”.Cosa chiederebbe al Comune?

“Più attenzione al sociale. La parrocchia è troppo sola”.

Piero – 71 anniCom’è cambiata via Cremona nel tempo?“È diventata più frenetica, trafficata e un po’ più anonima, però quando ti affezio-ni a un posto ci resti legato al di là dei cambiamenti”.La cosa che le piace di più e quella che le piace di meno.“L’aspetto più bello è la possibilità di trovare tanti amici all’oratorio con cui fare una partita a carte o semplicemente due parole. Quello più brutto riguarda i fatti di cronaca nera dei mesi scorsi. Fatti inspiegabili che colpiscono tutta la comunità”.

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ristoraNte Pizzera LoUNge barMaNgiarÈ

Un SerVizio SU MiSUra, Una CUCina eSCLUSiVa

a ttivi da un paio d’anni a Brescia, sono già sulla bocca di molti: il team, tutto familiare, di Man-

giaRè ha difatti saputo creare un luogo in cui, dal lounge bar, alla pizzeria, al ristorante, la gamma dei piaceri della tavola è servita con passione, in un am-biente dove la creatività della cucina pri-vilegia soprattutto i prodotti bresciani e il “chilometro zero”. Grazie ad una lunga esperienza nel setto-re, approdata anche in Germania, e a un grande attaccamento alle radici (tra cui trova un posto speciale la Valle Sabbia), i coniugi Giuliano e Morandi, insieme ai figli Sarah e Davide, hanno costruito un vero e proprio regno del sapore.

Il Lounge bar, per pranzi leggeri e serate convivialiA piano terra, tra musica d’ambiente con contaminazioni jazz, ad accogliere il cliente è il lounge bar. Perfetto per chi, a pranzo, desidera una pietanza veloce – che sia un panino, una piadina, o un’insa-lata fresca – questo settore di Mangiarè è diventato tra i giovani bresciani un punto di riferimento in tema “aperitivo”. Scor-datevi, infatti, le solite patatine: a partire dalle 17,30, Davide imbastisce plateaux d’assaggi misti, calibrati. L’aperitivo di

Mangiarè è servito alla carta, con variegato e comodo buffet al tavolo: un finger food da acquolina, sempre diverso!La domenica, invece, va di scena l’happy hour, una vera “ora felice”, con vasti assaggi al bancone, dal quale servirsi ad oltranza. Da bere, accanto al tradizionale “pirlo”, il lounge bar propone ben 30 cocktails interna-zionali, anche se l’alcolico (a base di Vermut) e l’analcolico della casa (con succhi di frutta fresca) restano i cavalli di battaglia. Apprezzatissimo anche il calice di vino, poiché la scelta spazia tra 4 neri, 4 bianchi, 4 spu-manti (tra cui un rosé) e 2 prosecchi.

In serata, mentre la musica prende ritmo, chiacchierare davanti a una birra speciale sarà davvero un piacere, visto che la cantina del MangiaRè ne tiene al fresco una vasta gam-ma: “sono elisirs da degustazione – spiega Davide –, ne abbiamo una trentina, per tutti i gusti, scure, ambrate, doppio o triplo malto, belghe, tedesche, trappiste, olandesi… ognuna “di carattere”, con una gradazione alcolica dai 5 ai 10 gradi”. Lo stile elegante e intimo del lounge (80 posti a sedere all’interno, compresa la confortevole saletta fu-matori, e 40 sedute esterne, con possibilità di riscaldamento plateatico) vi conquisterà.

Serate a tema e feste al Ristorante pizzeriaAl primo piano, invece, sono collocati il ristorante e la pizzeria, dove alla cucina me-diterranea si uniscono portate che esaltano la tipicità bresciana: non a caso, i piatti forti sono i tagliolini e la pizza al bagoss, servita anche al tagliere. Ad accogliervi, un imponente caminetto d’epoca e lo scorcio dei vini: ben 55 scelte, quasi tutte italiane. Mentre, a pranzo, è possibile servirsi di un ricco buffet, e della stessa pizza, la sera ci si distende, facendosi tentare dai gustosi piatti di carne, “il nostro forte – spiega la signora Miram Morandi – insieme ai malfatti”. Uno dei tanti pregi di MangiaRè è quello di saper soddisfare coloro i quali, oggi in numero crescente, hanno un’intolleranza alimentare al glutine, proponendo loro non solo un’ottima pizza, ma un ricco menù.Le serate a tema, inoltre, scaldano l’atmosfera con sfumature europee e regionali: dalla paella, al caciucco, fino al nostro amato spiedo. La sala, ampia e luminosa, ospi-ta 150 persone, ed è un ottimo scenario per organizzare feste, cerimonie e comple-anni. Infatti, insieme ad una splendida terrazza volta a nord (40 posti riparati, lontani dal traffico cittadino), è a disposizione una saletta riservata, molto intima.

RistoRante piZZeRia lounGe BaR manGiaRÈVia Valcamonica, 16 - Bresciatel. 030.313090 - [email protected] tutti i giorniapertura ristorante 12.00 - 14.30 e 18.30 - 24.00apertura bar 6.00 - 02.00ampio parcheggio privato, anche interrato

VOCE AI RESIDENTI

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6362 HINTERLAND

TRAVAGLIATOTERRA dI PROGETTI

di aLessaNdra toNizzo

P osto nella fascia alluviona-le estesa tra i fiumi Oglio e Mella, delimitata a nord dalle cerchie moreniche del Sebi-

no e a sud dalla linea delle risorgive, Tra-vagliato è un paese tranquillo. Con i suoi oltre 13mila abitanti, si nutre di un forte spirito comunitario, ed economicamente riesce a coniugare passato e futuro: accan-to alle attività produttive, ben sviluppate, come dimostra il grande polo industriale Averolda, la vocazione agricola è tutt’altro che abbandonata. Colture di mais, cereali e granoturco, difatti, resistono, accom-pagnate da una fiorente zootecnia (suini, bovini da carne, vacche da latte).Destinato a diventare sempre più un re-ale crocevia di scambi e transizioni, Tra-vagliato – già delimitato territorialmente dal raccordo tra Valtrompia e il resto del-la provincia – è sede di recenti progetta-zioni stradali, che ne influenzano profon-

damente l’intimo ritmo vitale: la variante alla Strada Statale n. 11, che taglia il ter-ritorio a nord dell’abitato, la direttissima BreBeMi, tronco autostradale di collega-mento diretto Brescia-Bergamo-Milano, e la linea Tav (treno ad alta velocità o ad alta capacità) Treviglio-Brescia, che at-traversa il territorio in due tronconi, ta-gliando trasversalmente i campi coltivati, e che trova proprio in paese il suo grande cantiere logistico.Che, aldilà dei tristi dettami della crisi, Travagliato non stia con le mani in mano lo dimostra anche il nuovissimo polo scolastico dell’infanzia, comprensivo di ludoteca, baby-parking, uffici, e quasi 10mila mq di parco a disposizione di 300 piccoli allievi. Insomma, c’è d’aspettar-si molto da questo borgo nostrano, ove antichi palazzi signorili si contendono l’ombra con rustici cascinali ristrutturati, scandendo l’incedere del tempo.

irie bUrNUsUz(caLzoLaio) Via G. MarconiUn volto dell’est a Travagliato…“Ho lasciato la mia terra da un paio d’an-ni, trasferendomi qui. Ho cambiato tut-to, vita e attività”.Prima che lavoro faceva?“Lavoravo in fabbrica”.Come ha vissuto questo grande cam-biamento?“Mi sono trovato subito bene. Qui c’è brava gente”.E questo mestiere, come l’ha appre-so?“Piano piano, nell’arco di sei anni ho imparato la tecnica”.Che clientela ha?

“Tutte le persone che abitano in paese, qualcuno anche dai paesi vicini, di ogni età”.Travagliato con le sue parole“Un bel paese, con gente che spera nel futuro, che non sta mai ferma”.

MicheLa VigNoNi(bar eL bUsiLì) Via Andrea Mai Il target dei suoi frequentatori?“Ragazzi al mattino, signori durante la

CI RACCONTANOtraVagLiato

mattinata, in serata ragazzini. Siamo un punto d’incontro per i più giovani”.Lei ha il plateatico su Piazza Libertà…“…sì, proprio davanti al Comune. La piazza inizia a movimentarsi solo ul-timamente, grazie all’iniziativa di noi commercianti: era abbastanza morta”.Travagliato per lei è…“…un bel paese, ricco, molto ospitale. Se hai voglia di fare, qui lo puoi realiz-zare”.Avvertite qualche problema, com-mercialmente?“Manca movimento organizzato dal Co-mune. L’amministrazione dovrebbe es-sere più attiva: lo è, ma non abbastanza”.Più eventi in piazza, dunque, ma sa-rebbero ben accetti da tutti?“Se una volta ogni 15 giorni l’ammini-strazione organizzasse qualcosa, spe-cialmente d’estate, la gente non avver-tirebbe il problema del parcheggio in piazza. Sono rimasta delusa dalla Festa del Patrono: per me si poteva fare di più, oltre ai burattini”.Lei avrebbe qualche consiglio, in me-rito alla movimentazione della piaz-za?

“Sicuramente non metterei punti risto-ro, con spine della birra e pizzette, per-ché tolgono lavoro ai bar della piazza”.Ha frequentato, quest’estate, il nuo-vo lido estivo del Pala Blu?“Sì, era ancora in corso d’opera. È cari-no, piccolo, l’ideale per chi ha qualche ora buca e vuole farsi una nuotata, pren-dere un po’ di sole, non il massimo per chi ha famiglia perché non ci sono gio-chi per i bambini”.

MicheLa zaMbeLLi(La bottega deL geLato)P.za libertàLavora qui dal 2004: come va?“Bene, abbiamo un bar-gelateria che si differenzia come prodotto per la sua na-turalità: è senza zucchero, latte, glutine e grassi”.Di questi tempi, che strategie utiliz-zate per attirare la clientela?“Beh, il sabato e la domenica, facciamo le colazioni a buffet, come negli hotel. E tut-te le sere c’è l’happy hour, a base di fritti

misti, leggeri perché cotti ad infrarossi”.Si può dire che, per i giovani, i punti d’incontro sono locali come il suo?“Certo, perché il centro di Travagliato non offre niente: ho fatto richiesta al Comune di far musica dal vivo – non i grandi complessi, ma una pianola con karaoke – per i ragazzi ma anche per le famiglie, e mi è stata negata”.E quindi, la gente…“…va dove ci sono queste alternative. Difatti, lavoriamo più durante la setti-mana che nei weekend, quando la mag-gioranza si sposta”.

Michela Vignoni Michela Zambelli

PAESE CHE VAI…LE NOSTRE IMPRESSIONIQuando chiediamo di descriverci questo paese, tut-ti rispondono che è una realtà accogliente. non lo mettiamo in dubbio. Ma, mentre a fatica cerchiamo chi abbia voglia di fare due chiacchiere con noi, non possiamo fare a meno di sentirci osservati. Curiosi-tà o diffidenza? Difficile saperlo, anche se, a nostro avviso, pare che qui gli abitanti cerchino di “proteg-gersi” da tutto quello che viene da fuori. Una citta-della ne ha davvero bisogno?

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64 HINTERLANDTravagliato

Ma c’è man forte tra i commercianti?“Ognuno pensa un po’ per sé. Abbia-mo un’associazione, che si chiama Le Botteghe, ma mettere d’accordo tutti è sempre un grosso problema”.I travagliatesi sono…“…mio marito è di qui. Sono come tutta la gente!”.

MicheLa aQUiLiNi(birichiNo, boUtiQUe 0-14) Via NapoleoneHa aperto da poco…“Sì, sono due anni a settembre”.Ha corso un rischio che l’ha premia-ta?“Sì, ma piano piano. Ci si deve far cono-scere, anche se si è del posto, e contare sul passaparola. Diciamo che, di questi tempi, si resiste”.Prima d’aprire, ha ragionato sulle possibilità di un negozio del genere, in paese?“Anche. Ma è stata una scelta più impul-siva: per carattere vado un po’ a istinto”.Vende prodotti particolari, ma sono particolari anche i locali…“Mi piace creare: molti mobili sono di recupero, gioco con i colori, con i mate-riali, le vetrine… sono estrosa!”.Che via è questa?“So che via Napoleone è importante, una dei passaggi più noti. Ora, però, le attività sono poche, purtroppo alcune chiudono anche”.Un pro e un contro di Travagliato.“Un contro, forse, è il fatto che si tende a spendere ‘fuori’, ma è una caratteristi-ca di tutti i paesi. Travagliato mi piace, anche che non escluderei l’eventualità di spostarmi in posto di maggior passag-gio commerciale”.

Michela Aquilini

Le nostre domande a…

DanTe DanieLe Buizza, SinDaCO Di TRaVaGLiaTOCome lo scorso anno, commercian-ti e cittadini sottolineano la poca vivacità della bella piazza Libertà. Qual è il programma per far sì che sia, oltre ad un importante appog-gio per le auto, un’area aggregante per Travagliato? “Concordo con quanti evidenziano che Piazza Libertà, secondo il rifaci-mento voluto dal sindaco Domenico Paterlini, ha perduto la vivacità che la caratterizzava. oggi è poco più di un assolato grande parcheggio, inospitale per le persone che non godono più degli ampi spazi verdi ed attrezzati di cui prima era dotata, per incontrarsi e socializzare. Non vi è dubbio che la piazza, dentro un più ampio progetto che deve compren-dere anche le vie adiacenti del cen-tro storico, va riprogettata e rifatta per riportarla ad essere il “cuore” della città. Il progetto dovrà dise-gnare una diversa viabilità, recupe-rare spazi a disposizione delle perso-ne, limitare i parcheggi in superficie, realizzarne di interrati, consentire un maggior utilizzo per attività terziarie (bar, ristoranti, ecc.). Il problema è con quali risorse attuarlo nelle con-dizioni economico finanziarie attuali. In ogni caso la linea dell’Amministra-zione, se riconfermata, è di operare per intervenire nel quinquennio per riqualificarla”.Ci può fare il punto in merito alla

riqualificazione dell’area ex-Tivoli?“La ‘balera’, che ha accolto tante ge-nerazioni di giovani dalla fine degli anni Sessanta a pochi anni fa, presto riaprirà come media struttura di ven-dita di alimentari e generi di largo consumo. L’operazione ha permes-so il recuperare il fabbricato nel suo originale impianto architettonico (la superficie di vendita è di poco su-periore ai 1.000 mq). L’esperimento è guardato con una certa ansia dai negozi di vicinato del settore, timo-rosi di perdere ulteriore avviamento. Siamo peraltro fiduciosi che la strut-tura sia capace di ‘fermare’ a trava-gliato parte del denaro che i nostri cittadini spendono altrove per simili prodotti, e possa, di contro, attirare nelle nostre contrade anche cittadini di comunità limitrofe, con generale beneficio di tutto l’impianto com-merciale della città, da sempre fiore all’occhiello di travagliato”.

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Cos’è Brescia? È una provincia che in montagna fa il ferro, in pianura fa il latte, in collina lo spumante, sui laghi il turismo, in città la finanza. Un’industria regina dei prodotti maturi e madrina dei processi moderni. Un’economia che pullula di piccoli grandi solisti, tuttora individualisti, dove mancano i direttori d’orchestra.

INDUSTRIA

AGROALIMENTARE

TERZIARIO

Made in Brescia I

LE ECCELLENZE BRESCIANE ALLA PROVA DELLA CRISI

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questa infatti la “cifra” della siderurgia e metallurgia bresciane, per non dire della meccanica (comparto che conta non solo realtà mature ma pure nicchie di sofisti-cata tecnologia, basti pensare al transfer o all’automazione, all’impiantistica o alla robotica per assemblaggio, da non con-fondersi con quella antropomorfa che a Brescia non esiste salvo le integrazioni industriali di robot importati). Ma è pro-prio nei settori tradizionali “maturi” che, nonostante la crisi, stanno maturando le risposte più realistiche e coraggiose alla crisi. Come ad esempio la Feralpi di Lo-nato che, dopo la Germania, sta pensan-do a un impianto siderurgico in Algeria o Tunisia; come la Fondital di Vestone che ha da poco portato a compimento un possente programma di investimenti in Valle Sabbia; come le forge, si veda-no Monchieri e Morandini della Valle Camonica o Franchini delle Terre Basse, che hanno realizzato imponenti progetti di aggiornamenti tecnologici con l’instal-lazione di presse di grande potenza.

TEMPO DI ALLEANZEDue le derive da evitare se si vuole bypas-sare la recessione. La prima è il pervicace e perdurante “nanismo industriale”, cioè il rifiuto del competere come rifiuto di crescere; la seconda è la “presunzione di autosufficienza” ossia l’eccesso di auto-referenza che diventa anticamera dell’i-solamento. Dopo il tempo dell’indivi-dualismo spinto, che è stato comunque per mezzo secolo un potente fattore di crescita dell’industria bresciana, è ormai maturo, sia a livello di coscienza sog-gettiva che di realtà oggettiva, il tempo dell’aggregazione. Ma quale aggregazio-ne? Da una parte le reti territoriali, re-altà funzionali orizzontali, dall’altra le filiere aziendali, realtà produttive verti-cali. Grazie a questi due fattori, il “fare squadra” diventa qualcosa di più di una semplice ipotesi o di uno slogan astrat-to. A patto che vengano superati sia i distretti, storicamente benemeriti ma ormai inadeguati e quindi superati, sia i metadistretti, oggi assorbiti nella più ampia latitudine dei sistemi “a rete”.

LE RETI CONTRO LA CRISI Ma una politica di aggregazione non

può essere solo un’ipotesi suggestiva o un appello progettuale. Deve sostan-ziarsi di contenuti programmatici con-creti, realistici e fattibili. Alcuni di que-sti sono da tempo all’ordine del giorno. Vediamoli brevemente. Infrastrutture direttamente funzionali all’apparato produttivo quali polo logistico inter-modale (Piccola Velocità, occasione purtroppo sfumata, come ci hanno informato recenti cronache, che va ad aggiungersi al cimitero delle occasioni perdute dell’economia bresciana) e cen-trale termoelettrica (progetto per ora bloccato ma non ancora tramontato, nonostante l’opposizione della poten-te lobby del latte, saldamente piantata nelle banche e nella politica). Non una mega-centrale termoelettrica come si parlava fino a ieri ma due o tre centrali turbogas di limitata potenza e più mo-desto impatto ambientale, come inse-gna la saggia esperienza svizzera al cui esempio potremmo utilmente attinge-re. Strumenti operativi quali le alleanze verticali di filiera in luogo delle alleanze orizzontali di prodotto. Un esempio per tutti, modesto ed emblematico ma non ancora emulato o clonato come si potrebbe, è l’Italian Technology Group di Bovezzo, un consorzio tra quattro aziende della tipica filiera meccanica bresciana forno-pressa-transfer-robot; un altro esempio ancora “in fieri” ma degno di attenzione è quello tra Fran-chini Forge e Fonderie Mora del Grup-po Camozzi, per non dire di quello già compiuto tra Monchieri e Mamé in Valle Camonica. Strumenti finanziari come la cartolarizzazione del credito ri-editando, aggiornandoli, mezzi già col-laudati quali i bond di distretto emessi da banche convenzionate e garantiti dai Confidi regionali, secondo l’esem-pio già applicato anni fa da istituti di credito in altre situazioni.

FILIERE E COMPRENSORI Innovazioni strumentali come le filiere produttive la cui funzione, in parti-colare per le reti, può essere rilancia-ta oltre i distretti della cui personalità giuridica, decretata dalla dimenticata Legge Finanziaria 2006, non si parla più essendo caduta in totale desuetudi-

ne (sarebbe dovuto essere il primo pas-so verso una possibile configurazione istituzionale del distretto quale “cellu-la” di un assetto istituzionale federale, ma si tratta di un’ipotesi totalmente ri-mossa dal novero dell’agenda politica). Comprensori territoriali allargati come le aree metropolitane (in una prospet-tiva di medio termine poiché per ora non hanno valenza istituzionale) nel cui ambito Brescia può interfacciarsi a Ovest con Bergamo e Milano (intera-zione di servizi già avviata nella fusio-ne tra Asm e Bas e in quella tra Asm e Aem, interazione finanziaria con la fusione delle due maggiori banche locali); a Est con Verona (interazione commerciale e aeroportuale già speri-mentata, sia pure con risultati finora deludenti, con la “cogestione” nell’ae-roporto D’Annunzio di Montichiari). Programmi di innovazione grazie a una rinnovata osmosi tra università e im-prese tramite il Cstm presieduto da En-nio Franceschetti (Centro servizi tecno-logici multisettoriale) del cui sviluppo ha recentemente parlato Marco Bono-metti del Gruppo Omr di Rezzato.

STRUTTURE FORTI, STRATEGIE DEBOLICome ha ricordato in proposito il presidente dell’Aib Gianfranco Dal-lera, non basta parlare della necessità di implementare il rapporto tra ricer-ca e industria poiché, nelle condizioni attuali, il trasferimento tecnologico dalla ricerca universitaria all’impresa è pressoché inesistente, salvo rarissimi casi dovuti più a buone volontà sogget-tive che a strumenti oggettivi. Crescita della delocalizzazione estera ma nel contempo attuazione, nella prospettiva di una compiuta internazionalizzazio-ne, di una maggiore cooperazione tra Università, Camera di Commercio, istituti di formazione e associazioni imprenditoriali, non solo per lucrare su salari minori (delocalizzazione) ma per puntare su risorse migliori (inter-nazionalizzazione). Tra i tanti esempi di delocalizzazione che si possono cita-re ne esiste uno originale e particolare per il settore cui appartiene (l’agroali-mentare, nella fattispecie viticoltura).

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II Made in Brescia

LE ECCELLENZE BRESCIANE ALLA PROVA DELLA CRISICos’è Brescia? È una provincia che in montagna fa il ferro, in pianura fa il latte, in collina lo spumante, sui laghi il turismo, in città la finanza. Un’industria regina dei prodotti maturi e madrina dei processi moderni. Un’economia che pullula di piccoli grandi solisti, tuttora individualisti, dove mancano i direttori d’orchestra. Un mix di primario attrezzato, secondario avanzato, terziario relativamente arretrato e quaternario per ora attardato.

La sintesi a corredo del tito-lo è un flash sommario ma eloquente per racchiudere in una unica immagine primario

(agroalimentare), secondario (indu-stria) e terziario (commercio e servizi), i tre settori che compongono l’economia locale delle cui eccellenze ci occupiamo in queste pagine. Tre comparti che, come vedremo, annoverano aziende di-venute altrettanti “campioni” naziona-li, ossia Pmi che la pubblicistica specia-lizzata ama definire volta a volta quali “multinazionali tascabili” e “glocali”, mix di locale e globale. Con una avver-tenza. La lettura della realtà bresciana deve saper evidenziare la sua complessi-tà, ovvero saldare in una sola analisi la struttura (la statica delle cose che resta-no e sedimentano) con la congiuntura (la dinamica delle cose che cambiano e stanno cambiando sotto i colpi della crisi, purtroppo ancora in atto). Una lettura che deve essere in grado, inol-tre, di coniugare tali momenti in una visione d’insieme che sappia dare, suc-cintamente ma efficacemente, il senso del processo, cioè del cambiamento, poiché è questo che dà la misura della modernità e competitività di un “siste-ma” economico, sia in ambito locale che nazionale.

I DUE MODELLIBrescia può essere ancora definita “pe-riferia del Nord Ovest” e “anticamera del Nord Est”, come scrivevamo sulla stampa locale una ventina di anni fa? Sostanzialmente sì. Brescia racchiude in sé sia la grande industria fordista, meccanica e sider-metallurgica, orien-

tata al magazzino del Nord Ovest, sia la piccola industria “mercatista” mirata al mercato del Nord Est. Al primo model-lo, la cui genesi e le cui matrici risalgo-no all’inizio del secolo scorso, amplia-te e rafforzate nel corso del ”miracolo economico” del secondo dopoguerra, si sono aggiunte negli ultimi venti-trent’anni piccole imprese a tecnologia media e medio-alta. Aziende che, pur non facendo sistema come i settori omogenei tradizionali della meccanica (si vedano l’automotive, regina della meccanica locale, le armi, le presse, le macchine transfer, la pneumatica e il meccanotessile) e della sidermetallurgia (si vedano l’acciaio, l’ottone e l’allumi-nio e relativa tecnologia), sono tuttavia riuscite a diventare leader nazionali e ad imporsi sui mercati mondiali con

ottimi risultati (si ponga mente al bio-medicale, comparto ristretto ma signi-ficativo, all’impiantistica e tecnologie per energie rinnovabili, all’elettronica industriale e relativo hardware, all’au-tomazione e alcune “declinazioni” di software, limitate ma originali).

MATURI MA COMPETITIVITutto ciò premesso, va comunque ri-cordato che il nerbo della manifattura bresciana resta saldamente appannaggio dei cosiddetti settori “maturi”, vale a dire quelli che hanno o avrebbero por-tato a compimento il loro processo di perfettibilità tecnologica: acciaio, rame-ottone, alluminio, meccanica tra cui un meccanotessile (calze e collant in parti-colare) rimasto altamente concorrenzia-le. Maturi dunque ma competitivi. È

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IV Made in Brescia

La Guido Berlucchi ha infatti creato in Cile un’azienda da cento ettari che dal prossimo anno sarà in grado di im-mettere sul mercato sudamericano le prime bottiglie. Il Gruppo Ambrosi ha allacciato alcuni anni fa una organica alleanza con gli svizzeri del notissimo Emmentahl grazie ai quali può contare su sinergie commerciali che gli hanno aperto il mercato europeo.

LA SPECIFICITÀ BRESCIANALo scenario bresciano è comune ad altre aree industriali ma nel contempo, pur versando in una crisi analoga ad altre situazioni, presenta specificità peculiari seppur non esclusive. Siamo struttural-mente forti ma strategicamente debo-li. Anzi, è proprio l’oggettiva solidità strutturale a contenere e coltivare in sé il rischio di una soggettiva fragilità strategica. Strutturalmente forte perché al vecchio modello della grande impre-sa fordista del Nord Ovest orientata al magazzino si è affiancato nell’ultimo trentennio un nuovo modello di pic-cola impresa mercatista del Nord Est orientata al mercato (in tale senso si può dire che Brescia è “cerniera” geoe-conomica, provincia bifronte e bivalve in quanto periferia del Nord Ovest e anticamera del Nord Est). Strategica-mente debole perché la composizione dell’industria locale è fatta per quattro quinti di comparti maturi (siderurgia-metallurgia-meccanica-tessile) seppur competitivi, a tecnologia prevalente-mente media o medio-bassa con scarso valore aggiunto e alta intensità di ma-nodopera (all’interno di tale scenario vi sono ovviamente eccellenze meccaniche e sidermetallurgiche che hanno saputo restare molto efficienti).

SOLISTI, NON PLURALISTIIn secondo luogo perché l’individua-lismo dinamico delle sue imprese non è diventato pluralismo sistemico, non essendo riuscito per ora, poiché la strategia delle reti di cui si è parlato è solo agli albori, non solo a fare si-stema ma nemmeno a creare sinergie. Neppure la realtà distrettuale, che per definizione è un esempio di sistema produttivo corale in quanto plurale, è

coesa non essendo mai andata al di là del connotato meramente geografico e territoriale. Il “Club dei Distretti”, l’organismo di rappresentanza fun-zionale delle unità distrettuali oggi superato per non dire obsoleto, non ha mai saputo declinare una politica tale da collegare la forza della filiera produttiva alla flessibilità della sin-gola impresa. Vale a dire i due fatto-ri dai quali può scaturire una nuova coesione “coalizionale”, ci si perdoni il bisticcio, della “molecolare” realtà industriale dei nostri distretti. Ecco perché l’aggregazione tra reti orizzon-tali e filiere verticali è una prospettiva matura, realistica e fattibile, oltre che necessaria e ineludibile.

ECONOMIA E POLITICAMa c’è un’altra ragione tra le cause del-la fragilità strategica. Si tratta di una ragione soggettiva ovvero “politica” già richiamata in premessa, più labile e opinabile ma non per questo meno ingombrante. Ragione e ragioni criti-camente e polemicamente adombrate da noi inguaribili fordisti in quanto paladini della centralità dell’impre-sa rispetto al primato della politica, a proposito degli esiti delle due fusioni menzionate, quella in A2A e quella in Ubi Banca. Si tratta, in entrambe le aggregazioni, della mancata o caren-te attribuzione di poteri adeguati alla oggettiva valenza economica di una provincia come quella bresciana, che non sempre riesce a ritagliarsi sul pia-no nazionale il ruolo che le spetterebbe sulla base delle responsabilità, cioè del suo contributo alla formazione della ricchezza del Paese. Il mancato decol-lo dell’Aeroporto di Montichiari e gli innumerevoli rinvii (salvo la Brebemi, oggi finalmente avviata a buon fine) di infrastrutture vitali per il futuro dell’e-conomia e della società locali ne sono una palmare conferma. Come ne è una conferma la perdita di opportunità e di occasioni altrimenti irripetibili (il ci-tato polo logistico intermodale, ormai tramontato, la centrale termoelettrica bocciata, le nuove difficoltà sopravve-nute nei rapporti tra Brescia e Verona per l’aeroporto di Montichiari).

UNA NUOVA INDUSTRIALIZZAZIONEFerma restando l’importanze dei servizi e del terziario (turismo e commercio) per la formazione di un moderno ag-gregato economico, occorre ribadire – come hanno fatto recentemente An-tonio Gozzi, presidente di Federacciai, e il past president Giuseppe Pasini – la necessità di una vera e propria “reindu-strializzazione”. Ma come si presenta oggi lo scenario industriale bresciano? Una lenta e progressiva deindustrializ-zazione, ma in quale forma? Dequali-ficazione produttiva o un decremento quantitativo? Nascono nuove aziende o nuovi prodotti? Abbiamo perso le antiche eccellenze, come gli stampi e le presse, senza acquisirne di nuove, eccetto sporadiche esperienze che, pur lodevoli come si è già detto, non riesco-no a fare massa né a configurare nuo-vi comparti omogenei degni di questo nome. Si può parlare allora di declino, visto che il saldo della natalità aziendale locale, come confermano le ultime ri-levazioni statistiche (Unioncamere), è rimasto quasi positivo anche in questi anni di crisi? Siamo o non siamo in fase di deindustrializzazione dal momento che, nonostante l’aumento dei falli-menti, dei concordati e della cassa inte-grazione, ancora oggi nascono imprese in numero poco inferiore a quante ne muoiono? Ma quali imprese? Il vero treno perso da Brescia, ovvero la grande occasione di cui si parla da alcuni anni, non sono le assenti o carenti infrastrut-ture terziarie (finanziarie, commerciali, promozionali, comunicazionali o di servizi) quanto le declinanti strutture secondarie (industriali) che rischiano l’arretratezza o addirittura l’obsole-scenza in un mercato la cui globalità e interdipendenza non perdonano più il minimo ritardo.

NUOVE AZIENDE O NUOVI PRODOTTI? Il dato congiunturale positivo – la per-durante seppur ridotta natalità azien-dale – contrasta ma non sconfessa l’andamento negativo di un fenomeno strutturale quale la deindustrializza-zione in atto poiché, giova ribadirlo,

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V

il fatto che a Brescia nascano nuo-ve aziende non significa che nascano nuovi prodotti. Certo, meglio nuove imprese ancorché mature che nessuna impresa. Ma, paradossalmente, vi può essere un processo di “deindustrializza-zione qualitativa”, intesa come dequali-ficazione produttiva, pur in presenza di un relativo incremento quantitativo di aziende. È vero che vi sono sottosettori della meccanica – come l’automazione industriale, il transfer e l’integrazio-ne della robotica antropomorfa – che hanno segnato negli ultimi anni ottime performance sia in termini di quanti-tà numerica delle imprese che qualità tecnologica delle stesse. Ma si tratta di piccole aziende (in diversi casi di mi-cro-imprese) che non possono reggere la competizione internazionale se non nell’ambito di alleanze verticali di filie-ra, cioè di sinergie e aggregazioni alle quali concorrano le aziende della mede-sima filiera (catena) produttiva o della stessa sequenza (processo) tecnologica. Ma anche qui occorre un distinguo: le alleanze verticali di filiera sono pro-ponibili e fattibili nei beni strumentali assemblati (presse, macchine utensili, automazione), nella impiantistica com-plessa e nelle ingegnerie di processo, ossia in quei comparti alla cui realiz-zazione concorre la tecnologia di una pluralità di imprese.

QUALE IDEA DI BRESCIA? Che idea si vuole avere di Brescia? Cerniera industriale tra Nord Ovest e Nord Est, ossia un realistico spazio geoeconomico “naturale” e vocazionale dove Brescia non avrebbe concorrenti ma alleati come l’omologa Bergamo, con la quale poter attivare interessanti sinergie operative come è già avvenu-to con l’incorporazione della Bas nella

vecchia Asm? O frontiera commerciale verso l’Europa, un ruolo dove Brescia potrebbe incontrare l’insormontabile concorrenza di Verona alla cui storica collaudata vocazione mercantile non può illudersi di sostituirsi, potendo invece proficuamente interfacciarsi e relazionarsi? Per inciso, come Bergamo dal punto di vista commerciale è tribu-taria di Milano, Brescia lo è di Verona – lo stesso aeroporto di Montichiari, in condominio con Verona, ne è una conferma. Per ciò sarebbe velleitario e volontaristico coltivare sogni di ege-monia terziaria non avendone le ca-ratteristiche storico-culturali e non di-sponendo delle condizioni strutturali, geografiche e geoeconomiche (il Bren-nero) né delle coordinate logistiche (lo snodo ferroviario-aeroportuale). Brescia, come Bergamo, non sarà mai “porta” commerciale, come incauta-mente sostenuto da una abborracciata e addomesticata (per non dire asservi-ta) sociologia di importazione, essendo invece retrovia produttiva e retroterra industriale, analogamente al capoluo-go orobico. Il che non significa una di-minutio o una condizione di inferiori-tà o subalternità rispetto alle metropoli terziarie, anzi. Se la porta commerciale naturale di Brescia è Verona, Milano lo è di Bergamo, e come quest’ultima ha trovato un rapporto sinergico con la capitale lombarda, Brescia può trovarlo con il capoluogo veneto. Per ciò, alla luce di quanto detto sopra e di un pos-sibile rapporto consensuale e non con-flittuale con Verona in vista della attua-zione di realistiche sinergie operative commerciali e terziarie, va sollecitato e incoraggiato il superamento della querelle tra Brescia e Verona in ordine al futuro gestionale dell’aeroporto bre-sciano. Viste le premesse di tale con-trasto – la sostanziale irrilevanza della componente bresciana e la miope sor-dità di quella veronese – si tratta di una battaglia persa in partenza.

BRESCIA CERNIERA (COME LA NUOVA BANCA)Brescia può aspirare realisticamente a svolgere un duplice ruolo di interfaccia tra i due Nord del Paese: cerniera in-

dustriale con Bergamo, “filiera” di ser-vizi con Milano, frontiera commerciale con Verona. Le due cose non sono in contraddizione, così come le due po-larità non sono contrapposte. Brescia può essere trainante come è già di fat-to nella sinergia industriale e bancaria con Bergamo (Ubi Banca), compri-maria come lo è già nella utility con Milano (A2A), trainata nella sinergia commerciale con Verona (aeroporto e attività fieristiche e terziarie). Senza velleitari protagonismi nel primo caso né subalterni gregarismi nel secondo, ma su un piano di pari dignità, consa-pevole delle diverse potenzialità e dif-ferenti specificità. Dunque, tra le due interfacce – cerniera industriale e di servizi, frontiera commerciale e terzia-ria – Brescia può condividere la prima con Bergamo e Milano e la seconda con Verona. In entrambi i casi non può illudersi di poter fare da sola poi-ché, come ha ampiamente dimostrato la vicenda della costituzione di A2A (una inferiorità oggettiva figlia della oggettiva geoeconomia, come ha am-messo recentemente lo stesso sindaco Paroli nell’intervista concessa al mensi-le bresciano “Dodici”) Brescia, pur og-gettivamente importante, è una medio capoluogo di una grande provincia. È inutile allora rincorrere impossibili lea-dership territoriali, ma occorre recupe-rare la funzione strategica di interfaccia tra i due Nord del Paese – a Ovest con Bergamo e Milano, a Est con Verona – nell’ambito di una possibile futura area metropolitana omogenea il cui asse geoeconomico portante può collegare lungo la medesima direttrice Lom-bardia orientale e Veneto occidentale. Con Brescia, appunto, a far da cernie-ra. Esattamente la stessa prospettiva geoeconomica, ossia l’interfaccia tra Nord Ovest e Nord Est, in cui si sta ponendo e muovendo il costituendo Crelove (Credito Lombardo-Veneto), la nuova banca presieduta da Franco Spinelli forte di 25 milioni di capitale (30 milioni con l’imminente aumento già deliberato) e 105 soci distribuiti tra le province di Bergamo, Brescia, Vero-na e Vicenza.

Alessandro Cheula

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Made in Brescia

A leggere le ultime note con-giunturali delle associazioni di categoria o della Camera di Commercio sull’andamen-

to dell’industria bresciana, in molti si metterebbero le mani nei capelli. Le trimestrali di analisi sembrano sem-pre più spesso “montagne russe” che passano da “timidi segnali di ripresa” a “brusche frenate della produzione”. In comune tanti segni negativi in quasi tutti i settori; a reggere sembrano essere solo quelle aziende che hanno una quo-ta del proprio fatturato realizzato con le esportazioni, che sono leader in settori di nicchia e che hanno puntato e inve-stito molto sull’innovazione di prodot-to e di processo. Per loro il futuro pare essere meno nero, anche se l’evolversi della situazione macroeconomica è così veloce da rendere le risposte ai cambia-

menti un importante elemento per af-frontare la crisi. Altrettanto certo è che, tra i non addetti ai lavori, sono presenti alcuni luoghi comuni. Uno tra i tanti riguarda l’estero: per essere protagonisti oltre confine non sono di ostacolo né la grandezza della società, tanto meno il prodotto maturo o il settore poco dinamico di appartenenza. Il tessile, ad esempio, evidenzia quote di export che, per alcune aziende, oscillano fra l´80 e il 90% del fatturato. E non serve neanche andare tanto lontano se è vero, come è vero, che i primi tre mercati di riferimento per Brescia sono la Germa-nia, la Francia, che insieme superano il 22% del totale, e gli Usa. Tre quarti delle vendite della provincia trovano destinazione in Europa ed anche i dati indicano come, nel 2012, gli ordini interni calano di un 2% mentre quel-

li stranieri crescono dello 0,8%. Ten-denza che conferma i dati dello scorso anno, che hanno registrato esportazio-ni in crescita del 17%, posizionando la provincia al quarto posto in Italia, dopo Milano, Torino, Vicenza. Al top macchinari, metalli e prodotti della si-derurgia.Sempre i numeri, questa volta a livello regionale, dicono che nel 2011 la pro-duzione bresciana era più forte rispetto a quella lombarda; nel primo trimestre di quest’anno, invece, la provincia ha evidenziato un calo del 1,3% rispetto all’ultimo trimestre del 2010, contro lo 0,7% regionale. E se la Lombardia ha segnato un arretramento di die-ci punti nel rapporto con il periodo, Brescia ne ha lasciati sul terreno ben tredici. Per quanto riguarda il credito erogato a livello territoriale, altro pro-

Fonte: Camera di Commercio di Brescia.

L’INDUSTRIALe “montagne russe” brescianeA reggere meglio sono le aziende che hanno importanti quote di export, che sono leader in settori di nicchia e che hanno investito sull’innovazione. Importante la velocità di risposta ai cambiamenti.

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VIIIndustria

blema per molte imprese bresciane, ha registrato una frenata inferiore alla media lombarda nel periodo gennaio-marzo di quest´anno: -2,5% contro il -2,9%. Analizzando solo il comparto manifatturiero, secondo i dati emer-si dal Rapporto sull’economia della Regione Lombardia pubblicato dalla Banca d´Italia, i prestiti sono dimi-nuiti del 5,3%, un dato superiore alla media lombarda (-4%). Nello stesso rapporto si legge che “la crisi ha mes-

so a dura prova soprattutto le piccole e medie imprese, che hanno portato il tasso di sofferenza bancaria al 2,6%, il doppio della media. Le speranze future, per vincere la sfida con una congiun-tura sempre più difficile, sono riposte nell’innovazione e nell’export verso i Paesi extra-Ue che, per la Lombardia, vale il 45% e per Brescia è del 35%. Secondo i dati di una recente ricerca della Camera di commercio di Monza e Brianza su dati Istat-Coeweb, com-

plessivamente l’interscambio commer-ciale della Lombardia vale oltre 170 miliardi, con Milano che esporta 27,5 miliardi di euro, seguita da Brescia (10,1 miliardi di euro), che in un anno è cresciuta di più con le sue esportazio-ni rispetto alla media lombarda di ben il 19,9%, così come Monza e Brianza (+15,8%). Un dato altrettanto certo è che in Lom-bardia le imprese attive pesano per ol-tre il 15% del sistema imprenditoriale italiano. E nonostante la crisi si sia fat-ta sentire, nel 2011 si è registrata una lieve crescita nell’imprenditoria lom-barda: +0,3% rispetto al 2010. Tra le province spiccano Milano (34,6% del totale regionale), Brescia con 111.938 unità (13,5%: il manifatturiero conta ben 15.866 unità totali) e Bergamo con 87.372 imprese (10,5%), che si collo-cano anche nel panorama nazionale tra le prime 15 province italiane per nu-mero di imprese attive (rispettivamente in seconda, sesta e dodicesima posizio-ne). Il settore manifatturiere pesa per il 12,9%. In crescita il settore fornitura di energia elettrica e gas che registra, ri-spetto al 2010, un aumento del 38,6%. Tornando più alla stretta attualità, le ultime note congiunturali mettono in evidenza che l’attività delle impre-se manifatturiere bresciane registrano “una significativa flessione, dopo il modesto incremento dei primi tre mesi dell’anno”. A pesare è il perdurare della debolezza della domanda interna, del peggioramento del quadro macroeco-nomico europeo e del rallentamento degli ordini dai mercati extra-Ue, vero sostegno al “made in Brescia” negli ulti-mi mesi. Le previsioni a breve propen-dono per una nuova contrazione per volumi, occupazione e domanda sia interna che estera. Meno pessimistiche, ma moderatamente negative, le aspet-tative riferite agli ordini dai Paesi extra-Ue, conseguenza del deterioramento della situazione internazionale. L’an-damento del manifatturiero territoriale sarà infatti fortemente condizionato dagli eventi legati al contesto naziona-le e internazionale che per le aziende si traduce in evidenti ricadute, tra l’altro sulla disponibilità di credito.

Foto ATB Riva Calzoni.

L’INDUSTRIALe “montagne russe” brescianeA reggere meglio sono le aziende che hanno importanti quote di export, che sono leader in settori di nicchia e che hanno investito sull’innovazione. Importante la velocità di risposta ai cambiamenti.

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VIII

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Made in Brescia

Un comparto storicamente importante dell’industria bresciana per occupazio-ne e capacità produttiva è

sicuramente la siderurgia, e per que-sto merita un approfondimento. Bre-scia, infatti, è da sempre la capitale della produzione di acciaio da forno elettrico. Prima della crisi forse molti consideravano l’industria siderurgica come “old economy”, aziende “vec-chie” soprattutto se confrontate con gli “effetti speciali” che la finanza creativa sembrava proporre e garantire. Quasi archeologia industriale rispetto a bond e derivati. Poi, quando la nuova finan-za ha dimostrato tutti i suoi limiti e ha trascinato il mondo in una crisi quasi senza precedenti, l’economia ha risco-perto quella che, ieri come oggi e non a caso, è chiamata industria di base. Per troppo tempo il settore siderurgico ha lavorato in un clima nel quale a propo-sito dei settori dell’economia esisteva-no i buoni e i cattivi.Da una parte i buoni rappresentati dalla finanza, dai servizi, dalle impre-se innovative o presunte tali; dall’altra i brutti, gli sporchi e i cattivi, vale a dire le industrie di base che sono state percepite come inquinanti, energy in-tensive, obsolete nei processi e nei pro-dotti comunque non più alla moda e di cui, di fatto, non sembra interessare il sia pure importante impatto occupa-zionale diretto e indiretto. Le cronache più recenti ne sono state una riprova. Eppure – e la storia di Brescia ne è un esempio – dove siderurgia e metallur-gia sono cresciute c’è stato sviluppo e

occupazione. Ma se ancora non fosse sufficiente, basterebbe guardare il ruo-lo di questo comparto in quei Paesi, come Cina, India, Brasile, che forse con superficialità vengono ancora de-finiti “in via di sviluppo”, per capire l’importanza del settore. Una siderur-gia però che in Italia, e a Brescia in par-ticolare, è stata capace di trasformarsi in modo profondo. I numeri lo confer-mano. Negli ultimi cinque anni il set-tore ha realizzato investimenti fissi per oltre 5,5 miliardi di euro, di cui quasi 1 miliardo in attività legate alla tute-la dell’ambiente e alla sostenibilità di lungo periodo (dati Federacciai). Con costanza gli imprenditori del settore hanno continuato a modernizzare, mi-gliorare, inventare processi e prodotti battendosi per la sopravvivenza e lo sviluppo di un settore strategico per l’economia nazionale. E ancora una volta sono i numeri a confermarlo. Dal comparto delle costruzioni, alla mec-canica, all’auto, all’oil&gas, alla stessa industria delle energie rinnovabili, c’è una domanda europea che, sia pure lontana dalle dimensioni record del 2007-2008, si attesta ancora intorno ai 150 milioni di tonnellate/anno. E se si considera che l’Italia continua ad essere il secondo maggior produttore di acciaio fra i Paesi dell’Unione Euro-pea dopo la Germania, e il primo per la produzione da forno elettrico con “capitale” Brescia, si può facilmente comprendere perché è importante che si mantengano questi primati, nono-stante il nostro Paese sia totalmente sprovvisto di materie prime e con i co-

sti energetici tra i più alti del mondo. La forza della siderurgia italiana, e bre-sciana in particolare, è nell’eccellenza gestionale delle sue imprese, nella scel-ta di destinare con continuità ingenti investimenti, ma anche nella straordi-naria flessibilità e capacità di adatta-mento ai contesti di mercato e nell’ef-ficienza che non ha eguali in Europa. Altrettanto certo è che per salvaguar-dare e far prosperare queste eccellenze, “Il primo dovere degli industriali – ha dichiarato il neo presidente di Fede-racciai, Antonio Gozzi, bresciano d’a-dozione – è di continuare a investire nelle proprie aziende anche in questi anni difficili”. Puntando soprattutto su due direttrici: investimenti in in-

L’INDUSTRIASiderurgia, tanti investimenti per continuare a trasformarsiL’Italia continua ad essere il secondo produttore di acciaio tra i paesi dell’Unione europea, dopo la Germania, e il primo per la produzione da forno elettrico con capitale Brescia

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Industria IX

novazione, che nel settore siderurgico è soprattutto di processo, e nel rispar-mio energetico. Altre note dolenti che devono scontare “distorsioni cogni-tive”, come le ha definite il presiden-te di Federacciai, sono soprattutto il tema della CO2 e la gestione europea del Protocollo di Kyoto. “Continuo a ritenere che sia da dementi – precisa Gozzi nella sua relazione all’assemblea dei soci senza usare giri di parole – far gravare solo sull’industria di base eu-ropea, che rappresenta meno del 10% delle emissioni mondiali, tutto il peso economico del Protocollo senza alcuna reciprocità con i sistemi industriali e siderurgici di tutto il resto del mondo. Agendo sul 10% delle emissioni non si risolve ovviamente nulla in termini di riscaldamento dell’atmosfera, ma si ottiene il brillante risultato di spiazza-re, forse definitivamente, la siderurgia europea rispetto al resto della concor-renza mondiale. E ciò non riguarda solo la siderurgia da altoforno e a ciclo integrale, ma anche quella da forno elettrico, che paga il conto delle CO2 attraverso il forte rincaro dell’energia elettrica la cui produzione è gravata dai costi del Protocollo”. Un’altra questione importante riguar-da il rottame che è l’unica “miniera” di materie prime per la siderurgia

I “NUMERI VERDI” DELLE ACCIAIERIEI numeri del “Rapporto Ambientale 2011” di Federacciai mostrano come lo sforzo dell’industria siderurgica italiana, in pochi anni e “senza alcun aiuto da parte dello Stato”, abbia saputo trasfor-mare l’impatto ambientale del settore in modo tale da arrivare alla situazio-ne attuale con le imprese italiane che oggi sono da esempio per il mondo in-tero. “Numeri verdi”, come li definisco-no gli imprenditori del settore, che sfa-tano tanti luoghi comuni e dicono che: quasi il 15% del totale degli investimenti annuali in siderurgia è dedicato a inter-venti di carattere ambientale. Nel solo 2008 tali investimenti hanno superato i 200 milioni di euro e si sono mantenuti sopra i 150 nel 2009/2010 e 2011, cioè anche in anni di crisi. E ancora, il 100% degli impianti siderurgici italiani adotta le migliori tecniche disponibili (BAT) per la prevenzione e il controllo integrati dell’inquinamento con oltre il 70% della produzione nazionale di acciaio che viene realizzato in impianti dotati di si-stemi volontari di gestione ambientale certificati Iso 14001. Inoltre l’acciaio è

il materiale più riciclabile e riciclato al mondo. L’Italia è il primo Paese euro-peo per riciclo di materiale ferroso, con una media di circa 20 milioni di tonnel-late annue di materiale che viene “rifu-so” nelle acciaierie nazionali, e circa il 70% di tutti i rifiuti generati dai processi siderurgici sono avviati a recupero per ricavarne nuove materie prime o pro-dotti (il 100% della loppa di altoforno, il 75% della scoria di forno elettrico, il 90% delle polveri dei fumi delle acciaierie). La siderurgia italiana, a partire dal 1990, ha ridotto di oltre il 40% le proprie emis-sioni specifiche di CO2 e negli ultimi 5 anni, le acciaierie hanno ridotto di cir-ca il 40% le proprie emissioni specifiche di polveri in atmosfera. Ridotti anche i consumi specifici di acqua per gli usi in-dustriali del settore che sono calati del 14% dal 2005 a oggi, così come i consu-mi energetici, per tonnellate di acciaio prodotto in Italia, si sono ridotti di circa il 20% dal 1990 ad oggi confermando la siderurgia italiana tra i grandi produt-tori europei per l’efficienza energetica complessiva.

disponibile in Europa e proprio per questo ha un valore strategico fonda-mentale. “Da un lato – ricorda Gozzi – solo recentemente l’Unione è giun-ta, finalmente, a definire il rottame un non-rifiuto e quindi a semplificarne la circolazione e il riciclo”, ma dall’altro le richieste di una qualche forma di protezione delle nostre miniere “dalle incursioni a Nord e a Sud di soggetti extraeuropei che vengono a fare incetta del nostro rottame, hanno sempre avu-to come risposta un presunto fair trade

totalmente astratto perché non basato sul alcun serio principio di simmetria e di bilateralità”. Insomma quello che vale per gli altri non può valere per la siderurgia euro-pea. Per questo gli imprenditori italiani chiedono, nel commercio internazio-nale dei loro prodotti, “il rispetto del-le regole di mercato simmetriche e la loro applicazione corretta”. Il tutto con l’obiettivo di difendere un importante settore industriale qual è la siderurgia italiana e bresciana in particolare.

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ATB Riva Calzoni, la carta vincente è la diversificazione produttivaPunto di riferimento nazionale e internazionale per le forniture petrolchimiche e idroelettriche, il gruppo di Roncadelle ha continuato ad espandersi, in Italia e all’estero, grazie a investimenti costanti

Un know-how tutto italiano, investito e fatto fruttare sui mercati dei paesi emergen-ti: questa è la formula che

ha permesso ad ATB Riva Calzoni Spa di non risentire affatto inizialmente della crisi e ad avvertirne qualche colpo oggi, restando pur sempre tra le azien-de leader di settore. ATB Riva Calzoni – realtà del Gruppo Trombini – possiede due unità produt-tive nelle aree di Brescia e di Venezia. Nello stabilimento principale – situa-to a Roncadelle, dove ha sede anche il quartiere generale del gruppo –, ven-gono realizzate le lavorazioni mecca-niche più diverse, attività di calandra-tura, formatura, saldatura, trattamenti termici, ecc.. Lo stabilimento (150mila mq di area totale, di cui circa 35mila su area coperta) è stato rimodernato sia dal punto di vista strutturale che delle attrezzature e conta su veri e propri punti di forza che lo rendono all’avanguardia: un forno e un bunker di grandi dimensioni (6x6x18 m), un laboratorio interno con numerose pro-ve disponibili e un reparto di forma-tura. Il secondo stabilimento, dedicato al montaggio finale dei componenti, è situato nell’area industriale di Porto Marghera (Venezia), occupa un’area totale di circa 20mila mq, di cui circa 11mila su area coperta, ed è situato a soli 400 metri dal molo di carico: ca-ratteristica questa che rende possibile fabbricare e spedire apparecchiature senza limiti di peso e dimensioni. Un terzo impianto si trova in Malesia ed è una joint-venture che si occupa prin-cipalmente della produzione di appa-

recchiature di processo per il settore oil&gas e l’industria petrolchimica.Grazie alla ricerca applicata ai processi di fabbricazione e alla conoscenza della tecnologia della saldatura, ATB Riva Calzoni ha raggiunto eccellenti risultati a livello mondiale sia nella costruzione di reattori e di pressure vessels ad eleva-to spessore per l’industria dell’oil&gas, della raffinazione e petrolchimica, sia nella fabbricazioni di componenti per gli impianti idroelettrici e per gli im-pianti nucleari. Una specifica divisione dedicata ai servizi – che comprendono in particolare: formatura fondi, labo-ratorio e prove non distruttive, lavora-zioni meccaniche e scuola di saldatu-ra – permette all’azienda di offrire ai propri clienti delle prestazioni ad alto valore aggiunto. “Nel 2008 abbiamo raggiunto addirittura un fatturato re-cord e anche gli anni successivi siamo andati molto bene. Quest’anno e il prossimo sono più problematici, anche perché stiamo evadendo commesse di 3 o 4 anni fa e quindi le ricadute della

ATB RIVA CALzONIL’esercizio 2011 (dati in milioni di €)

Capitale

Patrimonio netto

Fatturato*

Ebitda

Utile netto

Dipendenti

12

33,4

115,5

11,4

2,3

288* Il fatturato è realizzato per circa il 55%nell’oil&gas e per il 45% nell’idroelettrico

crisi per noi non sono state immedia-te. In ogni caso la strategia per reggere la crisi è diversificare l’attività”, spiega Elmondo Presutti, giovane vice presi-dente dalla formazione internazionale. Proveniente dalla francese Edf, Presut-ti dal 2003 ha messo a disposizione dell’azienda italiana l’esperienza e le ca-pacità acquisite nel gruppo d’oltralpe, occupandosi prevalentemente di svi-luppo organizzativo e di nuove linee di business. È proprio la differenziazione della produzione la carta vincente che ha consentito di affrontare in modo efficace le turbolenze di questi ultimi anni, facendo della solidità del grup-po uno strumento fondamentale con il quale affrontare le fluttuazioni del

X Made in Brescia

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ATB Riva Calzoni, la carta vincente è la diversificazione produttiva

mercato. Allo stesso tempo il gruppo si trova oggi a percorrere un cammino di integrazione tra le diverse realtà azien-dali, con lo scopo di fornire prodotti “chiavi in mano” a un mercato sempre più globalizzato ed esigente.

L’INTERNAZIONALIZZAZIONEIl gruppo guarda avanti con ottimismo, consapevole di essere uscito ancora più rafforzato dalle esperienze vissute negli ultimi anni, convinto di poter coglie-re le opportunità che si presenteranno

nel prossimo futuro. Con l’obiettivo di perseguire la tradizionale politica di cooperazione per ottenere una miglio-re penetrazione del mercato in aree di interesse strategico, ATB Riva Calzoni ha stabilito negli ultimi anni numerose partnership con i produttori locali nei nuovi Paesi industrializzati, sviluppan-do la capacità di dare un contenuto locale alle sue offerte. “Questo non si-gnifica delocalizzare, bensì creare part-nership che permettano lo sviluppo di nuove quote di mercato nel paese in cui operiamo”, spiega Presutti. Dal 2000 il gruppo opera in Malesia, oltre che in India e in Sudamerica: “Tutto ciò che facciamo ha una forte connotazione internazionale, i nostri mercati princi-

pali oggi sono i paesi cosiddetti in via di sviluppo, dalla Colombia ai paesi del Golfo passando per l’India, perché continuando a crescere dal punto di vista demografico hanno più bisogno di energia”, continua il vicepresidente. Il respiro internazionale è ciò che per-mette di sviluppare altre attività in Ita-lia, dove ci sono “molti imprenditori, molta competenza, però in un sistema Paese che offre poco sostegno. L’unico modo per andare avanti è fare cose che altri non riescono a fare, in un’ottica di perenne sviluppo: senza abbandonare i nostri settori storici, quali l’idroelettri-co e il petrolchimico, ci indirizziamo verso nuovi settori ad alto grado tecno-logico per proporre prodotti completi vendibili dall’Italia”.

GLI INVESTIMENTI NELL’EOLICODa qui il grande interesse per l’eolico, che prevede un piano a livello europeo: nei mesi scorsi il gruppo ha acquisito il 40 per cento della tedesca S&G Engine-ering GmbH, società specializzata nella progettazione e nell’ingegnerizzazione di turbine eoliche. Una tappa nel percorso dello sviluppo aziendale in questo setto-re, che si prevede avere una forte crescita nei prossimi anni. L’obiettivo è coniuga-re le capacità professionali di ATB Riva Calzoni all’esperienza dei tedeschi, per lanciare sul mercato europeo le prime turbine a marchio Atb Riva Calzoni e S&G. La divisione Eolico dell’azienda dovrebbe essere in grado di produrre turbine da 500, 700 e 1.700 kw, ma –

LA SOCIETÀLa storia di Atb Riva Calzoni Spa, guidata da Sergio Trombini, è relati-vamente recente, poiché la sua fon-dazione è del 2003: ma le radici sono ben più antiche, poiché quell’anno avviene semplicemente la fusione tra l’esperienza, le capacità tecnologi-che e le strutture di Acciaieria e Tu-bificio di Brescia (ATB) e Riva Calzoni Impianti (Riva Calzoni). Le due socie-tà avevano operato singolarmente per oltre 100 anni nel settore della progettazione, produzione e instal-lazione di attrezzature meccaniche per varie applicazioni industriali. ATB – nata nel 1934 dalla fusione tra la “So-

cietà Italiana Tubi Togni” e la “Società Siderurgica Togni”, entrambe fonda-te nel 1903 – si è espansa grazie alla capacità di interpretare le crescenti necessità del mercato in termini di fornitura di componenti per centrali idroelettriche, termoelettriche e per l’industria dell’oil&gas, di raffinazione e petrolchimica in genere. Riva Cal-zoni ha operato, con nomi diversi dal 1834, nella progettazione, produzione e installazione di apparecchiature per le centrali idroelettriche e idrauli-che. Oggi, Atb Riva Calzoni si compo-ne di 4 divisioni: oli&gas, idroelettrico, nucleare e servizi.

precisa Presutti – il core business sarà in ogni caso la produzione e la commercia-lizzazione di turbine di medie dimensio-ni. Tuttavia Presutti non crede che l’eo-lico possa essere l’energia del futuro in Italia, per questioni geografiche e strut-turali. Allora qual è l’energia dell’Italia di domani? “Difficile rispondere: ormai l’idroelettrico ha poco spazio, il nucleare è sbarrato, la politica energetica italiana è indirizzata verso lo sviluppo di energia da fonte rinnovabile”.

IL CODICE ETICOCiò che l’azienda ha però ben chiaro è il suo codice etico, che viene definito la sua “Carta Costituzionale”: una carta dei diritti e doveri che definisce la responsa-bilità etica e sociale di ogni partecipante all’organizzazione aziendale. Il Codice Etico è un mezzo efficace per prevenire comportamenti irresponsabili o illeciti da parte di chi opera in nome e per con-to dell’azienda perché introduce una de-finizione chiara ed esplicita delle proprie responsabilità etiche e sociali verso tutti i soggetti coinvolti direttamente o indiret-tamente nell’attività dell’azienda (clien-ti, fornitori, soci, cittadini, dipendenti, collaboratori, istituzioni pubbliche, as-sociazioni ambientali e chiunque altro sia interessato dall’attività dell’azienda). I destinatari sono pertanto chiamati al rispetto dei valori e principi del Codice Etico e sono tenuti a tutelare e preserva-re, attraverso i propri comportamenti, la rispettabilità e l’immagine dell’azienda, nonché l’integrità del suo patrimonio economico e umano.

Industria XI

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XII

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Made in Brescia

Feralpi, gli investimenti come ricetta anti crisiNel 2009-2010 il gruppo siderurgico ha investito 72 milioni di euro in tecnologia per rendere più efficienti gli impianti e destinato oltre 24 milioni alla sicurezza. La formazione è considerata una leva organizzativa fondamentale: ad oggi sono stati realizzati tre corsi biennali, post diploma, cui hanno partecipato 60 giovani periti industriali

Se l’eccellenza è il risultato del-la combinazione di molteplici fattori, il Gruppo Feralpi di sostanza ne ha messa molta per

raggiungere importanti risultati non soltanto economici, sempre più rari di questi tempi, ma anche tecnologici, so-ciali e ambientali. A confermarlo sono ancora una volta i conti. Nel 2011 il Gruppo Feralpi ha prodotto 2,09 milioni di tonnellate di acciaio in billette (+21,7% rispetto al 2010). In crescita sia la produzione di prodotti finiti (i laminati) con 1,83 mi-lioni di tonnellate (+18,8%), sia quella dei prodotti da trasformazione a freddo (i derivati) che, con 610mila tonnella-te nel 2011, chiudono l’anno con un +6%. Per un fatturato di 1,118 miliar-di di euro contro gli 819 milioni del 2010 (+36,5%). Fondamentale la com-ponente estera del gruppo che, con il 56% del totale, contro il 48% dell’an-no precedente, ha rappresentato la par-te preponderante del fatturato. Bene anche la domanda oltre i confini nazio-nali, tra cui spiccano il mercato nord europeo e la richiesta nord africana. E se il mercato domestico traballa anche

nel 2012, complice un’edilizia inges-sata, per l’azienda si attendono buone performance nei mercati nord europei anche nella seconda metà dell’anno. La capacità di intercettare ordini ad ampio raggio è diventata, infatti, un fattore chiave per il futuro del gruppo. Ci sono però fattori esterni all’impre-sa che ne minacciano la competitività. Tra i più “dolorosi” e comuni al settore siderurgico, c’è quello dell’energia. In Italia la bolletta energetica è media-mente più “salata” del 30%. Un gap dovuto all’assenza di politiche energeti-che che non sono state in grado di dare

all’Italia un sistema energetico basato su un mix produttivo più equilibrato. Di fronte a questa situazione, Feralpi ha reagito investendo risorse per otti-mizzare il proprio assetto impiantistico.Nonostante l’imperversare della crisi, nel biennio 2009-2010 sono stati in-vestiti 72 milioni di euro in tecnologia per rendere efficienti gli impianti, mi-nimizzare i costi e garantire competi-tività sul mercato internazionale. Di particolare importanza l’installazione, a fine 2010, del nuovo forno fusorio che ha ridotto i consumi energetici, miglio-rato la resa metallica e ha consentito un aumento della produttività oraria.Ammontano invece a 24,5 milioni gli investimenti diretti in ambito sicurezza e ambiente nel biennio 2009-2010. Il Gruppo ha così agito su un altro aspet-to critico dell’industria siderurgica, gli infortuni sul lavoro: “Abbiamo intro-dotto un codice etico – precisa il pre-sidente del Gruppo Feralpi, Giuseppe Pasini – e gli investimenti in sicurezza ci consentono ora di dire che la nostra incidenza di infortuni è, in ambito si-derurgico, tra le migliori in Italia e in Europa”.Nel 2011, il Gruppo ha continuato destinare risorse agli investimenti che sono stati pari a 62,4 milioni di euro, 20 milioni in più rispetto all’anno pre-cedente. Numeri e risultati che trovano riscontro nel bilancio di sostenibilità di Feralpi che ha fatto della trasparenza e continuità i due binari su cui imposta-re un cammino di sviluppo sostenibile. Dal 2004 lo ha fatto del tutto volon-tariamente facendo della CSR (Corpo-rate Social Responsibility) una com-ponente integrante della governance

Fatturato

Margine operativo

Risultato operativo

Utile ante imposte

Utile netto

819.529

33.179

- 1.324

- 3.307

- 2.556

1.118.698

58.974

23.632

16.826

9.588

2010 2011

FERALPI SIDERURGICA SPA Bilancio consolidato 2011 (dati in migliaia di euro)

Il presidente del Gruppo Feralpi,Giuseppe Pasini.

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Industria XIII

aziendale che ha portato il Gruppo alla pubblicazione, nel dicembre 2011, del quarto bilancio sociale nel quale sono stati rendicontati gli esercizi 2009 e 2010. Quest’ultimo bilancio costituisce un ulteriore tassello di un progetto che testimonia l’impegno dell’azienda ver-so l’adesione ai principi di trasparen-za, lealtà e apertura al dialogo in linea con i principi inseriti nel Codice Etico aziendale. “La tutela della qualità della vita e dell’ambiente e la coesione so-ciale – afferma Pasini – sono obiettivi che devono essere affiancati alla soste-nibilità economica di un’attività im-prenditoriale, soprattutto se svolta in un settore come quello industriale su cui convergono gli interessi di molti stakeholder interni ed esterni all’im-presa”.L’impatto dell’attività, unito alle recen-ti turbolenze economiche, ha portato l’azienda ad adottare, ancora su base volontaria, lo standard internaziona-le GRI (Global Reporting Initiative), nella versione predisposta per il settore minerario e metallurgico, attualmente il più diffuso e rigoroso strumento di lettura della rendicontazione di so-stenibilità. Uno strumento allargato all’intero gruppo su scala internazio-nale, comprendendo dunque non solo tutte le controllate, ma anche le attività all’estero, Germania in testa. In questo contesto, il bilancio sociale del Grup-po Feralpi ha ottenuto da parte del GRI l’Application Level A+, ovvero il massimo riconoscimento possibile. Un risultato al quale Feralpi ha deciso di dare continuità proseguendo con i programmi di investimento per ridur-

re l’impatto ambientale e rendere più efficienti gli impianti. Gli effetti della crisi non hanno modificato la strategia Feralpi che punta sull’innovazione tec-nologica come fattore competitivo di lungo periodo. La società è infatti con-vinta che l’adozione dei principi della responsabilità sociale implichino ne-cessariamente una politica strategica e gestionale integrata con i dettami della CSR (Corporate Social Responsibili-ty) affinché essa non sia un semplice strumento di make-up aziendale o di supporto alle attività commerciali, ma una linea guida costante nel tempo per l’intero Gruppo. Ma non c’è solo la tecnologia. Per Fe-ralpi, infatti, la formazione del perso-nale ha un ruolo fondamentale nella generazione, sviluppo e mantenimen-to delle conoscenze e delle capacità degli individui, su cui si basa il van-taggio competitivo di qualsiasi im-presa. Un principio ancora più valido in siderurgia dove sono richieste alte competenze tecniche e professionali. La formazione rappresenta, inoltre, la leva principale tra le esigenze organiz-zative e le caratteristiche delle persone e delle loro aspettative, promozione dei singoli, sviluppo aziendale e ag-giornamenti. Una filosofia che offre il meglio quando è rivolta ai giovani. È in questo contesto che si è inserito il contratto di apprendistato professio-

nalizzante, nato per avvicinare il mon-do della scuola al mondo del lavoro e per contribuire a risolvere i problemi di turn over nei reparti. Il progetto – grazie a un protocollo d’intesa tra Fe-ralpi, Provincia, Comune di Lonato, Ufficio Scolastico Provinciale, Azienda Speciale G. Zanardelli, Itis Cerebotani di Lonato e Isfor 2000 – ha permesso di maturare competenze utili all’inse-rimento duraturo e qualificato di gio-vani, nei settori meccanico-metalmec-canico ed elettrotecnico-elettronico. L’iniziativa vuole stimolare i giovani per favorire una carriera di alta specia-lizzazione, alternativa all’Università, la garanzia di assunzione al termine del percorso formativo, un inserimento e una retribuzione allineata a quella del personale di pari livello. Ad oggi sono stati realizzati tre corsi biennali, cui hanno partecipato 60 giovani ne-odiplomati periti industriali. Di que-sti, 48 hanno concluso con successo il ciclo formativo e sono stati assunti a tempo indeterminato. “Abbiamo in-vestito significative risorse – spiega il presidente Pasini –, ma l’attenzione ai giovani da parte delle aziende non è solo un impegno sociale è una ne-cessità per far fronte alla concorrenza. Investire sui giovani è il nostro futuro. Solo così vinceremo le crisi e saremo competitivi per continuare ad essere protagonisti”.

ENERGIA DAL VAPORE CON IL PROGETTO HREIIRecuperare energia dal vapore. Que-sto è il progetto che Esf, società del Gruppo Feralpi con sede a Riesa in Ger-mania, sta realizzando con un impianto capace di recuperare, trasformandolo in energia, il vapore dal ciclo di fusione in acciaieria dai circuiti di raffredda-mento del forno elettrico che altrimenti andrebbe disperso in ambiente sotto forma di vapore acqueo. Il progetto, per il quale Feralpi ha stanziato 15 milio-ni di euro, prende il nome di HREII DEMO ed è nato da una collaborazione tra Comeca, società sempre appartenen-te al Gruppo Feralpi e partner tecnolo-gico del progetto, Turboden e Tenova. Una parte di questo vapore sarà mes-so a disposizione della municipalità di Riesa, mentre una parte sarà utilizzata

per la produzione dell’energia elettrica attraverso la costruzione di una turbina per la produzione di circa 3 MW. “Siamo la prima acciaieria in Europa ad attiva-re un progetto di questo tipo – spiega il presidente di Feralpi, Giuseppe Pasini –. È un esempio virtuoso di collabora-zione pubblico-privato”. H-REII Demo è un progetto che l’Europa ha deciso di co-finanziare per l’alto valore tecnolo-gico e ambientale e perché è impor-tante recuperare calore in industrie al-tamente energivore come lo è Feralpi. Queste soluzioni, infatti, rappresentano un’opportunità in termini di maggiore sostenibilità ambientale e di efficienza energetica, soprattutto se abbinate ad un miglioramento delle prestazioni dell’impianto di depurazione dei fumi.

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Made in Brescia

Fluidmec, un servizio a tutto tondoCon le numerose prestazioni e le proposte di assistenza, l’azienda di via Gussalli, a Brescia – leader da oltre un trentennio nella componentistica oleodinamica e pneumatica – punta sulla fornitura globale

Francesca Piantoni, ammini-stratore delegato di Fluidmec spa, affianca il padre Vittorio, attualmente presidente dell’a-

zienda, da lui fondata nel 1971, dan-do vita ad un’avventura industriale dalle basi solide e di successo. “Frequentavo l’azienda fin da picco-la, facendo piccoli lavoretti duran-te le vacanze scolastiche. Negli anni dell’Università ho cercato di appro-fondire le mie conoscenze e preparar-mi ad entrare in azienda, ho sviluppa-to la tesi di laurea sulla distribuzione dei prodotti industriali” ammette nel ricordare gli inizi di un rapporto fa-miliare e di lavoro che dura tuttora. Con le difficoltà connesse, perché “forte è il senso di responsabilità che provi nei rapporti con i genitori in azienda, ma se ti diverti, come capita a me, è meraviglioso, la passione ti fa lavorare con entusiasmo”. La passione è ciò che sprizza dagli occhi di questa donna, forte di una formazione linguistica di taglio ma-nageriale, che ha vissuto la prima esperienza in OP, la ditta collegata a Fluidmec, dove seguiva il commer-ciale, viaggiando molto all’estero per seguire fiere e clienti. Poi il passaggio

alla ditta madre e il cambio di ruolo, con l’ingresso nel settore dell’alta re-sponsabilità aziendale con la gestione, il controllo e lo studio del mercato, compiti che un bravo amministratore delegato deve saper svolgere con com-petenza. Nel corso degli anni si è formata e consolidata la rete di azienda che for-ma oggi il gruppo: “Insieme definia-mo gli obiettivi, le strategie e le linee guida – spiega Francesca – per poi tramutarli in azioni con il coinvolgi-mento e la motivazione di tutto il per-sonale. Puntiamo molto sul senso di appartenenza di tutti i collaboratori poiché la dedizione e la preparazione delle risorse umane sono le basi per creare valore aggiunto. Tutto questo permette di offrire al cliente un ser-vizio a tutto tondo”. Il rapporto con la clientela è uno degli aspetti che Fluidmec cura con maggiore atten-zione “vogliamo essere dei punti di riferimento per i nostri clienti, in gra-do di fornire non solo uno stock ben assortito con immediata disponibilità, ma anche un centro di assistenza in grado di trovare la soluzione ottimale a ogni applicazione. A tal fine l’ufficio tecnico, in stretta collaborazione con

i produttori dei marchi distribuiti, è sempre a completa disposizione della clientela e degli uffici di progettazione per consulenze, sopralluoghi e analisi. Quando chiedo ai clienti storici, che oggi sono anche amici, perché conti-nuano a venire da noi, mi rispondono perché trovano tutto e sempre”. Un altro punto di forza è la presenza sul mercato: il servizio di prossimità è fondamentale, non può essere sostitu-ito dall’e-commerce: “Sul sito i clienti trovano informazioni sul prodotto, il catalogo, le specifiche tecniche ma poi vengono di persona a comprare”, dice Francesca Piantoni.

IL VENTAGLIO DEI SERVIZICon i servizi e le proposte di assi-stenza, Fluidmec punta alla fornitura globale. Un centro raccordatura equi-paggiato per eseguire in tempi rapidi l’assemblaggio di tubi flessibili per ogni pressione, un reparto collaudi che li certifica con relativo attestato o mar-catura, e un settore assemblaggi per il montaggio di centraline e minicentra-line oleodinamiche, pompe multiple e divisori di flusso ad ingranaggi. Un centro riparazioni è inoltre specializza-to per interventi rapidi su accumulato-ri, sostituzione sacche e cariche di azo-to, revisioni e collaudi di componenti e apparecchiature. Negli ultimi anni sono stati installati dodici magazzini automatici interni nella sede di Brescia per la gestione della componentisti-ca di piccolo volume, e tre magazzini automatici per lo stoccaggio dei tubi condotta, lappati e cromati, con una capacità di 1.400 tonnellate, per otti-mizzare la movimentazione del mate-riale e facilitare i controlli. Da tutto ciò si capisce come la solidi-tà di questa azienda le abbia permesso

L’AzIENDA IN NUMERI

10mila metri quadrati nella sede di Brescia, cinque filiali periferiche a Sarezzo, Iso-rella, Vobarno, Coccaglio, Treviolo e l’imminente apertura a Cerea in provincia di Verona. 20 milioni di euro di fatturato, 60 dipendenti, una gamma di prodotti che si è allargata a tutto tondo attorno a un prodotto ancora oggi centrale per l’organizza-zione: le guarnizioni. Punto di riferimento per i migliori marchi internazionali e nazio-nali, come Casappa, Oleostar, Ikron, Walvoil, Pneumax, Duplomatic, Bürkert, Busak and Shamban, Hydr-app, Sel, Tieffe e altri. I numerosi clienti, costruttori e manutento-ri di macchine e impianti, sono prevalentemente concentrati nella provincia di Bre-scia e nelle province limitrofe, con prevalenza nei settori della pressofusione, delle fonderie, delle acciaierie, delle trafilerie, delle macchine utensili, del settore plastica e gomma, della lavorazione delle lamiere, dell’agricoltura e movimento terra.

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Industria XV

IL GRUPPO E LA FORzA DEL FARE RETE

In quarant’anni di storia industriale, Fluidmec ha portato inno-vazione crescendo fino a comprendere altre cinque realtà, OP, Effegi Systems, Sinde, Uniseals e Brescia Hydropower. La proprietà del gruppo è della famiglia Piantoni, in sinergia con collaboratori fidati ed esperti che hanno condiviso sin dall’inizio l’avventura imprenditoriale del fondatore.

OPNata nel 1982, OP – oggi guidata da Daniele Piantoni, a.d. e figlio del fondatore, Vittorio – produce attrezzature per la lavorazione delle condotte oleodinamiche, rigide e flessibili, e vanta una va-sta gamma di prodotti e un servizio a livello mondiale. La costan-te crescita è stata determinata anche dall’espansione a livello globale della rete di vendita unita agli investimenti considerevoli destinati al settore ricerca e sviluppo. “Oggi esportiamo le no-stre attrezzature in tutto il mondo – dice Daniele Piantoni – e nel 2011 abbiamo instaurato una joint venture in Cina, dove la OP Shanghai Hydraulic Processing Equipment Co. distribuisce i nostri prodotti a livello nazionale”. L’azienda è dotata di un magazzino macchine finite dotato delle attrezzature più moderne. Gli inve-stimenti in ricerca e sviluppo permettono di offrire sempre nuovi prodotti ai clienti, con una gamma completa di macchinari atti a soddisfare tutte le esigenze nel mercato delle tubazioni idrau-liche, da piccoli manutentori o centri di riparazione alla produ-zione in serie.

EFFEGI SYSTEMSLa collaborazione con Effegi Systems – nata a Isorella nel 1988 e specializzata nello sviluppo e nella costruzione di cilindri speciali e centrali oleodinamiche – consente a Fluidmec di agevolare i propri clienti nella scelta di cilindri a tiranti, flangiati, saldati, con-formi a norme Iso, oltre a una vasta scelta di prodotti speciali. L’azienda ha costruito negli anni un know-how affrontando com-messe dalle problematiche sempre diverse, ed è oggi una realtà altamente specializzata e insieme flessibile, grazie a un reparto produttivo che unisce macchine utensili tradizionali a tecnologie

di ultima generazione, per realizzare prodotti unici capaci di risol-vere tutti i problemi dei clienti.SINDEFondata nel 2001 al fine di monitorare il settore delle lavorazioni meccaniche, Sinde è dotata di centri di lavoro di ultima ge-nerazione per la realizzazione di particolari o gruppi speciali. Produce soprattutto componenti per macchine per la prepara-zione, lavorazione e collaudo di tubi flessibili e rigidi per il settore oleodinamico, oltre a offrire lavorazioni meccaniche ad alta precisione conto terzi. L’azienda è in grado di seguire commes-se che prevedono sia la consegna di interi gruppi preassemblati e collaudati sia la progettazione e il montaggio di singole mac-chine da inserire in impianti preesistenti.

UNISEALSUniseals, in precedenza legata a Fluidmec solamente da un rapporto di fornitura, entra a far parte del gruppo nel 2011 attraverso una partecipazione societaria. L’azienda produce guarnizioni tornite per tutti i settori d’industria, guarnizioni anche speciali e asettiche per i settori alimentare e farmaceutico. Il servizio di alto livello garantisce consegne rapide. La parteci-pazione di Uniseals ha completato la capacità del gruppo di soddisfare ogni esigenza ampliando il già ampio portafoglio di soluzioni.

HYDROPOWERUltima arrivata nel Gruppo, Brescia Hydropower nasce nel 2011 grazie alla collaborazione di tecnici esperti altamente qualifica-ti. La società si occupa di progettare e realizzare impianti oleo-dinamici per tutti i settori industriali, in particolare in ambito side-rurgico e civile, per impianti di estrusione, produzione di presse e per fonderia. Ciascuna società del gruppo ha una propria autonomia in termini di gestione, ufficio tecnico e assistenza, in modo tale che ognuna possa accrescere la propria specia-lizzazione e mantenere elasticità ed efficacia nel rispondere in tempo reale ai clienti.

di non soccombere alla crisi, che co-munque si è fatta sentire fortemente soprattutto nel 2009, con un calo di lavoro e di fatturato: “Abbiamo appro-fittato del tempo che si era liberato per riflettere e organizzarci meglio: non abbiamo utilizzato la cassa integrazio-ne, abbiamo migliorato l’operatività interna e ci siamo dedicati all’apertura della sede di Treviolo in provincia di Bergamo. Ne siamo usciti bene, abbia-mo ripreso il livello di fatturato prece-dente con un sistema di controlli più rigorosi, di modo da impedire che i fallimenti dei clienti ci trascinassero in basso. Il problema maggiore dei clien-ti oggi è la liquidità, quindi abbiamo messo in campo alcune restrizioni per tutelarci ma non ci dimentichiamo mai di andare incontro alle esigenze del cliente”.

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Made in Brescia

Ivar da 27 anniguarda oltre confineL’azienda, che progetta e produce componenti e sistemi per impiantitermoidraulici a Prevalle, ha dieci filiali commerciali sparse per il mondo e come punto fermo la qualità

Le auto aziendali hanno sulla portiera un quadrato aran-cione e la scritta “be orange” (essere arancione).

Stefano Bertolotti – Direttore Com-merciale che con il padre Umberto (presidente) e il fratello Paolo (Diretto-re Operations) è alla guida di Ivar Spa –, spiega che quello è il colore azienda-le e serve per identificare “lo spirito di condivisione che accomuna gli uomini Ivar, fondamentale per raggiungere de-terminati risultati”.E l’azienda di Prevalle, di passi avanti in questi 27 anni di attività, ne ha fatti tanti. Merito, in gran parte, di una feli-ce intuizione: puntare sui mercati este-ri. Da sempre infatti l’azienda ha una grande propensione per l’export, tant’è che l’87 per cento del proprio fatturato arriva dalle vendite in mezzo mondo. Una scelta lungimirante che oggi l’ha portata ad essere tra i leader nel campo della produzione di componenti e si-stemi per impianti termoidraulici. Ri-sultati costruiti nel tempo, filiale dopo filiale, per arrivare alle dieci attuali filiali commerciali con una presenza in Paesi come la Francia, la Russia, la Germania o la Cina, ma anche in al-

tri che ti aspetti di meno come il Bel-gio, la Repubblica Ceca e la Norvegia, mentre Romania e Cile – “che sono in fortissima espansione” dice Stefano Bertolotti –, saranno i prossimi obiet-tivi. Una buona presenza commerciale che ha come presupposto la qualità, “e soprattutto la personalizzazione del prodotto”. Uno dei punti di forza di Ivar è sempre stata la particolare attenzione a soddi-sfare le esigenze specifiche della propria clientela impegnandosi nella ricerca e

nello sviluppo di nuovi prodotti e nel conseguimento di elevati standard qualitativi. Dopo la certificazione del sistema qualità secondo la norma Uni En Iso 9002, arrivata nel 1997, Ivar ha infatti inserito nel suo contesto orga-nizzativo anche le fasi di progettazione, ottenendo nel 2000 la certificazione secondo la norma Uni En Iso 9001. Nel 2008 è stata ottenuta la certifica-zione ambientale Iso 14001, mentre nel 2011 è arrivata la BS Ohsas 18001 a certificare, con standard internazio-nali, i sistemi di gestione della sicurez-za e della salute dei lavoratori. Ma non solo.

RICERCA E SVILUPPOINNANZITUTTOPer arrivare ad avere circa 17mila ar-ticoli a catalogo, Ivar è sempre stata particolarmente attenta alla ricerca e allo sviluppo di prodotti innovativi e all’avanguardia adoperando tecnologie e processi produttivi finalizzati a mi-gliorare la qualità della sua gamma di

I NUMERI DI IVAR SPA

Fatturato

Investimenti

Ebitda

Ebit

Dipendenti

50.258.186

2.203.135

12,72%

5,08%

142

47.423.912

2.905.070

13,72%

4,26%

154

2010 2011

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Industria XVII

prodotti. E soprattutto utilizzando il proprio “ufficio tecnico” è in grado di progettare internamente e autonoma-mente tutti i nuovi prodotti, i macchi-nari e le attrezzature necessarie alla loro realizzazione e di affinare continua-mente gli articoli già in produzione. A chiudere il cerchio c’è il “laboratorio” interno, uno dei fiori all’occhiello della società, attrezzato con macchinari all’a-vanguardia per test meccanici, termici e fluidodinamici. Al suo interno non solo vengono eseguiti test per verifi-care la massima qualità dei prodotti, ma vengono anche realizzati impianti completi e funzionanti per riprodurre l’impiego tipico dei prodotti. E non è un aspetto trascurabile perché è proprio da queste simulazioni che sono emerse utili indicazioni in termini di maggiore praticità o semplicità di installazione e manutenzione dei prodotti Ivar. Tutto questo è “ospitato” nell’insedia-mento di Prevalle che occupa un’area di 20mila mq coperti (su un totale complessivo di 40mila mq) progettati in modo da razionalizzare e unificare le diverse fasi produttive e operative e garantisce l’assenza di processi produt-tivi di impatto negativo sull’ambiente circostante. “Anche questo investimen-to – spiega Stefano Bertolotti – è stato la conseguenza di una crescita azienda-

le che il mercato ci ha richiesto. Uno sviluppo che è stato anche il risultato di una maturazione aziendale, di un cambio di mentalità che ci ha consen-tito, con gradualità, di trasformarci da azienda familiare in un’impresa, dotata di professionalità elevate, sia dal pun-to di vista tecnico sia sotto il profilo manageriale”. L’intenzione è quella di proseguire su questo binario con un occhio sempre attento allo sviluppo di nuovi mercati e dall’altro, “allargare ul-teriormente il range di prodotti mante-nendo elevati standard qualitativi”. Sempre, appunto, con un’attenzione particolare alla qualità in ogni fase del processo produttivo. “L’attenzione nel-la scelta delle materie prime, dei semi-

UNA LINEA DEDICATA ALLA “GREEN ENERGY”

Il futuro, per molti, è l’energia soste-nibile. In questo termine vengono comprese tutte quelle modalità di produzione (energie rinnovabili) e di utilizzazione dell’energia (efficienza, ri-sparmio energetico, impatto ambien-tale) che consentono uno sviluppo sostenibile. A credere che questo sarà lo sviluppo dei prossimi anni è Ivar che per questo ha già messo a catalogo una linea dedicata alla “green ener-gy”. “Sono prodotti – come spiega Stefano Bertolotti – dedicati all’utilizzo dell’energia solare e geotermica e da non confondere con il fotovoltaico. I primi prevedono pannelli specifici in grado di “raccogliere” calore, che convogliato a uno scambiatore è in grado di produrre acqua calda utiliz-zabile anche per riscaldare le case, mentre il secondo “crea” energia. In giro per il mondo, paesi emergenti

compresi, “c’è sempre più attenzio-ne a questo tipo di prodotti che por-tano con sé tipologie di impianti più efficienti e più efficaci. Oggi – sotto-linea ancora il Direttore commerciale dell’azienda di Prevallle – chi compra casa sa bene che cosa sono le clas-si energetiche e per questo il riscal-damento a pavimento, a soffitto o nelle pareti, che utilizza il solare ter-mico, viene sempre più spesso prefe-rito rispetto ai tradizionali termosifoni”. Anche perché i vantaggi sono tanti. “Fondamentalmente sono quattro – spiega Bertolotti –: garantisce un con-sistente risparmio energetico; assicura un maggior comfort perché in grado di scaldare o raffrescare tutta la casa in maniera uniforme; è più salutare perché non comporta ‘movimenti’ dell’aria e, infine, non pone vincoli per gli architetti”.

lavorati e dei materiali impiegati nella realizzazione dei nostri prodotti – riba-disce il responsabile commerciale della società di Prevalle –, la costante e meti-colosa ricerca e valutazione di fornitori qualificati così come la formazione e la valorizzazione dei nostri collaboratori che nella nostra azienda hanno un’e-tà media di 40 anni, rappresentano i punti fermi sui quali Ivar ha costruito la sua politica per la qualità”. I risultati si continuano a vedere anche perché, nonostante il mercato italiano non brilli certo per dinamismo, nei primi otto mesi del nuovo anno il fatturato dell’azienda ha registrato un ben augu-rante +30% rispetto allo stesso periodo del 2011.

Il Direttore commerciale di Ivar,Stefano Bertolotti.

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Made in Brescia

Marvon, dalla galvanoplastica alla cosmesi il passo è breveL’azienda di Vestone ha puntato sulla qualità di prodotti studiati su misura per le esigenze di clienti e mercati nazionali e internazionali, nel massimo rispetto della sicurezza ambientale

Ancora una volta, flessibilità, qualità e propensione all’ex-port si sono rivelate le carte vincenti per affrontare la crisi

che ormai da anni sta attraversando le economie di mezzo mondo. Elementi distintivi che, soprattutto le piccole e medie imprese bresciane, han-no impresso nel loro dna e che sanno ancora utilizzare. Se a questo si aggiunge l’appartenenza a un grande gruppo industriale (Fondi-tal), si ha l’equazione perfetta. È il caso di Marvon di Vestone che, con circa 60 dipendenti, ha puntato proprio su queste caratteristiche per continuare a crescere nel settore della galvanoplasti-ca, nella produzione di guarnizioni ter-moespandenti e di maniglie per porte tagliafuoco. “La flessibilità è uno dei nostri punti di forza – spiega Simonetta Dusi, direzio-ne vendite –. Rispetto alle grandi mul-tinazionali siamo in grado di proporre prodotti taylor-made, studiati su misu-ra per i nostri clienti, che preferiamo considerare nostri partner. Con essi si instaura infatti un rapporto di collabo-razione, più che un rapporto cliente-for-nitore in senso tradizionale. Insieme ai nostri partner pensiamo e sviluppiamo un progetto, tenendo conto delle richie-ste e delle esigenze di chi ci sceglie e allo stesso tempo consigliando e proponen-do la soluzione più adeguata, lavorando insieme per un obiettivo comune”. Una concezione “sartoriale” che piace ai mer-cati e che l’azienda ha mantenuto anche quando ha puntato, per scelta strategica, sulla diversificazione dei propri prodot-ti. “Per quanto riguarda la lavorazione galvanica – spiega Gianpaolo Beretta, consigliere delegato di Marvon – già un anno prima del famigerato aprile 2008,

quando ancora non si aveva il sentore della crisi che poi avrebbe attanagliato i mercati, abbiano iniziato a sondare set-tori diversi da quelli tradizionalmente serviti. Ad esempio ci siamo proposti nel campo, per noi inesplorato, della cosmesi del lusso che ci ha regalato non poche soddisfazioni. Per quanto riguar-da il settore sicurezza, la produzione di maniglie in materiale plastico in un distretto industriale focalizzato sull’ot-tone, è stata all’inizio un rischio e con-temporaneamente una sfida; il tempo ci ha dato ragione. Con la stessa conce-zione, continua anche la produzione di un’ampia gamma di accessori per mobi-li d’ufficio e arredi professionali”. Scelte che hanno portato Marvon ad essere apprezzata anche dai mercati esteri che rappresentano circa il 60% del fatturato globale (pari a 7,5 milioni di euro nel 2011). “Questo è dovuto alla struttu-ra del mercato stesso – precisa ancora Beretta –; nel settore della sicurezza, ad esempio, i clienti principali in Italia sono soltanto tre e questo ha necessa-riamente portato l’azienda a guardare altrove cercando nuove opportunità

commerciali in mercati esteri. Nel setto-re della cosmesi del lusso invece la Fran-cia è la protagonista indiscussa: i grandi marchi dei cosmetici e della profumeria sono francesi e noi siamo loro fornitori. Inoltre i nostri elevati standard qualitati-vi e la certificazione ambientale Uni En Iso 14001:2004, che abbiamo ottenuto da ormai oltre cinque anni, ci consen-tono di entrare a pieno titolo nel parco fornitori di grandi multinazionali come ad esempio L’Oréal, che effettua severi controlli sulla sostenibilità ambientale lungo tutta la filiera produttiva”. E se l’estero si è rivelato estremamente positivo per alcune produzioni, per altre il mercato interno ha riservato grandi soddisfazioni. “Sempre più si assiste, nel settore dell’arredamento e dell’interior design, alla sostituzione di prodotti in metallo con prodotti in materiale plasti-co che vengono finiti con lavorazioni di cromatura, doratura o nichelatura. Que-sto tipo di lavorazioni oggi non sono più esclusivo territorio Ikea, pioniere nelle finiture cromate, ma la normalità. Spesso opere firmate da grandi aziende o celebri designer, come Kartell o Guz-

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Industria XIX

zini, per fare solo due esempi, esplorano nuovi utilizzi del materiale plastico con dei risultati sorprendenti”. Ed è questa capacità di adattarsi ai cambiamenti, e in alcuni casi anche di anticiparli, che rende appetibili i prodotti Marvon. “Ogni giorno troviamo spunti di mi-glioramento che si traducono in azioni nell’immediato: il quotidiano ci mostra nuove strade da percorrere”. Senza mai dimenticare la qualità che “deve” inte-grarsi perfettamente con la sicurezza e il rispetto dell’ambiente: “Nel mese di giugno – aggiunge Marco Monchieri, consigliere delegato dell’azienda – ab-biamo conseguito la certificazione del sistema di qualità Uni En Iso 9001. Siamo molto orgogliosi del risultato ottenuto, ma non ci accontentiamo. La ricerca del miglioramento continuo, base dei sistemi di gestione ambienta-le e della qualità, ci porta verso nuovi e più ambiziosi obiettivi: ad esempio l’integrazione dei sistemi esistenti con un sistema di gestione della sicurezza aziendale. Siamo ben consapevoli che una buona gestione aziendale non possa prescindere dal rispetto di rigide norme di qualità, dalla tutela della sicurezza, dell’ambiente e della salute dei lavorato-ri e della popolazione locale”.

LA TUTELA DELL’AMBIENTE COME PRIORITÀ

La politica aziendale di Marvon vede come prioritaria l’attenzione alla tematica ambientale e al completo rispetto delle normative vigenti per quanto riguarda la tutela della salute e della sicurezza aziendale. Questo impegno si è concretizzato con l’ottenimento nel 2007, nel 40° anniversario di fondazione dell’azienda, della certificazione ambientale Uni En Iso 14001:2004. Questa importante certificazione valorizza la scelta di Marvon di combinare, in modo sostenibile, la salvaguardia dell’ambiente e le esigenze produttive dell’azienda in crescita, riducendo i propri impatti ambientali attraverso la gestione delle potenziali fonti di inquinamento derivanti dalle proprie attività. Inoltre, la qualità dei processi di lavorazione galvanica è stata certificata anche nel panorama industriale internazionale e Marvon, infatti, rispetta pienamente le direttive europee Elv 2000/53/CE, Rohs 2002/95/CE, Weee 2002/96/CE e Reach/(CE) 1907/2006. Sigle forse per gli addetti ai lavori ma che, per essere rispettate, hanno impegnato l’azienda e i suoi collaboratori, in un iter serio e stimolante, che ha come prerequisito il rispetto di tutte le normative inerenti la tutela ambientale. Un lungo percorso nell’ambito del quale, in una prima fase, è stata realizzata un’analisi delle attività dell’azienda e degli aspetti ambientali correlati al territorio circostante. Sono stati passati al “microscopio” gli scarichi idrici, le emissioni in atmosfera, i rifiuti, i consumi di risorse, l’utilizzo e la detenzione di sostanze pericolose, le emissioni acustiche e addirittura l’influenza sul traffico. La fase successiva è stata la pianificazione degli interventi necessari per conseguire gli obiettivi che l’azienda si era posta, fra i quali hanno trovato attuazione gli interventi per il risparmio energetico, per il minor consumo di acqua e la gestione della raccolta differenziata dei rifiuti e degli scarichi industriali. Fiore all’occhiello di Marvon sono i processi di trattamento e di depurazione delle acque provenienti dal trattamento galvanico, nei quali l’azienda ha investito molte risorse per garantirne l’assoluta qualità e conformità ai requisiti normativi consentendole di arrivare a un primato davvero invidiabile: la Marvon è infatti l’unica azienda galvanica italiana ad essere autorizzata a scaricare direttamente nelle acque correnti del fiume.

I NUMERI DI MARVON

6.065.533

2010 20112009

Fatturato 7.702.648 7.534.944

Investimenti

Numero medio dipendenti 64

635.351

59

633.502

57

239.689

Ph

oto

Mar

von

Ph

oto

Mar

von

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XX

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Made in Brescia

M&M Forgings, i primi passi concreti del super polo della forgia(tura)Gaia Monchieri e Andrea Mamé sono riusciti a realizzare il primo organico esempio di aggregazione in un territorio dove, solitamente, trionfa l’individualismo

Dopo tante parole, com’è nella migliore tradizione camuna, arrivano i fatti: la nuova sede a Cividate Ca-

muno (3,5 milioni di investimento) è or-mai in fase di ultimazione e nei prossimi giorni sarà inaugurata la filiale a Rio de Janeiro in Brasile. “Sono fatti concreti che dimostrano, so-prattutto ai nostri clienti, che il proget-to esiste, è reale e concreto”. Così, Gaia Monchieri e Andrea Mamé fanno il pun-to sullo stato di “avanzamento lavori” di M&M Forgings, la società nata poco più di sei mesi fa come strumento per gesti-re il contratto di rete tra le loro aziende: Forge Monchieri e Mamé Group. Di questo accordo tra due giovani impren-ditori, alla guida di aziende concorrenti, presenti e addirittura confinanti nello stesso comune della Valcamonica, si è parlato e scritto tanto ma a loro sembra interessare soprattutto il futuro. Quel fu-turo che hanno deciso di affrontare e sfi-dare insieme con un obiettivo condiviso: continuare a crescere.Passo dopo passo il progetto comincia a prendere forma. “Abbiamo individuato le priorità sulle quali lavorare – racconta Andrea Mamé – come decidere ‘chi fa che cosa’. Stiamo creando una squadra di eccellenza per il nostro nuovo ufficio commerciale che sarà uno dei principali obiettivi di questa fase”. Intanto l’inte-grazione tra le due aziende ha già dato i primi risultati: “Nelle fiere alle quali abbiamo partecipato presentandoci con il nuovo marchio M&M Forgings – ag-giunge Gaia Monchieri – ci sono stati giudizi positivi che si sono concretizzati

in nuove commesse”. Insomma ai mer-cati, e ai clienti, è piaciuta l’idea di un unico interlocutore per due gruppi che insieme rappresentano uno dei principali player nella forgiatura a livello europeo. “Poter ottimizzare i costi dell’acquisto di acciaio (complessivamente oltre 80mila tonnellate l’anno), la manutenzione dei nostri impianti – aggiunge Andrea – ra-zionalizzare gli investimenti destinati alla formazione e alla crescita delle risorse umane, o al settore della ricerca e svi-luppo, ci consente di puntare con mag-giore forza sull’area commerciale che, con una concorrenza così agguerrita, è diventata veramente strategica”. E allora avanti nell’analisi e nella ricerca di nuovi mercati per le tipologie di prodotti nelle quali le due aziende, negli anni, hanno sviluppato le maggiori competenze. Le

nuove basi saranno in Brasile e in Rus-sia, dove buone prospettive ha il mercato dell’oil&gas (settore nel quale si è spe-cializzata la Forgiatura Mamé), mentre in Cina e in India le prospettive migliori sembra riservarle il “power generation” (settore della Forge Monchieri), nucleare in particolare. “Crediamo che avere una sede M&M Forgings in ogni area di nostro interesse sia molto importante per capire realmen-te l’andamento dei mercati – precisa an-cora Andrea Mamé –, soprattutto sarà fondamentale accedere a quelle informa-zioni che si possono avere solo stando fisicamente in un luogo. Per questo pun-tiamo a creare una struttura che sia in grado di fornirci indicazioni di come sarà il futuro, di quale direzione prenderà un Paese. Così come già avviene negli USA

Gaia Monchieri e Andrea Mamé, amministratori delegati delle aziende di famiglia Forge Monchieri e Mamé Group.

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per il mercato nord americano”. “Per il resto – precisa Gaia Monchieri – a soddi-sfare le richieste dei clienti, saranno i no-stri impianti all’avanguardia sui quali già da tempo abbiamo destinato importanti investimenti”. Dal punto di vista opera-tivo, infatti, le due aziende sono comple-mentari con la Mamé che, oltre a dispor-re di una pressa di 6mila tonnellate, si è specializzata nella lavorazione dei forgiati sotto le 50 tonnellate, mentre la Forgia Monchieri, sotto i suoi capannoni, ospi-ta una pressa da 12mila tonnellate e rea-lizza lavorazioni fino a 120 tonnellate. A completare l’offerta della nuova M&M Forgings contribuiscono anche le società costituite da Andrea Mamé ed entrate nella Mamé Group: “Dal 2007 ho fatto nascere la AM Machining specializzata nella finitura dei pezzi forgiati; la Lion Meccanica (con sede a Ono San Pietro) che lavora sulla sgrossatura dei pezzi e la AM Logistic che gestisce i trasporti e che porta direttamente ai clienti i nostri pro-dotti consentendoci un servizio migliore e di essere responsabili delle commes-se, dall’inizio alla fine”. Anche questo accomuna i due giovani imprenditori. “Vogliamo dimostrare a tutti quello che siamo in grado di fare – ribadisce Gaia Monchieri –. E questo senza togliere nul-la alla generazione che ci ha preceduto e che ha ottenuto dei risultati davvero stra-ordinari”. Ma il mondo cambia e l’aver capito per tempo che i giovani avrebbero potuto affrontarlo in modo diverso è già questa una straordinaria dimostrazione di quanto i genitori di questi due im-prenditori abbiano avuto ragione nell’af-fidare loro la gestione delle aziende. “Lo scenario con il quale oggi dobbia-mo confrontarci – aggiunge Andrea – è estremamente competitivo, con concor-renti sempre più agguerriti e con una domanda in calo. In M&M Forgings il

QUANDO I GIOVANI PRENDONO L’INIzIATIVAGaia Monchieri e Andrea Mamé sono due giovani imprenditori, alla guida di due aziende metallurgiche concorrenti e divise solo da una strada nella zona industriale di Cividate Camuno, in Vallecamonica. Sembra quasi incredibile ma non si erano mai visti, prima che un contenzioso su un terreno offrisse loro il motivo di un incontro. “Mentre aspettavo dal notaio – ricorda Gaia – mi sentivo nervosa, non avevo mai incontrato Andrea ma ne avevo sempre sentito parlare ed ecco che arriva un giovane uomo in jeans e camicia fuori dai pantaloni. Un tipo decisamente diverso da quello che mi aspettavo”. Anche per Andrea da quell’incontro “è nata una simpatia di pelle. Nei mesi successivi abbiamo imparato a conoscerci e la voglia di fare qualcosa insieme è venuta quasi naturale”. Cosa e come non era ancora chiaro ma per capirlo i due giovani imprenditori si sono rivolti al Politecnico di Milano, e più precisamente al professor Giuliano Noci, ordinario di marketing. “È passato ancora un anno e mezzo – ricorda Gaia Monchieri –, ma alla fine abbiamo individuato il modo migliore per raggiungere i nostri obiettivi: il contratto di rete. Alla M&M Forgings il compito di realizzare il progetto”. “Nessun consiglio di amministrazione – aggiunge Andrea Mamé – ci siamo solo noi come amministratori delegati, le nostre idee e la voglia di realizzarle”. Una strada sicuramente “anomala” quella intrapresa dai due giovani imprenditori, “anche perché la collaborazione è tra due società sane, competitive e nel nostro settore non si è mai vista una scelta di questo tipo”. Ma a loro poco importa. Per adesso sono concentrati a definire la squadra che dovrà portare avanti i tanti progetti già pronti nel cassetto di uno degli uffici della nuova sede comune: “il primo segnale forte che indietro non si torna”.

cliente percepisce un’azienda più solida e in grado di dare risposte, anche in ter-mini di capacità produttiva, davvero im-portanti”. E nonostante il mercato non brilli certo per effervescenza nel settore dell’oil&gas, che fatica ma tiene, e in quello dell’energia, che invece ha rag-giunto i minimi storici, i due giovani imprenditori sono ottimisti e vedono la ripresa a metà del prossimo anno. “Il nostro obiettivo – aggiungono in coro – è quello di diventare il primo polo eu-ropeo della forgiatura e di raggiungere, in breve tempo, i 400 milioni di euro di fatturato”. Viste le premesse, i tanti progetti e le strategie messe a punto per realizzarli, miscelati con una dose di sano entusia-

smo, gli obiettivi saranno sicuramente raggiunti. È solo questione di tempo. Nel frattempo, i due giovani imprendito-ri potrebbero già essere soddisfatti perché sono riusciti a realizzare il primo organi-co esempio di aggregazione, di “contratto di rete” in un settore che solo superficial-mente si potrebbe definire old economy, e in un territorio dove l’individualismo era sempre riuscito a trionfare. Un caso da studiare e da prendere ad esempio per dimostrare come due aziende possano es-sere innovative non solo sui prodotti ma anche nelle strategie, per come si possano intraprendere nuove strade per affrontare nuove sfide. Certo serve tanto coraggio e loro, probabilmente, ne hanno da vendere.

M&M FORGINGSI dati principali dell’alleanza

Fatturato 2011

Numero dipendenti

Tonnellate di acciaio prodotte

155 milioni

300

60 mila

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Made in Brescia

Un hobby diventato impresa: la tenace passione di Novarossi WorldL’azienda leader di micromotori per modellismo porta nel mondo qualità e cultura del lavoro, la ricetta anticrisi made in Brescia

GLI ULTIMI SUCCESSI DI NOVAROSSISul loro sito (novarossi.it), dicono che l’a-zienda non produce “solo” motori e rela-tivi pezzi di ricambio, ma anche marmitte e collettori, insieme a motori per barche e aerei: un commercio minore, quest’ul-timo, nel quale la concorrenza di Taiwan è forte, soprattutto nel prezzo. Tutta la potenza dell’azienda franciacortina, in-fatti, sta nei piccoli agguerriti motori per automodellismo, due dei quali, nuovissi-mi, fanno già furore tra gli appassionati.

C’è chi, nato sotto il segno della Leonessa, compra i loro prodotti a New York per poi accorgersi

con stupore che portano la firma di casa propria. Ma oggi costoro sono sempre meno, per-ché la Novarossi World Srl, di Monticelli Brusati, è diventata la punta di diamante per l’automodellismo: semplicemente, i suoi motori a scoppio, nel mondo, non hanno eguali e la voce, da tempo, si è sparsa eccome. Ad oggi, infatti, nel suo 28° anno d’attività, l’azienda ha vinto ben 15 campionati mondiali di automo-dellismo, oltre ad un numero impressio-nante di gare, compresi titoli europei e campionati nazionali. In un anno, dalla fucina della Franciacorta (oltre 6mila mq e una sessantina di dipendenti), vengono forgiati e venduti dai 30 ai 50mila moto-ri, tutti scrupolosamente testati.Cosa sta alla base di un’impresa così soli-da, il cui palese successo c’inorgoglisce e, insieme, incuriosisce? Ne abbiamo parla-to con Graziosa Barchi, l’anima manage-riale dell’azienda che, insieme al marito Cesare Rossi (creativo puro, insignito del titolo di Cavaliere nel ’99) e alla figlia (Elisa Rossi, consigliere), batte la marcia di ciò che, da semplice hobby, è diventa-to un’impresa bresciana vincente.Un’impresa, la Novarossi, nata quasi per scommessa. “Inizialmente ci diceva-no che non ne avevamo le capacità – ci confida Graziosa Barchi –, ma la nostra passione e l’esperienza (25 anni maturati nel settore per mio marito Cesare, altret-tanti da me nell’area manageriale) alla fine hanno vinto”. Lui, micromotorista specializzato, amante di tutto ciò che si muove comprese le macchine utensili, e lei si sono conosciuti 35 anni fa ed hanno

costruito un’azienda che è stata davvero una sfida. Cesare Rossi sviluppa sin da giovanissimo un’innata attitudine per la meccanica: già in età scolare è accanto al padre, noto orologiaio bresciano, ed è proprio attraverso gli orologi che appren-de principi e segreti di una scienza che lo accompagnerà tutta la vita. Qualche anno più tardi, infatti, scopre il model-lismo e la micromeccanica, partecipa a competizioni nazionali e internazionali e, modificando ed elaborando motori già in commercio, riesce a migliorarne prestazioni e potenza, conseguendo una escalation di vittorie che culmina nel 1959 con il primo posto nel campiona-to mondiale di aeromodellismo. Poco dopo, Cesare Rossi costituisce una ditta individuale e un vero proprio negozio di modellismo a Brescia, e nel 1966 coin-volge il fratello nella costituzione della prima officina meccanica; in poco tempo i motori da lui progettati vincono tutti i campionati di velocità e diventano fa-mosi nel mondo, ma il salto di qualità definitivo, che ha tramutato l’attività in vera realtà industriale, avviene nel 1984, quando decide di fondare una nuova so-cietà con la moglie Graziosa Barchi.Una passione, dunque, diventata azien-da. “Un business, direi, che fino a 20

anni fa non era molto conosciuto – rac-conta Graziosa Barchi –. Non c’erano piste come quella di Gussago, dove a luglio abbiamo disputato uno dei nostri trofei, con piloti provenienti da Spagna, Austria, Svizzera, Francia, Stati Uniti e Venezuela: tre giorni di gare, uno spet-tacolo!”.In effetti, sono i piloti, giovani emergenti del modellismo, che si mettono in gioco sulle piste a dimostrare che la Novaros-si è eccellente: “Questi ragazzi portano avanti il nostro marchio nel mondo con dignità – sottolinea la manager –. Ciò, oltre al prestigio, ci porta anche lavoro: sono due cose distinte, ma egualmente importanti”.

LA CRESCITA INDISPENSABILENon a caso, lo sprone ad ingrandirsi e automatizzarsi è arrivato negli anni ’90, dopo aver vinto tre mondiali su pista e uno su fuoristrada. Letteralmente som-mersa di ordini, la Novarossi non riusciva più a costruire motori con le macchine tradizionali, ma aveva bisogno d’orga-nizzare un reparto di presso-fusioni per fondere industrialmente il carter, nonché di tutte le macchine a controllo numerico ad alta tecnologia (il micron) per con-sentire la perfezione e l’uguaglianza del-

Parliamo del Roma Truggy 25, motore già presentato con successo nelle vetrine di Norimberga che, con i suoi 4.04cc e in soli 374 grammi, ha accontentato gli amanti del modellismo off road attenti a conciliare consistenza di tiro e allungo. Per chi si vuole lanciare in sfide ad alta velocità, rigorosamente su pista, arriva invece il Keep-On.21, la cui caratteristica principale sta nel sistema del cuscinetto brevettato.

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Un hobby diventato impresa: la tenace passione di Novarossi World

le parti del motore. Quindi, dall’iniziale stabilimento di Rodengo (400 mq), l’a-zienda si è spostata a Monticelli Brusati, ove si è costruita un’officina di 1.550 mq per collocare le macchine nuove: “È stato indispensabile non solo per la logistica – spiega Barchi –, ma anche per avere una bella vetrina; giapponesi, americani..: il mondo veniva a visitare la nostra fabbri-ca”. Esportare il made in Italy nel mondo, come fa la ditta franciacortina, è un lavo-ro impegnativo, ma enormemente grati-ficante. Made in Italy in tutto il globo, concretamente, significa portare la No-varossi in ben sessanta paesi: dal Quatar alla Siria, dalla Turchia al sud est asiatico, con Singapore, Taiwan, Hong Kong e Malesia... “Diciamo sempre che, ove va la Ferrari andiamo anche noi – spiega Gra-ziosa Barchi – che, infatti, siamo una pic-cola Ferrari: ci chiamano, non a caso, la Formula2”. Difatti, anche quei piloti che rischiano la pelle conoscono bene questo marchio, allenandosi e sperimentando la strada su un palco a due metri d’altezza dal circuito preposto, vale a dire piste di 5-6mila metri, con macchine in scala 1:8 o 1:10.Categoria a parte da quella su pista, in cui impera la velocità, è l’off-road, sezione in-teressantissima che attira maggiormente i giovani modellisti, per la quale esiste una notevole concorrenza, specialmente da parte di Taiwan. “Per ostruire l’ingresso di questi motori, che sono meno affidabili, poiché non durano tutti i 45 minuti di

gara – continua Graziosa Barchi – abbia-mo studiato un motore che sta alla pol-vere, mantiene una giusta temperatura e consuma meno. La differenza, chi guida, la sente tutta”.

L’INNOVAZIONE TECNOLOGICARicerca e sviluppo continui, quelli di No-varossi, la cui costanza si è tradotta negli anni in nuove ideazioni tecnologiche che hanno modificato la storia stessa del mo-dellismo: invenzioni come la “candela Turbo” e il “cuscinetto a sfere decentra-te”, nonostante maldestri tentativi d’i-mitazione, hanno segnato per sempre la concezione meccanica dei micromotori. Proprio per questo, Novarossi detiene oltre venticinque brevetti esclusivi e do-mina il settore produttivo presentando ogni anno irraggiungibili nuove soluzioni tecniche. Ma come avviene, concretamente, questo strenuo lavoro di perfezionamento? “La Novarossi consegna in prestito d’uso i suoi motori a una squadra di 60 piloti nel mondo: Stati Uniti, Canada, Sud Ame-rica, sud est asiatico, Europa, Giappone, Australia e sud Africa – racconta la signo-ra Rossi –. Alla consegna chiudiamo il motore, per non consentire cambiamen-ti, e al suo ritorno lo esaminiamo. Tutto dev’essere relativamente semplice, perché questi “gioielli” sono utilizzati anche dai ragazzini di 15 anni che si accostano al modellismo ma non sono certo piloti pro-vetti”. Il motore, quindi, dev’esser facile

e durare nel tempo, carburato in modo tale da non stressarlo: difatti, non dev’es-sere né troppo magro né troppo grasso, e questo lo si impara solo con l’orecchio, ascoltando il rumore del motore. Quanto alla materia prima, in questo momento è stabilizzata, dopo averne provate diverse.

L’IMPRESA INNANZITUTTOParlando di crisi, Novarossi l’ha saputa cavalcare diminuendo di molto i prezzi, negli anni, quasi azzerando i profitti, per poter stare sul mercato mondiale fin dal 2007, quando è iniziata la tempesta va-lutaria del dollaro. I motori di altissima qualità, come quelli con il cuscinetto in ceramica, hanno mantenuto il loro prez-zo, mentre il modellismo di base è stato in piedi con motori meno costosi, per non rimanere “uccisi” da Taiwan. Due sono i motti dell’azienda: “molti nemici, molto onore”, che si spiega da sé, e “in 28 anni non abbiamo mai utilizzato la cassa inte-grazione”, cosa di cui Novarossi va molto fiera. L’impresa ha 56 dipendenti, di cui 5 apprendisti assunti un paio d’anni fa; tutto il personale di Monticelli è cresciu-to nel tempo, come il capofficina, che è con i Rossi da più di 28 anni, formando un grande e vero team, importantissimo. “I nostri utili sono sempre stati reinvesti-ti nell’impresa – conclude Elisa Rossi –. Essere bresciani, per noi, è stato un valore aggiunto, grazie alla nostra grande tradi-zione del lavoro, quasi una cultura della professione, fortissima”.

Graziosa Barchi, Cesare Rossi e la figlia Elisa.

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Made in Brescia

Sabaf, alla ricerca di nuovi mercati per battere la crisiLa strategia dell’azienda di Ospitaletto, leader italiano nella produzione di componenti e apparecchi per la cottura a gas, è fornire prodotti creati ad hoc per le esigenze di ogni singolo Paese

uando si attraversano pe-riodi in cui l’andamento di un’azienda non dipende da fattori interni ma da particolari condizioni ge-

nerali di macroeconomia, è ancora più importante aver chiari i punti di forza della propria impresa. Ed ecco allora che qualità, innovazione, flessibilità, investimenti e internazio-nalizzazione dopo essere stati gli “in-gredienti” del successo di Sabaf, oggi sono gli elementi sui quali continuare a puntare per affrontare le nuove sfide. Di certo essere leader italiani e uno tra i primi produttori al mondo di com-ponenti per cucine e apparecchi per la cottura a gas, aiuta ma in uno scenario dove il mercato degli elettrodomestici registra dati in progressivo rallenta-mento, soprattutto in Italia e in Eu-ropa occidentale, tradizionali mercati di riferimento per l’azienda di Ospita-letto, guardare al mondo diventa quasi obbligatorio. Anche perché, con lungi-miranza, Sabaf ha iniziato da tempo a presidiare alcune aree di sicuro sviluppo come il Brasile dove, da 10 anni, è già attivo uno stabilimento che produce

bruciatori per tutto il sud America e che lo scorso anno, così come nel primo semestre del 2012, ha registrato ottime performance. “La Turchia, dove entro la fine di quest’anno è previsto l’avvio di una nuova unità produttiva – precisa Alberto Bartoli nominato amministra-tore delegato della Sabaf nel maggio di quest’anno –, sarà invece il futuro pros-simo e aprirà nuove opportunità nei

mercati del Medio Oriente e del nord Africa. I nostri clienti sono i produttori di elettrodomestici per la cottura a gas e le multinazionali ci chiedono di essere presente sulla porta dei loro stabilimen-ti. Per essere competitivi in Paesi lonta-ni avremo bisogno di fabbriche in loco, per ridurre le spese di trasporto, per migliorare la logistica e per servire me-glio i clienti. Ma il cuore della nostra azienda è e sarà sempre a Ospitaletto”. Estero, quindi, “ma con marchio Sabaf, con il nostro modo di produrre, con i nostri macchinari a garanzia della no-stra qualità”. Un modello al quale non si intende rinunciare nonostante, con il perdurare della crisi, la qualità non sia più quel valore aggiunto che garantiva commesse da tutto il mondo a dispetto di una agguerrita concorrenza. “Il mer-cato ha sempre riconosciuto un prezzo maggiore ai nostri prodotti proprio per la qualità che siamo stati in grado di ga-rantire. Oggi i nostri clienti – aggiunge Bartoli – sono meno attenti al rapporto qualità/prezzo e i nostri interlocutori non sono più, come una volta, gli uffici tecnici ma gli uffici acquisti”. Ed è a questo punto che entrano in

RICONFERMATA LA SEPARAzIONE TRA PROPRIETÀ E GESTIONEOggi potrebbe essere una situazione che rientra nella normalità delle cose ma, se si pensa che la scelta di affidare la cre-scita della propria azienda a dei mana-ger esterni alla famiglia è stata fatta da un lumezzanese circa 40 anni fa, le cose cambiano. E di molto. Questa è la storia della Sabaf e del suo fondatore, Giusep-pe Saleri, un imprenditore certamente illuminato che arrivato a un certo punto della sua vita imprenditoriale è stato ca-pace di rendersi conto che i limiti delle proprie competenze non potevano esse-

re colmati se non guardando fuori dalla famiglia. Il passo conseguente, e non certo facile, è stato quello di individua-re nuove figure altamente professionali che avessero in comune un concetto di sviluppo aziendale improntato alla crea-zione di un valore condiviso. Da allora di strada ne è stata fatta tanta, quotazione in Borsa compresa, e l’azienda ha conti-nuato a crescere seguendo la via mae-stra del rispetto delle regole di mercato e della rigorosa separazione tra proprietà e gestione. Una scelta irreversibile e ricon-

fermata qualche mese fa con la nomi-na del nuovo amministratore delegato, Alberto Bartoli, che negli ultimi diciotto anni ha ricoperto la carica di direttore finanziario e di amministratore della Sa-baf. Una scelta condivisa e accettata anche dai tre figli di Giuseppe Saleri, che si sono impegnati a non ricoprire incari-chi di gestione all’interno della Sabaf a garanzia, anche per gli investitori, della continuità di un’impostazione basata sul-la separazione tra proprietà e gestione dell’azienda.

L’amministratore delegato di Sabaf Spa, Alberto Bartoli.

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gioco le altre competenze dell’azienda come, ad esempio, la flessibilità produt-tiva o la capacità di innovare i prodotti. “Oggi il vero plus competitivo è fornire ai mercati i prodotti di cui hanno biso-gno – spiega l’amministratore delegato –, creati sulle esigenze di ogni singolo Paese e sulle reali disponibilità di red-dito. Non è pensabile, ad esempio, en-trare in Paesi dove si devono sostituire i vecchi bruciatori proponendo i nuovi a prezzi troppo alti, non sarebbero in gra-do di sostenerli ed ecco perché diventa fondamentale studiare prodotti specifi-ci per ogni realtà e contemporaneamen-te sviluppare una gradualità produttiva capace di seguire il cambiamento, l’e-volversi dei redditi”. Ed è proprio que-sta la direzione che Sabaf ha intrapreso per quanto riguarda sia il mercato cine-se sia quello indiano. Con un grande vantaggio rispetto a tutti i concorrenti: il know how. “La nostra vera eccellen-za – sottolinea ancora il nuovo ammi-nistratore delegato – è la straordinaria stratificazione di conoscenze di chi ha lavorato e di chi lavora con noi. Il loro apporto di professionalità e di passione ci ha consentito di avere all’interno, di un’unica azienda, tante fabbriche per-fettamente integrate”. In effetti Sabaf ha sempre privilegiato anche la proget-tazione e la realizzazione dei macchinari che servono alla produzione e all’assem-blaggio dei prodotti, con la conseguen-te possibilità di intervenire lungo tutto il processo produttivo. Non solo. “Ne-gli anni – prosegue Bartoli – abbiamo continuato a destinare circa il 10 per cento del nostro fatturato, alla crescita

dimensionale dell’azienda, allo svilup-po dei prodotti e alla costante ricerca di un miglioramento che ci consentisse di affrontare e vincere le nuove sfide”. Infatti, secondo la semestrale approva-ta lo scorso agosto, nel primo semestre 2012 gli investimenti sono stati di 7.4 milioni di euro (rispetto ai 7.6 milioni del primo semestre dello scorso anno) e includono la realizzazione del nuovo stabilimento turco di Manisa e dei re-lativi impianti e macchinari. Insomma, anche in un contesto pesantemente condizionato dalla debolezza della do-manda europea di apparecchi di cot-

tura, e solo in parte controbilanciato dai buoni risultati ottenuti sui mercati extraeuropei (vendite a 23,6 milioni di euro nel primo semestre 2012, in cre-scita del 17% allo stesso periodo del 2011), l’azienda di Ospitaletto punta ancora sul suo modello di sviluppo che “da sempre – ricorda Alberto Barto-li – è quello di consolidare il primato tecnologico e di mercato attraverso una costante attenzione all’innovazione, alla sicurezza e alla valorizzazione del-le competenze interne, coniugando la crescita delle prestazioni aziendali alla sostenibilità socio-ambientale”.

I NUMERI DI SABAF SPA(dati in migliaia di euro)

2010

Ricavi delle vendite 150.897

Utile netto

Utile ante imposte

Risultato operativo (Ebit)

Margine operativo lordo (Ebitda)

148.583

2011

10.775

15.454

16.566

30.092

16.867

23.776

25.793

38.516

2009

127.088

14.548

14.548

16.218

28.518

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Made in Brescia

Telefri, una storia imprenditoriale tutta brescianaUna crescita a piccoli passi ma continua, e sostenuta da investimenti mirati, ha consentito al gruppo di proiettarsi oltreconfine, raggiungendo dimensioni ragguardevoli

uella del Gruppo Telefri è la storia di molti impren-ditori bresciani che negli anni Sessanta, sulla scia di una intuizione, hanno sa-

puto cogliere l’occasione e, con le loro capacità, trasformarla in imprese. Da piccolo produttore artigianale di serbatoi in vetroresina per motorini di grandi marche, Mario Telefri pensò che quei serbatoi potevano diventare molto più grandi e servire agli agricol-tori per stoccare mangimi per animali. La terra è quella ricca della Bassa bre-sciana, il periodo è quello in cui l’agri-coltura era ancora il motore dell’eco-nomia bresciana e cresceva. Tenacia e tanto lavoro hanno fatto il resto. Oggi il Gruppo è formato da una holding che detiene il 100% di due società operative: la Eurosilos Sirp di Isorel-la (produzione di silos per stoccaggio mangimi) e la Zincatura Bresciana di Verolanuova; il 50% della Italmix di

Montichiari, che produce carri mi-scelatori per l’agricoltura; tre immo-biliari in fase di aggregazione oltre a partecipazioni in società commerciali e produttive in Francia, Slovacchia e Repubblica Ceca. Una crescita fatta di piccoli passi, uno dopo l’altro, consolidando le posizioni raggiunte, continuando ad investire ma sempre puntando su quello che si è in grado di sostenere. Ed è per questo che tutte le aziende sono ben patri-monializzate e leader nei settori in cui operano. Lo spirito col quale sono nate le aziende viene oggi portato avanti dai due figli del fondatore, Dayana e Lu-igi, con l’obiettivo dichiarato di “mo-dernizzare” tutto il Gruppo.“Oggi non si può rimanere sul mer-cato improvvisando – precisa Dayana Telefri –. Gli scenari che cambiano con una velocità che non poteva esse-re prevedibile fino ad alcuni anni fa ci hanno convinto a migliorare tanti pic-

coli dettagli, come dedicare una mag-giore attenzione alla gestione, che oggi è completamente informatizzata, allo sviluppo di un ufficio tecnico interno, capace di risolvere problematiche nuo-ve, all’intensificazione della rete com-merciale”. “La concorrenza è sempre più agguer-rita – aggiunge il fratello Luigi – e siamo quindi intervenuti sull’ottimiz-zazione dei processi produttivi anche progettando macchinari specifici per le nostre lavorazioni, senza mai trascu-rare la qualità dei nostri prodotti, con un obiettivo: inventare sempre qualco-sa di nuovo per essere un passo avanti rispetto ai concorrenti”. Tutto questo grazie ad un continuo e costante coin-volgimento dei circa 200 collaborato-ri perché “per continuare a crescere è fondamentale avere un team motiva-

Telefri Dayana e Luigi.

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to”. Anche gli investimenti hanno fat-to la loro parte, “Il 5% del fatturato è destinato alla ricerca e sviluppo – spie-ga Luigi Telefri –; ci crediamo molto perché essere in grado di proporre un prodotto innovativo e di qualità è il presupposto per affrontare i mercati internazionali”.Il futuro si chiama Sud Est Asiatico. “Il 70% del fatturato di Eurosilos è realiz-zato con l’export – precisa Dayana –, quello di Italmax nel 2011 era al 50% oggi arriva già al 60%. Guardiamo ol-tre confine ma sempre con un approc-

cio fatto di piccoli passi, partecipando a fiere di settore, prima come visitatori e poi, se è il caso, con un nostro stand. La fase successiva prevede l’individua-zione di rivenditori o di agenti che condividano la nostra impostazione basata sul dare la migliore risposta alle esigenze dei clienti. In questo modo si consolidano mercato e vendite”. Una strategia che continua a dare risposte positive. “Nonostante la crisi internazionale faccia sentire i suoi effetti – aggiunge Francesco Bindoni, che con Dayana e Luigi Telefri è al timone del Gruppo – stiamo ottenendo discrete soddisfazio-

zINCATURA BRESCIANA, UNA VASCA DA RECORD

Una vasca per zincatura che potrebbe contenere un intero tir. Questo è il prima-to italiano che la zincatura Bresciana ha messo a disposizione dei propri clienti sin dal 2008 e che in questi anni ha consentito di rispondere alle richieste più particolari di progettisti e costruttori. Una vasca, che in azienda, considerano il cuore della zincatura e dalle dimensioni davvero importanti: 14,20 metri in lunghez-za, 3,40 in altezza e 2,70 metri in larghezza. Misure che consentono di zincare nella miglior posizione possibile manufatti par-ticolarmente sensibili alla deformazione, quali pianali per automezzi, impianti di be-tonaggio, carri agricoli, vasche, serbatoi e cisterne, colonne o condotte in lamiera. Un ulteriore tassello di una crescita iniziata alla fine degli anni ’90 quando la nuova compagine sociale, che oggi è riferibile al

Gruppo Telefri, decise di costruire un nuovo stabilimento dotandolo delle più moderne tecnologie così da garantire alla cliente-la elevati standard qualitativi nel pieno rispetto delle norme di tutela ambientale ma anche celerità nelle consegne. Una crescita che si è concretizzata anche sotto il profilo occupazionale. Nel 1998, infatti, l’azienda dava lavoro a 35 dipendenti, oggi ne occupa 103. Grazie ad un’area di 60mila mq di cui 20mila coperti, l’azienda ha inoltre la possibilità di stoccare al coper-to tutti i manufatti zincati preservandoli da repentine ossidazioni e perdita di brillantez-za. Un’area packing-list riservata a ispezio-ne e stoccaggio e numerosi mezzi idonei al carico e scarico dei materiali consentono poi di ridurre al minimo i tempi di attesa per queste operazioni completano lo stabili-mento di Verolanuova.

ni da tutte le aziende del Gruppo con un fatturato che nel 2010 ha sfiorato i 35 milioni di euro e che nel 2011 ha superato i 40 milioni. Ma le maggiori gratificazioni arrivano dal mercato che, anno dopo anno, conferma di apprez-zare la qualità delle nostre produzioni”. “Certo il processo di modernizzazione non è finito – aggiungono insieme i due fratelli Telefri –, ma come ci ha in-segnato nostro padre, andiamo avanti senza correre troppo, finalizzando gli investimenti, facendo crescere le azien-de giorno dopo giorno puntando sul-lo sviluppo delle tecnologie utilizzate, sulla ricerca per migliorare il prodotto, migliorando la gestione dei servizi che offriamo ai clienti e valorizzando il la-voro e le idee dei nostri collaboratori”. Scelte che davvero sanno di una gestio-ne “artigianale” ereditata dal padre. “Di fatto abbiamo mantenuto una struttura mono familiare – aggiunge ancora Dayana – ma con il contribu-to di tante professionalità che hanno contribuito alla nostra crescita”. “Un po’ come ha fatto nostro padre con noi – sottolinea Luigi –. Quando mi ha fatto entrare in azienda, ha voluto che lavorassi in ogni reparto, che im-parassi a conoscere ogni fase produtti-va dalla pratica quotidiana. Ci ha dato una grande opportunità di crescita e col tempo ci ha coinvolto nelle scelte aziendali accettando sempre il nostro contributo”. Una lezione che i giovani hanno imparato e soprattutto stanno mettendo in pratica.

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XXVIII

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Made in Brescia

Valsir, qualità e sviluppo ecosostenibile, la ricetta per continuare a crescere L’azienda valsabbina, attiva nel settore dei prodotti idrotermosanitari, ha festeggiato 25 anni di vita inaugurando a Vobarno un nuovo stabilimento tecnologicamente all’avanguardia

“Un’azienda è un insieme di fattori che sommati generano un risulta-to. Il risultato Valsir è

dato dalla ricerca quotidiana del miglio-ramento continuo, dal perseguimento costante della qualità ad ogni costo: sia nei processi produttivi e nelle procedure aziendali sia nei prodotti che realizziamo e proponiamo sul mercato”. Così il presidente onorario della Valsir, Silvestro Niboli, presenta la sua azienda che proprio quest’anno festeggia i 25 anni di attività produttiva nel settore dei pro-dotti idrotermosanitari (sistemi di scarico, conduzione, cassette di risciacquamento, riscaldamento e raffrescamento a pavi-mento e software di progettazione). Una storia caratterizzata da alcuni elementi individuati come fondamentali: “Ne-gli anni – sottolinea Niboli – abbiamo sempre puntato sullo studio e il monito-raggio dell’andamento e delle variazioni di mercato, sulla ricerca e sviluppo, sul supporto ai nostri clienti nella fase di pre e post vendita, sulla consulenza e assistenza tecnica ai nostri partner, ma soprattutto sull’attività di formazione e informazione dei nostri collaboratori. Tutto questo ha una cosa in comune: le persone Valsir”. Un denominatore comune che lo stesso Niboli individua come l’eccellenza dell’a-zienda. “Un esempio su tutti – aggiunge –, lo scorso agosto, mese in cui per tradi-zione in Italia tutto si ferma per le vacanze, un piccolo esercito di persone ha lavorato incessantemente, su turni, week end com-presi, per terminare i lavori al nuovo sta-bilimento di Vobarno, completare il tra-sloco e permettere di essere operativi con produzione, magazzino e consegna delle

merci il giorno di riapertura dell’azienda. In Valsir l’eccellenza sono le 400 persone che con impegno, serietà e forte senso di appartenenza fanno crescere l’azienda, rendendola sempre più competitiva in Italia e nel mondo”.

LA VALSABBIA NEL CUOREAnche in tempi di crisi, l’impresa conti-nua a crescere e per farlo nel modo miglio-re ha costruito a tempo di record (un solo anno dall’inizio dei lavori) un nuovo im-pianto produttivo all’avanguardia, sempre in Valle Sabbia. “Sono molto legato a que-sta valle – spiega Niboli –, io sono nato qui, tra queste montagne, e ho qui le mie radici. In questa valle mi sento a casa. Per

me questo è uno stimolo a cercare di fare, e fare il meglio che posso. E poi ho sempre creduto nell’eccellenza manifatturiera del made in Italy di cui Brescia e le sue valli sono un esempio. In tempi in cui la paro-la d’ordine è delocalizzare in Paesi dove la manodopera costa meno, ho scelto di non sacrificare la qualità dei prodotti Valsir per inseguire questa tendenza. Il “modo Valsir” di fronteggiare la crisi – prose-gue – è investire ottimizzando logistica e produzione, migliorando le performance giorno per giorno, eliminando attività che non portano valore e contenendo i costi. Credo che sia durante i periodi di crisi che si debba avere il coraggio di guar-dare avanti e rischiare, per essere pronti

Il nuovo stabilimento a Vobarno.

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Industria XXIX

Valsir, qualità e sviluppo ecosostenibile, la ricetta per continuare a crescere

a ripartire quando le cose cambieranno”. Una mentalità che si traduce nelle scelte strategiche dell’azienda valsabbina. “La qualità dei prodotti e dei processi produt-tivi è un fondamento dal quale non si può prescindere: in un mercato sovraffollato di competitor è importantissimo garantire al cliente un prodotto performante. Credo così fortemente nel concetto di qualità che da sempre il claim di Valsir è ‘qualità per l’idraulica’. Ma non siamo solo noi a dirlo: la qualità dei nostri prodotti ci viene rico-nosciuta quotidianamente dal mercato e attestata da numerosi enti di certificazione in tutto il mondo: ad oggi possiamo van-tare oltre 160 omologazioni di prodotto che ci collocano tra i produttori leader di

materiale per l’idrotermosanitaria in oltre 80 Paesi in tutto il mondo”.

L’ATTENZIONE ALL’AMBIENTELa ricerca e sviluppo è considerata il vero motore dell’azienda: “Nel solo 2011 sono state presentate 7 novità che vanno ad ar-ricchire le 14 linee di prodotto esistenti, composte da oltre 6.000 articoli – aggiun-ge Niboli –. Del resto ritengo che un pro-duttore che non si ingegni ad interpretare le esigenze del mercato e a trasformarle in prodotti competitivi e performanti sia de-stinato a una fine prevedibile”. Ma la vera sfida, che l’azienda sta vincendo, è quella di legare lo sviluppo industriale a un modo di operare orientato all’eco sostenibili-tà. “A questo proposito abbiamo attuato tutta una serie di interventi: il nuovo polo produttivo di Vobarno è stato studiato per ridurre al minimo l’impatto ambientale e i consumi energetici. La scelta dei materiali per le finiture esterne e i colori si integrano perfettamente all’ambiente circostante ri-ducendo al minimo l’impatto visivo. Tut-ta la struttura è perfettamente isolata in modo da ridurre al minimo le dispersioni energetiche e progettata in modo da sfrut-tare al meglio la luce solare per l’illumina-zione”. Sulla copertura infatti sono stati installati 1.000 kw di pannelli fotovoltaici che vanno ad aggiungersi al parco foto-voltaico, anch’esso di 1.000 kw realizzato nel 2001, nello stabilimento di Vestone. Tutte le superfici interne sono riscaldate con impianto a pavimento Valsir a bassa temperatura alimentato da una pompa di calore che allo stesso tempo produce ac-

IL CICLO DI VITA DI UN TUBOInvestire in ricerca e sviluppo è una scelta fondamentale per un’azienda che vuole competere con un mercato globale sempre più agguerrito. Se poi si aggiunge una particolare attenzione all’ecosostenibilità di ogni singolo aspetto delle proprie produzioni, il risultato non può che essere un’analisi LCA (Life Cycle Assestement), cioè una valutazione del ciclo di vita di un prodotto. È quanto ha fatto Valsir con i suoi tubi e raccordi in polipropilene. La metodologia LCA, regolamentata a livello internazionale dalle norme ISO 14040, è utilizzata per valutare il potenziale impatto ambientale di un prodotto durante tutto il suo ciclo di vita, dall’acquisizione delle materie prime allo smaltimento. Per ogni fase e componente è stata effettuata un’attenta analisi, un po’ come se si fosse esaminato ogni centimetro del tubo con una lente di ingrandimento molto potente.

Silvestro Niboli.

I NUMERI DI VALSIR

25 anni di attività

400 dipendenti

14 linee di prodotto

6.000 articoli

160 certificazioni di prodotto

2 megaWatt di energia prodotti da fonti rinnovabili

30 brevetti internazionali

Phot

o Va

lsir

qua refrigerata per i processi produttivi. In questo modo un’unica fonte energetica sopperisce a due esigenze contemporane-amente. All’esterno sono stati installati 60 km di tubo che, in inverno, raffredderan-no “gratuitamente” l’acqua utilizzata in produzione, fungendo allo stesso tempo da “impianto di snevamento” per le aree esterne. Un gioiello tecnologico e funzio-nale che ora deve essere messo a regime. “Sono abituato a lavorare per piccoli passi, ad affrontare un problema alla volta e a focalizzare l’attenzione su ciò in cui sono impegnato. È grazie a questo metodo di lavoro che siamo riusciti a realizzare il nuovo polo produttivo in tempi record. Ora – precisa il presidente – la priorità è avere a regime la produzione e la logistica nel più breve tempo possibile. Ho anche dei progetti per il futuro. Dalla prossima settimana, inizieremo la progettazione e la realizzazione dell’impianto a pannelli solari che completerà il lavoro fatto con il fotovoltaico; contemporaneamente stia-mo intervenendo nella sede di Vestone cercando di abbattere i costi di gestione, eliminare gli sprechi ed ottimizzare la pro-duzione razionalizzando gli spazi: quello che una volta era il magazzino dei prodot-ti finiti è ora un cantiere”.

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XXX Made in Brescia

AGROALIMENTARELa forza è nell’eccellenza dei prodottiBrescia si è fatta promotrice di un gruppo di lavoro per contrastarele attività illegali e fraudolente che danneggiano profondamente il settore mettendo in ginocchio chi opera nel rispetto delle leggi

Rilanciare il “Sistema Brescia” magari partendo dall’agro-alimentare. Una strada per-corribile visti i numeri e le

eccellenze che la nostra provincia è in grado di produrre e di proporre al mer-cato non solo italiano. È ancora la qualità prodotta sul terri-torio a spingere un settore che, a livello nazionale e per fatturato, è al secondo posto con un export che, seppur anco-ra limitato a pochi Paesi, negli ultimi dieci anni è cresciuto dell’86% regi-strando ottime performance. Nel 2011 il fatturato delle aziende italiane è stato di 127 miliardi di euro, con un incre-mento del 2,4% sul 2010 e, secondo i dati dell’Istituto nazionale di statistica

(Istat), le esportazioni agroalimenta-ri sono aumentate dell’8,5% rispetto all’anno precedente arrivando a sfiora-re quota 28 miliardi. I punti di forza, come spiegano gli esperti del settore, sono rappresentati dall’eccellenza dei prodotti, dalla capa-cità di innovare e dalla crescita dell’i-talian style anche nell’agroalimentare. Le criticità, al contrario, sono quelle di sempre come la piccola dimensio-ne delle aziende (il 90% delle piccole aziende vale il 30% del business), la mancanza di player italiani nella di-stribuzione internazionale e quell’ec-cessivo localismo che non sempre è capace di guardare lontano. Anche tra le aziende bresciane è emersa la neces-

sità di proseguire nelle vie intraprese per affermare sempre di più nel mon-do la qualità del gusto italiano. Strade corrette visto che i “numeri”, registrati dall’Istat nei primi 11 mesi del 2011, dicono di un incremento del 7,3% dell’export del made in Italy agroali-mentare, con la performance partico-larmente positiva di alcuni prodotti come i formaggi, i succhi di frutta, il vino, i prodotti dolciari a base di ca-cao, la pasta, i prodotti da forno, i pro-dotti della salumeria e l’olio d’oliva. Moderata è risultata la crescita delle esportazioni del settore frutticolo, che grazie all’incremento delle esportazioni di mele ha compensato la riduzione di quelle di frutta estiva e agrumi. In calo

A BRESCIA IL 15% DELLE IMPRESE LOMBARDE

A dare i “numeri” del settore agroali-mentare della Lombardia ci ha pen-sato una recente indagine elaborata dalla Camera di Commercio di Milano su dati Istat aggiornati ai primi nove mesi del 2011, dai quali emerge che le esportazioni di prodotti agroalimenta-ri dalla Regione sono cresciute del 7,9 per cento e hanno superato i 3,2 mi-liardi di euro. Le principali destinazioni della produzione agroalimentare lom-barda sono Francia (15,5%), Germania (13,4%) e Stati Uniti (8,6%). L’Europa, da sola, assorbe il 78,9% dell’export per un valore di circa 2,6 miliardi di euro, il continente americano il 12% e quello asiatico il 6,2 per cento. Tra le province lombarde, Milano copre il 28,9% delle esportazioni regionali e il 41,4% delle importazioni per un interscambio che

complessivamente supera i 3 miliardi. Seguono Pavia e Brescia per le esporta-zioni (rispettivamente 11,6% e 10,4%) e Lodi e Brescia per le importazioni (10,5% e 8,3%). La Lombardia, nel corso del 2011, ha rappresentato il 15,7% del tota-le delle esportazioni italiane alimentari verso il mondo e quasi un quinto di tut-to l’interscambio commerciale (19,1%). Sono quasi seimila le imprese attive come industrie alimentari e delle be-vande in Lombardia e rappresentano il 10% di tutto il comparto italiano. A Mila-no ha sede circa un’impresa su cinque (26,5%), una su sette a Brescia (14,7%), una su nove a Bergamo (11,3%). Rispet-to all’anno scorso le città dove cresce maggiormente il numero delle imprese agroalimentari sono Brescia (+4,2%) e Monza e Brianza (+1,9%).

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Agroalimentare XXXI

ANCHE ALL’ESTERO PIACE LA QUALITÀ CERTIFICATA

Gli italiani, anche nei periodi di crisi, alla qualità e alla sicurezza dei prodotti alimentari non rinunciano. Certo il calo complessivo dei consumi alimentari è registrato dai numeri ed è difficile smentire chi ricorda che le difficoltà economiche hanno costretto molti a modificare stili di vita precedenti. Ma stando a una ricerca realizzata da Swg per conto di Coldiretti, il 29% degli italiani (quasi uno su tre) acquista regolarmente prodotti a denominazione di origine, il 14% quelli biologici e il 15% acquista direttamente dal produttore. L’indagine ha evidenziato che “chi ha disponibilità di reddito ed è un consumatore attento alla qualità e alla tipicità consolida i propri stili, mentre chi si trova in difficoltà è spesso costretto a rinunciare”. Complessivamente i 229 prodotti a denominazione di origine made in Italy protetti dal riconoscimento comunitario hanno sviluppato nel 2010 un fatturato al consumo superiore ai 9 miliardi di euro, dei quali circa 1,5 miliardi realizzati sui mercati esteri attraverso l’esportazione. A crescere è anche il biologico, che ha fatto segnare un incremento record dell´11,6% nel 2010, e che ha continua a crescere anche 2011, con un aumento dei consumi dell´11,5%.

l’export di conserve di pomodoro, riso e, soprattutto, ortaggi.Sempre gli esperti sottolineano che troppo spesso, soprattutto in questo settore, gli operatori italiani non han-no guardato oltre il confine in modo positivo perché soddisfatti del merca-to interno. Da quando il mercato na-zionale ha confermato come gli effetti della crisi si riflettano sugli acquisti ali-mentari delle famiglie italiane, le cose sono cambiate. La rilevazione Ismea/Gfk-Eurisko, per il 1° semestre 2012, ha registrato un calo dei volumi ri-chiesti dello 0,7% e un aumento della spesa dello 0,6% rispetto al 1° semestre 2011. Tra i principali comparti, risulta-no in contrazione gli acquisti in volu-me di latte e derivati (-2,6%), ortofrut-ta (-1,2%), prodotti ittici (-2,2%), vini e spumanti (-1,8%). Sostanzialmente stabili i volumi richiesti per derivati dei cereali e carne e derivati (entram-bi +0,1%), mentre una lieve crescita si registra per bevande analcoliche e alco-liche (+0,4%). Di fronte alla contrazio-ne della domanda interna, i dati prov-visori dell’Istat confermano che anche nel nuovo anno, l’unico motore di crescita del settore resta l’export, anche se sostenuto solo dai prodotti dell’in-dustria alimentare (le vendite all’estero di prodotti agricoli calano) e soprattut-to dalla domanda extra Unione Euro-pea. Sulla base dei dati relativi ai primi cinque mesi del 2012, le esportazioni agroalimentari registrano in valore un +4,2% su base annua, trainate dal +6,9 per cento dei prodotti dell’industria alimentare. Le previsioni per i prossimi mesi sono altrettanto confortanti e in-dicano in valore una crescita del 3,9% per le esportazioni e una flessione del 3,5% per le importazioni, con un ul-teriore miglioramento del deficit della bilancia commerciale agroalimentare.A piacere all’estero è soprattutto la qualità certificata dei nostri prodotti. Docg, Dop, Igp e Bio sono sigle note alla maggior parte dei consumatori, an-che stranieri, che li associano a garanzia di affidabilità. In molti casi i marchi di certificazione sono variabili impor-tanti per l’acquisto di un prodotto e, nella considerazione dei consumatori,

vengono subito dopo prezzo, marca, tipicità, aspetto nutrizionale, comodità d’uso e rispetto dell’ambiente. Anche per questo, la tutela di questi certificati è fondamentale per la crescita del setto-re. Troppo spesso, infatti, i produttori italiani si devono difendere da forme di illegalità, concorrenza sleale e con-traffazione da parte di operatori senza scrupoli. Per contrastare questa deriva, proprio Brescia si è fatta promotrice di un gruppo di lavoro, presieduto dal prefetto Narcisa Brassesco Pace, che ha

stilato un protocollo d’intesa che con-tiene “gli atti d’impegno” dei diversi enti per la realizzazione di un percorso in grado di “contrastare le attività illega-li e fraudolente che feriscono profonda-mente il settore mettendo in ginocchio gli operatori che operano nel rispetto delle leggi”. Nel mirino, in particolare, l’utilizzo del marchio made in Italy su prodotti realizzati con materia prima non italiana, ma importata dall’estero a costi inferiori e solo trasformata nel nostro Paese.

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Agro Fruit: dal campo alla tavola in ventiquattro oreL’azienda di Alfianello fa parte del Gruppo Villari che da quasi mezzo secolo produce, lavora e commercializza prodotti ortofrutticoli, nel rispetto dell’ambiente e delle esigenze dei consumatori

D al produttore al consuma-tore, dal campo alla tavola, insomma una filiera corta per i prodotti della terra,

frutta od ortaggi che siano. Questo è il Gruppo Villari che da quasi mezzo secolo produce, lavora e com-mercializza prodotti ortofrutticoli e che a Brescia, più precisamente ad Alfianel-lo, dal 1995 ha la sua “succursale” per il nord Italia: Agro Fruit. “Abbiamo scel-to Brescia sostanzialmente per tre ragio-ni: la prima è che questa provincia era già un punto di sbocco importante per i nostri prodotti ortofrutticoli – precisa l’amministratore delegato, Antonino Villari –. La seconda perché volevamo dare un servizio migliore ai nostri clien-ti, e la terza è che la posizione geogra-fica della nostra sede è ideale dal punto di vista logistico perché ci consente di rifornire in modo veloce tutto il nord ed il centro Italia, fino a Roma”. Quando a metà degli anni ’90 il Grup-po ha puntato con maggiore decisione sulla grande distribuzione dei prodotti ortofrutticoli e “si è voluto garantire qualità e la maggiore freschezza pos-sibile non confezionandoli a duemila chilometri di distanza ma vicino allo smistamento e al cliente finale”, Brescia è diventata quasi una scelta naturale. “Volevamo che in ventiquattro ore i nostri prodotti partissero dalla terra d’origine per arrivare sui banchi dei su-permercati e sulle tavole dei consuma-tori, e ci siamo riusciti”. La qualità e la freschezza dei prodotti i Villari li hanno scelti da sempre come “missione”, sin da quando Attilio, fondatore del grup-po, iniziò nel 1970 a coltivare arance e limoni a Roccalumera il paesino della provincia di Messina dove era nato. È li che affondano le radici di Agro Fru-it, nella passione e nella voglia del suo

(arance, pesche, albicocche e angurie) senza tralasciare gli ortaggi tipici del Sud, come i peperoni, le melanzane o i pomodori, ma sempre con un grande rispetto per i ritmi dettati della natura perché ogni periodo dell’anno ha i suoi prodotti”. Quello stesso rispetto che i Villari chiedono a una rete di produt-tori/partner in grado di garantire alta qualità dei prodotti. “Se ti confronti nel libero mercato – aggiunge Villari – devi essere anche in grado di rispondere alle sue richieste. Per questo è stato impor-tante cercare e trovare dei colleghi pro-duttori che credessero e condividessero le nostre idee, la nostra impostazione sia nelle tecniche di produzione sia sulla qualità dei prodotti”. Non solo. Perché una filiera possa funzionare al meglio, occorre che molti tasselli si incastrino perfettamente. Ed ecco allora che an-che la raccolta di ortaggi e frutta è fatta da operai specializzati seguiti da tecnici aziendali ed avviene solo quando i pro-dotti ortofrutticoli giungono alla giusta maturazione e sono conformi alle spe-cifiche di prodotto. Così come la fase della lavorazione viene svolta da perso-nale adeguatamente formato in grado di selezionare prodotti ortofrutticoli perfettamente omogenei e rispondenti alle esigenze del mercato. La fase suc-cessiva è quella del confezionamento che si svolge nello stabilimento di Al-fianello dove “i prodotti ortofrutticoli, grazie all’utilizzo di avanzate tecnologie per automatizzare e velocizzare le pro-cedure, vengono preparati in base alle esigenze del cliente, nel pieno rispetto delle norme vigenti e dopo un ulteriore controllo della qualità”. Per completare “il viaggio” l’ultimo passaggio è proprio quello della consegna dei prodotti e per questo l’azienda, oltre ai camion di proprietà, si avvale di vettori nazionali

fondatore di dare il via a un’attività im-prenditoriale partendo da una piccola azienda agricola per trasformarla in una realtà produttiva di primo piano nello scenario nazionale. Passo dopo passo, dalle semplici forniture per conto ter-zi, in particolare per i paesi asiatici ed europei, nel 1975 Attilio Villari decide di allargare i suoi “orizzonti” propo-nendosi sul territorio nazionale con un proprio marchio, intuendo le gran-di potenzialità che la qualità dei suoi prodotti potevano offrirgli soprattutto in un canale in forte espansione come quello della grande distribuzione orga-nizzata. “Oggi – prosegue ancora Antonino Villari – puntiamo ancora sulla frutta

AGRO FRUITAndamento mensile fatturato/volumi 2012

Legenda

Fatturato 2012Fatturato 2011Volumi 2012

XXXII Made in Brescia

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I MARCHI DI AGRO FRUIT

È il marchio con cui da anni Agro Fruit distribuisce i suoi prodotti, na-zionali ed esteri, nei punti vendita di tutta Italia. Prodotti selezionati e controllati a garanzia di freschezza e genuinità

Altissima qualità per i mercati più esigenti.Il nuovo marchio, “Italia da Gusta-re”, contraddistingue il meglio della produzione ortofrutticola naziona-le, selezionata e distribuita in Italia da Agro Fruit.

L’attenzione di Agro Fruit all’am-biente e alla natura ha portato alla nascita del marchio È Bio, che comprende frutta e ortaggi bio-logici totalmente privi di residui di antiparassitari o diserbanti sintetici.La raccolta avviene solo al mo-mento effettivo della maturazione, senza forzarne la crescita con me-todi artificiali e concimi di labora-torio.Un contenuto di vitamine ed ele-menti nutritivi ancor più alto, un sa-pore intenso e ricco, per soddisfare le esigenze dei palati più raffinati.

Per rispondere in modo adeguato alle richieste di un mercato in continua evo-luzione e alle nuove tendenze espresse dai consumatori, da anni Agro Fruit commercializza, con il proprio marchio “Scelti dal Sole”, agrumi ottenuti con tecniche di lotta integrata e coltivati secondo il codice di “buona pratica agricola”. Esperti agronomi seguono e controllano tutto il processo produttivo limitando al massimo l’impatto am-bientale delle tecniche di produzione, a tutela dell’ambiente e del consuma-tore finale, garantendo la freschezza e la genuinità dei prodotti. Non poteva quindi mancare, accanto alla produ-zione tradizionale, la nuova produzio-ne biologica che l’azienda presenta al mercato col marchio “èbio”: frutta

e ortaggi biologici totalmente privi di residui di antiparassitari o diserban-ti sintetici. La raccolta avviene solo al momento effettivo della maturazione, senza forzarne la crescita con metodi artificiali e concimi di laboratorio. Que-sti fattori, che mirano alla qualità e non all’estetica degli agrumi, fanno sì che le proprietà alimentari di questi prodotti siano particolarmente elevate grazie a un contenuto di zuccheri, vitamine, aromi maggiore rispetto a quello dei prodotti ottenuti con le tecniche co-muni. Ma i “biologici” non offrono solo vantaggi nutrizionali: grazie alla coltiva-zione rispettosa dei ritmi della natura, il loro sapore è più intenso e ricco, e sono quindi in grado di soddisfare anche le esigenze dei palati più raffinati.

ATTENzIONE ALL’AMBIENTE CON I PRODOTTI BIOLOGICI

qualificati e attrezzati per garantire la puntualità nelle consegne del prodot-to che viene trasportato a temperature controllate. Ogni fase deve quindi rispondere ad alti livelli qualitativi soprattutto per ga-rantire il consumatore finale. Anche per questo l’azienda assicura la tracciabilità di tutti i prodotti secondo la formula “dal campo alla tavola”. “La crisi si è fatta sentire anche nel nostro settore – precisa l’amministratore delegato Anto-nino Villari – e oggi i consumatori sono molto più attenti al rapporto qualità/prezzo, ma anche alle tecniche di pro-duzione, al rispetto che il produttore ha dell’ambiente. Le nostre linee “Scelti dal Sole”, “è bio” e “Italia da gustare” (vedi box), grazie anche al contributo di esperti agronomi che controllano tutto i processo produttivo, vanno pro-prio in quella direzione. Non saranno prodotti a “km zero” ma danno ampie

garanzie di freschezza e di genuinità. E poi, se i consumi si limitassero solo ad alcune tipologie di prodotto, i brescia-ni non dovrebbero mangiare pesche o melanzane e i siciliani non potrebbero mangiare le mele”. Quello che però deve restare prioritario è la qualità che per i Villari è quasi un’ossessione. “Sia-mo alla terza generazione di produttori ed abbiamo alle spalle una lunga espe-rienza – conclude Antonino Villari –, inoltre abbiamo sempre mantenuto una grande passione per il nostro lavo-ro e questi elementi ci hanno guidato in tutti questi anni consentendoci di ot-tenere dei risultati importanti. Questi sono i punti di forza sui quali abbiamo costruito la crescita dell’azienda”. Una crescita che, dopo l’assestamento dovu-to alla burrasca della crisi economica, nel corso del 2012 presenta dati posi-tivi che “fanno ben sperare anche per il resto dell’anno”.

Agroalimentare XXXIII

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Ambrosi: continua lo shopping con obiettivo exportGrazie a un’oculata politica di acquisizioni e di accordi commerciali, oggi l’azienda di Castenedolo, leader nel settore lattiero-caseario, opera in 64 paesi nel mondo, con filiali dirette in Francia e America

Lo scorso luglio, Ambrosi, insieme al partner svizzero Emmi, ha rilevato la società francese Diprola, attiva nel

mondo dei formaggi freschi confezio-nati della quale, dal 2010, deteneva già una quota del 25%.L’operazione è un nuovo tassello che si inserisce nella strategia che ormai da diversi anni l’azienda bresciana, specializzata nella produzione e nella commercializzazione di formaggi ti-pici italiani, sta portando avanti con determinazione: internazionalizzarsi. Una scelta che la sta tenendo fuori dalle “secche” della crisi. Chiuso il 2011 con un fatturato in crescita ri-spetto al 2010 grazie soprattutto ad uno straordinario risultato dell’export (+ 35%), il primo semestre del nuovo anno registra segnali positivi soprat-tutto su alcuni prodotti mentre per altri è sostanzialmente in linea con il precedente. Il momento difficile si fa sentire ma il presidente, Giuseppe Ambrosi, pre-ferisce guardare avanti e focalizzare la sua attenzione sulle opportunità che anche una crisi può proporre ed ha le idee chiare sul come affrontarla: quali-tà e, appunto, internazionalizzazione. “Partendo dalla considerazione che il settore alimentare per sua natura è anticiclico e che i consumatori sono sempre più attenti al rapporto quali-tà/prezzo, la crisi è uno stimolo per migliorare ulteriormente la qualità dei nostri prodotti – spiega Ambrosi –. Più qualità si traduce anche in una maggiore capacità di penetrazione nei mercati internazionali e il nostro obiettivo è raggiungere, nei prossimi anni, un fatturato export (90 milioni nel 2011) simile a quello realizzato in Italia”.

70 ANNI DI STORIACerto è che a guardare i 70 anni di storia che l’azienda compie proprio nel 2012, di strada ne è stata fatta tanta e tutta con una caratteristica ben precisa: “continuare ad investire mettendo le basi per il futuro, bilan-ciando la crescita con quello che si è in grado di sostenere”. Insomma, una strategia di piccoli passi ma rivolti in tante direzioni: dalla crescita dimen-sionale degli stabilimenti allo svilup-po tecnologico e alla ricerca per mi-gliorare la qualità dei prodotti; da una sempre più attenta gestione dei servizi ai clienti-consumatori a importanti investimenti in risorse umane. Fino ad arrivare ad acquisizioni di aziende o alla scelta di siglare, nell’estate del 2007, un accordo con Emmi (che nell’operazione ha acquisito la pro-prietà del 25% dell’azienda), multi-nazionale svizzera quotata alla borsa di Zurigo che opera in maniera diret-

ta nel mondo. Il tutto “condito” con la capacità imprenditoriale di leggere e anticipare gli scenari dei mercati e soprattutto di prendere decisioni ra-pide.

L’INTERNAZIONALIZZAZIONE“Una scelta sbagliata è meglio di una “non” scelta – sottolinea il presidente –; a tentennare si corre il rischio di per-dere occasioni”. Forse per questo già a metà degli anni ’90 Giuseppe Ambrosi intuisce che il “nuovo” mercato sarebbe diventato il mondo. È in quegli anni, infatti, che vengono gettati i semi per l’internazionalizzazione dell’azienda grazie alla gestione attenta delle relazio-ni con vari distributori nel mondo, in particolare in Francia, Germania, Usa e Giappone. “Ma è dal 2007 con Emmi come partner che ci abbiamo creduto e puntato con maggiore decisione. In questi ultimi anni – aggiunge Ambro-si – stanno arrivando i frutti di quegli

XXXIV Made in Brescia

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Ambrosi: continua lo shopping con obiettivo export

investimenti”. A confermarlo sono i nu-meri: dal 2007 l’export dell’azienda di Castenedolo è cresciuto di 5 volte. Oggi il gruppo Ambrosi opera in 64 paesi nel mondo ed è composto dalla casa ma-dre di Castenedolo, dalla filiale francese “Ambrosi Emmi France” con sede a Niz-za, dalla filiale americana “Ambrosi Food USA” a New York, dalla parmense Abe-le Bertozzi Spa (di cui è stata acquisita l’ntera proprietà nel 2010) specializzata nella lavorazione e nel confezionamento di Parmigiano Reggiano, e dalla società commerciale Migali Srl, che opera nel canale horeca nel Triveneto.“Negli anni ci siamo trasformati molto – continua il presidente –, oggi Ambrosi è un’azienda diversa, che si è adattata ai tempi e alle evoluzioni dei mercati rin-novando anche la propria cultura azien-dale, oggi orientata al mondo”. Tutto questo grazie a un lavoro di continuo e costante coinvolgimento di tutti i 280 collaboratori. “Per continuare a crescere è fondamentale avere un team motivato, che si senta parte dell’azienda – aggiun-ge Ambrosi –. Ed è per questo che ab-biamo cercato di instaurare un rapporto fiduciario con i nostri collaboratori, ai quali chiediamo impegno e determina-zione nel raggiungimento degli obietti-vi”. I traguardi, anche nel prossimo fu-turo, si identificano con una maggiore penetrazione nei mercati dell’Est Euro-pa, Russia in particolare, ma anche in Asia e Medio Oriente. “Con filiali diret-te – precisa ancora Giuseppe Ambrosi – perché l’esperienza di questi anni ci ha insegnato che questa è la strada migliore per governare le strategie di commercia-lizzazione dei nostri prodotti. In questo

gliorare le tecniche di conservazione, per ottenere prodotti che si mantengono più a lungo nel tempo, dall’altro ha continuato ad investire anche sulla “green strategy”. In questi ultimi anni infatti l’azienda sta puntando decisa sull’utilizzo delle energie rinnovabili: l’installazione di un impianto fotovoltaico di 2.700 pannelli in grado di produrre 650mila kw/h annui, la coi-bentazione del tetto dello stabilimento di Castenedolo con isolanti in poliuretano e il nuovo impianto di recupero termico in grado di riciclare il calore (normalmente disperso dalle produzioni e dalle acque re-flue e di processo), garantendo un rispar-mio annuo di circa 70mila mc di metano, consentono di ridurre notevolmente le emissioni di CO2 nell’aria. “Finora sono state risparmiate emissioni pari al quan-titativo prodotto da 500 utilitarie in un anno ed entro la fine del 2014 – conclude Ambrosi – ci siamo posti l’obiettivo di riu-scire ad auto produrre circa un quarto del fabbisogno energetico dell’azienda. Quel-la che abbiamo intrapreso è una strada per una ancor più marcata differenziazione commerciale: quella di una maggiore at-tenzione all’impatto ambientale dell’a-zienda nel produrre i propri prodotti”.

A settant’anni dalla nascita, il “vecchio” marchio aveva bisogno di un “ritocco”. Dopo gli investi-menti effettuati negli ultimi anni, dal punto di vista sia societario sia produttivo, il presidente Giuseppe Ambrosi ha voluto mettere mano al logo aziendale con l’obiettivo di “creare un unico marchio per tutti

i prodotti che fosse più riconoscibile sia sul mercato interno sia su quello internazionale e che trasmettesse il nostro mes-saggio: qualità dei prodotti italiani e tradizione familiare”. Ma senza rinunciare a quel “cavallino rampante” che poco ri-guarda la produzione di formaggio, salvo saperne la storia. “È stato rimpicciolito e girato di 180 gradi – precisa Ambrosi – ma è lì per volontà di mio padre Ottorino che, quando nel 1942 iniziò l’attività, lo volle nel marchio perché, essendo pilota del 4° stormo dell’aviazione italiana durante la seconda guerra mondiale, quello era il loro simbolo e il loro portafortuna”. Giuseppe non ha mai pensato di rinunciarvi, sostanzialmente per due motivi: il primo per rispetto delle scelte del padre e il secondo perché “quando ho girato il mondo, quel cavallino rampante simbolo della Ferrari e presente nel nostro marchio è stato uno straordinario strumento di marketing e di comuni-cazione per l’azienda”.

UN NUOVO MARCHIO NEL SEGNO DELLA TRADIzIONE

GRUPPO AMBROSIBilancio consolidato (dati in milioni di €)

2010 2011

Fatturato

Ammortamenti

Saldo finale netto

Cash flow

Utile netto

247,8

2,9

-4,2

5,05

2,14

298,4

3,8

-5,9

5,5

1,77

Il presidente Giuseppe Ambrosi

modo possiamo curare con più atten-zione il rapporto diretto con i consu-matori, puntando su una crescita che sia il risultato di un consolidamento delle vendite e non di semplici azioni spot”.

LA “GREEN STRATEGY”E poi c’è sempre il made in Italy, ancora in grado di trainare i prodotti che all’estero possono contare su un grande appeal grazie soprattutto alla com-ponente di tradizione che ogni prodotto tipico italiano porta con sé. E se da un lato l’azienda si è dotata di strategie per accrescere i mercati e la qualità dei prodotti, diversi-ficare i formati, mi-

Agroalimentare XXXV

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XXXVI Made in Brescia

Guido Berlucchi, ritorno al territorioLa strategia del Gruppo di Borgonato punta alla valorizzazione complessiva dell’area e dei vigneti della Franciacorta. Un impegno “locale”da cui partire per conquistare nuove quote export

UNA STORIA LUNGA CINQUANT’ANNI

Guido Berlucchi, discendente dei conti Lana de’ Terzi, produceva con le uve del vigneto del castello di Borgonato il Pinot del Castello, vino bianco poco stabile in bottiglia. L’amico Alessandro Borghesi gli consigliò di incontrare un giovane e dinamico enologo, Franco ziliani. Era la primavera del 1955. ziliani si recò a palazzo Lana Berlucchi e gli propose di creare un metodo classico in Franciacorta. ziliani accettò l’incarico e intravide nella raffinata persona di Berlucchi, nella sua bella residenza e nell’antica cantina interrata la possibilità di dare corpo al suo sogno: creare un metodo classico in Franciacorta. I due, affiancati dall’amico Giorgio Lanciani, fondarono così la Guido Berlucchi & C. Nel 1961, dopo alcuni infruttuosi tentativi, ziliani sigillò tremila bottiglie di Pinot di Franciacorta: il vino si rivelò ottimo all’assaggio, e questo lo convinse a riprovarci l’anno seguente imbottigliando anche Max Rosé, metodo classico creato ad hoc per un amico di Berlucchi, il raffinato Max Imbert, e primo spumante rosé d’Italia. Franco Ziliani ha condotto l’azienda nel nuovo millennio. Il futuro della Guido Berlucchi è ora nelle mani dei suoi figli, Cristina, Arturo e Paolo. Cinquant’anni dopo il Pinot di Franciacorta 1961, il mezzo secolo di storia della casa è suggellato dal francobollo di Poste Italiane. Un segno che la conferma tra le icone del made in Italy.

Dici “Franciacorta” e pen-si subito alle “Bollicine”, dici “Metodo Classico” e immediatamente visualizzi

il logo Berlucchi: “da quest’anno ogni goccia del nostro vino è Franciacorta – spiega con orgoglio Arturo Ziliani, appassionato enologo che oggi, assie-me alla sua famiglia, dirige la più pre-stigiosa azienda di vino del nostro ter-ritorio, celebre ormai non solo in Italia e in Europa, ma anche nel mondo. La Guido Berlucchi & C Spa oggi si compone della capogruppo, che ha sede a Borgonato, dove è situato anche il centro di spremitura e sono concen-trati gran parte dei vigneti; dell’Antica Fratta, gemma enologica a Monticelli Brusati; del Relaisfranciacorta, elegan-te hotel di campagna con ristorante gourmet; di Caccia al Piano, tenuta situata a Castagneto Carducci, dove nascono due rossi valorizzati dalla denominazione d’origine controlla-ta Bolgheri. “Il vino si può produrre ovunque, ma un vino senza un’origine territoriale ben definita è un prodotto senza anima: il radicamento nella tua terra è fondamentale”, afferma Zilia-ni. Ecco perché il risultato raggiunto quest’anno dalla Berlucchi è forse tra le mete più significative raggiunte dall’a-zienda nei suoi oltre cinquant’anni di attività. Un risultato reso possibile dal-la grande competenza enologica, dalla conoscenza della terra di Franciacorta e delle sue potenzialità, ma anche dalla crisi economica, che ha spinto l’azien-da a rinnovarsi, aprire gli orizzonti e promuovere progetti ambiziosi. Tra questi, appunto, il ritorno in toto al territorio di origine: “Fino all’anno scorso, la produzione non era Francia-corta al cento per cento, si utilizzava-

no uve miste, dell’Oltrepò pavese, del Trentino, ecc. – ribadisce Ziliani –. Quest’anno raccogliamo i frutti di un percorso, avviato dodici anni fa, che nella Cuvée Imperiale ha visto aumen-tare gradualmente di anno in anno la quota franciacortina, fino ad arrivare

alla vendemmia 2012 che produrrà 4 milioni e 700mila bottiglie figlie dei vigneti della Franciacorta. Questo per un preciso disegno strategico di noi della seconda generazione aziendale, che abbiamo fatto del ritorno al terri-torio uno dei nostri obiettivi cardine”.

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Agroalimentare XXXVII

LA CANTINAA otto metri sotto il livello del suolo si sviluppano oltre 15mila metri quadri di nicchie e gallerie, la cui porzione più suggestiva è costituita dalla cantina del XVII secolo dove già gli antenati di Guido Berlucchi affinavano vini rossi. In questo luogo silenzioso, privo di luce diretta, con temperature naturali di dieci gradi centigradi, avviene la rifermentazione in bottiglia: i lieviti metabolizzano lo zucchero e producono alcol, anidride carbonica e ricchi aromi di crosta di pane e pasticceria. Il Franciacorta è, teoricamente, pronto, ma deve riposare in cantina ancora molti mesi, ed essere liberato del residuo dei lieviti prima con il remuage (meticolosa operazione di scuotitura che sollecita la discesa dei lieviti nel collo della bottiglia) e poi con la sboccatura, eliminazione del sedimento mediante la ghiacciatura del sedimento e la sua eliminazione.Prima della chiusura con il sughero, ogni bottiglia è sottoposta al controllo visivo, al rabbocco e al dosaggio, effettuato con vini evoluti e zucchero di canna, fautore del livello di “dolcezza” di ogni Franciacorta, dal Pas Dosé, che ne è privo, sino al Demi Sec.

PER UNA VITICOLTURA SOSTENIBILEI vigneti Berlucchi in Franciacor-ta coprono, tra conduzione diretta e proprietà, oltre seicento ettari, pari a un quarto della superficie vitata della denominazione d’origine controllata e garantita. Il vigneto è gestito con il metodo della lotta integrata, e l’azien-da ha proseguito l’opera di zonazione iniziata dal Consorzio Tutela Francia-corta con Mille1vigna, progetto mirato a ideare la carta d’identità del singolo vigneto per esaltare le caratteristiche uniche delle sue uve. Inoltre, i vigne-ti sono fotografati dall’alto con un apparecchio a infrarossi, per recepire le informazioni sul vigore vegetativo e intervenire in modo mirato nelle operazioni colturali e in vendemmia, scaglionando quest’ultima per valoriz-

Franco Ziliani con i figli Cristina, Arturo e Paolo.

zare le peculiarità delle singole vigne. “Da anni mettiamo in pratica una vi-ticoltura sostenibile con alcune regole applicate anche nella viticoltura biolo-gica: trattamenti mirati, grazie all’uso di tecnologie all’avanguardia come il satellite, e ricerca di un equilibrio giu-sto tra i diversi aspetti della sostenibi-lità”, spiega Arturo Ziliani. Dal 2010 l’azienda condivide il progetto Itaca per il monitoraggio delle emissioni di anidride carbonica, con l’obiettivo di arrivare a un bilancio pari a zero. Illustra l’enologo: “Questo progetto calcola la quantità di Co2 prodotta, considerando tutto il ciclo produttivo, dal mezzo di trasporto dei dipendenti alla lavorazione delle uve: dal primo anno, che è servito per la raccolta dati, ad oggi abbiamo registrato una net-ta diminuzione di Co2, grazie anche

all’installazione sui tetti degli edifici di lavorazione di pannelli fotovoltaici, che oggi rappresentano circa il 60 per cento del consumo energetico”.

FARE RIPARTIRE L’EXPORTDalla crisi la Guido Berlucchi ha rica-vato anche un’apertura degli orizzonti: il metodo classico non esporta molto “ma il nostro obiettivo è far conoscere la Franciacorta in quei paesi dove c’è una certa cultura del vino, promuovere non solo la nostra azienda, ma il mar-chio Franciacorta, portando così avan-ti un lavoro collettivo anche con altri produttori locali”, sostiene Ziliani. In questa prospettiva oggi due perso-ne si occupano esclusivamente dell’ex-port; la strategia è quella di affrontare il mercato estero gradualmente, paese per paese, senza disperdere energie, an-che perché il vino è un prodotto che non si può proporre in modo aggres-sivo: ha i suoi tempi di produzione, che si diluiscono anche su più anni, e quindi non è possibile usare strategie di marketing ad impatto immediato. La quota export, in costante aumento, è realizzata con i mercati sviluppati di Germania, Svizzera, Austria, Giappo-ne, UK e recentemente USA. Nel 2011 copriva il 4-7 per cento della produzio-ne e nel 2012 si prevede che supererà l’8 per cento, ma, in prospettiva, l’o-biettivo è di riuscire ad esportare il 25-30 per cento della produzione. “La crisi non ci ha colpito tantissimo, ma ci ha fatto svegliare. Abbiamo programmato alternative e cambiato anche target di consumatori, sviluppando strategie per promuovere i nostri prodotti in nuo-vi settori della società”. Berlucchi ’61, ad esempio, è una nuova linea che ha successo tra i giovani trentenni, per la sua freschezza e il suo richiamo frut-tato floreale che lo rende ideale per i momenti di incontro. Ai Franciacorta Millesimati Cellarius e Palazzo Lana, vini rari e sapientemente affinati, più adatti a piacevoli momenti di intratte-nimento senza eccessi, si affianca la sto-rica Cuvée Imperiale, simbolo da cin-quant’anni di festa e brindisi, ma che, assicura l’esperto Ziliani, è un vino che si presta ottimamente per tutto il pasto.

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XXXVIIIMade in Brescia

Cedral Tassoni: tradizione e modernità per un target di nicchiaConiugare storicità ed efficienza produttiva: questa la formula che permette alla Cedral Tassoni di Salò di esistere da oltre due secoli e di essere uno dei tanti testimoni della maestria imprenditoriale italiana

Le alchimie degli speziali del Settecento sopravvivono nel sapore unico della cedrata, una bevanda che per l’Italia

è un po’ quello che è la Coca-Cola per gli Stati Uniti, con il di più della qualità e della genuinità del prodot-to. Perché la cedrata piace, il suo gusto conquista bambini, giovani, adulti e anziani, senza stancare mai. La cedra-ta non si trova proprio in ogni bar, perché il suo target resta volutamen-te di nicchia, certo, con ambizioni di miglioramento ed espansione, ma pur sempre in un ambito che non dimentichi mai la qualità derivante

dalle origini. Come nel Settecento in Tassoni si lavorano gli agrumi che oggi vengono acquistati in Calabria e in Sicilia. Anche se i cedri non sono del luogo la lavorazione è tutta garde-sana, gli agrumi arrivano in inverno, viene estratto dalle bucce del frutto l’aroma del cedro che viene dosato per i diversi prodotti preservando la vocazione antica: questo è il punto di forza dell’azienda, che mantiene viva la tradizione senza però rinchiudersi nel passato. Nel 2010, infatti, la Cedral Tassoni ha promosso un progetto di ammo-dernamento dello stabilimento, con opere di ripavimentazione e intelaia-

tura delle pareti dove è ubicata la li-nea di produzione. È stato rinnovato anche l’impianto di pastorizzazione ed è stata creata una nuova area di stoccaggio alcoli e aromi: è la sezio-ne dove vengono poste in infusione le scorze di cedro e di altri agrumi per l’estrazione degli aromi. Infine si è realizzato un nuovo impianto per il trattamento dell’acqua in entrata.

PRODOTTI ANTICHI E NUOVE SPERIMENTAZIONIMa il binomio tradizione-moderni-tà è preservato anche sul piano dei prodotti. Liquori storici, quali l’A-nesone Triduo e le Acque di Cedro, rimangono nel portafoglio prodotti e rappresentano la storia della Tassoni, che in cassaforte custodisce i loro ri-cettari antichi, naturalmente vergati a mano. La modernità è la Tassoni Soda che si consuma anche miscelata ad al-tre bevande, alcune alcoliche, come vodka, gin e bitter; da quest’ultimo connubio è già nato l’Apertas, un aperitivo alcolico che segue la ten-denza dell’happy hour e che viene già servito in alcuni locali. L’azienda è comunque più votata all’analcoli-co, quindi, pur provando di buon grado questi esperimenti, privilegia la ricerca della qualità degli ingre-dienti della tradizionale cedrata. In questo modus operandi si distingue nettamente in un contesto dove so-litamente regna la voglia di conti-nua espansione e l’ambizione di ac-quisizione illimitata di mercato. La finalità non è la competizione con

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Agroalimentare XXXIX

UNA STORIA SECOLARE

Con i suoi quasi 220 anni di attività la Cedral Tassoni è uno dei marchi che hanno fatto la storia della produzione italiana, ad-dirittura ancor prima che esistesse la stessa Italia. Già a partire dal XVIII secolo alcuni speziali (ovvero i farmacisti dell’epoca) della riviera gardesana si dedicarono a studiare e valorizzare le caratteristiche dei cedri, distillando infusi idroalcolici per pro-durre l’Acqua di tutto Cedro, a gradazione moderatamente alcolica. In località Piazzolla, nel centro di Salò, a metà Set-tecento aprì la spezieria Barbaleni, riconosciuta farmacia nel 1793. Acquistata nel 1868 da Nicola Tassoni e rilevata nel 1884 da Paolo Amadei che ne mantenne il nome, la distilleria venne divisa dalla farmacia e ubicata in via Enrico Bossi dove tuttoggi si trova la sede dell’azienda. Nel 1921 Carlo succedette al pa-dre Paolo, iniziando una fase di espansione: fu creato un nuovo prodotto, la Cedrata Tassoni, uno sciroppo dal gusto originale che il mercato accolse con entusiasmo. Dall’orginale Cedrata Tassoni addizionata con acqua e soda derivò la Tassoni Soda, la cedrata già pronta nella sua dose ideale.

LA COMUNICAzIONE: DA MINA A... FACEBOOKLa chiave del successo degli anni Venti del Novecento fu comprendere le necessità dell'industria dei tempi, cioè inve-stire in pubblicità: i manifesti della Cedrata Tassoni rappresen-tano un modello del gusto pubblicitario anni Venti e Trenta. Indimenticabile per la grafica e la linea pittorica tipica del perido è l’immagine promozionale che fu pubblicata sulla Domenica del Corriere il 23 dicembre 1900. La politica della comunicazione fu perseguita anche dalle gestioni successive, con la direzione che investì sempre sui nuovi media, ricorrendo via via agli audiovisivi, ai film e al piccolo schermo, arrivando al Carosello degli anni Settanta con un testimonial d’ecce-zione: Mina. Fino al 1982 il jingle pubblicitario resta legato alla grande cantante italiane, con il testo che nel ritornello recita-va: "Trova un minuto per me! Per voi e per gli amici... Tassoni". Oggi l’azienda persegue la sua originaria vocazione di una politica della comunicazione non invasiva ma mirata: non ha una pagina internet ma ha un profilo facebook molto attivo, con gli oltre 70mila mi piace e le migliaia di post scritti dagli appassionati.

aziende più grandi. Ma l’approccio non aggressivo non significa affatto insuccesso commerciale: lo storico brand è in buono stato di salute, tan-to che nel 2011 ha saputo reggere la crisi dei consumi, con un fatturato pari a 10 milioni. Prodotto di punta è rimasto la Cedrata che rappresenta il 95% del giro d’affari della Tassoni.

INIZIATIVE E COLLABORAZIONIModerazione che non esclude l’inte-resse per il mercato estero né tanto meno le collaborazioni per trovare nuove formule vincenti da proporre anche al mercato italiano. Apertas per l’appunto, ma anche il progetto in corso con Slow Food, che proprio nei giorni scorsi ha avuto una tappa importante: i test di selezione delle ricette di bevande miscelate, pro-poste dai barman di Slow Food, in-dividuato come garanzia di un alto livello di qualità sia degli ingredienti sia della cultura culinaria in genera-le. Dagli assaggi l’azienda selezionerà qualche ricetta che poi proporrà sul mercato, ma senza fretta, forte dei numerosi fan in facebook dai quali provengono suggerimenti e osserva-zioni. Ma con Slow Food la collabo-razione va oltre, con la presenza della Cedral Tassoni al Salone del Gusto di Torino e il sostegno di progetti colle-

gati al marchio di ristorazione etica, come Terra Madre e Osterie d’Italia. Altra collaborazione cui l’azienda tiene molto è quella con Fai (Fon-do Ambiente Italiano), poiché ben rispecchia la visione del mondo di valorizzazione del territorio derivan-te dalla lunga tradizione dell’azien-da. Nel 2012 bellezza e gusto si sono incontrate: Cedral Tassoni è presen-te presso i beni Fai e ne sostiene gli eventi più significativi. Un cammino insieme che caratterizza la tradizione declinata in sensibilità e condivisione ma anche in ricetta imprenditoriale e di gusto, un amore tutto italiano per la bellezza, l’arte e l’eleganza che

Un’inserzione pubblicitaria del 1956. Un’inserzione pubblicitaria del 1900.

ha contraddistinto la comunicazione pubblicitaria made in Italy dell’azien-da per tutto il Novecento. Infine, ma non ultimo, il progetto della realiz-zazione di un museo aziendale per la valorizzazione e il recupero del patri-monio storico accumulato, soprat-tutto sul fronte della comunicazione. Il percorso espositivo troverà spazio nell’attuale sala di imbottigliamen-to degli sciroppi, e dovrebbe essere aperto al pubblico dal 2013.

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XL Made in Brescia

Centrale del latte, nel segno della tradizione con lo sguardo rivolto al futuroDa oltre 80 anni, l’azienda di via Lamarmora è un bene comune dei bresciani in grado di rispettare e valorizzare i prodotti del territorio e di investire nell’innovazione

La strategia è ben definita: ave-re il coraggio di investire per continuare ad offrire sempre qualcosa di nuovo, per aprire

nuovi mercati ed arrivare a nuovi clien-ti con nuovi prodotti. Il tutto nel segno della tradizione che per la Centrale del Latte di Brescia è sinonimo di qualità. Facile a dirsi, difficile a farsi. Eppure, se si rileggono gli oltre ottanta anni di storia dell’azienda è sempre stato così. Un esempio su tutti: nel 1963 la Cen-trale del Latte iniziò a produrre il latte a lunga conservazione (uperizzato ed omogeneizzato) dotandosi del primo impianto Uht in Italia. Ma, per non andare troppo indietro nel tempo, è con la scelta nel ’96 di trasformarla in una società per azioni che si è impressa all’azienda un’accelerazione importan-te. “Con quella decisione – spiega An-drea Bartolozzi, direttore generale della Centrale del Latte –, pur mantenendo il controllo pubblico, si è favorita l’au-tonomia decisionale e si sono poste le premesse per l’ingresso dei privati nell’azienda”. Insomma un modo per affrontare le nuove sfide di un mercato sempre più agguerrito e in un settore dove, in quegli anni, i grandi gruppi e le mul-tinazionali si dedicavano allo shopping delle municipalizzate o, più precisa-mente, dei loro marchi, con il rischio poi di “svuotarle” dal punto di vista produttivo. “È di quel periodo il ri-fiuto di una proposta miliardaria di Tanzi (Parmalat) che l’allora sindaco Mino Martinazzoli giudicò negativa

per la città”, aggiunge Bartolozzi. Eh sì, perché la Centrale è dei bresciani. Ed allora ecco nuovi vertici e più ma-nager per stare sul mercato puntando a crescere. Una crescita basata sulla for-za del marchio a garanzia della qualità dei prodotti; sulla freschezza assicurata da 40 camioncini che girano tutta la provincia e sulla voglia di sperimentare nuove strade. “Fino al 2000 siamo cre-sciuti su nicchie di prodotti, come ad esempio le insalate pronte o i prodotti biologici, che hanno rappresentato una grande opportunità per farci conoscere anche fuori provincia – ricorda Barto-lozzi –. Ma il nostro obiettivo era quel-lo di recuperare un’identità produttiva basata su un concetto semplice: i liqui-di devono stare nelle bottiglie. Per que-sto nel 2001 abbiamo abbandonato il tetrapak, che era stato il contenitore simbolo destinato al latte fresco pasto-rizzato, per sostituirlo con una comoda bottiglia richiudibile in Pet, innovati-va, sicura e riciclabile. Oggi il simbolo

dell’azienda è anche quella bottiglia”. Ma non ci si poteva fermare e allora, nel 2004, la Centrale è la prima azien-da ad utilizzare, come contenitore per il latte a lunga conservazione, proprio la bottiglia in Pet. L’anno successivo, nello stabilimento di via Lamarmora, la Centrale inizia, tra le prime in Italia, la produzione del latte microfiltrato, pastorizzato come il latte fresco ma con una “durata” superiore (circa 20 giorni) grazie all’utilizzo di una parti-colare tecnologia innovativa . “Sono gli anni in cui l’azienda diventa leader per tecnologia utilizzata e per innovazione di prodotto sfruttando la capacità di reagire velocemente alle richieste del mercato”, spiega Bartolozzi. In quegli anni l’azienda si impone nel mercato per quello che è in grado di fare meglio: confezionare latte. “Abbia-mo iniziato a proporre e ad esportare la brescianità, il nostro modo di fare latte – aggiunge il direttore – concludendo accordi con allevatori bresciani, per la-vorare il latte bresciano, riempiendo

I CONTI DELLA CENTRALE(dati in milioni di euro)

20112010

Ricavi 49,2 53,7

Costi produzione 47,8 51,6

Margine operativo 4,3 4,4

Utile ante imposte 1,5 2,1

Utile 0,8 1,2

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Agroalimentare XLI

Centrale del latte, nel segno della tradizione con lo sguardo rivolto al futuro

bottiglie bresciane. Abbiamo scelto una nostra strada, senza copiare nessuno, cercando di proporre qualcosa che gli al-tri non proponevano”. Ed è infatti dallo studio e dalla continua ricerca di novità che nel 2008 nasce Recappuccio: latte fresco pastorizzato che grazie ad una particolare tecnologia viene arricchito con crema di latte. “Un prodotto pen-sato per i baristi, che ci ha consentito di chiudere un accordo con la McDonald Italia per rifornire tutti i suoi punti che preparano colazioni – precisa Bartoloz-zi –; così come innovativo è il latte ad alta digeribilità parzialmente scremato a lunga conservazione con solo lo 0,1% di lattosio o il latte microfiltrato ad alta digeribilità, rivolto agli intolleranti al lattosio che non vogliono però rinun-ciare al piacere e al gusto del latte”. E questo solo per il latte. In mezzo tutto il resto: dai formaggi alla panna e al burro; dalle mozzarelle al grana grattugiato; dallo yogurt al mascarpo-ne, passando per le insalate già pronte e le uova per arrivare alla più recente linea di affettati (vedi box). Tutti con il “marchio” della Centrale, tutti pro-dotti con le materie prime di qualità superiore che è in grado di esprimere il territorio bresciano e con certifica-zioni di qualità. “Proprio l’alta qualità del nostro mascarpone, ad esempio, ci ha consentito di esportarlo all’estero – sottolinea Bartolozzi – e, da poco più di un anno, un noto marchio inglese ci ha chiesto di produrlo per suo conto. Un bel riconoscimento”. Ma la Cen-trale, in questi anni, di soddisfazioni ne ha ottenute parecchie, prima fra tutte quella di aver visto crescere il fat-turato, costantemente “e senza acquisi-zioni – aggiunge con un certo motiva-to orgoglio il direttore –; si è trattato di una crescita tutta interna, ottenuta aumentando il numero dei clienti/con-sumatori e la gamma di prodotti”. Di pari passo sono cresciuti i dipendenti e la loro professionalità. “Chi lavora in Centrale – precisa Bartolozzi – ha un’età anagrafica mediamente bassa ma altissime competenze e questo in tutte le aree aziendali: dalla produzione al commerciale. I nostri collaboratori hanno un forte attaccamento al mar-

chio e a confermarlo è lo scarso turno-ver, segno di un clima sereno all’inter-no dell’azienda”. I risultati, dopo tanto lavoro, si leggono anche nei numeri del bilancio (vedi box). “Di certo la crisi impone la massima attenzione ai costi di produzione – aggiunge il direttore generale –, ma la Centrale del latte è qualcosa di più di una Spa che vuole esclusivamente produrre reddito, è un bene comune per la città; non è mai stata di parte e attraverso i risultati ot-tenuti è stata in grado di conquistarsi un’autonomia gestionale e decisionale importante per la sua crescita. Oggi

è più difficile fare tutto quello che si faceva prima, ma, nonostante la crisi, rispetto ai primi sette mesi dello scorso anno siamo cresciuti di un 3 per cento, con una tenuta della marginalità. L’im-portante è continuare ad avere buone idee e il coraggio di investire”. Non male per un’azienda che per non “tradire” i suoi valori ha scelto di so-stenere lo sviluppo delle energie rin-novabili acquistando esclusivamente energia elettrica al 100 per cento pro-veniente da fonti rinnovabili in accor-do ai principi stabiliti dal protocollo di Kyoto per uno sviluppo ecosostenibile.

AFFETTATI CON IL MARCHIO DI GARANzIA

Andare oltre il latte. Quindi, dopo i formaggi, il mascarpone, la panna, le mozzarelle, lo yogurt prima sono arrivate le insalate fresche già pronte, poi i salumi affettati con la garanzia del marchio della Centrale. La filosofia è la stessa: offrire, migliorandolo, un prodotto già esistente sul mercato. Nessuna imitazione però, ma una nuova proposta che si caratterizza per due elementi: il contenuto e il contenitore. Per quanto riguarda il primo, la scelta della Centrale è stata quella di puntare sulla riscoperta e sulla valorizzazione della qualità del prodotto italiano e bresciano in particolare. “La filiera corta – precisa il direttore generale della Centrale del Latte, Andrea Bartolozzi – non è solo orgoglio territoriale. Se si è vicini al produttore si realizza un maggior controllo che si traduce in sicurezza alimentare e freschezza del prodotto”. Se a questo si aggiungono la vasta gamma offerta (prosciutto crudo stagionato e San Daniele, prosciutto cotto e di Praga, salame milano, mortadella e bresaola) e una tecnologia di ultima generazione che consente di mantenere al meglio le caratteristiche microbiologiche e organolettiche e di affettare i salumi assicurando la separabilità delle fette, si potrebbe già essere contenti. Ma alla Centrale hanno fatto di più studiando un’innovativa vaschetta ovale estraibile che può essere utilizzata come un vassoio per portare i prodotti direttamente in tavola.

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concessionaria esclusivaper la pubblicità locale sull’edizione Brescia del

Sale’s Solutions SrlViale Duca degli Abruzzi, 163 - 25124 BresciaTel. +39.030.3758435 - Fax: +39.030.3758444www.salesolutions.it - mail: [email protected]

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XLIV Made in Brescia

TERZIARIO AVANZATOUn processo ancora in corsoIl tratto distintivo delle imprese del terziario innovativo è il forte orientamento verso il mercato locale o regionale, anche perché quasi i due terzi del valore dei servizi venduti sul mercato è rivolto alle aziende private presenti nel territorio

Brescia, a buona ragione, può essere considerata un esempio del processo di terziarizzazio-ne che ha coinvolto gran parte

dell’economia italiana e che racchiude al suo interno una serie di ulteriori processi, tra cui il progressivo sviluppo del terziario più innovativo a fronte di una sostanziale stabilità o di un debole arretramento del cosiddetto terziario tradizionale.La crescita del terziario avanzato è per molti versi imputabile alla trasforma-zione e riorganizzazione delle attività del comparto manifatturiero che ha trovato nella capacità di innovazione e nella qualità le vie per affrontare e su-perare la crisi. E in questo il terziario avanzato ha giocato e gioca un ruolo fondamentale.

Questo fenomeno ha interessato tutte le economie più progredite, tra cui anche l’Italia, che seppur con un certo ritardo rispetto ad altre realtà ha progressiva-mente sviluppato un settore del terzia-rio avanzato con caratteristiche proprie e fortemente legato al comparto mani-fatturiero. Le caratteristiche di questo relativamente nuovo settore sono state esaminate da alcune recenti ricerche che hanno per la prima volta individua-to i tratti peculiari del terziario avanzato made in Italy. Innanzitutto va sottoli-neata la relativa “giovinezza” del setto-re, dato che oltre la metà delle imprese che lo compongono è stata fondata nel nuovo millennio e spesso su iniziativa di una persona fisica. Le imprese sono per lo più unità di piccola, se non pic-colissima, dimensione: quelle con un solo addetto rappresentano il 72% del complesso del settore, mente solo il 4%

ANCORA SEGNALI NEGATIVI

L’attività del terziario italiano ad agosto ha segnato una contrazione per il quindi-cesimo mese consecutivo, penalizzata da un ulteriore calo dei nuovi ordini, anche se a un ritmo meno rapido rispetto al mese precedente. L’indice “Pmi servizi” a cura di Markit/Adaci ad agosto si è attestato a 44 dal 43 di luglio, restando ben sotto la soglia di 50 che separa la crescita dalla contrazione. La lettura dei dati di agosto ha tuttavia superato le attese espresse in un sondaggio condotto dall’agenzia di stampa Reuters con alcuni analisti. L’indagine analoga di Markit sul settore mani-fatturiero italiano ha evidenziato per lo stesso mese una discesa dell’attività del comparto ai minimi di 10 mesi, in un contesto in cui il calo della produzione e la riduzione di nuovi ordini costringono le aziende a tagliare personale. Il ritmo dei tagli di posti di lavoro nel settore dei servizi ha mostrato un’accelerazione ad agosto, con l’indicatore dell’occupazione sceso ai livelli più bassi da aprile. La componente dei nuovi ordini per le aziende di servizi si è contratta per il sedicesimo mese di fila, colpita dalla debolezza della domanda, ma il ritmo della discesa ha evidenziato una decelerazione. L’inflazione sui costi è salita per il secondo mese consecutivo, alimentata dai rincari di carburante, bollette energetiche e spese per il personale. Per quanto riguarda le aspettative delle imprese sull’attività nei prossimi dodici mesi, agosto ha visto un rimbalzo positivo dai minimi storici toccati a luglio.

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Terziario XLV

QUATERNARIO: IL QUARTO SETTORE ECONOMICO

Il terziario è una “galassia” difficile da fotografare perché estremamente variegata. Comprese in questa defini-zione si trovano infatti le imprese che producono o forniscono servizi e tut-te quelle attività complementari e di ausilio alle attività dei settori primario (agricoltura, allevamento, estrazio-ne delle materie prime) e secondario (industria) che vanno sotto il nome di servizi. In sostanza spesso le azien-de che operano nel settore si occu-pano di prestazioni immateriali che possono essere incorporate o meno in un prodotto. Il settore terziario si può suddividere in tradizionale, com-prendente servizi tradizionalmente presenti praticamente in ogni epoca e cultura, e avanzato, caratteristico degli ultimi decenni. Recentemente è stato coniato anche il termine “qua-ternario” per identificare proprio il ter-ziario avanzato e comprende tutte le imprese di servizio ad elevato valore aggiunto e tecnologico. In generale

sono incluse nel “quaternario” quelle imprese di servizio che basano il proprio core business sul know-how e sui servizi intellettuali come la ricerca e sviluppo (R&D), la formazione, la consulenza e ICT (Information and communication technologies). Le imprese appartenenti a questo settore solitamente svolgono un ruolo importante nel progresso tec-nologico e nella ricerca ed applicazio-ne delle innovazioni tecnologiche. Nelle statistiche economiche il settore è inclu-so nel grande calderone del terziario anche se, sempre più spesso, gli anali-sti preferiscono considerare il “quater-nario” come settore produttivo distinto perché consente di determinare il gra-do di sviluppo economico di un pae-se e le sue prospettive future. Lo stesso termine “quaternario” sottolinea che il settore deve essere considero come il quarto settore economico che si ag-giunge agli altri tre settori produttivi tra-dizionali (primario, secondario, terziario) di un sistema economico.

ha più di 5 dipendenti. Il settore è pre-sente su tutto il territorio nazionale, ma assume particolare rilevanza nel Nord Ovest e in particolare in Lombardia soprattutto dove sono presenti aree a maggiore densità imprenditoriale. Ap-punto come Brescia. Questo perché il settore risulta strettamente legato alle imprese private, sia manifatturiere sia del terziario, verso cui indirizza quasi i due terzi del valore dei servizi vendu-ti sul mercato. Molto meno rilevante risulta il valore dei servizi “venduti” ai privati e al settore pubblico. Un tratto distintivo delle imprese del terziario innovativo è dato dal loro forte orientamento verso il mercato locale. Il mercato principale per la maggior parte delle imprese è infatti quello provinciale o, al più, regionale mentre sono poche le imprese che allargano il proprio ba-cino di vendita al contesto nazionale e solo una quota trascurabile di esse offre i propri servizi all’estero. La dimensione aziendale incide sensibilmente sulla vo-lontà e capacità delle imprese di aprirsi ai mercati internazionali e solo per le imprese più strutturate, al di sopra dei dieci dipendenti, questa strada appare attualmente percorribile. Gli elementi di criticità del settore, secondo lo studio effettuato da alcuni analisti economici, oltre alla ridotta di-mensione aziendale, che però non sem-pre rappresenta un elemento di debo-lezza, sono rappresentati dal rapporto con il mondo bancario e con la buro-crazia. Nel primo caso si tratta di una maggiore difficoltà di accesso al credito rispetto alle imprese di altri settori, le-gata al fatto che le banche non hanno ancora una sufficiente conoscenza del settore e quindi non hanno sviluppato strumenti di finanziamento specifici e inoltre lo ritengono relativamente più rischioso. Per quanto riguarda invece la burocrazia, il problema è ancora una volta connesso con la ridotta dimen-sione aziendale. Per le piccole imprese, ma questo si verifica in tutti i settori, diventa più oneroso eseguire le pratiche burocratiche anche perché non hanno, al loro interno, un ufficio o del persona-le che possa occuparsi specificatamente di queste cose.

I NUMERI DEL SETTOREI numeri di un’indagine del Censis, relativi al 2010, hanno fotografato così la situa-zione del terziario in Italia: 2,9 milioni di imprese (il 55,4% delle aziende complessive), 15,5 milioni di occupati (il 66,5% del totale), il 71% del valore aggiunto prodotto (mille miliardi di euro). Il 50% del valore aggiunto nazionale è riferibile ai servizi privati di mercato (dal commercio al turismo, dai trasporti ai servizi finanziari, alle attività professionali), il 21% al sistema pubblico e ai servizi alla persona. Tra il 2004 e il 2008 il valore aggiunto è cresciuto poco nel commercio (+1,8%) e nei servizi professionali (+2,5%), mentre gli incrementi sono stati significativi nelle telecomunicazioni (+14,3 per cento) e nei servizi bancari e finanziari (+27,3%). Il 62% delle unità produttive nei servizi è formato da un solo addetto, in Spagna si scende al 55%, nel Regno Unito al 43 per cento, in Germania al 33%. Ma con i suoi 15,5 milioni di lavoratori, il terziario costituisce il principale bacino di impiego del Paese: un aggregato articolato ed estremamente differenziato, all’interno del quale convivono le più diverse figure professionali. Negli ultimi quindici anni, a fronte di una riduzione dell’occupazione nell’agricoltura e nell’industria, il terziario ha aumentato la propria base occupa-zionale di oltre 3 milioni di lavoratori (+24,2 per cento), facendo innalzare il tasso di “terziarizzazione” del lavoro in Italia dal 60,3% al 66,5%.

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Farco, investire in sicurezza per far crescere l’aziendaL’azienda di Torbole Casaglia da 25 anni propone corsi di formazione per contribuire a creare una nuova cultura

La tecnologia ha portato la si-curezza dei macchinari ad al-tissimi livelli, quello che qual-che volta ancora manca sono i

“corretti comportamenti” di chi li uti-lizza e vive in azienda e in questo la for-mazione gioca un ruolo determinante.Lo sa bene la Farco che da 25 anni si propone al mercato per “contribuire a formare una nuova cultura della si-curezza sui luoghi di lavoro” come ri-corda il suo amministratore delegato, Roberto Zini. La “vision” di questa azienda è quella di mettere al centro del proprio lavoro l’uomo: “Oltre alle braccia ci sono le persone – ribadisce Zini – ed è parten-do da questo presupposto che lavoria-mo sia in azienda sia per i clienti”. Il punto di partenza è che “troppo spes-so, la sicurezza è vissuta come semplice rispetto degli adempimenti normativi e burocratici o peggio ancora, come un costo per l’azienda. Non bastano gli

che abbiamo predisposto il materiale informativo in molte lingue o addirit-tura a fumetti”. Con un duplice obiet-tivo quello di “fare seriamente il nostro lavoro di formatori e di contribuire a creare nel mondo del lavoro, una pri-ma forma di integrazione”. Anche per questo l’azienda sta elaborando, con l’Università, un progetto sull’intercul-tura. E se la “la formazione è la chiave di volta per risolvere il problema della sicurezza sui luoghi di lavoro”, avere a disposizione, nella sede di Torbole Ca-saglia, un campo prove per l’addestra-mento delle squadre antincendio con simulatori di fuoco da gas e benzina, è certamente un valore aggiunto impor-tante: “in questo modo possiamo ab-binare la teoria alla pratica e ridurre le

AzIENDA SICURA DAY REPLICA

I successi si replicano. E così per il pros-simo 26 ottobre è già programmata la seconda edizione di “Azienda Sicura Day” il convegno organizzato da Far-co e fortemente voluto dal suo ammi-nistratore delegato, Roberto zini, per ribadire “l’importanza che una nuo-va cultura della sicurezza sui luoghi di lavoro si diffonda sempre di più tra imprenditori e lavoratori”. Il giorno de-dicato alla sicurezza in azienda sarà l’occasione per approfondire, con il contributo di esperti e degli operatori del settore, temi e normative legate al settore e per ricordare le possibilità che le stesse leggi offrono soprattut-to alle micro imprese che, per come sono strutturate, faticano ancora ad utilizzare certi strumenti. “Di certo non bastano gli attestati di frequenza ai corsi – sottolinea zini –, occorre cre-

dere che investire sulla sicurezza è una scelta di lungo periodo che ha come obiettivo quello di far crescere l’azien-da. Avere un modello organizzativo-gestionale della sicurezza sul lavoro corrisponde a una certificazione di qualità. Con tutti i vantaggi che que-sto comporta”. Altrettanto vero è che “non crediamo che debba essere una legge o il timore di una sanzione a do-ver motivare gli imprenditori a tutelare i propri collaboratori. Prima di tutto c’è il rispetto della vita e come azienda – precisa l’amministratore delegato del-la Farco, Roberto zini – siamo convinti che l’informazione e la formazione giochino un ruolo fondamentale per il superamento delle difficoltà e per la creazione di quella cultura della sicu-rezza indispensabile per raggiungere l’obiettivo di zero infortuni”.

attestati di frequenza ai corsi, occor-re credere che investire sulla sicurezza è una scelta di lungo periodo che ha come obiettivo quello di far crescere l’azienda. “Non crediamo – aggiunge Zini – che debba essere una legge o il timore di una sanzione a motivare gli imprenditori a tutelare i propri colla-boratori; prima di tutto c’è il rispetto della vita che passa anche attraverso la sicurezza sui luoghi di lavoro”. Ma per tutelarli al meglio occorre essere atten-ti alla realtà in cui si opera, non dan-do nulla per scontato ed è per questo che la Farco ha sviluppato dei corsi di formazione “a misura” della realtà del mercato bresciano fatto anche di tanti lavoratori stranieri. “Nel settore mani-fatturiero – precisa Zini – gli stranieri raggiungono anche il 60/70 per cen-to dei lavoratori presenti in azienda. Abbiamo verificato che non sempre percepiscono in modo corretto le in-dicazioni che ricevono ed è per questo

XLVI Made in Brescia

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I DATI DEL GRUPPO (COMPOSTO DALLE AzIENDE: FARCO, SINTEX E SINERMED)

Riepilogo Incremento percentuale

Fatturato

Ammortamenti

Risultato netto

Cash flow

2011

5.865.819

63.731

156.229

219.960

2010

5.472.163

64.474

94.351

158.825

-1,15%

+65,58%

+38,49%

+7,19%

possibilità che ci siano incomprensioni da parte di chi partecipa ai corsi”. Ma se questa “attenzione” a 360 gra-di per l’uomo vale per l’esterno, per i clienti, per le aziende, “ancora di più deve valere per la nostra azienda ed allora ampio ricorso al part time per chi ne fa richiesta; orari flessibili e in alcuni casi anche il telelavoro da casa. Abbiamo inoltre aderito al progetto regionale “Conciliazione vita-lavoro” che propone il ticket family. In sostan-za – precisa Zini – non si propongono i tradizionali ticket, ma dei servizi che

Il presidente e a.d. del Gruppo Farco, Roberto Zini.

puntano a conciliare la vita quotidiana dei nostri collaboratori con il lavoro”. Quindi c’è la possibilità di disporre di una baby sitter per i bambini, di una stiratrice per la biancheria o, se ne-cessario, di una badante per il nonno. “Non abbiamo inventato nulla – ag-giunge Zini –, in Francia questo siste-ma funziona da anni ed ha consentito anche di far emergere numerosi lavori che altrimenti si sarebbero insabbia-ti nella terra di nessuno”. Ma anche se non ha il primato dell’originalità, a colpire è l’attenzione rivolta ai pro-

pri collaboratori. “Siamo una società di servizi e per noi la risorsa umana è fondamentale – ricorda Zini –. Poter offrire un ambiente accogliente, un cli-ma positivo, avere la possibilità di spe-rimentare nuove idee è il presupposto per avere un team costruttivo che gior-no dopo giorno si mette in gioco e dà il proprio contributo per migliorarsi”. È anche questa la strada scelta da Farco per affrontare la crisi: quella di puntare su un progetto più ampio che non sia esclusivamente centrato sul fare busi-ness ma che, non per questo, escluda un profitto: “Nonostante la crisi non ci aiuti – conclude Zini – con i miei soci Giuseppe Zoni e Graziano Biondi ci crediamo molto. Magari non avre-mo risultati nell’immediato ma siamo certi che arriveranno nel medio perio-do e soprattutto che continueranno nel tempo”.

FATTURATO E UTILE IN CRESCITALasciato alle spalle un 2011 sostan-zialmente positivo, il Gruppo Farco (Farco, Sintex e Sinermed) ha iniziato il nuovo anno sui livelli del preceden-te. Bene la formazione e i servizi alle aziende, in lieve calo i prodotti antin-cendio. “Il problema è che quest’anno vengono al pettine i nodi della crisi – dice l’a.d. Zini –. Il nostro mercato di riferimento sono le piccole e medie imprese che stanno facendo fatica e in molti casi sono costrette a chiudere”. La risposta dell’azienda è stata quella di migliorare i servizi proposti e di mette-re in campo nuovi progetti coinvolgen-do anche istituzioni come l’Università.

Terziario XLVII

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XLVIII Made in Brescia

Fasoli: dal 1853 un gioiello nel cuore di BresciaSaper cogliere i cambiamenti mantenendo saldi i valori originari, questo il segreto che ha consentito alla storica azienda orafa di raggiungere livelli di eccellenza

uando la crisi diventa un’occasione di riflessio-ne e di sviluppo: questo il modello della storica gioielleria Fasoli, che del

difficile momento internazionale ha saputo cogliere gli aspetti stimolanti mantenendo i propri standard. “Per noi la crisi è stata un’opportu-

nità sotto più punti di vista”, spiega Massimo Fasoli che, insieme al padre Ernesto e al fratello Fabio, è titolare dell’azienda nata a Brescia nel lonta-no 1853. “Dapprima abbiamo ana-lizzato attentamente il nostro magaz-zino e trovato soluzioni che ci hanno reso più solidi, in secondo luogo la concorrenza si è indebolita, favoren-do chi, come noi, ha un’esperienza e una tradizione di lunghissima data. Poi c’è l’insicurezza nei confronti delle banche che ha spinto verso l’in-vestimento in oro: a differenza di una banca noi garantiamo la solidità ai clienti che scelgono di investire i loro soldi in lingotti e non più in azio-ni. Insomma, abbiamo mantenuto i nostri obiettivi del lungo termine e siamo riusciti ad ottenere un fattura-to eccellente”. Ottima salute che si vede: Fasoli re-sta una realtà in continua evoluzione, capace di abbracciare tutte le sfuma-ture della creatività, dell’eleganza e della professionalità nei settori del-la gioielleria, oreficeria, pelletteria, orologeria, argenteria, cristalleria e porcellane. Dal 1853 continuità e passione hanno permesso a Fasoli di

ampliarsi e raggiungere un’esperienza unica nel settore, che si trasforma in servizi e attenzioni per i clienti. La famiglia Fasoli gestisce lo storico negozio in Piazza della Loggia, nel cuore di Brescia. Aperto nel 1938 da Giuseppe Fasoli in un locale sot-to i portici, oggi il negozio conta 14 vetrine espositive fronte strada e 4 piani di esposizione interna, per un totale di circa 800 mq, in cui sono dislocati i reparti di gioielleria, ore-ficeria, orologeria, pelletteria, argen-teria, cristalleria, porcellane, liste di nozze, cui si aggiungono un labo-ratorio orologiaio e un laboratorio gemmologico. Massimo Fasoli ci racconta che è nato professionalmente con lo sto-re di Sirmione, che è stata la prima esperienza fuori città inaugurata nel 1989 dalla famiglia Fasoli. Dopo aver studiato arte della gioielleria all’estero si è messo alla prova sul campo nella magica ed internazio-nale piazza di Sirmione, aprendo inizialmente un negozio stagionale. “Il progetto era quello di un amplia-mento della geografia di influenza – racconta Massimo Fasoli –, lì ho

imparato a lavorare, soprattutto come av-vicinarmi al cliente: non bisogna stare ad aspettare che qualcuno entri, occorre andare a cercare l’acquiren-te, chiacchierare con la gente, coltivare un rapporto”. Dopo il ri-uscito esperimento di Sirmione, la famiglia Fasoli pensa a uno svi-luppo verso est, apren-

IL CATALOGO FASOLI, UNA TRADIzIONE CHE SI RINNOVA OGNI ANNO

Il catalogo della produzione – che viene spedito a circa 40mila clienti – è un vero e proprio libro di cui la famiglia va molto fiera: la prima uscita risale al 1968 e oggi è diventato un appuntamento imperdibile per la qualità con cui viene realizzato anno dopo anno. Quello del 2012 è all’insegna del rapporto tra gli elementi naturali e lavoro umano: “Creati dalla terra... forgiati dal fuoco... freddati dall’acqua... soffiati dal vento... i nostri gioielli per domare le forze naturali”, recita la frase di apertura del book. E il prossimo? Massimo Fasoli rilascia anche qualche anticipazione per quello in uscita a dicembre: sarà un omaggio al colore e alla Pop Art, perché è in momenti duri come questo che c’è più bisogno di gioia. Si andrà da preziosi molto colorati ma poco impegnativi ad altri più lussuosi ma sempre policromi per sollevare il morale e ricordare la bellezza della vita”.

Massimo Fasoli

Q

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Terziario XLIX

do nel 1999 un punto vendita nel centro di Verona, seguito di persona per i primi quattro anni dallo stesso Massimo, che oggi è tornato a Bre-scia, dove continua a creare gioielli nella speranza di trasmettere la pas-sione al figlio. Chiedere a Massimo se c’è un prodotto del suo cuore è come chiedergli di tradire tutte le altre sue creature: “ogni volta che in-vento un gioiello per me è il migliore, la preferenza va all’ultimo nato. Ma questo non significa che dimentico tutti gli altri, anzi. Quindi non c’è un figlio prediletto per sempre, c’è

quello che amo al momento. Adesso per esempio mi piace molto la mia nuova creatura, un ciondolo maschi-le a forma di piastrina militare, sul quale sono scritti i dati personali e impreziosito da diamanti. Un gioiel-lo di identità per l’uomo, che oggi, con la sparizione del fermacravatte, dei bracciali e di tutti gli ornamenti degli anni Ottanta, orologio a par-te, non ha più preziosi da indossare. Con questo ciondolo voglio dimo-strare che l’uomo può permettersi di portare diamanti mantenendo la sua virilità”.

L’attività della famiglia Fasoli affonda le radici nella cittadina di Oggiono, in provincia di Lecco, dove il capostipite della fami-glia, nel 1853, inizia una piccola produzione artigianale: Ernesto Fasoli è un uomo laborioso e dedito al lavoro, maestro nella rea-lizzazione di preziosi pensati come eleganti presenti per celebra-re battesimi e matrimoni delle famiglie più abbienti della zona. La piccola attività artigianale continua a svilupparsi fino al 1938 quando, Giuseppe Fasoli, figlio di Ernesto, si trasferisce a Brescia, nella centralissima Piazza della Loggia, gestendo l’avviato ne-gozio dei fratelli De Marmels che, non avendo eredi, decidono di cedere la loro redditizia attività a Giuseppe. A quest’epoca risale anche la prima fedina in oro a tre colori e, con questa cre-azione, la famiglia Fasoli si dimostra all’avanguardia. Negli anni Cinquanta l’attività si amplia e inizia la produzione di gioielleria, mentre è durante gli anni Sessanta che vengono raddoppiati gli

spazi dedicati alla vendita, grazie alla creazione di un’area inte-ramente dedicata all’oggettistica in argento. In questo periodo ha inizio anche la fiorente importazione di cristalli e porcellane, per la prima volta inseriti nelle liste nozze, che portano la famiglia Fasoli a stringere rapporti in esclusiva con prestigiose manifattu-re: Meissen, Wedgwood, Herend, Baccarat e Lalique. Nel 1974 apre il laboratorio di gemmologia, tuttora fiore all’occhiello della famiglia Fasoli, oltre ad un altrettanto pregevole laboratorio di orologeria. Nel 1989, in concomitanza con la celebrazione dei cinquant’anni della storica sede di Brescia, viene inaugurato un nuovo punto vendita a Sirmione. Dal 1990 fanno il loro ingresso in azienda i due eredi più giovani, Massimo e Fabio, figli di Ernesto, attuale presidente del gruppo di famiglia. Nel 1999 apre il punto vendita nel cuore di Verona, cui segue, nel 2001, l’inaugurazione del negozio nel centro di Crema.

STORIA DI UN SUCCESSO

LE CREAzIONI E I SERVIzI FASOLILa gioielleria realizza preziosi su misu-ra, ispirati dalle richieste del cliente e curati dalla decennale a esperienza; realizzazioni raffinate e speciali per oggetti esclusivi, come la collana Riviere in platino e diamanti degra-danti, o l’esclusiva collezione ispirata allo storico orologio dei “Macc de le Ure” di Brescia, in edizione limitata e numerata, che comprende ciondoli, fermasoldi, gemelli e orologi. Fasoli propone inoltre una particolare mon-tatura per occhiali da vista e/o da sole, dal design esclusivo, realizzata in oro giallo o bianco e impreziosita da brillanti puri.Il team è in grado di eseguire interventi di manutenzione e restauro orologi di tutte le marche, utilizzando a tal fine soltanto ricambi originali; tutti gli oro-logi riparati dal laboratorio godono della garanzia di un anno. Il laborato-rio orafo e di gioielleria è in grado di realizzare gioielli esclusivi proponendo creazioni o interpretando le esigenze specifiche, oppure rivalutando i gioielli con nuove idee.

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12MESIottobre 2012

L Made in Brescia

Intred: quando comunicare diventa sempliceL’obiettivo della società di telecomunicazioni è crescere grazie a servizi di telefonia e connettività internet di qualità maggiore, a un costo decisamente concorrenziale

Solidità, competenza e flessibi-lità, aggettivi che ben identifi-cano molte delle medie azien-de italiane.

Se però a queste caratteristiche si ag-giunge il progetto di acquisire cin-quantaquattro centrali telefoniche della Telecom in provincia di Brescia, Intred diventa davvero unica. La società bresciana, nata nel 1996 con l’obiettivo di fornire servizi di te-lecomunicazioni e internet ad azien-de, studi professionali e pubbliche amministrazioni, ha deciso di im-primere un’accelerazione alla propria crescita riposizionandosi sul mercato come operatore indipendente da Te-lecom Italia e da altri operatori nazio-nali. “Ad oggi – spiega l’amministra-tore delegato, Daniele Peli – abbiamo

attivato 36 centrali con infrastruttura proprietaria, che saliranno a 54 entro la fine dell’anno, consentendoci così di servire più del 70 per cento dei potenziali clienti della provincia di Brescia con servizi innovativi e qua-litativamente migliori”. Tutto que-sto anche in conseguenza dei buoni risultati della sperimentazione effet-tuata lo scorso anno nei comuni di Villa Carcina, Sarezzo, Lumezzane e Gardone Valtrompia. Da quest’anno il progetto si completa allargandosi alla maggior parte dei comuni della provincia, partendo proprio dalla cit-tà. E se si considera che i competitor hanno nomi come Fastweb, Telecom e Wind si può meglio comprendere il “peso specifico” di un investimento che sfiora i due milioni di euro. “La nostra strategia – aggiunge l’a.d. di Intred – è quella di fare investimen-ti mirati sul territorio provinciale dove già abbiamo cinquemila clienti business attivi e il nostro modo di lavorare è conosciuto”. L’obiettivo è continuare a crescere offrendo servizi di telefonia e connettività internet di qualità maggiore e a un costo decisa-mente concorrenziale. Entrare nelle “case di Telecom”, come sono anche chiamate le centrali tele-foniche, “vuol dire riuscire a dare un servizio di qualità superiore, essere più competitivi sui costi – precisa an-cora Peli –, gestire e risolvere in auto-nomia i possibili problemi riducendo drasticamente i tempi di intervento”. Basta attese interminabili per poter parlare con un operatore dei call cen-ter che non rispondono mai, e che, quando lo fanno, immancabilmente ti “deviano” sul tecnico di turno men-tre si vorrebbe semplicemente esporre

il problema. “Uno dei punti di forza del nostro servizio – ribadisce Peli – è proprio l’assistenza, professionale e tempestiva, che riserviamo ad ogni singolo cliente”. Ma c’è dell’altro. Da sempre la filosofia aziendale prevede che al centro del proprio servizio ci sia l’esigenza del cliente e le sue ri-chieste. “Per noi – precisa Daniele Peli – la flessibilità si traduce nel for-nire soluzioni personalizzate ai nostri utenti ma soprattutto nel seguirli nel-la loro evoluzione. Se l’azienda cresce, siamo in grado di adeguare tempesti-vamente le soluzioni alle nuove esi-

L’amministratore delegato di Intred, Daniele Peli.

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Terziario LI

genze. Una situazione che con sempre maggiore frequenza i nostri clienti ci stanno richiedendo è, ad esempio, la certezza del collegamento ad internet. Intred è in grado di garantire al 100 per cento, 24 ore su 24, la connetti-vità a internet grazie alle tecnologie alternative che può offrire ai clienti. Accanto all’infrastruttura su cavo Intred dispone di una rete di ponti radio, per le connessioni wireless. Il mixare queste tecnologie garantisce al cliente la continuità operativa: in caso di guasto di una connessione, in maniera del tutto automatica, l’altra entra in funzione e funge da linea di back up. Questo tipo di prestazione, per una certa tipologia di aziende, è diventata sempre più indispensabile”.E se questo è il presente, l’immediato futuro per l’azienda, che ha una sede in via Tamburini e una in via Creta, è lo sviluppo ulteriore della fibra ottica. “Quelli che oggi utilizzano le linee in fibra appartengono prevalentemente ad un’area business – precisa l’ammi-nistratore delegato di Intred –, hanno esigenze di stabilità nella connessione e di avere la garanzia di una banda di trasmissione e di ricezione molto ele-vata per ospitare, ad esempio, server aziendali. Ad oggi abbiamo già posto circa 20 chilometri di fibra ottica ma il nostro progetto, per il quale abbiamo stanziato un milione di euro, è quello di raggiungere tutte le nove centrali di telecomunicazioni presenti in città”. Obiettivo: essere pronti per quando, a fronte di un sempre maggiore utilizzo di internet e di un crescente bisogno di velocità e “potenza” nella ricezione e trasmissione dati, il mercato chiede-rà e pretenderà le fibre ottiche. “Fino ad oggi – precisa Peli – gli utenti han-no avuto un certo bisogno di internet ma in un prossimo futuro, sarà diver-so. Noi abbiamo anticipato i tempi ed oggi vogliamo completare il progetto. Avere già a disposizione la nostra fibra ottica e quindi una rete infrastruttura-le importante, ci consente di garantire ai nostri utenti un servizio migliore e a costi molto più convenienti”. Dunque un duplice binario di inve-stimenti per portare nella aziende bre-

CON EIR INTRED PORTA INTERNET VELOCE NELLE CASE DEI BRESCIANI

I servizi a marchio EIR sono gli ultimi nati in casa Intred ed è con questi che l’azienda bresciana entra per la prima volta nelle case di tutta la nostra provincia. I bresciani potranno quindi scegliere di comunicare e navigare in internet grazie ad un’azienda del territorio in grado di mantenere con i propri clienti quella dimensione umana ormai persa nei call center dei big della telefonia nazionale. Dopo test assolutamente positivi in Valtrompia, dove i servizi di internet e telefono per casa sono stati apprezzati per la trasparenza e la varietà dell’offerta, l’azienda bresciana ha deciso di estenderli a tutto il territorio della provincia. Una proposta che può interessare sia chi vuole mantenere il proprio numero di telefono fisso, azzerando però il costo delle chiamate nazionali, sia chi desidera abbandonare la telefonia fissa puntando solo sul servizio Adsl. In quest’ultimo caso è possibile scegliere fra due velocità di connessione: la più economica di 7 Mega e la più performante con 20 Mega; mentre chi preferirà il pacchetto completo, internet e telefono, godrà della velocità di navigazione massima tecnicamente possibile. Indipendentemente dalle opzioni che saranno scelte, Eir consente però al cliente di liberarsi da costi improduttivi come il canone Telecom o il canone “senza fonia” (i dettagli sono disponibili sul sito (www.eir.net). Ma i vantaggi per chi si affida a Eir non sono solo economici. Dietro a un marchio giovane c’è infatti la garanzia di Intred che da sempre, per crescere, ha puntato sull’innovazione, sulla qualità del servizio e su un’assistenza al cliente particolarmente professionale e tempestiva.

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12MESIottobre 2012

LII Made in Brescia

LGH, la super multiutility dei servizi pubbliciIl gruppo fornisce gas, energia elettrica, teleriscaldamento, servizi ambientali Ict a circa 250 Comuni nelle province di Brescia, Cremona, Lodi e Pavia

I bresciani la conoscono come Co-geme, la ex municipalizzata di Ro-vato, ma LGH (Linea Group Hol-ding) è molto di più ed è il frutto

di un processo di aggregazione tra sei multiutility iniziato nel 2003. Oggi LGH è una società che “governa”, detenendo la totalità o la maggioranza delle quote, società specializzate nell’e-rogazione di servizi pubblici come la vendita e distribuzione di gas, la pro-duzione e la distribuzione di energia elettrica, la cogenerazione e il teleriscal-damento, oltre al servizio idrico integra-to e alla gestione dei rifiuti. Il Gruppo LGH è quindi una multiutility che “ser-ve” oltre 1 milione di abitanti, in circa 250 Comuni nelle province di Brescia, Cremona, Lodi e Pavia. “LGH – ri-corda Franco Mazzini, presidente del Gruppo – è nata per fornire ai propri territori una risposta adeguata alle sfide del mercato dei servizi pubblici, sempre

più aperto ed europeo, e con l’obiettivo di rispondere alle esigenze degli utenti: un unico operatore in grado di garanti-re differenti servizi ad elevata qualità e a prezzi competitivi”. Un lavoro quotidiano che ha portato il Gruppo a consolidare la propria quota di mercato e ad acquisire una massa critica in grado di poter sviluppare ade-guate economie di scala. “L’aggregazio-ne che nel 2006 ha dato vita al grup-po LGH – ribadisce il presidente – ha permesso di valorizzare il patrimonio di know-how e relazioni che ciascun terri-torio ha sviluppato negli anni. La sfida è oggi attrarre nuovi partner industriali e finanziari, consentire alle imprese del gruppo di essere competitive, garantire tariffe e prezzi di vendita più vantaggio-si”. Tutto a vantaggio dei cittadini che sono i destinatari delle attività di LGH. “Un tema fondamentale per i cittadi-ni – ricorda il presidente Mazzini – è la vicinanza, soprattutto in termini di servizio e assistenza, delle società che erogano servizi di primaria importanza come quelli pubblici. Per questo LGH

garantisce la presenza di sportelli per il pubblico, personale tecnico in loco e la conoscenza del contesto in cui ope-ra. LGH offre ai cittadini un legame di fiducia, prossimità, condivisione di obiettivi legati al contesto comune e attenzione alle ricadute sociali, ambien-tali, economiche delle scelte effettuate”. Un punto di forza che LGH non ha voluto perdere anche perché erede di uno scenario dei servizi pubblici locali, storicamente caratterizzato da una for-te frammentazione in piccole aziende e che è stato profondamente trasformato dalle spinte ad una maggiore liberalizza-zione emerse negli ultimi anni. “Que-ste liberalizzazioni – aggiunge Mazzini – sono un fattore positivo di sviluppo e uno strumento utile alla crescita del Paese, oltre a rappresentare un’innova-zione perché spingono verso una razio-nalizzazione organizzativa. L’apertura di nuovi mercati caratterizzati da una storia monopolistica, costituisce per le multiutility un’opportunità di crescita organica. Il mercato aperto di gas ed elettricità dà l’impulso a nuovi investi-

COGEME:AVANTI CON UNANUOVA SQUADRAConti in ordine e un nuovo consiglio di amministrazione. Questo il risultato dell’assemblea dei soci che ha ap-provato il bilancio di esercizio 2011 ed ha eletto a larga maggioranza il nuo-vo CdA della Cogeme. Oltre l’88 per cento del capitale sociale ha infatti nominato alla guida della multiutility rovatese Dario Fogazzi, che sarà af-fiancato da quattro consiglieri: Marco Bonandrini, Gianluca Delbarba, Mirco Guidetti ed Eugenio Taglietti. È stato nominato, inoltre, anche il nuo-vo collegio sindacale presieduto da Ezio Codenotti, di cui sono membri effettivi Giovanna Prati e Jacopo Mar-chetti, membri supplenti Davide Pigoli e Mariarosa Maffetti.

Impianto Biogas a Provaglio d’Iseo.

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Terziario LIII

menti, che generano opportunità anche per le aziende locali e i loro lavoratori. Un circolo virtuoso che LGH promuo-ve e di cui beneficia l’intero territorio”. Ma per “reggere” le sfide di un libero mercato occorre continuare ad andare avanti ed è per questo che a metà del 2011 la società del Gruppo che si occu-pava della vendita di gas naturale, Linea Più, ha avviato anche la vendita di elet-tricità trasformandosi in un vero e pro-prio operatore dual fuel. “Un passo in avanti importante per LGH, che ha por-tato a compimento il paniere dell’offerta energetica del Gruppo – spiega Mazzini –. Stiamo inoltre attivamente lavorando in questi mesi per creare una società ca-pace di dare al territorio innovativi ser-vizi di telecomunicazioni e ICT. L’idea è partire dalla positiva esperienza matura-ta da due società del Gruppo: Lineacom (Cogeme Informatica e Pavia Network) e Aemcom per dare vita a un operatore del Sud Lombardia capace anche di far-si carico dei problemi di digital divide (mancanza di infrastrutture tecnologi-che, ndr.) di cui alcuni nostri territori ancora soffrono”. Confermata quindi la strada degli inve-

LA STORIA DEL GRUPPOTutto è iniziato nel 2003 a seguito dell’idea di costituire, tra municipalizzate, una società (Linea Group) che sostanzialmente si occupasse dell’acquisto e vendita di gas. Nel dicembre dello stesso anno, tra le sei multiutility espressione dei rispettivi territori (AEM Cremona, Cogeme Rovato, ASM Pavia, Astem Lodi, TEA Mantova e SCS Crema) fu sottoscritto un protocollo d’intesa per predisporre uno studio di prefattibilità di aggregazione con l’obiettivo di individuare linee strategiche e piano industriale. LGH diventa operativa nel luglio 2006 con la firma dell’accordo strategico per il conferimento delle società gestionali, e delle loro controllate/partecipate

stimenti considerati come “motore della crescita” così come grande attenzione è posta al settore delle energie rinnovabili. “Il comparto delle rinnovabili – preci-sa il presidente di LGH – sembra oggi vivere un grande trend di sviluppo e certamente va considerato con mol-ta attenzione all’interno di un sistema complessivo che crei le migliori sinergie tra ambiente, produzione di energia, ge-stione dei rifiuti e servizio ai cittadini. La nostra attenzione su queste tematiche è da sempre molto alta. Un investimento in questa direzione è il progetto dell’im-pianto a biomasse a Rodengo Saiano (Bs) con una potenzialità di produzione di energia di 1 megawatt elettrico. In un ciclo completo di recupero, l’impianto a biomasse legnose riceverà il verde prove-niente dalle attività di manutenzione dei parchi/giardini e dalla raccolta del ver-de di isole ecologiche del territorio”. Il tutto, ancora una volta, a vantaggio dei cittadini, che ringraziano. “Siamo mol-to soddisfatti – aggiunge con orgoglio il presidente – dei risultati di un recente sondaggio sul gradimento dei nostri servizi espresso degli utenti che eviden-zia percentuali superiori agli standard

nazionali e in costante miglioramento. Anche il call center “Linea Più’ è risul-tato al primo posto a livello nazionale. Inoltre LGH può vantare più del 40% dei rifiuti solidi urbani, trattati e avviati a riciclaggio e recupero con punte, per la raccolta differenziata, superiori al 70%”. Tutto questo ha portato il Gruppo LGH ad essere un soggetto industriale di pri-mo piano nel contesto italiano. “L’an-damento della società negli anni è stato molto positivo – conclude il presidente del Gruppo – perché abbiamo sempre cercato di conciliare le sfide del mercato, la creazione di lavoro, nuovi servizi, so-luzioni per i cittadini e la pubblica am-ministrazione dedicando una particolare attenzione all’organizzazione interna. Con un obiettivo chiaro: costruire e diffondere valore anche a livello locale e competere a livello nazionale, ponendo-ci come orizzonte lo sviluppo e la solidi-tà industriale”. E aver restituito ai soci/Comuni 10 milioni di euro, nonostante un contesto di mercato sempre più dif-ficile, è sicuramente un segnale positivo.

GRUPPO LGHIL BILANCIO CONSOLIDATO (dati in milioni di euro)

RICAVI

EBITDA

EBIT

UTILE PER I SOCI

VariazioneVS 2010

+6,2

+7,8

+2

invariato

2011

568

108,2

49

10

Il presidente del Gruppo LGH Franco Mazzini.

da parte delle ex municipalizzate delle diverse province, alla holding. Negli anni successivi si punta a rafforzare il processo di integrazione e rafforzamento della holding e nel 2008 si arriva all’adozione di un modello organizzativo per business units che ha come fulcro l’efficacia operativa e il raggiungimento e valorizzazione delle sinergie. Nel 2010-2011 la holding è oggetto di un processo di patrimonializzazione mediante il conferimento di asset da parte delle società Aem Cremona, Astem Lodi e Cogeme Rovato, ASM Pavia. Una scelta che ha consentito a LGH un ulteriore salto dimensionale e un incremento significativo della solidità del Gruppo.

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LIV Made in Brescia

Ovdamatic: esperienza e servizio al topLeader sul mercato della ristorazione automatica presso aziende, uffici, scuola, sanità, fitness & wellness, l’azienda di via Bormioli ha fatto dell’assistenzaai clienti uno dei suoi fiori all’occhiello

Un padre, un figlio, alcuni soci storici e un’azienda leader nel settore: questo è oggi la Ovdamatic, nata

nel 1974 dal lavoro dell’instancabi-le Giorgio Turotti, il fondatore, con l’amico Gianni Piscioli, forte di una ventennale esperienza da dirigente della Faema, la prima azienda in Italia a produrre macchine da bar.Quando decise di mettersi in proprio dalla Faema, Turotti – che ancor oggi si presenta in ufficio tutta la settimana – divenne gestore della Ovda, Orga-nizzazione Vendita Distributori Auto-matici, assieme al socio Gianni Piscio-li, concessionario del Caffè del Moro. “Il mio vantaggio era che avevo una visione meno tecnica e più manageria-le, che mi ha permesso di capire che a quell’epoca il settore era in grande sviluppo”, racconta Turotti. Nel 1991 Ovda si fonde con la Dima-tic, entrano in società i fratelli Cavalli, dando origine all’attuale Ovdamatic, che nel 1996 visse la svolta genera-zionale con l’ingresso nel Consiglio di Amministrazione del figlio Pierpa-olo. “Un passaggio andato benissimo – garantisce il figlio, che ha seguito le orme del padre –. Certo, anch’io da ra-gazzino avevo un sogno, che era quel-lo di proseguire nell’equitazione. Ma crescendo, ho fatto i conti con il mio futuro, scegliendo di investire la mia vita nella creazione di mio padre. La sinergia tra prima e seconda generazio-ne ha dato frutti eccellenti: ognuno ha portato le proprie potenzialità, coniu-gando così esperienza e innovazione, che nel tempo si sono rivelati i punti di forza”. La struttura di Ovdamatic ha con-tinuato a svilupparsi, tramite l’am-pliamento dell’organizzazione, la

mento o congelamento”. Ma è nel settore dell’informatizzazio-ne che Ovdamatic ha fatto passi da gi-gante: “Utilizziamo il gestionale Vega di Digisoft, che lavora sinergicamente con la parte contabile, e abbiamo un responsabile dell’area informatica che si occupa di risolvere tutte le com-plessità legate all’utilizzo del sistema gestionale, palmari, rete intranet ecce-tera. In ogni momento siamo in grado di sapere che cosa sta facendo una del-le nostre macchine di distribuzione”. Il sistema di telemetria permette la gestione diagnostica dei distributori, con un monitoraggio a distanza delle apparecchiature: così i tecnici posso-no intervenire in tempo reale per la risoluzione dei guasti elettronici. Alla telemetria è affiancato un protocollo di assistenza che prevede un taglian-do periodico per ogni distributore che

I NUMERI DEL SUCCESSO

Un’azienda con 38 anni di attività, oltre 100 addetti, 8.500 clienti serviti nelle province di Brescia, Cremona, Bergamo, Mantova, per oltre 150mila bevande servite ogni giorno. Acqua-matic e Doblone Srl sono società collegate a Ovdamatic: la prima è dedicata all’installazione di colon-nine di acqua di varie dimensioni e capacità; la seconda opera come contact center, offrendo servizi come assistenza telefonica, gestione nume-ri verdi, acquisizione clienti, recupero crediti. La sede unica di Ovdamatic è in via Bormioli, a Sant’Eufemia, Bre-scia, si sviluppa su un’area di 4.500 mq, con un magazzino alimentare di 1.100, un magazzino distributori e ricambi di 400 e un garage coperto per gli automezzi di 1.000 mq, che permette di salvaguardare il cari-co dei prodotti sui furgoni in sosta in periodo di non utilizzo, evitando

possibili shock termici delle merci. Questi i numeri che fanno di Ovda-matic l’azienda leader sul mercato della ristorazione automatica presso aziende, uffici, scuola, sanità, fitness & wellness. L’organizzazione interna – che si articola su una forza lavoro di oltre 100 addetti, suddivisi nelle aree commerciale, amministrativa, ma-gazzino, tecnica e produzione (ad-detti al rifornimento) – pone grande attenzione alle necessità del cliente, la cui soddisfazione è al centro della formazione e organizzazione del per-sonale. Il sistema di gestione per la qualità è certificato dal Csi Cert dal luglio 1999, a fronte della legge allo-ra in vigore oggi sostituita dalla Uni En Iso 9001:2008. Dal punto di vista dell’i-giene alimentare, conformemente alle linee guida predisposte da Con-fida, l’azienda si è dotata di un siste-ma di autocontrollo Haccp

formazione del personale e il perfe-zionamento della tecnologia. “Per Ovdamatic le risorse umane sono ri-sorse aziendali – spiegano i Turotti –. Abbiamo quindi investito nella prepa-razione del personale e dei collabora-tori, perché un’azienda ha bisogno di teste pensanti e non solo di esecutori. In quest’ottica è stato potenziato il settore commerciale, storicamente di-retto da Giorgio Barozzi, con l’inseri-mento di figure professionali laureate e qualificate. Un altro ambito su cui abbiamo puntato è il potenziamento del magazzino, nel quale è ubicata an-che una cella frigorifera indispensabile per la gestione della catena del freddo. Gi ampi spazi ci permettono un ade-guato stoccaggio delle merci così come l’autorimessa permette il ricovero dei furgoni al coperto; ciò garantisce che i prodotti non subiscano surriscalda-

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Terziario LV

scatta oltre le 5.000 erogazioni e che implica la sostituzione dei pezzi sog-getti a usura e il ripristino delle taratu-re e delle configurazioni, come avviene per i tagliandi delle automobili.

L’ASSISTENZA AI CLIENTIInsomma, l’assistenza alla clientela è uno dei fiori all’occhiello di Ovdama-tic. La presenza di tecnici esterni che coprono capillarmente il territorio su cui l’azienda opera commercialmente consente interventi immediati a ga-ranzia dell’efficienza del servizio ero-gato, sia con la manutenzione sia con l’eventuale sostituzione del distributo-re in caso di problematiche di maggio-re entità. Il tipo di assistenza garantita riguarda la manutenzione preventiva ordinaria e la manutenzione stra-ordinaria, necessarie per il corretto funzionamento di tutti i distributori automatici e naturalmente la prepa-razione dei distributori per le nuove installazioni. L’area tecnica fornisce inoltre assistenza telefonica ai clienti, qualora si rendesse necessaria, in attesa dell’arrivo dell’incaricato. L’addetto al rifornimento effettua ricognizioni dei

distributori installati e un numero di rifornimenti in funzione dell’effettivo consumo riscontrato. Per tutte le in-formazioni ed esigenze è attivo il cen-tralino Ovdamatic. Dal lunedì al sa-bato è anche aperto il negozio interno alla sede di via Bormioli, dove è possi-bile provare i prodotti e vedere diretta-mente le potenzialità dei distributori, in particolare quelli di ultima genera-zione. Da gennaio 2010 è attivo anche il primo bar automatico di Brescia, in via San Faustino 1/D: il progetto pre-vedeva l’installazione di 5 negozi pres-so le mura di accesso al centro storico, ma sono sorti dei problemi politico-amministrativi che hanno portato alla sospensione del progetto, lasciando come unico esempio quello di via San Faustino.

OVDA NATURAL POINT, LA SCELTA IN PIÙOvda Natural Point è il prodotto del futuro su cui l’azienda scommette: infatti oggi più che mai, il ruolo di soggetto economico attento al “socia-le” non può non portare a selezionare un menu di prodotti adatti alla com-

mercializzazione tramite distributori automatici, che si caratterizzano per il basso consumo calorico e per avere profili nutrizionali favorevoli alla salu-te. Ovda Natural Point è tutto questo: un progetto dedicato a tutti coloro che hanno particolari necessità e desideri specifici, poiché Ovdamatic propo-ne prodotti del territorio e prodotti della dieta mediterranea. Il progetto è nato nell’ambito del programma in-terministeriale del 2007 “Guadagnare salute: rendere facili le scelte salutari”, promosso dai ministeri della Salute, dell’Istruzione e delle Politiche Agri-cole. È stato quindi sottoscritto un protocollo d’intesa con le associazioni della filiera alimentare, volto a soste-nere strategie per promuovere un au-mento dei consumi di prodotti freschi a valenza salutista, compresa una mi-gliore e più ampia offerta nel settore della distribuzione automatica. L’idea è quella di far vivere la pausa ristoro come un momento in cui prendersi cura di se stessi, scegliendo tra una se-rie di alimenti spesso assenti dai bar. Ovdamatic offre l’opportunità di con-sumare snack dolci o salati con profili nutrizionali favorevoli alla salute: ecco quindi una vasta gamma di prodotti light, senza glutine, biologici, freschi, equo e solidali e a chilometro zero.

IL RUOLO DI CONFIDAUn impegno condiviso da Confida, l’Associazione nazionale di distribu-zione automatica di cui Ovdamatic è parte, con Pierpaolo Turotti nel di-rettivo nazionale. Costituita nel 1979 per rappresentare i diversi comparti merceologici dell’intera filiera della distribuzione automatica di alimen-ti e bevande, oggi associa oltre 500 imprese. “Crediamo fermamente nel ruolo di Confida a favore del settore – spiegano i Turotti –. Abbiamo sempre partecipato alla vita associativa, non nell’ottica di occupare poltrone ma per spirito di servizio. È una delle po-che associazioni di settore in cui col-laborano tutti i diversi soggetti della filiera: fabbricanti, produttori, gestori, società di servizi”.

Giorgio Turotti e il figlio Pierpaolo.

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LVI Made in Brescia

Prem1er: turn your potential into a passion!L’Human Asset Management: misura sempre più anti-crisi, strumento per il futuro dell’economia

P arlare con loro di formulari motivazionali, moduli per le-ader vincenti e know-how di tipo passepartout è impossibile.

Perché Emanuela Gastaldi e Carlotta Cardani – madre e figlia, rispettivamen-te managing director e H.R. consultant di Prem1er, realtà di spicco nell’human asset management – hanno un’idea to-talmente diversa, rispetto all’opinione comunemente diffusa, per diventare dei “numeri uno”, fuori e dentro un’azienda. Tra le rassicuranti mura di Prem1er, dove si respira affiatamento e disten-sione, e le cosiddette “risorse umane” sono l’alfa e l’omega di ogni procedu-ra, abbiamo iniziato a comprendere la filosofia della società così, a colpi di bat-tute, pensando che apprendere i punti chiave sui quali insistere per emergere, nell’attuale contesto economico, fosse cosa facile. “Mi astengo dal dare delle linee guida, e ne diffido molto: non esi-stono formulari, ogni caso va analizzato – ci risponde invece Emanuela Gastaldi –. I classici 10 consigli per affrontare il colloquio fanno rabbrividire... non credo sia l’approccio giusto, e mi sem-brano anzi in contrasto con le esigenze attuali”. Far venire a galla la singolarità, la tipicità d’ognuno di noi, il tema della diversity, insomma, letto nella sua più ampia accezione, è una delle premure principali per Prem1er, convinta che “se un’azienda, all’interno della sua or-ganizzazione, ha tante diversità ma le sa linkare, coniugare, mettere in connes-sione, crea molto valore perché l’inno-vazione parte proprio da questo”.

LA STORIA DI PEM1ER, UNA SCOMMESSA VINCENTEPermier è una società nata nel 1990, oggi compie dunque 22 anni, ed ha or-mai una presenza consolidata sul nostro

territorio; nasce da un gruppo di pro-fessionisti che decidono di rappresenta-re un importante mercato industriale e produttivo, e di spostarsi da Milano a Brescia, scommettendo e rischiando un po’. Da sempre il loro focus sono le risor-se umane, con interventi nel campo della ricerca e selezione, della formazione e della consulenza organizzativa. “Nel cor-so degli anni – racconta l’amministratore delegato –abbiamo cercato di coniugare proposte fortemente allineate al soste-gno delle politiche di sviluppo azienda-le, e questo transita proprio attraverso le risorse umane, con una conoscenza sia dell’elemento persona in tutte le sue espressioni, personali e professionali, sia dell’organizzazione, poiché oguna ha la propria storia, identità e cultura. L’u-nione, l’integrazione di questi due piani di conoscenze genera valore e successo”. Successo di cui Prem1er stessa fa tesoro, perché il traguardo raggiunto da altri è la sua stessa vittoria.

LO SPIRITO DELLA SOCIETÀLa filosofia di Prem1er è ben riassun-ta nel motto: “Affianchiamo le azien-de con un obiettivo in testa, guardare avanti!”. Lavorare in un’ottica prospet-tica, cercare quindi di dare risposte al bisogno contingente con un’aspettativa di sviluppo futuro è la mira di una re-altà che parte dal problem solving per andare lontano. Valutare le competen-ze trasversali, il potenziale, in modo che diventi un capitale da sviluppare, è basilare, poiché, continua Gastaldi, “la velocità del cambiamento, delle trasfor-mazioni in atto sui piani economici e sociali necessitano che le persone espri-mano la capacità d’essere agenti attivi del cambiamento”.I mezzi di lavoro di Prem1er sono com-posti da strumenti di valutazione appar-

tenenti al loro mondo di riferimento, ma attingono anche al comparto dei tool aziendali: dopo anni d’esperienza, infatti, aprirà un nuovo sito azienda-le con un’ampia parte dedicata al web assessment, passo cruciale nella valuta-zione delle risorse. Con un risparmio economico, di tempo e comodità per le aziende, esso consente di analizzare gruppi o singoli in remoto e risorse in sedi secondarie, innescando un sistema di gestione utile a livello di costo/con-tenuto.Non è banale chiedersi, oggi, perché affidarsi a dei professionisti dell’human asset management. Emanuela Gastaldi, tuttavia, ha la risposta pronta: “Il ca-pitale umano è risultato una leva fon-damentale per sostenere e affrontare questa crisi: saper valutare la quantità e la qualità di questo patrimonio nelle aziende è un aspetto strategico, anche per il reclutamento”. Che, scopriamo, resta un punto dolente, nonostante l’al-to tasso di disoccupazione faccia pen-sare ci siano molte persone disponibili. “Stiamo assistendo – spiega il managing director – ad una contrazione della mo-bilità per paura di cambiare: il sistema dà molti segnali di discontinuità, non solo per i giovani, visto che anche pro-fili professionali consolidati assumono atteggiamenti conservativi”. Uno spac-cato diverso, quindi, da quello che si può immaginare, sul quale Prem1er la-vora assicurando che il classico pensiero “per quanto possa essere interessante la nuova opportunità e critica la mia situa-zione, la conosco e la gestisco”.

L’INTERESSE PER LE NUOVE LEVEInfatti, la società guarda con un occhio di riguardo proprio a coloro i quali in-carnano la novità, i giovani, che “non sono affatto la generazione perduta,

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Terziario LVII

come si sente dire, ma la speranza di un cambiamento imprescindibile”. Per-m1er, tramite contatti con i canali isti-tuzionali di enti e università, li segue dal periodo dello studio, osservando con attenzione gli ambienti e i contesti, par-tecipando a workshop, costruendo in-terventi sul mondo del lavoro, spiegan-do come si devono approcciare, come costruire un progetto professionale. “Ascoltiamo molto le loro visioni, spes-so confuse, cariche di emotività negati-va (paura, incertezza, timore...) – rac-conta Carlotta Cardani, una laurea in Filosofia della Mente, una specializza-zione in Neuroscienze Cognitive e tanta esperienza nel laboratorio comunica-zionale –; rileviamo che ci sono ragaz-zi veramente in gamba, che avrebbero bisogno di avere un rapporto più stret-to con il mondo del lavoro per capire come utilizzare al meglio la conoscenza costruita in cinque anni di studio”. La società stila dei progetti di valutazione per l’inserimento nel mondo del lavoro, sia come primo approccio, sia dopo 6-7 mesi d’occupazione, con la finalità della selezione ma soprattutto della valutazio-ne dei percorsi di sviluppo e perfeziona-mento, per costruire una professionalità che nel tempo cresca e sia di soddisfa-zione, tanto per l’individuo quanto per l’azienda. “Prem1er ha un’età in cui in-

contra persone che ha valutato 20 anni fa – precisa Gastaldi –, ragazzi che ora sono amministratori delegati, o diretto-ri generali: questa è per noi una grande soddisfazione!”. E se proprio dovesse-ro dare un consiglio ai giovani, madre e figlia non hanno dubbi: “scoprire il proprio orientamento attraverso attività di tirocinio e stage, molto richieste at-tualmente dalle imprese ed efficaci per scoprire le proprie passioni”.

LO SGUARDO ESTEROPer mantenere il carattere di una società osservatrice, l’azienda di via San Zeno ha avviato da alcuni anni la branca interna-zionale. “Lavoriamo con un partner in Cina – racconta Cardani –, a Shanghai, proponendo un piano ideale, un model-lo per le pmi in cui offriamo una serie di servizi, supporti, strumenti, affin-ché possano direttamente avvicinarsi al mondo del mercato orientale con un in-vestimento equilibrato, allineato ai pro-pri budget”. Decidere poi eventualmen-te delle azioni di sviluppo, dallo start-up come unità produttiva o commerciale, all’individuazione di risorse umane – “figure professionali cinesi che noi ge-stiamo in termini di contrattualistica fiscale e amministrativa” – è un passo da fare serenamente, accompagnati. Prem1er, al riguardo, ha seguito proget-

ti interessanti sia per aziende bresciane che italiane in generale, convinta che la Cina sia passata dall’essere un polo attrattivo per la delocalizzazione della produzione a un mercato che non si può ignorare per le sue grandi potenzia-lità merceologiche. Dalla struttura help desk, alle indagini di marketing, alla selezione del personale, ai vari start-up, appunto, comprensivi di tutta l’assisten-za necessaria: questi sono i servizi offerti in Oriente dalla società, la quale opera agevolmente anche in Europa, tramite una rete di professionisti. Austria, Spa-gna, Germania ed in particolare i Paesi Balcani, Perm1er sta implementando il proprio progetto d’internazionalizzazio-ne, consapevole che la presenza capillare sul posto è fondamentale per conoscer-ne il mercato locale.

LA FORMAZIONE: UN MOMENTO DI CRESCITASvolta prettamente sul suolo nazionale, la formazione proposta da Prem1er se-gue un iter “elastico”, come impone la sua impronta alla diversità: da un paio di giorni ad un anno, i progetti della socie-tà si svolgono secondo due modalità di-verse. La formazione “a progetto” parte dall’analisi delle necessità dell’azienda, per poi delineare, appunto, l’intervento ed erogarlo, mentre la metodologia di team coaching, o group coaching, mol-to in voga, prevede che le conoscenze e le abilità da sviluppare vengano esplose nell’ambito di un progetto pilota ine-rente all’azienda: in pratica, si svolgono delle sessioni formative con un gruppo per sviluppare l’idea di base, che può anche essere, per esempio, l’ideazione di un prodotto (dalla definizione delle caratteristiche, all’industrializzazione, all’engineering, il budget, gli aspetti qualitativi e la presentazione finale).“Altra tecnica, sempre più usata nel co-aching – commenta l’human resources consulting – è l’executive coaching, un approccio che segue la persona, avvian-do un piano di miglioramento mirato sulle necessità, sui bisogni e sugli obiet-tivi da raggiungere come singolo. Tutti i nostri coach sono certificati ICF (Inter-national Coach Federation): è necessa-rio fare un esame ed essere accreditati”.Emanuela Gastaldi.Carlotta Cardani.

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LVIII Made in Brescia

Synlab, servizi diagnostici al top per qualità e velocitàAffidabilità, velocità e alta qualità delle prestazioni. Sono le chiavi del successo dell’azienda che da oltre 30 anni svolge attività di laboratorio di analisi e service di laboratorio in Italia e all’estero

“U no start up strut-turato”: con questo ossimoro Giovanni Gianolli, chief execu-

tive officer di Synlab Italia (già Centro Analisi A. Fleming), descrive la situa-zione del ramo italiano del grande net-work mondiale originatosi dal gruppo tedesco leader nei settori diagnostici di laboratorio. Start up in quanto, seppur attivo nel mercato italiano dal 2010, è da quest’anno che è operativo al cento per cento; strutturato perché forte di un’e-sperienza trentennale: “questo è l’a-spetto più stimolante del mio lavoro”, valuta Gianolli, che in Synlab Italia è entrato ufficialmente nel gennaio 2011 arrivando da Générale de Santé, che possedeva FlemingLabs. “Conoscevo già bene l’azienda, le strategie di cresci-ta e le possibilità di svilupparsi sul mer-cato italiano: questo è stato certamente un vantaggio. In poco tempo siamo diventati leader nel settore e pronti ad espanderci puntando su una crescita

organica del 5 per cento l’anno”. Syn-lab Italia svolge attività di laboratorio di analisi e service di laboratorio in Italia per strutture sanitarie pubbli-che e private, laboratori e case di cura con l’obiettivo di fornire un servizio completo capace di soddisfare le più

SYNLAB BRESCIA SYNLAB ITALIA:I NUMERI DEL NETWORK Il laboratorio di Brescia, conosciuto in

passato come FlemingLabs, esegue oltre 6,5 milioni di esami l’anno, di cui oltre la metà effettuati nell’ambi-to del service di laboratorio per oltre 800 clienti, costituiti da altri laboratori privati o di analisi cliniche di ospedali collocati sull’intero territorio naziona-le. I punti prelievo sono 23 ubicati in tutta la provincia. Synlab Brescia è un laboratorio specializzato in allergolo-gia, anatomia patologica, biochimi-ca, biologia molecolare, istologia e citologia, immunometria, ematologia, farmacologia e conferma droghe, tossicologia e fertilità.

Synlab Italia vanta oltre 80 punti pre-lievo, distribuiti capillarmente nelle province di Milano, Brescia, Como, Lecco, Bergamo e Monza. Recente-mente sono entrati nel network anche due laboratori di Verona e Firenze. Synlab serve oltre 800 strutture sanita-rie, esegue 10 milioni di esami di media l’anno e oltre 8.500 accettazioni gior-naliere in media, con un organico che comprende oltre 600 addetti. In Italia il fatturato del 2011 è stato di circa 60 milioni di euro.

diverse esigenze in campo diagnostico. La costante attenzione nei confronti della qualità, testimoniata dalle diverse certificazioni ottenute, caratterizza un percorso di attività che dura da oltre 30 anni. Le attività di laboratorio e service di laboratorio richiedono eleva-te competenze, efficienza e precisione per garantire affidabilità e velocità nelle diagnosi. “Sono due le tipologie di at-tività che ci contraddistinguono – spie-ga Gianolli –: da un lato gli esami di routine, altamente automatizzate, che si possono permettere solo laboratori, come i nostri, che hanno già uno svi-luppo consistente. Dall’altro gli esami di specialistica, dove è fondamentale la componente umana che esegue l’e-same, e questo è ciò che crea il reale valore aggiunto di un servizio”. Synlab si è da sempre distinto in prim’ordine nel territorio e poi, via via crescendo, in tutta Italia e in Europa per la pro-pria serietà e affidabilità: “Il successo di questa azienda è fortemente legato allo spirito di squadra che ne caratterizza

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Terziario LIX

l’attività e che anima tutti i collabora-tori. Competenza, alto profilo profes-sionale, costante aggiornamento sono tratti distintivi di uno staff che fa del lavoro di squadra il proprio punto di partenza”. Il punto di forza forse maggiore è che Synlab non fornisce referti bensì rispo-ste cliniche: un team di esperti e biologi specializzati nelle diverse discipline alle quali gli esami di laboratorio si riferi-scono è a disposizione del medico pres-so cui è in cura il paziente, in modo da poter fornire, telefonicamente e in tempo reale, una consulenza affidabile e precisa sugli aspetti clinici e terapeu-tici del referto ottenuto. “Un servizio in più, spesso non percepito dall’u-tenza, perché consiste in un rapporto tra medico di base e nostri specialisti – spiega ancora Gianolli –. Certi esami particolari non sono immediatamen-te interpretabili dal medico di base, al quale noi offriamo supporto scien-tifico. Questo è uno dei nostri fiori all’occhiello”. Altro punto di forza è la tempistica. Non solo tempi di attesa minimi per effettuare il prelievo: “stia-mo cercando di refertare tutto ciò che è possibile in meno di 24 ore, anche

se questo non è possibile per tutti gli esami. Il referto, su richiesta, è poi di-sponibile online”. L’organizzazione logistica conta su ol-tre 50 automezzi, trasporti refrigerati ottimizzati per materiali biologici, co-municazioni dirette fra gli automezzi e i laboratori e rotazioni giornaliere pia-nificate. L’attività di service soddisfa le richieste dei clienti tutto l’anno per sei giorni la settimana. Synlab Italia è ac-creditato con il Sistema sanitario regio-nale lombardo e a contratto con la Asl di Brescia dal 1999. Per scelta del cit-tadino quindi ogni esame di laborato-rio può essere eseguito in convenzione Ssr o privatamente, in regime di libera

professione, secondo tariffe prefissate dall’azienda, senza la necessità della prescrizione medica.

SERVIZI SEMPRE PIÙ MIRATIPer il futuro l’obiettivo è di costruire laboratori in ogni regione italiana, an-che se “c’è troppa burocrazia che crea intoppi che allungano notevolmente i tempi”, lamenta Gianolli, il quale tut-tavia ha in mente di raggiungere presto un ambizioso traguardo: offrire nuove tipologie di esami. “In particolare, in questo momento il nostro direttore medico, il dottor Roberto Colombo, sta lavorando nel settore della preven-zione oncologica femminile e in quel-lo dell’apparato gastrointestinale. Per quest’ultimo ambito di ricerca si sta studiando una malattia codificata re-centemente, la gluten sensitivity, cau-sata da intolleranza al glutine seppur a livelli non estremi come nel caso della celiachia. Synlab ha presentato all’uni-versità di Napoli un protocollo per ri-uscire a progettare una serie di analisi che diagnostichino la gluten sensitivity, una batteria di test che vorremmo fosse disponibile già dal prossimo anno”. In-somma Synlab non si adagia certo sugli allori e ogni giorno si attiva per adegua-re le sue strutture alle nuove tecnolo-gie informatiche, con servizi online di consultazione dei referti, prenotazione delle analisi, relazioni con i medici di base e firma digitale, miglioramento dei processi interni e della tempistica di acquisizione dei campioni biologici, nonché valorizzazione e crescita profes-sionale delle risorse umane attraverso programmi di formazione e aggiorna-mento all’avanguardia.

FLEMINGLABS LE TAPPE DELLO SVILUPPO

Synlab Italia nasce a Brescia nel 1973 come laboratorio di analisi cliniche. Dal 1990, con il marchio FlemingLabs avvia lo sviluppo di attività di “service di laboratorio”, intesa come l’effettuazione di analisi cliniche per strutture sanitarie quali laboratori, istituti di cura privati e ospedali pubblici. Nel 1998 ottiene la Certificazione Iso, men-tre nel 2003 ottiene la certificazione Uni En Iso 9001/2000 come gruppo FlemingLabs. Nel 2010 Il Centro Analisi A. Fleming entra a far parte del gruppo Synlab, uno dei più importanti gruppi di laboratori di analisi in Europa, e tra i leader di mercato in Germania, Austria, Ungheria, Repubblica Ceca, Svizzera e Slovacchia. Oggi Synlab è presente con nel mondo con 260 sedi in 20 Paesi, con oltre 5.500 addetti e 300 milioni di analisi effettuate e un fatturato che nel 2011 è stato pari a circa 580 milioni di euro.

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LX Made in Brescia

UBI-Banco di Brescia, la banca dei brescianiLa profonda conoscenza del territorio, il credito alle imprese, la responsabilità sociale sono tra i caratteri distintivi di questa banca, erede delle storiche Banca San Paolo e CAB, oggi guidata da Roberto Tonizzo

L’ istituto di credito che fa della tradizione e della vici-nanza al territorio il proprio futuro.

“La forza dalle radici”. Questo è uno dei tanti slogan del Banco di Brescia, tutti volti a sottolinearne il radicamen-to alla propria terra, cui è intimamente legato da una storia ultracentenaria. Perché, sebbene il marchio della banca risalga al 1999, le origini del Banco di Brescia riportano alla fine dell’800, agli anni dei memorabili istituti di credito che, fondendosi, gli diedero vita: Ban-ca San Paolo e CAB (Credito Agrario Bresciano). Con 342 sportelli, 10 Corporate Banking Unit, 7 Centri Estero e 7 Pri-vate Banking Unit localizzati nel nord Italia (Lombardia, Veneto, Trentino-Alto Adige, Friuli Venezia Giulia) e nel Lazio, nonché circa 2.600 dipendenti, il Banco di Brescia è oggi una realtà di primo piano nel mercato italiano del credito, leader nella provincia di Bre-scia, il cui patrimonio locale conta ol-

tre 570mila clienti. Dal 1 aprile 2007, la banca entra a far parte del Gruppo UBI Banca (Unione di Banche Italia-ne), nato dalla fusione di BPU Banca e Banca Lombarda e Piemontese: il gruppo è al primo posto sul podio del-le banche popolari, e vanta presidi an-che in Asia, America Latina ed Europa.

Da Shanghai a San Paolo, da Nizza a Cracovia, da Mosca a Lussemburgo, UBI si muove su scala internazionale a supporto dell’attività della clientela domestica.Di tutto questo parliamo, nella sede dello storico Palazzo Martinengo Vil-lagana in corso Martiri della Libertà, a Brescia, con il direttore generale del Banco di Brescia, Roberto Tonizzo, il quale ci spiega subito come si sposano una tradizione di così lunga data, la fedeltà alla propria terra, con le spinte sempre più centrifughe del mercato: “La forza del Banco di Brescia nasce dalla profonda conoscenza del territo-rio, in cui trova le sue radici e dove opera, con una capacità distintiva di interpretare, servire e favorire lo svi-luppo delle economie locali. La nostra tradizione non è testimonianza di un passato remoto, né una forza che ali-menta un cieco localismo, anzi ci con-sente di vivere la globalizzazione come un’opportunità e non una minaccia”. Brescia, lo sappiamo, vanta una solida

UNA GRANDE VOCAzIONE AL RETAIL

Il Banco di Brescia ha una forte e naturale vocazione retail. Sempli-cità e trasparenza sono le parole chiave del rapporto con il cliente che è sempre, innanzitutto, personale e strutturato per valorizzare da un lato il risparmio, con un’offerta di prodotti chiari e coerenti nei profili di rischio-rendimento, e favorire dall’altro l’accesso al cre-dito con prodotti flessibili, che evitino rischi di sovraindebitamento.Il Conto di Base è un’iniziativa promossa dal legislatore per favorire una piena ed effettiva partecipazione al mercato unico di tutti i consumatori. Il Gruppo UBI ha aderito con apposita convenzione al Conto di base, dedicato, per l’appunto, a chi ha esigenze finan-ziarie semplici e regolari. Il Banco di Brescia offre ai propri clienti il nuovo prodotto declinato in un’offerta rivolta agli aventi diritto a trattamenti pensionistici fino a millecinquecento euro netti mensili. È il Conto gratuito per Pensionati che prevede un’operatività limi-

Il direttore generaledel Banco di Brescia,Roberto Tonizzo.

tata per tipologia e numero di operazioni consentite, rispetto a un tradizionale rapporto di conto corrente, ma consente di disporre gratuitamente di una carta di debito che permette un numero illimitato di operazioni di pagamento e prelievo presso gli sportelli ATM UBI.Per pensionati che hanno dimestichezza con strumenti più evo-luti, l’Istituto offre la Carta Enjoy Pensione, una carta prepagata dotata di codice Iban che consente l’accredito della pensio-ne per disporne in modo veloce e sicuro, non prevede costi di emissione né canone mensile, bensì un numero illimitato di ope-razioni e gratuità per la domiciliazione delle bollette.La Banca propone anche QUBì, la nuova offerta modulare personalizzabile in base ai bisogni del pensionato con esigenze bancarie più strutturate.

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Terziario LXI

vocazione imprenditoriale e una forte propensione al risparmio, nonché ec-cellenze conosciute in tutto il mondo. Una terra laboriosa, ricca di storia e di cultura, di risorse, capacità e aziende che hanno prosperato non solo grazie alla passione, alla determinazione e alla fatica dei loro timonieri, ma an-che grazie al sostegno del Banco di Brescia, in un virtuoso legame che da sempre lega le sorti di questa banca, erede delle storiche Banca San Paolo e CAB, a quelle delle aziende, poiché – sottolinea il direttore – “non esiste la banca senza l’impresa, né l’impresa senza la banca”.

LA MISSION: TUTELA DEL RISPARMIO ED EROGAZIONE DEL CREDITOLa mission del Banco di Brescia, infat-ti, resta quella di raccogliere risorse sul territorio, per impiegarle sullo stesso territorio, destinandole quindi all’e-conomia reale, erogando credito nel rispetto della qualità dello stesso. In poche parole: tutela del risparmio ed erogazione del credito, un’attività che influisce in modo determinante sulla crescita economica e sociale della co-

munità bresciana. “Dare credito alle imprese è il nostro mestiere – ribadisce Tonizzo – e ciò significa impegnarsi a creare un futuro al territorio e alle co-munità”, in special modo nell’attuale scenario economico finanziario che mette a dura prova anche le banche, chiamate a fronteggiare nuovi e più restrittivi vincoli patrimoniali, la crisi di liquidità del sistema ed un crescente costo del credito.“In questo contesto il Banco di Brescia continua a fare la sua parte – sottolinea Tonizzo – per dare risposta alle imprese che hanno bisogno di liquidità, riequi-librio finanziario, investimenti. E di continuare a scommettere sul futuro”. In questo senso, sono numerose le iniziative intraprese dalla banca con il mondo associativo e le primarie realtà bresciane: dalle moratorie, agli accordi con enti di garanzia (confidi) e con le organizzazioni di categoria, per favori-re l’accesso al credito, nonché i recenti progetti di finanza strutturati che con-centrano sul territorio la raccolta di ri-sparmio e le operazioni d’impiego. In-somma, una serie di interventi concreti e mirati per non far mancare l’ossigeno alle aziende.In tutto ciò, l’istituto è favorito da una filiera decisionale corta ed efficiente, che si basa su direzioni territoriali gui-date da professionisti che ben cono-scono il territorio, a cui sono delegate importanti facoltà creditizie e com-merciali.

II CORE BUSINESS: IL RAPPORTO DIRETTO CON LA CLIENTELASi può dire a pieno titolo che il core business del Banco di Brescia stia nei rapporti diretti con la clientela: banca commerciale solida che concentra la sua attività nella relazione con il clien-te, il Banco fa del contatto diretto e stabile la chiave di volta di un approc-cio fortemente consulenziale, atto a definire soluzioni realizzate su misura, per ogni esigenza. Una banca che sa guardare lontano investendo sulle qualità professionali dei suoi dipendenti (1.300 occupati a Brescia), risorsa prima ed insostituibi-le, perché i valori che fanno la storia

LE DIREZIONI TERRITORIALI E I TERRITORI DI RIFERIMENTO

- BRESCIA CITTÀ- BRESCIA OVEST• Valtrompia• Franciacorta• Valle Camonica

• Bergamo

- BRESCIA EST E MANTOVA• Lago di Garda• Valsabbia• Mantova

- MILANO LODI CREMONA- LAZIO• Roma• Latina• Viterbo

- TRIVENETO• Veneto• Friuli Venezia Giulia

del Banco di Brescia si esprimano nel-la quotidianità di chi lavora nell’Isti-tuto.Quindi investimenti sul personale, sulla rete commerciale e sullo svi-luppo di nuovi prodotti e servizi, per poter essere sempre all’avanguardia e rispondere meglio alle esigenze della clientela, combinando le profonde competenze sviluppate sul territorio alla capacità di rinnovarsi continua-mente, seguendo le dinamiche di ogni singola collettività.

LA RESPONSABILITÀ SOCIALEIl Banco di Brescia è fortemente radi-cato nella comunità, con cui condivi-de valori, principi, interessi, obiettivi e considera la responsabilità sociale un tratto distintivo del suo modo di fare banca al servizio delle famiglie, delle imprese e delle organizzazioni sociali del territorio. Difatti, la banca ha di recente lanciato i Social Bond, uno strumento finanziario innovativo che ha consentito all’istituto di credito di devolvere parte dell’importo collocato a sostegno di progetti che favorisco-no lo sviluppo dell’economia del bene comune, con particolare riguardo a realtà imprenditoriali significative che generano valore sociale. “Il Codice Etico che abbiamo adottato – spiega il direttore Roberto Tonizzo – fissa va-lori e principi forti e condivisi, su cui si fonda l’orientamento alla responsa-bilità sociale, declinata nelle strategie di impresa per renderla fonte di inno-vazione, reputazione e competitività”.L’attenzione che la Banca rivolge al sostegno e alla promozione delle at-tività sociali, culturali e solidaristi-che – destinando contributi a diverse iniziative benefiche e di utilità sociale, in collaborazione con associazioni, enti e organizzazioni culturali, realtà sportive impegnate nella promozione dello sport giovanile e dilettantistico – è grande. Non manca, poi, il sup-porto alle squadre impegnate ad alto livello in diverse discipline sportive, nella convinzione che anch’esse, cata-lizzatori di passioni comuni, rappre-sentino un fattore di coesione per la comunità bresciana.

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BsNews.it ha acquisito negli anni un numero sempre crescente di lettori gra-zie alla qualità delle notizie pubblicate e alla frequenza e tempestività degli aggiornamenti, due caratteristiche che rendono unica la sua proposta nel panorama editoriale della provincia di Brescia.< 60mila visitatori unici/mese < 10mila contatti su Facebook< oltre 200 commenti alle notizie inseriti dai lettori ogni giorno

I BRESCIANILO SANNO

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68 69VIAGGIO IN PROVINCIA

BAssA BREsCIANA, uNA TERRA CHE HA ANCORA VOGLIA dI RIMBOCCARSI LE MANICHE

Poncarale, Bagnolo Mella, Manerbio, Offlaga, Dello, Capriano del Colle, Azzano Mella

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B assa Bresciana, zona di ter-ra buona dove l’agricoltura è sempre stata il motore trainante dell’economia e

solo negli anni del secondo dopoguerra si è assistito ad un incremento della pro-duzione industriale e all’inizio di una vi-vace attività del terziario. Una terra che ha cresciuto i suoi abitanti con il carat-tere di chi è abituato a lavorare duro, a rimboccarsi le maniche per affrontare le difficoltà che ultimamente sono notevol-mente aumentate. Una terra dove i piccoli comuni con-finano con paesi dallo statuto di città, dove la principale infrastruttura sono le strade che li uniscono, attraversando la campagna. Una terra “bella”, dove le eccellenze non mancano ma dove la crisi si è fatta sentire in modo pesante. Proprio la crisi è il filo conduttore che unisce i cittadini e loro amministratori. Per i primi si traduce nella perdita dei posti di lavoro, nella cassa integrazio-ne che si “scarica” sulle difficoltà di un commercio sempre più stanco; per i secondi nella scarsità, per usare un eu-femismo, di risorse necessarie per pro-grammare, progettare una strategia che porti fuori dal tunnel. Passeggiando per le vie e per i centri dei paesi, intervistando i cittadini abbiamo ascoltato tanti problemi ma altrettanta forza nell’affrontarli e molta speranza. Duri i sindaci che dai loro bilanci hanno tagliato tutto il tagliabile, salvando i ser-vizi al sociale, alle scuole, agli anziani e ai bambini, e soprattutto puntando su una spesa attenta, di qualità, senza sprechi. Abbiamo inoltre cercato di verificare quanto un tema comune, come il sito di stoccaggio di gas sul territorio tra Bagnolo Mella e Capriano del Colle, fosse realmente percepito dagli abitanti rispetto alle scelte delle amministrazio-ni. Il risultato è che i cittadini non lo vivono come un problema prioritario, che “non sono informati”, e, quando lo sono, si dividono. I favorevoli ricordano che lì il metano c’è sempre stato ed è un’abitudine tutta italiana “dire sempre no”; i contrari lamentano “poca infor-mazione” e timori “legati alla sicurezza

dell’impianto”. Sul versante ammini-strativo, sostanzialmente i sindaci stan-no acquisendo informazioni, pareri di esperti e organizzando incontri pubblici

70 VIAGGIO IN PROVINCIABassa bresciana

Nelle pagine precedenti, Azzano Mella.In questa pagina, dall’alto, Offlaga e Poncarale.

per prendere una decisione che, come tutti hanno sottolineato, non utilizzerà il territorio per salvare i conti delle casse comunali.

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Pier Mode si È rifatto iL LOOK

GLi SpeCiaLiSti DeLLe CeriMonie iMprezioSiSCono iL CASUAL,

Con Un VaSto aSSortiMento Di nUoVi MarChi

P er sentirsi davvero coccola-ti, consigliati e ben serviti, per vestire i panni, insom-ma, di re e regine, biso-

gnerebbe far visita almeno una volta al nuovissimo locale d’abbigliamento Pier Mode. La tentazione di tornarci, poi, sarà pari al fascino che questa boutique esercita: non restarne conquistati è il vero peccato.La famiglia Ghelfi, da 14 anni nel settore dell’abbigliamento nel bresciano, ha ini-ziato tre generazioni fa una passione che è divenuta, con sacrifici e investimenti, un successo forgiato dall’esperienza. Le vendite ambulanti dei genitori con il ca-

mioncino casa per casa, nel mantovano e nel bresciano, restano oggi un dolce ricordo, quando si gestiscono 700 metri quadri di puro design.Recentemente ristrutturato, Pier Mode ha deciso, come fa ogni decina d’anni, di “ri-farsi il look” per rinverdire la propria immagine, ma soprattutto per stare al passo battente della moda, pur mantenendo un’imprescindibile allure di classica eleganza. Entrare nella boutique di Maclodio significa intraprendere una vera e propria espe-rienza multisensoriale; gli spazi ovattati, vasti, nelle declinazioni del color panna, le musiche in sottofondo, energizzanti, gli arredi minimalisti, carichi di charme, le stof-fe fruscianti, pregiate: ogni cosa richiama il buon gusto, la raffinatezza.La recente architettura del negozio prevede due grandi aree distinte, una dedicata agli abiti da cerimonia – da sempre, il fiore all’occhiello di Pier Mode – e l’altra allo stile casual, arricchito da un assortimento di calzature e di tanti nuovi marchi pregia-ti. Spiccano tutte le grandi firme, ma il pallino dei Ghelfi è il made in Italy, sinonimo di moda con la “M” maiuscola, nonché garanzia di qualità. Il grande ritorno della pelle, e delle giacche in lana cotta, quest’anno si affiancherà ai sempreverdi piumini, la cui scelta, in negozio, è vastissima. Rivolgendosi direttamente alla produzione, Pier Mode riesce a coniugare l’impareggiabile assortimento delle collezioni di prima linea con dei prezzi competitivi (da sempre ribassati del 15% rispetto ai negozi citta-dini), vestendo davvero tutti.Il “settore cerimonia” – dotato di separé, ampi camerini e servizi esclusivi, nell’inse-gna della privacy più completa – lascia a bocca aperta per l’avanguardia dei tessuti, con abiti monumentali ricamati al vivo, manualmente, e la cura del dettaglio, che im-preziosisce ogni più piccolo particolare. Basta guardare le vetrine di Pier Mode: delle creazioni artistiche in miniatura. Ora che è tempo di “spose invernali”, questa bouti-que saprà dare una marcia in più alla vestizione di coppia, scaldando lei con morbide stole di visone o lapin e rifinendo lui con un capospalla in cashmere. Il servizio di sartoria (possibile anche nel reparto casual per un paio di jeans o una camicia), qui, fa la differenza, poiché gli sposi sono serviti con una competenza professionale che fa del “su misura” il proprio credo. Che dire, poi, dell’esclusiva dell’abito, garantita dallo staff di Maclodio? Avere la certezza che, ad un ricevimento, nessun’altro indos-serà il proprio outfit è una sicurezza impagabile.Pier Mode vi aspetta tutti i giorni, domeniche incluse, al centro di Maclodio, sulla statale per Orzinuovi, proprio sul rondò, con un comodo piazzale privato della ca-pienza di 100 auto.

pieR modePiazzale Europa 1, Maclodio (BS)tel. 030.9972309orari: martedì- venerdì 9-12/15-20, lunedì e domenica 15-20

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dico che a cambiare è stato soprattutto il modo di mangiare: prima il pane era il principe della tavola, ora ci si riempie lo stomaco diversamente”.I vostri prodotti più gettonati?“Il pane comune. Vengono anche tan-tissimi ragazzi per focacce e pizzette, rigorosamente artigianali”.Sentite molto la concorrenza della grande distribuzione?“Ci sta rovinando. Bisognerebbe anche capire che la domenica, invece di andare nei centri commerciali, è bene dedicarsi alla famiglia, ai bambini, alla messa. In-credibile che i più piccoli, oggi, pensino che l’acqua venga dal supermercato, in-vece che dalla fonte”.Come vivete la crisi?“Tutto il settore del commercio è in una situazione critica, anche se il paese se la cava abbastanza bene”.Stoccaggio di metano sì o no?“Non ne so niente, ma le dico che non lo vorrei, i pozzi di gas li giudico un de-gradamento della natura: la terra ci ha insegnato a seminare a piedi nudi, poi se vogliamo continuare a romperla...”.

aNdrea Nodaritabaccheria Via Matteotti Qual è la sua clientela?“Direi di tutti i tipi... Il genere che tira di più sono lotto, superenalotto, gratta e vinci, oltre alle sigarette”.Questa tabaccheria c’è sempre stata?“È un’attività che c’è da tempo, ma io l’ho rilevata solo un paio d’anni fa. Non facevo questo mestiere, ma mi sono

72 73VIAGGIO IN PROVINCIABassa bresciana

CI RACCONTANOPoNcaraLe

di aLessaNdra toNizzo

Maria ferroNato(edicoLa) P.za Donatori di SangueGestisce l’edicola da 22 anni: lavora sul passaggio?“Poco, direi più sul paese. Qui vengono tutti, dai piccolini agli anziani”.Qual è il settore che vende sempre?“Figurine e generi per bambini non hanno subito grossi cali come, invece, i quotidiani”.Com’è la qualità della vita?“Questo è il mio paese, ci vivo bene. È a una buona distanza dalla città, ma commercialmente è un disastro: faccia-mo chilometri per comprare cose che ci sono anche qui”.Mi parli del parco Monte Netto, una risorsa...“Sono cent’anni che il parco, solo per la zona di Poncarale, è stato diviso in tante piccole porzioni per la coltivazione della vite a livello famigliare: è ancora così! Tanti hanno venduto, altri, come mio marito, si godono con orgoglio i loro due filari di vite”.È favorevole al sito di stoccaggio del gas metano, in zona?“Se non è una cosa pericolosa sarei favo-revole, ma non sono ben informata: vor-rei valutare dopo aver sentito qualcuno che se ne intende”.

eNrico bertoLetti(tabaccheria) Via Piave La sua clientela è...“Composta perlopiù da anziani, resi-denti qui, nella zona vecchia. Giocano molto a lotto e superenalotto”.Il suo è anche un po’ un bazar...“Sì, teniamo qualche gioco per ragazzi e i libri scolastici”.Segnali della crisi.“Comprano meno. Poi la concorrenza si sente: hanno aperto da poco un centro commerciale non molto distante”.Rinunciano al fumo?

“Diciamo che c’è un occhio di riguardo, una maggiore attenzione a tutte le spese”.Che paese è Poncarale?“Una realtà tranquilla. C’è una zona in cui si sono insediate nuove famiglie. Sia-mo anche vicini alla città”.Cosa pensa dello stoccaggio del gas metano in zona?“Non ne avevo mai sentito parlare. Non mi pronuncio, m’informerei meglio nel caso si attuasse”.

sUsaNNa bertoLetti(accoNciatUre sUsY)Via Piave Che richieste le fanno ultimamente?“Il benessere del capello, che sia sano e curato: ricostruzione, shampoo, ma-schere...”.La scala della crisi, da uno a dieci.“Per adesso zero. Bisogna dare una buo-na qualità a prezzi contenuti, altrimenti i clienti sono in difficoltà”.Commercialmente il paese è vivo?“Direi che non offre molto”.Stoccaggio di gas metano sì o no?“Non ho sentito niente in merito, mi di-spiace”.

PAESE CHE VAI…LE NOSTRE IMPRESSIONI

poncarale è un paese molto tipico, dalla geografia

armoniosa: si sta bene a percorrere i suoi vicoli, le

case di pietra, tra il gorgoglio dell’acqua. poche at-

tività, erosione dei centri commerciali, crisi: la storia

è sempre quella, ma qui la voglia di arrivare al lieto

fine è palpabile.

s

CI RACCONTANObagNoLo MeLLa

di aLessaNdra toNizzo

LUciaNo MigLiorati(hoUse aNd gardeN) Via Circonvallazione

Quest’attività è recente...“Difatti, io e la titolare, Carolina Piz-zamiglio, abbiamo aperto l’8 settembre scorso. Il paese ha subito reagito bene, anche se siamo di fuori”.Eravate già nel settore fiori?“Sì, ma abbiamo deciso di aprire qui a Bagnolo perché secondo noi mancava un negozio particolare, elegante”.Cosa vi identifica di più?“Arredi floreali per matrimoni e per interni. Siamo apprezzati anche per gli

omaggi florali importanti”.Bagnolo è un paese...“...che ha tanta qualità, non sfruttata, anche se molta gente, da fuori paese, è venuta ad abitare qui. Puntiamo sui gio-vani”.È favorevole al progetto di stoccag-gio, in zona, di gas metano?“Il sito è proprio a 50 metri da casa mia, mi chiedo cosa dovrò fare se lo realizza-no: me ne devo andare? Mi danno una casa nuova? Sono già venuti per delle ve-rifiche, dicendomi che, in caso di danni durante la trivellazione, mi risarciscono. Staremo a vedere”.

ViNceNzo coNti(PaNificio coNti rebUschi)P.za GaribaldiSiete sul mercato dal 1985: cos’è cambiato, da allora, nel fare il pane?“Sono il vicepresidente dell’associazio-ne panificatori artigiani di Brescia, e le

Luciano Migliorati

Vincenzo Conti

PAESE CHE VAI…LE NOSTRE IMPRESSIONI

Quasi 13mila abitanti e non sentirli. a Bagnolo Mella si sta bene, si passeggia volentieri, e persino i volti di chi lavora sono meno “tirati” che altrove (la fatica, spesso, passa con una risata sonora). anche l’aria, venendo dalla metropoli, pare raffinarsi, nonostante il team degli studi ambientali si sia insediato, dopo Montichiari, anche in questo bel borgo con statuto di città.

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75VIAGGIO IN PROVINCIABassa bresciana

trovato benissimo, mi hanno accolto bene”.Bagnolo con un aggettivo.“Calmo”.Come se la cava con la crisi?“Beh, il giro d’affari è diminuito”.

orsoLiNa MoNtiNi(edicoLa La tiNa) Via Chiodi La sua è un’attività storica... come mai dice di essere “stanca”?“Perché, a prescindere dalla crisi, non sono soddisfatta del lavoro che faccio: da qualche tempo non riesco più a farlo come voglio io, come 15 anni fa. Non so da quale centro di distribuzione dipen-da, ma si lavora male”.Cosa leggono in quel di Bagnolo?“Il gossip che costa meno. Si legge poco, ultimamente”.

Un pregio del paese?“Ci sono tante persone eccellenti nel campo dello sport e della musica, ma che non sono riconosciute”.Sarebbe favorevole all’impianto di stoccaggio del metano?“Ne ho sentito parlare, ma ho letto poco in merito. Penso solo che hanno sempre lavorato con il metano, se serve... ma ci si interroga sempre sui pro e i contro, sulla sicurezza”.Stranieri integrati o no?“Ce ne sono tantissimi, che non hanno lavoro. A me spiace dire di no a chi ha bisogno, ma sono davvero troppi”.

sara faroNi(bUgatti stYLe) Via XXVI AprileA chi vi rivolgete?“Vediamo abbigliamento con taglie dal

42 al 54, quindi la clientela è dai 30 anni in su. I nostri capi sono tutti made in Italy, e teniamo dal jeans all’abito da cerimonia”.Clientela del paese o di passaggio?“Principalmente del paese o dalla zone limitrofe”.La crisi, questo mostro...“...già, ce n’è parecchia, la gente spende di meno. Io, aspettando che passi, non rinun-cio alla qualità dei miei capi: invece di quat-tro cose, se ne acquistano due, ma belle”.Commercialmente Bagnolo è...“...in attesa di belle iniziative. Tra com-mercianti si sono proposti eventi, come la notte bianca, ma restano poi isolati”.Scorte di gas metano in zona: favore-vole o contraria?“Non lo sapevo, ma non ho nulla in con-trario, non ho grandi perplessità”.

Andrea Nodari Orsolina Montini Sara Faroni

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12MESIottobre 2012

77VIAGGIO IN PROVINCIABassa bresciana

CI RACCONTANOMaNerbio

di aLessaNdra cascio

orNeLLa betteLLi(geLateria La VogLia Matta) Via XX Settembre

Da quanto tempo gestisce l’attività?“Da 22 anni e diciamo che cerchiamo di cavarcela “.Manerbio con un aggettivo.“Oggi lo definirei spento”.In che senso?“Non è più attivo come una volta: prima c’era più movimento, si organizzavano più manifestazioni ed eventi”.Lei è favorevole o contraria all’aper-tura del macello qui in città?“A sentire parlare il Sindaco e la giunta sembra un progetto positivo, però non riesco ad esprimermi appieno perché le persone che abitano lì vicino sono molto preoccupate perché nel sito in cui vorreb-bero farlo c’è già la Finchimica; gli agricol-tori invece, sono propensi alla cosa”.Quali sono le prospettive per il futuro?“Spero in bene, cerco di vedere le cose positivamente”.

NicoLa argeNtiNi(abbigLiaMeNto) Via XX SettembreCom’è cambiato il commercio di Ma-nerbio negli ultimi anni?“Sino a sei anni fa era un buon commer-cio, ora non lo è più. Oggi le persone vogliono solo le cose più belle: più sono care più piacciono”.Qual è il suo target di clientela?

“Medio-alto. La maggior parte del quale viene da fuori il paese”.Come si vive a Manerbio?“Benissimo, anche se ultimamente stan-no organizzando veramente poco. For-tunatamente, la gente che frequenta la città c’è ancora”.È favorevole o contraria all’apertura del macello?“Sicuramente creerà tanti posti di lavo-ro, ma qualche perplessità ce l’ho anco-ra. Inoltre, molta gente non ne è ancora convinta...”.Ha sentito parlare del sito di stoccag-gio del gas?“Mi spiace, ma non sono per niente in-formata “.

ireNe tosiNi(caffetteria giaMaica)Via XX SettembreCosa offre Manerbio a voi giovani?“Grandi locali qui non ce ne sono. Per divertirsi occorre spostarsi al lago o a Brescia”.È soddisfatta degli altri servizi?“Sì, per il resto non manca nulla; abbia-mo l’ospedale, diverse banche, molti negozi e tutto quello che può servire”.Un difetto di Manerbio...“Le strade... non sono sistemate. Lo so che il Comune non ha soldi e fa quello che può!”.È favorevole all’apertura del macello?“Sì, sono d’accordo perché portereb-

be tanto lavoro... Inoltre, credo che al giorno d’oggi queste strutture prima di aprire siano soggette a controlli molto rigorosi”.E cosa mi dice delle manifestazioni che hanno sfilato tra le vie della città contro questa apertura?“Sono state fatte da gente che non vive a Manerbio”.Favorevole al sito di stoccaggio del gas?“Non sono informata della cosa, ma non vedo perché dovrei essere contraria”.

MireLLa PrestiNi(abbigLiaMeNto)Via XX SettembreLa sua è un’attività storica. Come è cambiata nel tempo l’economia di Manerbio?“Manerbio deve la sua fortuna al lanifi-cio Marzotto, che ha dato benessere alla nostra città e ai paesi limitrofi permet-tendo negli anni lo sviluppo di attività

Ornella Bettelli

PAESE CHE VAI…LE NOSTRE IMPRESSIONI

anche se l’evidente crisi economica non ha rispar-miato nemmeno questa cittadina nel cuore della pianura bresciana, qui la gente mostra le spalle lar-ghe, rimboccandosi le maniche e trovando i rimedi giusti per superare le difficoltà. La gente continua a darsi da fare rinnovando, modificando le abitudini e accogliendo le innovazioni senza molti timori, nella speranza che il domani sia migliore.

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79VIAGGIO IN PROVINCIABassa bresciana

asserventi il lanificio, ma anche operanti in altri settori come quello edilizio e dei servizi. Oggi con la crisi sta soffrendo molto come tutti gli altri paesi”.È favorevole all’apertura del macello?“Io non sono addentro alla questione, per cui non posso darle un giudizio. Posso solo dire che occorre trovare un

Le nostre domande a…

CeSaRe MeLeTTi, SinDaCO Di ManeRBiO

I suoi concittadini “sentono” la crisi e si dividono sull’apertura del nuo-vo macello. Dalle finestre del Co-mune come vede il Paese?“Il Paese lo vivo tra la gente, che mi parla delle difficoltà di arrivare a fine mese, di pagare il mutuo, di rispon-dere allo sfratto. È inutile nascon-derlo, le risorse sono diminuite e la scelta della mia amministrazione è stata quella di essere, prima di tutto il resto, vicino a quelle persone”.Come?“Stando più attenti a come si spen-dono i pochi soldi che sono ancora disponibili”.A che cosa avete rinunciato?“La scelta è stata diversa, abbiamo puntato più sulla qualità rispetto alla quantità. Un esempio è quello della

Mille Miglia per la quale l’amministra-zione non ha speso un soldo, grazie al contributo degli sponsor abbiamo organizzato invece un evento che ha richiamato molta gente in Paese. Lo stesso discorso per la serata di Miss Italia. E poi per la stagione teatrale, in sinergia con la parrocchia, riuscia-mo a presentare sempre un tabello-ne di tutto rispetto”.Per quanto riguarda le infrastruttu-re come siete messi? Che posizione avete rispetto allo stoccaggio del gas a Capriano del Colle?“Viviamo una situazione paradossa-le, siamo l’unico Paese al confine con entrambi i due progetti di stoccag-gio – di Bordolano e di Capriano – e non siamo mai stati invitati a nessuna Conferenza dei Servizi. Non siamo in

possesso di alcun documento ufficia-le, ma se e quando sarà il momento li chiederemo e con tutto il Consiglio faremo un adeguato approfondi-mento soprattutto per tutelare salu-te e territorio. Per il momento non siamo né favorevoli né contrari”.

equilibrio tra salvare il territorio e dare occupazione”.Com’è cambiata la sua clientela nel tempo?“È cambiata anche grazie all’opera di ammodernamento che ho sostenuto qualche anno fa. Prima il negozio era piccolo e serviva una clientela di fiducia,

ora anche la clientela di passaggio si ac-corge della nostra presenza”.Ci descriva Manerbio dalle vetrine del suo negozio...“Pensando alla piazzetta qui fuori pos-so dire che è diventato un buon salotto d’incontro, ma purtroppo non è sfrutta-to abbastanza”.

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81VIAGGIO IN PROVINCIABassa bresciana

CI RACCONTANOoffLaga

di aLessaNdra cascio

cristiNa dragaN(bar trattoria Pace)Via G. MarconiDa quanti anni è in Italia e come si trova?“Sono in Italia da quattro anni e mi tro-vo bene. Qui a Offlaga ho diversi amici e parenti”.Come descriverebbe Offlaga a un suo connazionale?“Offlaga è un bel paese, ricco di gente buona e disponibile. Qui mi sento inte-grata e sono apprezzata da molti anche se sono straniera”.Ha avuto difficoltà con la nostra lin-gua?“All’inizio sì. Mi ha aiutato molto usci-re, frequentare i negozi, ascoltare e par-lare con la gente”.Da quanto tempo gestisce il bar?“Da quasi un anno. Non è stato facile, abbiamo avuto qualche difficoltà”.Adesso è contenta?“Sì, abbastanza”.

La sua clientela è prevalentemente...“Del posto, anche se non manca qualche cliente occasionale e di passaggio”.

aNgeLo forbiti(tabaccheria PUNto bLU)Via G. MarconiCi descriva Offlaga.“È un paesino tranquillo che si è fermato nel tempo, sia a livello industriale, sia a li-vello artigianale. Purtroppo, non ha avuto lo stesso sviluppo di altri centri vicini”.Qual è l’economia prevalente del paese?

“L’agricoltura, infatti ci sono diverse aziende agricole”.Ritiene che in paese manchi qualcosa?“Il paese è piccolino e i servizi sono ade-guati”.In questo tratto di strada ci sono nu-merosi speed check control.“Li hanno messi per limitare la velocità sul rettilineo e per diminuire i rumori molesti durante le ore notturne”.Informato del sito di stoccaggio del gas?“No, non sono informato. La cosa mi è nuova”.

PAESE CHE VAI…LE NOSTRE IMPRESSIONI

offlaga è un piccolo borgo rurale sulla direttrice Brescia-Manerbio dove il ritmo della vita sembra scorrere lento. Lo sviluppo artigianale e industria-le è fermo da anni, mentre quello agricolo registra un segno positivo grazie alla presenza sul territorio di alcune realtà d’eccellenza che da sole riescono a trainare buona parte dell’economia locale.

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CI RACCONTANOdeLLo

di aLessaNdra cascio

brUNeLLa boLdriNi (bar doUbLe b) Via Roma Come sta andando il commercio?“È calato notevolmente negli ultimi tre anni a causa della crisi”.Come si vive in paese?“Dello è un piccolo paese di campagna, distante dalla città, in cui fortunatamen-te si vive ancora bene. Purtroppo non offre molto ai giovani”.Ritiene che i servizi offerti dal paese siano sufficienti?“A livello di trasporti c’è solamente un pullman. Quando lo usavo per spostar-mi all’università il prezzo era altissimo e gli orari assurdi. Credo che si dovrebbe-ro potenziare le corse”.Ci sono molti extracomunitari?“Sì, in parte sono integrati, in parte non lo vogliono essere”.Ha sentito parlare del sito di stoccag-gio di gas?“Non sono informata della cosa... mi di-spiace, ma non so esprimere un parere in merito”.

LUca gaLLi(tabaccheria) Via Roma Lei è giovanissimo, come mai ha deci-so di rimanere qui in paese?“Purtroppo mi è venuto a mancare un fra-tello ed ho dovuto rilevare la sua attività. Inizialmente avevo un po’ di paura, ma ora penso di aver fatto la scelta giusta”.Come si vive qui?

Luca Galli

PAESE CHE VAI…LE NOSTRE IMPRESSIONI

tranquillo centro della bassa bresciana, ordinato e pulito. La gente del paese è vivace e cordiale. nono-stante il centro non sia tra i più grandi, Dello offre ai suoi abitanti una vasta qualità di scelta che permette all’economia locale di continuare a girare e a credere nella ripresa.

Le nostre domande a…

eTTORe MOnaCO, SinDaCO Di DeLLO

Dello è ancora un paese dove si vive e si lavora bene, anche se la crisi si fa sentire. Cosa può fare il Comune? “La realtà è che siamo in enorme difficoltà, mancano i soldi per po-ter pensare di fare qualcosa. Come amministrazione avevamo deciso di puntare sui servizi ai cittadini, sulla messa in sicurezza delle scuole con le nuove norme antisismiche, ester-nalizzando alcuni settori. In un pae-se di seimila abitanti e tre frazioni, abbiamo tre depuratori, tre cimiteri e solo quattordici dipendenti. Vole-vamo risparmiare e forse era meglio che avessimo fatto le cicale”.Come avete affrontato la situazio-ne? Quali sono le priorità?“tagliando tutti gli investimenti, a partire dalla manutenzione delle strade per arrivare al verde pubblico. Abbiamo privilegiato i servizi sociali, le scuole, l’assistenza agli anziani e ai bambini senza aumentare le tasse che sono già al limite. Non tira una buona aria e per quanto ci compete stiamo facendo il possibile per evita-re situazioni di conflitto sociale”. Recentemente si è parlato della possibilità di tornare a stoccare gas nel sito di Bagnolo Mella/Capria-

no del Colle da dove si è estratto metano fino al 2000. Che posizione avete sul progetto?“Non siamo contrari a priori. Credo invece sia importante parlare con tutti per conoscere e capire. È cer-to però che non useremo il territorio per fare quadrare i conti del Comu-ne. Dobbiamo ricordarci che il terri-torio è un bene unico, irripetibile e abbiamo l’obbligo morale di lasciar-lo nelle migliori condizioni possibili ai nostri figli. Altrettanto certo è che tutta la Pianura Padana, negli ultimi dieci anni, ha già dato tanto…”.

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84 VIAGGIO IN PROVINCIABassa bresciana

“Bene! Dello è un bel paese dove si la-vora bene. La gente è semplice, socievo-le e si soddisfa con poco”.È vero che Dello non offre molto ai giovani?“Sì, a parte un sacco di bar qui in centro, non c’è molto né a livello sportivo, né a livello di divertimenti”.Quindi, cosa proporrebbe alla sua Amministrazione?“La costruzione di un bel palazzetto dello sport e la promozione di qualche attività sportiva”.A livello di infrastrutture il paese com’è messo? “Non è male, c’è tutto, la gente di qui non si sposta per fare gli acquisti, anzi Dello accoglie anche gli abitanti delle frazioni vicine”.Sa qualcosa del sito di stoccaggio del metano?“È la prima volta che ne sento parlare. Comunque, non ne sapevo niente”.

aNNa Maria acerbo(ViVere Viaggiare) Via RomaLa sua attività è presente sul territorio da nove anni, come sono cambiate le abitudini dei dellesi in tema di vacanze?“Sono cambiate moltissimo, ultimamen-te si orientano quasi tutti sul fai-da-te”. Quest’anno com’è stata la richiesta

del mercato?“Diciamo il 50% in meno rispetto agli anni precedenti. La spesa pro-capite per la vacanza è stata di 700-800 euro, contro i 1.000-1.200 euro di qualche anno fa”.Ha sentito parlare del sito di stoccag-gio del gas?“No, non ne ho sentito parlare, comun-que sarei favorevole a una sua rimessa in funzione”.Un difetto di Dello?“Beh sicuramente la diffidenza della gente, noi non siamo del posto e i primi anni abbiamo fatto fatica ad ingranare”.

gioVaNNi ferrari(geLateria MaraMeo)Via RomaHa aperto dal 1991, come si trova a Dello?“Bene, benissimo. Dello è una realtà

viva durante tutto l’anno”.La sua clientela è prevalentemente del posto?“No, lavoriamo anche con i paesi vicini”.Come sta andando la sua attività?“Come tutti abbiamo risentito della cri-si, ma il nostro mestiere è quello che ne sta uscendo meglio. Il gelato se lo per-mettono ancora tutti”.Mi descriva Dello...“È un tipico paese della bassa, a portata d’uomo, dove sussistono ancora valori ed è vivo”.Cosa intende per vivo?“Intendo che la popolazione partecipa alla vita e all’economia del paese e tende a non spendere altrove”.Cosa pensa del sito di stoccaggio di metano?“Penso che se sarà fatto con i giusti criteri non creerà pericoli per la popolazione”.

Anna Maria Acerbo

Giovanni Ferrari

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CI RACCONTANOcaPriaNo deL coLLe

di aLessaNdra toNizzo

Vittorio agosti(edicoLa PUNto bLU) Via Garibaldi

Che clientela ha?“Molto ristretta, perché questo è un piccolo paese, non di passaggio. Mi ha aiutato molto il fatto d’esser nato qui”.Quali generi di prodotti non muoio-no mai, nonostante la crisi? “Le parlo di una mia idea, un mio cruc-cio: i detersivi alla spina. Non cambiano la vita, commercialmente, ma sono sem-pre una cosa in più, e fanno bene all’am-biente. Con il potenziamento della dif-ferenziata, ci rendiamo conto di quanta plastica produciamo”.Commercialmente il paese è...“...in difficoltà, da quest’anno”.Capriano è conosciuta per...“Il Monte Netto: le domeniche è pieno di gente che fa sport, è una valvola di sfogo”.Cosa ne pensa del progetto sul sito di stoccaggio di gas metano, in zona?“Quando manca il gas, ci lamentiamo. Si dice sempre di no, ma vogliamo il be-nessere. Direi di mettere, però, al primo posto la sicurezza: un impianto sicuro va bene”.Cosa manca in paese?“Oltre all’oratorio, spazi per i giovani. Io faccio parte del Tamburello Capriano e dobbiamo migrare nelle palestre limi-trofe”.

eLiaNa bragagLio(MaceLLaria UNgaro reNato) P.za Mazzini 13Avete un prodotto che vi contraddi-stingue?“Di sicuro i salumi: li facciamo ancora noi”.Chi vi frequenta?“Tanta gente di fuori, grazie al passapa-rola. Sono clienti soddisfatti, ma il pe-riodo è delicato, si spende poco”.Che paese è questo?“Tranquillo, senza grandi problematiche”.Impianto per il gas metano, sì o no?“No, si ha sempre paura che succeda qualcosa”.

siMoNe fioLetti(Video & Pc) Via MellaDi che cosa si occupa?“Abbiamo il noleggio dvd 24 ore su 24, completamente autonomo e con tes-sera ricaricabile gratuita, e assistenza-vendita computer: configurazioni reti, estrazione programmi, rimozione virus, ripristino sistemi, ecc.”.Il target della clientela?“Dai 30 ai 45 anni, gente maggiormen-te di fuori”.Come va l’attività, al suo sesto anno?“Inizialmente la videoteca andava bene, poi con l’adsl la gente ha iniziato a

Vittorio Agosti

PAESE CHE VAI…LE NOSTRE IMPRESSIONI

il centro di Capriano del Colle si è lentamente svuo-tato di attività commerciali, tanto che ne sono ri-maste solo cinque. immaginiamo l’andirivieni degli abitanti locali per far fronte alle proprie necessità quotidiane. e soprattutto pensiamo all’immagine tu-ristica di una località la cui produzione vitivinicola è rinomata… Urge manutenzione.

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CI RACCONTANOazzaNo MeLLa

di aLessaNdra toNizzo

ferNaNda garLetti(bar trattoria caNNoNd’oro) P.za Dante Alighieri

Che storia ha questo locale?“Dura da generazioni. È nato come al-bergo, poi è diventato trattoria. Ora fac-ciamo bar, solo ogni tanto cuciniamo su prenotazione qualche piatto tipico”.Che clientela ha?“Dai 90 anni in giù! Ho clienti storici, collezionati in 25 anni di lavoro”.Che paese è Azzano?“Tranquillo. Qui prima c’era una bella zona industriale, ora sono rimasti in tre...”.Cosa manca?“Spirito di collaborazione, di amicizia, il ritrovarsi”.

È favorevole al giacimento di gas me-tano in zona?“Se n’è parlato molto a Capriano, anche se non mi sono informata bene. Penso che il mondo va avanti, e quindi bisogna adeguarsi... ora andiamo ad acquistare gas ed elettricità da tutto il mondo, mentre li abbiamo, e dovremmo sfruttarli. Il polo lo-gistico, certo, porterà traffico sulla strada, ma non possiamo rinchiuderci nel paesi-no. Pensiamo ai nostri ragazzi, al lavoro”.

LaUra bUraschi(L’orto fiorito) Via Vittorio VenetoPer cosa lavora maggiormente?“Cimiteri e regalini”.Il regalo fiorito, dunque, è ancora ap-prezzato...“Molto, anche se ridotto: il fiore non è un’esigenza, di questi tempi. E non si

cerca il significato del fiore, ma si punta sul gusto estetico, sulla moda”.Per esempio?“Adesso vanno molto le orchidee bian-ce, le piante grasse, le rose”.Azzano è...“Tranquillo, anche se commercialmente non molto vivo. Tolti noi pochi commer-cianti, c’è solo la grande distribuzione”.Stoccaggio di gas sì o no?“Se serve, si fa. Non sono una che dice sempre “no”, come il discorso della centrale nucleare: tutti contrari, poi si tengono le luci accese giorno e notte nei parchi, non si risparmia nulla... Io sono la prima che non risparmia sulla corren-te, l’energia serve”.

Fernanda Garletti

PAESE CHE VAI…LE NOSTRE IMPRESSIONI

piccolissimo paese che un tempo vantava una vo-cazione industriale, oggi azzano Mella è una realtà pregevole, ma un po’ desolante. il centro è svuotato di attività (non esiste, ad esem-pio, un negozio d’abbigliamento) e il paese è attor-nianto dalle grandi superfici distributive.

88 VIAGGIO IN PROVINCIABassa bresciana

scaricare i film da internet: il noleggio si è abbassato, ora è un po’ meglio, ma non sufficiente per vivere”.Commercialmente Capriano è...“...morto: siamo in cinque negozi, com-presa la farmacia”.È favorevole allo stoccaggio del gas metano?“Certamente. Lo stoccaggio esiste già, come pure la camera naturale, si tratta solo di spingere giù il gas, che c’è sem-pre stato: non vedo, quindi, il proble-ma”.

Le nostre domande a…

CLauDiO LaMBeRTi, SinDaCO Di CapRianO DeL COLLeI suoi concittadini ci hanno segna-lato come il centro del Paese si sia svuotato di negozi. Come state af-frontando il tema?“È un problema serio per il quale ab-biamo predisposto delle iniziative con l’obiettivo di farli conoscere di più. Il primo passo è stata la nascita della Pro Loco che ha come scopo la promozio-ne del territorio con iniziative che va-lorizzino anche il commercio. Abbiamo spostato la tradizionale ‘Festa dell’U-va’ in centro e anche quest’anno ripe-teremo ‘il mercatino di Natale’ dove i commercianti gestiscono direttamente le bancarelle. ‘Botteghe in fiere’ è de-dicato prevalentemente a bambini e famiglie, con i negozi dei commercianti che diventano laboratori per far cono-scere i mestieri. E poi ancora le nostre Cantine o la promozione del Monte Netto. tutto con un obiettivo: quello di creare qualche posto di lavoro”.

Con quali soldi?“Puntando con decisione all’efficienza che si traduce in risparmi che vengo-no poi destinati al sociale. In questo modo abbiamo aumentato i servizi e ridotto le rette per l’asilo. Non abbia-mo aumentato le rette per lo scuola-bus, per la mensa della scuola; siamo stati in grado di far partire la consegna a domicilio dei farmaci per le persone anziane e abbiamo stanziato 20mila euro per un centro di aggregazione di giovani grazie anche al contributo essenziale di molti volontari”. Sito di stoccaggio del gas?“Se ne è parlato troppo e qualche volta anche per nulla, ci sono altre priorità e questo tema verrà affron-tato. La nostra posizione è chiara: siamo contrari al sito di stoccaggio di gas metano e lo abbiamo scritto anche in una delibera del Comune”.

Simone Fioletti

NeL ProssiMo NUMero

Franciacorta: Cazzago San Martino,Cortefranca, erbusco, iseo, rovato

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UNa scUoLa Per La sicUrezza PersoNaLe

L’oBiettiVo È QUeLLo Di renDere ConSapeVoLi e reSponSaBiLi i parteCipanti ai CorSi

per reaGire in MoDo aDeGUato a poSSiBiLi SitUazioni riSChioSe

È sempre più frequente sen-tir parlare di sicurezza personale o di legittima difesa eppure dell’argo-

mento poco o nulla si conosce se non in modo approssimativo e superficiale. E troppo spesso è proprio la mancanza di informazioni corrette che porta ad avere comportamenti inadeguati e peri-colosi per sé e per gli altri. I fatti di cro-naca sono lì a dimostrarlo. Per questo il concetto chiave del progetto di Defense Academy è: responsabilità. Una maggio-re responsabilità conseguenza diretta di una migliore conoscenza.“Il nostro obiettivo – spiega Mauro Cor-bani, che ha dato vita all’associazione culturale e sportiva Defense Academy – è quello di diffondere una corretta informazione sulla sicurezza personale e sociale iniziando da un’educazione adeguata. La sicurezza è un tema com-plesso e non vogliamo certo accreditarci la soluzione definitiva, ma solo proporre il nostro contributo di esperienza e di professionalità”. Un’opportunità che parte dall’analisi di una realtà dove, “al netto della strumen-talizzazione, della speculazione politica o dei grandi titoli dei giornali – sottolinea Mauro Corbani – si registra come il tema della sicurezza è sempre più sentito per-ché influenza le relazioni sociali e quindi la qualità della vita stessa delle persone. Si sono moltiplicate piccole e grandi pau-re. Gli stupri, le rapine, la microcrimina-lità di strada, i banali litigi che si trasfor-mano in tragedie, gli incidenti provocati da giovani alla guida, ubriachi o drogati,

se in modo da evitare in ogni modo il confronto fisico o l’uso di armi”. Per Corbani “lo studio del comportamento umano sotto stress, dove la vita stessa è in gioco, può aiutare a risolvere situazioni potenzialmente pericolose”. Defense Academy organizza infatti corsi nei quali i partecipanti imparano, anche attraverso simulazioni realistiche, a gestire le situazioni di stress ed evitare escalation perico-lose. “Si impara ad usare un’arma nella maniera adeguata ma soprattutto si impara la responsabilità dell’arma e del suo uso. Sempre con bene in mente il concetto legale di legittima difesa. Il nostro obiettivo – prosegue Corbani – è quello di rendere l’al-lievo consapevole delle sue possibilità e capacità usandole al meglio in situazioni in cui la sua vita, o quella dei suoi familiari, è messa in pericolo”. Tra i corsi che hanno riscosso maggiore interesse c’è infatti quello della “difesa in casa”. “Le intromissioni tra le pareti domestiche – precisa Mauro Corbani – sono potenzialmente tra le più violente e i primi secondi sono fondamentali per rispon-dere agli intrusi in maniera appropriata. Lo scopo del corso, che svolgiamo in una prima fase con delle simulazioni nella nuova sede di via Dalmazia 21, e poi diretta-mente nella casa degli allievi con la partecipazione anche dei loro familiari, è quello di dare istruzioni sulle tattiche di movimento all’interno delle case, su come affrontare gli angoli, le porte, i corridoi o le scale. Insegniamo come creare una zona sicura e barricata per sé o per la propria famiglia, come chiedere aiuto, e, se proprio ci fosse la necessità, come scegliere un’arma da difesa, il suo funzionamento e come usarla, sempre e comunque, nella massima sicurezza”.

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il bullismo, la violenza gratuita solo per chiudere una serata noiosa – prosegue Corbani – riempiono le pagine dei gior-nali e la cronaca è diventata un bollettino di guerra, in cui la ragione, la tolleran-za, il buon senso sembrano dimenticati. A prevalere sono purtroppo ancora le paure collettive, e le soluzioni proposte, come l’uso dei militari o il poliziotto di quartiere, non danno l’impressione di aver contribuito in modo determinante a far sentire più sicuri i cittadini”. Per Corbani, infatti, la strada da privile-giare è quella di mettere le persone nel-la condizione di sapersi comportare in modo adeguato in determinate situazio-ni, soprattutto quelle rischiose. “Defense Academy – dice Mauro Corbani – orga-nizza corsi di formazione teorica e tecni-ca per specifiche categorie professionali e per i comuni cittadini. Esigenze diverse richiedono approcci e formazione di-verse. Credo sia inutile insegnare a un normale cittadino tecniche di autodifesa utilizzate dai professionisti”. Nessuno si aspetti quindi una scuola per “Rambo” o per diventare i nuovi “Bruce Lee”, al contrario, si potranno avere strumenti appropriati per “educare la gente alla consapevolezza e alla percezione di even-tuali comportamenti o situazioni rischio-

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93RUBRICA

di eNrico MattiNzoLiPOLITICA E SOCIETà

La politica italiana e il ritorno al tempo dei notabili

L a rappresentazione dei par-titi nell’opinione pubblica è sempre più delegittimata, sempre più lontana dal co-

mune sentire e “l’apparato” politico è oramai percepito come inutile e parassi-tario per la società, ma utile a se stesso e alla sua sopravvivenza. I partiti dal canto loro non sono più in grado di rappresentare e di dare rap-presentanza alle richieste del cittadino, venendo meno la loro capacità di orga-nizzare la società, trasmettere senso di appartenenza, identità, ma soprattutto valori. Venendo meno questo legame, che per anni ha garantito un filo diretto tra dirigenti di partito, militanti e cittadi-ni, si è interrotto anche quel rapporto di comunicazione e contatto attraverso i ca-nali tradizionali fatti di riunioni, incontri, convegni, stampa di partito, sostituiti dal contatto mediatico/telematico efficiente quanto freddo e impersonale.È in questo quadro di crescente scol-legamento che la figura del “cittadino critico” prevale su comportamenti tipici del passato, in cui fiducia e consenso lo rendevano, se non partecipativo, certa-mente più attivo nei confronti dei partiti e della politica in generale. L’atteggia-mento critico, e all’apparenza disinte-ressato, non significa però disintegrato; il “cittadino critico” è un cittadino in-soddisfatto rispetto alle risposte che la politica sempre più spesso non dà o non è in grado di dare, ma al tempo stesso questo atteggiamento non pregiudica principi, valori e ideali che lo vedono sempre più protagonista nell’impegno sociale e civico.Certo, la nostra è una società sempre più

complessa e quindi più difficile da gover-nare, dove scelte o non scelte del passato pesano e quel che è peggio peseranno sulle future generazioni, ma la crescente insofferenza sociale aumenta il divario tra chi governa e chi subisce scelte improv-visate, promesse non mantenute e mira-coli annunciati. Assistiamo quindi a una politica malata in un’Italia sana, dove chi sostiene che la classe politica non è altro che la rappresentazione del Paese, non solo non lo conosce, ma non conosce la storia. Fino al 1920 circa la politica dei partiti era riservata a notabili e borghesi, che al tempo stesso detenevano il dirit-to di eleggere i rappresentanti politici; successivamente il processo inclusivo dei cittadini, allargando la possibilità di partecipazione, anche elettorale (esclu-dendo ovviamente la parentesi del ven-tennio), attraverso il suffragio, danno av-vio a un processo di istituzionalizzazione della politica di massa. I partiti connessi alla società, attraverso un rapporto di am-pio coinvolgimento collettivo e con una presenza costante sul territorio. Il resto è storia recente, dalla seconda metà degli anni ‘80, in cui un minor peso dei partiti tradizionali si traduce in volatilità eletto-rale e in una contestuale nascita di nuovi soggetti di rappresentanza come quelli ambientalisti piuttosto che locali come la Lega. È da questo momento in poi che la deriva dei partiti diviene sempre più mar-cata e in cui ad una società che cambia profondamente si contrappone una clas-se politica, che, con linguaggi e atteggia-menti del passato, non fa che accelerare il processo di auto smantellamento. Un ri-torno quindi a quegli anni ‘20 del secolo scorso, quando erano i notabili del tempo

a scegliersi e decidere chi doveva sedere in Parlamento, in un processo esclusivo simile a quello attuale, in cui l’unica dif-ferenza con il passato è un’abissale man-canza di cultura, arricchita da altrettanta arroganza e incompetenza. In questo contesto, la necessità di cam-biamento si traduce nella richiesta di soggetti politici nuovi, con “leader dal volto nuovo” che sappiano paradossal-mente trasmettere valori prima ancora che programmi. Ed è questo il punto: rinnovare, trasmettere fiducia, accende-re speranze ovvero, l’antidoto all’apatia politica che colpisce indistintamente giovani e meno giovani. Ecco quindi personaggi come Renzi, Salvini, Alfano che, senza voler entrare nel merito di ca-pacità e posizioni politiche, trasmettono (magari non sempre) un’idea di nuovo, e personaggi come il sindaco Tosi che, a prescindere dalle appartenenze poli-tiche, viene votato per ciò che ha dimo-strato di saper fare.Probabilmente il nuovo potrebbe anche non essere all’altezza delle aspettative, ma per alcuni personaggi che siedono in Parlamento da oltre trent’anni (senza volerne fare una questione anagrafica) forse è arrivato il momento di “lasciar provare” anche ad altri, dando al tempo stesso ai cittadini la parvenza di parteci-pare, scegliendo i propri rappresentanti. Intendiamoci, in quel vivere di politica di Weber si ritrovano (sia a destra che a si-nistra) tanti politici per bene e preparati e sarebbe quindi ingiusto generalizzare. Una cosa è certa, tra le tante incertezze degli italiani su chi e come votare, una certezza pare l’abbiano maturata: quella su chi non votare!

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12MESIottobre 201212MESI

ottobre 2012

Così Marco Tullio Cicerone iniziava, nell’anno 63 prima di Cristo, la sua più feroce orazione, nel Senato ro-mano, contro Catilina, presentatosi in Senato nonostante i suoi complici avessero tentato, la stessa mattina, di uccidere proprio Cicerone.Oggi, a noi tutti, al popolo italiano, manca un nuovo Cicerone, che in Se-nato o a Montecitorio, sappia e voglia pronunciare un’invettiva altrettanto fe-roce contro coloro, e non sono pochi, che tutti i giorni, compiono attentati. Non più contro Cicerone, ma contro il bene più grande della nazione, di tutti noi: la democrazia. Non passa giorno in cui il disgusto non salga alla gola, con quel sapore acido che si fatica a riman-dare giù. La legge elettorale rimane sempre quella, nonostante i rimbrotti di Napolitano, i parlamentari non di-minuiscono, gli sprechi nemmeno, e gli abusi altrettanto. Ma c’è perfino di peggio, e si chiama sfrontatezza. Qual-cuno, alla Camera dei deputati, ha cer-cato di bloccare la pur piccola riforma che impone la verifica dei bilanci dei Gruppi da parte di Organismi esterni. La devono fare i Questori (non sono funzionari di pubblica sicurezza, ma deputati eletti a quella carica dai colle-ghi) la verifica, perché un controllore esterno sarebbe anticostituzionale, ha detto. Incostituzionale? Ma è forse co-stituzionale che il controllato sia anche

controllante? È forse costituzionale che il referendum contro il finanzia-mento pubblico dei partiti sia stato ignorato, attraverso il raggiro dei rim-borsi elettorali? È forse costituzionale che i Regolamenti del Parlamento, fatti dal Parlamento, trasformino mille citta-dini in principi di un impero decaden-te? È forse costituzionale che si tagli l’assistenza ai disabili e si continuino a finanziare privilegi da pseudo sovrani? È forse costituzionale che si congeli la pensione agli anziani per darla a piene mani ai parlamentari? È forse costitu-zionale che i giovani non abbiano lavo-ro e gli ex della politica abbiano, anche dopo decenni, uffici, segreterie, incari-chi e scorte? Certo, Cicerone manca, ma manca anche il minimo senso del pudore, ormai, e la Democrazia boc-cheggia, sotto i colpi di una casta sorda e cieca, che non comprende che sta di-struggendo perfino se stessa.

QUoUsQUe taNdeM…

Pelo edi IMManUeL

[email protected]

UN caPPeLLo PieNo di ciLiegie

Ha scritto Oriana Fallaci che nel 1880 Garibaldi si dimise da Deputato e si ritirò a Caprera. Dimettendosi, in-viò ai giornali la tremenda lettera su cui gli italiani si sarebbero sempre dimenticati di piangere e di riflette-re: “Tutt’altra Italia io sognavo. Non questa, miserabile all’interno e vili-pesa all’estero”, scriveva Garibaldi.

Sono trascorsi 132 anni, sono passati eserciti di suonatori, la musica non è cambiata, anzi... Riusciranno gli ita-liani ad uscire “dagli atri muscosi, dai fori cadenti” per riscoprire il “misero orgoglio di un tempo che fu”? Si legge di milioni di giovani disoccupati, ma dove sono? Cosa fanno? Pensano? Ci sono davvero?

UNo, NessUNo, ceNtoMiLa

Ma quanti erano, insomma, i visitatori della mostra di Matisse? Sembra che fossero appena la metà dei 250.000 dichiarati dagli organizzatori ai fini della quantificazione dei loro compen-si. Compresi 11.000 “ingressi omag-gio”, poco probabilmente destinati ai ragazzi, agli handicappati, ai pensio-nati al minimo, ma interessati all’arte. Sembra che anche per la mostra degli Inca sia ipotizzabile la stessa situazio-ne, parrebbe che gli inquirenti stiano indagando. Ma come è possibile? A Brescia, poi, dove si apprende a conta-re i soldi sin da bambini, dove il busi-ness è scritto nel dna? E chi ha pagato, con i nostri soldi, quali controlli ha fatto? Se non ha controllato, come ri-sarcirà il danno? Due cose sono certe, purtroppo. Che Brescia, ormai, non può più dare lezioni a nessuno. E che anche a Brescia, oggi, le dimissioni dei responsabili non sono più considerate un mezzo doveroso per riconquistare il rispetto.

Pare che siamo diventati ultimi in produttività, secondo la più recente graduatoria. Si discute anche molto, in questi giorni, di scommettere sul “salario di produttività”. Bella idea, quella dello scambio di salario con-tro incremento di produttività, da agevolare togliendo a questa compo-nente della retribuzione, che dovreb-be essere intrinsecamente variabile, le tasse e i contributi. Certamente, anzi, forse, anzi no. Già, perché il salario di produttività, senza tasse e senza contributi, non solo non è una novità, ma è già ampiamente pratica-to in Italia da anni, anzi da decenni. Come? In maniera furba, all’italiana, se non addirittura fraudolenta. Infatti,

ProdUttiVitÀ: UNa “bUfaLa” o UN iMbrogLio?

in Italia, esiste una legge, invocata da-gli imprenditori e dai sindacati – tutti insieme, questa volta – che consente, entro certi limiti, di sottrarre qua-si completamente alla tassazione ed alla contribuzione il salario variabile collegato alla produttività. E qui c’è il trucco. Infatti, se Confindustria e Sin-dacati firmano, nelle varie province, un accordo quadro sulla produttività, il gioco è fatto, niente tasse e niente contributi, o quasi. I controlli sono inibiti, nessuno può sindacare, nes-suno può verificare, perché, in buona sostanza, la firma di Confindustria e dei Sindacati “vale titolo”, e così, per i loro rappresentati, una sorta di picco-la casta, si è inventata surrettiziamen-

te una nuova aliquota fiscale, molto più bassa (il 10%) per i lavoratori, e sgravata dai contributi per le azien-de. Ma alla fine il re, come sempre, è nudo. La produttività non cresce, anzi siamo all’ultimo posto, le aziende sof-frono, o chiudono, la disoccupazione aumenta, e il giochino si rivela quello che è: un piccolo espediente – in un paese in cui le tasse sono a un livello da strangolamento, per chi le paga – che non serve a nessuno. La produt-tività, quella vera, è un’altra cosa, ed è una cosa seria e importante, e sarebbe da perseguire con serietà, intelligenza e coerenza. Perché, alla fine, il gioco delle tre carte non serve a nessuno, nemmeno ai giocatori.

Marchionne ha detto in questi giorni quello che alcuni già sapevano, che al-tri avevano subito compreso, che mol-ti altri già intuivano due anni fa: che il progetto Fabbrica Italia, sostanzial-mente, non c’è. Tra quelli che ci han-no creduto, eccome, ci sono Bonanni e Angeletti, leader, rispettivamente di Cisl ed Uil. Bonanni si è affrettato a chiedere a Marchionne se il progetto era solo “sospeso”, e fa tenerezza, non c’è che dire, con questa sua disarman-te soavità. Angeletti ci ha pensato su bene, e poi, quando si è fatto un’idea più definita, e dopo la convocazione di Marchionne a Palazzo Chigi, ha dichiarato: “la Fiat deve assumere im-pegni vincolanti”. Adesso si può stare più tranquilli, si può guardare con maggior fiducia al futuro della nostra maggiore azienda privata: Bonanni e Angeletti sono “sul pezzo”.

fiat, MarchioNNe,boNaNNi, aNgeLetti aLer, che Pasticcio

Può succedere a tutti, non c’è dubbio, e chi è senza peccato scagli la prima pietra. Ma se si commette un errore, non si può rimediare con un errore più grande. L’Aler di Brescia, che si occupa di edilizia pubblica, volendo assumere un dirigente tecnico, ne ha affidato la ricerca alla Società di servizi della Cispel, una sorta di Confindu-stria pubblica, mutatis mutandis, ov-viamente. La Cispel, nel condurre la selezione, ha indagato ben aldilà della sfera di competenze professionali dei candidati. Nei test, infatti, erano pre-senti domande del tipo: sei soddisfatto della tua vita sessuale, hai avuto espe-rienze omosessuali, hai mai pensato al suicidio? Quantomeno singolare, non c’è che dire, e il Garante della privacy, investito della questione, ha censurato l’indagine. Inopinatamen-

te, l’Aler, che non ha la responsabilità dell’indagine, ma soltanto quella della scelta della Cispel, ha deciso di ricor-rere al tribunale contro la sentenza del Garante, avallando, in sostanza, il me-todo Cispel. Il pasticcio si complica, perché il tribunale ha dato ragione al Garante, e l’Aler è stata condannata a pagare le spese di lite. C’è chi dice che Aler voglia ricorrere in Cassa-zione. Addirittura? Suvvia, un po’ di buon senso, di quello che i bresciani possiedono in larga misura e che ha contribuito non poco a fare grande Brescia. Aler cerchi un buon tecnico, preparato e serio, e lasci stare quello che fa sotto le lenzuola. Ce lo insegna perfino una simpatica pubblicità isti-tuzionale, in questi giorni sugli sche-mi di tutti gli italiani. Ma forse all’Aler la tv non ce l’hanno.

9594 POST-IT

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97RUBRICA

di stefaNo aNzUiNeLLiBRAINSTORM

Cybereducation 2.0

I nternet e le tecnologie digitali non sostituiranno l’educazione, la renderanno migliore!Lo spunto mi viene porto da un

gesuita, don Antonio Spadaro, direttore di “La Civiltà Cattolica” che ha recen-temente pubblicato per Vita e Pensiero un libro intitolato “Cyberteologia” in cui si evidenzia come smartphone, ta-blet e computer, come scrive Luca De Biase sul Sole24Ore, “sempre connessi alla rete non annullano il corpo, ma lo estendono, abbattendo alcune barriere fisiche al contatto tra i cervelli. La di-mensione culturale che si forma in que-sto modo non è per le persone soltanto uno strumento, ma anche un ambiente culturale che a sua volta attiva fenomeni evolutivi”.

È sulla base di queste considerazioni che due insegnanti americani di chi-mica, dal 2008 hanno iniziato a con-siderare un modo nuovo di concepire l’approccio pedagogico attraverso le classi ribaltate. Ma che cosa è una clas-se ribaltata? Si tratta di utilizzare social media e tecnologie digitali per fornire a casa degli studenti indicazioni sui programmi di studio così che possano abituarsi a ricercare autonomamente le informazioni necessarie sulla rete. Le ore di lezione vengono al contrario uti-

lizzate per fare esercizio e lavoro con-giunto con il docente che ha più tempo quindi per impegnarsi a coinvolgere gli studenti con attività di mentoring e co-aching.

Recentemente, a Orlando in Florida, alcuni insegnanti sono stati intervistati per gli ottimi risultati ottenuti in clas-se applicando alcuni codici QR sulla porta della classe che, scansionati dagli studenti tramite i propri smartphone danno agli stessi l’agenda delle attività quotidiane della classe ribaltata. Da quel momento in avanti gli studenti iniziano a lavorare tramite podcast, collage di-gitali e visual social networking, sotto la supervisione dei docenti che, meno impegnati nella propria tradizionale at-tività di lezione, riescono a coinvolgerli in maniera molto più efficace.

Le critiche più ovvie a questo nuovo pa-radigma pedagogico risiedono nel fatto che coloro i quali non possono avere accesso alle tecnologie elettroniche tra-mite strumenti digitali adeguati, sono virtualmente impossibilitati a interagire. In mancanza quindi di un reddito suffi-ciente o di sussidi statali, la limitazione è quindi evidente e stridente anche a fronte di tassi di miglioramento dei voti in materie scientifiche del 75 per cento.

Sicuramente le classi ribaltate non di-verranno così popolari come i propri precursori desidererebbero. È impor-tante però riconoscere ciò che possiamo apprendere da questo processo cogni-tivo. Abbiamo sempre detto che la pre-senza della tecnologia nelle classi non può essere l’unico agente di motivazio-ne e successo per gli studenti.Gli insegnati continueranno ad avere un ruolo preponderante nell’educazione dei propri studenti e ciò è l’elemento di maggior vigore di questo nuovo approc-cio didattico.

L’obiettivo primario non è quindi quello d’introdurre la tecnologia nella vita de-gli studenti, quanto quello di rendere gli insegnanti più disponibili. La domanda che ci dobbiamo porre non è tanto se dobbiamo ribaltare o meno la classe, quanto invece se vogliamo essere più di-sponibili per i nostri studenti.

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12MESIottobre 2012

99SONDAGGIO

Il nuovo Brescia? Bocciato dai tifosi

www.bsnews.it

U na nuova stagione calci-stica è iniziata. E per le rondinelle è senza dub-bio un’annata all’inse-

gna dell’austerity. Archiviate le difficili trattative per la cessione della società, al timone è rimasto Gino Corioni, che ormai ha sulle spalle più di vent’anni di carriera da presidente. Ma le casse di via Bazoli restano vuote e i soldi arrivati grazie alle numerose cessioni non sono bastati a portare nella Leonessa qualche calciatore degno di quelli che hanno cambiato casacca (Leali, El Kaddouri, Koné e Feczesin, solo per fare qualche nome). Da qui, e probabilmente dal dif-ficile avvio di campionato, parte lo scon-tento che i lettori hanno manifestato con chiarezza rispondendo alle domande del sondaggio di Bsnews.it (l’indagine, lo ricordiamo, non ha valore scientifico). E nessuno – squadra, presidente e ti-foseria – è riuscito a salvarsi. Tranne il vecchio, caro, Rigamonti.

dove può aRRivaRe il BRescia Quest’anno?I lettori del quotidiano on line non hanno molta fiducia nell’annata delle rondinelle. Quasi uno su quattro, in-fatti, afferma che per la squadra sarà una stagione da mezza classifica. Ma molti sono più pessimisti e parlano addirittura di retrocessione diretta

(20 per cento), salvezza ai playout (9 per cento) o comunque di parte bassa della classifica (16 per cento). Gli ottimisti sono in netta minoranza: a credere alla promozione è solo il 18 per cento, mentre il 7 per cento parla di playoff senza successo.

Mezza classifica.

Retrocessione diretta.

Promozione diretta.

Parte bassa della clssifica.

Playoff senza promozione.

Playout.

Non so.

Promozione con playoff.

campaGna acQuisti, cosa ne pensi?Per la maggioranza dei tifosi (56 per cento) il calciomercato della società è stato “assolutamente deludente”. Un dato a cui si aggiunge il 32 per cento di coloro che hanno definito scarsa la campagna acquisti. Nem-

meno un lettore su dieci, invece, ha parlato di un saldo tra acquisti e ces-sioni sufficiente. Nessuno l’ha defini-ta positiva. E un misero tre per cento si è dichiarato comunque fiducioso.

Assolutamente deludente.

Scarsa. Sono fiducioso.

Sufficiente. Comunque positiva.

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12MESIottobre 2012

SONDAGGIO100

Qual È il punto di foRZa della sQuadRa?Il pessimismo dei tifosi delle rondi-nelle è confermato dai risultati di questa domanda. Per i due terzi, in-fatti, il Brescia di oggi non ha alcun punto di forza. Il 21 per cento, inve-

ce, ha indicato la difesa come repar-to migliore. Il 12 per cento ha scelto il centrocampo. E solamente l’1 per cento l’attacco.

Non esiste.

Difesa. Attacco.

Centrocampo.

ultRà del BRescia, cosa ne pensi?Sugli ultrà del Brescia i lettori del quotidiano on line sono spaccati quasi a metà: il 29 per cento li addita come troppo violenti, mentre il 25 af-ferma che si comportano in maniera

corretta. Una cosa, però, mette d’ac-cordo la gran parte (46 per cento) di coloro che hanno risposto al son-daggio: la tifoseria delle rondinelle è troppo divisa al proprio interno.

Sono troppo divisi al loro interno.

Sono troppo violenti. Si comportano in maniera corretta.

coRioni deve RimaneRe pResidente?La domanda è di quelle che si sen-tono porre di frequente tra tifosi. E la risposta non smentisce le previsio-ni. Ben il 46 per cento dei lettori di Bsnews.it, infatti, ritiene che il presi-

dente Gino Corioni debba lasciare la presidenza. Solo il 18 per cento vuo-le che continui. Ma gli indecisi sono più di un terzo di coloro che hanno risposto.

Non so. No. Sì.

stadio, cosa faRe?Alla domanda la metà dei lettori ha risposto che quello dello stadio è un problema che riguarda soltanto il Brescia calcio (ci pensi la società da sola, 39 per cento) oppure ha ma-nifestato totale disinteresse per la questione (11 per cento). Per quanto

riguarda invece le due soluzioni oggi in campo, la più gettonata è stata quella di restaurare il vecchio Riga-monti (27 per cento), mentre il 23 ha chiesto alla Loggia di continuare con il progetto del parco dello sport.

Ci pensi il Brescia Calcio da solo.

teniamo il vecchio Rigamonti. Non mi importa.

Continuiamo con il progetto del parco dello sport.

chi È il GiocatoRe più impoRtante del BRescia?Alla domanda la metà dei lettori ha risposto con il cuore: il più importan-te è il difensore e capitano Marco Zambelli. Ma anche il portiere Miche-le Arcari è molto gettonato (35 per cento). Gli altri devono accontentarsi delle briciole: l’8 per cento ha rispo-

sto l’attaccante Andrea Caracciolo, il 2 per cento il difensore Sebastien De Maio e l’1 per cento il centrocampi-sta Marco Rossi. Il 5 per cento aveva indicato koné, ma nel frattempo èstato ceduto al Bologna.

Zambelli.

Arcari. koné.

Caracciolo. De Maio.

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12MESIottobre 201212MESI

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103

QUI & là

QUI E LÀ102

paolo cRepet alla cameRa di commeRcio Oltre cinquecento persone hanno ascoltato, lo scorso 12 settembre, nella sala delle Conferenze della Camera di Commercio, l’intervento del prof. Paolo Crepet, psichiatra e psicoterapeuta. L’incontro, organizzato da Confesercenti di Brescia, era rivolto principalmente alle imprese che operano sul territorio. Il relatore ha affrontato il tema dei problemi economici che il paese sta attraversando, analizzando la società, le imprese, la famiglia, i giovani e il futuro, proponendo delle riflessioni su come intervenire per uscire dalla crisi. Sottolineata la necessità che gli operatori economici abbandonino i rispettivi individualismi per condividere esperienze e know how, sottolineando l’importanza di reti e consorzi che operino nell’ottica di valori condivisi.

tRofeo iGussaGo 2012Domenica 2 settembre sui campi del Golf Club Arzaga si è disputato il Trofeo iGussago 2012, una individuale Stableford aperta a tre categorie. Organizzato in collaborazione con la nota marca orologi Hamilton, il trofeo iGussago, competizione golfistica riservata a tutti i clienti della gioielleria di via Vittorio Emanuele II di Flero, ha visto una numerosa e sentita partecipazione di pubblico: oltre ai 52 concorrenti, infatti, tantissime erano le persone che hanno seguito il torneo da spettatori. Al termine della gara, è stata la volta della premiazione. Al primo netto e al primo lordo di categoria è stato consegnato un prestigioso orologio Hamilton; mentre ai secondi, ai terzi, alle lady e ai senior sono stati regalati gadget e premi speciali. L’euforia generale e i fantastici premi confermano questo de iGussago il trofeo più prezioso dell’anno...

GRan pRemio automoBilistico a pedali peR BamBini

Grande entusiasmo fra piccoli e grandi che hanno seguito e corso fino a tarda serata Il 1° Gran Premio di Auto a Pedali di Provaglio d’Iseo, che si è tenuto a partire dal

pomeriggio nell’ambito della Magica Notte dei Piccoli l’8 settembre scorso con il Patrocinio del Comune di Provaglio

e la collaborazione di Auto Pedal Club Italiano & Eta Beta. Dopo il successo del Primo Gran Premio automobilistico a Pedali (per adulti) tenutosi a giugno dello scorso anno in

Piazza Loggia a Brescia, c’è un interesse crescente, da parte di persone di tutte le età, per la prossima competizione

automobilistica a pedali.

a cura di roLaNdo giaMbeLLi

festival di Ghedi 2012: maRco caRta ospite d’onoRe

Il cantante sardo, vincitore del talent-show “Amici” nel 2008

e poi del Festival di Sanremo nel 2009, sarà l’ospite d’onore della finalissima della 13° edizione del concorso canoro.

Quest’anno “sono aumentati gli iscritti provenienti da tutta Italia, con dieci regioni rappresentate sul palco e oltre 150 artisti iscritti al concorso dedicato agli artisti emergenti e ai brani inediti”, ha detto Paolo Gatti, presidente di Music

Association. Il 19 ottobre a Montirone si svolgerà la “serata speciale Sanremo”, con la partecipazione di cinque “big”.

Gran finale invece, sabato 20 ottobre al Palabrescia: i dieci finalisti del Festival si esibiranno con un brano inedito e una

versione ridotta di una cover a loro scelta, accompagnati dalla band dal vivo.

caRtoni animati in... coRsia!Un laboratorio di cinema d’animazione è stato realizzato a settembre in ospedale, grazie al progetto promosso dall’associazione Avisco - Audiovisivo scolastico. I partecipanti costruiranno personaggi e sfondi con la carta ritagliata e daranno vita ad un cartone animato. Un vero e proprio set di ripresa portatile in miniatura – la Casetta dell’animazione –, dotato di luci, webcam e computer, è stato costruito per l’occasione. I brevi film realizzati dalle bambine/i e dalle ragazze/i dei reparti di Neuropsichiatria dell’Infanzia e dell’Adolescenza, Oncoematologia pediatrica e Chirurgia pediatrica dell’Ospedale dei Bambini saranno pubblicati sul web e presentati durante l’edizione 2012 del festival Schermi d’animazione Cinquenovanta previsto per l’autunno.

a montichiaRi le olimpiadi inteRnaZionali di infoRmatica

“Quella di oggi è la prima giornata di un grande evento al quale stiamo lavorando da ben due anni. In sala ci sono un migliaio di persone e in gara 320 giovani talenti pronti a sfidarsi nel calco-lo matematico e informatico”. Così il presidente della Provincia di Brescia, Daniele Molgora, e l’assessore provinciale all’Istru-zione, Aristide Peli, all’inaugurazione della 24° edizione delle International Olympiad in Informatics, che l’Italia ha ospitato per la prima volta quest’anno, fino a domenica 30 settembre, tra Montichiari e Sirmione. Hanno preso parte alle selezioni

centinaia di miglia di ragazzi provenienti da 85 Paesi. L’Italia ha schierato 4 talenti della programmazione, di cui fa parte

Gabriele Farina, del Liceo Scientifico Copernico di Brescia (in foto tra il presidente Molgora e l’assessore Peli).

veRso l’altRo 2012, pRofit non pRofitLa manifestazione Verso L’Altro, dedicata all’universo del volontariato, ha fatto il bis quest’anno, presso la Scuola Madonna della Neve, ad Adro, dal 21 al 23 settembre. Una tre giorni in cui le Onlus Punto Missione e Baule della Solidarietà hanno dato vita a una serie di appuntamenti, tra musica, incontri e momenti di riflessione. Molti i personaggi noti presenti alla manifestazione, tra i quali Omar Pedrini, Beppe Donadio e Carlo Castagna, sopravvissuto alla strage di Erba, che è stato intervistato dalla giornalista di Avvenire Lucia Bellaspiga. Tema protagonista del 2012 è “Profit VS Non-Profit”: due mondi a confronto, affrontati attraverso le testimonianze di importati personalità.

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12MESIottobre 2012

105SPORT

quarta edizione di un torneo diverso dagli altri. In campo otto compagnie di amici.

TROFEO MERCuRy L’EuROPEO A CASA NOSTRA

V arsavia, Kiev e… Buffalo-ra. Le bollicine di cuoio che hanno reso frizzante l’estate sportiva europea

hanno contagiato anche il centro spor-tivo Rigamonti, dove otto formazioni di amici si sono affrontate in un torneo di calcio a 7 dal sapore continentale. Du-rante l’anno i giocatori in questione si dilettano nelle classiche partitelle setti-manali, utili a mantenere il pelo lucido e a staccare la spina. Con l’arrivo dell’e-state la voglia di calcio si fa sempre più marcata e le soluzioni sono due: prende-re parte a uno dei tanti tornei notturni organizzati nell’hinterland cittadino o costruirselo da sé.È nato così il trofeo Mercury, giunto alla quarta edizione. Si è disputato nel mese di giugno, con le otto protagoniste sud-divise in due gironi da quattro. Ad ogni compagine corrispondeva una Naziona-le, con tanto di divise da gioco del tutto simili a quelle delle selezioni impegnate in Polonia e Ucraina. Organizzazione impeccabile: arbitro ufficiale, dettagliati resoconti dell’ufficio stampa nel post par-tita, fisioterapista a bordo campo, premi in vino e gelato alle finaliste. E gli atleti? L’età media non era certo quella di ine-

sperti esordienti e la condizione fisica, spesso, lasciava a desiderare, ma nel com-plesso possiamo dire di aver visto partite avvincenti, con sprazzi di bel gioco e una piacevole costante: la voglia di divertirsi.

c’era UNa VoLta iL PoLPo PaULQuando si indossano maglie tanto pre-stigiose tutto diventa speciale. Manca-no solo – per scelta – gli inni nazionali, perché Fratelli d’Italia lo meritano tutti o nessuno. Nella fase a gironi Italia e Francia conquistano la prima piazza, subito dietro arrivano Spagna e Inghil-terra. Abbandonano la competizione Svezia, Olanda e Germania, ma il “Cuc-chiaio di legno” va alla Croazia, al secolo Moralité, che perde tre gare su tre.

Mentre in giro per l’Europa si cerca un degno erede del polpo Paul (il polipo che azzeccava tutti i pronostici del mon-diale sudafricano) il tabellone del trofeo Mercury anticipa quello dell’Europeo, azzeccando gli incroci dei quarti: Italia e Inghilterra da una parte e Spagna e Francia dall’altra. La notizia, tuttavia, non fa in tempo a spargersi che il ver-detto del campo va immediatamente in netto contrasto con ciò che accade in Polonia e Ucraina. Gli azzurri – nono-stante una partenza lampo con le due gemme di Cazzago su punizione – per-dono 7-3, piegati da bomber Colleoni (capocannoniere del torneo). Nemmeno la presenza in campo di un Bergomi con la maglia numero 2 riesce a dare solidità alla difesa italiana, che si rassegna alla

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12MESIottobre 2012

106 SPORT

finalina contro la Spagna, battuta 7-2 da una Francia spumeggiante.

Le joUr de gLoire est arriVéSette giorni dopo l’atto conclusivo del torneo regala ai giocatori in campo la possibilità di esibirsi di fronte a un pub-blico più numeroso, e soprattutto di portare a casa una coppa che vale molto più di un trofeo. Vale una serata di glo-ria e la possibilità di sbeffeggiare amici e colleghi a piccole dosi, fino alla pros-sima edizione. La Spagna lo sa bene, e non perde l’occasione per mettersi al collo il bronzo in modo prepotente, trascinata da Pezzana per un 8-1 che non ammette repliche. Il resto avviene nel dopo gara, quando le furie rosse si presentano in tribuna sorseggiando una cerveza e deridendo i rivali. Momenti che non hanno prezzo.Intanto in campo è tutto pronto per la supersfida dal sapore medievale: Fran-cia-Inghilterra. Visto da lontano capitan Marta ricorda il celebre giocatore tran-salpino Barthez, ma non gioca in porta e nessuno – prima della sfida – osa baciar-gli la pelata sudaticcia. Questa Francia, infatti, non ha bisogno di riti scaraman-tici e costruisce il suo trionfo sulla forza del collettivo. Nessuno gioca di squadra come i bleu, che arginano la coppia d’as-si di Colleoni-Dusi e chiudono la pratica già nel primo tempo, portandosi sul 5-1. Nella ripresa i biancorossi hanno una re-azione d’orgoglio, ma è troppo tardi per rimettere in discussione l’egemonia dei galletti, che alzano cresta e coppa sotto una cascata di champagne (se era pro-secco pazienza...).

L’ORGANIZZATORE

ITALO FOLONARI

Da dove arrivano le squadre che han-no preso parte al torneo?“Nascono da gruppi di amici che du-rante l’anno si ritrovano per la classica partitella settimanale tra scapoli e am-mogliati. Nel caso della mia squadra la frequentazione risale ai tempi del liceo, ma ognuno ha la sua storia. I Ciormani, ad esempio, sono tutti avvocati”.Come è nata l’idea del Trofeo Mercury?“Tre anni fa ci siamo guardati intorno, e nonostante la ricchezza dell’offerta sportiva locale non abbiamo trovato proposte in linea con la nostra filosofia, quindi abbiamo deciso di costruirci il torneo da soli”.Ci racconti la vostra idea.“L’agonismo deve esserci, ma in modo sano. Il nostro è uno stile più vicino al rugby che al calcio. Il concetto di com-pagnia è fondamentale, e i deboli non vengono esclusi, ma coinvolti. A metà maggio facciamo una festa con aperitivo e sorteggi delle maglie e dei gironi. Le teste di serie sono le prime quattro clas-sificate dell’anno precedente”.Le maglie rappresentano un altro tratto distintivo del vostro torneo.“Ogni squadra ha un nome storico, ma ogni anno viene associato ad una squa-dra famosa con le corrispettive maglie. Nel 2011 avevamo optato per la Premier League inglese, quest’anno per l’Euro-peo”. Anche la scelta della location non è casuale.“Abbiamo optato per il Centro Sporti-vo Rigamonti perché il campo a 11 può essere frazionato in più campi a 7. C’è la possibilità di giocare in contempora-nea e quindi trovarci tutti la stessa sera. Si condividono perfino gli spogliatoi tra squadre avversarie”. Cosa le è piaciuto di più di questa quarta edizione?“Il fatto di aver dato continuità a questa esperienza. Mi è piaciuto meno il risul-tato finale della mia Moralité: dopo un

bronzo e un argento ci siamo beccati il cucchiaio di legno”.Chi è stata invece la squadra dell’anno?“Il Manchester City (Francia) ha vinto con merito, ma la mia menzione speciale va ai Cocorito, nei panni della Spagna. Non avevano il portiere e si alternavano in quel ruolo. Nonostante questo sono arrivati terzi. Nella precedente gestione Fiaccavento non avevano mai superato la prima fase. Mister Berlucchi li ha con-dotti sul podio. Che beffa!”.

FRANCIA: Pasotti, Marta, L. Bec-caria, Sebastiani, ottelli, Cuminet-ti, Gambrizio, P. Beccaria, Ragnoli, Squassina, Staffieri.INGHILtERRA: Mini, Durini, Gnecchi, Sangiacomo, Zani, Giacobi, Sugari, Fè, Duse, Annarumma, Colleoni.Reti: Staffieri (3), P. Beccaria (2), Col-leoni (3), ottelli, Duse, Squassina.

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D// Ho provato diversi prodotti per perdere peso senza però ottenere grandi risultati; è disponibile in farmacia qualcosa di innovativo? Grazie, Luisa.R// Cara Luisa, sovrappeso e obesità non sono solamente problemi estetici, ma soprattutto di salute, in grado di influenzare negativamente la qualità e l’aspettativa di vita. Oggi sono disponibili in farmacia moltissimi integratori e dispositivi medici indicati per il controllo del peso; tra questi alcuni tra i più recenti contengono una particolare miscela di polisaccaridi concepita per trattenere acqua, viscosizzare e formare un gel. Questa massa inerte, oltre ad aumentare la velocità di transito intestinale, riduce significativamente l’assorbimento di carboidrati e lipidi. Bisogna sempre ricordare che questi prodotti da soli non bastano, devono sempre essere associati a un regime ipocalorico, a una regolare attività fisica e a un corretto stile di vita.

D// Mi hanno consigliato di fare ciclicamente durante l’anno una depurazione dell’organismo; quali prodotti posso utilizzare? Grazie, Francesca.R// Cara Francesca, ti hanno dato un consiglio molto utile; infatti, per migliorare lo stato di benessere generale dell’organismo è importante assicurare la buona funzionalità dei processi fisiologici deputati alla depurazione e di conseguenza degli organi coinvolti: fegato, reni, intestino e pelle. Diverse sono le sostanze fitoterapiche che agiscono in questo senso. Un’azione depurativa epatica è svolta da carciofo, cardo mariano e tarassaco; quest’ultimo, insieme all’Orthosiphon, ha un’attività drenante andando quindi ad agire sui reni. Aloe e cicoria agiscono sull’intestino, mentre la bardana svolge un’azione depurativa soprattutto a livello cutaneo. In farmacia potrai trovare facilmente tutte queste sostanze formulate anche in prodotti che ne contengono alcune in associazione.

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IL FARMACISTARISPONDE

stiPsi croNica

La stipsi cronica colpisce tra il 15 e il

20% degli italiani, per l’80% donne con

età media di 50 anni, che da almeno

17 anni vi combatte. Chi soffre di stipsi

cronica percepisce la propria condizione

di malato cronico e avverte la medesima

limitazione di un iperteso o di un malato

di artrosi. Oltre all’impatto fisico ed

emotivo dei sintomi sulla qualità di vita

del paziente, non meno significativo

è l’impatto della malattia nel contesto

sociale.

saLe e ProbLeMi cardioVascoLariLa quota media di sale nella dieta degli italiani si aggira attorno ai 9 grammi nelle donne e oltre 11 negli uomini, con valori ancora più alti in soggetti sovrappeso e obesi. Riducendo della metà il consumo di sale, secondo i medici, si potrebbe abbassare del 21% l’incidenza di ictus. Per ottenere tale risultato, sarebbe sufficiente prestare maggiore attenzione all’alimentazione e ridurre l’uso del sale in cucina e a tavola.

109

soNNo e cUore

I ricercatori della Chicago Medical School hanno effettuato uno

studio finalizzato a trovare un’associazione tra durata del sonno

e salute del cuore. È emerso che le persone che dormono meno

di 6 ore hanno il doppio delle probabilità di avere ictus o attacco

cardiaco, mentre coloro che dormono più di 8 ore hanno il doppio

di probabilità di avere un’angina. La conclusione dei ricercatori è che

dormire dalle 6 alle 8 ore conferirebbe a lungo termine un rischio

minimo di incorrere in malattie cardiovascolari.

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IL dOttOr saverIO FerrarI ParabIta aPPLIca Una tecnIca che cOnsente aL PazIente

dI UscIre daLLO stUdIO POtendO gIà MastIcare e sOrrIdere

111

L a tecnologia è in continua evoluzio-ne non solo nel settore informatico ma anche in molti altri campi di cui però non sentiamo parlare spesso.

L’odontoiatria è uno di questi e l’implantologia, in particolare, ha introdotto numerose inno-vazioni nel giro di pochi anni. Se infatti fino a qualche tempo fa l’applicazione di protesi den-tarie era un tipo di intervento che richiedeva tempo e si prospettava piuttosto doloroso per il paziente, oggi la situazione è completamen-te cambiata. Con la tecnica di “carico imme-diato”, quella cioè che consente al paziente di uscire dallo studio potendo già masticare e sor-ridere, sono stati fatti importanti passi avanti. “Qualunque ne sia la causa, la perdita di uno o più denti – precisa il dottor Saveri Ferrari Parabita – comporta infatti conseguenze gravi sia per il corretto funzionamento della masti-cazione sia per l’estetica. I denti rimasti ten-dono, con il loro movimento, ad occupare lo spazio rimasto vuoto, i contatti fra i denti delle arcate vengono modificati e la chiusura della mandibola diventa poco corretta creando al paziente notevoli disturbi purtroppo qualche volta anche irreversibili”. Masticare il cibo di-venta difficile con problemi sia per l’apparato masticatorio sia per quello digestivo. “La salute della bocca – aggiunge il dottor Parabita – è a rischio e questa situazione favorisce l’insor-gere della carie sui denti rimasti e un’igiene corretta risulta più difficoltosa”. La soluzione più moderna ed efficace, applicata quotidia-namente negli studi di Brescia e di Bergamo del dottor Parabita, è l’implantologia. Questa tecnica consente infatti di sostituire il o i denti

mancanti “imitando” in modo efficace la forma del dente naturale ed “impiantandolo”. Come in natura, anche con questa tecnica è l’osso a sostenere la radice dell’impianto dentale che è in titanio. La forma è molto simile a una vite, che da una parte ha il filetto che entra nell’os-so e dall’altra emerge dalla gengiva a forma di dente ridotto. Sopra questa parte emergente viene in una fase successiva fissato il dente ar-tificiale che solitamente è in ceramica “anche se la nuova frontiera – aggiunge Parabita – è lo zirconio. Il più grande vantaggio degli impianti è quello di avere i denti del tutto simili, nella struttura e nella funzione, al dente naturale, ri-pristinando l’aspetto estetico e funzionale della bocca”. Si tratta di un intervento doloroso? “La mia esperienza al Civile di Brescia nel reparto di chirurgia Maxillo-facciale mi ha dimostrato l’efficacia della sedazione controllata ed è per questo che nel mio staff sono presenti due ane-stesisti rianimatori che utilizzano attrezzature e protocolli ospedalieri. Prima dell’intervento, con una soluzione endovenosa, al paziente si toglie l’ansia, la paura e il dolore lasciandolo però vigile, evitando problemi collaterali, con le proprie funzioni polmonari perfettamente attive. Non si fa ricorso a nessun farmaco e dopo pochi minuti dalla fine dell’intervento, il paziente è perfettamente cosciente”. Passato l’effetto dell’anestesia, è possibile accusare un indolenzimento della gengiva e dell’osso. “Pri-ma di assumere farmaci antidolorifici – ricorda il dottor Ferrari Parabita – è bene attendere la prescrizione del dentista e in caso di gonfiore è utile tenere la borsa del ghiaccio vicino alla zona dell’intervento”.

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12MESIottobre 2012

ÈSUCCESSO 113

//06.settembre

2012

2012 //27.agosto //04.settembre2012

//8.novembre

//05.settembre

2012

//29.agosto2012

2012

MoNDosuccesso...èLibia: ucciso l’ambasciatore americano

Chris Stevens nell’assalto contro la sede di rappresentan-za Usa a Bengasi, assieme ad un funzionario e due marines,

alla vigilia della nomina del nuovo premier libico. Motivo: un film su Maometto, ritenuto blasfemo. Il presidente

americano Obama invia in loco un reparto di marines spe-cializzato nella lotta al terrorismo. Fermento in tutte le

ambasciate occidentali, dall’Egitto all’Italia.

Nuova strage del mare nel Mediterraneo.

Un barcone fa naufragio al largo delle coste occidentali

della Turchia. Il bilancio, secondo quanto riferiscono

i media locali, è di 58 immigrati clandestini morti.

2012 //10.settembrePakistan: il maltempo

causa 69 morti. È emergenza, a causa delle piogge monsoniche

che si sono abbattute su tutto il Pakistan. Il maltempo distrugge circa 7mila case, dopo aver cau-

sato straripamenti e danneggiato vaste aree coltivate.

//11.settembre

Muore Neil Armstrong, il primo uomo a mettere piede sulla luna. L’astronauta, che Obama ha definito “un grande

eroe americano”, è morto a causa di complicazioni a seguito di un’operazione al cuore. Armstrong era atterrato sul

terreno lunare il 20 luglio 1969 insieme a Edwin Aldrin. Le sue prime parole – “È un piccolo passo per l’uomo, un grande

balzo per l’umanità” – sono entrate nella storia.

Kiev: sette anni per Iulia Timoshenko. La Corte di

Cassazione ucraina ha con-fermato la condanna a 7

anni per la leader dell’oppo-sizione, per un controverso

contratto per le forniture di gas siglato nel 2009 con

Mosca, quando era premier. Timoshenko si trova dietro le sbarre da più di un anno.

2012 //18.settembreUsa: Dichiarazioni shock di Mitt Romney,

candidato alla Casa Bianca. In un video “rubato” durante una cena di raccolta fondi a porte chiuse e postato sul sito pro-

gressista Mother Jones, il candidato repubblicano offende il 47% degli americani accusandolo di votare per Obama perché

“dipende dal governo”, “non paga le tasse e si sente vittima”, “è troppo povero”. E ammette che “il suo lavoro

non è certo preoccuparsi di questa gente”.

//13.settembre2012

New York, addio a Michael Clarke Duncan, il “gigante”

de Il Miglio Verde, film per il quale aveva ottenuto una

nomination per il premio Oscar. Duncan è morto a 54

anni in un ospedale di Los Angeles, dove era stato ri-

coverato lo scorso 13 luglio, dopo un infarto.

Elezioni in Olanda: trionfo dei partiti

filoeuropeisti, tonfo dell’ultradestra. Vincono ai seggi

i liberali del premier Mark Rutte,

seguiti dai laburisti.

Paralimpiadi: oro dell’handbike per Alex

zanardi, che ha ribadito la volontà di continuare nel

suo impegno d’atleta, ed ha risposto a tono alla provo-

cazione del comico Paolo Villaggio: “le Paralimpiadi

fanno molta tristezza”.

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12MESIottobre 201212MESI

ottobre 2012

ÈSUCCESSO114

BRESCIAsuccesso...è

2012

2012

2012 //17.settembre//09.settembre2012

20122012

//15.settembre2012

2012

//12.settembre

2012

Cologne, addio a Cenci, il “tenente nella neve”, morto a 93 anni. L’alpino Nelson Cenci, reduce della

campagna di Russia, di cui scrive Mario Rigoni Stern nel Sergente nella neve, partecipò alla guerra in Montenegro con la Julia e nel 1942 in Russia con la Tridentina, come

comandante di plotone della 55a compagnia del batta-glione Vestone.Gravemente ferito, si guadagnò sul campo

una Medaglia d’Argento al Valor Militare.

Sulzano, treno in ostaggio. Una comitiva di ciclisti in-

furiati blocca un treno della linea Iseo-Edolo. I tredici, a bordo delle loro due ruote,

volevano salire tutti insieme sul treno delle 17.30 ma è

stato loro impedito a causa della mancanza di stalli per

le biciclette. La protesta è stata sedata dall’intervento

dei carabinieri di Marone.

Niente più scuolabus per i bimbi nomadi. Il Comune di Brescia sospende il servizio

di trasporto che svolgeva da diversi anni dai campi di via

Borgosatollo 19 e via Orzinuo-vi 104. Rolfi: “Normale stop

per morosità Sinti e rom, de-bito da 75mila euro”. La Cgil: “La Loggia non valuta le diffi-

coltà socio-economiche”.

Addio ai piloti bresciani, morti nello schianto aereo del quadriposto della Rossi srl di via San Zeno, ditta

specializzata nelle fotografie aeree. Il velivolo, per cause ignote, si è avvitato in cielo, piombando in un deposito

giudiziario vicino Ciampino. Per Antonio Savoldi e Alfred Segariol, grande commozione all’aeroporto

di Montichiari, dov’è stata allestita la camera ardente.

Celeste continua le cure. La sentenza del Tribunale del lavoro di Venezia, al quale si era appellata la famiglia

Carrer contro la sospensione delle cure imposta lo scorso maggio dall’Aifa, dichiara che la bimba veneziana di

soli due anni, affetta da atrofia muscolare spinale, può continuare le cure all’ospedale Civile di Brescia con le

cellule staminali.

//01.settembre

Ritrovato trentenne in fuga, scomparso il 27 ago-

sto dopo aver tamponato un’auto della Polizia locale

a Castenedolo. Fermato dai carabinieri di Mediglia, nel milanese, sano e salvo. “La

fine di un incubo”, hanno commentato i genitori.

//30.agostoFiamme in Maddalena.

L’incendio divampa in tre punti diversi, con ipotesi do-

losa o colposa. Il rogo si è pro-pagato nella zona poco lonta-

na dal San Gottardo: distrutti due ettari e mezzo di bosco, e ritrovate alcune pistole risa-

lenti agli anni Settanta.

//03.settembre

//16.settembreOssa umane nel lago

di Salò: è subito giallo, in via Cure del Lino. I carabinieri

attendono la perizia medico legale sui resti che potrebbe-ro essere parti di uno schele-tro umano: un femore, lungo

circa mezzo metro, e dei frammenti di costole.

//10.settembreMolestie al parco.

Inquietante serie di atti osceni a danni di ragaz-ze, e molestie a sfondo

sessuale nei confronti di bambini, nelle aree verdi

cittadine: a Fiumicello, nella zona del Palafiera,

nel parco di via del Verroc-chio a San Polo. Arrestati

due tunisini.

ÈSUCCESSO 115

2012

ItALIAsuccesso...è//04.settembre

2012 //11.settembre

2012 //18.settembre

//09.settembre2012

//17.settembre2012

//17.settembre2012

2012 //31.agosto

2012 //29.agosto

2012 //10.settembre

Addio al Cardinal Martini. Nato nel 1927, era stato arcivescovo di Milano dal 1979 al 2002,

quindi si era trasferito a Gerusalemme dove aveva pro-seguito i suoi studi. Nel 2008 era rientrato in Italia per

curare il morbo di Parkinson, e da allora risiedeva all’Aloisianum di Gallarate. Bagno di folla ai funerali

nel Duomo di Milano, trasmessi in diretta tv.

Polverone a Roma. Drastica spending review presentata dalla presidente della Regione Lazio

Renata Polverini nel corso di un intervento straordinario al Consiglio

regionale. Taglio delle commissioni consiliari, degli assessori, delle auto blu e addio alle somme per i gruppi

consiliari, o dimissioni.

Sardegna, cresce la disperazione tra i minatori del polo industriale Carbosulcis, che rischia la chiusura.

Cresce l’esasperazione dei minatori, giunti al quarto giorno d’occupazione dei pozzi di Nuraxi Figus, a quasi 400 metri di profondità, dove, durante una conferenza

stampa, uno degli operai si taglia un polso.

Svolta nell’assassinio dei coniugi di Lignano Sabbiadoro, trovati il 19 agosto scorso nella loro

casa con la gola tagliata, torturati. Lisandra Aguila Rico, giovane cubana amica di famiglia, fermata dai carabi-

nieri confessa. Si cerca il fratello, suo complice.

Orgoglio gay a Palermo. L’Assemblea nazionale delle associazioni gay, lesbiche e

transessuali, accoglie la candi-datura del capoluogo palermi-

tano alla parata gay nazionale. Per la prima volta, la manife-

stazione omosessuale in Italia si spinge così a sud.

Protesta sul silos. Tre lavoratori dello stabili-mento sardo Alcoa, con un gesto disperato, salgono a 70 metri d’altezza su uno dei silos dell’impianto per

protestare contro la chiusura dell’azienda.

Miss Italia 2012. Giusy Buscemi, 19 anni di

Mazara del Vallo, un me-tro e 75 d’altezza, vince la 73a edizione. Audience da

record per la trasmissione condottada Frizzi

a Montecatini Terme.

Agguato a Scampia: nuova faida di camorra. Raffaele Abete, 42 anni,

fratello di Arcangelo (divenuto uno dei capi degli “scissionisti”

che nel 2004 lasciarono il clan Di Lauro), viene freddato da due sicari, cancellando i dubbi sull’esistenza di

una nuova faida di Scampia.

Festival del Cinema di Venezia: leone d’oro a Pietà, di Kim Ki-duk, vittoria annunciata che arriva ad un film

pieno d’archetipi ispirati tutti dal denaro. Ricco bottino per l’America di The Master: Leone d’argento, per la migliore

regia, a Paul Thomas Anderson, e Coppa Volpi (alla coppia composta da Joaquin Phoenix e Philip Seymour Hoffman).

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ottobre 2012

classe energetica elevata. Vengono richiesti soprattutto immo-bili non arredati perché anche l’arredamento fa parte di quella ricerca di “rappresentare se stessi” che sta alla base della scelta di una casa di pregio. Per quanto riguarda poi l’andamento del mercato, le prospettive sul futuro economico generale o le conseguenze della nuova tassazione crea nuove tensioni. An-che se è ancora troppo presto per capire se ci saranno conse-guenze dirette sul numero di compravendite, le prime analisi fatte dagli operatori del settore a livello nazionale evidenziano come le ricerche degli immobili di pregio nel primo semestre di quest’anno siano in leggero calo, e motivano questo dato con un aumento della diffidenza verso il futuro anche tra chi non ha problemi ad acquistare abitazioni di grande valore. Sempre positivo, invece, il mercato delle case di pregio in aree tradizionalmente votate al turismo come il lago di Garda e il suo entroterra dove soprattutto i tedeschi sono ritornati ad ac-quistare anche perché tradizionalmente hanno sempre prefe-rito zone facilmente raggiungibili dalla Germania che consen-tisse loro di godere della propria casa italiana anche nel corso dei fine settimana. E se il periodo estivo è ormai alle spalle, la stagione invernale è alle porte e anche le stazioni sciistiche della nostra provincia offrono case di pregio vicino alle piste da sci, immerse nei boschi o a due passi dal centro. Chalet o ville che in ogni caso hanno davvero poco da invidiare per comodità e confort a una casa in città.

Case di pregio: non tutto il lusso è uguale

Chi ha deciso di diventare proprietario di un immobile di pregio punta su quelli che possono garantireanche una loro rivalutazione nel tempo

O rmai lo sentiamo dire da mesi, forse da anni: il mercato immobiliare italiano è in sofferenza e fati-ca enormemente a riprendersi. Eppure c’è un set-tore che questa crisi non la percepisce o, se lo fa,

non sembra curarsene troppo: quello degli immobili di lusso. Nel nostro Paese questo genere di compravendite rappresenta, in percentuale, il 4 per cento del totale, ma a valore si tratta di un mercato, ovviamente, molto ricco. E Brescia non fa eccezio-ne. Certo, non tutto il lusso è uguale, e guardando le tipologie di immobile su cui si concentrano le ricerche degli interessati a questo settore risulta evidente. Chi vuole diventare proprie-tario di un immobile di pregio preferisce, spesso, puntare su quelli che, oltre a soddisfare esigenze funzionali (vicinanza alla città) o estetiche (verde, piscina, domotica), garantiscono nel tempo un buon rendimento e una rivalutazione sicura. Anche a Brescia continuano ad essere richieste le soluzioni classiche, quelle che uniscono il pregio dell’edificio alla fama della zona in cui si trova. Sono piuttosto i “nuovi” immobili di lusso, che non hanno ancora dimostrato di essere un buon in-vestimento, ad essere guardati con prudenza dagli acquirenti. Stesso discorso vale per gli immobili commerciali che devono essere di “rappresentanza” e inseriti in un contesto che tra-smetta sensazioni di bellezza e di esclusività. Non solo. Chi cerca unicità chiede che gli immobili corrispondano ai più moderni concetti di risparmio energetico e quindi siano di

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030 2420606Via Aldo Moro, 40 - Brescia

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Soluzioni immobiliari di prestigio Soluzioni immobiliari di prestigioVIII IX

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nelli Unica non solo a parole.

Ora puoi toccarla con mano.

iosonounicaA Villa Carcina ora puoi apprezzare da vicino e scoprire nei dettagli il prestigioso intervento di sei unità immobiliari. Classe Energetica A, linea architettonica innovativa, funzionalità degli ambienti, ampi spazi interni ed esterni, elevata efficienza termica ed acustica, finiture di alto pre-gio (tutte da toccare con mano).Il giardino privato, già piantumanto, è corredato di va-sca idromassaggio e le terrazze hanno metrature ampie e confortevoli, per vivere al meglio la casa anche all’aria aperta.

A disposizione: trilocale con giardinotrilocale con ampia terrazzaattico quadrilocale su due livelli, con ampie terrazze

Elevata efficienza termica con notevole risparmio energetico e ridu-zione dei consumi, garantite attra-verso soluzioni e materiali impiegati che determinano la certificazione in classe A dell’edificio.

La ventilazione meccanica controllata consente un ricambio costante dell’aria con una particolare salubrità degli ambienti.

Facilità d’utilizzo mediante interfaccia domotica che controlla l’impianto elettrico, l’irrigazione del giardino, la climatizzazione invernale ed estiva e l’impianto antifurto.

Esposizione solare ottimizzata secondo i principi di miglior irraggiamento degli ambienti.

tel. 030.890.80.56 w w w . m a u r o r i z z i n e l l i . i t

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Villa Carcinapag. VIII

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Tre Torripag. IV

Desenzano del Gardapag. X

Residence Style & Relaxpag. XII

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Località Figara, 40 - Bussolengo Verona - Tel. 045 7170113 - [email protected]

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MADAGASCAR

AUSTRALIAPARCO NATURA VIVAa pochi minuti dal Lago di Garda

Centro Tutela Specie Minacciate

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le farfalle del Corcovado.

Viaggio nella Biodiversità