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119 118 particolare del lotto 377 Sincretismi stilistici di Gabriella Crespi Designer e artista poco incasellabile secondo gli usuali schemi storiografici, Gabriella Crespi rappresenta un caso a sé nell’ambito del progetto italiano del XX secolo, sia per la personale cifra dei suoi lavori – costituiti da un ristretto catalogo di mobili, lampade e oggetti - sia per la sua ricollocazione recente nel giro del collezionismo e degli studi di settore. Scomparsa nel 2017 nella sua città natale, Milano, dove era nata nel 1922, Gabriella Crespi sintetizza nel suo percorso umano e professionale un’attitudine eclettica e sperimentatrice apprezzabile ora, nella sua interezza, più che nel passato. È il riuscito equilibrio, la continua tensione tra le istanze seriali del design industriale e la cura quasi maniacale per i materiali e i dettagli, omaggio alla storia secolare delle arti applicate, a rilucere oggi al cospetto dei parametri del gusto contemporaneo. La sua, in estrema sintesi, è la testimonianza di una via diversa al design, nei fatti sostanzialmente anarchica, felice del suo individualismo e poco incline a regole e costrizioni: via percorsa peraltro da alte figure del segno italiano del ‘900 – quali Mollino, Fornasetti o Munari – sulle quali agì, in modi diversi, l’influenza del Surrealismo. Nella sua intensa vita, segnata dalla stretta familiarità con il jet set internazionale e poi da un vigoroso afflato mistico che la condusse nel 1987 a un’estesa pausa meditativa alle pendici dell’Himalaya, gli aspetti strettamente creativi si dilungano per un trentennio circa a partire dagli anni ’50. Il punto centrale della sua carriera artistica si deve forse collocare nella rassegna organizzata nel settembre 1982 al museo della Scienza e della Tecnica di Milano, durante il Salone del Mobile, nella quale Gabriella Crespi presentò i “Plurimi”, serie di iconici lavori elaborati nell’arco di un decennio. Nell’occasione, il critico e letterato Vanni Scheiwiller, accostando la progettista ai nomi di Emilio Vedova, Carlo Scarpa e Bruno Munari, descrisse i pezzi esposti in questi termini: “hanno una notevole forze di seduzione anche se al primo approccio possono sconcertare il visitatore sprovveduto (o prevenuto) perché apparentemente contradditori. Sono invece, a loro modo, perfettamente post-moderni per la critica elegantissima che essi fanno, nella loro massiccia solidità, alla fragilità del moderno: alla fragilità del mobile moderno. Post-moderni perché mobili che cedono al fascino della solidità, del peso specifico, al richiamo dell’archeologia e qualche volta, dell’esotismo, frutto questo dei suoi tanti viaggi in ogni parte del mondo”. Sono tratti espressivi che a distanza di molti anni appaiono ancora condivisibili, i tratti ovvero di una personalità capace di trovare una propria misura al di là delle succedersi delle mode e delle tendenze – quando Scheiwiller scriveva, per dire, si era in piena rivoluzione Memphis – e in grado di navigare imperterrita lungo traiettorie inaspettate, perché scelte da sé, tra increspature déco, nitori funzionalisti, rintocchi etnici (l’uso del bambù), filologici rimandi al gusto per il fantastico delle antiche Wunderkammer. È ciò che rende cosi attuale e ricercato il lavoro di Gabriella Crespi oggi. Massimo Martignoni

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Page 1: 118 119 filee i dettagli, omaggio alla storia secolare delle arti applicate, a rilucere oggi al cospetto dei parametri del gusto contemporaneo. La sua, in estrema sintesi, è la testimonianza

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particolare del lotto 377

Sincretismi stilistici di Gabriella Crespi

Designer e artista poco incasellabile secondo gli usuali schemi storiografici, Gabriella Crespi rappresenta un caso a sé nell’ambito del progetto italiano del XX secolo, sia per la personale cifra dei suoi lavori – costituiti da un ristretto catalogo di mobili, lampade e oggetti - sia per la sua ricollocazione recente nel giro del collezionismo e degli studi di settore. Scomparsa nel 2017 nella sua città natale, Milano, dove era nata nel 1922, Gabriella Crespi sintetizza nel suo percorso umano e professionale un’attitudine eclettica e sperimentatrice apprezzabile ora, nella sua interezza, più che nel passato. È il riuscito equilibrio, la continua tensione tra le istanze seriali del design industriale e la cura quasi maniacale per i materiali e i dettagli, omaggio alla storia secolare delle arti applicate, a rilucere oggi al cospetto dei parametri del gusto contemporaneo. La sua, in estrema sintesi, è la testimonianza di una via diversa al design, nei fatti sostanzialmente anarchica, felice del suo individualismo e poco incline a regole e costrizioni: via percorsa peraltro da alte figure del segno italiano del ‘900 – quali Mollino, Fornasetti o Munari – sulle quali agì, in modi diversi, l’influenza del Surrealismo. Nella sua intensa vita, segnata dalla stretta familiarità con il jet set internazionale e poi da un vigoroso afflato mistico che la condusse nel 1987 a un’estesa pausa meditativa alle pendici dell’Himalaya, gli aspetti strettamente creativi si dilungano per un trentennio circa a partire dagli anni ’50. Il punto centrale della sua carriera artistica si deve forse collocare nella rassegna organizzata nel settembre 1982 al museo della Scienza e della Tecnica di Milano, durante

il Salone del Mobile, nella quale Gabriella Crespi presentò i “Plurimi”, serie di iconici lavori elaborati nell’arco di un decennio. Nell’occasione, il critico e letterato Vanni Scheiwiller, accostando la progettista ai nomi di Emilio Vedova, Carlo Scarpa e Bruno Munari, descrisse i pezzi esposti in questi termini: “hanno una notevole forze di seduzione anche se al primo approccio possono sconcertare il visitatore sprovveduto (o prevenuto) perché apparentemente contradditori. Sono invece, a loro modo, perfettamente post-moderni per la critica elegantissima che essi fanno, nella loro massiccia solidità, alla fragilità del moderno: alla fragilità del mobile moderno. Post-moderni perché mobili che cedono al fascino della solidità, del peso specifico, al richiamo dell’archeologia e qualche volta, dell’esotismo, frutto questo dei suoi tanti viaggi in ogni parte del mondo”. Sono tratti espressivi che a distanza di molti anni appaiono ancora condivisibili, i tratti ovvero di una personalità capace di trovare una propria misura al di là delle succedersi delle mode e delle tendenze – quando Scheiwiller scriveva, per dire, si era in piena rivoluzione Memphis – e in grado di navigare imperterrita lungo traiettorie inaspettate, perché scelte da sé, tra increspature déco, nitori funzionalisti, rintocchi etnici (l’uso del bambù), filologici rimandi al gusto per il fantastico delle antiche Wunderkammer. È ciò che rende cosi attuale e ricercato il lavoro di Gabriella Crespi oggi.

Massimo Martignoni