112-117 025 rivoluzione carioca stefani - aemmedi.itaemmedi.it/files/slow-food/slowfood40_03.pdf ·...

5
78 desco music 72 il racconto 82 slow food editore brillat-savarin 38 sì, viaggiare… 12 editoriali Slowfood 112 Rivoluzione carioca di Laura Stefani Foto Nils Vanderbolt

Upload: doanphuc

Post on 15-Feb-2019

213 views

Category:

Documents


0 download

TRANSCRIPT

78

desc

o m

usic

72

il ra

ccon

to

82

slow

food e

ditore

bri

llat-

sava

rin

38

sì,

viag

giar

e…

12

edito

rial

i

Slowfood112

Rivoluzione carioca

di Laura StefaniFoto Nils Vanderbolt

giugno 2009

88

perc

orsi

sto

rici

10

6rivo

luzion

e ca

rioc

a

14

0il

test

imon

e

15

6itin

erar

io/v

erm

entino

17

8fo

gli d

i un

bacc

o m

inor

e

113

106

rivolu

zione c

arioca

Cicero ha una vita di fatica scolpita sul viso. Anche oggi, come

tutti i giorni, sta stipando pezzi di legna in un grande forno:

per riempire ognuno degli igloo di fango e mattoni sparsi in

questo angolo torrido dello stato di Pará, nel nordest del Bra-

sile, servono circa 16 metri cubi. Di foresta amazzonica. È mezzogiorno e ci saranno 50 gradi, ma non è il caldo umido del mato, come chiamano qui la vegetazione, la colpa è del fumo denso e appiccicoso delle carvoarias, imprese dove si produce il carbone vegetale che va ad alimentare gli altiforni di 14 fonderie del cosiddetto progetto “Grande Carajás”, tra gli stati di Pará e Maranhão. Questa non è l’Amazzonia in-contaminata da cartolina, ma una landa desolata. Gli alberi si contano sulle dita di una mano. Una regione diboscata sopra e saccheggiata sotto: a poche centinaia di chilometri da Tu-curuí, dove Cicero si spacca la schiena, si trova la miniera di ferro a cielo aperto più grande del mondo, da 30 anni in con-cessione alla compagnia Vale do Rio Doce, leader mondiale dell’estrazione mineraria. Intorno a questo pozzo dei miracoli (nel 1980 le stime parlavano di riserve di ferro per i prossimi 500 anni) è nato, nelle città di Açailândia e Marabá, un polo siderurgico che trasforma il minerale – considerato il migliore sul mercato perché puro al 60% – in lingotti di ghisa pronti a partire per Stati Uniti ed Europa e a trasformarsi in pezzi di automobili, frigoriferi o oggetti del nostro quotidiano.

Sviluppo per tutti?Il “Grande Carajás” doveva essere un progetto di sviluppo per tutti, in realtà, ha provocato l’effetto opposto: secondo i dati diffusi a fine 2008 dal Ministero dello sviluppo sociale del Brasile, Pará e Maranhão sono rispettivamente il secondo e il terzo stato più povero del paese. Significa mancanza di infrastrutture di base, un tasso di analfabetismo che arriva al 60%, nessuna prospettiva. Significa andare a spalare carbo-ne come Cicero per poche centinaia di reais. E lui è tra i più fortunati perché almeno non è un lavoratore schiavo.«Sì, si parla proprio di schiavitù moderna nelle carvoarias ille-gali e nelle fazendas (“fattorie”). È una realtà diffusissima da queste parti» afferma Carmen Bascarán, l’energica presiden-tessa del Centro per la difesa della vita e dei diritti umani di Açailândia. Le catene sono altre rispetto a quelle abolite uffi-cialmente nel 1888: oggi i lavoratori sono reclutati da un gato, un intermediario, che promette un impiego in regola, ma una volta trasferiti nella fattoria o ai forni, sempre in zone isolate e di difficile accesso, la situazione cambia. Costretti a vivere in condizioni degradanti, non ricevono stipendi, e sono obbligati a comprare cibo e attrezzi da lavoro direttamente dal dato-re, entrando così in un circolo di debito eterno senza uscita.

Sono ostaggi a tutti gli effetti. E chi si ribella riceve minacce di morte. Come dice lo slogan della campagna contro il lavoro schiavo che campeggia sulle pareti del Centro: «Peggio che non trovare lavoro è non riuscire a uscirne».Così Paulo, 28 anni, racconta che dopo 10 mesi è scappato a piedi scalzi e ha corso non sa per quanti chilometri. Il suo capo, il giorno prima gli aveva puntato addosso la pistola e poi aveva sparato a terra: gli piaceva umiliare le persone. Pau-lo non ha un real, si è rifugiato al Centro di Açailândia per sporgere denuncia e ricevere un letto e assistenza. Perché hai resistito tanto tempo? «Perché non avevo alternative: la mia famiglia è povera e io sono analfabeta» dice. José, 35 anni, invece è uscito a causa di un incidente: «Stavo caricando un camion di carbone e sono caduto. Mi hanno trovato svenu-to, mi sento fortunato perché almeno mi hanno abbandonato davanti alla porta dell’ospedale». Ernilson, 31 anni, dormiva «per terra, sotto un tetto di foglie. Non c’erano servizi igieni-ci e per lavarci usavamo acqua stagnante, vivevamo peggio

Stato di Pará. Dentro ai forni delle carvoarias le condizioni di lavoro sono durissime, ma non ci sono molte alternative per chi vive in questo angolo desolato di Amazzonia. Nella foto grande Cicero.

78

desc

o m

usic

72

il ra

ccon

to

82

slow

food e

ditore

bri

llat-

sava

rin

38

sì,

viag

giar

e…

12

edito

rial

i

Slowfood114

Rivoluzione carioca

degli animali». Per non parlare del-l’ambiente di lavoro, che sia schiavo oppure no: ogni forno carbonizza in media a 700 gradi per tre gior-ni, sviluppando un fumo altamente tossico. Calcolando che in alcune carvoarias ci sono anche 300 for-ni, la sensazione è quella di vivere dentro a un enorme camino pieno di brace incandescente. «Lavorare in queste condizioni porta in poco tempo a problemi respiratori, er-nie, difficoltà visive», aggiunge Hilario Lopes Costa della Commis-sione pastorale della terra di Tucuruí (Cpt), un’organizzazione che da anni raccoglie denunce di lavoratori schia-vi: «Ancora più drammatico, nelle carvoarias qui intorno, che vanno a rifornire le siderurgiche di Marabá, ci sono perfino intere famiglie, quin-di bambini». Le cifre della Cpt foca-lizzano l’entità del problema in Pará: dei 32 931 schiavi liberati da fazendas e carvoarias dal 1995 a oggi, 10 951 si trovavano in questa regione.

SporcoMa cosa dice la legislazione brasiliana in tema di lavoro schia-vo? «Dopo la denuncia del lavoratore, un’équipe speciale del Ministero del lavoro si presenta in loco per liberare gli altri. C’è ancora troppa impunità, perché in genere il responsabile se la cava con una multa e le indennizzazioni ai lavoratori per danni morali. Per questo sono molti i recidivi tra gli sfruttatori e, in as-senza di politiche sociali mirate, anche tra gli sfruttati» continua Bascarán. «Però in 12 anni di battaglie abbiamo ottenuto alcuni successi: innanzitutto un cambio di mentalità nella percezione del lavoro schiavo, che prima era considerato normale, e poi la “lista sporca”, un elenco pubblico con i nomi di proprietari terrieri e imprese denunciate per avere utilizzato manodopera schiava. Inoltre, nel 2003 il governo Lula ha lanciato il Piano per sconfigge-re la schiavitù in Brasile, ma noi chiediamo una legge di confisca delle terre: è l’unica soluzione per fermare questo orrore, insieme a una reale riforma agraria». Invece, da queste parti è ancora Far West, una zona di frontiera dove i controlli dello stato sono scarsi, mentre la terra a disposi-zione è immensa ed è facile approfittare delle sue ricchezze. Ne sa qualcosa l’avvocato José Batista Gonçalves Afonso, recente vinci-tore del premio per i diritti umani João Canuto, sulle spalle più di 50 processi contro grandi fazenderos e titolari di imprese paraensi: «Negli ultimi cinque anni il valore del ferro è cresciuto molto sul

«Negli ultimi cinque anni il valoredel ferro è cresciuto moltosul mercato internazionale.C’è stato un aumento incontrollato,di conseguenza, una corsaalla produzione di carbone illegale,frutto di lavoro schiavoo diboscamento clandestino.Quindi la deforestazione defi nitiva,dopo quella messa in attodall’industria del legname pregiatoe dai latifondisti con i loro grandi campiper l’allevamento dei bovini.Giorno dopo giorno il fronte avanza,inesorabile, sempre più all’interno della foresta»

giugno 2009

88

perc

orsi

sto

rici

10

6rivo

luzion

e ca

rioc

a

14

0il

test

imon

e

15

6itin

erar

io/v

erm

entino

17

8fo

gli d

i un

bacc

o m

inor

e

115

106

rivolu

zione c

arioca

Un’altra Amazzonia è possibile

Troppi e contraddittori gli interessi

sull’Amazzonia. Se da un lato il Mi-

nistro dell’ambiente Carlos Minc ha

annunciato che la meta nel 2009

sarà ridurre l’indice di deforesta-

zione al tasso più basso degli ultimi

20 anni (9200 chilometri quadrati),

dall’altro la politica governativa non

sembra avere tra le sue priorità la

questione ambientale. «Perché lo

stato sta incentivando economica-

mente gli autori del diboscamento:

allevatori, industria del legno, mo-

nocoltura della soia e della canna

da zucchero e attività mineraria»

accusa Gonçalves Afonso. «Non

solo, sta creando anche le infra-

strutture di sostegno. Il Programma

di accelerazione e Crescita (Pac)

prevede la costruzione di strade,

porti, dighe, iniziative che non an-

dranno a benefi cio delle comunità

indigene e dei riberinhos (stabiliti

sulle sponde dei fi umi), che vivo-

no da sempre in armonia con la

natura. Loro sono i veri tutori del-

l’Amazzonia. Il governo dovrebbe

prenderli ad esempio e appoggia-

re l’agricoltura familiare insieme

allo sviluppo di risorse autoctone,

sostenibili e rinnovabili, come il

guaraná, l’açaí, il cupoaçu».

Costretti a vivere in condizionidegradanti, i lavoratori dellecarvoarias non ricevonostipendi, e sono obbligati a comprare cibo e attrezzi da lavoro direttamente dal datore,entrando così in un circolodi debito eterno senza uscita. Sono ostaggi a tutti gli effetti.E chi si ribella riceve minaccedi morte. Come dice lo slogandella campagna contro il lavoroschiavo che campeggia sulle paretidel Centro: «Peggioche non trovare lavoro è non riuscire a uscirne»

In alto a sinistra, piantagioni di eucalipto geneticamente modifi cato: è la soluzione molto controversa adottata da alcune carvoarias.In alto, l’allevamento bovino è la causa principale della deforestazione in queste regioni. In basso, nelle carvoarias ogni forno carbonizza in media a 700 gradi per tre giorni, sviluppando un fumo altamente tossico.

78

desc

o m

usic

72

il ra

ccon

to

82

slow

food e

ditore

bri

llat-

sava

rin

38

sì,

viag

giar

e…

12

edito

rial

i

Slowfood116

Rivoluzione carioca

mercato internazionale. A Marabá, da 3 fon-derie siamo passati a 11. C’è stato un aumento incontrollato, di conseguenza, una corsa alla produzione di carbone illegale, frutto di lavoro schiavo o diboscamento clandestino. Quindi la deforestazione definitiva, dopo quella messa in atto dall’industria del legname pregiato e dai latifondisti con i loro grandi campi per l’alleva-mento dei bovini. Giorno dopo giorno il fronte avanza, inesorabile, sempre più all’interno della foresta». Eppure deforestare aree amazzoniche è per legge un crimine ambientale in Brasile, con pene dai sei mesi ai sei anni, ma questo sembra un dettaglio.Leandro Aranha è ispettore capo dell’Ibama in Pará, l’organismo governativo incaricato di far rispettare la legislazione ambientale. Lau-reato in veterinaria, ora vive con una grossa pistola nel cassetto della scrivania e una fede incrollabile nella sua missione: «Il bilancio del 2008 è positivo, abbiamo intensificato i con-trolli e distrutto più di 3200 forni illegali, ma è solo la punta dell’iceberg, perché la mag-gior parte delle carvoarias in Pará sono fuori legge. Noi non ci fermiamo, anche se siamo sotto pressione. Recentemente è stato perfi-no attaccato e distrutto uno dei nostri uffici, gli interessi economici in gioco sono enormi».

Ciò che vale e ciò che non vale

«La nostra gente, affacciata alle

fi nestre delle sue baracche, vede

passare sotto il naso ricchezze

enormi a cui non avrà mai

accesso». Le parole sono di Dario

Bossi, un padre comboniano

di stanza ad Açailândia, tra

i promotori della campagna

“Giustizia sui binari” (www

justicanostrilhos.org) presentata

all’ultimo Forum Sociale Mondiale

di Belem. I binari sono quelli della

lunghissima ferrovia (893 km) che

collega il più grande giacimento

di ferro del mondo al porto di Sao

Luis, sulla costa del Maranhão. Ci

passano quotidianamente 12 treni

carichi di minerale, per una media

di circa 100 milioni di tonnellate

all’anno (il prezzo per tonnellata

a metà 2008 era di 70 dollari). La

ferrovia è di proprietà della Vale do

Rio Doce, privatizzata nel 1997,

che in un recente sondaggio si è

guadagnata il titolo di “industria

più ammirata” del paese. Non da

tutti, però. «Più che altro la Vale si

prodiga in operazioni mediatiche:

poca vera preservazione

ambientale e molto clamore sulle

sue preoccupazioni per la natura».

Riguardo alla responsabilità

sociale, se è vero che è tra i

fi rmatari del Patto nazionale per

sconfi ggere il lavoro schiavo e che

si è formalmente impegnata a non

rifornire le industrie siderurgiche

che utilizzano carbone illegale,

«ha però cancellato con la

privatizzazione il Fondo di sviluppo

che ridistribuiva una percentuale

dei guadagni a tutti i comuni sulla

ferrovia. La campagna chiede

il ripristino e le compensazioni

ambientali promesse. La nostra

gente vive qui da moltissimo tempo,

quando ancora c’era l’Amazzonia

e ne ha tutto il diritto».

Già, solo nel 2005, un’esportazione di tre mi-lioni di tonnellate di lingotti per un volume di affari di 750 milioni di dollari, secondo quan-to dichiarato dall’Associação das Siderúrgicas de Carajás (Asica). Ma quanti alberi si sacrifi-cano per produrre una tonnellata di lingotti? Si calcola 3,6 tonnellate di legna. Per ovviare al disastro nelle zone ormai com-pletamente diboscate, le industrie siderurgi-che stanno “riforestando” con grandi pian-tagioni intensive di eucalipto, geneticamente modificato in modo da crescere con rapidità. Al momento questa sembra l’unica soluzione alternativa, anche se molto controversa, per produrre carbone senza peggiorare la situa-zione. Un palliativo? Carlos Souza, ricercatore della ong brasiliana Imazon (premio Chico Mendes 2008), impegnata in importanti pro-getti di monitoraggio satellitare sulla defore-stazione, conclude: «Fino a oggi è stato di-strutto il 19% dell’area amazzonica, quando arriveremo al 30% saremo al punto di non ritorno, oltre il quale la foresta non potrà più contare sul suo naturale ciclo idrobiologico». Intanto, a spegnere momentaneamente forni e altiforni e a regalare una boccata di ossigeno alla foresta ci ha pensato la crisi internazionale. Solo qui qualcuno dice: speriamo che duri. .