11 parteb - presenza mentale e tipologie

27
Quaderni del Gruppo di Ur XI CONSIDERAZIONI SULLO SPIRITUALISMO CONTEMPORANEO B) PRESENZA MENTALE E TIPOLOGIE I Edizione, Calende di Gennaio 2006. II Edizione, Idi di Gennaio 2006. III Edizione, Luglio 2006. Quadro dell'Uomo n°4 Ogni quaderno del Gruppo di Ur raccoglie, in forma organica e sintetica, quanto emerso nell'omonimo forum, in relazione ad un determinato argomento. In esso si trovano, perciò, sia citazioni degli autori studiati, sia commenti. I quaderni si devono considerare in continuo aggiornamento, dal momento che l'emergere di nuovo materiale sull' argomento trattato può rendere opportuna una nuova edizione.

Upload: aristocratos

Post on 24-Apr-2015

73 views

Category:

Documents


1 download

TRANSCRIPT

Page 1: 11 PARTEb - Presenza Mentale e Tipologie

Quaderni del Gruppo di Ur

XI

CONSIDERAZIONI SULLO SPIRITUALISMOCONTEMPORANEO

B) PRESENZA MENTALE E TIPOLOGIE

I Edizione, Calende di Gennaio 2006. II Edizione, Idi di Gennaio 2006. III Edizione, Luglio 2006.

Quadro dell'Uomo n°4

Ogni quaderno del Gruppo di Ur raccoglie, in forma organica e sintetica, quanto emersonell'omonimo forum, in relazione ad un determinato argomento. In esso si trovano, perciò, siacitazioni degli autori studiati, sia commenti. I quaderni si devono considerare in continuoaggiornamento, dal momento che l'emergere di nuovo materiale sull' argomento trattato puòrendere opportuna una nuova edizione.

Page 2: 11 PARTEb - Presenza Mentale e Tipologie

INTRODUZIONE ALLA III EDIZIONE

Le prime due edizioni della parte B riguardavano esclusivamente le tecniche di presenzamentale che George Ivanovitch Gurdjieff indica al suo "uomo n° 4". La pubblicazione del saggiosu Gurdjieff, presente anche nell'attuale edizione, ci è stata gentilmente consentita dal suoautore, Piero Marcello Schepis. E' una sintesi piuttosto interessante dell'argomento, che haricevuto, recentemente, anche positivi apprezzamenti da parte dell'Antico Ordine Martinista(Sovrana Gran Loggia Italiana, Filiazione della Gran Loggia di Ucraina e Russia).Sono stati aggiunte altre due sezioni: una riguardante i diversificati approcci alle praticherespiratorie e alla presenza mentale e l'altra ad un confronto tra le "razze dello spirito" evolianee le "tipologie planetarie" kremmerziane.La parte B di questo Quaderno è perciò così suddivisa:B1) Note su G. I. GurdjieffB2) Corpo, Respiro e MenteB2.1) Attenzione e ConcentrazioneB2.2) Sul "Prender Nota"B2.3) Conoscenza del Respiro e PneumoritmiaB2.4) La Filatura del Cordone SacroB3) Razze dello Spirito e Tipologie PlanetarieB3.1) Le Razze dello Spirito di J.EvolaB3.2) Universalità Pure ed Universalità EmpiricheB3.3) Tipologie Planetarie secondo G.Kremmerz

La Forza

Page 3: 11 PARTEb - Presenza Mentale e Tipologie

B1) Note su G. I. Gurdjieff

di

Piero M. Schepis

Una breve biografia

G. I. Gurdjieff nacque negli anni 1860 o 1870 (i biografi, pur senza sicurezza, indicanogeneralmente la data del 1866) ad Alexandropol nell’Armenia Russa, cioè in una zona difrontiera, dove un padre prudente preferì non registrare la nascita del proprio figlio. La madreera armena; il padre Ioannas Giorgiades, discendente dai Greci Ionici di Cesarea, primaallevatore di bestiame, poi commerciante di legname e falegname, era anche un “ashok”,poeta-bardo, che amava raccontare uno straordinario repertorio di leggende e miti tramandatida generazioni. La famiglia si trasferì poi a Kars città armena , sovrastata dal monte Ararat (aquell'epoca Kars era oggetto di contesa tra Russi e Turchi, attualmente appartiene alla Turchia).Ivi,Gurdjieff venne educato da sacerdoti della chiesa armeno-ortodossa e prese inconsiderazione a sua volta il sacerdozio, che probabilmente esercitò per uno o due anni. Nonera però quella la sua via e decise di esplorare altre tradizioni spirituali. Fra il 1887 e il 1907 sisituano i cosiddetti «vent'anni mancanti» della biografia di Gurdjieff. Si sa che, con altri amici,formò un gruppo chiamato dei «Cercatori della verità» e compì numerosi viaggi che lo portarononel Medio Oriente, nell'India, nell'Asia Centrale, nel Tibet, visitando monasteri e centri religiosi,cercando una misteriosa «Confraternita di Sarmoung», della quale aveva trovato un riferimentonel 1886. Nella sua autobiografia "Incontri con uomini straordinari", Gurdjieff ci parla dellepersone che incontrò in quegli anni e che influenzarono il suo pensiero, ma occulta abilmenteluoghi e identità. All'inizio della prima guerra mondiale, Gurdjieff visse a Mosca e, attraversoconferenze e rapporti personali, raccolse intorno a sé numerosi allievi (il più famoso èprobabilmente P.D. Ouspensky) con cui formò piccoli gruppi, non solo a Mosca e in Russia, maanche a Costantinopoli, Tiflis, Londra, Fontainebleau-Avon, Parigi, New York etc. Ebbe allieviillustri fra scrittori, poeti, artisti, filosofi, ricercatori, uniti dal progetto comune di lavorare su di sé,migliorando la propria presenza mentale. Gurdjieff morì a Parigi nel 1949. Ancora oggi ha moltiseguaci e costituisce un punto di riferimento per la ricerca spirituale occidentale, comedimostrano talune canzoni di quell'altro poeta-bardo contemporaneo, che è Franco Battiato.

Gurdjieff e la Filocalia

Per comprendere come l'insegnamento di G. I. Gurdjieff, relativo alla presenza mentale, haraggiunto il suo aspetto definitivo, non vi è altro modo che seguire, per quanto è possibile, lasua evoluzione temporale. Come si è già accennato, Gurdjieff, già affascinato da miti eleggende della tradizione orale paterna, ebbe come primo maestro vero e proprio padre Borsh,allora arciprete della chiesa militare di Kars, massima autorità spirituale di quel paese, che erastato da poco conquistato dai Russi. Borsh insegnò a Gurdjieff medicina e teologia. Uno dei piùimportanti testi della chiesa ortodossa è senz'altro la Filocalia, che letteralmente significa«amore della bellezza», ma di quella bellezza che si identifica col bene. La parola era già statausata da S.Basilio e da Gregorio di Nazianzo, per la loro raccolta di passi scelti di Origene. Nel1782 vide luce a Venezia un'altra Filocalia, destinata a diventare ben più nota, i cui esemplari,appena stampati, furono rimpatriati in blocco in Oriente. Tale Filocalia è una raccolta di testitradizionali sulla preghiera ortodossa, sopratutto "solitaria", che prende le mosse dagli anacoreticristiani egiziani del IV secolo, per giungere fino ai monaci del Monte Athos del XV. La Filocalia

Page 4: 11 PARTEb - Presenza Mentale e Tipologie

doveva ottenere un successo straordinario in Russia, grazie a un grande staretz, PaissyVelitchkovski (1722-1794), animatore di una vera rinascita spirituale, sia nei paesi moldavi, sia in Russia. Egli preparò in breve tempo una traduzione slava, la Dobrotolubiye (Pietroburgo,1793), della quale si ebbero otto riedizioni. La Filocalia è vasta, ma , per nostra fortuna, uno deitesti in essa contenuti, costituisce una sintesi dell'intera opera. Si tratta del capitolo "Sui tre modidi preghiera" tratto dagli scritti di San Simeone il Nuovo Teologo (949-1022) che, per la suaimportanza, riportiamo integralmente:

"Sui tre modi di preghiera

Esistono tre modi di attenzione e di preghiera, per essi l'anima può elevarsi e progredire, oppurecadere e perdersi. Chi usa di questi metodi nel modo e nel tempo giusto progredisce, chi inveceli pratica inopportunamente e insipientemente si smarrisce.L'attenzione e la preghiera sono unite inseparabilmente come il corpo è legato all'anima.L'attenzione procede e controlla i movimenti del nemico come un'avanguardia, è la prima adingaggiare la lotta col peccato, e ad opporsi ai pensieri malvagi che vorrebbero entrarenell'anima. La preghiera ne segue le orme, sterminando e distruggendo tutti i pensieri malvagicontro i quali l'attenzione è entrata in lotta, la sola attenzione non ha la forza di distruggerli. Daquesto combattimento contro i pensieri malvagi condotto con l'attenzione e la preghiera dipendela vita dell'anima. Servendosi dell'attenzione possiamo render pura la preghiera e compiere deiprogressi; se non ci serviamo dell'attenzione per conservarla pura e la lasciamo incustodita,diventa inquinata dai pensieri malvagi e diveniamo degli inservibili falliti.

Sul primo modo dell'attenzione e della preghiera

Queste sono le caratteristiche del primo modo: uno si mette in orazione, solleva le mani, gliocchi e la mente verso il cielo, tiene fermi nella mente i pensieri di Dio, immagina i beni celesti,le schiere degli angeli e le dimore dei santi, riunisce, in una parola, nella mente quanto haappreso dalle Sante Sctitture e durante la preghiera vi si sofferma, esortando l'anima ad esseredesiderosa di Dio e del suo amore. Gli può capitare in questo stato di versare delle lacrime e dipiangere. Può succedere, se uno segue soltanto questo modo, che poco a poco il suo cuores'inorgoglisca senza che lui l'avverta, e pensi che ciò che esperimenta gli venga dalla grazia diDio come consolazione, e comincia a domandare a Dio di poter rimanere sempre in quellostato. Ma questo è segno di smarrimento, il bene quando non è compiuto come si deve non èpiù bene. Se quest'uomo s'impegna in una vita solitaria totale difficilmente potrà sfuggire allafollia. Se questo per un puro caso non avvenga, gli sarà impossibile raggiungere il possessodella virtù e il calmo pensiero. Questo modo contiene un altro rischio di deviazione: uno puòvedere con gli occhi del corpo delle luci e dei fulgori, gustare dei profumi soavi, sentire dei suonie altre simili cose. Alcuni ne sono rimasti del tutto invasati, nella loro insania hanno cominciato avagolare da un luogo all'altro; altri, scambiando il diavolo per un angelo della luce, sono rimastiingannati, fino a diventare incorreggibili rifiutando di accogliere l'ammonimento dei fratelli. Altri,istigati dal diavolo, si sono suicidati gettandosi chi da un precipizio, chi impiccandosi. Da quantoabbiamo detto non è difficile, per chi ha buon senso, comprendere quale rischio sia incluso inquesto primo modo di attenzione e di preghiera (quando venga considerato come l'unico nellavia della preghiera). Anche se qualcuno evita questi pericoli nel praticarlo perché vive in unacomunità, ai suoi rischi sono esposti particolarmente gli eremiti, sappia che non farà nessunpasso avanti nella vita spirituale.

Page 5: 11 PARTEb - Presenza Mentale e Tipologie

Sul secondo modo di attenzione e di preghiera

Questo è il secondo modo di attenzione e di preghiera: l’orante ritrae la mente dagli oggettisensibili e la raccoglie nel suo intimo; vigila sui sensi e unifica i suoi pensieri in modo cheinterrompano il vagabondaggio tra le vanità mondane. A volte esamina i suoi pensieri, a volte siferma a considerare le parole che le sue labbra pronunciano; a volte ferma il pensiero quandoaffascinato dal diavolo vola verso qualcosa di peccaminoso e di vano; a volte, vinto da qualchepassione, con grande travaglio e sforzo lotta per rientrare in sé stesso. La nota specifica diquesto modo è che si svolge nella testa, i pensieri combattono contro i pensieri.In questo combattimento contro se stesso, non si può trovare la pace, né il tempo di praticarequelle virtù che sono il coronamento della verità. Questo stato è paragonabile ad uno che lotticon i nemici, nella notte, al buio, sente le loro voci, subisce i loro colpi, ma non vedechiaramente dove siano, da dove vengano e per qual motivo stiano aggredendolo; rimanedentro la testa, mentre i pensieri malvagi escono dal cuore. La tenebra che gli avvolge la mente,la tempesta che infuria nei suoi pensieri sono la causa che impedisce di vedere la origine diquesta deviazione, non riesce a sfuggire dalla presa dei demoni, suoi nemici, e a riconoscere iloro colpi. Se poi insieme a tutto questo uno vien preso dalla vanità di ritenersi vigilante su sestesso come dovrebbe, lavora inutilmente e perderà per sempre ogni ricompensa. Orgogliosodisprezza e critica gli altri e loda se stesso, considerandosi atto ad essere un pastore di uominie di guidare gli altri diventa simile ad un cieco che vuol condurre altri ciechi. Questi sono icararteri del secondo modo di attenzione e di preghiera. Chi vuol raggiungere la salvezza sapràriconoscere il danno che sta arrecando all'anima sua e aprirà con cura gli occhi su se stesso.Questo modo, ciò nonostante, è migliore del primo come una notte di plenilunio è meglio di unanotte senza luna.

Sul terzo modo di attenzione e di preghiera

Il terzo modo è meraviglioso ma difficile a spiegare; è insieme difficile e incredibile per chi non loabbia mai praticato, fino al punto da esser respinto come possibile attuazione. Nel nostro tempoinfatti è difficile incontrare chi pratichi questo modo di attenzione e di preghiera; verrebbe dapensare che questo dono benedetto ci abbia abbandonato insieme all'obbedienza.Se uno osserva l'obbedienza perfetta al suo padre spirituale, si libera da ogni perplessità,avendole poste sulle spalle della sua guida. Libero da ogni attaccamento sensibile, puòdedicarsi con zelo e diligenza alla pratica del terzo modo di preghiera, supponendo però che sisia posto sotto la direzione di una guida non sottoposta a smarrimenti. Se vuoi raggiungere lasalvezza comincia in questo modo: stabilisci nel tuo cuore la perfetta obbedienza alla tua guidaspirituale, compi qualunque cosa con coscienza pura, alla presenza di Dio; non è possibileavere la coscienza pura senza l'obbedienza. Conserva pura la coscienza in queste tre direzioni:di fronte a Dio, di fronte alla tua guida spirituale, di fronte agli uomini e alle cose e alla realtà delmondo.Di fronte a Dio il dovere della tua coscienza consiste nel non fare azione che, secondo la tuacoscienza, non sia gradita e accetta a Dio. Di fronte al tuo padre spirituale fa soltanto quello cheti dirà, non voler fare niente di più o di meno di quanto ti suggerisce, cammina sotto la guidadella sua volontà e della sua intenzione. Di fronte agli uomini non fare alcuna cosa che nonvorresti venisse fatta a te stesso. Di fronte alle cose il tuo dovere è di mantenere pura la tuacoscienza usandola in maniera giusta, per le cose intendo il cibo, le bevande e le vesti.Procedendo in questo modo ti appronterai un sentiero solido e diretto verso il terzo modo diattenzione e di preghiera, esso consiste essenzialmente in questo: la mente scenda nel cuore.Mentre preghi ferma l'attenzione nel cuore, percorrilo in tutti i sensi, senza mai distaccartene, edalle profondità del cuore fa' salire a Dio la tua preghiera. Quando la mente, dimorando nelcuore, comincia a gustare quanto è buono il Signore e si sente colma di grande diletto non vorrà

Page 6: 11 PARTEb - Presenza Mentale e Tipologie

più abbandonare quel luogo. Contemplerà le profondità del cuore e vi rimarrà cercando eallontanando quei pensieri che il demonio vi avrà disseminato. Chi non conosce e non haprovato questo modo, lo considererà difficile e opprimente. Chi invece avrà gustato la suadolcezza e avrà goduto nelle profondità del cuore, grida con San Paolo: "Chi potrà distaccarsidall'amore di Cristo'..".Osserva prima di ogni altra cosa queste tre direttive: sii libero da ognipreoccupazione, non solo riguardo a ciò che è malefico e vano ma anche a ciò che è buono, inuna parola sii morto a tutto; conserva la tua coscienza in modo che nulla possa rimproverarsi;abbi il perfetto distacco da ogni attaccamento passionale, in modo da non avere alcunainclinazione verso ciò che appartiene al mondo. Mantieni la tua attenzione in te stesso, tieniferma la mente nel cuore, con tutti i mezzi possibili cerca di scoprire il luogo dove è il cuore; seavrai il dono di trovarlo il tuo pensiero vi dimorerà per sempre. Impegnandoti in tal modo lamente scoprirà il luogo del cuore, quando l'avrà trovato la grazia renderà la preghiera soave eardente. La mente acquisterà la capacità di allontanare i pensieri malvagi da qualunque parte simanifestino prima che abbiano preso consistenza, facendoli dissipare con l'invocazione:"Signore Gesù abbi pietà di me! ". Il primo e il secondo modo di attenzione e di preghiera nonconducono l'uomo alla perfezione. Volendo costruire una cosa non cominciamo dal tetto madalle fondamenta; prima gettiamo le fondamenta poi innalziamo i muri infine edifichiamo il tetto.Altrettanto ci è richiesto per l'edificio spirituale, innanzi tutto gettiamo il fondamento: vigilando sulcuore e purificandolo dalle passioni; quindi innalziamo le mura respingendo l'assalto dei nemiciche si scagliano contro servendosi dei sensi, e addestrandoci a controbattere i loro assalti il piùpresto possibile; dopo aver fatto questo possiamo porre mano al tetto, alla totale rinuncia a tuttoper offrirci completamente a Dio. In questo modo potremo ultimare la nostra casa in GesùCristo, a Lui sia lode per sempre. Amen." (Filocalia , vol. V pp. 73-89. edizione italiana dellaFilocalia, ed. Gribaudi)

Non poteva sfuggire a Gurdjieff che l'aspetto "preghiera" è massimo nel terzo modo, mentrel'aspetto "attenzione" è massimo nel secondo. Forse gli venne il sospetto che il secondo modo,già all'epoca di San Simeone, non fosse più noto nella sua completezza, in ambiente cristiano eche, proprio per la sua incompletezza, gli venisse preferito il terzo. Tutti i suoi anni successivi lidedicò infatti ad un approfondimento esoterico del secondo modo, entrando così in contatto consvariati ambienti, soprattutto sufi e buddhisti. Gurdjieff e il SufismoIl contatto di Gurdjieff con il Sufismo islamico è praticamente certo, se si tiene presente chenell'estate del 1885 il suo viaggio di ricerca inizia a Costantinopoli, per studiare i dervisciMevlevi e Bektaschi e che nel 1920-1922 Gurdjieff torna a Costantinopoli e si trasferisce nellavicina Péra, al Black Rose. In quell'occasione, P.D. Ouspensky ritorna da lui e gli chiede dioccuparsi dei gruppi che nel frattempo aveva fondato. I due partecipano assiduamente allecerimonie dei Mevlevi (dervisci roteanti) di Yuksek Kalderym. Nelle vicinanze, Gurdjiefforganizza delle conferenze e intensifica il lavoro per il balletto "The Struggle of the Magicians".Sempre in quel periodo, tramite il principe Mehmet Sabaheddin, conosce J.G. Bennett,capitano dei servizi segreti britannici, che doveva diventare un altro suo famoso discepolo.L'influsso del Sufismo, tuttavia, non deve essere neppure esagerato, fino a farne l'unica fontedell'insegnamento di Gurdjieff. Nel libro "I Maestri di Gurdjieff" (ediz. italiana: 1991, Roma, E.Mediterranee) , Rafael Lefort, studioso di esoterismo, narra che, dopo essere entrato a far partedi una delle scuole ispirate alla dottrina di Gurdjieff, avendo trovato un metodo di insegnamentonon conforme alla sue aspettative, decise di mettersi in viaggio verso l’Oriente, alla ricerca dellefonti originali dell'insegnamento. I capitoli di questo libro sono dedicati alle figure degli uomini,quasi tutti mercanti o artigiani, con i quali Lefort era riuscito ad avere un incontro: si tratta dipersone che avevano insegnato a Gurdjieff, o che avevano imparato assieme a lui la loro arte,oppure che erano stati suoi maestri o condiscepoli nello studio di una particolare disciplina. Permezzo di suggerimenti e indicazioni, Lefort venne guidato da essi nel suo viaggio di città in città,di maestro in maestro, fino a trovarsi nuovamente in Europa, in seno ad una scuola esoterica,situata (ironia della sorte!) a soli quindici chilometri dalla sua abitazione. Nel corso del suo lungoperegrinare, l’autore prende coscienza della sterilità delle motivazioni, quasi esclusivamenteintellettuali, che lo avevano portato ad intraprenderlo, e si pone in una nuova prospettiva

Page 7: 11 PARTEb - Presenza Mentale e Tipologie

riguardo a Gurdjieff ed al suo pensiero. Mentre rinuncia ad una sicurezza che ora gli apparefalsa ed acquisisce umiltà e disponibilità, viene altresì messo in guardia nei confronti dellescuole in grado di tramandare l’aspetto esclusivamente esteriore dell’insegnamento di Gurdjieff.Il messaggio di Gurdjieff viene dichiarato morto con la scomparsa del maestro, ma si affermache l’insegnamento autentico è sempre accessibile. Alla fine del suo viaggio, Lefort è posto difronte ad una scelta: continuare le sue ricerche o rinunciare ad esse per intraprendereeffettivamente il cammino evolutivo. Il libro pretende di essere una ricerca dei Maestri diGurdjieff, fisicamente intesi, svolta negli anni sessanta. A meno di non ammettere, nei lororiguardi, una longevità ben superiore a quella di Gurdjieff, una interpretazione letterale del testoha poche possibilità di corrispondere al vero. Si dice che Rafael Lefort sia lo pseudonimo delfamoso scrittore Idries Shah (1924 Simla/India-1996 Londra). Quest'ultimo, scheikNaqshabandy d'origine afgana (partecipò coi mujaiddin alla guerra di resistenza control'invasione sovietica dell'Afghanistan), è stato uno dei maggiori divulgatori moderni del sufismo,soprattutto di quell'ala che lo svincola dall'aderenza all'Islam. All'opposto vi è l'ala tradizionalista,che vanta rappresentanti altrettanto famosi come Syed Hossein Nasr, la quale ritieneindispensabile la pratica della forma religiosa islamica.Gli scheik tradizionalisti sostengono chel'altra ala estremizzi il cosmopolitismo ed universalismo sufi, disancorandolo dalla sua baseterrena e storica che è appunto l'Islam. E' abbastanza noto che la "Fondazione Gurdjieff",avente le sue sedi principali a Parigi, Londra e New York, guidata prima da Madame JeanneMatignon de Salzmann (1889-1990) e poi dal figlio Dr. Michel de Salzmann , cercò di integrarsinella tradizione orientale, al fine di completare l'insegnamento lasciato in eredità da Gurdjieff.Poichè tale insegnamento era esteriormente svincolato tanto dall'Islam, quanto dal Buddhismo,sembrò naturale rivolgersi all'ala cosmopolita di Idries Shah. Egli accettò di accogliere i membridella fondazione, ma a patto che rinunciassero alla gerarchia che si era formata all'interno delloro gruppo, cioè a condizione che ricominciassero tutti dallo stesso grado di neofiti. Essirifiutarono e Shah rispose con il libro firmato Lefort. L'interpretazione delle originidell'insegnamento di Gurdjieff , presente in questo libro, è senz'altro di parte, sia perchètrascura l'influsso buddhista ed altri minori, sia perchè dimentica che Gurdjieff non uscì maidalla tradizione cristiano-ortodossa, considerando, con ogni probabilità, i suoi contatti orientalinient'altro che un approfondimento di quello che S. Simeone definisce "il secondo modo diattenzione e di preghiera". Prova ne è che, alla sua morte, dopo quattro giorni e quattro notti diveglia, venne cantata una messa solenne nella cattedrale della Chiesa Ortodossa "AlexandreNevsky", in Rue Daru a Parigi.

L'enigma del lama Dordjieff

Il periodo della vita di Gurdjieff, che ha suscitato maggiormente la curiosità dei ricercatori, ènaturalmente quello dei «vent'anni mancanti». Stando a quanto egli stesso ha scritto, assiemeai suoi compagni di viaggio, scavando 'casualmente' tra le rovine dell'antica città di Ani, trovò letracce della scuola esoterica di saggezza, chiamata 'La Confraternita di Sarmoung',ipoteticamente sviluppatasi, attorno al 2500 a.C., a Babilonia. Nel Kurdistan, scoprì una mappadell' Egitto pre-sabbia, poi proseguì per Alessandria e Il Cairo. Visitò Tebe, l'Abissinia e le rovinedi Babilonia in Iraq. Studiò nel finalmente ritrovato monastero di Sarmoung (trovandoispirazione per le famose Danze Sacre), esplorò il deserto del Gobi, studiò la magia persiana ele tecniche ipnotiche. Non si fece certamente scrupolo, nel 1901, di diventare un agente delloZar ed entrare in Tibet, allora zona di attrito tra due potenze imperialiste, quella russa e quellainglese, probabilmente per trovare nuove discipline di consapevolezza. Egli era probabilmentepresente, quando, il 5 luglio del 1903, il colonnello Francis Younghusband invase il Tibet,penetrando dall'India. Assistette al massacro dei Tibetani da parte degli Inglesi a Guru e allasuccessiva conquista di Lhasa. Ferito più volte e ammalatosi di idropisia, dovette andarsene dalTibet. Una testimonianza interessante, relativa a questo periodo, riferita da Louis Pauwels nellibro "Monsieur Gurdjieff" (Roma 1972), è quella di Achmed Abdullah, scrittore e ufficialedell'Intelligence Service. Questi incontrò Gurdjieff a New York , durante un pranzo in casa di uncomune amico, e riconobbe in lui il Lama Dorzhieff (o Dordjieff secondo un'altra grafia)

Page 8: 11 PARTEb - Presenza Mentale e Tipologie

conosciuto circa trenta anni prima in Tibet. Glielo disse e lui gli strizzò l'occhio. Si parlarono inlingua tagik. Dorzhieff era stato precettore del giovane tredicesimo Dalai Lama ed era ilprincipale agente segreto della Russia nel Tibet. Quando le truppe Inglesi invasero il Tibet, fuggìinsieme al Dalai Lama in direzione della Mongolia. Tutto ciò, se fosse vero, spiegherebbe ledifficoltà che più tardi Gurdjieff incontrò a Londra, nonostante gli interventi dei suoi amici pressoLloyd George. La testimonianza di A. Abdullah è stata, in genere, scartata dai seguaci diGurdjieff, forse perchè Alexandra David Neel, che ha scritto molti libri di viaggio sul Tibet, in unarticolo apparso su Nouvelles Litteraires di Parigi il 22 Aprile 1954, dichiarò che era statoconfuso Gurdjieff con un lama buriato di nome Dordjieff. A favore della tesi di Abdullah è invecel’ambasciatore indiano in Cina K.M. Panikkar, in "Storia della dominazione europea in Asia dalCinquecento ai nostri giorni" (Einaudi, Torino 1977) che si appoggia anche sulla testimonianzadi Sir Charles Bell, diplomatico inglese in Tibet e amico personale del tredicesimo Dalai Lama, riportata nella biografia autorizzata " Portrait of a Dalai Lama: The Life and Times of the GreatThirteenth" (pubblicata per la prima volta nel 1946 da W.M. Collins e successivamenteristampata nel 1987, a Londra, da Wisdom Publications). E' poi da notare che il libro di RomLandau "God is My Adventure" (ultima ristampa : Unwin, 1964) che per primo riportò latestimonianza di Abdullah, uscì quando era ancora vivo Gurdjieff ed egli non fece la minimaobiezione. Forse allo scopo di indicare il Tibet come luogo per approfondire l'insegnamento,Gurdjieff, come narra J.C. Bennett (Gurdjieff: Un nuovo Mondo, Ubaldini-Roma-1981), nell'annodella sua morte, raccontò ai suoi discepoli come giunse alla frontiera tibetana, dando il suonome e i documenti redatti in russo. Disse che nella lingua di quel luogo non c'era la lettera "g",sicchè pronunciavano il suo cognome "Dordjieff" e gli diedero un salvacondotto in tibetano, sucui era scritto il nome in base alla loro pronuncia. Il racconto era probabilmente una bugia, vistoche i tibetani non hanno normalmente difficoltà a pronunciare parole con la g. Bennett ritiene,perciò, che esistesse un altro lama di nome Dordjieff e che Gurdjieff abbia approfittatodell'omonimia, per accedere a lamaserie che altrimenti gli sarebbero state precluse. Per fugareogni dubbio sull'argomento, si può anche leggere l'ottimo "Buddhism in Russia: The Story ofAgvan Dorzhiev, Lhasa's Emissary to the Tsar" (London, Element Books) di John Snelling. Iltesto, molto ben documentato, ricostruisce la vicenda, a suo modo straordinaria, di AgvanDorzhiev, il monaco buriato che fu uno dei tutori - e più tardi uno dei consiglieri - del tredicesimoDalai Lama. Dorzhiev si adoperò anche per diffondere il buddhismo in Russia e fu uno deipromotori della costruzione del monastero buddhista di San Pietroburgo, tuttora esistente eattivo. Travolto dagli eventi seguiti alla presa del potere da parte di Stalin, Dorzhiev morì inqualche gulag intorno al 1937. Riguardo all'etimologia del nome di questo monaco è forseinteressante quanto dice Paul Demieville nell'opera "Le Concile de Lhasa" (Imprimerie Nationalede France- Paris 1952, pag. 12): "...nel 1935, alcuni mesi prima della sua morte, Obermiller hasegnalato un nuovo documento sulla polemica sino-tibetana: lo aveva trovato nella bibliotecadel Museo Asiatico dell'Accademia delle Scienze, a Leningrado, un manoscritto sanscrito sucarta tibetana, portato in quel periodo in Russia, a nome del Dalai Lama, dal celebre lamasiberiano Dorjeev (Rdo-rje, 'la folgore'), capo dei buddhisti russi, Buriati e Calmucchi." Cosapensare dunque della testimonianza di Achmed Abdullah? Mi sembra piuttosto strano cheavesse potuto confondere Dorzhiev (che era un buriato, quindi con tratti somatici decisamentemongolici) con un armeno come Gurdjieff. A meno che non fosse...d'accordo con Gurdjieff !

L'insegnamento di Gurdjieff è incompleto?

La classificazione degli esseri umani, proposta da Gurdjieff, si basa sulla prevalenza dell'una odell'altra tra le principali funzioni psicofisiche (chiamate anche "centri"): la funzione motoria,quella emotiva e quella intellettuale. Ciascuno dei tre tipi umani, secondo Gurdjieff, quandodecide di evolversi spiritualmente, tende a seguire una via basata sulla funzione in luiprevalente: avremo così, rispettivamente, la via del fachiro, quella del monaco e quella delloyoghi. Egli propone invece una quarta via, nella quale la presenza mentale viene applicata atutte e tre le funzioni, così da garantirne una evoluzione equilibrata. Questa classificazione

Page 9: 11 PARTEb - Presenza Mentale e Tipologie

proviene dalla tradizione Indù, ma Gurdjieff, che probabilmente aveva avuto contatti limitati oindiretti con essa, la riporta con alcune distorsioni. Innanzitutto egli usa il termine yoghi in unaaccezione più ristretta di quella usata in India, dove tutte le vie ascetiche sono considerateforme di yoga e perciò tutti gli asceti sono yoghi. Le vie tradizionalmente consigliate ai tre tipiumani sono rispettivamente: lo yoga dell'azione o karma yoga (e non il fachirismo), lo yoga delladevozione o bhakti yoga e lo yoga della conoscenza o jnana yoga. Viene poi considerata unaquarta via, che sintetizza le altre tre ed è detta raja yoga, cioè yoga del re; quest'ultimo,secondo la tradizione, dovrebbe possedere in forma essenziale ed equilibrata le qualità di tuttele caste (artigiani, guerrieri, sacerdoti) da lui governate. Infatti, il termine casta significavasemplicemente, in origine, "natura interiore". Qualsiasi via basata sulla presenza mentale ha,quotidianamente, due fasi temporali di applicazione: il giorno e la notte. Sia le pratiche diurne,sia le notturne possono ulteriormente suddividersi in pratiche "artificiali" (basate su posizioni omovimenti o processi prestabiliti) e pratiche di ogni istante. Gurdjieff fornì insegnamentii sullepratiche diurne, soprattutto del tipo "artificiale". Per quanto riguarda quelle notturne, egliinsegnava che il passaggio dalla veglia al sonno era dovuto al progressivo interrompersi deicollegamenti tra i vari "centri" o funzioni; proponeva ai suoi discepoli, come obiettivo evolutivo,l'apprendimento del passaggio volontario e rapido dalla veglia al sonno completo, minimizzandoi periodi intermedi di dormiveglia, al fine di guadagnare tempo ed energia. Il fatto che avesseuna certa conoscenza delle fasi intermedie tra veglia e sonno profondo testimonia che Gurdjieff,probabilmente durante la permanenza in Tibet, aveva praticato lo yoga del sogno. Egli peròriteneva che l'attenzione non sia altro che l'osservazione di un "centro" per mezzo di un altro"centro" e che perciò sia impossibile esercitarla durante il sonno completo, quando tutti icollegamenti tra i "centri" sono interrotti. Ciò dimostra che non conosceva la pratica tibetana, piùavanzata, detta yoga della luce chiara, che si effettua proprio durante il sonno profondo.

Gurdjieff e il Subud

Stando a quel che dice quel matematico, ingegnere industriale e instancabile viaggiatore, che fuJ.G. Bennett, Gurdjieff aveva invitato i suoi discepoli ad integrare, in futuro, il suo insegnamentocon quello di un maestro, che sarebbe apparso nelle Indie Orientali Olandesi. Fu così che,quando Bennett si imbattè nel Subud, l'insegnamento dell'indonesiano Muhammad SubuhSumohadividjoio (Semarang 1901 - Giacarta 1987), lo provò e, per i lusinghieri risultati, lopropose ai membri dei gruppi da lui guidati. Il termine Subud non è in relazione con il nome diSubuh, bensí è una contrazione dei tre termini sanscriti Susila, Budhi e Dharma. In Subud, latraduzione di tali termini vale approssimativamente: Susila, il corretto vivere secondo la VolontàDivina; Budhi, la forza interiore insita nella natura dell'essere umano; Dharma la sottomissioneal Potere Divino. Il Subud non è una teoria filosofica, nè una fede religiosa, ma si identifica conla sua pratica: il latihan kejiwaan (esercizio spirituale) detto ,in genere, semplicemente latihan. Illatihan inizia stando in piedi, rilassati con le mani lungo i fianchi. È una buona cosa chiudere gliocchi. Non si deve cercare di pensare, e nemmeno di non pensare; in effetti, non occorre farenulla tranne rilassarsi e abbandonarsi volontariamente agli impulsi spontanei che verranno.Durante il latihan, alcuni muovono spontaneamente la testa o il corpo, le gambe o le braccia.Altri camminano o danzano o corrono o si sdraiano. Alcuni fanno rumore o parlano o gridano,altri cantano o ridono o piangono. C’è anche gente che rimane semplicemente in piedi e nonavverte nulla. Anche questo evento deve essere accettato serenamente, poichè si ritiene checiascuno riceverà, a tempo debito, ciò che è meglio per lui. La volontà del praticante è liberad'intervenire in qualsiasi momento per fermare l'azione del latihan, che continua soltanto fino aquando volontariamente ci si sottomette a esso. Il latihan, se eseguito con la necessariapresenza mentale, va oltre gli esercizi di Gurdjieff, basati sul movimento e le musiche. Mentrequesti ultimi sono totalmente artificiali, il latihan si basa su una spontaneità persino maggiore diquella che si vive, esercitando la presenza mentale durante gli eventi della vita quotidiana. Sonoinfatti momentaneamente assenti quelle consuetudini sociali, che limitano i nostri movimenticorporei. Il fondatore del Subud scoprì da solo la pratica del latihan, nell'estate del 1925, all'etàdi ventiquattro anni. Oggi il latihan viene normalmente trasmesso da un "aiutante" (helper), cioè

Page 10: 11 PARTEb - Presenza Mentale e Tipologie

da persona già esperta, che si limita ad eseguirlo assieme ai neofiti. Gli aiutanti erano sceltidirettamente da Pak Subuh (Pak o Bapak è la forma indonesiana con cui ci si rivolge ad unapersona di rispetto) finchè egli era in vita. Attualmente, sono nominati da un gruppo di aiutantiche agiscono, per un determinato periodo, nella funzione di "aiutanti internazionali". Vieneconsigliato, soprattutto in fase di apprendistato, di far prevalere la pratica di gruppo (a cuipartecipano gli aiutanti) su quella individuale.

Concludendo

Sembra probabile che le origini dell'insegnamento di Gurdjieff siano da ricercarsiprincipalmente nel Cristianesimo Ortodosso, nel Sufismo Islamico, nel Buddhismo Tibetano e,sia pur indirettamente, nell'Induismo. Egli impiegò molti anni per giungere alla sua personalesintesi e probabilmente altrettanti ne occorrono per capire come vi giunse, essendo quelletradizioni molto vaste e ricche di insegnamenti. Per orientarsi in tale labirinto,"il filo di Arianna"da seguire è naturalmente quello consistente nell'osservare come il problema della presenzamentale, che è il cuore dell'insegnamento di Gurdjieff, è stato affrontato da ciascuna tradizione.

B2) Corpo, Respiro e Mente

B2.1) Attenzione e Concentrazione

di Sipex

Pratiche che rinforzano la capacità di concentrazione o di attenzione sono presenti praticamentein tutte le tradizioni iniziatiche e religiose. Il termine "attenzione" si usa anche al di fuori deisuddetti ambiti. Fa parte del vocabolario di tutti i giorni; viene però impiegato in modo pocopreciso, per indicare più stati mentali affini, ma non identici. Anche in psicologia e in filosofia ilproblema è aperto: ad es. che relazione vi è tra l'attenzione e l' "intentio intellecta" di cui si èparlato, discutendo della fenomenologia? (1) Essendo la presenza mentale una delle probabilichiavi, sia della vita comune, sia dell'iniziazione, può risultare utile approfondirne il relativoconcetto.

(1) Vedi nella parte B3 di questo stesso quaderno.

Prescindendo il più possibile dalle vedute particolari delle singole scuole psicologiche ofilosofiche, l'attenzione può essere descritta, in prima battuta, come quella funzione che regolal'attività cognitiva, selezionando e organizzando i contenuti di coscienza.Quando ero ragazzo, facevo con i miei amici un gioco che consisteva nell’eseguirecontemporaneamente tre azioni : battere ritmicamente con la mano destra sulla sommità delcranio, strofinare circolarmente la mano sinistra sull’addome e profferire con la bocca letabelline della tavola pitagorica. Per effettuare tale gioco dovevamo adoperare quella capacitàche gli psicologi chiamano “dividere l’attenzione”.

Page 11: 11 PARTEb - Presenza Mentale e Tipologie

In realtà l’attenzione è sempre divisa, anche se può esserlo in modi differenti. Se una persona mi grida “Attento!”, allora l’attenzione, per un momento, lascia ciò di cui si stavaoccupando e si distribuisce con uguale intensità su tutto lo spazio attenzionale, al fine discoprire donde giunga il pericolo. Lo spazio attenzionale, in tal caso, può dirsi perciò isotropo. Se invece riconosco ad es. un amico in mezzo alla folla, allora l’attenzione si dirige conmaggiore intensità sull'amico, che funge, come dicono gli psicologi, da “figura", mentre si dirigesu tutto il resto, che funge da “sfondo”, con minore intensità. Lo spazio attenzionale, in questo secondo caso, può dirsi perciò anisotropo. Naturalmente le“figure” possono essere contemporaneamente più di una, come nel caso del gioco che honarrato. Penso che lo "spazio attenzionale" possa definirsi, in termini operativi, come “il dividersidell’attenzione su una molteplicità di oggetti, sia percepiti dai sensi (lo spazio cosiddettofisico), sia non (lo spazio interiore)”. Propongo di indicare sia l'impulso attenzionale, sia lo spazio attenzionale al quale tale impulsoè rivolto, con il simbolo "A". Più precisamente, se indichiamo con A un singolo impulsoattenzionale isotropo, un impulso anisotropo potrà indicarsi come Af|As (leggi : “Afsimultaneo e distinto da As”) dove Af è la parte dell’attenzione rivolta verso la “figura” o le“figure”(se sono più di una), As la parte dell’attenzione rivolta verso lo sfondo e | il simbolo disimultaneità distintiva. L'operazione attenzionale, che abbiamo indicato simbolicamente con Af|As, può essere ancheindicata con il termine abituale "notare", nel senso di percepire con maggiore intensità unacerta "figura" rispetto allo "sfondo". Si potrà anche dire che lo sfondo viene "semplicementepercepito", mentre la figura viene "appercepita".Svariate pratiche esoteriche si fondano su questa operazione del notare. Molte di esse vengonoindicate con il nome generico di concentrazione. Una prima forma di concentrazione consiste nel cercare di reiterare nel tempo sempre lamedesima figura. Se ad es. ripeto verbalmente o mentalmente una giaculatoria, l'esercizioconsiste nel prendere quest'ultima reiteratamente come figura. Indicando con g la giaculatoria,il primo impulso attenzionale rivolto a g sarà indicabile con 1Ag (leggi: "prima attenzione a g"), ilsecondo con 2Ag etc. Se indico con s, come al solito, lo sfondo e assumo il trattino medio - quale simbolo disequenza temporale, due ripetizioni successive della giaculatoria potranno essere scritte come1Ag|As - 2Ag|As (leggi: "1Ag|As seguito da 2Ag|As"). L'esercizio ipoteticamente "perfetto",ripetuto n volte, sarà allora indicabile con 1Ag|As - 2Ag|As - 3Ag|As - ... - nAg|As. Questo tipo di concentrazione è soggetto a svariati "disturbi". Il primo disturbo è il "cambio difigura", cioè l'insinuarsi di una diversa figura (o di più diverse figure) durante la reiterazionedella giaculatoria. In altre parole può capitare, per periodi più o meno lunghi e più o menofrequenti, di pensare ad altro. Se indico con d un generico disturbo di questo tipo, unagiaculatoria disturbata potrà essere ad es. 1Ag|As - 2Ag|As - 3Ad|As - 4Ag|As - 5Ad|As - ... -nAg|As.Un secondo tipo di disturbo che si verifica è il "raddoppio della figura". Può ad es.accadere che la ripetizione della giaculatoria divenga col tempo del tutto automatica, così danon richiedere più la medesima attenzione iniziale e da indurmi o permettermi di pensarecontemporaneamente a qualcos'altro. Se indico con & l'operazione dell'attenzione di distribuirsicontemporaneamente su più figure e con p un generico pensiero , l'attenzione rivoltacontemporaneamente a g e p sarà indicabile con A(g&p) (leggi: "attenzione a g e p"). Se taledisturbo compare, ad es. alla quarantesima ripetizione della giaculatoria, posso scrivere: 1Ag|As- 2Ag|As - ... - 39Ag|As - 40A(g&p)|As - 41A(g&p)|As - ... - nA(g&p)|As.Abbiamo dunque già evidenziato un certo numero di operazioni che l'attenzione puòcompiere e precisamente:- il "notare", cioè il distinguere la figura dallo sfondo, operazione che abbiamo indicato con iltratto verticale | - il "pulsare" temporale, cioè il distogliersi periodico da una determinata figura, per ritornaresulla medesima o su di un'altra figura; operazione che abbiamo indicato con il tratto orizzontale-

Page 12: 11 PARTEb - Presenza Mentale e Tipologie

- il "distribuirsi" contemporaneamente su più figure, che abbiamo indicato con il simbolo &.Per semplicità di scrittura, abbiamo sempre trattato lo sfondo come se, durante l'esercizio, essopermanga invariabile; in realtà, si verificano anche variazioni dello sfondo, dovute ad es. alsopraggiungere di nuovi stimoli sensoriali esterni (suoni, luci etc) e perciò rimane sottinteso ches debba essere generalmente considerato come una variabile e non come una costante.

La tendenza spontanea dell'attenzione a distribuirsi su più figure (raddoppio della figura), nellapratica esoterica, viene a volte combattuta, imponendosi volontariamente sin dall'inizio due o piùoggetti contemporanei di attenzione. E' il caso della cosiddetta "Preghiera di Gesù", risalentealla chiesa cristiana indivisa ed oggi praticata soprattutto nell'ambito di quella ortodossa. Sitratta, come è noto, di una giaculatoria, contenente il nome di Gesù, ritmata sul battito cardiaco.La giaculatoria e il battito costituiscono due "figure" su cui si divide l'attenzione, distraendosiperciò più difficilmente. Una tecnica analoga consiste nel "contare i respiri". Si conta ogniinspirazione o ogni espirazione od entrambi, ricominciando da capo quando per distrazione siperde la conta. Oppure si conta la durata di ciascun atto respiratorio. In tutti questi casi, laduplice "figura" è costituita dal respiro e dal contare.

Approfondiamo l'operazione del distribuirsi dell'attenzione su più figure. Un caso particolare deldistribuirsi è quello in cui la seconda figura è costituita dalla "periferia" della prima, così che siottiene un'unica nuova figura complessiva, che costituisce un allargamento della precedente.Ciò si verifica ad es. quando la mia attenzione è diretta ad un vaso e l'istante successivoall'intero davanzale sul quale si trova il vaso. Anche il processo contrario di "rimpicciolimento"della figura è comunemente usato nella vita di tutti i giorni, ad es. quando, entrando in unanuovo ambiente, lo cogliamo prima in tutta la sua ampiezza, per poi osservarne un particolare,ad es. un mobile. Se "f" è la figura iniziale ed "a" è lo spazio attenzionale sottratto alla figura durante ilrimpiccioimento, "fÞa" (leggi "f ridotto di a") potrà indicare la nuova e più ristretta figuraattenzionata. Il "rimpicciolimento della figura" è contemporaneamente un "allargamento dellosfondo". Se inizialmente lo sfondo è "s", dopo il rimpicciolimento della figura lo sfondo si"allarga" (a parità di tutte le altre condizioni) a "s&a". Se Af|As indica l'istante attenzionaledurante il quale la figura è "f" e A(fÞa)|A(s&a) indica l'istante in cui la figura si è ridotta a "fÞa", il"pulsare" dell'attenzione (simboleggiato dal tratto medio) dal primo al secondo istante saràcomplessivamente indicabile con Af|As - A(fÞa)|A(s&a).Abbiamo così scoperto una quarta operazione attenzionale e l'abbiamo simboleggiata con laruna Thorn "Þ". Se le prime tre operazioni le abbiamo chiamate rispettivamente: "notare", "pulsare","distribuirsi", quest'ultima possiamo chiamarla "focalizzarsi". Tra le pratiche esoteriche, esistono tecniche di concentrazione che si fondano non solo su unareiterazione della figura, ma anche su un progressivo rimpicciolimento o allargamento dellafigura stessa. Si supponga ad es. di praticare l'osservazione delle sensazioni prodotte dalpassaggio del respiro nel proprio naso. Inizialmente la "figura" può essere rappresentata dallasuperficie anteriore del naso e dall'interno del medesimo. Poi solo dalla superficie anteriore.Infine da una zona ancora più ristretta di tale superficie, ad es. dalla punta del naso. Si diceche, procedendo per tal via, taluni praticanti giungano a percepire fenomeni del livellomolecolare.

***

Page 13: 11 PARTEb - Presenza Mentale e Tipologie

B2.2) Sul "Prender Nota"

Fabritalp: Riporto un esercizio da "Cabbalah" di Will Parfitt che alla stregua di alcunibuddhistici mira, a sviluppare la qualità della "presenza a sè". Delle varie pratiche, nel libro, èstato fatto un ordinamento in base alle Sephiroth, quella del centro e questa che segue sonoattribuite a Malkuth.«Pronunciando ogni volta le parole "ora sono consapevole" descrivete quello che statefacendo e osservate come la vostra consapevolezza cambia ogni volta, per esempio: ora sonoconsapevole di scrivere queste parole... ora sono consapevole di essere piacevolmente alcaldo... ora sono consapevole di una macchina che passa... ora sono consapevole che il miostomaco sta gorgogliando... ora sono consapevole di un leggero dolore alle spalle... ora sonoconsapevole di sentirmi felice... ora sono consapevole del rumore della tastiera mentre scrivo...ora sono consapevole di...Continuate da soli a sperimentare questa consapevolezza ininterrotta,per più o meno cinqueminuti.Ora riprovate per qualche minuto ancora, questa volta cercando di notare quello che blocca lavostra consapevolezza. Ci sono dei momenti in cui niente sembra accadere? Vi sentiteimbarazzati nell'eseguire l'esercizio, vi sembra sciocco o inutile? Ora ripetete l'esercizio,ricordandovi di iniziare ogni volta con: "ora sono consapevole...". Questa volta prestateattenzione a come la vostra consapevolezza cambia da dentro a fuori e viceversa. Questocontinuum di consapevolezza è formato dalle nostre intuizioni, pensieri, sentimenti ed emozioni,sensazioni, fantasticherie, ecc. tutte le funzioni del nostro esistere».Sadescan: L'esercizio descritto da Parfitt, proprio nella forma in cui egli lo descrive, è statoideato alcuni decenni fa dagli psicologi, appartenenti alla corrente della cosiddetta "Psicologiadella Gestalt". I quali, a loro volta, lo hanno sviluppato sulla base di pratiche tradizionalibuddhiste o di altri ambienti. I gestaltisti insistono sulla concettualizzazione del "qui e ora",mediante la frase iniziale "ora sono consapevole...". Le pratiche tradizionali invece ne fanno ameno, perchè una frase troppo lunga "ingombra" la mente per troppo tempo, rendendodifficoltoso notare certi dettagli più "sottili" degli altri. Insistere poi su verbi in prima persona puòforse essere utile in psicologia per rafforzare personalità deboli, ma dal punto di vistadell'ascesi l'osservazione deve essere il più possibile oggettiva e perciò non egoica. In generesi usa una sola parola per "prender nota" di ciò che accade. Invece di dire "ora sonoconsapevole di scrivere queste parole" basta dire "scrivo", invece di "ora sono consapevole diessere piacevolmente al caldo" si può dire "tepore"; anzichè "ora sono consapevole di unamacchina che passa" è sufficiente "automobile"; invece di "ora sono consapevole che il miostomaco sta gorgogliando", può dirsi "gorgoglio"; anzichè "ora sono consapevole di un leggerodolore alle spalle", basta "doloretto"; anzichè "ora sono consapevole di sentirmi felice", basta"gioia"; infine anzichè "ora sono consapevole del rumore della tastiera mentre scrivo", bastaindicare il susseguirsi delle due percezioni con "scrivo", "rumore". In altri termini, non serve unintero "schizzo" della situazione, ma basta un "segno stenografico" della medesima. Del resto,entrati nella "corrente della meditazione", cioè in una condizione di "non distrazione", lostesso "segno stenografico" va abbandonato, osservando le cose senza "descrizioneinteriore".Quanto poi al simbolismo cabbalistico, occorre chiedersi: "nella fattispecie, a che serve?". Anulla, visto che sia i gestaltisti, sia i buddhisti e via dicendo ne fanno a meno. I richiami all'alberodella vita, in questo caso, sono abbellimenti forzosi e non migliorano l'apprendimento dellapratica. Poi quando, come Parfitt, ci si occupa di Cabbala, bisognerebbe chiarirsi di qualeCabbala si tratti. Lo stesso Scholem fa notare che mentre i testi cabbalistici ebraici sonoestremamente avari di riproduzioni dell'albero della vita e di discorsi su di esso, quelli invecedella Cabbala Occultista (o Cabbala Cristiana come altri la chiamano) ne sono pieni. Le duecorrenti tradizionali sono perciò diverse e non derivano l'una dall'altra, ma semmai hanno cometerreno comune lo studio simbolico dell'antico testamento, unito però, nella Cabbala Occultista,al simbolismo pitagorico della Decade. Un'eccellente studio sulla Cabbala Occultista è costituitodalle Lettere di Eliphas Levi al barone Spedalieri.

Page 14: 11 PARTEb - Presenza Mentale e Tipologie

EA: Tutta la vita è un prepararsi alla morte e la sofferenza è proprio il pungolo che ci induce anon attaccarci a quel che siamo attualmente. Il distacco interiore si basa proprio (e unicamente)sulla presenza mentale, sulla pura osservazione di ciò che ci accade. Si inizia in condizioni"standard", di solito seduti e in situazione di relax. Come altrove indicato (1), e come haricordato Sadescan, il "prender nota", verbalizzando interiormente ciò che succede, può all'inizioaiutarci a non divagare. Poi si comincia ad osservarsi in altre situazioni: in piedi, sdraiati, camminando da soli o nella folla. Poi mentre si lavora, da soli o in compagnia. Quando si pensa o si parla, la verbalizzazione interiore è impossibile, ma si può ricorrere ad altriappoggi, per non cadere nuovamente nell'identificazione. Si scelga una parte del corpo e ci siproponga di non perdere la sensazione interiore di essa (cenestesi) mentre si parla o sipensa. C'è chi sceglie l'area sotto l'ombelico, chi il cuore, chi i piedi, chi il braccio destro osinistro etc. Ciò che conta è il principio: dividere l'attenzione: una parte la si diriga su ciò cheabbiamo scelto noi e l'altra parte sugli eventi che la vita ci propone. Se ci capita di "perdere" lasensazione della parte prescelta, significa che gli eventi ci hanno assorbito completamente. Cisiamo identificati e non ci rimane che pazientemente ricominciare. Se invece manteniamo laconsapevolezza della parte prescelta, ma ci comportiamo maldestramente nella vita, significache erroneamente abbiamo fatto della presenza mentale una preoccupazione. Mantenere laconsapevolezza della parte prescelta e comportarsi normalmente, significa agire finalmente conl'auspicato distacco.La presenza mentale si porterà poi nei sogni. Interpretarli non serve a nulla. L'esoterismonon è psicoanalisi, con buona pace dei junghiani. Semmai, il semplice rivivere i sogni così comesono stati o raccontarli ad altri può favorirne il ricordo.Si riuscirà infine a portare la consapevolezza nel sonno profondo. Poichè si tratta dellostato più vicino alla morte, tale pratica è la più eccellente per prepararsi ad essa senza paura.L'importante è praticare. Nessuno può fare il lavoro per noi. Chi va in cerca di speciali iniziazionio metodi miracolosi che, con un colpo di bacchetta magica, lo sollevino dallo sforzo di praticare,si illude e va fuori strada.

(1) Si veda il capitolo L'uso del vino nella II Operatio Solis del quaderno La Porta Ermetica diRoma.

***

B2.3) Conoscenza del respiro e Pneumoritmia

Afrodisia: Leggendo Introduzione alla Magia mi è sorto un problema relativo alle praticherespiratorie. Come ha ricordato Ea in questo forum, nel gruppo vi erano autori, come Luce, cheadditavano pratiche respiratorie tipo yoga; invece altri, come Abraxa, auspicavano piuttosto lapresa di coscienza dell'evolversi del respiro, quale effetto di altre pratiche (concentrazione,silenzio etc.). Gli antroposofi, poi, sono decisamente su questa seconda posizione. Esistonocriteri in base ai quali è possibile decidere tra le due alternative?Ida La Regina: Penso che questo problema non sia solo tuo, ma di qualsiasi serio studioso,che non esegua supinamente una pratica, senza chiedersi perchè la fa e quali ne siano leconseguenze. Per trovare una adeguata soluzione penso che bisogna porsi una serie didomande:- a cosa servono le pratiche respiratorie?- hanno un unico scopo o più di uno?- a seconda dello scopo, differisce il metodo?- i vari metodi hanno effetti 'collaterali' ?- quali sono accettabili per l'uomo attuale e quali no?Bisogna insomma riesprimere, in riferimento all'uomo odierno, l'antica 'scienza dellerespirazioni'.Arvo: Uno degli errori che può commettere uno studioso di esoterismo, ma anche un semplice

Page 15: 11 PARTEb - Presenza Mentale e Tipologie

storico, è quello di assegnare a tutti gli esseri umani una identica costituzione interiore,prescindendo dall'epoca storica, dalle caratteritiche ereditarie e/o tipologiche e dall'ambiente. IlGruppo di Ur favorì un approccio multilaterale al problema iniziatico, proprio nellaconsapevolezza dell'esistenza di differenti tipologie umane, delle quali occorre tener conto neldedicarsi a tecniche di ascesi. Come ha messo in evidenza Ea, in alcuni suoi messaggi dedicatialla Porta Ermetica di Roma, in Ur si hanno ad es. differenti approcci alle tecniche col respiro.Come è noto respiro e mente sono intimamente correlati: modificare le condizioni dell'uno,apporta modifiche nell'altra e viceversa. Questa reciprocità porta a due possibiliatteggiamenti:1) Usare il respiro per agire sulla mente;2) Agire sulla mente e osservarne gli effetti sul respiro.In Ur, Luce si è soffermato sulla prima tecnica e Abraxa sulla seconda. Massimo Scaligero èstato un deciso sostenitore della seconda, ritenuta più adatta alla tipologia della maggior partedegli occidentali moderni.In qualunque dei due modi si proceda, non si può prescindere da considerazionitipologiche. Ne fanno fede gli studi di K. G. Durckheim, la cui opera più nota è probabilmente"Hara, il centro vitale dell'uomo secondo lo Zen" (Roma 1969). In essa Durckheim così siesprime: "Nel suo paese, il Maestro indù ha da fare con un tipo umano che in genere è assaidiverso dall'occidentale...Mentre per l'Indù il pericolo è quello di un rilasciamento che portaverso il basso, di un dissolvimento dovuto ad un aver "troppo poco Io", la maggior parte degliOccidentali soffre di un "eccesso di Io" e di una ipertensione verso l'alto...Ora, il suolo dirisonanza e il campo di manifestazione dell'assoluto essendo l'uomo integro, se ci si vuoleaprire ad esso bisogna anzitutto realizzare la propria "integrità" il che significa eliminare quelche l'individuo ha di troppo e completarlo con quel che gli manca. Per così dire, ciò di cui l'Indùmanca è più "l'alto" che il "basso". Si può dunque capire che negli esercizi di respirazione yogasi dia rilievo all'inspirazione eseguita con volontà cosciente e alla ritenzione del soffioinspirato...Nel complesso, per l'Occidentale la pratica col respiro deve far compiere anzitutto ilpassaggio dall'alto al basso, per cui in essa l'accento deve cadere sull'espirazione".Un "io meno solido" e un "eccesso di io" possono dunque considerarsi come due deicaratteri che distinguono l'anima orientale da quella occidentale. I termini "orientale" e"occidentale" devono essere qui assunti come termini indicativi di tipologie, diffuserispettivamente in Asia e in Occidente. Ma, ovviamente occorre tener conto delle eccezioni.Gli studi stessi di Durckeim dimostrano che in Giappone esistono individui di tipologia affine aquella occidentale. Lo stesso Evola ebbe a notare come l'impero giapponese, nel periodoimmediatamente precedente alla II guerra mondiale, sia stato un tentativo di conciliare ilprogresso tecnologico moderno di tipo occidentale con la tradizione. Anche certe tecniche delloDzog Chen tibetano, che assegnano maggior importanza all'espiro, fanno pensare che individuitipologicamente occidentali esistano anche nel cuore dell'Asia. Naturalmente è vero il contrario:possono esistere occidentali di nascita, che hanno un'anima tipologicamente orientale.L'aprioristico disprezzo per tutto ciò che è occidentale (anche quando è positivo) da parte dicerti studiosi, se non si deve attribuire a malafede, può probabilmente spiegarsi, ammettendouna loro particolare tipologia.Ida La Regina: Anche se son sempre possibili approfondimenti, mi sembra che la "conoscenzadel respiro", secondo il metodo di Abraxa e Scaligero (che ha come prerequisiti laconcentrazione e il silenzio) per il momento sia stata sufficientemente esaminata. Penso inveceche sarebbe opportuno approfondire anche l'altro versante, cioè quel saggio di Luce intitolato "IlFuoco" (I vol.), nel quale la Pneumoritmia (scr. pranayama) è invece lei ad essere utilizzatacome preliminare della concentrazione e del silenzio, per giungere alla Cardiognosi oconoscenza del "cuore", un altro caposaldo importantissimo della magia del Gruppo di Ur. Luceinfatti, in un passo di quel saggio, prometteva: "Di ciò sarà particolarmente detto altrove", ma,almeno per quel che ne so io, non vi è traccia di tale successivo approfondimento.Luce: Una possibile classificazione delle pratiche respiratorie è la seguente:1) pratiche di presa di coscienza del respiro, secondo due sottomodalità:1a) come oggetto primario della concentrazione: sia osservando il respiro così com'è (ma giàil semplice fatto di osservarlo può modificarlo), sia eseguendo una volontaria modalità di respiro;

Page 16: 11 PARTEb - Presenza Mentale e Tipologie

1b) come oggetto secondario, cioè osservando come altri accadimenti o pratiche vanno amodificare il respiro;2) pratiche di presa di coscienza degli effetti del respiro sulle varie componenti dell'essereumano (cioè sui quattro 'corpi' dell'ermetismo);3) esecuzione di determinate modalità di respiro, per ottenerne l'effetto conseguente ,che ormai si conosce in base alle pratiche precedenti.Il maestro Zen, Taisen Deshimaru, disse che, nei tempi antichi, "veniva lasciato maggior spazioai brancolamenti del discepolo, il quale doveva scoprire da sé quale fosse il metodo più adattoalla sua condizione del momento". I discepoli di oggi spesso vogliono la "pappa già fatta", maper quanto si possano dare indicazioni, sperimentarle e applicarle al loro caso particolare toccapur sempre a loro.Sadescan: La concentrazione mentale può esser rivolta ad un qualunque oggetto e perciòanche al proprio respiro. Un atto respiratorio può considerarsi come un susseguirsi diquattro fasi:espiro,intervallo tra espiro ed inspiro,inspiro,intervallo tra inspiro ed espiro.Il principiante ha sovente delle difficoltà a mantenere la mente concentrata. Infatti, i due intervallisono difficili da cogliere perchè in genere sono brevi. Inspiro ed espiro sono colti più facilmente;ma, proprio perchè sono più lunghi, mentre essi si verificano, la mente tende a divagare versoaltri oggetti. Un trucco da sempre utilizzato per aiutare la concentrazione è quella di"contare" i respiri. Si può contare in molti modi. Per quanto riguarda inspiro ed espiro,basterebbe contare ad es. il numero di battiti cardiaci che si verificano rispettivamente nelle duefasi. Ma i due intervalli intermedi risultano troppo corti e perciò generalmente si sceglie di"allungarli" volontariamente, decidendo di compierli durante un determinato numero dibattiti cardiaci. Non è necessario che siano molti, ma in numero sufficiente da poterliosservare con facilità.Progredendo nella pratica, si noterà che mente e respiro sono interconnessi. Ad es., l'uomomoderno spesso osserverà che, a causa delle (inutili) preoccupazioni del suo io, tende adarrestare troppo presto l'espiro, quando i polmoni non sono ancora liberi. Ciò conduce ad un'alternanza di agitazione mentale e di sopore. Imparando ad abbandonarsi completamentenell'espiro (senza forzarlo), si noterà la scomparsa dell'agitazione mentale. Poichè i polmoni sisvuotano completamente, anche l'inspiro successivo si allunga e questo permetterà di vincere ilsopore. Se si ha difficoltà a percepire il battito cardiaco o se, al contrario, lo si percepiscema con una sensazione di ansia, è preferibile per il momento lasciar perdere il battitostesso e limitarsi a contare mentalmente con una certa regolarità.Quando, tramite l'osservazione del respiro, la mente ha riacquistato il suo "stato naturale" (cheè compresenza di acutezza e di quiete), si può lasciare il respiro a sé stesso e procedere nelrito della cardiognosi, come ha indicato Luce.Seguendo queste semplici regole, si procederà in tutta consapevolezza e sicurezza. Al contrariose ci si impone, senza un motivo valido e consapevole, dei ritmi respiratori forzosi, soloperchè li si è trovati in qualche testo di yoga o li si è appresi da qualche "istruttore", chepedestremente li usa e li trasmette, si incorrerà facilmente in quei pericoli che R. Steinerha evidenziato.Ida La Regina: Un altro membro del Gruppo di Ur che accenna all'uso della pneumoritmia èArom, nel saggio "Prime Esperienze" (I vol.). Nella tecnica descritta, la respirazione vieneutilizzata assieme alla concentrazione per la conoscenza di un altro centro sottile: ilcosiddetto "terzo occhio". Peccato che Arom non scenda nei dettagli del metodo; esponeinvece abbastanza estesamente i risultati da lui conseguiti.Afrodite Urania: L'esercizio indicato da Arom è uno dei cosiddetti "sigilli sottili". Come è noto inmagia esistono vari tipi di "sigilli", come quelli grafici e quelli corporei (ad es. delle mani). I sigillisottili sono "gesti" interiori, che costituiscono una prima concretizzazione della volontà diottenere determinate conoscenze, inerenti ai "corpi sottili".Il più semplice è forse il "sigillo del terzo occhio", che ha tuttavia una importanza eccezionale,

Page 17: 11 PARTEb - Presenza Mentale e Tipologie

perchè può realizzare il compito di unire l'Io al "corpo lunare" (l'organismo pranico dellatradizione Indù). Diversi membri del Gruppo di Ur, ad es. Leo, hanno insistito sulla necessità diabituarsi a separare le sensazioni sottili da quelle fisiche che le accompagnano. Ciò èabbastanza semplice, sol che vi si porti attenzione, nel caso della respirazione. Si segua ad es.mentalmente il respiro e le sensazioni che lo accompagnano, spingendolo giù dalle narici, lungoil collo e lungo il petto, fino al basso addome. Si noterà come ad es. la sensazione di"fresco", che accompagna il passaggio dell'aria, può avvertirsi senza difficoltà sino albasso addome. Tale sensazione è di natura sottile, perchè, come è noto, l'aria in realtà siè fermata nei polmoni e perciò ben al di sopra dell'addome. E' dunque il Pneuma (o Prana) enon l'aria a dare quella sensazione.Se si prende dimestichezza con la pneumoritmia, esercitandosi a respirare ad es. nel modoindicato da Sadescan, si può poi praticare il sigillo del terzo occhio. Esso consiste nell'avvertirela sensazione sottile del Pneuma oltre la parte alta del naso, nel punto mediano tra le duesopracciglia (anch'esso un luogo dove l'aria non giunge). Punto nel quale la mente rimaneconcentrata per tutte e quattro le fasi della respirazione (espiro, intervallo a polmoni vuoti,inspiro, intervallo a polmoni pieni). Gli effetti vanno da una indefinibile sensazione di calore nelpunto fissato ("sigillato") a tutta la complessa fenomenologia indicata da Arom.

***

B2.4) La Filatura del Cordone Sacro

EA: Il "silenzio" è uno degli aspetti del cosiddetto "metodo a ritroso". Per silenzio si deveintendere l'attenzione che la mente rivolge sul proprio operare, smettendo così di identificarsicon il "rumoroso" flusso dei pensieri, che viene ora assunto come oggetto di osservazione. NelGruppo di Ur (vedi le Istruzioni di catena del II vol.), come pratiche collettive per ottenere ilsilenzio vengono proposti due metodi:1) il metodo del "guerriero", consistente nello stroncare qualsiasi pensiero non appena sipresenta, esposto nel testo la "Prattica dell'Estasi Filosofica" (1)2) il metodo del "pastore", consistente nel lasciare liberi i pensieri di formarsi, senzaalimentarli volontariamente, ma anche senza perdere la presenza mentale. Proprio come unpastore che si sedesse, lasciando le sue pecore libere di muoversi nel pascolo, ma senzaperderle di vista.E' a questo secondo metodo che, con diverse parole, Luce aveva già fatto riferimento nelsaggio "La concentrazione e il silenzio" del I vol..

(1) Alessandro d'Ancona (1835 - 1914) trasse il testo de "La Prattica dell'Estasi Filosofica" dalmanoscritto della Biblioteca Nazionale di Firenze, contrassegnato come Manoscrittomagliabechiano, Classe VIII, codice 6, del secolo XVII, cm. 20x28, di carte 557, contenentemolte opere, non tutte di Tommaso Campanella (1568-1639). Lo stesso D'Ancona precisa, innota, che l'esatto titolo è "La Prattica dell'estasi filosofica del B." E' stata quell'iniziale a farpensare a Giordano Bruno (1548-1600). Tuttavia Campanella non era estraneo all'uso dipseudonimi: basti pensare al celebre "Settimontano Squilla", con cui firmò alcune sue poesiefilosofiche [Settimontano allude ai sette bernoccoli che egli aveva in testa. Squilla è un richiamosonoro alternativo a quello della Campanella]. Quel che è certo è che il testo è (o vuolsembrare) una copia; infatti, oltre al titolo, che indica che il testo non è di chi scrive bensì delmisterioso "B.", occorre anche tenere presenti quei puntini, con i quali termina l'ultimaespressione della parte dedicata alla postura: "appoggiando la testa alla mano sinistra, o in altramaniera più comoda...", a voler verosimilmente indicare che, nell'effettuare la copia, si sonoomesse talune considerazioni presenti nell'originale [N.d.U.].

Ida La Regina: La "Prattica dell'estasi filosofica" è un saggio veramente interessante, giàsolo per la sua chiarezza, veramente difficile a trovarsi negli altri scritti ermetici della medesimaepoca. Mi chiedo come mai, vista la brevità del testo, in Introduzione alla Magia, sia stata

Page 18: 11 PARTEb - Presenza Mentale e Tipologie

riprodotta solo la prima parte; cosa poi ripetuta da coloro che ad Introduzione alla Magia sisono rifatti, ad es. Elemire Zolla in "I Mistici dell'Occidente", Milano 1980.Luce: Un primo motivo, per il quale il testo della "Prattica" fu pubblicato parzialmente sullarivista Ur, è che il testo completo era stato riprodotto da Arturo Reghini nell'opera "LeParole Sacre e di Passo", pubblicata nel 1922 e ben conosciuta dalla maggior parte dei lettoridella rivista.Un secondo probabile motivo è che si voleva mettere in evidenza più le tecnica in sè stessa,che non gli eventuali risultati, in modo che ciascuno decidesse soprattutto in base alla propriaesperienza, che non è necessariamente uguale a quella descritta, mutando l'interioritàdell'essere umano nel corso dei secoli e dipendendo anche dall'individuale tipologia. Ingenere, dopo aver provato, il discepolo moderno sente più consono alla sua struttura interiorenon l'adozione di uno dei due metodi del "guerriero" o del "pastore", bensì una combinazione dientrambi. Tale metodo combinato è detto tradizionalmente della "filatura del cordone sacro".Nel filare un cordone, occorre che il filo non sia nè troppo teso, nè troppo lento. Analogamentela mente non deve essere nè troppo tesa e perciò agitata, nè così rilassata da perdere lapresenza mentale. Solitamente perciò si adopera la tecnica del "pastore" quando la mente èagitata e quella del "guerriero" quando tende al sopore distratto, regolandosi in ogni caso inbase alla propria esperienza. E' così più semplice ottenere quello "stato naturale" nel quale lamente è contemporaneamente acuta e neutrale, così da costituire quell' "Intelletto che tuttodiscerne", sul quale si diffonde la seconda parte del testo della "Prattica".

B3) Razze dello Spirito e Tipologie Planetarie

B3.1) Le Razze dello Spirito di J.Evola

EA: Nel poema "Le opere e i giorni", Esiodo considera la storia umana come una successionedi cinque "età": la prima è l' "età dell'oro" in cui gli uomini vivevano "come Déi"; la condizioneumana degenera poi progressivamente, passando per l' "età dell'argento", l' "età del bronzo" e l'"età degli eroi", sino a giungere all' "età degli uomini", in cui l'umanità è tormentata da ogni sortadi mali e di affanni(1). Similmente Platone, nel dialogo "Crizia", presenta il divenire storico comedecadenza dall' "età degli Déi" all' "età degli uomini", attraverso l'età degli eroi"(2).La concezione ciclica del tempo, presentata da Evola in "Rivolta contro il mondo moderno",costituisce un approfondimento delle due precedenti. Egli stesso così la esprimesinteticamente(3): "Riassumendo, si è venuti alla determinazione morfologica di sei tipi fondamentali di civiltà edi tradizioni di là da quella 'primordiale' (età dell'oro): da una parte 'demetrismo', comepurità della 'Luce del Sud' (età dell'argento, ciclo atlantico, società sacerdotale); 'afroditismo'come sua forma degenerativa - e infine: 'amazzonismo', come tentativo deviato direstaurazione lunare. Dall'altra parte, 'titanismo' (in un altro quadro anche luciferismo) comedegenerazione della 'Luce del Nord' (età del bronzo, era dei guerrieri e dei giganti);'dionisismo', come aspirazione maschile deviata e devirilizzata in forme passive e promiscue diestasi; infine 'eroismo', come restaurazione della spiritualità olimpico-solare e superamento siadella Madre che del Titano. Tali sono le strutture fondamentali alle quali, di massima, si può

Page 19: 11 PARTEb - Presenza Mentale e Tipologie

ridurre analiticamente ogni forma mista delle civiltà volgenti verso i tempi storici, verso il ciclodell'età oscura, o età del ferro".Assolutamente centrale nella concezione evoliana è la "civiltà degli eroi" (4): "Esiodo riferisce che, dopo l'età del bronzo, prima di quella del ferro, presso a razze il cuidestino era ormai lo 'spegnersi senza gloria nell'ade', Zeus creò una schiatta migliore, cheEsiodo chiama appunto degli 'eroi', cui è data la possibilità di conquistare l'immortalità e dipartecipare, malgrado tutto, ad uno stato simile a quello dell'età primordiale". Una schiatta mai morta, neppure durante l'età del ferro: non è un caso che Evola abbia curato la riedizione de "Il Mondo Magico degli Heroi" di Cesare della Riviera, ove gli iniziati siidentificano con gli Heroi e son detti "i discepoli regali dell’alto Giove". Grazie a loro, l'età aureanon è si è mai completamente estinta e può risorgere (anche localmente) ove trovi un ambienteumano favorevole.Riguardo all'uso, interiore e operativo, dei tipi, morfologici e mitici, di uomini e di civiltà,evidenziati da Evola in "Rivolta", dice Kremmerz nell'Introduzione ai dialoghi sull’Ermetismo:"Addito lo studio della mitologia, nella sua essenza, come contenente la iniziazione dei poteridell’organismo nostro; ricerca di una scienza rara nelle possibilità di mettere a nudo un arcanointegrativo”.

(1)Esiodo, Le opere e i giorni, vv.109 – 179.(2)Platone, Crizia, 109b – ss.(3)Evola, Rivolta contro il mondo moderno, pp. 280-281, Roma 1969.(4)Evola, op. cit., p. 276.

Sadescan: vorrei evidenziare il seguenti passo (e relativa nota) estratto da "Sul Concetto diIniziazione" (Cap XI de l'Arco e la Clava) di J.Evola:

"La teoria che l'essere presenta stati multipli, dei quali quello umano è soltanto uno particolare,è dunque la premessa del concetto di iniziazione. Vanno però considerati stati dell'essere nonsoltanto superiori ma anche inferiori a quello che definisce la comune e normale personalitàumana. Così è concepibile una duplice possibilità di apertura di questa personalità, verso l'alto everso il basso; in corrispondenza, un trascendimento «ascendente» (conforme al sensoetimologico rigoroso del termine transcendere = «andar al di là innalzandosi») va ben distinto daun trascendimento «discendente» (l).

(l) Queste due stesse tendenze, quasi come per riflesso, su di un piano piu esteriore sonoconstatabili anche fuor dal dominio iniziatico, nella stessa vita dell'uomo dei nostri giorni. Cosi A.Huxley (e anche Jean Wal), riferendosi a questo uomo ha parimenti parlato di un«autotrascendimento ascendente» e di un «autotrascendimento discendente» aggiungendo unaterza direzione da lui chiamata «trascendimento orizzontale» o «laterale ». Per l'Huxley oggile esperienze piu diffuse sulla direzione discendente si legano all'uso dell'alcool, delle droghe edi una sessualità pandemica; l'autotrascendimento orizzontale o laterale si manifesterebbe neifenomeni collettivizzanti, nell'identificazione passiva e irrazionale del singolo con qualchecorrente o movimento o ideologia fanatica, con le manie del giorno. Per l'uomo di oggi sial'autotrascendimento discendente che quello laterale sono, secondo l'Huxley, forme di evasione(noi aggiungeremmo: e di regressione). Però l'uno si confonde con l'altro perché in tutto ciò cheè collettivo agiscono sempre e affiorano potenze «infere », cioè del livello subpersonale. Pertributare ad ognuno il suo, lo Jung ha ragione quando dice che gli antichi dèmoni dalla cuipossessione in altri tempi ci si cercava di difendere, oggi, nel mondo «illuminato e progredito »,non sono scomparsi ma agiscono sotto la maschera e alla radice dei vari «ismi» (nazionalismo,progressismo, comunismo, razzismo, ecc.) come forze collettivizzanti della evasione«orizzontale» ".

L'ultimo Evola perciò metteva sullo stesso piano nazionalismo, progressismo,comunismo e razzismo quali forze collettivizzanti dell'evasione orizzontale.E' questo un punto sul quale dovrebbero meditare sia gli evoliani e sia gli anti-evoliani. Il

Page 20: 11 PARTEb - Presenza Mentale e Tipologie

concetto di "razze dello spirito", con il quale, in epoca fascista, Evola cercò di contrastarel'assurdo razzismo biologizzante allora imperante, aveva lo scopo di dimostrare che, tra glistessi che pretendevano di giudicare gli altri sulla semplice appartenenza ad una certanazionalità, ve ne erano non pochi che non erano affatto a posto dal punto di vista della "razzadello spirito". E ovviamente avveniva anche il contrario. Evola ebbe sempre ad es. parole dielogio per l'ebreo tedesco Gottfried Benn, che annovera (Arco e la Clava, 1971, pag. 258) tra"gli esponenti di una superiore tradizione". Se il suo concetto di razza spirituale fosse statoaccettato dagli esponenti ufficiali del fascismo e del nazismo, si sarebbero evitate certeefferatezze, basate proprio sul razzismo biologizzante.Agli evoliani diciamo che il concetto di razza dello spirito è ovviamente valido ancora oggi, ma èutile farne uso unicamente nei confronti di sè stessi, per tagliar corto con quegli atteggiamentiche minano o ritardano la propria ascesi individuale. Non va invece usato in campo sociale,perchè, pur essendo valido, verrebbe facilmente strumentalizzato dalle forze collettivizzantidella evasione orizzontale.Agli anti-evoliani, che tutt'oggi, vorrebbero far passare Evola come colui che seminava "il semedell'odio", diciamo che, se non sono in malafede, dovrebbero studiarlo meglio.

***

B3.2) Universalità Pure ed Universalità Empiriche

Di fronte all'elenco di Razze dello Spirito, fornite da Evola in Rivolta, deve sorgere la domandase tale elenco sia effettivamente completo. Nel seguito, un dubbio è espresso da Afrodisia edun altro dallo stesso Evola.

Afrodisia: In riferimento alle "razze dello spirito" evoliane, si può notare in esse un certosquilibrio: quattro infatti corrispondono a tipi "maschili" (solare, titanica, dionisiaca, eroica) esolo tre a tipi "femminili" (demetrica, afroditica, amazzonica). L'impressione è che Evola neabbia dimenticata una (1). Infatti, in ambito femminile, oltre all'archetipo della madre,dell'amante e dell'amazzone ne esiste perlomeno un quarto, che non è riducibile a nessunodegli altri tre. Si tratta della donna "mediatrice", termine da intendersi sia nel senso occulto dimedium, sia nel senso sociale di sensale. Attività che, pur potendo esser svolte da uomini, sonosvolte molto più naturalmente dalle donne (basti pensare ai principali oracoli dell'antichitàoccidentale). Si dirà che Evola ha elevato a dignità di "razze" solo quei tipi umani cui si può farcorrispondere una vera e propria forma di società e spiritualità. Ebbene se si pensa a quellearee culturali dove l'attività medianica è, o è stata, la forma religiosa prevalente (Africacentro-occidentale, Brasile, Haiti, diverse aree sciamaniche dell'Asia, etc) ci si rende conto chequella "mediatrice" è una civiltà, e perciò una razza dello spirito, a sé stante, che non è daconfondersi ad es. con quella dionisiaca, perchè la medianità non implica necessariamente l'eros.

(1) La possibilità di un ampliamento del suo schema originario delle "razze dello spirito" fu presain considerazione dallo stesso Evola come dimostra il seguente saggio sulla razza dell' uomo"obliquo" o "mercuriale" o "sfuggente", tipo che, secondo Evola, è più femminile che maschile[N. d. U.] .

Page 21: 11 PARTEb - Presenza Mentale e Tipologie

Julius Evola

Considerazioni sull’uomo obliquo

(Tratto da “Rivolta ideale” del 29 Maggio 1952)

Nel precedente periodo avemmo a formulare una teoria delle “razze dello spirito”, ches’intendeva ad individuare tipi e atteggiamenti fondamentali dell’essere umano. Per il che ciriferimmo anche ad antiche tradizioni, le quali misero determinati caratteri in relazione simbolicacon pianeti, divinità ed elementi: così noi parlammo delle razze dell’uomo solare, dell’uomotellurico, lunare, afroditico, dionisiaco e via dicendo.Se oggi dovessimo riprendere tale ordine di studi ci accorgeremmo di aver dimenticatoun tipo speciale, attualmente diffuso quanto mai, tipo che potremmo chiamare dell’uomomercuriale o, più intelligentemente, razza dell’uomo sfuggente (è la stessa cosa perché il“mercurio” andrebbe preso come simbolo di una natura labile, inafferrabile, sfuggente).Quale azione corrosiva gli avvenimenti degli ultimi anni – fine guerra e dopoguerra – abbianoesercitato sull’animo umano, è cosa abbastanza nota e, purtroppo, da noi in Italia perfino piùvisibile che altrove. Ma, in questo dominio, si può andar ancor oltre. Si potrebbero individuarevere e proprie variazioni psicopatologiche del tipo umano del periodo attuale, variazioni generalied uniformi, riscontrabili un po’ dappertutto fra i popoli europei e altresì in America U. S., tantoda potersi quasi parlare di una nuova razza: appunto di quella dell’uomo sfuggente.Per cominciare, a caratterizzare in genere il nuovo tipo del dopoguerra basta una “anestesiamorale”. La preoccupazione di “non perdere la faccia”, il senso elementare di rispetto verso sestessi son quasi scomparsi. Precisando, non è che in precedenza si potesse riconoscere inciascuno un “carattere”. Ma anche in coloro che non lo avevano, sussisteva il sentimento di quelche essi avrebbero dovuto essere e che un tipo umano normale, in genere, è. Ebbene, proprioquesto, in un gran numero di persone, ormai manca: esse sono di fatto labili, oblique, informi,sfuggenti. Non hanno più una misura per se stesse. La loro sensibilità morale è appunto“anestetizzata”.Anzi, rispetto a dei principi ad una esigenza di coerenza, di linea, essi manifestano spesso unainsofferenza quasi isterica.Peraltro, l’accennata inconsistenza non riguarda quei problemi in senso superiore, che non sipresentano ad ogni momento della vita. Essa è caratteristica fin nelle piccole cose dellaesistenza ordinaria. Si tratta, ad esempio, della incapacità di mantenere un impegno, la paroladata, la direzione presa, un dato proposito (scrivere, telefonare, rispondere, occuparsi di unacerta cosa). Rispetto a tutto ciò che lega, che implica qualcosa di impegnativo di fronte a sestessi, il tipo in questione è insofferente. Cioè: dice, ma non fa, o fa un’altra cosa, sfugge – e ilcomportarsi così gli sembra naturale, ineccepibile. Si meraviglia perfino, quando qualcuno daciò si sente urtato e glielo rinfacci.La generalità di una tale attitudine è preoccupante. Nei tempi ultimi essa ha fatto presa in stratisociali, nei quali fino ad ieri predominava una linea abbastanza diversa: come fra l’aristocrazia el’artigianato. Lo sfuggire, il promettere senza mantenere, la non puntualità, l’evasione anche incose piccole e stupide, si riscontrano anche qui, frequentissime. E vale notare un puntoimportante: non è che si sia così deliberatamente, ad esempio, per seguire senza scrupoli ilproprio tornaconto. No, si è così in via spontanea, talvolta perfino a proprio danno, per un verocedimento interiore. È per tal via che molti che ieri ci si illudeva di conoscere a fondo, e che cierano amici, oggi non si riconoscono quasi più. È, si potrebbe dire, un fatto “esistenziale” piùforte di loro, tanto che spesso essi non se ne rendono nemmeno conto.Il fenomeno potrebbe esser seguito anche nelle sue ripercussioni in sede di struttura psichica.L’uomo della “razza sfuggente” accusa infatti una vera e propria alterazione psicologica. Nelriguardo, potrebbero essere utilizzate le considerazioni fatte dal Weininger circa il nessoesistente fra eticità, logica e memoria. In un tipo normale, le tre cose sono unite insieme, perchéil carattere esprime quella stessa coerenza interna, che si manifesta altresì nel rigore logico e in

Page 22: 11 PARTEb - Presenza Mentale e Tipologie

quella unità di vita, che permette di ricordarsi, di mantenersi in una mèmore, coscienteconnessione col proprio passato. Secondo il Weininger, proprio questa unità delle facoltàcaratterizza la psicologia maschile di fronte a quella femminile, la quale di massima è invecefluida, poco logica, incoordinata, fatta di impulsi più che di rigore logico ed etico.Ebbene a tale riguardo “l’uomo della razza sfuggente” appare più donna che uomo.Ulteriori suoi tratti caratteristici psicologici, che fanno da controparte all’accennata “anestesiamorale”, sono la menomazione della memoria, la facilità di dimenticarsi, la difficoltà diconcentrarsi, spesso perfino di seguire un ragionamento serrato e stringente, la distrazione, ilpensare a balzi. Sono, visibilmente, gli effetti di una parziale disgregazione che, dal piano deiprincipii e del carattere, son passati a ripercuotersi perfino in quello delle facoltà in se stesse.Da un lato, il fenomeno di collasso che suole seguire ad una prolungata tensione (quellaimposta in molti dalla guerra), dall’altro, il crollo dei valori e degli ideali a cui fino a ieri sicredette, son forse questi due fattori che oltre a quelli generali di ogni dopoguerra, hanpropiziato la formazione del tipo umano sfuggente. Il fenomeno, purtroppo, è reale, ed ognuno,guardando intorno a se, può convincersene. La constatazione non è certo edificante. I tempiche si stanno preparando non sono proprio tali che dei popoli, nei quali una simile incrinatura,ha saputo diffondersi ed assumere tratti quasi costituzionali, possono essere all’altezza di essi.Speriamo che qualche energico processo reintegratore e profilattico intervenga prima che siatroppo tardi.

***

EA: In questo forum, parlando di Walter Heinrich (v. quaderno La Polemica sul Vedanta), si ègià accennato all'uso del metodo fenomenologico, nell'ambito della storia delle religioni edell'esoterismo. Il filosofo che, in epoca recente, ha legato, più di ogni altro, il suo nome almetodo fenomenologico è senza dubbio Edmund Husserl. Di lui si è occupato Evola nel cap.XX di "Cavalcare la Tigre", intitolato "Copertura della natura. La fenomenologia". Riportiamodi seguito il brano relativo, nel quale Evola mette in evidenza le somiglianze esistenti tra lafenomenologia e le dottrine tradizionali, ma anche i limiti di tale corrente filosofica. MirceaEliade ed altri storici delle religioni hanno per così dire "cavalcato la tigre", assumendoproprio il metodo fenomenologico quale "cavallo di Troia", per entrare nella "cittadella"della cultura ufficiale e così meglio contrapporsi alle vedute materialistiche, un tempoprevalenti, sulle religioni .

J.EvolaCopertura della natura. La fenomenologia

"Nel presente contesto ... è opportuno fare intervenire un'altra idea, quella dellapluridimensionalità dell'esperienza: pluridimensionalità ben distinta da quella, affatto matematicae soltanto pensata, delle ultime teorie fisiche.Per un chiarimento sommario, qui seguiremo di nuovo il metodo di non rifarci direttamente(come pur potremmo) ad insegnamenti tradizionali, ma di esaminare una delle correntimoderne, da cui di essi è in un certo modo raccoglibile una specie di involontario riflesso. Nelpresente caso, possiamo scegliere la corrente dell'«ontologia fenomenologica» dell'Husserl,che talvolta si è mescolata con lo stesso esistenzialismo.L'esigenza di fondo di tale indirizzo è ugualmente di liberare l'esperienza diretta della realtà datutte le teorie, i problemi, i concetti apparentemente esatti e le finalità pratiche con cui vienecelata alla mente. Liberarla dunque anche da ogni idea astratta circa quel che potrebbe esservi«dietro» ad essa, sia in termini filosofici (l'«essenza », la «cosa in sé» di Kant), sia in terminiscientifici. A questo riguardo si ha quasi, dal punto di vista oggettivo, una ripresa dell'esigenzanietzschiana di bandire ogni «aldilà», ogni «altro mondo», e, in corrispondenza, dal punto divista soggettivo, una ripresa dell'antico principio dell'epoché, cioè della sospensione di qualsiasigiudizio, di qualsiasi interpretazione individuale, di qualsiasi applicazione di concetti e dipredicati all'esperienza. Da superare è, inoltre, ogni opinione corrente, il senso di falsa

Page 23: 11 PARTEb - Presenza Mentale e Tipologie

familiarità, di falsa evidenza e di abitudine che si ha delle cose stesse: tutto quel che ha copertolo «stupore» originario di fronte al mondo. Questa è la prima fase.Dopo di ciò, si dovrebbero far parlare gli stessi fatti, o «presenze», dell'esperienza, nel lorodiretto rapporto con l'Io (il che, con un termine assai infelice, in questa scuola viene chiamato laloro «intenzionalità »; in realtà, è dell'opposto di ogni «intenzione» nel senso corrente, che sitratta(1)...).

(1) Nella filosofia scolastica, per intenzionalità (lat. intentio, ted. intentionalität) si intende lacaratteristica degli stati mentali di essere "diretti a" o "vertere su" qualcosa (intentio intellecta,contrapposta all'intenzione etico-morale a cui ci si riferisce normalmente nel linguaggio modernoabituale). Tale concetto scolastico di intenzionalità è stato ripreso, nell’Ottocento, da FranzBrentano e poi dal suo discepolo Edmund Husserl. [n. d. u.]

Qui è da spiegare che cosa, nella corrente in discorso, viene propriamente inteso come«fenomeno» (donde la designazione «fenomenologia »). La parola è stata riportata al suosignificato originario connesso ad un verbo greco che vuol dire manifestarsi, rivelarsi; con essasi vuol dunque significare «quel che si manifesta direttamente», che si offre direttamente comeun contenuto della coscienza. Così ci si scosta dall'uso linguistico del termine «fenomeno»,prevalso nella filosofia moderna, dove al «fenomeno» è stato dato un significato tacitamente oapertamente svalutativo, quello di «semplice fenomeno», opposto a ciò che veramente è,nascondente ciò che veramente è: da un lato l'essere, dall'altro l'apparenza, il «mondo deifenomeni». Questa antitesi viene dunque respinta. Si concepisce invece che l'essere può«manifestarsi» quale veramente è, nella sua essenza e nel suo significato (ed è cosi chel'espressione «ontologia fenomenologica» = dottrina dell'essere basata sul fenomeno, non sipresenta come una palese contradizione). «Dietro ai fenomeni quali li intende la fenomenologianon può esservi null'altro». Il passo ulteriore è la precisazione, che, se nel fenomeno l'essere non si nasconde ma si fàmanifesto, codesta manifestazione ha vari gradi. All'inizio sta il grado ottuso, opaco, dellesemplici presenze sensibili. Ma è possibile un «dischiudimento» (Erschliessung) del fenomeno:il che potrebbe ricondurre, in un certo modo, all'idea poc'anzi accennata dellapluridimensionalità vivente del reale. Conoscere, dal punto di vista della «fenomenologia»,significa procedere a questa dischiusura. Solo che qui non dovrebbe trattarsi di unprocedimento logico o induttivo, scientifico o filosofico. Se mai, si dovrebbe far valere un'ideache nell'Husserl riproduce, diremmo quasi fino al plagio, un insegnamento tradizionale. La«riduzione» o «distruzione fenomenologica» nei riguardi del mondo esterno è, come si è detto,la denudazione dell'esperienza pura e diretta da tutte le concrezioni concettuali e discorsive chela ricoprono. La stessa «riduzione» (è un termine tecnico della scuola) o «distruzione» applicataal mondo interno condurrebbe, come ad un elemento altrettanto originario, alla percezionedell'Io puro o, come l'Husserl lo chiama, dell'«Io trascendentale». Esso costituirebbe quell'unicopunto saldo, o quell'evidenza originaria, che già Descartes aveva cercato, dopo aver applicato ildubbio a tutto. Usando la nostra terminologia, questo elemento, o «residuo», che sussiste di làdalla «riduzione fenomenologica» applicata al mondo interiore e che si manifesta nudo, èl'«essere» in noi, il «Sé» superindividuale. È centro di una luce chiara e immobile, una purasorgente luminosa. Quando la sua luce si proietta sui «fenomeni», ne determina la dischiusura,cioè rende palese in essi una dimensione più profonda, la «presenza vivente », in questa scuolachiamata anche «il contenuto immanente di significato» (immanenter Sinngehalt). Alloral'interiore e l'esteriore s'incontrano.Può essere indicato un ulteriore aspetto della fenomenologia che, come esigenza, rifletteparimenti una veduta tradizionale. Si vuole sorpassare l'antitesi, o iato, di solito esistente fra datidell'esperienza diretta e significati. La corrente in discorso vuole distinguersi sia da quellairrazionalistica e vitalistica, sia da quella positivistico-empiristica. In queste correnti ciò cheresta, dopo che esse a loro modo hanno fatto tabula rasa, è la semplice realtà sensibile«positiva» (punto di partenza della scienza detta parimenti «positiva») ovvero la puraesperienza vissuta come qualcosa di istintivo, di irrazionale, di sub-intellettuale. Invecel'apertura o animazione del fenomeno quando vi si proietta la luce del «Sé», dell'«essere», fa

Page 24: 11 PARTEb - Presenza Mentale e Tipologie

apparire nello stesso fenomeno, come sua essenza ultima, qualcosa che si potrebbe dire«intellettuale» (intelligibile), se oggi per intellettualità non si intendesse ciò che è propriounicamente alla mente raziocinante e astratta. Si può chiarire l'idea dicendo che quel cheinterviene, di là dallo stadio dell'esperienza diretta, sì, ma disaminata e opaca, è «un vedere ilsenso delle cose come una presenza». «Il capire coincide col vedere, l'intuizione (la percezionediretta) col significato». Mentre di solito il mondo ci è dato nella forrna di presenze sensibili (di«fenomeni».) senza significato, oppure di significati (di idee pensate) senza una presenzasensibile (senza una base intuitiva reale) e soltanto soggettivi, le due cosenell'«approfondimento fenomenologico» coinciderebbero, sul piano di una superiore oggettività.A tale stregua la fenomenologia non si presenta come un irrazionalismo o un positivismo, macome una «eidetica» (come un sapere delle essenze intellettuali). La direzione è verso unatrasparenza «intellettuale» del reale. Per il che, naturalmente, vanno concepiti gradi assaidiversi.Quando ancor nel Medioevo si parlò di intuitio intellectualis (intuizione intellettuale), non ci siriferì a cosa diversa. Nel complesso, a limitarsi strettamente ai punti essenziali fin qui messi inrilievo, e nella forma in cui li abbiamo messi in rilievo, sembrerebbe esservi dunque unacorrispondenza fra le esigenze della fenomenologia e quelle da noi stessi poc'anzi formulate.Una tale corrispondenza è però semplicemente formale e illusoria, quanto lo è quella fra i motivi«fenomenologici» e gli insegnamenti tradizionali, benché sia tale che, come si è detto, talvoltaverrebbe da pensare ad un vero e proprio plagio. Di fatto, malgrado tutto, nella scuolafenomenologica, nell'Husserl e nei suoi seguaci, si tratta di semplice filosofia; è come la parodiadi cose appartenenti ad un mondo assolutamente diverso: Creazione essa stessa di«pensatori» moderni, di specialisti universitari, tutta la «fenomenologia» ha per unica base illivello esistenziale dell'uomo moderno, per il quale le «aperture» del fenomeno, cioè la concreta,vivente pluridimensionalità del reale riportato alla sua nudità (Nietzsche direbbe: alla sua«innocenza») sono e debbono essere mere fisime. In effetti, in questa scuola tutto si è ridotto alibri più o meno astrusi, con le solite vane disamine critiche dell'uno o dell'altro sistema dellastoria della filosofia profana, con analisi logiche, col solito feticismo per la «filosofia»: a tacere,poi, della frammistione dei motivi che qui abbiamo isolati e che sono validi, con non poche ideesospette, come nei riguardi del significato attribuito al tempo, alla storia e al divenire, comenell'equivoco di chiamare Lebenswelt (mondo della vita) quello dell'esperienza pura, comenell'altro equivoco proprio al già indicato concetto dell'«intenzionalità», come nelle prospettiveingenue e sfaldate circa un mondo dell'«armonia» e della «razionalità», e via dicendo. Maquesto non è il luogo di procedere ad un'analisi critica o ad una ulteriore discriminazione, datoche qui la «fenomenologia» ci è servita né più né meno come ci è servito l'esistenzialismo:come un semplice, casuale punto d'appoggio.

Ugreg: Il metodo fenomenologico è sicuramente il cuore della fenomenologia di Husserl e, inquanto metodo, l'unica parte della fenomenologia che non debba, come ha sottolineato Evola,essa stessa "esser messa tra parentesi", nell'applicazione rigorosa della "riduzionefenomenologica". In che misura gli storici delle religioni, che come Eliade, hanno fatto uso delmetodo fenomenologico sono riuscti ad applicarlo? Per rispondere a questa domanda, occorreprima esaminare la differenza metodologica che, secondo Husserl, intercorre tra ricerca delleuniversalità empiriche e ricerca delle universalità pure.Una universalità empirica viene creata dalla nostra mente "a posteriori", costruendo unconcetto che esprima le caratteristiche comuni a tutte le singolarità della stessa specie che sonostate da noi esperite. Le universalità pure vanno invece costituite "a priori", partendo da unesempio (che può essere indifferentemente esperito o fantasticato) e facendolo liberamente"variare" nella propria mente, fino a che la variazione non sia tale da uscire dalla specie a cuiappartiene l'iniziale esempio considerato. Per capire la differenza tra i due tipi di universalità, applichiamo i due criteri di ricerca alconcetto che ci interessa cioè alla "ciclicità del tempo". Se è ad una universalità empirica che si mira, si faranno ricerche nell'ambito della storia dellereligioni, radunando tutte quelle concezioni che parlano in qualche modo di un tempo ciclico e,in base a ciò che si è trovato, si creerà un concetto contenente i caratteri comuni a tutte le

Page 25: 11 PARTEb - Presenza Mentale e Tipologie

credenze considerate. Questo modo di procedere offre il fianco a quell'errore che in filosofia sichiama "ignoratio elenchi", cioè a trascurare talune credenze cicliche o perchè non le si èincontrate nei propri studi o perchè, arbitrariamente, le si ritiene secondarie o infine perchèquelle credenze, pur concepibili da mente umana, non sono... ancora state concepite. Se è ad una universalità pura (o essenza o eidos) che si mira si partirà da un esempioqualunque di concezione ciclica del tempo e lo si farà variare nella propria mente, costruendoaltre possibili concezioni, senza tener minimamente conto se tali concezioni si manifestano o sisono manifestate empiricamente nella storia dell'uomo. Con questo metodo si è al riparo da unaignoratio elenchi? I dettagli della tecnica di Husserl non sono chiari, nè sono facili ad applicarsi,onde le incomprensioni sorte tra Husserl e praticamente tutti i suoi diretti discepoli. Ma Husserl e i suoi discepoli non sono stati nè sono gli unici fenomenologi. Ad es. MauriceBlondel ha sviluppato un metodo fenomenologico indipendentemente da Husserl. Blondel, peressere sicuro di aver tenuto effettivamente conto di tutte le possibili variazioni, prende in esameil concetto considerato e la sua negazione. Ciò che "a" afferma e "non-a" nega è l'essenzacercata. Consideriamo le espressioni "tempo ciclico" e "tempo non-ciclico". La primaespressione afferma che nella storia umana vi sono periodi più o meno lunghi di evoluzioneseguiti da periodi di involuzione. La seconda espressione lo nega o propendendo per la staticitàdella condizione umana (nihil novi sub sole) o per una continua evoluzione o per una continuainvoluzione. Dunque ciò che la prima espressione afferma e la seconda nega è l'alternanza diepoche di evoluzione ad epoche di involuzione. E' evidente dunque che, accolta l'idea di ciclicitàdel tempo, non vi è motivo ad es., nel considerare il passaggio dalla fine di un ciclo all'inizio delsuccessivo, di propendere per un passaggio brusco oppure per un passaggio graduale. Infattil'eidos "tempo ciclico" contiene entrambe le possibilità; esse, in un mondo magico, dipendendoin larga parte dall'atteggiamento individuale e collettivo dell'uomo. E veniamo a coloro che hanno applicato il metodo fenomenologico alla storia delle religioni:Mircea Eliade, Gerardus Van der Leew, Rudolf Otto ed altri, come ha sottolineato Ea in unrecente messaggio, si proponevano soprattutto di entrare nella cosiddetta cultura ufficiale percontrobattere il materialismo, perciò essi sono stati costretti a rinunciare a quella ricerca a prioridi "essenze", che ripugnava alla cultura ufficiale di allora, e si sono perciò limitati alla semplicericerca di universalità empiriche. Non ci si deve perciò stupire se nelle loro, pur ponderose,opere compaiono degli inevitabili casi di "ignoratio elenchi". Il metodo di Eliade (1907-1986)viene talvolta definito "ermeneutico", perchè l'approccio fenomenologico deve, secondo questoautore, condurre poi al "significato" del fenomeno religioso studiato (cfr. con quanto ha appenadetto Evola sullo stadio di identità di fenomeno e significato).Diverso è il caso di Walter Heinrich. Egli dice di determinare a priori l'eidos e poi di cercarne aposteriori conferma nella realtà storica. In realtà, come ha già sottolineato qualcuno nelquaderno La Polemica sul Vedanta, egli impone all'eidos di essere in un certo modo, comequando pone l'essenza della metafisica indù semplicemente uguale al Vedanta monistico. Egli considera il suo modo di procedere una formulazione del "metodo tradizionale". Hafondamento la sua pretesa? Dipende.Se per metodo tradizionale si intende una ricerca spassionata delle essenze pure e dei "mondipossibili" nei quali esse possono manifestarsi, è evidente che il metodo di Heinrich nonpersegue affatto una tale finalità e perciò non può condurre ad essa. Se invece per metodo tradizionale si intende la scelta di uno dei mondi possibili e la successivaesposizione di quegli esempi storici che sono ad esso conformi, il metodo di Heinrich èsenz'altro adeguato. In fondo è lo stesso metodo seguito da Evola in "Rivolta contro il mondomoderno", quando dopo aver delineato ciò che è per lui una società "tradizionale", ne ricercaesempi conformi nella storia ed effettua una critica delle civiltà che si discostano dal suomodello e nella misura in cui si discostano. I risultati ovviamente sono un po' diversi da quelli di Heinrich, perchè questi sceglie comemodello di riferimento il Vedanta, mentre per Evola il Vedanta è solo la possibilità culminante diun'Età dell'Argento. In Evola la ricerca dei "mondi possibili" era già avvenuta nel suo cosiddetto"periodo filosofico", quando aveva preso coscienza tanto della "Via dell'individuo assoluto",quanto delle molteplici forme della "Via dell'altro". Essendo la sua scelta ricaduta sulla primavia, l'impostazione di "Rivolta" è consequenziale (1).

Page 26: 11 PARTEb - Presenza Mentale e Tipologie

(1) Inutile dire che, soprattutto nella determinazione delle varie modalità della Via dell'altro edelle corrispondenti Razze dello Spirito, attenendosi agli esempi della storia, Evola non può chepervenire a delle universalità empiriche ed è perciò sempre soggetto al pericolo della ignoratioelenchi, che il suo stesso saggio Considerazioni sull'Uomo Obliquo evidenzia. Per evitare talepericolo occorrerebbe, da parte di chi è oggi interessato a tale determinazione, ricercare delleuniversalità pure [N.d.U].

***

B3.3) Tipologie Planetarie secondo G.Kremmerz

Una alternativa ad una ricerca "ex novo" delle universalità pure, corrispondenti a possibili Razzedello Spirito, è ovviamente ... attenersi alla Tradizione. E' quanto fa G. Kremmerz nei seguentibrani, estratti da due sue conferenze del 1921, ove parla di tipologie planetarie degli esseriumani e dell'uso di Geni planetari per correggerne i difetti.

Da una Conversazione di G. Kremmerz del 15 Gennaio 1921

presso il Circolo Vergiliano - Roma

... I Geni sono inferiori all'uomo. Quindi i Geni - da "generati" - sono esseri vitali, vitalizzati, dideterminato sviluppo, di creazione umana. Sono esseri di altri tempi, ma se ne possono creareanche al giorno d'oggi. Le caratteristiche dei Geni corrispondono ad alcuni caratteri che sonocaratteri magici. Questi caratteri formano l'ideografia del genio, come forza e come intelligenza.Il tipo geniale più perfetto che completa il "tipo" di chi si ascrive alla Schola è un genio. IlCarattere o la Cifra di tale Genio corrisponde al numero del praticante. L'astralità, ossia la"tendenza", è il difettivo dell'individuo che noi consideriamo a seconda della maniera in cuile influenze del mondo hanno agito su lui al momento della sua nascita. Per esempio, chi haun'astralità marziale è un essere forte, battagliero, che si impone. Ma ha una deficienza che è ilcontrario del "tipo" marziale. I marziali peccano di noncuranza a riflettere. Il divino è S che sicompone di T e r. Il genio che si invoca al marziale è quello che ha la qualità opposta e che ne èil correttivo. In ogni astralità c'è il buono e il cattivo. Un marziale può usare la sua volontà in unsenso o nell'altro; può cioè esplicare la violenza o conservare l'equilibrio e non sorpassare certilimiti. Questi sono i "tipi" di marziale violento e di marziale buono. I contrari sono due tipi cheagiscono come complementi e come correttivi. Per esempio, i lunari r sono pervasi da timidità,titubanti, dolcissimi. Sono femminei. I lunari debbono acquistare, conseguire quell'energia che illoro impulso di concezione non ha dato loro. Il lunare si corregge assegnandogli un genio tipicosolare Q. Da tale connubio si ha un complemento che si uniforma al Q, non con tendenzepassive e remissive. Altro caso: un lunare, veramente tale, ossia cattivo, conosce la fantasia,non la verità. E un lunare straripante, un pazzo. Considerandolo si ha l'idea di uno squilibrato. Ilsuo interno è un superfluo di fantasia che è oggettivante e determina quindi lo squilibrio. Percorreggerlo occorre un genio saturniano W. Nel saturniano la fantasia è cancellata. Il tiposaturniano, ossuto, quadrato, mangia bene e beve meglio; se non tocca, non vede e non pensa.È adatto a correggere il lunare. Tutto ciò è necessario per capire che i geni assegnati sonocorrettivi del carattere, che sono educativi, sotto forma di magia.I Geni che noi invochiamo nelle nostre preghiere sono creature vive e viventi, di creazioneumana. Coloro che possiedono i cifrari antichi, possono chiamarli. Diventano elementiniprendendo un elementare e mettendolo in contatto con un uomo.

Page 27: 11 PARTEb - Presenza Mentale e Tipologie

Dalla nostra catena si sprigiona un'anima che è chiamata MIRIAM. Quindi la Miriam è l'animadella nostra catena. I Geni inerenti alla catena sono tutti Geni complementari che sono indicatinelle nostre "carte". Gli EONI, invece, sono esseri di ordine superiore e non di creazioneumana. Sono spiegati variamente. Ne hanno parlato i teologi, i neoplatonici: Dante e molti altri....

Da una Conversazione di G. Kremmerz del 16 Febbraio 1921

presso l'Accademia Pitagora - Bari

...

.L'individuo è ridotto a numero, è classificato con un numero che rappresenta la suapotenzialità. La cifra che egli deve tracciare rappresenta il genio assegnatogli.Per comprendere questa parola genio, occorre spiegare che essa deriva da generare e sta asignificare la forza complementare concreta che serve per aiutare e completare l'individuo nelsuo numero.Ad esempio: consideriamo un individuo che, secondo la nostra teoria, abbia uno sviluppointeramente saturniano. Saturniano significa che preponderano in lui esclusivamente le forzefisiche, e gli attaccamenti alla terra, nei bisogni esagerati e voraci dell'animale che tutto vuoleper la sua conservazione materiale; diffidente e appetente in tutti gli atti che compie: nelmangiare, nel camminare ed anche nello svolgere pensieri nei quali si sente tutto il Saturno,cioè tutto il piombo della sua costituzione: è l'individuo grave, pesante, impacciato che vi fasentire la gravità lugubre della sua presenza, priva di sorriso, traspirante malinconia e mortorio.Questo essere saturniano ha il genio compensativo, che è costituito dall'invocazione al contrariodel suo temperamento intimo fisico e spirituale. Il genio proprio a lui rappresenta il suocomplemento, la sua integrazione ideale e pratica; la correzione del tipo inadatto per mutarlo intipo più leggero e facile nella struttura del suo essere interiore e nella vita di relazione. Potreifarvi osservare che nella recitazione del rito il beneficio del mutamento di vecchio tipo in nuovoe più complesso è il primo beneficio ad apparire nei novizii - nei quali sfugge spesso il gradualemutamento che li rifa da capo a fondo.Osservate gli uomini che presentano una preponderanza venerea. Venere è la dea dellabellezza nella forma più squisita della manifestazione; ma anche nella forma più cattiva. Ivenerei hanno anche bisogno di un complementare, cioè di elementi, di virtù che permettanol'esplicazione di poteri che l'elemento venereo da solo non potrebbe dare. I venerei sonoautoammiratori della loro bellezza; hanno cure esagerate di se stessi, preoccupati solo dellaforma esteriore adorano l'apparenza seducente delle cose. Un venereo assolutamente dedicatoallo specchio, si preoccupa più della cravatta e di una piega dei calzoni che di una questioneseria in cui possa impegnare la sua anima e il suo avvenire. È spesso un elegante infelice.È luiche può essere mutato in uomo equilibrato, evocando il suo coefficiente perché contrario; lo sitrasforma in un essere utile per la società e meno preoccupato di se stesso. Quando dunquesentite questo linguaggio magico di Saturno, di Venere, di Mercurio ecc. ecc. traducetelo sempre in tipo vivente e reale, abbiatene idea chiara e facile secondo gli accenni che vi ho dato....