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dal sito di divulgazione scientifica dell’Associazione Italiana del Libro raccolta del 9 dicembre 2013 scienza

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dal sito di divulgazione scientificadell’Associazione Italiana del Libro

raccolta del9 dicembre 2013

scienza

Un importante esperimento sullamateria oscura dell'universoPaolo Di Sia pag. 3

Le ambiguità delle sviluppo pulito: la terza edizione del Low CarbonEmission SummitGiovanni Perillo pag. 4

Crisi europea: declino o rinnova-mento? Sociologi ed esperti riuniti aCaltagirone nel nome di Don LuigiSturzoRosario Sapienza pag. 5

La Neuropsicomorfologia. Un meto-do innovativo per decifrare il visoBartolomeo Valentino pag. 6

Obesità giovanile: solo un problemadi salute?Salvatore Sutti pag. 7

La produzione del broccolo di natale.Aspetti economiciMichele Cerrato pag. 8

Per un'informazione correttasull'Aids: precauzioni e statisticheSandro Valletta pag. 10

Le due facce del selenio: una poten-zialità tutta da sfruttareClaudio Santi pag. 13

Cambiamenti climatici e adattamen-to ai rischi ambientali: quanto siamopronti?Domenico Ridente pag. 14

Come nascono le cellule tumorali? Ilruolo della biomedicina e della fisicaCaterina La Porta pag. 15

Dalla nutrigenomica un forte impul-so alla prevenzione delle malattieGiorgio Camilloni pag. 17

Un petit tour intorno al "viaggio".Storia di un'idea e di una parola chesono la metafora della vitaCristina Carosi pag. 18

E se Dio non avesse bisogno di esi-stere?Alberto Artosi pag. 20

L'unione monetaria richiede l'unio-ne bancaria Giuseppe Marotta pag. 21

La Curcuma: dalla cucina al laboratorioSalvatore Sutti pag. 22

Origini della neuropsicomorfologia Bartolomeo Valentino pag. 24

Scoperta una mega-frana nel MarIonio al largo di CrotoneAndrea Billi pag. 26

Modelli di studio in Biomedicina:nella sperimentazione animale èItalia vs. Resto del MondoNicola Zambrano pag. 27

Il cervello e le informazioni visive.Nuove teorie dalla University ofArizonaPaolo Di Sia pag. 30

Le sigarette elettroniche: un'alterna-tiva al fumo o un dispositivo persmettere di fumare?Roberta Cifelli e Marcello Locatelli

pag. 31

La sfida dei terawatt all'AccademiaNazionale dei LinceiVincenzo Villani pag. 33

Neuroscienza e coscienza: unamappa dei circuiti neurali del cervel-lo umanoPaolo Di Sia pag. 34

A proposito di scienza che sbagliaDavide Schiffer pag. 36

Non è mai troppo presto: i bambiniall'università. L'esperienza diUnijuniorEleonora Polo pag. 38

L'immortalità digitale. Riflessioni inmargine alla conferenza del GlobalFuture 2045Paolo Di Sia pag. 39

Quale riflessione bioetica nellasocietà moderna?Francesco Manfredi e MicheleSaviano pag. 41

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9 dicembre 2013

Sommario

scienza

L’obiettivo primo consiste nel rive-lare se i flebili segnali di materiaoscura visti da altri esperimenti sonoreali, offrendo in tal modo nuoveinformazioni relative alle discussioniin corso sulla tempistica e gli investi-menti economici relativi a tale setto-re di ricerca. Dalle osservazioni astro-nomiche si conosce che i cinque sestidella materia dell’universo è oscura,pertanto è rilevabile principalmenteattraverso l’interazione gravitaziona-le con la materia visibile. Il tentativoriguarda il rilevamento diretto, relati-vo al presunto passaggio della mate-ria oscura attraverso la terra.

L’esperimento DAMA/LIBRA (DarkMatter Large Sodium Iodide Bulk forRare Processes) al Gran Sasso (Italia)ha rivelato un segnale statisticamen-te significativo, anche se i fisici nonhanno confermato i risultati. Nel2010 l’esperimento “CoherentGermanium Neutrino Technology” inSoudan (Minnesota) e il “CryogenicDark Matter Search” presso l’univer-sità della California (Berkeley) aveva-no entrambi segnalato interessanti,ma non statisticamente convincenti,tracce di potenziale materia oscura;nel 2011 l’esperimento XENON100,presso il Laboratorio Nazionale delGran Sasso, non ha rivelato alcunsegnale. I risultati dell’esperimentoLUX possono fornire indicazioniimportanti circa il futuro di questosettore di ricerca. Vi è anche l’idea di

un’espansione di tale progetto, attra-verso l’installazione di un rilevatorepiù grande dell’attuale, progetto delcosto di 30 milioni di dollari denomi-nato “LUX-Zeplin”. Gli esperimentipossibili potrebbero raggiungere unlimite fisico, relativo all’inevitabilepresenza del rumore di fondo dellealtre particelle debolmente intera-

genti. Un importante candidato perla materia oscura è il neutralino [2,3],particella prevista da alcune teoriesupersimmetriche della fisica dellealte energie, teorie in cui le particellesono accoppiate a controparti piùpesanti. Se l’esperimento LUX porte-rà la precisione della soglia di rileva-mento delle particelle a circa tre voltequella di XENON100, ciò potrebbeescludere il neutralino, spostandol’attenzione (anche teorica) su altreparticelle candidate [4].

Indicazioni bibliografiche:1.http://it.wikipedia.org/wiki/Materia_oscura2.http://it.wikipedia.org/wiki/Supersimmetria3.http://it.wikipedia.org/wiki/Neutralino4. Nature, Vol. 502, Ottobre 201

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scienza

Un importante esperimento sulla materiaoscura dell’universodi Paolo Di Sia

Paolo Di Sia è attualmente professore di Matematica e Didattica pressola Free University of Bozen-Bolzano (Italy). Ha conseguito una laureatriennale in metafisica, una laurea specialistica in fisica teorica e undottorato di ricerca in modellistica matematica applicata alle nano-bio-tecnologie. Si interessa del rapporto tra filosofia e scienza, di fisicaalla scala di Planck e di nanofisica classica e quanto-relativistica. E’autore 72 articoli su riviste nazionali e internazionali, di alcuni capitolidi libri scientifici internazionali, di alcuni libri, revisore di due volumidi matematica e sta preparando un capitolo per un’enciclopedia scien-tifica internazionale.

Inserita nell’ambito dell’EuroAsiaEconomic Forum, si è conclusa laterza edizione del Low CarbonEmission Summit di Xi’an (www.lce-summit.com), in Cina, una delle con-ferenze più importanti del settore inambito mondiale, che ha ricompresoquest'anno anche il tema deiMeccanismi di sviluppo pulito (CDM),intesi come metodologia e program-mazione delle attività antropiche conl’intento di limitare le emissioni digas serra.

Il meccanismo di sviluppo pulito(Clean Development Mechanism oCDM) è uno delle procedure flessibilipreviste dal Protocollo di Ky?to (art.12), che permette alle imprese deipaesi industrializzati con vincoli diemissione di realizzare progetti chemirano alla riduzione delle emissionidi gas serra nei paesi in via di svilup-po senza vincoli di emissione.

Lo scopo di questo meccanismo èduplice: da una parte permette aipaesi in via di sviluppo di disporre ditecnologie più pulite ed orientarsi

sulla via dello sviluppo sostenibile;dall'altra permette l'abbattimentodelle emissioni lì dove è economica-mente più conveniente e quindi lariduzione del costo complessivod'adempimento degli obblighi deri-vanti dal Protocollo di Ky?to. Le emis-sioni evitate dalla realizzazione deiprogetti generano crediti di emissionio CER (Certified Emission Reductions)che potranno essere utilizzati perl'osservanza degli impegni di riduzio-ne assegnati.

Ecco come funziona il meccanismo.Un'azienda privata od un soggettopubblico realizza un progetto in unpaese in via di sviluppo mirato allalimitazione delle emissioni di gasserra. La differenza fra la quantità digas serra emessa realmente e quellache sarebbe stata emessa senza larealizzazione del progetto (scenariodi riferimento o baseline), è conside-rata emissione evitata ed accreditatasotto forma di CER (1 CER = 1 tCO2eq,tonnellate di CO2 equivalenti). I cre-diti CERs possono poi essere venduti

sul mercato e/o accumulati.Ci sono poi altri requisiti, in parti-

colare il progetto deve generare unariduzione delle emissioni di almenouno dei gas regolati dal Protocollo diKy?to (anidride carbonica CO2, meta-no CH4, protossido di azoto N2O,idrofluorocarburi HFC, perfluorocar-buri PFC, esafluoruro di zolfo SF6). Lariduzione delle emissioni deve essereaddizionale alla situazione che siavrebbe in assenza di tale progetto(scenario di riferimento - baseline),ovvero le emissioni reali dovute alprogetto sono minori di quelle che sisarebbero avute in assenza del pro-getto stesso (criterio della addiziona-lità). Inoltre deve essere possibilevalutare quantitativamente le emis-sioni evitate attraverso misure, stimeo altri metodi ufficialmente ricono-sciuti; non sono ammessi progettinucleari e il progetto non deve utiliz-zare fondi pubblici allo sviluppo(fondi ODA).

Gli aspetti positivi sono moltepliciin effetti, ma non mancano critichealla struttura del meccanismo. Questosistema, infatti, consente di trattare leemissioni di gas serra come un qua-lunque altro scambio commerciale,commercializza gli inquinanti invecedi diminuirli. In altri termini un’azien-da può permettersi di continuare adinquinare in patria acquisisce quote diemissioni dove non vengono prodotte,“crediti di emissione” in un paese chenon emette gas serra o ne emettequantità esigue. Così senza una realediminuzione di inquinanti si continuaad inquinare, nel contempo diventan-do proprietaria di una foresta che pro-duce “aria buona”. In altri termini,come sempre accade in queste circo-stanze, occorre valutare molto appro-fonditamente i progetti, al fine di evi-tare “storture” del sistema.

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Le ambiguità delle sviluppo pulito: laterza edizione del Low Carbon EmissionSummitdi Giovanni Perillo

scienza

Giovanni Perillo, laureato in Ingegneria Civile, è docente di HydraulicConstructions and Environmental Topics all’Università degli Studi diNapoli Parthenope. Fà parte di numerosi progetti di ricerca internazio-nali ed è autore di oltre 80 pubblicazioni scientifiche in vari campi del-l’ingegneria. Attualmente è membro dell’International AdvisoryCommittee del Wessex Institute of Technologies, Southampton (UK),per la Conferenza Internazionale Structures Under Shock and Impact,2014 New Forest (UK) e del Comitato Scientifico della ConferenzaInternazionale Low Carbon Earth Summit, 2013, Xi'an (China). E’ inol-tre componente del Comitato Editoriale del Journal of EnergyEngineering Science e del Journal of Hydrology Science, delPublishing Group, New York, USA, di cui è altresì Auditor Scientifico.Dal 1996 è membro della National Geographic Society and since 1998della New York Academy of Sciences. E’ stato infine CoordinatoreScientifico della Presidenza del Consiglio dei Ministri, Dipartimentoper la Protezione Civile, per la cui attività è stato insignito di pubblicaBenemerenza nel 2011.

Si è svolta dal 23 al 26 ottobre aCaltagirone la trentunesima sessioneannuale della Cattedra Sturzo (l’origi-nale think tank promosso dall’IstitutoSturzo di Roma e dall’Istituto diSociologia Luigi Sturzo di Caltagirone)dedicata quest’anno allo studio deltema “Crisi europea: declino o rinno-vamento?”. Le intense sessioni dilavoro, ormai da qualche tempo gui-date e moderate dai giovani studiosidell’ associazione “Amici dellaCattedra Sturzo”, hanno visto lapartecipazione di economisti, storici,sociologi e giuristi provenienti dalleUniversità siciliane e dall’UniversitàLa Sapienza di Roma. Apprezzatissi-mo come sempre il contributo di PieroBarucci, ex Ministro del Tesoro.Toccante il ricordo di Gabriele De Rosaproposto dalla vedova, signora Sabine.

L’Unione sembra in evidente diffi-coltà e il suo modello, che le ha recen-temente fruttato addirittura il PremioNobel per la pace, appare irrimediabil-mente in crisi, peraltro in un contestomultipolare caratterizzato anch’essoda una profonda crisi. Giustamentequanto accaduto recentemente aLampedusa è stato definito una trage-dia europea. Probabilmente si inten-deva sottolineare solo che l’Italia nondoveva essere lasciata sola a fronteg-giare il problema dell’assistenza aimigranti, ma, è stato sottolineato dapiù parti, Lampedusa deve essereconsiderata una tragedia europea,perché l’Unione europea ne porta ladiretta responsabilità a motivo dellasua velleitaria, confusa e ondivagapolitica mediterranea.

Dunque, nell’interrogarci sulladimensione della dignità e dei diritti osugli squilibri economici delle spondedel Mediterraneo, così come sugliinarrestabili movimenti di popolazio-ne, parliamo non solo degli “altri”, ma

anche di noi stessi, di un futuro che ilcomune passato può contribuire adisegnare diverso da come sembranoimporcelo le logiche di una integrazio-ne europea cheappare a volte sordae cieca di fronte aqueste urgenze.

Quello che staa c c a d e n d oall’Unione europeain questi ultimi anniha infatti poco a chevedere con la crisieconomica mondia-le e molto con lacrisi di un progettopolitico e appare amolti come la piùdiretta sconfessionedi un cammino di condivisione fin quipercorso. Ed è probabilmente ricon-ducibile all'esigenza della leadershipeuropea, sotto l’evidente egemoniatedesca, di consolidare un assettosempre più efficiente e accentrato,anche a costo di ... perdere qualchepezzo per strada.

Eppure, nella tradizione del pensie-ro politico e nella storia costituzionaledell'Europa, la condivisione e la soli-darietà, nella forma della garanziadelle autonomie delle corporazioni,territoriali e non territoriali, e dei dirit-ti, dei singoli individui e delle colletti-

vità, hanno rappresentato elementifondamentali del delicato equilibriofra i poteri.

L’Europa dunque non è finita. Essaattraversa un perio-do di crisi che deveessere gestito comeuna occasione did i s c e r n i m e n t o .L’Europa sarà quellache verrà fuori daun rinnovato dise-gno costituente chesappia tenere indebito conto questasua natura più vera,scritta nella sua sto-ria e nella sua geo-grafia.

A Caltagironealeggiava vivo e vitale ancora unavolta lo spirito di Sturzo, che con lasua abituale capacità di analisi ani-mata però da un afflato ideale spintosino alla visionarietà, affermava «Saràun’utopia una qualsiasi forma di StatiUniti d’Europa senza una base econo-mica larga, senza una politica demo-cratica omogenea, senza una morali-tà che possa realmente affratellarci».

Oggi è difficile parlare di Stati Unitid’Europa, ma questo realismo visio-nario è l’unica strada per il rilanciodel progetto europeo.

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Crisi europea: declino o rinnovamento?Sociologi ed esperti riuniti a Caltagironenel nome di Don Luigi Sturzodi Rosario Sapienza

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Rosario Sapienza (Catania 1957), ha studiato Sacra Teologia,Giurisprudenza ed Economia a Catania, Palermo e Firenze.Ricercatore di diritto internazionale a Firenze (1983-1995), dal 2001è direttore della cattedra di diritto internazionale e dirittodell’Unione europea nell’Università di Catania. Dal 2003 al 2009 hadiretto il Dipartimento Seminario Giuridico della medesimaUniversità. E’ direttore dell’Osservatorio Europeo e Internazionale,servizio di documentazione sui profili istituzionali dell’integrazioneeuropea e della cooperazione internazionale.

La Neuropsicomorfologia è daconsiderarsi una continuazione edapprofondimento della tradizionaleMorfopsicologia. Questa studia il rap-porto tra l’Anatomia del volto e gliaspetti della Personalità e la suanascita la si deve al grande LouisCorman,neuropsichiatra franceseche riuscì a farla introdurre, comelaure triennale, nell’ordinamentouniversitario francese. Tuttavia, laMorfopsicologia ha mostrato dellecarenze nella sua impostazione.Infatti, avrebbe bisogno di attingeredi più nelle neuroscienze, biologia,embriologia, nonché sui meccanismidi sviluppo delle strutture osteoar-tromiorecettoriali del nostro viso. Datutto ciò è nata l’esigenza di denomi-nare lo studio tra anatomia del voltoe personalità NEUROPSICOMORFO-LOGIA. In questo termine sono rac-chiuse le tre parole chiavi per com-prenderne il significato.

Neuro, in quanto si dovrà tenerconto delle ultime ricerche in camponeurofisiologico; psico per indicareche studierà gli aspetti fondamentalidella personalità; morfologia, perchésarà il dato anatomico del volto dacui bisogna partire. Non va assoluta-mente confusa con la tramontatafisiognomica che non interpretava il

volto nella sua unitarietà. Sono statiindividuati una decina di principi sucui questo metodo innovativo puòfondarsi. Per esigenze di spazioaccennerò solo a qualcuno di essi. Ilprimo riguarda quello della conser-vazione–espansione. Tutte le struttu-re del volto, nel corso dello sviluppo,tendono o alla conservazione (ritra-

zione) o alla espansione (dilatazione).E ciò in base alla Prossemica, linguag-gio extraverbale che si occupa dellagestione dello spazio fisico e psicolo-gico. Sul piano psicologico è dimo-strato che il contratto corrispondeall’introverso; l’espanso all’ estrover-so.

L’altro principio fondamentale èche le spinte emotive diverse nei sog-getti,a secondo se sono, dunque, deicontratti-introversi o dei dilatati-estroversi, determinano un’attivitàdifferenziata dei muscoli mimici maanche delle altre strutture anatomi-che del viso.

Ancora il viso comprende trepiani: superiore o cerebrale,medio oaffettivo,l’inferiore o istintuale. Ognipiano è correlato con le funzioni deicosiddetti cervelli uno e trino di MacLeran: rettili ano,limbico,neocortica-le. Sinteticamente come si conduceun’analisi neuropsicomorfologica ?

Supponendo che:a=armonia tra le strutture del voltoovvero equivalenza tra elementi dicontrazione e di espansioneb=disarmonia con prevalenza di ele-menti di contrazione (introversione)c=disarmonia con prevalenza deglielementi di espansione (estroversio-ne)

Indicando con PS il piano superioreo cerebrale; PM il piano medio oaffettivo; PI il piano inferiore o istin-tuale. Avremo per ogni piano questepossibilità:PS:a-b-c PM:a-b-c PI:a-b-c

Combinando queste eventualitàrisulteranno altrettanti morfotipi ecorrispondenti aspetti della persona-lità

A chi interessa la neurpopsicomor-fologia? A tutti. Dai genitori agli inse-gnanti dai medici agli imprenditoriecc essendo un metodo di lettura delvolto che ci aiuta a capire noi stessi e,quindi, a migliorare la qualità dellavita

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La Neuropsicomorfologia. Un metodo innovativo per decifrare il visodi Bartolomeo Valentino

scienza

Bartolomeo Valentino. Laurea in Medicina e Chirurgia eSpecializzazione in Geriatria e Gerontologia presso l’UniversitàFederico II di Napoli. Dal 1973 Assistente Ordinario presso la Cattedradi Anatomia Umana Normale. Dal 1985 Professore Universitario diRuolo di Anatomia Umana Normale nella Facoltà di Medicina eChirurgia nel Corso di Laurea in Odontoiatria e Protesi Dentaria dellaSeconda Università di Napoli. Incaricato di Anatomia del MassiccioMaxillo- facciale nella Specializzazione in Chirurgia Maxillo Facciale.Ha diretto Corsi Triennali di Psicomotricità e Biennali per Insegnanti diSostegno svolgendo l’insegnamento di Psicomotricità dell’età evoluti-va. Autore di oltre 160 pubblicazioni su Riviste italiane ed estere aventiper oggetto di studio la Postura collegata all’Apparato Stomatognatico.Autore, inoltre, di testi specifici sulla Morfopsicologia e cultore dei lin-guaggi extraverbali.

Il tasso di obesità infantile è cre-sciuto drammaticamente nelle ulti-me due decadi divenendo un grossoproblema sociale nei paesi occidenta-li ed in particolar modo negli StatiUniti. E’ importante prevenire e/ocurare l’obesità infantile poiché,bambini obesi hanno una maggiorprobabilità di mostrare sintomi dipatologie croniche quali malattie car-diache, steatosi epatica, diabete ditipo 2, problemi respiratori che per-durano nell’età adulta.

Tra i molteplici fattori alla base del-l’insorgenza dell’obesità, i genitoririmangono uno dei “fattori” piùimportanti nel determinare qualesarà il peso corporeo del bambino. Aparte l’influenza genetica, i genitoriplasmano i comportamenti alimen-tari dei figli e determinano qualità,disponibilità, accessibilità, tempo efrequenza dei pasti. E’ opportunoricordare che bambini provenienti dafamiglie meno abbienti hanno unamaggiore probabilità di essere insovrappeso od obesi, rispetto a quelliche vivono in famiglie agiate. Infatti,condizioni socio-economiche scarsesono fortemente associate a livelliridotti di scolarizzazione dei genitori,reddito familiare scarno e talvoltainsufficiente.

Generalmente, in tali contesti, leporzioni di frutta e verdura consuma-te, ogni giorno, sono tendenzialmen-te minori. Inoltre, il miglioramentodei processi di produzione industria-le ha reso più semplice la disponibili-tà di snacks e bevande zuccherate abasso costo, così come di piatti giàpronti che generalmente hanno uncontenuto calorico più elevato. Inparticolare, il consumo del cibo, cosìdetto, “spazzatura” (junk food) siacuisce nei periodi di crisi economicadato che il costo di tali prodotti èsignificativamente minore.Continuando l’analisi possiamo rile-vare che i livelli di obesità giovanile

appaiono più elevati nelle aree urba-ne rispetto a quelle rurali, sebbene,nelle prime ci siano più centri sporti-vi e palestre, ma spesso le risorseeconomiche dei residenti, sfortuna-tamente, non consentono l’accesso atali strutture.

E’ stato osservato che i soggetti inetà pediatrica che hanno liberoaccesso a parco giochi o giardini pub-blici sono molto più attivi fisicamen-te, trascorrono più tempo all’ariaaperta, rispetto a quelli che non risie-dono in prossimità di aree gioco libe-re e sicure. Questi ultimi rimangonopiù tempo in ambienti chiusi assu-mendo uno stile di vita sedentario,caratterizzato da ridotta attività fisi-ca aerobica insufficiente a mantene-re un peso corporeo regolare.

Molteplici fattori contribuisconoall’insorgenza dell’obesità giovanile:la genetica, l’eccessiva e scorretta ali-mentazione, la scarsa attività fisica,ma contestualmente non dobbiamo

dimenticare che tutto ciò non puònon essere analizzato in funzionedelle condizioni socio-economiche eculturali nelle quali il bambino cre-sce.

Fonti Bibliografiche:• A narrative literature review of thedevelopment of obesity in infancyand childhood.• Robinson S,Yardy K, Carter V. J ChildHealth Care. 2012 Dec; 16 (4):339-54• Parenting styles, feeding styles, andtheir influence on child obesogenicbehaviors and body weight. A review.• Vollmer RL, Mobley AR. Appetite.2013 Aug 31; 71C:232-241

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Obesità giovanile: solo un problema disalute?di Salvatore Sutti

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Dott. Salvatore Sutti. LaureaMagistrale in ScienzeBiologiche Applicate. Dottoratodi Ricerca in MedicinaMolecolare

Il progetto di ricerca è stato attiva-to per l’anno 2012 dalla Confede-razione agricoltori di Salerno e finan-ziato dalla Camera di CommercioIndustria e Artigianato di Salerno. Alprogetto hanno partecipato 14 agri-coltori coordinati dal Dott. EustacchioSellitto.

L’elaborazione dei dati e delle infor-mazioni è stata realizzata presso ilLaboratorio di Economia Agroalimen-tare, Trasporti e Turismo afferente alDipartimento di Scienze Economichee Statistiche dell’Università degliStudi di Salerno.

Aspetti economici della produzionedel broccolo di natale in alcuneaziende dell’Agro-nocerino sarnese.

Il broccolo di natale è una brassica-cea che fino a pochi anni fa eraampiamente diffusa nell’ agro cam-pano, attualmente, si coltivazionequasi esclusivamente nell’ agro-nocerino sarnese e nei limitrofi terri-tori della provincia di Napoli. Dasempre questo prodotto si consumain prossimità delle feste natalizie dacui ne deriva il nome. La causa dellaquasi scomparsa di questa coltiva-zione va cercata nel ristretto periododi consumo (in prossimità delle festi-vità natalizie). In quanto eventualiritardi o anticipi di maturazioni nerendono difficile la commercializza-zione. Ad oggi, la produzione vienedestinata quasi esclusivamente all’autoconsumo e solo una minimaparte raggiunge i mercati.

La durata del ciclo produttivo e dicirca 5 mesi e raramente si protraeper periodi più lunghi. La coltivazio-ne inizia con la semina nel semenza-io (il seme spesso prodotto dagli stes-si agricoltori) nella seconda metà diluglio su un terreno ben lavorato edabbastanza umido; il trapianto dellepiantine avviene in campo entro 40giorni dalla semina con una distanzadi circa 50 cm sulla fila e 80–100 cm

tra le file.E’ pratica diffusa, soprattutto nelle

annate siccitose annaffiare le pianti-ne appena messe in campo con il finedi innalzare la percentuale di attec-chimento. Dopo circa un mese daltrapianto viene eseguita una sarchia-tura e una concimazione, solitamen-te con solfato ammonio. E’ importan-

te durante gli autunni piovosi evitarei ristagni di acqua nel terreno chepossono provocare un indebolimentodel colletto e conseguentemente lamorte precoce della piantina.

I primi broccoli si possono racco-gliere nel mese di novembre. Il pro-dotto si presenta di pezzatura piutto-sto grossa con il peso che varia dai700 ai 1500 gr. La raccolta avvienetagliando l’infiorescenza alla base delcolletto a cui successivamente ven-gono asportate le foglie più grandi. Ilprodotto così lavorato é pronto peressere commercializzato a singolipezzi o raramente in piccoli fasci for-mati da due o tre pezzi.

Durante lo svolgimento del proget-to è stato realizzato un accordo com-merciale tra i produttori e alcunipunti vendita della grande distribu-zione concentrati prevalentementein comuni limitrofi alla città diSalerno. Complessivamente, la pro-

duzione commercializzata è stata dioltre 10 mila pezzi di cui il 50% èstato avviato ai mercati all’ingrosso,il 20% circa alla Grande Distribuzione(previo accordo), il 15% a gruppi diacquisto solidali e la rimanente partealle vendite ai consumatori.

Un aspetto fondamentale è stato ladeterminazione della redditività. Perquesto fine sono stati redatti duequestionari di cui il primo finalizzatoad acquisire le informazioni di carat-tere generale delle aziende parteci-panti al progetto (ordinamento pro-duttivo, caratteristiche del lavoro, laproprietà dei terreni, la forma di con-duzione, ecc.) ed il secondo con loscopo di rilevare i dati e le informa-zione relativi agli strumenti dellaproduzione utilizzati.

Il primo questionario è stato com-pilato da tutti gli agricoltori parteci-panti al progetto, mentre il secondoda un singolo agricoltore.

I motivi per i quali si è deciso diindirizzare l’analisi economica versouna sola azienda sono i seguenti:• tutte le aziende hanno investito lastessa superficie di terreno e utilizza-to la stessa tecnica di coltivazione;• per tutte le aziende i proventi dellavendita dei broccoli risultano margi-nali al fine della formazione del red-dito aziendale;• tutte le aziende sia per l’acquistodei mezzi produttivi sia per la vendi-ta dei prodotti hanno fatto riferimen-to allo stesso tipo di mercato.L’azienda oggetto dell’analisi econo-mica presenta i seguenti aspetti:• è un impresa diretto coltivatrice incui la manodopera impegnata è for-nita esclusivamente dall’imprendito-re e da membri della sua famiglia,• ha una superficie di circa un ettarocon indirizzo produttivo orticolo.

La metodologia del calcolo dei costie del Reddito Lordo

Il parametro economico di riferi-

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La produzione del broccolo di natale.Aspetti economicidi Michele Cerrato

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mento è il reddito lordo che è datodalla differenza tra valore dei prodot-ti venduti e i costi variabili. La sceltadi questo indicatore è stata operataper i seguenti motivi :• si tratta di una coltura sperimenta-le e che interessa una minima partedella superficie aziendale, quindirisulta difficile attribuire in propor-zione il giusto valore dei costi fissi ;• il criterio del reddito lordo è un utilestrumento per l’elaborazione di unbilancio preventivo• è uno strumento che permette diconfrontare i risultati economicidelle diverse produzioni presenti nel-l’azienda ed eventualmente dimen-sionare la loro presenza.

Con riferimento all’analisi dei costie del Reddito Lordo si è tenuto contodelle seguenti componenti:• spese per l’acquisto di concimi,sementi e materiale di imballaggio(questa voce corrisponde ai costieffettivamente sostenuti dall’agricol-tore pari a 47 euro)• il costo delle macchine è stato otte-nuto moltiplicato il fabbisogno in oredella coltivazione (pari a 4,5 h x 45Euro dato dal costo orario di noleggio)• gli interessi sul capitale di anticipa-zione (calcolati per un periodo di cin-que mesi ad un tasso annuo del 5%)• il costo del lavoro (ottenuto molti-

plicando il numero delle ore impiega-te pari a 48 per una tariffa oraria di 8euro/ora, comprensivi di oneri socia-li)• il valore dei prodotti venduti (pari acirca 880 euro, escluso gli autoconsu-mi)

Secondo l’analisi da noi effettuatacosì vengono ripartite le principaliVoci di costo:• Prodotti venduti: 880 euro• Manodopera: 384 euro• Noleggi: 202 euro• Spese per concimi, imballaggi: 47euro• Interesse sul capitale di anticipazio-ne: 10 euro• Totali costi variabili: 642 euro• Reddito Lordo: 238 euro

Dall’analisi dei dati economici sinota che il reddito lordo è pari a 238euro e che la maggiore voce di costo èrelativo alla manodopera (pari al 60 %circa). La voce noleggi è importantein quanto è indicativa del costo diutilizzo delle macchine.

ConclusioniDai risultati della ricerca emerge

che la coltivazione del “broccolo dinatale” è di semplice realizzazione,data la sua rusticità. Questo aspetto èdi grande stimolo non solo per gliagricoltori in quanto tali ma per tutti

coloro che, in possesso anche di pic-coli appezzamenti di terreno, voglia-no intraprendere questa coltivazioneche non richiede grosso impegno dicapitali e di lavoro.

Inoltre, l’area interessata dal pro-getto, essendo fortemente antropiz-zata, può ricavare benefici da questacoltivazione mitigando di fatto l’ab-bandono del territorio.

Un ulteriore ed interessante aspet-to riguarda la conservazione dellabiodiversità, in quanto ad aggi granparte del seme utilizzato è autoctonoe prodotto dagli stessi agricoltori.

Infine, non va trascurata la possibi-lità di poter commercializzare il pro-dotto su mercati lontani dai luoghi diproduzione, corrispondendo così alleesigenze della commercializzazionein quarta gamma.

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Michele Cerrato. Laureato nel 1987 in Scienze Agrarie pressol’Università degli Studi di Napoli Federico II. Dal 1996 al 1999 è statoricercatore presso la Facoltà di Economia dell’Università degli Studi diSalerno. Dal 1999 è ricercatore confermato. Dall’ anno accademico2001-2002 ho svolto attività di docenza presso l’Università degli Studidi Salerno ( Facoltà di Economia) e dell’ Università degli Studi diCatanzaro ( Facoltà di Medicina Veterinaria) per materie assimilabiliall’ Economia e Gestione delle Aziende Agrarie. E autore di numerosepubblicazioni su riviste nazionali e di alcune monografie. Le ricerchehanno interessato prevalentemente le filiere zootecniche e le AnalisiEconomiche dei processi produttivi agricoli. Ha svolto numerosi incari-chi di collaborazione sia con enti pubblici di ricerca sia con associa-zione di agricoltori

Chiariamo subito una cosa: quellache sto per raccontare è una bugia.Una bugia utile a far capire una verità.È vero che i giornalisti dovrebberosempre dire la verità, ma se scrivessiuna lista di numeri alla terza rigasmettereste di leggere: primo doveredi un giornalista, cui io non sono, èinformare, ma se il lettore interrom-pesse la lettura alla terza riga sareivenuto, comunque, meno al mio dove-re. Siccome dietro a ogni numero, aogni statistica ci sono delle personereali, ho deciso di raccontare una sto-ria. I dati li darò dopo (e quelli sonoveri), ma prima bisogna capire cosa c’èdietro a quei numeri. Ho profondorispetto del lettore, motivo per cui ciho tenuto a precisare che la storia chesegue non è vera: avrei potuto nonfarlo, nessuno se ne sarebbe maiaccorto per quanto quello che raccon-terò è plausibile. Così plausibile cheper legge sono costretto a metterequesta dicitura: ogni riferimento a per-sone, luoghi, fatti ed eventi realmenteaccaduti è da reputarsi puramentecasuale.

Questa è la storia di Lorenzo, cheoggi ha 23 anni e si sta per laureare inScienze Politiche. Nonostante tutto. Iltutto inizia alcuni anni fa: Lorenzoha 17 anni ed è alla sua prima vacan-za con i compagni di classe, la IV liceoscientifico di Latina. La prima seraLorenzo incontra una ragazza bionda,molto bella e poco più grande. Labiondina vuole passare la notte conlui. Lorenzo però è impacciato, nonl’ha mai fatto e non se la sente. I com-menti dei compagni lo fanno sentireuno stupido: andare a letto con unapiù grande gli avrebbe permesso divantarsi per anni, gli dicono. La veritàè che quasi tutti i suoi amici sono ver-gini come lui, ma non hanno il corag-gio di ammetterlo.

Passano i giorni e Lorenzo conosceCristina: 19 anni, in vacanza con isuoi compagni per festeggiare la

maturità. Il loro rapporto diventasubito profondo. Lei è fantastica,sembra essere l’unica che davvero locapisca. Lorenzo è cotto, e le passeg-giate in riva al mare in cui ci si rac-conta di tutto sembrano già il massi-mo che si possa desiderare. Una serain discoteca arriva il primo bacio, poii due vanno in spiaggia. Lui ha i pre-servativi, ma lei lo tranquillizza:avendo avuto un rapporto a rischio,aveva appena fatto il test dell’HIV edera risultata negativa. Lui non loaveva mai fatto, quindi perché rovina-re la magia della prima volta con ilpreservativo?

Ritornato a Latina, Lorenzo fa pro-getti e vola con la fantasia: quell’annosarebbe andato da Cristina a Milanoin treno ogni quindici giorni e l’annosuccessivo si sarebbe trasferito lì perl’università. Ma Cristina sparisce einizia a non rispondergli più al telefo-no. Poi, il primo giorno di scuola, unsms: “Ciao Enzo, scusa per come misono comportata. Uscivo da una sto-ria travagliata e questa estate volevosolo divertirmi. Non meritavi di esse-re trattato così, ma se sapessi che mipassava per la testa in quei giorni miperdoneresti. Ora è tutto ok. Non cer-carmi più. Ti auguro di trovare unapersona che ti meriti. Cri”. A Lorenzocrolla il mondo addosso: perché l’ave-va trattato così? Vuole saperlo, il suoterrore è che possa trattarsi di unagravidanza e va a Milano. Cristinaacconsente di vederlo per l’ultimavolta ma si presenta con un ragazzomoro con gli occhi neri: è il suo fidan-zato. Pericolo gravidanza scongiurato,Lorenzo torna a casa.

Passano i mesi e con giugno arrival’esame di maturità. Mentre Lorenzo èconcentrato sul libro di matematicagli arriva un sms: “Ciao Enzo, sonoCri, ti ricordi di me? Ti chiedo un favo-re: mi vieni a trovare? Sono in ospe-dale, è grave. Tvb, Cri”. Lorenzo tornaa Milano. Cristina lo attende in un

letto bianco, magrissima e minuscola.I suoi occhi, unica cosa che la rende-vano riconoscibile, sembrano ancorapiù grandi sul viso adesso scavato. Lebraccia e le gambe sono martoriate daenormi bolle scure che le hannoalmeno risparmiato il viso. «Cristina,cos’hai?». Lei: «Sto morendo, hol’Aids». «Non ci credo, è stato queldisgraziato con gli…», sbotta Lorenzoche non fa in tempo a finire la fraseche viene interrotto: «No, al ragazzocon gli occhi neri l’Aids l’ho trasmes-sa io, per quello non è qui, non riescea perdonarmi». Lorenzo: «Ma come èpossibile, tra me e lui hai avuto unaltro?». No. Lorenzo inizia a capire. Sisente spacciato. Cristina gli raccontadi Andrea, il primo ragazzo della suavita, quello con cui era stata primadella famosa vacanza. I genitori di leinon erano contenti che lo frequentas-se perché si ubriacava e si faceva lecanne, ma Cristina faceva di tutto perincontrarlo di nascosto. Proprio comeLorenzo l’estate prima nei suoi con-fronti, lei sentiva che Andrea eral’unico che la capiva, e il fatto che luiin sua presenza non bevesse e nonfumasse la faceva inorgoglire: questoragazzo stava cambiando per lei.Dopo qualche mese avevano fatto

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Per un'informazione corretta sull'Aids: precauzioni e statistichedi Sandro Valletta

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l’amore. Senza preservativo. Leiavrebbe preferito usarlo ma lui si eraoffeso: «Pensi che sono malato, non tifidi?». Una settimana dopo Andreaaveva lasciato Cristina che era venutapoi a sapere quante ragazze lui si por-tasse in macchina ogni sera, dopo ladiscoteca, ubriaco e sballato. Tradita edelusa, aveva fatto il test dell’HIV. Perfesteggiare il risultato negativo eraandata in vacanza con le amiche conun obiettivo che per loro era quasi ungioco: trovare un bravo ragazzo e ven-dicare la delusione d’amore su di lui.Più che deluso, Lorenzo ora teme perla sua salute: «Ma hai detto che avevifatto il test e che non eri malata!Quindi io sto bene!». Poi Cristina glispiega del “periodo finestra” in cui leanalisi non rilevano il virus…

Cristina non arriverà all’agosto suc-cessivo. Lorenzo scoprirà di esseresieropositivo. Adesso conduce unavita normale, o quasi. Prende ognigiorno a orario diverse pastiglie che avote gli causano la nausea, special-mente oggi che Lorenzo si laurea. Lostress sembra aiutare le pastiglie acausargli dei fastidi. Accanto a lui c’èSara. Lei lo ama così com’è. Stannoinsieme da tre anni e vogliono spo-sarsi. Crescendo Lorenzo ha imparato

che Sara è l’unica ragazza che abbiamai amato: come si può non amarequalcuno che non scappa di frontealla tua malattia ma ti sta accantoanche se sa che farete l’amore sem-pre col preservativo e che il figlio chedesiderate nascerà grazie alla fecon-dazione artificiale? Questo è l’amore.Lorenzo pensa che gli sarebbe piaciu-to incontrare Sara prima e noncostringerla a questa vita di privazio-ni e spesso si sente in colpa per que-sto ma a volte capita che la vita cimandi delle prove quando non siamoancora pronti per superarle. Ma oggiLorenzo non vuole pensarci. OggiLorenzo diventa dottore.

Raccontata una favola adesso nonci mettiamo a fare la morale. Unacosa, anche per non creare inutiliallarmismi, bisogna però dirla: l’Aidsnon è l’influenza, non ci si contagiasui mezzi pubblici, il contagio avvienesolo tramite i nostri comportamenti.Se ci si comporta bene non ci siammala. Sembra la più banale delleregole ma proprio per questo si tendespesso a dimenticarla.

Passiamo ai numeri: in tutto ilmondo sono più di tremilioni le vitti-me dell’Aids (l’influenza A che tantoci preoccupa in questi giorni non arri-

va alle tremila vittime, una cifra cheha ben tre zeri in meno ma che ci fapreoccupare molto di più) e sono piùdi 40 milioni i sieropositivi. E se ilmondo fosse troppo grande (sipotrebbe obiettare che comprendeanche l’Africa, dove non c’è quasinessuna forma di prevenzione) guar-diamo solo all’Europa occidentale:sono circa 730mila i sieropositivi,circa l’1% della popolazione. In parolepovere, se hai 200 amici su facebookalmeno due di loro hanno l’Aids, matu probabilmente non sai chi.

Relativamente all’Italia i casi diAIDS accertati dall'inizio dell'epide-mia (il primo caso registrato è del1982) al 2004 sono stati circa 60.500, dicui oltre 39.000 con esito letale. Ilnumero dei sieropositivi oggi è stima-to intorno ai 140.000, di cui circa unterzo sono donne. Ogni anno nelnostro paese dalle 3.500 alle 4.000persone contraggono il virus dell'HIV,e circa metà entrano nella fase dellamalattia vera e propria. Desta preoc-cupazione il fatto che i casi di AIDSconclamato abbiano iniziato adaumentare dal 2001 in poi.

Troppo spesso dimentichiamo diricordare ai nostri ragazzi comeavviene il contagio quindi non saràsuperfluo sottolinearlo: il virusdell’HIV (quello che causa l’Aids) sitrova in qualsiasi liquido corporeo,ma se sudore e saliva ne contengonouna quantità non sufficiente al conta-gio, sono molto pericolosi invece ilsangue, lo sperma, il liquido pre-eia-culatorio, le secrezioni vaginali, e illatte materno. Il che vuol dire che unostarnuto non è pericoloso, non lo èfare ginnastica con persone siero-positive e non lo è nemmeno baciarleo abbracciarle (salvo casi estremicome eventuali lesioni epidermiche). Icomportamenti a forte rischio sono:tutte le attività sessuali (l’uso del pre-servativo riduce dell’85-90% la possi-bilità di contagio e la protezione è

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tanto più efficace quanto meglioviene utilizzato), usare siringhe usateda altri, gravidanza e allattamento alseno di bambini nati da mamme sie-ropositive.

I ragazzi dovrebbero sapere cheanche chi sembra in perfetta salutepuò avere e trasmettere l’Aids. I siero-positivi all’apparenza sono perfetta-mente sani, e spesso non sannoneanche di essere stati contagiati: avolte il virus (HIV) può impiegare anniprima di far sviluppare la malattia(Aids).

Non sarà superfluo a questo puntonemmeno ricordare cosa sia esatta-mente l’Aids: l’acrostico sta perAcquired ImmunoDeficency Sindro-me (Sindrome da ImmunoDeficienzaAcquisita) e, com’è deducibile dallaparola stessa, consiste in un progres-sivo indebolimento del sistemaimmunitario. Il tempo in cui questoprocesso avviene cambia da personaa persona, ma in pochi anni arriva pertutti coloro che abbiano contratto ilvirus. Che cosa comporta? Che tuttequelle miriadi di batteri con cuiveniamo in contatto ogni giorno enormalmente non provocherebberomalattie, diventano pericolosissime.

Queste infezioni, chiamate “opportu-nistiche”, vanno dalla tubercolosi aitumori, dalla polmonite alle infezionicerebrali.

Ultimo e importante particolare:contratto il virus non è possibile rile-varlo immediatamente, ma si èimmediatamente contagiosi. Stiamoparlando del periodo finestra di cui siaccennava nella storia. Partiamo dalprincipio: l’unico modo di sapere se,in seguito a un comportamento arischio, si è contratto il virus dell’HIVè fare l’apposito test. Si tratta di unsemplice prelievo del sangue che va acercare la presenza degli anticorpianti-HIV. Attenzione però: la rivela-zione non è immediata. Ci voglionoalmeno sei mesi dal momento delcontagio per avere un risultato sicurodel test. Questo è il periodo finestra:dal momento in cui si contrae il virusci vogliono almeno sei mesi perché iltest possa rivelare la presenza deglianticorpi nel sangue. Una persona acui non è stato dato il tempo di svi-luppare gli anticorpi può risultare sie-ronegativa anche se ha già contrattol’infezione e può trasmettere ad altriil virus (è il caso della storia diLorenzo e Cristina). In parole sempli-

ci: non solo un esame fatto prima diquesto periodo non dà risultati sicuri,ma in questi sei mesi il sieropositivo(anche se non sa ancora di esserlo) ègià contagioso.

I ragazzi troppo spesso sottovaluta-no il valore della fedeltà. Ma qualchecolpa in questo ce l’abbiamo pure noi.Troppo presto smettono di credere alvero amore e si buttano tra le bracciadella prima persona che gli regali unsorriso, tanto hanno bisogno di quel-l’attenzione. I nostri ragazzi oggi ele-mosinano affetto, quell’affetto chespesso non trovano in casa. Se glirestituissimo quella fiducia nei geni-tori, nella scuola, nelle istituzioniforse capirebbero cosa vuol dire fidar-si di qualcuno e non risponderebberopiù tanto facilmente “sì” a quel “ti fididi me?” chiesto da un coetaneo cheha finito per supplire (spesso nel peg-giore dei modi) alle nostre carenze ditempo, d’affetto e d’attenzione.

Non pensiamo che chi ha l’Aids sela sia andata a cercare. All’inizio sidiceva che riguardava solo gli omo-sessuali, e mentre loro iniziavano aporsi il problema tutti gli altri sottova-lutavano il pericolo. Poi iniziarono amorire i primi eterosessuali e si iniziòa dire che erano tutti drogati. Soloquando si iniziarono ad ammalareanche i bambini ci si rese conto delvero pericolo: è vero che ci si ammalasolo in seguito a comportamenti indi-viduali, ma se conosciamo qualcunoche ha contratto il virus non dobbia-mo trattarlo come un appestato chese l’è andata a cercare. Come nellastoria raccontata, potrebbe solo trat-tarsi di qualcuno che ha avuto la sfor-tuna di innamorarsi della personasbagliata, o di essere fragile nelmomento sbagliato. E chi di noi non èmai stato fragile? Magari siamo statisolo più fortunati.(Ha collaborato la Dott.ssa MoniaNicoletti)

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Sandro Valletta è docente a contratto in Diritto delle Migrazioni, pressol’Università degli Studi “G. Marconi” di Roma Docente in diversiMaster per la Società di Formazione Genuensis C.I.C. dal 2007 a tut-t’oggi. Direttore Didattico del Master in Scienze Diplomatiche eConsolari e Scienze Giuridiche, Economiche e della P.A .Vice-direttoredel Master in Diritto Internazionale Umanitario. Presidente delComitato Tecnico-Scientifico e Direttore Didattico per la Societa’ diFormazione Genuensis C.I.C. Vice Presidente del Centro Studi perl’Immigrazione sito in Via Torino,12, a Roma. Presidente del CentroStudi Politici, Giuridici e Sociali “Remo Gaspari” di Avezzano (AQ).Consulente-Progettista per l’A.N.O.L.F.-CISL (Associazione NazionaleOltre le Frontiere) di Avezzano (AQ). Docente in diversi Master diLivello. Collaboratore fisso in diversi Giornali e Riviste con numerosePubblicazioni. Scrittore, con all'attivo 7 Opere sul Tema del DisagioSociale,sulla Politica e sull’Immigrazione. Molti Riconoscimenti aLivello Nazionale e Locale.

Da quando lo stress ossidativo èstato correlato ad una vasta serie distati patologici, alimenti e compostiin grado di contrastare i danni pro-dotti dalle specie reattive dell’ossige-no (ROS) hanno iniziato a godere diun sempre più crescente interesse siadal punto di vista scientifico che daquello più prettamente commerciale.Tra questi c’è senza dubbio il Selenioun elemento che, per un lungo perio-do, è stato considerato un veleno eche oggi invece ritroviamo in quasitutti gli integratori alimentari ed inalcuni alimenti artificialmente arric-chiti.

E’ abbastanza curioso ricordare chela tossicità del selenio è un fenome-no riportato prima ancora cheBerzelius scoprisse questo elementonel 1817. E’ Marco Polo, che nel 1285annota nei suoi diari della perdita dialcuni cavalli avvelenati dal frumen-to della provincia dello Shanxi nellaCina occidentale descrivendo sinto-mi che oggi possono essere, con unacerta ragionevolezza, attribuibili aselenosi (avvelenamento da selenio).Solo molto recentemente, intornoagli anni sessanta, viene per la primavolta intuito e dimostrato il ruolo cheil selenio ha negli esseri viventicome microelemento essenziale,componente di alcune proteine chia-ve nella regolazione del redox cellu-lare e che intervengono sia nella pro-tezione dai ROS che nell’attivazionedegli ormoni della tiroide. Un ele-mento quindi fondamentale per ilmantenimento delle condizioni otti-mali della vita sia per alcuni micror-ganismi che per i mammiferi e che,nel caso di questi ultimi, può essereadeguatamente assunto con unadieta equilibrata. E’ presente in altis-sime concentrazioni nelle noci brasi-liane e nei semi di senape ma unbuon apporto viene anche dallacarne, dalle uova, dai crostacei e daalcuni molluschi (come vongole ed

ostriche) cosìcome dai cereali edalle farine inte-grali.

La supplemen-tazione, alla lucedi numerosistudi, appare unapratica necessa-ria solo in parti-colari e rare situa-zioni e soprattut-to non deve esse-re consideratapriva di potenzia-li effetti collatera-li. E’, d’altrocanto, innegabileche il business degli integratori ali-mentari muove una golosa fetta delmercato farmaceutico e parafarma-ceutico, proprio quella fetta di mer-cato che ha permesso al settore diammortizzare quasi completamenteil periodo di crisi economica che stia-mo attraversando.

Ma quali sono le reali prospettiveper questo elemento? La ricercascientifica, negli ultimi decenni, stadelineando con sempre maggioreprecisione i meccanismi chimici con

cui il selenio agi-sce nei sistemiviventi aprendovie interessantiper l’utilizzo dipiccole molecoleseleniorganichecome potenzialifarmaci nel trat-tamento dinumerose patolo-gie (come agentia n t i o s s i d a n t i ,anticancro, anti-batterici ed anti-HIV).

La sfida, tuttaancora da gioca-

re, sta proprio nel riuscire a control-lare e sfruttare questa duplice facciadei composti che contengono selenioe che mostrano interessanti effettifarmacologici associati a non trascu-rabili effetti tossici con una finestraterapeutica in genere molto bassa.Una sfida che in molti sono portati aritenere affrontabile e sempre di piùsono i gruppi di ricerca che rivolgonoil loro interesse in questo settoreconsiderato, sino a pochi anni fa ter-reno impercorribile.

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Le due facce del selenio: una potenzialitàtutta da sfruttaredi Claudio Santi

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Claudio Santi, laureato in Chimica e Tecnologie Farmaceutiche haricevuto nel 1996 il dottorato in Scienze Chimiche e dopo un periodotrascorso presso l’istituto di Chimica Organica dell’Università diBasilea ha iniziando la carriera come ricercatore in Chimica Organicapresso la facoltà di Farmacia di Perugia dove oggi è professore associa-to di Metodi Fisici in Chimica Organica e dove coordina i lavori di ungruppo di ricerca multidisciplinare che si occupa di selenio, zolfo ecatalisi redox. Il suo interesse scientifico è oggi principalmente rivoltoad applicazioni che riguardano la chimica sostenibile e la chimica far-maceutica. E’ stato visiting professor presso le università di Cracovia,Cardiff e Csestokowa, nonché invited speaker in circa 40 altre univer-sità. E’ autore di oltre 100 pubblicazioni scientifiche su riviste interna-zionali di cui 6 capitoli di libri e/o collane enciclopediche. E’ membrodi numerosi comitati editoriali e scientifici nonché editor regionale diRecent Patent on Catalysis (Bentham). Sito web:http://csgroup.jimdo.com/

Lo scorso 30 ottobre si è svolto aRoma, nell’ambito delle celebrazionidel 90° anniversario del ConsiglioNazionale delle Ricerche, il convegno“Cambiamenti climatici: rischiambientali e strategie di mitigazione”.All’evento sono intervenuti i rappre-sentanti di CNR, ENEA, ISPRA,Università Cattolica e FondazioneCIMA. Presente anche il CapoDipartimento della Protezione Civile,Franco Gabrielli.

Il convegno prendeva spunto dallarecente presentazione a Stoccolmadell’ultimo Assessment Report delIPCC (Intergovernmental Panel forClimate Change). Il rapporto confermauna generale tendenza al riscalda-mento di atmosfera e oceani, con con-seguente aumento dei tassi di sciogli-mento dei ghiacciai, dell’innalzamen-to del livello marino e della frequenzadi eventi meteorologici estremi. Nodicentrali del dibattito le emissioni diCO2 e la necessità di nuove strategie diadattamento ai futuri scenari meteo-climatici. In quest’ottica, la EuropeanClimate Adaptation Platform coordinala diffusione di informazioni utili avalutare l’impatto dei cambiamenticlimatici e a definire strategie di adat-tamento. “Adattamento” è la parolachiave delle linee guida tracciate dallaComunità Europea per far fronte alcambiamento climatico e alla vulnera-bilità ambientale.

Rispetto a precedenti slogan qualisustainable development ed environ-mental sustainability, il più remissivoclimate change adaptation lasciaintendere che non basta più fare affi-damento sugli effetti mitiganti dellepolitiche di sostenibilità; occorreanche predisporsi, cioè adattarsi, aquelle che saranno le inevitabili conse-guenze del cambiamento climatico inatto. In questo nuovo scenario strate-gico diventa fondamentale la capacitàdei paesi di attivarsi preventivamente,facendo leva su ricerca scientifica ecompetenze specifiche per definire unprogramma nazionale in linea con ledirettive dell’Europa.

Al convegno tenutosi al CNR sonoemerse, attorno a tali questioni, critici-tà inerenti all’attuale stato di salutedella ricerca italiana, indebolita dalparticolare momento storico maanche penalizzata da difficoltà atavi-che. Così, se da un lato occorre fare iconti con finanziamenti sempre piùesigui e inadeguati a reggere il con-fronto con gli altri paesi, dall’altro vi èla scarsa sensibilità e il generale disin-teresse della società verso la preven-zione dei rischi ambientali. Ciò si tra-duce in assenza di pressione socialenei confronti di quella classe politicada cui la ricerca si aspetta maggioreattenzione e sostegno economico.Occorre quindi contrastare la disinfor-mazione affinché, come dice Gabrielli,

i cittadini diventino consapevoli deirischi ambientali e più esigenti in fattodi prevenzione.

Riaffiora così un paradosso che dasempre è sotto gli occhi di tutti: l’Italiaè un paese ad alta vulnerabilità inquanto soggetto a eventi calamitosi divario tipo, spesso amplificati dall’ope-rato irrazionale e scriteriato di chiinvece dovrebbe presiedere a salva-guardia del territorio e delle persone.Eppure, non riusciamo ad acquisirequella “consapevolezza del rischio”necessaria per un cambiamentosostanziale del nostro rapporto con ilterritorio, fondato su un atteggiamen-to mentale più propenso alla preven-zione. Aldilà degli aspetti psicologici eculturali, che sicuramente ci condizio-nano, è ovvio che la capacità di investi-re in prevenzione dipende anche dalladisponibilità di risorse. Il timore è chela crisi economica che stiamo vivendocontribuisca sia ad accentuare la ten-denza a optare per il falso guadagnoderivante dal non investire preventiva-mente, sia a distogliere l’attenzionedel singolo cittadino da problemi pla-netari quali il cambiamento climatico.

Sembrerebbe quindi che l’Italia sianon solo meno pronta ma anche menopredisposta di altri paesi a fronteggia-re le future emergenze legate al cam-biamento climatico. I ricercatori italia-ni sono perciò chiamati a un duplicesforzo: trovare risposte a problemisocio-economici sempre più pressanti;intensificare il flusso di informazionedai centri di ricerca alle scuole, alleistituzioni e alla società in genere,affinché possa aumentare la familiari-tà con tematiche scientifiche che siriflettono sulla nostra esistenza quoti-diana. Solo così potrà crescere la sen-sibilità verso problematiche ad essecorrelate e dal forte impatto socio-eco-nomico, com’è il caso dei cambiamen-ti climatici e dei possibili rischi per lanostra società.

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Cambiamenti climatici e adattamento airischi ambientali: quanto siamo pronti?di Domenico Ridente

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Domenico Ridente è Ricercatore all’Istituto di Geologia Ambientale eGeoingegneria (IGAG) del CNR di Roma. Collabora con UniversitàSapienza, presso cui è titolare dell’insegnamento “Geologia dei MariItaliani” (Laurea Magistrale in Scienze del Mare e del PaesaggioNaturale). Svolge attività di ricerca in geologia marina, con particolareinteresse per i temi di stratigrafia, paleoclima, geomorfologia e rischiogeologico. Ha svolto campagne oceanografiche in Mediterraneo e inAntartide nell’ambito di progetti di ricerca italiani e internazionali.Attualmente è Responsabile Scientifico dell’Azione “PericolositàGeologiche dei Mari Italiani”, nell’ambito del Progetto RITMARE(Ricerca Italiana per il Mare – CNR e MIUR).

Capire come nascono le celluletumorali, come crescono e migrano èstato un aspetto fondamentale dellaricerca biomedica nel passato maancora oggi è un argomento di gran-de interesse e oggetto di intenso stu-dio. Uno dei principali ostacoli allasconfitta del tumore è rappresenta-to dalla sua eterogeneità. Le celluletumorali non sono infatti tutteuguali e questo rende estremamentedifficile trovare dei bersagli terapeu-tici appropriati se si pensa ad unastrategia terapeutica di popolazione.Inoltre la difficoltà nel reperire cam-pioni di pazienti ai diversi stadi deltumore rende complicato compren-derne nel suo insieme la progressio-ne. Infatti “nella stragrande maggio-ranza dei casi” abbiamo a disposi-zione solo un piccolo frammento cherappresenta una piccola e limitataparte della sua storia. C’è anche poida considerare la variabilità tra sog-getti che spesso fa la differenzanella risposta terapeutica.

Negli ultimi anni si è fatta stradal'idea che solo una piccola sotto-popolazione dell'insieme delle cel-lule tumorali sia in grado di sostene-re la crescita tumorale. Queste cellu-le sono state definite cellule stamina-li tumorali (cancer stem cells o CSC)per via della loro analogia con le cel-lule staminali ordinarie. E’ evidenteche per un’efficace terapia, nel casosia corretta la teoria delle cellule sta-minali tumorali, bisogna indirizzarepotenziali farmaci verso questa sot-topopolazione e per poter far questoè necessario caratterizzare le CSC. E’quindi fiorita una letteratura in cuiogni lavoro scientifico cercava diconvincere la popolazione scientificache stava descrivendo il migliormarcatore. Spesso i marcatori sonostati scelti per analogia da quantoespresso da popolazioni staminali.Inoltre perché fossero credibili ci si èaffidati alla conferma in vivo verifi-

cando se le sottopopolazioni fosseroin grado di ricapitolare il tumore. E’evidente che, al di là della validitàdella teoria generale, la procedurasperimentale ha dei problemi e deilimiti: inoculando cellule umane inun contenitore vuoto che dovrebbeessere rappresentato dal topo immu-nocompromesso, potrebbe venire amancare l’ambiente fisiologico incui si sviluppa il tumore stesso.Inoltre nello stesso modello utiliz-zato potrebbe comunque scatenarsiuna, se pur debole, risposta immuni-taria 1 alterando la risposta otte-nuta. Recenti pubblicazioni hannoevidenziato come, utilizzando topiseveramente immunocompromessi,anche cellule negative per marcato-ri indicati come marcatori delle CSCerano in grado di ricapitolare il tumo-re, mettendo in discussione la teoriadelle CSC. Mi sembra evidente chequalunque modello si utilizzi biso-gna tenere presente che si trattasempre di un modello! Anche se siusano cellule murine e si utilizzanoquindi animali singenici da una partesi ovvia a questi problemi ma dal-l’altra le cellule tumorali di topo nonsempre sono perfettamente sovrap-ponibili alle cellule umane tumorali.C’è poi un altro aspetto critico chespesso si sottovaluta: come sono

scelti i marcatori per isolare le sotto-popolazioni. La biologia è una scien-za sperimentale, l’essere umano e ingenerale l’essere vivente è un esseresoggetto a fluttuazioni e cambiamen-ti e altamente complesso. Difficilequindi pensare che esista un marca-tore perfetto. Spesso di questi marca-tori non sappiamo la funzione o ilsignificato biologico e la loro scelta èdettata in modo alquanto arbitrario oper analogia con quanto espressodalle cellule staminali.

Più recentemente la storia si è nuo-vamente complicata. Infatti recentievidenze hanno mostrato come ilfenotipo delle CSC nel melanoma e inaltri tumori sia un processo dinami-co. Alla luce di recenti evidenze infat-ti sembrerebbe che le CSC, una voltaeliminate dalla popolazione, possanoritornare ad essere presenti.

E’ abbastanza intuitivo che unapproccio puramente biologico hadei limiti perché l'utilizzo di marca-tori è soggetto ad errori statistici esperimentali di difficile soluzionecome abbiamo anche noi recente-mente discusso [1,2]. Non è quindichiaro se la dinamica delle CSC siaun effetto di un marcatore imperfet-to [1] o sia dovuto ad un cambia-mento di fenotipo (“phenotypic swit-ching”).

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Come nascono le cellule tumorali? Il ruolo della biomedicina e della fisicadi Caterina La Porta

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Per chiarire definitivamente la dina-mica delle popolazioni all'interno dellecellule tumorali il mio gruppo in que-sti ultimi anni ha intrapreso una stra-da nuova. Infatti a mio avviso persciogliere i nodi discussi sopra è neces-sario un approccio interdisciplinareche utilizzi metodi di analisi quantita-tiva e modelli matematici ispirati allafisica statistica. Infatti mentre tradi-zionalmente ci si basa soprattutto sustrumenti quali la biochimica e lagenetica, una stretta cooperazione trascienze fisiche e biomedicina può apri-re nuove prospettive portando nuoveidee e strumenti. Questa strada è lastrada che abbiamo 2 intrapreso.Vorrei anche sottolineare che sullastessa da tempo gli Stati Uniti hannoinvestito importanti risorse creandodei network multidisciplinari a cuianche il nostro gruppo partecipa sindalla sua costituzione. I fisici in parti-colare posso svolgere un ruolo crucia-le poiché hanno sviluppato, indipen-dentemente e per scopi diversi, unaserie di strumenti sia teorici che spe-rimentali per cercare di capire e stu-diare la dinamica di sistemi eteroge-nei e complessi. Questi possono esseredei validi strumenti che possono gui-dare i biologi sia nel capire la nascita diun tumore che il suo sviluppo el’identificazione delle strategie piùadatte a combatterlo. Un grosso pro-blema è spesso la comunicazione tradiscipline che hanno aspettative diver-

se e che sul piano formale parlanolinguaggi diversi. Si tratta quindi dioperare una vera rivoluzione.Multidisciplinarietà, se si vuole chefunzioni, vuol dire introdurre unnuovo modo di pensare in cui tutte lediscipline partecipano alla pari. Quindiuna vera e propria rivoluzione cultu-rale. Noi ci stiamo provando e confes-so che, se si ha l’umiltà di ascoltarepunti di vista diversi, si impara moltis-simo, nascono idee nuove e si sviluppaun nuovo approccio alla biologia. Lacollaborazione con i fisici porta anchead una maggiore riflessione sullequestioni di base a cui spesso i biologitendono a non dare una risposta:porsi le domande del perché inveceche del come.

I nostri lavori più recenti hanno por-tato alla comprensione dell'evoluzionedella senescenza nel melanoma [3].Contrariamente a quanto ci si aspetta-va, è stato mostrato come le celluletumorali vanno in senescenza in unmodo che dipende dalla presenza dimarcatori caratteristici delle CSC. Piùrecentemente abbiamo sviluppato unmodello che consente di studiare ladinamica di crescita di singole cellulepotendo quindi studiare i contributidelle singole cellule che insieme deter-minano l’eterogeneità del tumore [4].I nostri studi si stanno ora estendendonon solo alla questione fondamenta-le della dinamica del tumore maanche ad altre questioni cruciali della

biologia come le patologie neurodege-nerative e la divisione cellulare.

Il nostro approccio interdisciplinarebasato sulla fisica del cancro ha giàottenuto importanti riconoscimentied interesse in campo internazionale.L'European Science Foundation hafinanziato un Exploratory Workshopda noi proposto e svoltosi recente-mente a Varenna (Physics of Cancerhttp://www.cancerphysics.unimi.it/) eil CECAM ha finanziato invece uncongresso da noi organizzato, tenutosia Losanna 3 (Computational PhysicsMethods for Cancerhttp://www.cecam.org/ workshop-0-751.html). Uno studio commissionatodal National Cancer Institute statuni-tense volto a monitorare gli sforzieuropei in questo campo ha dato gran-de visibilità alle attività di ricerca deinostri gruppi (http://wtec.org/aphe-lion/). Ci troviamo dunque di frontead un campo emergente in cui l'area diricerca milanese e lombarda può gio-care un ruolo guida in ambito interna-zionale.

Riferimenti bibliografici:[1] S. Zapperi and C. A. M. La Porta, Docancer cells undergo phenotypic swit-ching? The case for imperfect cancerstem cell markers, Scientific Reports 2,441 (2012).[2] C.A.M. La Porta, S. Zapperi Humanbreast and melanoma cancer stemcells biomarkers, Cancer Lettersdoi:10.1016/j.canlet.2012.03.017 (2012).[3] C. A. M. La Porta, S. Zapperi, J. P.Sethna Senescent Cells in GrowingTumors: Population Dynamics andCancer Stem Cells. PLoS Comput Biol8, e1002316 (2012).[4]Massimiliano M. Baraldi, AlexanderA. Alemi, James P. Sethna, SergioCaracciolo, Caterina A. M. La Porta, S.Zapperi, Growth and form of melano-ma cell colonies, J. Stat. Mech. (2013)P02032 (http://iopscience.iop.org/1742-5468/2013/02/P02032)

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Caterina La Porta, docente presso il Dipartimento di Bioscienzedell’Università degli Studi di Milano ha pubblicato più di 80 lavoriinternazionali e 100 proceedings nelle maggiori riviste internazionali,ha ricevutoad ottobre 2013 più di 1300 citazioni, h-index 19 per ISI eper Google Scholar. h-index 22 e citazioni 1647. E’ membro editoriale ereferee di numerose riviste internazionali. Visiting scientists di nume-rose università e istituti soprattutto statunitensi ha numerose collabo-razioni sia in Italia che in Francia, Germania, Svizzera e USA. Studia gliaspetti di base che portano alla formazione del tumore come le celluletumorali staminali e le patologie neurodegenerative

Si tratta di una nuovo approccioscientifico che, basandosi sulle cono-scenze degli studi globali della geneticae della biologia molecolare, potrebbe infuturo permettere lo sviluppo di dietepersonalizzate che tengono conto dellanostra essenza genetica e ambientale.

Il DNA (acido desossiribonucleico) èla molecola che contiene tutta l'infor-mazione genetica di una cellula e in undato organismo pluricellulare ogni cel-lula contiene la stessa molecola diDNA. In individui della stessa specie, lamolecola è appena diversa, mentre traorganismi appartenenti a specie diver-se le differenze si accentuano. Ciò checambia tra le diverse molecole di DNAnon è la struttura generale, che rimanesempre la stessa, ma la successionedelle basi azotate che lo compongono(sequenza) e il loro numero (lunghez-za). Sul DNA, in forma di successione dinucleotidi (le basi azotate legate anchead uno zucchero e un residuo di fosfo-ro) vengono specificati i geni la cuiespressione determina tutti i caratteridi un individuo. L'insieme di tutti i genirappresenta il genoma a cui partecipa-no anche quelle sequenze di DNAnecessarie per determinare quanto,quando e dove un gene deve esprimer-si. La determinazione della sequenzacompleta del DNA del genoma umano,completata all'inizio del secolo, ha per-messo agli scienziati di stabilire l'iden-tità e la disposizione di tutti i geni(sequenze codificanti) e di tutte lesequenze non codificanti, necessariealla regolazione dell'espressione e conulteriori proprietà non tutte definiteancora oggi.

Grazie all'ottenimento dell'interasequenza del genoma umano è natauna nuova disciplina, la genomica, cheè ora in grado di stabilire la disposizio-ne e l’espressione dei sistemi viventi(cellule, organi, o interi organismi) inrisposta agli stimoli ambientali comead esempio la risposta alle sostanzenutritive presenti nei cibi. In quest’ulti-

mo caso parleremo di nutrigenomica.Dunque, lo studio delle sequenzegenomiche (genomica) fornisce il pro-getto generale (ovvero ciò che puòavvenire) mentre i trascritti (trascritto-mica) ci indicano il piano d'azione (ciòche sembra avvenire) e le proteine(proteomica) ciò che effettivamenteavviene; i metabolismi (metabolomica)presentano una storia coordinata tradiversi elementi che collaborano nelformare le vie mataboliche. La trascrit-tomica, la proteomica e la metabolomi-ca possono dunque produrre una visio-ne olistica (globale) di determinatecondizioni biologiche e permetternel'ulteriore comprensione.

L'obiettivo della nutrigenomica è dichiarire questa complessa interazionein modo che possano essere sviluppatediete a misura del singolo individuo,basate sull’unico profilo genetico diuna persona. Non solo questo consen-tirebbe di ottimizzare la salute dell'in-dividuo, ma potrebbe funzionare anchesu una scala più grande per aiutare aprevenire malattie come l'obesità, ildiabete di tipo 2, le malattie cardiova-scolari, il cancro, e la malnutrizione.

La nutrigenomica è solamente agliinizi e il suo scopo è quello di legare gliapprocci globali prima accennati congli stimoli esterni rappresentati daicomponenti dei cibi investigando inche modo si modificano sia il trascrit-toma che il proteoma ed il metabolo-ma. L’insieme di queste conoscenzepotrà permettere di individuare comedeterminati individui rispondono inmaniera anomala a determinate

sostanze e prendere le adeguate misu-re.

Gli aspetti etici, legali e sociali dellanutrigenomica sono piuttosto com-plessi come del resto lo è l’aspetto tec-nologico. Non è ancora chiaro infatti sedeterminate limitazioni nutrizionaliche potrebbero essere importanti indeterminati tipi di patologie sianoaltrettanto importanti nel proteggeredall’insorgenza di patologie diverse.Alcune informazioni sono difficili damaneggiare. Per esempio una mutazio-ne nell’apolipoproteina E (e4/e4) asso-ciata con aumentato rischio di malattiecardiovascolari precoci suggerisce uncambio nell’assunzione di grassi nelladieta di questi pazienti. Questo geno-tipo (ovvero la mutazione nell’ApoE) èassociato anche ad un aumento del60% di rischio di insorgenza dellamalattia di Alzheimer. Attualmenteperò, non c’è modo di prevenire o cura-re la malattia di Alzheimer e non èchiaro se il ridotto rischio di malattiecardiovascolari in seguito all’adegua-mento dei pazienti ad una dieta conridotta assunzione di lipidi sia ancheassociato ad un ridotto rischio diAlzheimer.

Gli esseri umani sono complessi e losono anche le loro diete; questo rendela nutrigenomica estremamente diffi-cile. Anche se sembrano ancora incre-dibilmente complicate, la nutrigeno-mica e la biologia dei sistemi sonol'ideale, e forse, i soli strumenti ingrado di rispondere alla domanda: checosa dobbiamo mangiare?

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Dalla nutrigenomica un forte impulso allaprevenzione delle malattiedi Giorgio Camilloni

scienza

Giorgio Camilloni. Laureato nel 1979 in Scienze Biologiche pressol'Università di Roma. Nel 1980 frequenta l'European Molecular BiologyLaboratory di Heidelberg. Dal 1981 al 1983 lavora presso la PolifarmaS.p.A. Dal 1984 al 1992 prima come borsista poi come tecnologo pressoil Centro Acidi Nucleici del CNR. Dal 1992 è professore di BiologiaMolecolare dalla Facoltà di Scienze Matematiche Fisiche e Naturalidell'Università di Roma "La Sapienza".

Da un punto di vista etimologicoviaggio è un termine che deriva dallatino viàticus da cui è poi derivatoviàtius nel basso latino, con il signifi-cato esteso riguardante la via o ilcammino; dal sostantivo maschile siè sviluppato invece il sostantivo neu-tro viàticum, con il significato diprovvigioni, provviste per il viaggio,denaro per il viaggio ma anche risor-se in senso figurato. Dunque il viag-gio “italiano” racchiude in sé ancheun carattere economicistico, che fapensare a qualcosa che un individuoconserva per poi consumare. E ciò dicui si fa tesoro in viaggio e diventarisorsa, cos’altro è se non l’esperien-za diretta con i luoghi, con le personeche si incontrano e con le loro speci-ficità? Esperienza, a sua volta, haun’etimologia indoeuropea che,come ci fa notare Eric J. Leed, contie-ne l’accezione di «mettere allaprova», di «cimentarsi». Questo sensodella prova e della fatica che ne deri-

va si ritrova più chiaramente nel cor-rispettivo inglese di viaggio, travel,dal francese antico travail con ilsignificato di tormento, tortura, a suavolta di derivazione dal latinotrep?lium, vale a dire strumento ditortura costituito da tre pali.

Nel Middle English intorno al1200–1250 il termine mantiene anco-ra questo significato; poi intorno al1325-1375 è attestato l’uso al norddell’Inghilterra e in Scozia, di travailcon il significato di compiere un viag-gio difficile. Anche l’italiano ha untermine da questa derivazione latinaed è travaglio, con un preciso sensoperò, legato al dolore e alla fatica.Pertanto il viaggio e il travel, nelledue forme, italiana e inglese, hannoda sempre avuto a che fare con dueconcetti completamente diversi, ilprimo di “risorsa” e il secondo di“fatica”. Il termine travel dal 1375circa sostituisce la forma fær dell’OldEnglish, oggi obsoleto tranne che nei

nomi composti (ad esempio wayfa-rer, sea-faring) il cui significato eraquello di viaggio (breve), strada. Lalingua inglese possiede poi altri duetermini importanti che si riferisconoal viaggio: voyage e journey. Anche inquesto caso entrambi di derivazionedal francese antico: veiage, con ilsignificato di viaggio difficile, dal lati-no vi?ticum di cui ho precedente-mente dato conto, attestato fin dal1297, prevalentemente utilizzato oggiper significare un lungo viaggio permare; mentre il secondo, attestatodal 1225 con il significato di una deli-mitata parte di un viaggio, da journéeossia, lavoro o viaggio di un giornodal latino diurnum. Fino al DrJohnson (1755) il significato di viaggiodi un giorno permane, in seguito si fapiù sfumato.

Il viaggio abbastanza chiaro da unpunto di vista semantico, è moltospesso utilizzato come strumentoretorico per rimandare ad altri signi-ficati, diventando una potente meta-fora. Pensiamo soltanto a tutte levolte in cui ci si è riferiti, ad esempio,alla morte come a l’ultimo viaggio,oppure al viaggio nell’aldilà; o alviaggio interiore ogniqualvolta cicimentiamo in un percorso di cresci-ta personale; o alla forte connotazio-ne che indissolubilmente legaall’idea del viaggio quella di unmiglioramento, di un progresso perchi lo compie: per dirla conBaudelaire, più che una metafora ilviaggio è una “foresta di simboli”,questo perché il viaggio si resta arimandare a significati che hannosempre a che fare con un passaggio,una transizione da uno stato (menta-le, emotivo, fisico, spirituale maanche storico, letterario, filosofico,scientifico) a un altro.

La densità semantica della parola

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Un petit tour intorno al "viaggio". Storia diun'idea e di una parola che sono la metafo-ra della vitadi Cristina Carosi

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basta da sola a creare svariati signifi-cati, e caratteristiche multiformisono legate al termine stesso, cosìcome anche una pluralità di sensiche ha richiesto negli ultimi anni dianalizzare l’oggetto “viaggio” da pro-spettive diverse: da quella sociologi-ca che tenta di «occuparsi dei feno-meni e degli interstizi della vita quo-tidiana», a quella antropologica, incui «il viaggio si configura […] comespostamento verso un “altrove” nelquale l’antropologo si reca per com-piere uno studio “sul campo”»; oppu-re la prospettiva può essere storico-culturale, e in tal caso tutti gli studicondotti sul viaggio iniziano e fini-scono con il Grand Tour, vero e pro-prio turning point culturale nell’ana-lisi sul viaggio.

Quale che sia la prospettiva disci-plinare, il viaggio ha essenzialmentea che fare con le due categorie di spa-zio e tempo: si viaggia in uno spaziopiù o meno esteso, si percorronoterritori uguali o diversi; si viaggia inun tempo più o meno lungo, in avan-ti o indietro. Il tempo e lo spazio sono

le due parti checostituiscono lacategoria deltransito indivi-duate da Leedcome il momen-to pragmaticodel viaggio stes-so, diverso dalmomento delpartire e dell’ar-rivare poichédiverse sono lecaratteristiche,gli stati d’ani-mo, la prospetti-va e gli esiti, inuna parola,diversa è lafenomenologiadel transitostesso, definito da Leed come «unasequenza di movimento che producetrasformazioni del carattere e persi-no un’identità». In un lasso di tempoe di spazio interstiziale avvienel’esperienza del viaggio che nono-stante la fatica, la curiosità, il piacere

o il dolore, ci apre al nuovo e ci mettein condizione di modulare la nostraesistenza sulla base dell’alterità; eaggiunge Furio Semerari:

Al viaggio (sia reale che metaforico)si connettono aspetti come l’apertu-ra, pur in una eventuale condizionedi «timore e tremore», all’ignoto, la‘permeabilità’ del proprio essere a ciòche è altro da sé ovvero la non fissitàdel proprio modo di essere e di pen-sare.

Per giungere a queste considerazio-ni però, molti viaggi sono dovutiavvenire non solo nel tempo e nellospazio, ma anche nella mente di chiviaggia e molti racconti di esperienzereali o immaginarie sono state realiz-zate. Infatti, un dato è imprescindi-bilmente legato alla categoria cogni-tiva del viaggio «tra le più sfuggentisul piano definitorio e, proprio perquesto, fra le più ricche e dense sulpiano dei contenuti»: c’è semprestato il desiderio di dar conto delmirabile.

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Cristina Carosi dottore di ricerca in Storia e cultura del viaggio e del-l’odeporica nell’età moderna, Master I livello in E-Learning, docente diLingua Inglese e Letteratura Inglese presso l’Università della Tuscia.Membro della SISSD (www.ssisd.it), partecipa a convegni internazio-nali. È studiosa dell’Inghilterra del XVIII secolo, di Joseph Addison edello Spectator. Negli ultimi anni svolge attività di ricerca nel settoredel turismo culturale. È progettista di Master universitari nel campodel Turismo culturale. Pubblicazioni: Joseph Addison e la nascita diuna identità nazionale dalle pagine di saggi quotidiani e periodici agliinizi del Settecento in Inghilterra, in B. Alfonzetti e M. Formica (a curadi), L’idea di Nazione nel Settecento, Edizioni di Storia e Letteratura,Roma 2013; Joseph Addison: viaggio in Italia. Il bagaglio erudito di uno“spettatore” inglese, in C. Capitoni (a cura di), Bagagli e oggetti di viag-gio, Sette città Viterbo 2011; Joseph Addison e Livorno, porto francod’Italia, in Stefano Pifferi (a cura di), Studi in onore di Nadia Boccara,in corso di stampa presso Sette città Viterbo.

“Sidney Morgenbesser mi dice chein un romanzo di Peter DeVries unparrocchiano angosciato chiede a unministro del culto se Dio esiste, e ilministro risponde ‘Dio è talmenteperfetto che non ha bisogno di esiste-re’”. È da quando l’ho letta (e sonopassati molti anni) che questa frasemi perseguita. Ma procediamo conordine. Sidney Morgenbesser è statouno stimato filosofo analitico ameri-cano (è morto nel 2004).

Peter DeVries è uno scrittore,anch’esso americano (morto nel1993), che qualcuno ha definito come“probabilmente il più divertentescrittore di religione mai esistito”. Lafrase citata si trova in uno splendidosaggio di Robert Nozick (proprio lui:l’immortale autore di Anarchia, statoe utopia) intitolato Perché c’è qualco-sa anziché niente? (il titolo, cheriprende un celebre tema leibniziano,dà una idea della complessità e pro-fondità dell’argomento trattato).Ebbene, come dicevo, è da quandol’ho incontrata che questa frase miperseguita (in realtà è tutto il densosaggio di Nozick che mi perseguita,ma qui mi limiterò a dar sfogo allamia ossessione per questa sola frase).Il motivo è che essa rompe (lo trovate“divertente”?) con tutta la tradizionefilosofica occidentale.

Come scrive Nozick (la frase dellamia ossessione ricorre infatti comeuna nota al passo che segue): “La tra-

dizione filosofica occidentale tende aconsiderare l’esistenza migliore, opiù perfetta, della non esistenza”.L’estrinsecazione più impressionantedi questa tendenza è quella sublimefallacia – Dio è l’essere perfettissimo;l’esistenza è una perfezione, quindi èimpossibile pensare che Dio non esi-sta – in cui intelletti tra i più sottilihanno visto una prova dell’esistenzadi Dio. Leibniz, che aveva qualchedubbio su questa prova, non ne nutri-va alcuno sui motivi per considerarel’esistenza migliore della non esi-stenza. “È certamente vero”, scriveva,“che ciò che esiste è più perfetto diciò che non esiste”, anche se, aggiun-

geva, l’esistenza non può essere con-siderata una perfezione in se stessa,“essendo soltanto una certa compa-razione delle perfezioni tra loro”. Inpratica, l’esistenza premia sempreciò che è comparativamente più per-fetto – che è poi la ragione per cui c’èqualcosa anziché niente. Idea gran-diosa. Eppure, la risposta del degnoministro la contraddice. Essa suggeri-sce un punto di vista totalmentediverso: e se l’esistenza fosse inver-samente proporzionale alla perfezio-ne? Se fosse vero, cioè, che quantopiù “si esiste” tanto più ci si allonta-na dalla perfezione, così che il massi-mo di perfezione coincide con ilminimo di esistenza (col non esistereaffatto, il non essere, il niente, ilnulla)? Non sarebbe vero, allora, chel’essere perfettissimo, proprio perchéperfettissimo, non ha bisogno di esi-stere? Anzi, che esistere comporte-rebbe una diminuzione intollerabiledella sua perfezione. Non sarebbe inquesto caso impossibile pensare cheDio, in quanto essere perfettissimo,esista?

Quale rovesciamento di prospetti-va! L’aver profuso tesori di ingegnointorno all’idea di un Dio che esistealtro non sarebbe che il risultato delnostro disperato tentativo di com-prendere Dio dentro l’orizzonte“umano, troppo umano” della nostramisera esistenza. O, se vogliamo ren-dere più drammatica la cosa, il risul-tato di aver impresso su Dio il mar-chio stesso della nostra imperfezio-ne. O non è stato invece l’atto di unasuprema arroganza? Abbassare Dio,intendo, a quell’“esser lì, semplice-mente” in cui, secondo l’eroe sartria-no Roquentin, consiste tutto ilmistero (e l’essenza) dell’esistere?Come vedete si tratta di interrogativiinquietanti. Ecco il motivo della miaossessione. Ma adesso che ve ne hofatto parte spero di essermene libe-rato.

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E se Dio non avesse bisogno di esistere?di Alberto Artosi

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Alberto Artosi, già Professore di Filosofia della scienza presso LaFacoltà di Lettere dell’Università di Bologna, dal 2004 è Professore diLogica e argomentazione presso la Facoltà (attualmente Scuola) diGiurisprudenza della stessa Università. Si è occupato e si occupa dilogica, filosofia del diritto, epistemologia ed etica. È autore di Brevestoria della ragione (Napoli, 2005) e L’esperienza come sistema.Leibniz, Kant e l’architettonica della ragione (Bologna, 2010). Ha recen-temente curato l’edizione inglese di due opere giuridiche giovanili diG. W. Leibniz (Springer, 2013) e conta di portare a termine la pubblica-zione di tutte le opere giuridiche giovanili del filosofo delle monadi.

La decisione del ConsiglioEuropeo il 23 ottobre scorso di darealla BCE il mandato per la vigilanzaunica sulle banche dei paesi dell’eu-rozona già a partire dalla fine del2014 è un elemento cruciale versol’obiettivo dell’unione bancaria. Glialtri tasselli saranno un sistema perla gestione delle situazioni di crisiaziendale, fino a mettere in attomodalità di ristrutturazione cheminimizzino i costi sui contribuenti,e un sistema unico di assicurazionedei depositi.

In un’economia moderna la mone-ta, costituita prevalentemente daidepositi bancari, serve innanzituttoper realizzare scambi sia sul mercatodei beni e servizi sia sui mercatifinanziari. Gli ordini di pagamentoavvengono quasi esclusivamente tra-mite piattaforme elettroniche chedirettamente o indirettamente movi-mentano depositi bancari. Chi si vedaaccreditare questi depositi si devequindi fidare della solidità dellabanca; in caso contrario i titolarisarebbero spinti a chiederne cautela-tivamente il rimborso immediato. Ilrischio di una “corsa agli sportelli”potrebbe così finire per accelerare, equindi rendere meno gestibile, unasituazione solo eventuale di crisiaziendale. Affiorano nella memoriadei cinefili le modalità di corse aglisportelli raccontati in capolavoricome “La vita è una cosa meraviglio-sa” di Frank Capra, in cui il banchiereè James Stewart, e “Mary Poppins”.Sulla rete, più di recente – agosto2007 - sono presenti le riprese dalvero delle code di depositanti dellabanca inglese Northern Rock, il primoepisodio dal 1867 nel Regno Unito.

Questi esempi non colgono tuttaviale modalità prevalenti con cui siinnesca una corsa agli sportelli nellarealtà odierna: ad attuarla sul merca-to interbancario, sotto forma di man-cato rinnovo di prestiti non garantiti

a una banca o al sistema bancario diun determinato paese, sono innanzi-tutto altre banche dello stesso paeseo banche estere e altri operatorifinanziari. Sotto diversi profili unasituazione del genere si è verificatanegli ultimi anni nell’area dell’euro, ele difficoltà di funzionamento delmercato interbancario nell’eurozonahanno prodotto una frammentazionesu base nazionale degli effetti di unapolitica monetaria unica.

Banche nei paesi mediterranei, cheper erogare prestiti in eccesso rispet-to alla loro raccolta di depositi dallaclientela hanno visto ridursi l’appor-to di fondi interbancari dalle bancheestere e dato il rischio loro attribuitohanno avuto difficoltà a emettere

obbligazioni, si sono trovate costrettea offrire rendimenti più elevati sudepositi a tempo sottoscritti darisparmiatori nazionali e a divenirepiù selettive nei criteri di erogazionedei prestiti, in termini sia di tassi piùelevati sia di quantità ridotte.Nonostante tassi d’interesse dellaBCE sempre più prossimi allo zero,dopo la decisione di giovedì 7 novem-bre. i tassi bancari sui prestiti a fami-glie e piccole e medie imprese si sonocosì differenziati su base nazionale,con una forchetta che ha all’estremoinferiore quelli tedeschi e all’estremosuperiore quelli italiani e spagnoli. Inqueste condizioni, il funzionamentostesso di un’unione monetaria ècompromessa, appunto perché lamoneta bancaria non è consideratadagli operatori indifferente rispettoal paese in cui opera la singola banca.

L’attribuzione di un diversa rischio-sità per le singole banche indica contutta evidenza che un, se non il, fat-tore determinante è costituito dallecondizioni della finanza pubblica(rischio sovrano) di ciascun paese. Laragione di fondo è la contraddizionetra una moneta unica e un debitopubblico cui, sebbene emesso nellastessa valuta, viene assegnato undiverso rischio di credito a secondadel paese emittente, con ciò influen-do sulla valutazione del rischio dellebanche nazionali. Solo un’unionebancaria che consenta di sciogliere illegame tra rischio della singola bancae rischio sovrano, perché le garanziesulla solidità delle banche è trasferitaa livello sovranazionale, agevolerà irapporti tra buone banche e buoneimprese, dovunque esse siano inse-

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L’unione monetaria richiede l’unione bancariadi Giuseppe Marotta

scienza

Giuseppe Marotta è professore di Economia Monetaria nell’Universitàdi Modena e Reggo Emilia. Tra le sue pubblicazioni recenti, per l’edi-tore Il Mulino, Economia monetaria (con F.C. Bagliano, 2010) eStabilità finanziaria e crisi (con R. Filosa, 2011).

diate.Nonostante tutti gli sforzi fatti da

medici e scienziati, la prevalenza dipatologie multi-geniche complessetra cui le malattie cardiovascolari,neurologiche ed il cancro non risultaessere significativamente diminuitanegli ultimi anni.

Un numero elevato di farmaci“intelligenti” (smart drugs), mono-ber-saglio, sono stati sperimentati neldecennio appena trascorso; tuttavia,le patologie croniche sopra menziona-te sono caratterizzate dalla “perturba-zione” di vie di segnalamento biologi-co multiple (multiple signalingpathways). Pertanto, agendo su unsolo meccanismo è altamente impro-babile che tali farmaci possano essereefficaci. Inoltre, le “smart drugs” sonomolto spesso costose e associate asvariati effetti collaterali. Sulla base diqueste considerazioni è facile com-prendere l’importanza di identificaresostanze di origine alimentare conuna funzione benefica sulla saluteumana (nutraceutici), che agiscanocontemporaneamente su più bersagli,siano innocui, poco costosi ed efficaciper il trattamento di patologie croni-che.

La curcumina è uno dei nutraceuti-ci più studiati, scoperta circa duesecoli fa da Vogel e Pelletier, isolatadai rizomi essiccati di una piantaerbacea il cui nome scientifico èCurcuma Longa.

La Curcuma è una spezia Indiana,molto comune, composta per il 2-5%in peso da curcumina, una molecolabio-attiva, utilizzata come colorantealimentare dalla tinta gialla, general-mente identificata dalla sigla E100.Dal punto di vista chimico la curcu-mina è un polifenolo con proprietàantimicrobiche note sin dal 1949,mentre solo successivamente è statodimostrato come questa molecolapossieda anche un’azione anti-infiammatoria, ipoglicemica, ipolipi-

demica, anti-ossidante e benefica nelrimarginamento delle ferite.Numerosi studi pre-clinici, realizzatinelle ultime tre decadi, hanno dimo-strato come la curcumina abbia unapotenziale azione terapeutica neiconfronti di un ampio spettro dipatologie umane, data la capacità diinteragire direttamente con numero-se molecole di trasmissione di segna-li biologici.

Tali studi hanno fornito basi solidedalle quali si è partiti per valutarel’efficacia della curcumina mediantesperimentazione clinica.

L’uso terapeutico della Curcuma èstato ipotizzato già a partire dal 1748;tuttavia, la prima pubblicazionescientifica concernente l’uso dellacurcumina come “farmaco” per iltrattamento di una patologia umana

risale solo al 1937. Oppenheimer esa-minò gli effetti del “curcumen” o“curcunat” nel trattamento di patolo-gie biliari trattando 67 pazienti affet-ti da colecistite subacuta, ricorrente ocronica, mediante somministrazioneorale di “curcunat”, per 3 settimane,dimostrando l’efficacia di tale medi-camento nella cura della patologia.Tutti i pazienti tranne uno rimaseroliberi dai sintomi della malattiadurante l’intero periodo di osserva-zione durato da 3 mesi a più di 3 annipost terapia. Nessun effetto negativofu riscontrato anche quando la tera-pia fu somministrata per molti mesiconsecutivi.

A partire da questi studi prelimina-ri l’interesse per la curcumina èaumentato considerevolmente, tan-t’è che nel Luglio 2012 erano già stati

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La Curcuma: dalla cucina al laboratoriodi Salvatore Sutti

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pubblicati i risultati di quasi 67 trialsclinici, mentre altri 35 erano ancorain esecuzione. La sperimentazioneclinica ha dimostrato la sicurezza, latollerabilità e la non tossicità dellacurcumina anche se somministrataad alte dosi.

Per gli scienziati rimane, tuttora, unenigma come un singolo agente far-macologico possa avere così tantieffetti biologici diversi. Numeroseevidenze sperimentali hanno sottoli-neato la capacità della curcumina dimodulare svariate molecole di segna-lamento intercellulare, tra cui cito-chine pro-infiammatorie (IL-1?, IL-6),ma anche di avere un’azione suilivelli del colesterolo totale, trigliceri-di, creatinina e transaminasi ALT.

Sebbene la curcumina abbia unaefficacia benefica verso molteplicidisturbi patologici, la scarsa biodi-sponibilità, imputabile al ridottoassorbimento, al rapido metabolismoed eliminazione sistemica, ne limital’efficacia terapeutica. Diversi studisono stati realizzati per migliorare labiodisponibilità della molecola e, atal fine, l’uso di adiuvanti (sostanzeaddizionate al farmaco per comple-tarne o aumentarne l’azione) che nebloccano il metabolismo risulta esse-re una delle più comuni strategie perincrementare la concentrazione pla-smatica della curcumina.

Curiosamente tra i così detti adiu-vanti possiamo annoverare un’altramolecola di origine alimentare lapiperina, un alcaloide contenuto nelpepe nero e responsabile del suogusto piccante. La piperina è un notoinibitore della glucuronidazione, unprocesso biochimico attraverso ilquale le molecole vengono rese mag-giormente idrofile e di più facile eli-

minazione dall’organismo, sia a livel-lo epatico che intestinale.

L’uso combinato della curcumina edella piperina, in soggetti volontarisani, ha dimostrato che quest’ultimaincrementa la biodisponibilità dellaprima del 2000%.

Sebbene la curcumina abbia nume-rosi effetti benefici, associati ad unaminima tossicità, in diverse patologieumane, tuttavia alcuni autori hannoriportato l’esistenza di effetti avversiindesiderati come la comparsa dinausea, diarrea, mal di testa.

Quindi, ulteriori studi sono neces-sari per valutare la tossicità della cur-

cumina a lungo termine prima chel’uso terapeutico di questa affasci-nante molecola possa essere appro-vata sull’uomo.

Fonti Bibliografiche:• Therapeutic roles of curcumin: les-sons learned from clinical trials.Gupta SC, Patchva S, Aggarwal BB.AAPS J. 2013 Jan;15(1):195-218.• A systematic review and meta-ana-lysis of randomized controlled trialsinvestigating the effects of curcuminon blood lipid levels. Sahebkar A. ClinNutr. 2013 Sep 25. doi:pii: S0261-5614.• Polyphenols: benefits to the cardio-vascular system in health and inaging. Khurana S, Venkataraman K,Hollingsworth A, Piche M, Tai TC.Nutrients. 2013 Sep 26;5(10):3779-827.

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Salvatore Sutti. Laurea Magistrale in Scienze Biologiche Applicate.Dottorato di Ricerca in Medicina Molecolare

In un precedente articolo abbiamoribadito il significato di NEUROPSICO-MORFOLOGIA, ovvero Metodo inno-vativo di lettura ed interpretazionedel volto. Il termineNeuropsicomorfologia si compone ditre parole chiave in grado di spe-cificarne il preciso significato.

NEURO, per indicare che affon-da le sue radici nella neurofisio-logia ed in particolare nella “teo-ria del cervello uno e trino “diMac Lean. Questo neuropsichia-tra, nei suoi numerosissimi studia riguardo, ci parla di tre cervel-li:il rettiliano (il più vecchio filo-geneticamente); il limbico (dimedia epoca); il neocortex (il piùrecente). Tali cervelli, aventiovviamente funzioni diverse,sono, rispettivamente, in corri-spondenza coi tre piani del visoche si distinguono inNeuropsicomorfologia: pianoinferiore o istintuale, pianomedio o affettivo, piano superio-re o cerebrale. Essi, inoltre,hanno un’autonomia funziona-le, ma, contemporaneamente, sonointerdipendenti tra di loro.

La seconda parola chiave è PSICO,per significare che l’obbiettivo finaledel Metodo è la definizione degliaspetti fondamentali della personali-tà.

La terza parola chiave è MORFOLO-GIA, in quanto l’analisi parte dai datimorfologici del viso.

Tanto premesso, nel presente arti-colo, vogliamo soffermarci sull’origi-ne della Neuropsicomorfologia, pas-sando, naturalmente, per la tradizio-nale MORFOPSICOLOGIA, che anchesi occupa del rapporto tra Anatomiadel volto e personalità.

Circa 5000 anni fa, nella regione delSumer, ossia nella bassaMesopotamia sul golfo arabo-persia-no, in una località denominataCaldea, furono trovate delle tavolette

particolari. Infatti, in queste eradescritta la psiche dell’ uomo rappor-tata a quella degli dei e alla morfolo-gia del loro volto.

Ad ogni personaggio mitologico siattribuiva una morfologia specifica

del viso ed altrettanti aspetti dellapersonalità. Nasceva, pertanto, laFISIOGNOMICA MITOLOGICA ricor-rendo a nomi di divinità che si identi-ficavano con i cinque pianeti delsistema solare: Mercurio, Marte,Venere, Giove, Saturno. A questi, suc-cessivamente, si aggiunsero Terra,Sole, Luna.

Ippocrate (460-377 a.c), 2500 annidopo, ci parla dei quattro umori delcorpo umano: linfa, sangue, bile (obile verde), atrabile (bile nera), allabase di quattro temperamenti.Secondo la prevalenza in un soggettodi uno di questi quattro umori vi cor-rispondevano precisi aspetti dellapersonalità. Questa, in sintesi, la mor-fopsicologia dei quattro grandi tipistabiliti da Ippocrate.

1) tipo linfatico: il viso è largo, colo-rito pallido, corpo piccolo, flemmati-

co,2) tipo sanguigno: viso lungo, colori-

to roseo, corpo tarchiato, gestualitàricca

3) tipo bilioso: viso stretto, muscolo-so, gestualità controllata che sta a

significare il controllo sul mododi comportarsi.

4) tipo nervoso: viso stretto,colorito pallido, corpo slanciato,curvo; la gestualità è agitata.

Aristotele (384-322 a.c) hacontribuito alla origine dellamorfopsicologia con il suo trat-tato ANIMA in cui ha identifica-to nella psiche tre anime:

a) anima vegetativab) anima sensitivac) anima razionaleTale suddivisone costituisce il

presupposto della morfopsico-logia successiva. Infatti l’animavegetativa risiederebbe nelpiano inferiore del viso o istin-tuale, il cui riferimento neurofi-siologico è il cervello rettiliano(il più vecchio). L’anima sensiti-va sarebbe in corrispondenza

del piano medio o affettivo, collegatoal cervello limbico. L’anima razionalesarebbe localizzata nel piano superio-re o cerebrale, il cui presupposto neu-rofisiologico è il neocortex (quello piùgiovane, dunque dell’uomo).

Nel XIX-XX secolo si ha un grandeimpulso alla morfopsicologia da partedella Biotipologia, ossia di quellabranca medica che si occupa dellostudio dei tipi costituzionali.

E diverse sono state le Scuole inquesto settore. Tra le più importantiricordiamo la Scuola francese, ameri-cana, tedesca, italiana.

Si è distinta, a mio parere, la Scuolafrancese che ha avuto il massimoesponente in Claude Sigaud (1865-1921).

Questo Autore, infatti, ha classifica-to i biotipi in quattro gruppi fonda-mentali: respiratorio, digestivo,

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Origini della neuropsicomorfologiadi Bartolomeo Valentino

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muscolare, cerebrale. Ad ogni biotipocorrisponde una determinata morfo-logia del corpo ed in particolare delviso ed altrettanti aspetti psicosoma-tici. Secondo Sigaud anche l’ambienteesterno può determinare la prevalen-za di alcuni aspetti di un morfotipo suun altro. Per Martiny, allievo diSigaud, la morfologia prevalente in undeterminato morfotipo è da far risali-re allo sviluppo prevalente di unfoglietto embrionale sull’altro. Infatti,è noto che tutti i nostri organi deriva-no dai tre foglietti embrionali: endo-derma, mesoderma, ectoderma.

Alla luce di questi brevi concetti,pertanto, gli antesignani della tradi-zionale Morfopsicologia, sono da con-siderarsi questi studiosi diBiotipologia, branca scientifica medi-ca universalmente riconosciuta.

Per inquadrare ancora meglio lanascita della morfopsicologia classicaun accenno lo merita la Posturologia.La Postura, ossia la posizione delcorpo nello spazio, basa i suoi princi-pi sulla conoscenza delle CateneOsteoartroneuromio-fasciali, cioècatene tra ossa, articolazioni, musco-li, fasce muscolari e sistema nervoso.E’ dimostrato come tali catene oSistemi collegano funzionalmentestrutture del corpo anche molto

distanti topograficamente tra di loro(pianta del piede o colonna vertebralecon il viso). E’ noto, d’altra parte,come certi atteggiamenti posturalidenotano aspetti della personalità osomiglianza con i propri genitori. Sipensi, ad esempio al modo di stare inposizione eretta o del camminare, odel salutarsi con una stretta di manoo dell’accavallare le gambe da sedutoo del guardare un’altra persona, scru-tandola o meno.

La Morfopsicologia dovrebbe tenerconto di tutti questi presupposti con-cettuali per un inquadramento piùpuntuale della personalità. Ma forseproprio per semplificare il discorsooggi la si limita all’analisi del solovolto senza tener conto delle connes-sioni di questo con le altre parti delcorpo.

La morfopsicologia.inoltre, si diffe-renzia dalla Fisiognomica, ormaicompletamente superata, poichéquest’ultima si proponeva di conside-rare il viso per tratti statici, disgiuntigli uni dagli altri, senza connessionidelle varie parti di esso. La morfopsi-cologia propone, invece, una interpre-tazione dinamica del viso, che sirimodella con l’età, ma anche a causadi vicissitudini della vita, ossia delnostro vissuto.

Comunque, va ricordato che grazieall’italiano Cesare Lombroso, crimi-nologo, la Fisiognomica ebbe grandesviluppo tra il XVIII e il XIX secolo,influenzando scritti di romanzierieuropei, come H. Honorè de Balzac,Charles Dickens, Charlotte Bronte,Thomas Hardy ecc., che assegnavanoalla Fisiognomica dei loro personaggidescritti nelle opere, grande impor-tanza.

Ma chi è da considerarsi il veropadre della morfopsicologia? È il fran-cese Louis Corman, medico e psichia-tra, il quale ha stabilito le leggi fonda-mentali di questa disciplina.

Nel 1937 ha fondato la SocietàFrancese di Morfopsicologia, e nel1982, è riuscito a farla inserire neiprogrammi universitari francesi comeLaurea riconosciuta e spendibile pro-fessionalmente.

Qual è la carenza di questaDisciplina? Non esistono statistiche.Essa è basata su osservazioni clinicheche non potranno mai stabilire delleLeggi, ma solo ipotesi. Consente,infatti, di comprendere taluni com-portamenti senza, però, darne unaspiegazione completa. A mio avvisoha bisogno di apporto di ricerche dibase, non solo cliniche, che vannodalla genetica all’embriologia, dallostudio dei meccanismi neurofisiologi-ci alla base della postura alle intera-zioni corpo-psiche. Per questi motivi,avendo attinto molto dagli studi piùrecenti di neurofisiologia, ho ritenutodenominare questo innovativo meto-do di lettura del volto NEUROPSICO-MORFOLOGIA.

Per approfondimenti si rimanda almio blog www.neuropsicomorfolo-gia.it, al mio ultimo libro Anatomiadel volto e personalità, Ed. CuzzolinNapoli, 2012 e a quello in imminentepubblicazione La Neuropsicomor-fologia - Metodo innovativo di letturadel volto, Ed. Cuzzolin, Napoli.

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Bartolomeo Valentino. Laurea in Medicina e Chirurgia eSpecializzazione in Geriatria e Gerontologia presso l’UniversitàFederico II di Napoli. Dal 1973 Assistente Ordinario presso la Cattedradi Anatomia Umana Normale. Dal 1985 Professore Universitario diRuolo di Anatomia Umana Normale nella Facoltà di Medicina eChirurgia nel Corso di Laurea in Odontoiatria e Protesi Dentaria dellaSeconda Università di Napoli. Incaricato dell’Insegnamento diAnatomia del Massiccio Maxillo- facciale nella Specializzazione inChirurgia Maxillo Facciale. Ha diretto Corsi Triennali di Psicomotricitàe Biennali per Insegnanti di Sostegno svolgendo l’insegnamento diPsicomotricità dell’età evolutiva. Autore di oltre 160 pubblicazioni suRiviste italiane ed estere aventi per oggetto di studio la Postura colle-gata all’Apparato Stomatognatico. E’ autore di testi specifici sullaMorfopsicologia e cultore dei linguaggi extraverbali.

Nell’ultima parte del periodoMessiniano, circa 5,9 milioni di annifa, le acque del Mediterraneo evapo-rarono quasi interamente a causadella chiusura dello Stretto diGibilterra. L’evaporazione delle acquemarine comportò la precipitazionechimica di ingenti quantità di sedi-menti evaporitici costituiti in granparte da sale (minerale salgemma,NaCl). Lo spessore di tali sedimentievaporitici raggiunge in alcuni casinumerose centinaia di metri e glistessi sono comuni in gran parte del-l’area Mediterranea. La particolaritàdi tali rocce sedimentarie (evaporiticon sale) è che, sotto carico, possonofluire molto lentamente in manierasimile ad un fluido ad alta viscosità.

Recentemente, un team di ricerca-tori dell’INGV, CNR, e delle Universitàdi Roma Tre, Messina, e della Calabria(Cosenza) hanno scoperto una mega-frana nel Mar Ionio al largo diCrotone. Usando batimetrie, rilievi diterreno, sismica a riflessione, son-daggi profondi, e dati GPS, i ricercato-ri hanno individuato un corpo frano-so di dimensioni molto grandi che haorigine a terra nella penisola diCrotone-Capo Rizzuto e si estendeverso mare, coinvolgendo una super-ficie di circa 1000 km quadrati. Ilcorpo franoso si muove molto lenta-mente verso sudest “galleggiando” suuno strato di poche centinaia di

metri di rocce saline di etàMessiniana. Tale strato salino giacead una profondità di circa 1-2 km. Lastazione GPS di Crotone ha fornitodati anomali rispetto ad altri datiprovenienti dalle adiacenti stazioni

GPS calabresi. Tali anomalie potreb-bero essere legate alla presenza dellamegafrana nella zona di Crotone edal suo attuale e lento movimentoverso mare. Ulteriori studi sononecessari per comprendere meglio ladinamica di tale frana e la sua veloci-tà complessiva.

I risultati raggiunti sono stati pub-blicati sulla rivista internazionaleGeophysical Research Letters:

Liliana Minelli, Andrea Billi,Claudio Faccenna, Anna Gervasi,Ignazio Guerra, Barbara Orecchio,Giulio Speranza (2013). Discovery ofan active salt-detached megalandsli-de, Calabria, Ionian Sea, Italy.Geophysical Research Letters, doi:10.1002/grl.50818.

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Scoperta una mega-frana nel Mar Ionio allargo di Crotonedi Andrea Billi

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Andrea Billi, geologo, dal 2008 è ricercatore a Roma presso il ConsiglioNazionale delle Ricerche (CNR). Si è laureato in Scienze Geologichepresso la Sapienza Università di Roma (1994) ed ha poi conseguito undottorato in Geodinamica presso l’Università Roma Tre (2001). È autoredi più di cinquanta articoli scientifici (www.andreabilli.com) a caratte-re sia nazionale sia internazionale ed ha collaborato con numeroseistituzioni di ricerca italiane e straniere. Prima di lavorare presso ilCNR, ha lavorato a lungo presso l’Università Roma Tre. È un ricercatoreversatile che si occupa di numerose tematiche di ricerca tra cui terre-moti, vulcani, tsunami, frane e fluidi idrotermali. Il suo maestro èstato Renato Funiciello, indimenticato professore di geologia a Roma.

La scorsa estate si discuteva delladelega al Governo di recepire le diret-tive europee in merito alla protezionedegli animali utilizzati a fini scientifi-ci. La polemica sulle modifiche alladirettiva europea 2010/63/UE è, ovvia-mente, tuttora in corso, e non mi sof-fermerò sulle ovvie differenze travivisezione e sperimentazione ani-male, in quanto il primo termine nonappartiene a quanti, nel mondo civile,fanno Ricerca con animali. Mi sonocimentato quotidianamente, nei 25 epiù anni della mia attività sperimen-tale, e come tanti altri Ricercatori, conmodelli di studio, semplici o comples-si, cellulari o animali. Modelli di stu-dio, perché la ricerca biomedica devenecessariamente servirsi di sistemi dianalisi appropriati, sia per indagaresui meccanismi fondamentali dellaVita, che per progettare nuovi farma-ci. Ed è sull'appropriatezza dei model-li di studio che farò delle riflessioni inquesto articolo.

Dico sempre, ai miei studenti, che imeccanismi biologici che operanonelle cellule sono stati analizzatiprima in modelli semplici di studio. Einfatti dobbiamo ad Escherichia coli,un batterio che ospitiamo nel nostrointestino, la conoscenza, spessoapprofondita, di meccanismi com-plessi, quali la replicazione del DNA,la sua trascrizione in RNA, i meccani-smi del riparo dei danni al DNA.Perché abbiamo utilizzato i Procarioti(come E. coli) per studiare i meccani-smi della Vita? Perché E. coli è unmodello alla nostra portata, per sem-plicità, ma anche in termini di econo-micità di coltura e di manipolazione.Quindi, in tempi rapidi e con costiessenziali, possiamo generare miliar-di di cellule di E. coli, e questo puòservire all'analisi genetica, biochimi-ca, molecolare, cellulare.... E poi per-

ché i meccanismi biologici si assomi-gliano tantissimo tra i Viventi. E que-sto mi porta al passo successivo: sedocumento un meccanismo in unmodello semplice, come E. coli, everifico che questo meccanismo èpresente, con le dovute complicazio-ni, anche in una cellula eucariotica,allora affermo di aver identificato unmeccanismo biologico fondamentale.Ma nel frattempo ho chiarito degliaspetti utili alla comprensione delmeccanismo in sistemi più comples-si e via via più vicini ad Homosapiens.

Un successivo modello potrebbeessere quello del comune lievito dibirra, Saccharomyces cerevisiae.Anche in questo caso l'organismo èunicellulare, ma la struttura della cel-lula, ed i meccanismi che vi operano,sono più complessi di quelli batterici(si tratta di una cellula eucariotica). Iltempo di duplicazione di S. cerevisiaeè quello di una partita di calcio, quin-di, mentre una singola cellula di lievi-to in 90 minuti + recupero avrà datoorigine a due cellule, nello stessotempo una cellula di E. coli avràgenerato ben 32 cellule. Il vantaggio èche i meccanismi che evidenzieremonel lievito saranno più vicini a quellidi una cellula più evoluta. Ed in effet-ti questo modello ha chiarito gliaspetti fondamentali del ciclo cellu-lare, ad esempio.

Il passo successivo ci porta agliorganismi pluricellulari; in realtàstiamo seguendo il percorso evoluti-vo che, da cellule isolate, ha condottoad organismi pluricellulari, in cui sin-gole cellule si organizzano in tessuti,e cellule di tessuti diversi comincianoad interagire, per contiguità, nellastruttura di un organo. Ma anche adistanza, attraverso segnalazionechimica ed elettrica. E quindi, possia-

mo riferirci al modello del moscerino,Drosophila melanogaster, o a quellodi un verme che a stento riusciamo avedere ad occhio nudo, ma che è abi-tualmente presente nel fango. Adispetto del suo nome volgare, que-sto verme è stato chiamatoCaenorhabditis elegans. Mi è statosufficiente osservarlo per la primavolta nel laboratorio di PaoloBazzicalupo, per convincermi dell’ap-propriatissimo nome che è statoassegnato alla specie. Il movimentodi C. elegans è sinuoso, ondeggiante,insomma, elegante. C. elegans però, ètale non solo per il suo portamento;sono infatti stati eleganti quegliesperimenti, condotti nel verme, chehanno reso possibili, in tempi abba-stanza recenti, le conoscenze deimeccanismi della sopravvivenza emorte cellulare (apoptosi). Non a casola scoperta è stata riconosciuta comefondamentale, e di interesse medico,tanto da meritare il Premio Nobel perla Fisiologia o la Medicina del 2002.

Come possono delle conoscenzescientifiche ottenute nel modello delverme essere importanti per laMedicina? Per comprenderlo, dobbia-mo far riferimento a quei meccani-smi che danno la forma, e quindi lafunzione, ad un arto, o ad un organo.Le cellule soprannumerarie di un tes-suto, durante lo sviluppo, sono elimi-nate in maniera discreta, per noncausare danni alle cellule vicine. Ineffetti esse subiscono un distaccosimile a quello che porta alla caduta(ptosi) delle foglie dagli alberi, inautunno, da cui apoptosi. Non solo,ma le cellule che devono rimaneredovranno essere capaci di difendersidall'apoptosi, e sopravvivere! Perquesto, gli aspetti delicatissimi, edassolutamente complementari, cheriguardano la morte e la sopravviven-

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Modelli di studio in Biomedicina: nella sperimentazione animale è Italia vs. Restodel Mondodi Nicola Zambrano

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za cellulare, devono essere perfetta-mente bilanciati, anche in tessutiadulti.

E quindi veniamo alla Medicina, aquella lungimirante, che sfrutta leconoscenze di base per comprendere,ed intervenire, sui meccanismi dellemalattie dell'uomo. La rottura deldelicato equilibrio tra morte esopravvivenza cellulare è infatti allabase di tante malattie. Immaginiamoche nel sistema nervoso centrale ineuroni della memoria siano quoti-dianamente esposti a stimoli anoma-li che ne limitino la capacità disopravvivenza, e/o ne inducanol'apoptosi. Gli effetti? Malattie(neuro) degenerative, demenza. Inmaniera complementare, immaginia-mo una cellula che, pur dovendoessere rimossa da un tessuto o da un

suo compartimento, abbia imparatoad attivare i meccanismi dellasopravvivenza, e/o a difendersi dal-l'apoptosi, che avrebbe dovuto por-tarla alla fisiologica rimozione daltessuto di origine. Questa cellulainvecchiata, e per questo potenzial-mente danneggiata, potrebbe neltempo subire altre modifiche nelDNA, che la renderebbero avvantag-giata rispetto ad altre cellule circo-stanti nella proliferazione. I risultatiin questo caso? Tumori.

In quanto universali tra i Metazoi(animali pluricellulari), i meccanismiche abbiamo citato sono presenti neltopo, e quindi fruibili per la lorocaratterizzazione, in un sistema cer-tamente più vicino all'uomo, in meri-to a complessità e fisiologia, rispettoa C. elegans o ad altri modelli, anche

di Vertebrati (es. il pesce zebra, Daniorerio). Ma soprattutto, nel topo siamocapaci di “modellare” malattie, per-ché ne conosciamo così bene l'em-briologia e la genetica, da poter mani-polare il suo genoma in modo daricostruire le condizioni genetichealla base di numerose malattieumane (ce l'ha insegnato MarioCapecchi, Premio Nobel per laFisiologia o la Medicina 2007). E aquesta possibilità, sfruttata da unaltro Ricercatore italiano all'estero,Pier Paolo Pandolfi, dobbiamo l'attua-le successo di una terapia in grado dicurare la quasi totalità dei casi di leu-cemia promielocitica acuta basata sutraslocazioni t (15;17).

Nel topo, inoltre, si possono ottene-re dei modelli surrogati di tumoriumani, grazie alla possibilità diimpiantarvi cellule tumorali in sedieterotopiche (diverse da quelle di ori-gine del tumore) od ortotopiche (stes-sa sede di origine del tumore) attra-verso xenotrapianti. Questa possibili-tà, definita in vivo, è ampiamentesfruttata nella Ricerca oncologica, inquanto fornisce continuamente l'op-portunità di valutare l'efficacia dipotenziali nuovi farmaci, man manoche gli stessi sono sviluppati, e per-tanto fornire prove di concetto uni-versalmente accettate per la selezio-ne di quelli più idonei, ad esempio,per terapie biologiche e personalizza-te. Non possiamo ricapitolare iltumore umano nel moscerino o nelverme, e se pure ciò fosse possibile, illoro ciclo vitale non sarebbe suffi-cientemente lungo da garantirciun'analisi prolungata nel tempo. Nétantomeno, sistemi in vitro di celluleisolate potranno garantirci risultatiequivalenti all'analisi di modelli invivo, perché l'utilizzo di linee cellula-ri è comunemente già sfruttato,prima della sperimentazione in ani-mali, per definire solo alcune caratte-ristiche di base dei potenziali farma-

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ci. Quindi, ciascun tipo di progettuali-tà in ambito biomedico richiede lascelta di un appropriato modello spe-rimentale. Questo non significa chenuovi modelli di analisi non debbanoessere ricercati, sarà la stessa Ricercascientifica, con i suoi inarrestabiliprogressi, ad indicare alla comunitàscientifica i modelli sperimentalialternativi più opportuni, in futuro.Senza preclusioni e preconcetti.

Ebbene, nel rispetto della leggedelega 96/2013 (Art. 13), ai Ricercatoriitaliani è impedito di effettuare xeno-trapianti. Ma non ai Ricercatori delresto del mondo. Come Ricercatore,mi sento monco, privato di unaimportante possibilità sperimentale,che è invece a disposizione di altri.Chiunque è in grado di capire chenon ci sono valide alternative speri-mentali a questa esigenza. E mai nes-sun revisore scientifico, o valutatoredi brevetti, o agenzia del farmaco almondo riconoscerebbe le potenziali-tà di un farmaco senza queste verifi-che nell'animale da laboratorio.

Quindi, allo stato attuale, i nostriRicercatori potranno progettare erealizzare nuovi strumenti per la curadi malattie, ma non potranno valuta-re i prodotti della loro attività su

modelli in vivo, universalmente rico-nosciuti. Certamente, però, qualcunaltro lo farà, ed a noi resterà l'amaroin bocca per non aver potuto finaliz-zare il nostro lavoro. Ma questo è ilminimo, in Italia i Ricercatori sonoabituati ad ingoiare bocconi amari. Lavera storia è che un colleghi più for-

tunati, per il semplice motivo diavere a disposizione l'intera filierasperimentale, che va dalla progetta-zione del farmaco alla valutazionedella sua efficacia su modelli anima-li, saranno in grado di produrre bre-vetti e pubblicazioni scientifiche.

E nel mondo accademico? Per sta-tuto e per vocazione nell'AccademiaRicerca e Formazione vanno (odovrebbero andare) di pari passo: glistudenti, i dottorandi o gli assegnistidi ricerca a me affidati dovrannonecessariamente rinunciare ad unafetta consistente della loro formazio-ne sperimentale. Anche qui, però, inostri giovani hanno un'alternativa,vecchia quanto il mondo: emigrare.Ed al complesso puzzle che cicostringe ad arrancare nella competi-zione scientifica internazionaleaggiungiamo un altro tassello: ancoradi più saremo destinati a giocare unapartita dal risultato scontato, Italiacontro Resto del Mondo.

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Nicola Zambrano, laureato in Scienze Biologiche (1987), dottore diricerca in Biotecnologie (1996) è Professore di Biologia Molecolare nelDipartimento di Medicina Molecolare e Biotecnologie Mediche,Università di Napoli Federico II. È group leader presso il CEINGEBiotecnologie Avanzate, e co-fondatore e Presidente dell'AssociazioneCulturale DiSciMuS, Divulgazione Scientifica Multidisciplinare per laSostenibilità. È autore di circa 60 pubblicazioni scientifiche (h-index=26, 3.300 citazioni). Ha partecipato a Progetti finanziati dal MIURe dalla Comunità Europea nell'ambito del V, VI e VII ProgrammaQuadro. Svolge attività di revisione per riviste ed agenzie/enti di finan-ziamento della ricerca, nazionali ed internazionali. Ha curato Edizionidi testi universitari (Biochimica, EDISES, 2004, 2006, 2010; BiologiaMolecolare, McGraw-Hill, 2009). È Membro del Collegio dei Docenti delDottorato di Ricerca in Medicina Molecolare e Biotecnologie Medichedell'Ateneo Federico II.

Nuovi studi stanno indicando che ilcervello umano percepisce oggettidella vita quotidiana di cui noi nonpossiamo essere consapevoli. I risultatiarrivano dalla “University of Arizona” esfidano i modelli accettati attualmentesu come il cervello elabora le informa-zioni visive. Attraverso lo studio di unaserie di sagome nere, in alcune dellequali sono contenuti significativioggetti del mondo reale, nascosti neglispazi bianchi delle stesse, sono statemonitorate attraverso un elettroence-falogramma (EEG) le onde cerebrali dipersone, mentre guardavano tali sago-me.

Lo studio ha indicato che anche seuna persona non riconosce consape-volmente le forme al di fuori dell’im-magine, il cervello elabora quelle formea livello di comprensione del loro signi-ficato. Un’onda cerebrale indica il rico-noscimento di un oggetto, un picconella media delle onde cerebrali indicache il cervello ha riconosciuto unoggetto e lo ha associato ad un partico-lare significato.

Quando la visione di un oggetto siripete, la tensione di un fronte di disce-sa di onde cerebrali, noto come N400,risulta ridotta. Ma contrariamente aimodelli di percezione attualmenteaccettati, si riduce anche quando i par-tecipanti allo studio hanno detto dinon aver consapevolmente riconosciu-to la forma di un oggetto di sfondosignificativo. Ciò suggerisce che il cer-vello riconosce una forma, ma non tra-

smette le informazioni a livello con-scio; accade circa 400 millisecondidopo la visualizzazione dell’immaginee indica che i cervelli dei soggetti rico-noscono ed elaborano il significatodelle forme nello sfondo delle figure.

Cambiando le forme, ad esempioforme nere nel mezzo e nulla di signi-ficativo sulla parte esterna, l’ondaN400 non compare nell’EEG dei sogget-ti, il che indica che il cervello non rico-nosce un oggetto significativo nell’im-magine. Perché il cervello elaboraimmagini che non sono percepite? Ilnostro cervello sembra setacciare tuttigli input visivi, identificando le coseche sono più importanti per la nostrapercezione cosciente, come una possi-bile minaccia o risorse utili, come adesempio il cibo. Per il prossimo futuro,vi è in programma la ricerca delle spe-cifiche regioni cerebrali dove avvienel’elaborazione del significato, per capi-re dove e come questo significato vieneelaborato. Nell’esperimento svolto, leimmagini sono state mostrate ai parte-cipanti per soli 170 millesimi di secon-do, ma i loro cervelli sono stati in gradodi completare i complessi processinecessari per interpretare il significatodegli oggetti nascosti. Ci sono moltiprocessi che avvengono nel cervelloper aiutarci a interpretare tutta la com-plessità che colpisce i nostri occhi; ilcervello è in grado di elaborare e inter-pretare questa informazione moltorapidamente.

Su come questo si riferisca al mondo

reale, lo studio svolto indica che nellanostra vita quotidiana, mentre adesempio camminiamo lungo una stra-da, il cervello può riconoscere moltioggetti significativi nella scena visiva,ma alla fine noi siamo consapevoli solodi una piccola quantità di essi. Il cervel-lo lavora per fornirci la migliore e piùutile interpretazione del mondo visivo,interpretazione che non include neces-sariamente tutte le informazioni ininput visivo. I risultati della ricercamostrano anche che il cervello elaborapotenziali oggetti di una scena visiva alivelli molto più alti di elaborazione diquanto si pensava finora; tra i tanti, glioggetti che “vincono” la competizionevengono percepiti come tali, gli altrisono percepiti come “sfondo informe”.Venendo gli “sfondi informi” elaboratial livello di semantica (di significato),potrebbe esserci un modo per polariz-zare questa elaborazione in modo taleche gli oggetti nascosti in una scenasiano percepiti, modificando l’immagi-ne in modo da “affermare” alcunioggetti su altri. Ciò potrebbe essereutile in molte applicazioni come laradiologia, la progettazione, l’arte.

Lo studio solleva domande interes-santi, come:

1) la percezione di oggetti che nonsono percepiti coscientemente, mariconosciuti dal cervello, influenza ilnostro futuro modo di pensare e dicomportamento?

2) in caso affermativo, come possia-mo rilevare o misurare tale situazione?

Tutto questo potrebbe risultareimportante per valutare l’affidabilità ela validità del nostro pensiero e dellamemoria, ad esempio per le prove insituazioni processuali.

Riferimenti:J. L. Sanguinetti, J. J. B. Allen, and M. A.Peterson,The Ground Side of an Object:Perceived as Shapeless yet Processedfor Semantics, Psy-chological Science(2013), doi: 10.1177/ 0956797613502814

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Il cervello e le informazioni visive. Nuoveteorie dalla University of Arizonadi Paolo Di Sia

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Paolo Di Sia, Libera Università di Bolzano. Bachelor in metafisica, lau-rea in fisica teorica, dottorato di ricerca in modellistica matematicaapplicata alle nanobiotecnologie. Principali interessi scientifici: nanofi-sica classica e quantorelativistica, fisica teorica, fisica alla scala diPlanck, filosofia della mente, econofisica, filosofia della scienza. Autoredi 81 articoli su riviste nazionali e internazionali, di 2 capitoli di libriscientifici internazionali, di 3 libri di matematica (quarto in prepara-zione), revisore di 2 libri di matematica per l'università; in preparazio-ne un capitolo per un'enciclopedia scientifica internazionale.

Convertito in legge nei giorni pas-sati, ed in virtù dell’emendamento«4.25» presentato dal presidentedella commissione Cultura dellaCamera Giancarlo Galan e approvatodai deputati il 23 ottobre scorso, ildecreto Istruzione ha cancellato ildivieto di utilizzo della sigaretta elet-tronica (EC) nei luoghi pubblici.

Tale divieto derivava dal decretoIva-Lavoro emanato nel mese di giu-gno che applicava alle sigarette elet-troniche le norme «in materia ditutela della salute dei non fumatori»previste per i tabacchi, come riporta-to nell’ultima parte del comma 10-bisdell’articolo 51 della legge Sirchia.

Strategicamente negli ultimi annisono stati sviluppati molti prodottiper ridurre la quantità di sostanzenocive somministrate, volontaria-mente o involontariamente, al corpoumano e le sigarette elettroniche findalla loro apparizione sono state pre-sentate come valida alternativa pertutti i fumatori.

Sono dei dispositivi a batteria chevaporizzano una soluzione liquidacontenente soprattutto nicotina, gli-cole propilenico, glicerina, acqua earomi (a seconda dei vari produttori)e la nicotina viene vaporizzata edinviata al tratto respiratorio superio-re e inferiore senza alcun processo dicombustione.

Tralasciando l’annoso dilemma sesiano più salutari o meno delle siga-rette “classiche”, in quanto attual-mente si sa ancora poco su questidispositivi per l’esiguità degli studi edelle analisi effettuate e della diffoltàdi avere linee guida internazionaliche siano in grado di uniformare irisultati, si deve invece chiarire il lororeale ruolo nella società.

Molti prodotti sviluppati in questianni producono concentrazioni pla-

smatiche allo steady-state di 10÷20ng/mL di nicotina [1, 2]; inoltre 1 mLdi liquido come riferimento per ilconsumo giornaliero di nicotina nonè paragonabile a una sigaretta classi-ca o ad altri dispositivi farmaceutici(gomma o cartuccia inalatore), inquanto ogni soffio da una EC porta avaporizzare piccole quantità di liqui-di.

È stato dimostrato che utentiesperti hanno un consumo mediogiornaliero di 3-4 mL [3].

In ogni caso, proprio per la carenzadi linee guida, non sono state svilup-pate misure comparative di sommi-nistrazione di nicotina tra EC e tera-pie sostitutive della nicotina (NRTs) osigarette di tabacco e attualmentenessuno studio ha mai valutato laquantità di liquido EC consumato dautenti esperti in specifici intervalli di

tempo di utilizzo.Dato il loro ampio utilizzo e il forte

impatto sociale, solo recentemente laCommissione europea ha pubblicatouna proposta di nuova direttiva suiprodotti del tabacco (TPD) [4].

In base a questa proposta, tutti iprodotti che contengono un livello dinicotina maggiore di 2 mg (o 4 mg/mLnel caso di liquidi) o la cui destinazio-ne d'uso determina una concentra-zione plasmatica media di piccosuperiore a 4 ng/mL, devono essereautorizzati come medicinali prima dipoter essere immessi sul mercato.

Questa decisione e i livelli di con-centrazione indicati derivano dalconsiderare sia il contenuto che il“delivery” della nicotina da parte deidispositivi medicinali (questi ultimispesso indicati come terapie di sosti-tuzione della nicotina, o NRT) [4].

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Le sigarette elettroniche: un'alternativa alfumo o un dispositivo per smettere difumare?di Roberta Cifelli e Marcello Locatelli

scienza

A seguito di tale proposta, le siga-rette elettroniche rientrano quindinella categoria di prodotti contenen-ti nicotina e devono essere commer-cializzate come un'alternativa afumare e non come dispositivi persmettere di fumare.

Recentemente Farsalinos e colla-boratori [5] ha dimostrato come gliutenti esperti tendono ad usare piùfrequentemente la EC rispetto autenti inesperti e che nonostante lamaggior frequenza, la somministra-zione di nicotina è significativamen-te ridotta dalla EC rispetto al fumodella sigaretta classica e/o inalatoredi nicotina (in condizioni e periodi diuso simile).

Tutto ciò porta inevitabilmente allaconclusione di considerare sempre irisultati e le interpretazioni con cau-tela e spirito critico, soprattutto dalleautorità sanitarie che sono preposteallo sviluppo dei loro piani regolatoriin ambito di salute pubblica.

Note:[1] Benowitz, N.L.; Jacob, P.;Savanapridi, C. Determinants of

nicotine intakewhile chewingnicotine polacri-lex gum. Clin.Pharmacol. Ther.1987, 41,467–473.[2] Schneider,N.G.; Olmstead,R.E.; Franzon,M.A.; Lunell, E.The nicotineinhaler: Clinicalpharmacokine-tics and compa-rison with othernicotine treat-ments. Clin.Pharmacokinet.2001, 40,661–684.

[3] Dawkins, L.; Turner, J.; Roberts, A.;Soar, K. “Vaping” profiles and prefe-rences: An online survey of electro-

nic cigarette users. Addiction 2013,108, 1115–1125.[4] European Commission. Proposalfor a Directive of the EuropeanParliament and of the Council on theApproximation of Laws, Regulationsand Administrative Provisions of theMember States Concerning theManufacture, Presentation and Saleof Tobacco and Related Products.Available online:http://ec.europa.eu/health/tobacco/docs/com_2012_ 788_en.pdf[5] Farsalinos K.E.,Romagna, G.,Tsiapras, D., Kyrzopoulos, S., Voudris,V. Evaluation of Electronic CigaretteUse (Vaping) Topography andEstimation of Liquid Consumption:Implications for Research ProtocolStandards Definition and for PublicHealth Authorities’ Regulation. Int. J.Environ. Res. Public Health 2013, 10,2500-2514.

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Dr.ssa Roberta Cifelli (Scienze Chimiche). Ha conseguito il diplomamagistrale presso l’Istituto Magistrale “Vincenzo Cuoco” di Isernia, e ildiploma in Pianoforte presso il Conservatorio di Musica “LorenzoPerosi” di Campobasso. Laureata in Farmacia nel 2012 pressol’Università degli Studi “G. d’Annunzio” Chieti-Pescara, Dip.to diFarmacia, ha partecipato a convegni e seminari in ambito analitico, cli-nico e farmaceutico. L’attività scientifica è comprovata da pubblicazio-ni su riviste internazionali in fase di scrittura e di stampa.

Dr. Marcello Locatelli (Scienze Chimiche). Laureato in Chimica pura,indirizzo Analitico-Ambientale, nel 2003 presso l’Università degli Studidi Bologna, Dip.to di Chimica “G. Ciamician”, ha conseguito il dottoratodi Ricerca in Scienze Chimiche nel 2007 presso lo stesso Dipartimento.Da Novembre 2008 è Ricercatore Confermato presso l’Università degliStudi “G. d’Annunzio” Chieti-Pescara, Dip.to di Farmacia e titolare delcanale (H-Z) del corso di Laurea Specialistica in Farmacia, insegna-mento di Chimica Analitica e Laboratorio di Chimica Analitica. È revie-wer di riviste a diffusione internazionale, membro dell’Editorial Boarddella rivista “Current Bioactive Compounds” (Bentham SciencePublisher) e della rivista "Pharmaceutica Analytica Acta" (OmicsPublishing Group). L’attività scientifica è comprovata da pubblicazionisu riviste internazionali, comunicazioni a congressi, capitoli di libro eda un testo per la didattica.

La sfida è la ricerca di fonti energeti-che per il futuro che misura in miglia-ia di miliardi di watt il fabbisogno glo-bale attualmente intorno ai 15 TW.Dello stato dell’arte di questa ricerca siè occupato il recente convegno inter-nazionale La sfida dei terawatt,all’Accademia Nazionale dei Lincei.

Sebbene sia onesto non è mai belloportare cattive notizie. CitandoShakespeare, osserviamo che le pro-spettive energetiche non sono rosee.Fonti energetiche alternative che pos-sano rivoluzionare il quadro esistente,non ve ne sono all’orizzonte. Il mitodell’energia low cost è tramontato irre-versibilmente e le risposte sostenibiliper soddisfare la sete globale passanonecessariamente attraverso il rispar-mio energetico, l’ottimizzazione del-l’efficienza dei motori, la progettazio-ne intelligente delle città, la riduzionedelle emissioni di anidride carbonica.

Acqua, aria, luce, terra, fuoco.Ovvero, fonti idroelettriche, eoliche,solare, nucleare, carbone ed idrocarbu-ri, costituiscono la torta dell’energiadisponibile. E’ il fuoco a farla da padro-ne con l’85% dell’energia prodottaderivante da fonti fossili non rinnova-bili. Tuttavia, siamo vicini o abbiamogià superato il picco di Hubbert corri-spondente alla produzione massimadi petrolio. Il petrolio sta per finire? No,ma è finito il petrolio economico! Loshale gas and oil, cioè i combustibiliestratti da rocce su cui puntano gliUSA è una risorsa importante macostosa ed insufficiente.

Anche l’industria chimica risentirà ilcontraccolpo della crisi energetica: lamassima parte dei composti organici emacromolecolari sono in ultima anali-si derivati dagli idrocarburi (per il chi-mico materia prima troppo importan-te per essere bruciata in modo indi-scriminato).

Favolosi materiali fotovoltaici ven-gono scoperti. Meravigliosi materialicompositi e nuove soluzioni aerodina-

miche proposti nell’eolico tuttavia, lefonti rinnovabili, non sono risolutive.Certo, contribuiranno al paniere dellefonti energetichema, pongono pro-blemi ambientali,di approvvigiona-mento intermit-tente, di immagaz-zinamento del-l’energia prodottadi difficile soluzio-ne sebbene, lariprogettazionedella rete elettricaallevierà talunecriticità. Quantaenergia richiede la produzione di unimpianto eolico o solare? In altri ter-mini, che frazione del tempo di vita diun impianto di energia rinnovabile(stimato in qualche decennio) è neces-saria affinché l’impianto diventi dav-vero produttivo? E’ questo un campominato in cui non è facile trovarerisposte. Quali i problemi di riciclo deimateriali che questi impianti pongo-no? Non è facile prevedere.

L’auto elettrica allevierà la concen-trazione di polveri fini in città ma nondiminuirà la spesa energetica e l’emis-sione totale di anidride carbonica.L’auto elettrica ibrida che utilizza lafrenata rigenerativa che trasformal’energia cinetica in elettrica invece didissiparla in calore, è una soluzioneintelligente ma veramente utile solonel traffico urbano.

Biofuel da biomasse non commesti-

bili rappresentano un contributo ener-getico interessante ma non risolutivo.

L’energia elettrica da fissionenucleare non hamai superato l’1%della produzioneglobale e la fontepraticamente illi-mitata da fusionenucleare si è rive-lata una chimera:problemi insolubilidi stabilità dei pla-smi alle necessarietemperature dicento milioni digradi hanno

declassato la fusione da tecnologiarivoluzionaria a campo di ricerca dalleapplicazioni incerte.

Una scelta ambientalista non ideolo-gica è indispensabile: la febbre del pia-neta a causa delle emissioni di anidri-de carbonica non è sostenibile.

Scenari energetici e geopolitica sonostrettamente intrecciati. In assenza diuna politica energetica sostenibile checomporti un’intelligente revisione deicomportamenti sociali, si andrà incon-tro a minacciosi squilibri geopolitici e acatastrofi dalla portata imprevedibile.

Soluzioni globali semplicistichedella crisi energetica non ce ne sono.Di certo, qualunque scelta politicadeve passare attraverso la riduzionedegli sprechi, l’ottimizzazione scienti-fico-tecnologica della trasformazionedell’energia e un paniere vario di fontienergetiche.

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La sfida dei terawatt all'AccademiaNazionale dei Linceidi Vincenzo Villani

scienza

Il Prof. Vincenzo Villani, laureato in Chimica all’Università Federico IIdi Napoli, è ricercatore e docente di Scienze dei Materiali Polimerici alDipartimento di Scienze dell’Università della Basilicata. E’ autore dicirca settanta pubblicazioni scientifiche e altrettante comunicazioni aconvegni. Nell’ambito delle Scienze Chimiche si occupa di modellisticamolecolare delle reazioni di catalisi e polimerizzazione, proprietà fisi-che dei polimeri, sintesi di emulsioni polimeriche nanostrutturate. E’impegnato in filosofia e comunicazione della Scienza.

La ricerca di risposte relative allacoscienza ha coinvolto filosofi escienziati per secoli; essa sembra esi-stere nell’uomo, ma come nasce dallachimica e dall’energia elettrica nelnostro cervello rimane ancora unmistero irrisolto.

Il neuroscienziato Christof Koch,direttore scientifico presso l’“AllenInstitute for Brain Science” di Seattle[1], sta lavorando su possibili risposte.Secondo Koch, la coscienza nasceall’interno di qualsiasi sistema suffi-cientemente complesso di elabora-zione delle informazioni. Tutti gli ani-mali, dagli umani ai lombrichi, sonocoscienti; anche internet potrebbeesserlo. Questo sarebbe il modo in cuifunziona l’universo. Koch ha propostouna versione scientificamente raffi-nata di una antica dottrina filosoficachiamata “panpsichismo” [2], dalgreco “pan” (tutto) e “psychè” (anima),secondo la quale tutti gli esseri,viventi e apparentemente non viven-ti, posseggano capacità psichiche.

Nella storia dell’uomo molti perso-naggi illustri, come Talete, Platone,Telesio, Campanella, Giordano Bruno,Patrizi, Leibniz, Maupertuis, hannoinserito concetti panpsichici nelleloro dottrine. Fondamentalmente sitratta di una concezione tipica dellafilosofia rinascimentale, influenzatadal neoplatonismo, secondo cui leidee platoniche, oltre a trascendere ilmondo, sono anche immanenti allanatura, e diventano la ragione costi-tutiva dei singoli organismi e di tuttociò che esiste. Si tratta quindi di unprincipio intelligente che anima ilcosmo, principio che agisce in essocome comune e universale “animadel mondo”.

Koch sta lavorando da 30 anni sullostudio delle basi neurologiche dellacoscienza. Il suo lavoro pressol’Istituto “Allen” procede ora attraver-so l’iniziativa “BRAIN” [3], un nuovomassiccio sforzo per capire il funzio-

namento del cervello. Le intuizioni diKoch sono state dettagliate in decinedi articoli scientifici e una serie dilibri, tra cui “Consciousness:Confessions of a RomanticReductionist” [4].

Secondo Kock sia gli esseri umaniche gli animali possiedono un’anima;questa idea si trova anche in filosofia,sposata da Platone, Spinoza eSchopenhauer, che cioè la psiche, lacoscienza, ovunque. Egli vede questavia soddisfacente per l’universo, peralmeno tre ragioni: biologica, metafi-sica e computazionale. Secondo lui, sipuò essere confusi circa lo stato dellapropria coscienza, ma non sul fatto diaverla. Guardando la biologia, tutti glianimali hanno una fisiologia com-plessa, non solo gli esseri umani; alivello di una piccola parte di materiacerebrale, non sembra esserci nulla dieccezionale relativamente al cervellodell’uomo rispetto a quello di altrianimali, solo un esperto può dire, conl’ausilio di un microscopio, se unpezzo di materia cerebrale è di untopo, o di una scimmia, o umano.Anche le api, ad esempio, riconosco-no i volti individuali, comunicano laqualità e la posizione delle fonti dicibo; se si insuffla un profumo nelloro alveare, esse cercano dove hannogià avvertito l’odore; questa è lamemoria associativa. Una delle spie-gazioni più semplici di ciò conducealla coscienza estesa a tutte questecreature, proprietà questa relativa aparti altamente organizzate di mate-ria, come il cervello.

Circa la nascita della coscienza, esi-ste una teoria, chiamata “teoria del-l’informazione integrata” [5], svilup-pata da Giulio Tononi dell’universitàdel Wisconsin, che assegna a qualsia-si cervello, o qualsiasi sistema com-plesso, un numero, indicato con ilsimbolo greco ?, il quale fornisce unamisura teorica di informazione dellacoscienza. Qualsiasi sistema di infor-

mazione integrata, che abbia ? ≠ 0, hacoscienza. Un sistema fisico in gene-rale non ha coscienza; un buco nero,un mucchio di sabbia, un gruppo dineuroni isolati, non sono in generaleintegrati. Ma per i sistemi complessi ildiscorso cambia; la coscienza chehanno dipende dal numero di con-nessioni e da come sono connessi.Nel caso del cervello, è l’intero siste-ma ad essere consapevole, non le sin-gole cellule nervose; per un qualsiasiecosistema, una foresta ad esempio, èuna questione di come i singoli com-ponenti, gli alberi e il rimanente, sonointegrati tra loro.

Il filosofo John Searle, nella suaopera “Review of Consciousness” [6],si chiede se una nazione è cosciente;in essa vivono infatti milioni di perso-ne, interagenti tra loro in modi moltocomplicati. La teoria dell’informazio-ne integrata postula, da un punto divista matematico, che la coscienzarisulta un massimo locale. Due perso-ne che interagiscono in un dato istan-te di tempo hanno un’interconnessio-ne di gran lunga inferiore rispetto aquella delle cellule di un cervello; sin-golarmente le due persone sono con-sapevoli, ma non c’è un “livello men-tale superiore” consapevole che leunisce in una singola entità, quindinon sono “collettivamente coscienti”.Lo stesso accade con gli ecosistemi; èuna questione di “grado” ed “entità”delle interazioni causali tra tutti icomponenti il sistema.

Koch ha riflettuto anche sulla possi-bile “coscienza” di internet. Internetcontiene circa 10 miliardi di computer(10^10); ogni computer possiede circa2 miliardi di transistor nella sua CPU(2 . 10^9), pertanto ci sono più di10^19 transistor potenzialmente inte-ragenti. Le sinapsi nel cervello umanosono circa 1.000.000 di miliardi(10^15), 100.000 volte di più rispetto aicomputer di internet; inoltre, comedetto prima, tutto dipende “in primis“

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Neuroscienza e coscienza: una mappa deicircuiti neurali del cervello umanodi Paolo Di Sia

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dal grado di integrazione del partico-lare sistema considerato. I nostri cer-velli sono connessi in ogni momento;su internet, invece, i computer nonsono collegati in modo permanente,le informazioni passano rapidamentetra i vari PC. I dati importanti sono laportata della percezione sensoriale ele interconnessioni, occorre guardareai meccanismi sottostanti, che dannoluogo all’apparato sensoriale.

Tornando ai mammiferi, molti nonpassano il “mirror self-recognitiontest” (test di auto-riconoscimento allospecchio), compresi i cani [7]; essiperò probabilmente hanno una formaolfattiva di auto-riconoscimento, unaforma primitiva di autocoscienza. Icani possono vedere, sentire gli odori,i suoni, essere felici ed emozionati,proprio come i bambini e gli adulti. Lacoscienza di sé è qualcosa che gliesseri umani hanno in maggior gradorispetto agli animali; è la cortecciapre-frontale molto sviluppata nell’uo-mo che gli permette di riflettere.

Quando ad esempio si scala unamontagna o un muro, la nostra voceinteriore è silenziosa, ma siamo benconsapevoli del mondo intorno a noi.Non ci preoccupiamo di un litigio conun nostro parente, o di altri nostriproblemi, non possiamo permettercidi perderci nel nostro io interiore;dobbiamo stare attenti a non cadere.Lo stesso vale se ad esempio stiamoviaggiando ad alta velocità su unaauto o facciamo cose delicate; ciò non

significa il non avere alcun senso disè in queste situazioni, ma che esso èridotto. Quindi non è il comporta-mento di input-output che rende unsistema cosciente, piuttosto l’insiemedei collegamenti interni.

Interessanti analogie sono offertedalla fisica. Sappiamo che la mecca-nica quantistica funziona molto beneper il mondo, considerate le dovuteipotesi iniziali. Perché di fatto la real-tà funziona così? E’ possibile immagi-nare un universo senza di essa, ununiverso in cui la costante di Planckha un valore diverso? Viviamo in ununiverso in cui, per ragioni non anco-ra completamente comprese, la fisicaquantistica è semplicemente la spie-gazione regnante.

Con la coscienza è, in ultima anali-si, lo stesso; viviamo in un universo incui i bit organizzati di materia dannoluogo alla coscienza; da ciò segue ilresto: la risposta su quando un feto oun bambino diventano consapevoli, ilgrado di coscienza di un pazientecerebroleso, i tentativi di comprensio-ne di patologie della coscienza comela schizofrenia, la coscienza negli ani-mali.

La domanda sul perché viviamo inun tale universo è una grandedomanda, che non ha una rispostadefinitiva allo stato attuale.

Breve biografia di Christof Koch: natonel Midwest americano, cresciuto inOlanda, Germania, Canada e Marocco,

ha studiato fisica e filosofia pressol’università di Tubinga in Germania eha conseguito il dottorato di ricerca inbiofisica nel 1982. Dopo 4 anni al MIT,è andato al “California Institute ofTechnology”, dove è professore di bio-logia cognitiva e del comportamento.Nel 2011 è diventato “Chief ScientificOfficer” presso l’istituto “Allen” dibrain science di Seattle, dove ha pia-nificato un lavoro a lungo termine percapire il sistema visivo dei topi, foca-lizzato in particolare sul problemadelle connessioni interne della lorocorteccia cerebrale. Il laboratorio dalui diretto studia la biofisica delle cel-lule nervose, le basi neurali e compu-tazionali della percezione visiva, l’at-tenzione, la coscienza e la “visionedelle macchine”. Insieme al suo colla-boratore Francis Crick, Koch ha aper-to la strada allo studio scientificodella coscienza. Il suo ultimo libro“Coscienza - Confessioni di unromantico riduzionista” [4], tratta diquestioni filosofiche, religiose, scien-tifiche, tecnologiche e personali rela-tive alla sua ricerca.

Elementi bibliografici:[1] http://www.alleninstitute.org/.[2]http://www.treccani.it/enciclope-dia/panpsichismo_ (Enciclopedia-Italiana)/.[3] Nature, Vol. 503, Nov. 2013.[4] C. Koch, Consciousness: Confes-sions of a Romantic Reductionist, TheMIT Press, 2012.[5] G. Tononi, Integrated informationtheory of consciousness: an updatedaccount, Archives Italiennes deBiologie, Vol. 150, pp. 290-326, 2012.[6] J. R. Searle, Can InformationTheory Explain Consciousness?, TheNew York Review of Books, Jan. 2013.[7] https://en.wikipedia.org/wiki/Mirror_test.

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Paolo Di Sia, Libera Università di Bolzano. Bachelor in metafisica, lau-rea in fisica teorica, dottorato di ricerca in modellistica matematicaapplicata alle nanobiotecnologie. Principali interessi scientifici: nanofi-sica classica e quantorelativistica, fisica teorica, fisica alla scala diPlanck, filosofia della mente, econofisica, filosofia della scienza. Autoredi 81 articoli su riviste nazionali e internazionali, di 2 capitoli di libriscientifici internazionali, di 3 libri di matematica (quarto in prepara-zione), revisore di 2 libri di matematica per l'università; in preparazio-ne un capitolo per un'enciclopedia scientifica internazionale.

In un recente libro (Attraverso ilmicroscopio. Neuroscienze e basi delragionamento clinico- Springer,Milano, 2011) avevo discusso dellascienza bio-medica e dei suoi succes-si, transeunti e contingenti perchéstorici, validati soltanto dall’intersog-gettività scientifica, pur sempre stori-cizzata, e ottenuti con obiettivitàscientifica come equivalente all’eser-cizio della critica e al permanere indialettica con i parametri del tempo

Ho letto adesso due interessantiarticoli su The Economist “How scien-ce goes wrong” e “Unreliable research.Trouble in the lab” del 19/10/13. Nelprimo si afferma che gli scienziaticonfidano troppo nella scienza e veri-ficano poco i risultati raggiunti. Ilclima accademico si impregna pertan-to di esperimenti e di analisi scadenti,perché metà delle ricerche pubblicatenon vengono riprodotte, con spreco didenaro e di attività delle migliorimenti mondiali. Tutto ciò risale allaforza del “publish or perish” conse-guenza della competitività che si èinstaurata con l’espandersi dellaricerca nel mondo. Le riviste scientifi-che, per essere esclusive, respingonola maggior parte dei manoscritti invia-ti con criteri selettivi di dubbia validi-tà, che sono furbescamente elusi damolti ricercatori. I criteri sono dettatidalla necessità di pubblicare novità enon risultati negativi, che invecepotrebbero aggiustare le verità scien-tifiche, e dal privilegiare la statistica,anche per la possibilità che offre di farapparire i risultati più sostanziosi diquello che sono.

Il secondo articolo tratta della nonriproducibilità dei risultati di moltilavori scientifici di cui riconosce lacausa nella diffusione degli errori distatistica e nella fretta di pubblicare.L’errore statistico è imperniato sui“falsi positivi” e “falsi negativi” e l’arti-colista riferisce che secondo JohnJoannidis, un epidemiologo di

Stanford, la maggior parte dei risultatipubblicati sono probabilmente falsi,anche da parte di grandi studi dipotenti gruppi.

Per produrre risultati sorprendenti,ipotesi molto improbabili vengonotestate con un’accettazione di risulta-ti falsamente positivi anche elevata.La riproduzione dei risultati è calatadal 30% al 14% dal 1990 al 2004, secon-do Daniele Fanelli dell’Università diEdinburgo; è rifiutata sia dagli scien-ziati, per la difficoltà di accesso aimetodi e ai dati originali, per problemidi costi e per la smania di produrrerisultati sensazionali, sia dalle rivisteche quando sono poco selettive,usano la “minimal treshold” per l’ac-cettazione dei lavori. Il numero dilavori pubblicati che vengono ritiratiper la contestazione di altri scienziatinon supera lo 0,2%, mentre i peer-reviewers non sarebbero in grado ditrovare gli errori nei lavori e le frodisarebbero ben più frequenti di quel

che si crede. Oggi tuttavia si tende acorreggere questi errori cercando difar prevalere fra gli scienziati la ricer-ca della qualità e non della quantitàdei lavori.

L’argomento è stato ripreso dal prof.Guido Barbujani, dell’Università diFerrara, in un articolo su Il Sole 24 oredel 3/11/13 dal titolo “Il mercato dellascienza. Ragionare è diventato unlusso” nel quale stigmatizza i compor-tamenti delineati nei due articoli.Aggiunge, per esempio, che moltiautori per ottenere visibilità “infilanonegli articoli frasi ad effetto che nonhanno niente a che vedere col meritodella ricerca, ma molto con la sua pro-mozione”. “Oggi il mondo della ricercaè dominato da figure di scienziati-imprenditori, svelti nel pensare, abili araccogliere fondi, molto a loro agio colmestiere di stringere alleanze, menocon quello di valutare criticamentequanto un risultato stia in piedi”. E’fortemente critico verso il regime

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A proposito di scienza che sbagliadi Davide Schiffer

scienza

vigente in Italia dove questi argomen-ti non vengono nemmeno discussi enon vi è attenzione per la scienza chepure potrebbe essere fonte di rinnova-mento e di produzione di lavoro.

Le idee espresse nei tre articoli sonopienamente condivisibili; qualchedubbio rimane invece sulla scienzache sbaglia, come titola il primo. Nonperché la scienza non sbagli; anzi,essendo storicizzata non procede perstratificazione di risultati, ma percambiamento di parametri e quindiriconoscendo come errati i risultatirelativi ai parametri superati (Hanson,Kuhn, Popper). I dati scientifici sonocontingenti e transeunti, ma validatidi volta in volta dall’intersoggettivitàscientifica e dalla loro operatività nel-l’epoca in cui sono prodotti. Gli scien-ziati producono scienza in uniformitàcon i criteri culturali che caratterizza-no un’epoca. Il positivismo, l‘ideali-smo, l’esistenzialismo, la fenomenolo-gia etc hanno improntato in epochesuccessive tutte le manifestazioni delpensiero umano e, allo stesso tempo,ne sono stati il prodotto. Gli scienziatioperano con obiettività – leggi critica –e validazione intersoggettiva propriedell’epoca, ma sono passibili di ideo-logizzazioni.

Ad esempio, se la visibilità è oggi unvalore, ad esso non sfugge chi fa ricer-ca, indipendentemente da come.D’altro lato, la politica delle riviste èdiventata utilitaristica e cioè unifor-mata alla globalizzazione. Basti pen-sare all’Impact Factor. E’ un giudiziosulle riviste e non sugli autori, maviene utilizzato per valutare la produ-zione scientifica di candidati, esone-rando i commissari dall’entrare nelmerito dei singoli lavori leggendoli e lidispensa dall’obbligo di avere la cultu-ra per farlo.

Il nocciolo del problema sta, tutta-via, nel modo in cui viene acquisito daparte dei ricercatori un vissuto scien-tifico e come questo integra le nuove

osservazioni. I ricercatori sbagliano oper non avere patterns (immaginimentali) corretti secondo l’intersog-gettività scientifica o uscire dalla dia-lettica con questa ideologizzando.

L’epoca attuale è dominata dallafenomenologia; nata con Husserl con-trario alla “matematicizzazione deiplena” che trasformava in formulematematiche o geometriche il mondoesterno escludendo l’esperienzaumana, e sviluppatasi attraversoHeidegger, Sartre, Merleau Ponty,Gadamer etc, tende ad includerel’esperienza del soggetto nella discri-

minazione del reale, per cui oggi nonsi possono tagliare fuori da questa lafunzione ipotetica e l’immaginario(Gallagher e Zahavi). Esempi delleconseguenze della de-dialettizzazioneo de-storicizzazione di dati scientificili abbiamo avuti nel trionfo del nazi-smo o del comunismo sovietico.

Quello della scienza è relativismoche esclude verità perenni e assolute.Ad esso soggiace anche quello che stodicendo. Antropologicamente siamolegati alla ricerca di una verità chenon troveremo e all’uso storico deiprodotti della scienza.

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scienza

Davide Schiffer. Professore Emerito di Neurologia, Università di Torino.Già direttore del Dipartimento di Neuroscienze, della ClinicaNeurologica e della Neuropatologia della stessa Università. Membrodell’Editorial Board di svariate riviste internazionali. Già Vice-Presidentdella International Society of Neuropathology. Pubblicazione di circa500 lavori scientifici su riviste con peer review e di una diecina di librisu argomenti di Neurologia e Neuropatologia (soprattutto TumoriCerebrali), nonché libri non strettamente tecnici.

Anche quest’anno in Emilia-Romagna si stanno tenendo o stannoper iniziare le lezioni nell’ambito delprogetto “Unijunior. Conoscere percrescere”, avviatoa Bologna eFerrara nel 2009, acui si sono aggiun-te Modena, ReggioEmilia e Rimininegli anni succes-sivi. Insieme aprogetti simili inaltre sedi italianeUnijunior è entra-ta a far parte diE u c u n e t( E u r o p e a nC h i l d r e n ’ sU n i v e r s i t i e sNetwork, sito web:www.eucu.net) ,che promuove ini-ziative rivolte abambini e ragazzidagli otto ai quat-tordici anni, perché imparino diver-tendosi e comincino ad affezionarsi almondo universitario. Negli ultimidieci anni sono nate già centocin-quanta università di questo tipo inmolti paesi europei ed extraeuropei.Tutti gli organizzatori sono in contat-to tra loro, benché ci siano notevolidifferenze da un paese all’altro, per-

ché le materie trattate e le modalitàdi frequenza variano da sede a sede.Per ampliare questo progetto, unacommissione europea ha incaricato

una delle primeuniversità perragazzi, quella diVienna (www.kin-deruni.at), di crea-re una rete checolleghi tutte que-ste attività.L’Assoc iaz ioneFun Science(http://www.fun-science. net), cheha dato l’avvio aUnijunior inEmilia-Romagna,fa parte proprio diquesta rete.Come funzionaUnijunior

Come in unavera università èrichiesta una

iscrizione in cui viene consegnato adogni studente un libretto da timbrarealla fine di ogni lezione; al terminedei corsi ogni partecipante riceve undiploma di laurea personalizzato. Glistudenti possono scegliere il loropiano di studi fra le varie opzioniofferte. Le lezioni durano 60 minuti ecomprendono anche filmati, esperi-

menti ed esercizi pratici per coinvol-gere attivamente i ragazzi, che posso-no anche porre, compatibilmente conil tempo disponibile, tutte le doman-de che vogliono. Si tratta di vere e pro-prie lezioni universitarie impartite daesperti di varie facoltà e negliambienti in cui si svolgono normal-mente le lezioni universitarie. Il tuttonaturalmente su base volontaria egratis. Non ci sono né voti né esami. Igenitori non sono ammessi nelleaule, ma possono seguire in video-conferenza le lezioni in un altro loca-le, quando è possibile.L’organizzazione

Unijunior è un progetto di FunScience, che la organizza e gestiscecon l'aiuto di persone all'interno delleuniversità che danno una mano a tro-vare e allestire le aule, a stilare ilcalendario delle lezioni, a chiedere ladisponibilità dei docenti ecc…Studenti volontari danno una manoper le iscrizioni e animatori durantele lezioni aiutano i professori a svol-gerle in modo ordinato e scanzonatoquanto basta.La mia esperienza ad Unijunior

Quando è arrivata la prima mail chesondava le disponibilità per avviarequesto progetto a Ferrara sono statauna delle sei persone che hanno ade-rito immediatamente e con entusia-smo. Si è trattato di un’esperienzaveramente esaltante nel corso dellaquale mi sono chiesta tante volte “Maquand’è che li perdiamo?”, perchél’attenzione, la curiosità inestinguibi-le, la voglia d’imparare sembravanocosì lontane dalle amebe che spessosi vedono in aula all’università o allesuperiori. Non credo che il cambia-mento possa essere spiegato soltantocon l’incremento dei livelli ormonali.Non mi era mai capitato prima di arri-vare a fine lezione e sentire una voci-na dalla sala che chiedesse “Ma è giàfinito?” nonostante fosse passata giàun’ora.

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Non è mai troppo presto: i bambini all’uni-versità. L’esperienza di Unijuniordi Eleonora Polo

scienza

La dr. Eleonora Polo, nata a Ferrara, è laureata in Chimica ed è ricerca-trice presso l’Istituto per la Sintesi Organica e la Fotoreattività (ISOF)del CNR di Bologna, UOS di Ferrara. Svolge anche attività di docenzapresso il Dipartimento di Scienze chimiche e farmaceutichedell’Università degli Studi di Ferrara. Si occupa da anni di divulgazionescientifica attraverso articoli e partecipazione a iniziative comeUnijunior, il Progetto Lauree Scientifiche e la Notte dei Ricercatori. Faparte del Comitato scientifico dell'Associazione Italiana delleMacromolecole (AIM) ed è Responsabile Editoriale di AIM Magazine, larivista di divulgazione dell’Associazione. Ha pubblicato di recente“C’era una volta un polimero. Storie di grandi molecole che hanno pla-smato il mondo” (Apogeo Education, 2013).

Entro il 2045 gli esseri umani potreb-bero raggiungere “l’immortalità digi-tale” caricando le loro menti al com-puter; questo è quello che alcuni futu-risti credono. Tale tematica ha costi-tuito la base del congresso internazio-nale “Global Future 2045”, conferenzafuturista tenutasi il 15 e 16 Giugno2013 presso il “New York LincolnCenter” [1].

Alla conferenza ha partecipato uncast eterogeneo di relatori, da lumina-ri scientifici come Ray Kurzweil, PeterDiamandis e Marvin Minsky, a Swamie altri leader spirituali. Kurzweil,inventore e futurista, prevede cheentro il 2045 la tecnologia avrà supera-to l’intelligenza umana per creare unasorta di “super-intelligenza”, un even-to conosciuto agli addetti come “lasingolarità”. Da quel momento i com-puter diventeranno più intelligentidegli esseri umani; il cervello umanonon potrà più prevedere il futurocome adesso perché questa nuovaforma di super-intelligenza andràoltre la sua capacità di comprensionedella realtà. Stime indicano che talesingolarità potrebbe avvenire appuntoentro i prossimi 40 anni, consideratol’attuale tasso di crescita tecnologica.Nonostante le argomentazioni a favo-re e contro, non vi sono attualmenteprove certe che la singolarità effettiva-mente possa verificarsi o meno [2];una seconda ipotesi sostiene inveceche i robot supereranno gli esseriumani entro il 2100. Secondo la leggedi Moore, la potenza di calcolo deicomputer raddoppia ogni due annicirca e molte tecnologie sono in unafase esponenziale di progresso. Entroil 2045, secondo Kurzweil, le quantitàdi calcolo eseguibili dalle macchinesaranno in grado di simulare un cer-vello umano e l’uomo potrebbeampliare la portata della sua intelli-genza di un miliardo di volte [3].

Itskov e altri cosiddetti “transuma-nisti” interpretano questa singolarità

imminente come l’immortalità digita-le. Nello specifico, essi credono che inpochi decenni gli esseri umani saran-no in grado di collegare le loro mential computer, superando la necessitàumana di essere anche (in) un organi-smo biologico. L’idea suona per oracome fantascienza, ma la realtà diceche l’ingegneria neurale sta compien-do passi significativi verso la modella-zione del cervello e lo sviluppo di tec-nologie per ripristinare o sostituirealcune delle sue funzioni biologiche.

Progressi sostanziali sono stati fattinel campo delle cosiddette “interfaccecervello-computer”, o BCIs (detteanche “interfacce cervello-macchina”)[4]. L’impianto cocleare, in cui il nervo

cocleare del cervello è stimolato elet-tronicamente a ripristinare un sensodi suono per chi ha problemi di udito,è stato la prima reale BCI.

Molti gruppi stanno attualmentesviluppando BCIs per ripristinare lecapacità motorie, a seguito di danni alsistema nervoso, come una lesionedel midollo spinale o un ictus.

José Carmena e Michel Maharbiz,ingegneri elettrici presso l’Universitàdi Berkeley, California, stanno lavo-rando per sviluppare nuovi dispositiviBCIs costituiti da array di elettrodi“pill-size” (delle dimensioni di una pil-lola), che registrano segnali neuralidalle aree motorie del cervello, segna-li che vengono poi decodificati da un

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L’immortalità digitale. Riflessioni in margi-ne alla conferenza del Global Future 2045di Paolo Di Sia

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computer e utilizzati per controllareun cursore di un PC o un arto protesi-co, come ad esempio il braccio di unrobot. Carmena e Maharbiz hannoprogettato una BCI che funziona inmodo stabilenel tempo enon necessitadi essere col-legata a fili.

T h e o d o r eBerger, inge-gnere neuralepresso la“University ofS o u t h e r nCalifornia” diLos Angeles,sta conside-rando le BCIsad un nuovol i v e l l omediante losviluppo diuna protesi dimemoria. Egliintende sosti-tuire partedell’ippocam-po del cervello, regione che converte iricordi a breve termine in quelli alungo termine, con una BCI. Il disposi-tivo registra l’attività elettrica checodifica una semplice attività a brevetermine (ad esempio relativa allapressione di un pulsante) e lo conver-te in un segnale digitale; il segnaleviene inserito in un computer, che lotrasforma matematicamente e loreimmette nel cervello, dove vienememorizzato a lungo termine. Bergerha testato con successo il dispositivoin topi e scimmie; sta ora lavorandocon pazienti umani.

Alla conferenza di New York ha par-tecipato anche Martine Rothblatt,avvocato, scrittore, imprenditore eamministratore delegato della società“Biotech United Therapeutics Corp.”.Con un intervento dal titolo “Lo scopo

della biotecnologia è la fine dellamorte”, ha introdotto il concetto di“mindclones”, versioni digitali degliesseri umani che possono vivere persempre, descrivendo come tali cloni

p o t r e b b e r oessere creatida un “min-dfile”, unasorta di“archivio onli-ne dellanostra perso-nalità”, che gliesseri umanihanno già(per esempiosotto forma diFacebook) [5].

Q u e s t omindfile ver-rebbe esegui-to su “min-dware”, unp a r t i c o l a retipo di soft-ware per lacoscienza. Lac o n t i n u i t à

globale del “sé” diventa a questo livel-lo una questione molto delicata, per-ché la persona non abiterebbe più inun corpo biologico.

Parallelamente alle sessioni dedi-cate alle tecnologie del cervello e al“mind-uploading”, molto è statodiscusso anche circa la natura della

coscienza nell’universo. Il fisicoRoger Penrose, dell’Università diOxford [6], non si è trovato d’accordocon l’interpretazione data del cervel-lo come semplice computer. Penrosesostiene che la coscienza è un feno-meno di meccanica quantistica deri-vante dalla “trama dell’universo”,pertanto il processo di caricamentodel cervello dovrebbe coinvolgere icomputer quantistici, realtà con unadeguato sviluppo non probabileentro il 2045.

Note[1] http://gf2045.com/.[2] V. Vinge (Department ofMathematical Sciences, San DiegoState University), The ComingTechnological Singularity: How toSurvive in the Post-Human Era, 1993.[3] R. Kurzweil, The Singularity isNear: When Humans TranscendBiology, Viking, 652 pp., ISBN0670033847, 9780670033843, 2005.[4] M. A. Lebedev and M. A. L.Nicolelis, Brain-machine interfaces:past, present and future, TRENDS inNeurosciences, Vol. 29, N. 9, pp. 536-546, 2006.[5] J. Blascovich, J. Bailenson, InfiniteReality, Harper Collins Publishers,2011.[6] http://it.wikipedia.org/wiki/Ro-ger_Penrose.

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Paolo Di Sia, Libera Università di Bolzano. Bachelor in metafisica, lau-rea in fisica teorica, dottorato di ricerca in modellistica matematicaapplicata alle nanobiotecnologie. Principali interessi scientifici: nanofi-sica classica e quantorelativistica, fisica teorica, fisica alla scala diPlanck, filosofia della mente, econofisica, filosofia della scienza. Autoredi 81 articoli su riviste nazionali e internazionali, di 2 capitoli di libriscientifici internazionali, di 3 libri di matematica (quarto in prepara-zione), revisore di 2 libri di matematica per l'università; in preparazio-ne un capitolo per un'enciclopedia scientifica internazionale.

La riflessione bioetica contempora-nea si è configurata e va configuran-dosi all'interno di uno specifico oriz-zonte storico-culturale che, nelleparole del grande bioeticista america-no Engelhardt, appare «caratterizzatoda accentuato scetticismo, dalla con-fusione legata al tramonto di certecredenze e al persistere di altre, dalpluralismo delle visioni morali e dallapresenza di sfide che non possonoessere disattese». A questo plurali-smo delle visioni morali corrispondeun più ampio e articolato pluralismodelle visioni del mondo, delle weltan-schhauung, che conferisce all'attualestadio della modernità un livelloaltissimo di complessità. Pluralismo ecomplessità hanno, in realtà, apertole porte ai paradossi di una nuovissi-ma fase della modernità caratterizza-ta da un ossimoro concreto che sidefinisce nello spazio reale che uni-sce globalizzazione e individualizza-zione.

L’irrompere sullo scenario della sto-ria di una modernità altra rispetto aquella descritta nei modelli analiticitradizionali, le coordinate che nedefiniscono struttura e dinamiche, imeccanismi e le categorie che com-pongono lo scenario dell'attuale con-testo sociale, diventano presuppostiimprescindibili dell'analisi bioetica.Nel processo di disarticolazione delletradizionali narrazioni storiche e filo-sofiche si è chiarito il carattere polise-mico dell'idea di modernità: in parti-colare si è chiarito il senso di un plu-ralismo che ha assunto una sua con-formazione sociale specifica, cancel-lando per manifesta obsolescenzaalcuni dei confini categoriali dellamodernità stessa e riscrivendo letrame della contemporaneità sullabase di un’inedita grammatica socio-antropologica. La polisemia socialemoderna è una dimensione ampia etortuosa, senza contorni e priva dicentri: le categorie che permettono di

definirla amplificano il significatostesso di pluralità accentuandone laportata in termini dinamici, di movi-mento e dunque di incertezza.

La modernità nel suo stadio avan-zato ha trovato una delle sue defini-zioni più efficaci nella metafora della«fluidità» utilizzata da Bauman,secondo il quale le strutture attraver-so cui si configura la modernità «nonmantengono di norma una formapropria. I fluidi, per così dire, non fis-sano lo spazio e non legano il tempo;(…) i fluidi non conservano mai alungo la propria forma e sono semprepronti (e inclini) a cambiarla». Fluiditàe liquidità, come caratteri strutturalipermanenti dell’universo moderno,impongono una riscrittura della geo-grafia del paesaggio socio-culturale:la rielaborazione di ciò che possiamodefinire tradizione, nella sua accezio-

ne più ampia di «diritti e obblighi con-suetudinari», si carica di una rilevan-za sostanziale. La transizione versoforma di modernità liquida si compiepienamente nel passaggio ad un'in-stabilità radicale dei riferimenti che,in tal senso, definisce la cifra stessadel moderno; Bauman afferma che«una società può essere definita liqui-do-moderna se la situazioni in cuiagiscono gli uomini si modificanoprima che i loro modi di agire riesca-no a consolidarsi in abitudini e proce-dure»: in altre parole, la modernitàliquida produce una società destabi-lizzata in cui gli individui incessante-mente rincorrono il cambiamento inuna dinamica di «nuovi inizi» per cuimodelli, riferimenti, visioni delmondo si susseguono senza sosta esenza meta. A poco vale l’appello aduna presunta tradizione perduta, dal

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Quale riflessione bioetica nella societàmoderna?di Francesco Manfredi e Michele Saviano

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momento che essa mostra tutti i suoilimiti nel tentativo di guidare l'azionegiornaliera in un contesto che rifuggespiegazioni e narrazioni precostituite.La modernità a cui si riferiva la teo-ria critica della Scuola di Francoforte -non così distante cronologicamente efilosoficamente dalla nostra attualità- era caratterizzata da categorie soli-de, dalle strutture spazialmente defi-nite e da modelli pesanti capaci dirappresentare riferimenti concreti estabili per la vita individuale e collet-tiva; la società in quell'orizzonteaveva ancora le fattezze di un corpusunitario, seppur variabile e articolato.Il punto di svolta è rintracciabile nelcrollo e nel declino dell'«illusione pro-tomoderna» di un telos a cui avrebbecondotto il progresso e l'assenza diun telos apre la strada a quel proces-so di frantumazione che il pluralismoattuale declina nei termini di isola-mento e privatizzazione delle dina-miche relazionali.

La modernità liquida è, quindi,l'orizzonte, criptico e palese, dellaglobalizzazione, lo spazio della rete,dell'interconnessione planetaria, cheridefinisce i confini spazio-temporali.In tal modo il paradosso dialettico, traglobale ed individuale, si chiariscenell'effetto che l'oltrepassamento deiconfini territoriali e degli ordinamen-ti regolativi produce sulla sorte indivi-duale, un destino che proietta l'indivi-duo verso un progetto di cui nessunoconosce le finalità, se non l'individuostesso nella percezione temporale delsuo stesso progetto autoreferenziale.In questo complesso e polisemicoorizzonte, a partire da questi muta-menti categoriali e secondo logicheglobalmente ed individualmenteridefinite, l'individuo abita questamodernità liquida cercando dicostruire progetti esistenziali capacidi tenerlo a galla nel flusso della vita.

La vita allo stato liquido non can-cella la necessità strutturale di coesi-

stere e di costruire sistemi di relazio-ni con altri individui secondo regoledi coabitazione fondate su una gram-matica minima dell'interazione. Ilpaesaggio sociale, descritto con chia-rezza, nella metafora della fluiditàmoderna, contiene in sé aspetti speci-fici da cui il discorso bioetico - inqualsiasi direzione intenda muoversie a qualunque interrogativo intendarispondere - non può prescindere.L'incontro tra individui nella nuovasocietà liquida rimane pur sempre unincontro e conserva le modalità di unprocesso di inter-azione i cui i prota-gonisti individuali non smettono diessere ciò che antropologicamente esocialmente sono nella tensione rea-

lizzativa dei propri progetti esisten-ziali. Una riflessione bioetica chepunti a dirimere questioni riguardan-ti alcune delle dimensioni più proble-matiche e peculiari della vita umana,quali il nascere, il morire, la salute e lamalattia, in contesti profondamentemedicalizzati, è chiamata ad unosforzo ermeneutico finalizzato allacomprensione complessiva dellediverse sfaccettature contestuali edall'elaborazione di modelli, più omeno variabili e funzionali, capaci diarticolarsi lungo gli assi direzionalidei nuovi assetti contestuali, evitan-do incaute forzature o impropri ria-dattamenti.

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Il Dott. Francesco Manfredi ha conseguito la laurea in Filosofia, catte-dra di Filosofia Morale, presso l'Università degli studi di NapoliFederico II. Nel 2012 ha conseguito il Dottorato di ricerca in Bioeticapresso l'Università degli studi di Napoli Federico II. Tra il 2003 e il 2006ha conseguito il diploma di Perfezionamento in Scienze storico-antro-pologiche delle religioni presso l’Istituto “I. Mancini” di Urbino, l’abili-tazione all’insegnamento di Storia e Filosofia per le scuole superioripresso la Scuola di Specializzazione (S.S.I.S.) dell’ Università “Almamater studiorum” di Bologna e il diploma di Perfezionamento postlau-ream in Fondamenti operativi della didattica presso l’Università diUrbino. Dal 2005 collabora con la cattedra di Filosofia morale delDipartimento di Scienze umane dell'Università degli studi di NapoliFederico II e tiene lezioni come docente a contratto nei corsi di laureadi Scienze biotecnologiche. Dal 2005 si occupa di questioni bioetichecon particolare attenzione al dibattito statunitense. È inoltre vicepresi-dente e cofondatore dell'Associazione Culturale DiSciMuS,Divulgazione Scientifica Multidisciplinare per la Sostenibilità.

Il Dott. Michele Saviano ha conseguito la laurea in Sociologia pressol'Università degli studi di Napoli Federico II. Nel 2010 ha conseguito ilDottorato di ricerca in Bioetica presso l'Università degli studi di NapoliFederico II. Da diversi anni si occupa di questioni bioetiche con parti-colare attenzione al confronto tra bioetica e confessioni religiose. Dal2005 collabora con la cattedra di Filosofia morale del Dipartimento diScienze umane dell'Università degli studi di Napoli Federico II e tienelezioni come docente a contratto nei corsi di laurea di Scienze biotec-nologiche. È inoltre socio onorario dell'Associazione CulturaleDiSciMuS, Divulgazione Scientifica Multidisciplinare per laSostenibilità.