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Glocale. Rivista molisana di storia e scienze sociali (www.storiaglocale.it) Direttore: Gino Massullo ([email protected]) Comitato di redazione: Rossella Andreassi, Antonio Brusa, Oliviero Casacchia, Renato Cavallaro, Raffaele Colapietra, Gabriella Corona, Massimiliano Crisci, Marco De Nicolò, Norberto Lombardi, Sebastiano Martelli, Massimiliano Marzillo, Gino Massullo, Giorgio Palmieri, Roberto Parisi, Rossano Pazzagli, Edilio Petrocelli, Antonio Ruggieri, Saverio Russo, Ilaria Zilli Segreteria di redazione: Marinangela Bellomo, Maddalena Chimisso, Michele Colitti, Antonello Nardelli, Bice Tanno Direttore responsabile: Antonio Ruggieri Progetto grafico e impaginazione: Silvano Geremia Questa rivista è andata in stampa grazie al contributo di:

Provincia di Campobasso

MoliseUnioncamere

Unioncamere Molise Redazione e amministrazione: c/o Il Bene Comune, viale Regina Elena, 54 – 86100 Campobasso, tel. 0874 979903, fax 0874 979903, [email protected] Abbonamento annuo (due numeri): € 25,00. Per abbonamenti internazionali: paesi comunitari, due numeri, € 37,00; paesi extracomunitari, due numeri, € 43,00. I ver-samenti in conto corrente postale devono essere effettuati sul ccp n. 25507179 inte-stato a Ass. Il Bene Comune, Campobasso Garanzia di riservatezza per gli abbonati. L’editore fornisce la massima riservatezza nel trattamento dei dati forniti agli abbonati. Ai sensi degli artt. 7, 8, 9, D. lgs. 196/2003 gli interessati possono in ogni momento esercitare i loro diritti rivolgendosi a: Il Bene Comune, viale Regina Elena, 54 – 86100 Cam-pobasso, tel. 0874 979903, fax 0874 979903, [email protected] Il garante per il trattamento dei dati stessi ad uso redazionale è il direttore responsabile

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Migrazioni

Novembre 2011

Argilli / Casacchia / Chieffo / Chiodi / Colucci / Costa / Crisci / De Clementi / De Luca / De Martino / Di Rocco / Di Stasi / Faonte /

Izzo / N. Lombardi / T. Lombardi / Marinaro / Martelli / Massa / Massullo / Melone / Palmieri / Pazzagli / Pesaresi / Piccoli / Pittau /

Presutti / Ruggieri / Scaroina / Spina / Tarozzi / Verazzo

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In copertina: Berga, Gli emigranti, tecnica mista, tela, 110 x 140 cm, 2012 © 2013 Glocale. Rivista molisana di storia e scienze sociali, Edizioni Il Bene Comune Tutti i diritti riservati Registrazione al Tribunale di Campobasso 5/2009 del 30 aprile 2009

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Indice 9 Migrazioni, dal secondo dopoguerra ad oggi

FACCIAMO IL PUNTO 17 L’emigrazione meridionale nel secondo dopoguerra

di Andreina De Clementi

1. I limiti della riforma agraria 2. Forme e tempi dell’esodo 3. Il sorpasso meridionale 4. I quartieri italiani 5. Il polo europeo 6. L’inarrestabile cataclisma 7. Ruoli e percorsi di genere 8. L’impiego dei risparmi e delle rimesse 9. Il futuro nel passato

37 Governi, partiti, sindacati: le politiche dell’emigrazione

di Michele Colucci

1. Le posizioni dei partiti e dei sindacati all’indomani della guerra 2. Le sinistre 3. La Democrazia cristiana

IN MOLISE

51 I molisani tra vocazioni transoceaniche e richiami continentali

di Norberto Lombardi

1. Cade lo steccato del Molise «ruralissimo» 2. Esodo e spopolamento 3. Vecchie traiettorie transoceaniche 4. Nuovi approdi transoceanici 5. La scoperta dell’Europa

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6. La svolta europea 7. Molisani nel mondo 8. Le reti associative 9. Le leggi e le Conferenze regionali 10. Studi e rappresentazioni dell’emigrazione dei molisani 11. Conclusioni: quasi un inizio

107 Appendice: Le associazioni di Molisani in Italia e nel mondo

a cura di Costanza Travaglini 117 L’esodo dal Molise tra il 1952 e il 1980. Nuove destinazioni e riflessi

socio-economici di Cristiano Pesaresi

1. Il quadro d’insieme 2. Le principali destinazioni nell’intervallo 1962-68 e le condizioni socio-

economiche del Molise 3. Le tendenze degli anni 1972-80 e le condizioni socio-economiche del Molise

131 La mobilità silente: i molisani nei percorsi globali

di Oliviero Casacchia e Massimiliano Crisci

1. La mobilità residenziale dagli anni novanta ad oggi 2. Concetto e fonti della mobilità temporanea di lavoro 3. I flussi temporanei per lavoro 4. Alcune conclusioni

151 L’immigrazione nel Molise: presenze, aspetti sociali e occupazionali

di Renato Marinaro e Franco Pittau

1. Il Molise nell’attuale quadro nazionale dell’immigrazione 2. I dati principali sulle presenze 3. Gli indicatori sociali 4. Le statistiche occupazionali 5. Immigrazione e integrazione 6. L’emergenza del 2011: l’accoglienza dei flussi in provenienza dal Nord Africa 7. Conclusioni: potenziare le politiche migratorie e la sensibilizzazione

165 Letteratura come autobiografia: la scrittura di Rimanelli tra le due

sponde dell’oceano di Sebastiano Martelli

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Indice

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INTERVISTE 185 Testimonianze d’altrove: domande per alcuni giovani diplomati e

laureati che hanno lasciato il Molise negli ultimi anni a cura di Norberto Lombardi

IERI, OGGI E DOMANI

205 Risorse umane

Tavola rotonda a cura di Antonio Ruggieri

RIFLESSIONI 247 Dal globale al locale. Riflessioni sul progetto territorialista

di Rossano Pazzagli

1. Ritorno al territorio 2. Il territorio come bene comune 3. Urbano e rurale 4. Nuovi sentieri nell’orizzonte della crisi

253 Territorialità, glocalità e storiografia

di Gino Massullo

1. Comparazione e contestualizzazione 2. Territorialità e glocalità

WORK IN PROGRESS

261 Identità, emigrazione e positivismo antropologico

di Paola Melone

1. Introduzione 2. Considerazioni concettuali 3. La corrente del positivismo antropologico 4. L’emigrazione italiana negli Stati Uniti: la classificazione etnica e gli

stereotipi culturali 5. Conclusioni

275 Donne e corporazioni nell’Italia medievale

di Jacopo Maria Argilli

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DIDATTICA 289 Tra “buona pratica” e teoria efficace. Quando la Storia aiuta la persona,

stimola il gruppo, sostiene un popolo di Clara Chiodi e Paola De Luca

1. Primi giorni di scuola 2. Cognizione e metacognizione 3. Dal bisogno educativo all’azione didattica

STORIOGRAFIA

297 Fra storiografia e bibliografia. Note sui “libri dei libri”

di Giorgio Palmieri

1. Un “libro dei libri” 2. Altri “libri dei libri” 3. I “libri dei libri”

MOLISANA

307 Almanacco del Molise 2011

Recensione di Antonella Presutti 313 Salvatore Mantegna, Giacinta Manzo, Bagnoli del Trigno. Ricerche

per la tutela di un centro molisano Recensione di Clara Verazzo

316 I di Capua in Molise e il controllo del territorio. Note a margine della

presentazione del volume curato da Daniele Ferrara, Il castello di Capua e Gambatesa. Mito, Storia e Paesaggio di Gabriella Di Rocco

321 Abstracts 327 Gli autori di questo numero

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Donne e corporazioni nell’Italia medievale

di Jacopo Maria Argilli

Il rapporto tra donne e corporazioni è un tema che negli ultimi vent’anni ha interessato un numero crescente di storici, soprattutto quelli che si occupano di storia di genere e quelli che studiano prevalentemente l’associazionismo di mestiere. Dalla maggior parte di queste ricerche è emerso che nel corso del Medioevo e in particolare nel periodo di passaggio all’età moderna av-viene una progressiva esclusione della componente femminile dalle corpora-zioni di mestiere1. L’elemento principale che accomuna questi studi è l’intento di chiarire gli aspetti che riguardano la partecipazione delle donne alla vita lavorativa delle associazioni di mestiere e soprattutto individuare quali sono le occupazioni che esse svolgono.

Negli ultimi due decenni si è tentato di analizzare la realtà economica e la-vorativa dell’età medievale utilizzando un «approccio più realistico», come lo ha definito Roberto Greci, in linea con i recenti dibattiti sulla condizione sociale della donna. Tali dibattiti hanno prodotto nuovi spunti di ricerca, i quali meriterebbero un ulteriore approfondimento, dal momento che non esi-ste ancora uno studio generale e mirato su questa problematica.

Greci, così come la recente storiografia che si occupa di donne e lavoro, ri-tiene si debba rivedere il modo tradizionale di guardare alle fonti per poter svolgere un’indagine esaustiva su questo argomento. Uno studio degli atti no-tarili e degli statuti cittadini e corporativi deve essere fatto in modo critico, con la consapevolezza che il lavoro delle donne è anche, e soprattutto, al di fuori delle corporazioni di mestiere. Osserva a tal proposito Gabriella Piccinni:

è facile capire che, fin quando si è affrontato il tema del lavoro prevalente-mente dal punto di vista del potere (economico e politico: le corporazioni fu-rono in alcune città proprio la base della partecipazione al potere), le donne non si sono incontrate quasi mai, se non forse quando da quel potere erano

1 David Herlihy, Women’s work in the towns of traditional Europe, in S. Cavaciocchi (a cu-

ra di), La donna nell’economia, XIII- XVIII: atti della “Ventunesima Settimana di Studi”, 10-15 aprile 1989, Istituto Internazionale di Storia Economica “F. Datini”, Le Monnier, Firenze 1990, pp. 103-130.

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colpite. È più facile capire, a questo punto, come è scomparsa ai nostri occhi una parte del lavoro femminile urbano. È ovvio che fin quando si è privile-giato un approccio giuridico e politico allo studio delle corporazioni, e dei rapporti tra corporazioni e governi cittadini, ci si è preclusa la possibilità di indagare anche sui lavoratori non organizzati nelle arti, tra i quali si colloca la massima parte delle lavoratrici insieme a molti lavoratori2.

Proprio partendo da queste osservazioni preliminari cercherò di osservare

alcuni aspetti del rapporto tra lavoratrici e associazionismo di mestiere. Ov-viamente è necessario concentrare lo spazio e il tempo di quest’analisi pro-prio per la complessità e la diversità del rapporto tra donne e corporazioni nelle diverse regioni dell’Europa e la difformità dell’utilizzo di manodopera femminile nel corso dei secoli. Questo grande divario tra l’area italiana e al-cune regioni dell’Europa (Francia, Germania, Inghilterra) in cui le donne oc-cupano ruoli di rilievo nel mondo produttivo organizzandosi perfino in cor-porazioni esclusivamente o prevalentemente femminili, rende evidente, se-condo molti studiosi, una posizione di subalternità della donna nel mondo produttivo del territorio italiano3. Scrive Roberto Greci a tal proposito:

la debole presenza delle donne italiane nel mondo produttivo medievale di-penderebbe da una inferiorità giuridica e da una ridotta indipendenza patri-moniale all’interno della famiglia, evidente nell’affermazione (XIII secolo) della dote come pratica sostitutiva dei diritti ereditari. Tale posizione subal-terna non significò assenza totale dall’ambito economico-produttivo, ma cer-to determinò un ruolo secondario e marginalizzato ( implicitamente connesso ad un mancato riconoscimento sociale) che ha generato pesanti silenzi sul piano delle testimonianze4.

Il territorio italiano è quindi uno spazio d’analisi singolare e allo stesso

tempo complesso per affrontare il rapporto tra donne e corporazioni. Una breve analisi comparata del ruolo della donna nel mondo produttivo delle di-verse città italiane è determinante per poter arrivare a comprendere come la presenza femminile si inserisca nei processi economici delle differenti realtà della penisola.

Roma rappresenta un caso assolutamente particolare se confrontato con le al-tre città. Per gran parte del Medioevo è contraddistinta da un’economia legata

2 Gabriella Piccinni, Le donne nella vita economica, sociale e politica dell’Italia medievale, in A. Groppi (a cura di), Il lavoro delle donne, Editori Laterza, Roma.Bari 1996, p. 34.

3 Anna Bellavitis, Donne, cittadinanza e corporazioni tra Medioevo ed età moderna: ricerche in corso, in Nadia Maria Filippini, Tiziana Prebani, Anna Scattigno (a cura di), Corpi e Storia. Donne e uomini dal mondo antico all’età contemporanea, Viella, Roma 2002, pp. 87-104.

4 Roberto Greci, Donne e corporazioni: la fluidità di un rapporto, in Angela Groppi (a cura di), Il lavoro delle donne, Editori Laterza, Roma.Bari 1996, p. 72.

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Argilli, Donne e corporazioni nell’Italia medievale

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alla pastorizia e all’agricoltura e questo ha fatto sì che vi fosse penuria di fonti a cui poter attingere per condurre uno studio sulle associazioni di mestiere. Dalle ricerche effettuate da Isa Lori Sanfilippo è emersa la conseguente scarsi-tà di studi sull’associazionismo a Roma e la difficoltà di poter affrontare un’analisi approfondita proprio per l’insufficienza di documenti fino all’inizio del Quattrocento. Nella prefazione del suo libro La Roma dei romani denuncia l’impossibilità di analizzare l’origine delle corporazioni romane affermando che «non si sa nulla su come fossero organizzati e se i lavoratori fossero in qualche modo associati»5. Ciononostante nel capitolo dedicato all’Arte dei Lanaioli prende in esame lo Statuta et ordinamenta artis pannorum lanae, del 1321, in cui rintraccia alcune informazioni sulla lavorazione della lana. La qualità del prodotto è sicuramente molto inferiore rispetto a quella fiorentina e l’organizzazione interna dell’arte è di difficile comparazione poiché «non si conserva alcuna matricola degli iscritti alla corporazione dei lanaioli romani per cui sfugge del tutto, la consistenza numerica dei membri dell’arte nel Tre-cento che è certamente molto inferiore a quella riscontrabile nello stesso pe-riodo a Firenze o a Milano»6. L’industria tessile romana del Trecento è di mo-desta produzione e rivolta per lo più al fabbisogno locale. La scarsità di docu-menti scritti rende difficile avanzare ipotesi sul ruolo femminile nel settore tessile soprattutto perché era prassi prendere accordi a voce, al massimo con dei testimoni. Scrive a tal proposito Isa Lori Sanfilippo: «La scarsità di atti re-lativi al lavoro femminile unita alla scarsità di nomi seguiti dalla qualifica del mestiere svolto impediscono qualunque discorso sulla manodopera femmini-le7». In conclusione allo stato attuale degli studi è davvero difficile avere una visione soddisfacente dei ruoli svolti dalla componente femminile nel mercato del lavoro romano. Un confronto con le altre città italiane, soprattutto Firenze, è più che mai azzardato, poiché le notizie pervenuteci ci permettono di avanza-re solo qualche ipotesi. Ciò che sembra abbastanza sicuro è che le donne lavo-ratrici romane sono strettamente dipendenti dai mestieri dei capifamiglia e che sono relegate a mestieri molto umili come albergatrici, locandiere o a lavori di servizio nelle case delle famiglie ricche.

A Genova invece si trova un antico e ricco archivio notarile in cui sono presenti importanti informazioni sul ruolo della donna nella famiglia e nell’economia. Da quanto emerge da questi atti le artigiane tra il XII e XIII secolo hanno una posizione di sostanziale parità economica rispetto al co-niuge e non è un caso infatti che la dote della donna e la controdote del mari-to siano per lo più di egual portata. Osserva Greci a tal proposito:

5 Isa Lori Sanfilippo, La Roma dei romani. Arti e mestieri e professioni nella Roma del Tre-cento, Istituto storico italiano per il Medio Evo 2001, pp. 3-51.

6 Ivi, pp. 149-164. 7 Ivi, p. 404.

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è innegabile però che attività e potenzialità economiche femminili risultasse-ro inscritte entro il rapporto coniugale, ma si trattava comunque di condizioni di base più avanzate di quelle che connotavano le donne di ceto aristocratico e mercantile. Con più frequenza di quest’ultime, infatti, le donne artigiane appaiono in posizione solitaria (vivente ancora il marito) sulla scena econo-mica, pronte a investire nel commercio cittadino8.

Negli atti notarili e negli statuti cittadini e corporativi duecenteschi della

città di Piacenza figurano molti riferimenti alla presenza femminile in svaria-te occupazioni9. Pur essendoci nella città emiliana un sistema corporativo complesso ed egemonizzato dalle organizzazioni mercantili, le donne sono attive nel settore tessile come filatrici, garzatrici, tessitrici, battitrici di coto-ne, e come massare – imprenditrici proprietarie di telai – nel mercato cittadi-no del lino e delle tele. Emblematico a tal proposito un contratto di apprendi-stato del 1297 in cui una giovane non viene solo accostata ad una locatio ad morandum con la maestra, ma anche ad una locatio et conventatio all’arte. Si parla quindi, oltre che di un apprendistato nella casa-bottega della maestra, anche di uno stretto legame tra la ragazza e la corporazione, di una coopta-zione e di una dipendenza formalizzata dalla scrittura del notaio. Emergono anche però retribuzioni a cottimo e scompare la promessa della maestra di assegnare alla fine del quadriennio – durata consueta del contratto di appren-distato – il telaio alla ragazza, segnale questo di una condizione meno auto-noma delle donne rispetto agli uomini sul finire del XIII secolo10.

Il settore tessile emerge come quello più frequentato dalla manodopera femminile anche nella città di Bologna. In uno statuto duecentesco del-l’Arte della lana sono riservate ai soli uomini alcune specialità di lavori (lavatori, garzatori, tonsori, tintori, tiratori) e solo loro potevano ricevere la matricola che permetteva di essere inclusi nella corporazione11. Nel mede-simo documento, afferma Greci, si parla di laborator vel laboratrix: «en-trambi soggetti all’autorità dei gastaldi e sottoposti alle medesime pene in caso di inadempienze, ma non registrati nelle matricole della corporazione dove trovano spazio ancora una volta solo i laboratores maschi»12. In que-sto statuto emergono accanto alle filatrici e alle pettinatrici, controllate dall’ente, un numero cospicuo di donne che partecipano alla lavorazione del panno ma esterne alla corporazione:

8 Ivi, p. 74. 9 Anna Zaninoni, «Foemina, domina, massara». Appunti sulla condizione socio-giuridica

della donna a Piacenza tra XII e XIII secolo, «Nuova rivista storica», 78, pp. 181-190. 10 Roberto Greci, Corporazioni e mondo del lavoro nell’Italia padana medievale, Editrice

Clueb, Bologna 1988, pp. 226-244. 11 Augusto Gaudenzi (a cura di), Statuti delle società del popolo di Bologna, II, Società del-

le arti (Fonti per la Storia d’Italia,4), Roma 1896. 12 R. Greci, Donne e corporazioni, cit., p. 76.

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Argilli, Donne e corporazioni nell’Italia medievale

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stabiliamo che se qualcuno o qualcuna di questa città, fabbricando panni al modo degli uomini dell’arte, volesse prestare giuramento ai gastaldi per spese di gualchiere e di “domus” paghi sol bol13.

Fino alla metà del XIII secolo è prevista quindi la possibilità di utilizzare

gualchiere14, pagando, anche per coloro al di fuori della corporazione. In se-guito l’associazione di mestiere, per contingenze economiche, escluderà questa possibilità e con l’introduzione della figura del capitano del popolo nel 1256 orienterà sempre più le arti di Bologna verso un ruolo pubblico in cui le donne non saranno ammesse. David Herlihy scrive a proposito di uno statuto comunale bolognese del 1288:

the communal statutes of Bologna, dated 1288, mention “dyers, cleaners, shearers, finishers, weavers, burlers, stretchers of cloth, male combers and female combers, beaters, male spinners and female spinners, washers of wool”. The only two occupations cited in the feminine gender are combers and spinners. Even the washers are treated as male15.

Nel secondo Duecento sembra quindi formalizzarsi una situazione di di-

scrimine nei confronti delle donne soprattutto nell’industria tessile. Nella cit-tà di Bologna la presenza femminile continuerà a sussistere sopratutto nelle attività legate ai bisogni annonari, ma sfuggendo in genere all’associazio-nismo di mestiere.

Secondo molti storici sembra evidente che la condizione del lavoro femmi-nile tra la fine del Duecento e soprattutto dal Trecento subisca per ragioni economiche e politiche un netto peggioramento.

La presenza delle donne è testimoniata in varie città sempre nell’attività tessile, oltre che nel piccolo commercio, e tra gli albergatori, ma in una con-dizione nettamente svantaggiata. Le donne sono sempre più collegate alle arti in maniera temporanea attraverso una fideiussione prestata davanti a un notaio in modo tale da poterla sottomettere alla giurisdizione della corpora-zione. Il ruolo peculiare della donna nel settore tessile è sempre la filatura,

13 A. Gaudenzi (a cura di), Statuti delle società del popolo di Bologna, cit., p. 303. 14 La gualchiera è costituita da un follone e dà luogo all’azione di follatura che serve a ren-

dere la tela di lana impermeabile infeltrendola. Nella follatura il tessuto di lana, imbevuto di soluzioni alcaline, saponose o acide, un tempo con argilla smectica detta terra da follone, è sottoposto, mediante magli, a battitura. Le soluzioni adoperate hanno lo scopo di rendere le fibre più molli e cedevoli alla compressione e suscettibili perciò a aderire tra loro, in modo da ottenere una maggiore resistenza e compattezza del tessuto.

15 D. Herlihy, Women’s work in the towns of traditional Europe, cit., p. 112: «Gli statuti comunali di Bologna, del 1288, citano “tintori, pulitori, tosatori, rifinitori, tessitori, annodato-ri, stiratori, pettinatori e pettinatrici, battitori, filatori e filatrici, lavatori di lana”. Le uniche due occupazioni citate anche al femminile sono quelle dei pettinatori e dei filatori. Persino per i lavatori si parla di uomini».

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un lavoro facilmente operabile all’interno delle mura domestiche. Una rap-presentazione esemplare è presente nella novellistica trecentesca nell’opera di Francesco da Barberino Del reggimento delle donne in cui le lavoratrici sono descritte nella loro posizione di subalternità rispetto alle corporazioni e nella loro dipendenza dai colleghi maschi. L’autore, nella parte quindicesima del poema, mette in guardia dalle tentazioni e dai possibili peccati legati alle tipiche occupazioni femminili. Le occupazioni da lui citate sono quelle di parrucchiera, fornaia, venditrice di frutta e verdura (treccola), venditrice di uova e polli o di formaggi (caciaiuola), accattatrice, locandiera o cuoca, ven-ditrice ambulante di amuleti, commerciante di tessuti e religiosa conversa, cioè che non aveva preso i voti ed addetta ai lavori più umili.

L’opinione comune del tempo vede infatti con diffidenza le donne che svol-gono alcuni tipi di lavori ritenuti esclusivamente maschili. Scrisse così Agosti-no Strozzi tra Quattrocento e Cinquecento nella sua Defensio Mulierum:

possiamo cognoscere che non è la conditione de le donne incomoda né inepta a tutte le altre occupatione, officii e pensieri quali pare che siano propriamen-te solo de li homini se cum exercitio e studio ad essi se assuefacessero […]. Perciò che cotale occupatione non ha negate la natura né interdette a le don-ne, ma la usancia e consuetudine che se mutando tal consuetudine come più volte havemo letto e udito che già sta’fatto, cominciasseno le donne di exer-citare quello che fano li homeni […] e poi che largo uso cotal costume si fos-se conformato, cessaria poi la admiratione cessando la novità […] e cessaria insieme la stolta accusatione16.

La descrizione qui citata offre un importante specchio della considerazione

che si aveva del lavoro femminile. Come vedremo successivamente nella cit-tà di Firenze, la maggior parte di questi lavori sono di scarsa qualificazione e di difficile identificazione perché molte volte le lavoratrici non erano nean-che registrate nelle corporazioni.

Troppo convinti che tutto il lavoro delle città medievali fosse organizzato nelle corporazioni e che non esistesse quasi forma lavorativa che a esse sfug-gisse, non siamo stati capaci di vedere che nelle città medievali esisteva un lavoro non istituzionalizzato, cioè non inserito nel sistema corporativo, nel quale le donne la facevano da padrone17.

Gabriella Piccinni ricorda che, a conferma di quanto sia parziale l’ap-

proccio giuridico-politico degli studi precedenti sul rapporto tra donne e cor-

16 Pamela J. Benson, The invention of Renaissance woman, Pennsylvania 1992, p. 49; cfr R. Greci, Donne e corporazioni, cit., p. 71.

17 G. Piccinni, Le donne nella vita economica, sociale e politica dell’Italia medievale, cit., p. 34.

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Argilli, Donne e corporazioni nell’Italia medievale

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porazioni, è proprio nei mestieri poco rappresentativi che ritroviamo la mag-gior parte del lavoro femminile. Solo partendo da questa consapevolezza possiamo indagare su questo rapporto e tracciare delle conclusioni più fedeli alla realtà del tempo. La Piccinni identifica nel settore tessile, in particolar modo quello toscano, un oggetto d’analisi privilegiato per conoscere ciò che legava le lavoratrici della lana, del lino e della seta alle associazioni di me-stiere. Scrive a tal proposito:

la nostra cultura «produttivistica» ci ha consentito invece di conoscere un po’ meglio la presenza di manodopera femminile nel settore trainante dell’industria tessile (lana prima, poi anche cotone e seta): ad esempio conosciamo l’impegno di contadine per il lavoro di filatura della lana per conto della manifattura to-scana […]. Il tessile, avendo anche la caratteristica di essere uno dei luoghi in cui uomini e donne lavoravano quasi fianco a fianco, offre un terreno prezioso per confrontare le modalità di lavoro maschile e femminile18.

Lavoro femminile a Firenze: alcune riflessioni

Il ruolo delle donne nel settore tessile nella città di Firenze è davvero un esempio importante di come il lavoro femminile fosse presente nel mondo produttivo e di come questo occupasse un posto marginale, di soggezione rispetto agli uomini. Ciò che sembra evidente dallo studio delle fonti norma-tive e degli statuti delle arti corporative è che le donne fiorentine appaiono attive in particolari momenti del processo produttivo19. Infatti il discrimine è lampante se si confronta il luogo in cui si svolgono le operazioni del proces-so di produzione tessile. Gli uomini lavorano principalmente in bottega. Le donne svolgono lavori a domicilio quali la filatura, un’operazione di esclusi-va competenza femminile, e la pettinatura in cui forte è la concorrenza ma-schile. Luciano Artusi osserva a questo proposito:

la preparazione della materia prima consisteva nell’accurata selezionatura delle lane, e nel prolisso lavaggio; poi la filatura e la tessitura avvenivano per lo più direttamente nelle rispettive case degli esperti artigiani, con il preva-lente impiego della manodopera femminile20.

Il lavoro femminile è quindi svolto prevalentemente tra le mura domestiche

e non consente loro, salvo rari casi, di poter accedere ad incarichi di respon-

18 Ivi, p. 35. 19 R. Greci, Donne e corporazioni, cit., p. 83. 20 Luciano Artusi, Le arti e i mestieri di Firenze, Newton & Compton, Firenze 2005, p. 75.

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sabilità all’interno della corporazione, precludendo ad esse qualunque carica di rilievo nella politica cittadina. Artusi, infatti, riscontra che molte volte è consuetudine non matricolare nell’arte i tessitori, i filatori e i battilani.

Nonostante questa situazione di subalternità tra Duecento e Trecento il peso della manodopera femminile è davvero considerevole se si considera che, co-me rileva Greci, i vescovi di Firenze e Fiesole sono costretti a sollecitare i loro parroci affinché esercitino forti pressioni etico-psicologiche sulle filatrici delle loro parrocchie21. La forte presenza delle donne nella produzione tessile è te-stimoniata inoltre dal fatto che più volte le corporazioni sono in conflitto con le lavoratrici attive nelle proprie case fuori dal controllo dell’arte. Esemplare è il forte antagonismo con l’ordine religioso degli Umiliati che nel XIII secolo utilizza manodopera femminile sia nella pettinatura della lana che nella cima-tura del panno. Un disciplinamento molto rigido garantisce questa parità di condizione con la componente maschile, con turni di lavoro anche di dodici ore che porteranno a forti scontri con l’associazionismo laico sul finire del se-colo. Nel corso del Trecento, con l’affermazione della corporazione nella pro-duzione del panno, si affermano quelle gerarchizzazioni professionali ed eco-nomiche che riservano alle donne «accenti di paternalistica solidarietà»22.

Gabriella Piccinni rileva che «la chiusura corporativa dei mestieri, riser-vando attività e responsabilità ai soli uomini, avesse contribuito a poco a po-co, soprattutto laddove le corporazioni si orientavano verso un ruolo pubbli-co, ad emarginare le donne prima dal riconoscimento sociale del loro lavoro, poi dal lavoro stesso»23. Questa inferiorità è uno degli aspetti più rilevanti del rapporto tra donne e mondo della produzione in età tardo medievale e penetrerà profondamente nella coscienza sociale anche in età moderna.

Proprio il rapporto tra l’affermazione del lavoro femminile nel settore tessi-le e il mancato riconoscimento sociale delle donne ha aperto un forte dibatti-to tra gli studiosi delle corporazioni e gli studiosi della storia delle donne. In un convegno svoltosi a Prato nell’aprile 1989 organizzato dall’Istituto inter-nazionale di storia economica «F. Datini», i cui atti sono stati pubblicati l’anno successivo, sono emerse chiaramente le tematiche di queste due cor-renti di studio. In particolare è interessante analizzare il dibattito nato dal la-voro di David Herlihy su Women’s Work in the Towns of Traditional Europe in cui sono riportate le ricerche sulla presenza femminile nel mondo della produzione in Europa e in particolare in Francia. Anche Herlihy mette in re-lazione il territorio italiano con altre parti dell’Europa constatando che «l’Italia non era una terra particolarmente favorevole per le donne artigiane o

21 R. Greci, Donne e corporazioni, cit., p. 83. 22 Ivi, p. 85. 23 G. Piccinni, Le donne nella vita economica, sociale e politica dell’Italia medievale, cit., p. 17.

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per le commercianti. […]. L’esclusiva presenza maschile nella politica citta-dina italiana rafforzava la supremazia dell’uomo anche nella vita economica.

Le donne, tuttavia, appaiono in Italia economicamente più attive intorno al 1300 di quanto lo sarebbero state nei secoli successivi.24» Negli statuti delle corporazioni delle città italiane studiati da Herlihy emerge che la forza lavo-ro femminile viene impiegata soprattutto nella produzione di abiti, in ruoli essenzialmente poco qualificanti. L’Arte della Lana di Firenze assorbe gran parte della manodopera femminile presente sul mercato. Robert Davidsohn, scrupoloso storico della città di Firenze, mette l’accento sulla partecipazione delle ragazze e delle donne nelle industrie della seta e della lana nel 1300. A tal proposito scrive:

le donne sembrano essere state impiegate in gran numero nel commercio tes-sile sin dai primi tempi, al punto che tutti i contratti di apprendistato riguar-danti i settori della tessitura della seta e della lana da me notati coinvolgeva-no giovani donne fino al 140025.

In due importanti statuti, quello dei rigattieri e dei linaioli del 1296-1340 e

quello dell’Arte della Lana del 1317-1319, sono descritte le occupazioni femminili e il loro rapporto con l’associazione di mestiere. Nello statuto del 1296 le donne sono citate come venditrici di abiti e lavoratrici di lino anche se soggette all’autorità della corporazione, a cui devono garantire il loro comportamento onesto26. In particolare si parla di una fideiussione obbliga-toria da stipulare per le lavoratrici davanti ad un notaio, un’ulteriore assicu-razione per la corporazione di controllare e regolare il mercato del lavoro.

Secondo Herlihy le lavoratrici non sono comunque iscritte ufficialmente alla corporazione e non ne sono dei membri a tutti gli effetti. Un uomo invece che

24 D. Herlihy, Women’s work in the towns of traditional Europe, cit., p. 111 «Italy was a land not particularly favourable to women artisans or entrepreneurs. […] The exclusively male world of Italian urban politics reinforced male dominance in economic life as well. Nonetheless, even in Italy, women appear more economically active in ca. 1300».

25 Citazione presente in D. Herlihy, Women’s work in the towns of traditional Europe, cit., p. 111 «In the textile trade women appear toh ave been occupied in very great numbers since early times, to the extent thet all the apprenticesihip contracts i have noted concernig thr branches of silk and wool weaving involve girls, up to the first third of the fouteenth century».

26 F. Sartini (a cura di), Statuto dell’arte dei rigattieri e linaioli di Firenze (1296-1340), Le Monnier, Firenze 1940, p. 9-10: «Artem spectantes alicui venditori vel veditrici, nisi prius quilibet huiusmodi veditorum et venditricium det in actis notarii huius artis ydoneum fideius-sorem vel fideiussores […]. Et notarius huius artis illis a quibus dictos fideiussores recipiet, ante ipsam receptionem, hoc capitulum legere debeat in vulgari. Et talis venditrix talem pro-missionem facere debeat consensus viri vel legitimi mundualdi, et omnis venditor et venditrix teneant et debeant portare secum quondam apoxidam scriptam manu notarii dicte artis con-tinens qualiter satisdedit».

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sposa la figlia o la sorella di un maestro può essere iscritto pagando una tassa più bassa, ma tale favore probabilmente consente ai membri della corporazio-ne di pagare una dote ridotta per il matrimonio delle loro figlie. Nello statuto dell’Arte della Lana del 1317 le donne sono citate ancora come tessitrici e fila-trici accanto agli uomini, conferma del perdurare della presenza femminile nel settore tessile27. Herlihy identifica tra le seconda metà del XIV e l’inizio del XV secolo il periodo in cui avviene «l’inspiegabile quanto incontrovertibile perdita di visibilità delle donne nell’economia urbana»28. Da questa considera-zione prende spunto la critica che Angela Groppi muove al lavoro svolto da Herlihy, confutandone non tanto le fonti o le conclusioni, ma l’approccio al problema del lavoro femminile. Scrive la storica italiana a tal proposito:

mi sembra che in taluni casi, forse in conseguenza di quella che potremmo de-finire come una sovrastima indotta dal pregiudizio (sovrastima dei dati della presenza femminile come conseguenza di un antico pregiudizio che vuole tutta da dimostrare e non naturale la presenza delle donne nel mondo produttivo) si tende a confondere l’esserci delle donne con il valere delle donne29.

La critica che viene mossa è quindi rivolta all’utilizzo di dati che non posso-

no testimoniare il reale livello di qualificazione a cui vari mestieri erano eser-citati e quindi lo status-socio lavorativo di coloro che li svolgevano: il solo fat-to di comparire a livello statistico come lavoranti non dà misura della conside-razione sociale riservata alle donne30. Come ho già detto in precedenza l’inte-resse di questo dibattito sta nell’aver fatto emergere, al di là di un’analisi quan-titativa sul lavoro femminile, l’esigenza di un approfondimento qualitativo su questa questione. Il coinvolgimento informale delle donne nella bottega è te-stimoniato, anche nella Firenze trecentesca, dal fatto che gli apprendistati femminili non fossero regolamentati da un contratto scritto. Lo status sociale delle donne è legato al mestiere esercitato dal marito o dal fratello, che esse spesso coadiuvano, con una conseguente un’assenza di dati statistici che diano conto della rilevanza femminile in questo ambito.

Di qui una difficoltà, come vedremo tra poco, nel reperire indicazioni pre-cise sul numero delle lavoranti a Firenze. In questa città alcuni studi statistici

27 Anna Maria Enriques Agnoletti (a cura di), Statuto dell’arte della lana di Firenze (1317-1319), Le Monnier, Firenze 1940, p. 143: «quod nullus eorum det vel dari faciat aut permetta aliquam telam alicui texitori vel texitrici ad texendum […]».

28 Angela Groppi, Il lavoro delle donne: un questionario da arricchire, in Simonetta Cava-ciocchi (a cura di), La donna nell’economia, XIII-XVIII: atti della “Ventunesima Settimana di Studi”, 10-15 aprile 1989, Istituto Internazionale di Storia Economica “F. Datini”, Le Mon-nier, Firenze 1990, p. 144.

29 Ivi, p. 145. 30 Cfr. Angela Groppi, Ottica di genere e lavoro in età moderna, in Giulia Calvi (a cura di),

Innesti, Viella, Roma 2004, pp. 259-275.

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testimoniano non solo che la donna non è considerata nei conteggi, ma anche che questa nei periodi di grande abbondanza di manodopera – le migrazioni dalle campagne circostanti porta a Firenze un gran numero di lavoratori tra la fine del XIV e la prima metà del XV secolo – subisce una forte concorren-zialità anche nei lavori più umili. Franco Franceschi, analizzando alcuni do-cumenti fiscali risalenti al XIV e agli inizi del XV secolo, ha potuto trasmet-terci importanti informazioni sulle lavoratrici fiorentine. Tabella 1 – Consistenza numerica di alcune categorie artigiane nel confronto tra fonti coeve.

1378-1379 Estimo

1378 Notarile

1427 Catasto

1430 Lana

Cimatori 81 49-74* 33 23

Rimondatori – – 10 12

Pettinagnoli – – 12 4

Cardaioli – – 11 6

Tiratori – – 9 6

Totali 81 49-74 75 51

* La doppia cifra trova una spiegazione nel fatto che il documento enumera 49 cimatori, indicandoliu come i due terzi del totale della categoria: è dunque gioco-forza oscillare da un minimo di 49 (nell’ipotesi che essi costituissero l’intero) ad un massimo di 74 (nell’eventualità che 49 rappresentasse esattamente i due terzi del totale).

Attraverso un’analisi sulla consistenza numerica di alcune categorie artigiane confrontate tra diverse fonti appare evidente una forte sottoregistrazione dei tessitori31. Scrive Franceschi a tal proposito: «non è un caso che la tessitura, e con essa la filatura e l’orditura, fossero in pratica le uniche fasi del lungo ciclo manifatturiero che prevedevano il concorso di manodopera femminile»32.

A meno che le donne non fossero anche capifamiglia poco o nulla si può sape-re sulle attività economiche di quest’ultime. Infatti «nel 1378-1379 le tessitrici rilevate dall’estimo ammontavano al 30,53% degli addetti a questa operazione, una percentuale rilevante soprattutto in considerazione del fatto che su un totale cittadino di 12.826 capifuoco censiti ben 11.283 erano uomini e appena 1543 (il 12,01%) donne»33. La tessitura risulta essere un’occupazione tre volte più fre-quente tra le lavoratrici, confermando il fatto che fino alla fine del Trecento la presenza femminile al telaio è superiore a quella maschile. Tale dato trova ri-scontri anche nella storia dell’Arte della Lana fiorentina del ’600, quando le tes-

31 Franco Franceschi, Oltre il «Tumulto», I lavoratori fiorentini dell’Arte della lana fra Tre e Quattrocento, Leo S. Olschki Editore, Firenze 1993, p. 115.

32 Ivi, p. 116. 33 Ibidem.

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sitrici giungeranno ad assorbire più dell’80% della manodopera impiegata nella tessitura34. Franceschi, tuttavia, attraverso una ricerca svolta presso il fondo del-l’Arte della Lana su numerosi documenti connessi alla giurisdizione della corpo-razione (avvisi di pagamento, sequestri di beni per debiti, contratti di lavoro e di apprendistato, locazioni e vendite di strumenti di lavoro, composizioni di ver-tenze e liti, concessione di licenze per prestiti su pegno, confessioni di debito, registrazioni di fasi processuali35) ha potuto constatare che soprattutto dal XV secolo numerosi forestieri vanno ad occupare ruoli nel processo produttivo fino a quel momento svolti dalle donne. Scrive a questo proposito Franceschi:

La massiccia immissione di maestranze forestiere nella struttura produttiva del lanificio fiorentino, che caratterizzò i decenni successivi al Tumulto dei Ciompi, dovette interagire negativamente con la sfavorevole evoluzione della congiuntura nel settore laniero fra Tre e Quattrocento. Quando infatti, perdu-rando il flusso dei nuovi arrivi, la base manifatturiera cominciò a restringersi e l’offerta di braccia a dilatarsi, le prime ad essere escluse dalla tessitura fu-rono le forze lavorative la cui partecipazione al complesso delle attività eco-nomiche cittadine, per quanto estesa fosse, era comunque avvertita come complementare: le donne36.

Come si può desumere dalla tabella qui riportata risulta che nel cinquan-

tennio 1378-1430 il peso delle tessitrici si riduce di circe due terzi37. Tabella 2 – Sondaggi sulla distribuzione della forza-lavoro nella tessitura per sesso e preven-zione: 1378-1430 (in %).

Estimo 1378-79

Prestanza 1404

Catasto 1427

Lana 1380

Lana 1405

Lana 1430

Tessitori italiani 65,26 60,64 62,34 43,27 31,04 29,33

Tessitori stranieri 4,21 17,19 25,97 12,50 37,24 54,67

Tessitrici* 30,53 22,17 11,69 44,23 31,72 16,00

100,00 100,00 100,00 100,00 100,00 100,00

* Il raggruppamento non presenta nominativi seguiti da specificazione di provenienza e dobbiamo conse-guentemente ritenerlo composto esclusivamente da fiorentine.

34 CarloMaria Cipolla, Storia economica dell’Europa pre-industriale, il Mulino, Bologna

1974, p. 178. 35 Sono tutti atti dai quali è possibile desumere un campione di lavoratori qualitativamente

più rappresentativo di quello ottenuto dalle fonti fiscali, che si limitano a identificare la popo-lazione stabilmente residente e i mestieri dei soli capifamiglia.

36 F. Franceschi, Oltre il «Tumulto», I lavoratori fiorentini dell’Arte della lana fra Tre e Quattrocento, cit., p. 121.

37 Ivi, p. 122.

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È importante notare che dalle cifre derivate dai libri dell’Arte della Lana si può concludere che, partendo da un rapporto numerico quasi paritario con gli uomini nel 1380, esse arrivano a rappresentare solo il 16% del totale della categoria nel 1430. Nel 1480 risulta addirittura che su 76 tessitori registrati le donne sono solo 5. Ciò che emerge da questo studio è che non si avranno neanche dopo la seconda metà del Quattrocento un numero di lavoranti al telaio pari a quelle della prima metà del Trecento. Le lavoratrici fiorentine, dalla fine del XIV secolo, oltre a subire una forte concorrenza dai forestieri, sembrano essere quindi progressivamente emarginate dalla produzione.

A conclusione di questo discorso è importante riportare uno studio che, prendendo come oggetto d’analisi le donne e i loro mestieri in età moderna, dà forte risalto alle tradizioni e alle usanze del tempo per rintracciarvi quelle che fanno emergere la condizione sociale femminile.

Simona Laudani si interroga sul rapporto tra donne e corporazioni proprio a partire dal ruolo che queste occupano nelle celebrazioni e nelle feste reli-giose. Le processioni religiose sono, infatti, l’occasione per rappresentare la funzione e il ruolo dei corpi di mestiere nella vita politica e sociale della cit-tà. Scrive a tal proposito:

l’ordine con il quale ciascun corpo sfilava, il posto occupato lungo la corda che tirava l’urna delle reliquie del santo, non era mai casuale. Esso corri-spondeva all’importanza che questa o quella corporazione aveva nella vita cittadina, al suo peso economico, alla sua potenza. […] Le donne non parte-cipavano alla processione. Potevano essere come dice Houel, «una quantità prodigiosa», ma erano escluse dalla simbologia dei poteri38.

Le feste devono quindi essere viste, secondo Laudani, come la rappresenta-

zione della divisione sessuale dei ruoli sia nella vita lavorativa che politica alla fine del Medioevo. Una conclusione questa che riflette la tendenza emersa ne-gli studi precedentemente riportati: una condizione sociale nettamente subal-terna e scarsamente considerata da un punto di vista giuridico rispetto agli uomini. Questa condizione di sudditanza non vuol dire mancanza di presenza di femminile nel mondo del lavoro. Il dato rilevante è semmai l’istituzionaliz-zazione di questa «minorità» e la sua conseguente, quanto profonda, penetra-zione nella coscienza sociale, oltre che nella struttura produttiva. Non va di-menticato però che il progressivo modellarsi e piegarsi della struttura corpora-tiva – nata per garantire bilanciate condizioni tra gli operatori di un settore – alle nuove esigenze del mercato ha prodotto modifiche strutturali delle condi-zioni di tutti i lavoratori, anche maschi. La formazione di un salariato escluso

38 Simona Laudani, Mestieri di donne, mestieri di uomini: le corporazioni in età moderna, in A. Groppi (a cura di), Il lavoro delle donne, cit., p. 185.

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dalla corporazione è una delle conseguenze dell’affermazione del capitale sul lavoro durante l’età moderna. Le donne godranno di sempre minor considera-zione in un simile contesto, emarginate dalla struttura corporativa e sottoposte ad una organizzazione «protoindustriale» del lavoro con funzioni non centrali e non remunerate. La cultura del tempo inoltre non vede di buon occhio le la-voratrici. Anche per questi atteggiamenti mentali la posizione delle donne vie-ne sempre più a coincidere con lo spazio domestico e con gli impegni familia-ri. Chi esce da questi ambiti riuscirà a trovare un lavoro dequalificato, scarsa-mente pagato e con la dignità compromessa.

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Finito di stampare nel mese di gennaio 2013

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